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Gloria Polo

 



 
SONO STATA ALLE PORTE
DEL CIELO E DELL'INFERNO
Nuova Testimonianza della dott.sa Gloria Polo ( a cura di Flaviano Patrizi)




 
TESTIMONIANZA

Sia veramente benedetto il nome del Signore, fratelli. È molto bello, per me, avere l'opportunità di stare qui con voi a raccontarvi il meraviglioso regalo che il Signore mi ha fatto venerdì 5 maggio 1995, intorno alle 16:30, presso l'Università Nazionale di Bogotà. Quel giorno ero con mio marito Fernando e mio nipote Edoardo. Mio marito ci accompagnava con la sua macchina alla Biblioteca Generale della facoltà di odontoiatria per ritirare dei libri utili alla nostra specializzazione odontoiatrica. Pioveva molto forte, ma non si sentivano tuoni né si vedevano lampi. Io e mio nipote camminavamo affiancati, riparandoci sotto un unico e piccolo ombrello, mentre mio marito aveva il suo impermeabile e, per ripararsi dalla pioggia, camminava accostato alla parete della Biblioteca Generale. Io e mio nipote, nel camminare, saltavamo le pozzanghere d'acqua senza accorgerci che ci stavamo avvicinando agli alberi. Mentre stavamo saltando una grande pozzanghera d'acqua, fummo raggiunti da un fulmine che ci lasciò entrambi senza vita.
Mio nipote era un ragazzo credente e nutriva una grande devozione verso il bambino Gesù, del quale portava al petto una medaglietta di quarzo. Secondo le autorità proprio quest'ultima gli ha attirò addosso il fulmine. Esso, infatti, entrò attraverso quella medaglietta, passò per il cuore e, attraversando il corpo, uscì dal piede. Nonostante ciò il corpo di mio nipote non rimase esternamente bruciato. Aveva solo un piccolo buchino in un piede, dal quale uscì il fulmine, e un marchio dell'immagine del Bambino Gesù impresso sul suo petto dalla medaglietta che portava al collo: un marchio a fuoco.
Quanto a me, il fulmine mi entrò dal braccio e mi bruciò spaventosamente tutto il corpo, sia fuori che dentro. Non avevo più i seni, soprattutto quello sinistro, e al loro posto erano rimasti solo i capezzoli. Era sparita la carne del ventre e delle costole, le gambe erano completamente carbonizzate e il fulmine uscì dal piede destro. Internamente il fulmine mi carbonizzò il fegato, i polmoni, i reni e le ovaie. Quest'ultime divennero come uva passa – tanto per utilizzare l'espressione usata dai medici – anche a causa del fatto che utilizzavo una spirale di rame, il quale è un buon conduttore di elettricità. Ebbi un arresto cardiaco e rimasi lì a terra senza vita. Mio marito mi raccontò che il fulmine ci aveva scaraventato a una distanza di circa sette metri da lui, e che gli spasmi muscolari causati dalla folgorazione ci facevano rimbalzare da terra circa ottanta centimetri come se stessimo ricevendo le scosse elettriche di un defibrillatore. Mio marito non riportò bruciature ma l'elettricità rimasta nell'acqua gli provocò degli spasmi muscolari fino a quando riuscì faticosamente ad aggrapparsi a un albero isolandosi così dal suolo bagnato. Per due ore nessuno poté soccorrerci, poiché la zona a noi circostante era carica di elettricità.
Questo è il racconto, però, della sola esperienza fisica e, se mi fermassi qui, esso sarebbe molto incompleto, poiché non vi renderebbe partecipi di quella che è stata, invece, la dimensione più rilevante della mia esperienza.


 
 
PRIMA ESPERIENZA MISTICA

Dio mio, potessi avere le giuste parole per far comprendere la meraviglia che provai! Quando mi cadde addosso il fulmine, entrai immediatamente in una luce bianchissima piena di amore. Era come un sole bellissimo! Avvolta da questa luce, sentii fratelli, una pace, una gioia e un'allegria meravigliose. Quant'è grande l'amore di Dio! Quant'è bella, fratelli, la morte! Non so perché ce ne hanno parlato, e ce ne parlino ancora, come di un castigo. Essa è, invece, l'abbraccio di Dio Padre. Mentre mi trovavo in questo stato paradisiaco, vidi il mio corpo carbonizzato che rimbalzava al suolo e il corpo di mio nipote. Vidi, inoltre, tutte le persone del mondo contemporaneamente senza dover muovere lo sguardo, poiché ero libera dal tempo e dallo spazio. Percepii i loro pensieri e vidi i loro peccati segreti. Ero così piena di amore che non riuscii a contenerlo e lo sentii debordare da me. Abbracciai tutte le persone e desiderai che tutti potessero sentire quest' amore straripante.
Tra tutti quelli che abbracciai, mia figlia primogenita, che allora aveva nove anni, percepì il mio abbraccio e ne rimase scossa.
Quando mi soffermai con più attenzione sul mio corpo carbonizzato, tale vista mi ridestò dall'ubriacatura di gioia e di amore ed esclamai: «O cavolo! Sono morta!», e pensai: «I miei figli... i miei figli! Che diranno questi piccolini della loro mamma che non ha mai avuto tempo per loro?». Fino a quel momento ero stata, infatti, una mamma molto assente: uscivo da casa alle cinque e rincasavo alle ventidue, quando già i miei figli dormivano. Riuscivano a vedermi solo la domenica. Guardando ancora meglio il mio corpo mi accorsi che era abbrustolito e dissi: «A cosa potrò servirgli in questo stato?» e, siccome il trovarmi fuori dal mio corpo, non aveva annullato la mia personalità, mi sollevai al vano pensiero che già gli avevo comprato le assicurazioni sulla vita, nell'illusoria speranza che esse potessero essere per loro la garanzia di una vita pacifica.
La luce, che mi avvolse appena uscita dal corpo, mi attirava a sé. Mentre salivo sempre più in questa luce di amore e gioia vidi mio padre, mia madre, i miei nonni, i miei bisnonni e tutti i miei parenti. Mi resi conto che persi un sacco di soldi per pagarmi le regressioni, nella erronea convinzione di riuscire a sapere se la mia bisnonna si fosse reincarnata. Siccome queste regressioni erano molto care, decisi di non verificare dove si fosse reincarnata la mia bisnonna. Che falsità! Che inganno! La mia bisnonna era lì, davanti a me, fratelli.
Dopo essermi abbracciata con tutti i miei cari lì presenti in questa dimensione, priva di spazio e tempo, vidi mio nipote Edoardo abbracciare la sua mamma, la quale stava dando lo straccio.
Mentre riceveva quest'abbraccio invisibile ai suoi occhi, la mamma, presa da un forte sconforto, cadde a terra con le mani sul cuore e rigirandosi gridò: «No, Dio mio, non farmi questo perché è troppo... non potrò resistere a questo dolore così grande». Mia cognata non comprese il senso di quel sentimento e non raccontò a nessuno quanto le era accaduto. Quando, però, il Signore mi permise di riprendere coscienza e di rivedere mia cognata, le dissi:
«Ti ricordi quando cadesti a terra e rigirandoti sul pavimento in preda ad uno sconforto mortale dicesti che non saresti riuscita a sostenere il dolore? In quel medesimo istante ti stava abbracciando tuo figlio Edoardo».
Continuai a salire e a un certo punto vidi l'ingresso di un luogo meraviglioso. Ai due lati dell'ingresso c'erano due alberi dalla bellezza praticamente indescrivibile. In quel luogo vi erano un giardino e un lago splendidi, una luce carica di amore vivo, tutto era vita e tutto esprimeva pace. Che gioia essere lì, fratelli! Non vedevo l'ora di entrarci.
Mentre stavo per entrare in quel luogo paradisiaco, sentii il grido accorato di mio marito che, per grazia, mentre era aggrappato a un albero per isolarsi dal suolo e non essere folgorato, poté vedere la mia anima e quella di mio nipote lasciare i nostri corpi e salire verso quel luogo meraviglioso che vi ho descritto: «Gloria, per favore - gridava - non ti arrendere. Gloria... ritorna! I bambini». Io lo guardai dall'eternità e lo vidi coperto da ferite sanguinanti e piangente. Quant'è grande il legame sponsale sacramentale! A quella vista la mia assunzione ebbe una battuta di arresto e iniziai a ridiscendere. Che tristezza, fratelli! Mentre ridiscendevo vidi, però, l'ingresso trionfale di mio nipote in quel meraviglioso giardino: mi guardò, alzò le braccia in segno di vittoria e, colmo di una felicità indescrivibile, ne varcò la soglia.
Quando mi fecero ritornare, mi fu chiaro che io non sarei assolutamente entrata in quel giardino. La mia esperienza paradisiaca, seppur limitata, fu dovuta al fatto che tutti gli uomini, ad eccezione dei suicidi, fratelli, ricevono l'abbraccio di Dio Padre. Per questo la totalità delle persone che hanno fatto l'esperienza di premorte, tranne qualche rara eccezione, racconta di un tunnel luminoso di amore vivo e di pace sterminata che li ha attirati verso un'uscita ancor più luminosa. Questo tunnel di luce sono le braccia di Dio Padre e la luce ancor più forte è il cuore di Cristo, porta del paradiso. Dio Padre, però, non obbliga nessuno. E quindi, se qui in terra abbiamo deciso di vivere senza Dio, egli non ci obbligherà a un'eternità con lui. E allora, dopo averci abbracciato col suo infinito amore, ci consegnerà con infinito dolore al padre che liberamente ci siamo scelti. Per Dio Padre sarà come strapparsi un pezzo del proprio cuore. Io non diedi a Dio Padre questo dolore perché il tempo della mia vita non si era ancora concluso.
 


PRIMO RITORNO ALLA COSCIENZA

Mi fecero dunque ritornare e incontrai il mio corpo senza vita adagiato in una barella dell'infermeria dell'Università Nazionale. I medici, nel tentativo di farmi riprendere il battito cardiaco, stavano utilizzando sul mio petto il defibrillatore. Come ho già detto, da più di due ore io e mio nipote giacevamo a terra. I medici del pronto intervento non poterono soccorrerci con più tempestività perché furono costretti ad attendere che la zona circostante ai nostri corpi si scaricasse di elettricità per non rimanere a loro volta folgorati. Dopo circa tre o quattro minuti dall'inizio delle manovre di rianimazione operate dal medico internista Nairo Cano ripresi i sensi. Spiritualmente avvenne così: appena poggiai i piedi della mia anima sulla testa del mio corpo esanime, sentii come un violento risucchio che m'introdusse nel mio corpo. Rimbalzai come una palla, fratelli, e inizia a provare il dolore impressionante del mio corpo carbonizzato che emanava fumo. Più forte di questo tremendo dolore fisico fu quello della mia vanità, privata di quel mio bel corpo al quale sacrificai tanto tempo e denaro.
Fui trasportata, successivamente, ad un ospedale pubblico talmente pieno di feriti che non si trovò una barella sulla quale si potesse pormi. I poveri medici non poterono farci nulla perché, nemmeno a volerlo, sarebbero riusciti a trovarmene una. I barellieri dovettero quindi adagiarmi a terra su di un lenzuolo, pur sapendo che così bruciata avrei rischiato di morire per un'infezione.

Furono ore di attesa straziante e disperante che Dio permise. Oggi mi rendo meglio conto che quei poveri medici, tra tanti feriti,
non poterono darmi la precedenza, essendo io quella con meno
possibilità di sopravvivenza. Avrebbero forse potuto lasciare i pazienti colpiti da infarto o quelli versanti in condizioni anche più
gravi delle mie, ma con maggiori possibilità di sopravvivenza se
presi in tempo?
Sapete, però, cosa mi successe proprio mentre sperimentavo
l'abbandono più totale? Vidi nostro Signor Gesù accovacciato accanto a me. Con infinita tenerezza mise il suo braccio sotto la mia
testa e mi consolò. Credetti di essere vittima di allucinazioni.
Chiusi allora gli occhi provando a bloccare l'allucinazione, ma quando li riaprii, era ancora lì. Ripetei l'operazione diverse volte, ma ogni volta che riaprivo gli occhi ritornavo a vederlo lì accanto a me! Quando Gesù vide in me un'attenzione sufficiente mi disse guardandomi pieno di amore: «Ascoltami, piccola mia. Stai per morire. Sentiti bisognosa della mia misericordia». Chiusi gli occhi e dissi: «Misericordia, misericordia», ma non ero convinta della mia invocazione perché mi credevo innocente e, pur meditando sulle parole dettemi da Gesù, non riuscii a trovare in me alcuna colpa. Avevo, cioè, perduto la coscienza del peccato.
Mi rimase chiaro, però, che sarei morta da lì a poco!.......




 
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