Home Chi Siamo Messaggi Pellegrinaggi News Photogallery Apparizioni Mariane Divina Misericordia Esperienze di Vita Mistica Medjugorie Contatti

 
 
«COSÌ MIO FIGLIO HA PARLATO CON GLI ANGELI ED È SALITO AL CIELO»

 
 
 
 
 
STORIE
 
 

«COSÌ MIO FIGLIO HA PARLATO CON GLI ANGELI ED È SALITO AL CIELO»

23/02/2024  Parla la mamma e il papà di Davide Fiorillo, morto per una malattia incurabile a otto anni. «Vide anche Gesù e ce lo descrisse: la sua fede, la sua spontaneità, i suoi occhi pieni di una luce che non esiste su questa terra»

 
 

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo l'articolo apparso sul numero 7 di "Maria con te" dedicato alla storia del piccolo Davide Fiorillo raccontata da mamma e papà

 

di Riccardo Caniato

«Vuoi fermarti un poco a vedere il mare?». «No mamma, dobbiamo andare! La Madonnina ci aspetta». In questo scambio fra Elisa e il suo bambino è già compreso il mistero di una vita, raccolto dalla giornalista Costanza Signorelli nel volume Davide. Il bambino che parlava con gli angeli (Edizioni Ares, pp. 184, euro 15). Una storia toccante che sarà di speranza per tutti coloro che portano una croce nella malattia. Davide Fiorillo, calabrese di Piscopio, in Provincia di Vibo Valentia, è morto di leucemia a 8 anni, il 22 giugno 2021, in circostanze particolari che rendono la sua vicenda straordinaria. Nato in una famiglia non praticante, Davide a un certo punto ha abbracciato la sua malattia incurabile con sorprendente serenità: lo ha fatto dal momento in cui, come il piccolo ha testimoniato ai genitori, sono venuti a fargli compagnia gli Angeli, poi la Madonna, infine Gesù. Che, poi, lo hanno preparato e accompagnato nel suo passaggio al Cielo.

All’interno di questa vicenda un passaggio significativo riguarda il santuario della Madonna degli Angeli di Cassano delle Murge, di cui abbiamo raccontato nel numero 5 di Maria con te: è qui che la Vergine ha invitato due volte il bambino, e dove lui aveva fretta di raggiungerla a costo di rinunciare al mare che amava moltissimo; ed è qui che entrambe le volte è stato visto cadere in estasi davanti alla statua della Vergine degli Angeli. Ma Maria si è fatta incontro nella sofferenza di Davide anche nel quotidiano della sua casa: come ci testimoniano direttamente i suoi genitori, Salvatore ed Elisa, nel colloquio che segue.

Quando sono iniziati per Davide i fenomeni mistici?

Salvatore. Noi li abbiamo scoperti il 19 marzo 2021. Davide era ricoverato a Roma, al Bambin Gesù, i medici ci avevano appena comunicato che per lui non c’era più alcuna speranza di vita. Io ed Elisa eravamo disperati, non sapevamo neppure più cosa dire al nostro bimbo. A un certo punto Elisa gli parla dell’angelo custode, per appigliarsi a un’immagine consolatoria, come ci si rifugia nelle favole, e Davide, tutto allegro le risponde: "Mamma, non uno, io adesso ne vedo tre. E se chiudi gli occhi li vedi anche tu”.

Vedeva anche la Madonna?

Elisa. "La Madonnina è bellissima”, ci diceva. La vedeva attorniata dagli Angeli come è raffigurata nella statua del santuario di Cassano. Lui non conosceva quel luogo, nessuno di noi lo conosceva, è stata Maria a indicarglielo, a fargli trovare quella sua immagine in Internet e a chiederci di fare pellegrinaggio.

S. Dapprima ha visto gli Angeli, che l’hanno preparato all’incontro con la Madonnina. A quel punto Lei non lo ha più lasciato e lo ha a sua volta preparato all’incontro con Gesù che è avvenuto con la Prima Comunione.

Ad Jesum per Mariam. Il capitolo del libro dedicato all’Eucaristia si intitola: Vedo Gesù. Cosa è successo esattamente quel giorno?

E. Era la prima Messa a cui Davide partecipava in vita sua. Durante la celebrazione aveva uno sguardo serio e profondo, era composto e deciso nei movimenti come se già sapesse tutto. Lo sentivamo parlare a voce bassa e non capivamo se stesse partecipando al rito (che però non conosceva) o se stesse conversando con qualcuno. A un certo punto gli domandai se la Madonnina fosse poi venuta alla Messa, come gli aveva promesso. Rispose che Lei era già in chiesa ad aspettarlo e, dopo aver guardato verso l’alto come quando si scruta il cielo, pieno di felicità riferì a suo padre che c’erano anche gli Angioletti. Alla sera, terminato tutto, ebbi il coraggio di chiedergli se anche Gesù si fosse fatto vedere, lui rispose che solo dopo aver mangiato l’Ostia consacrata aveva visto Gesù e ce lo descrisse.

Come lo ha descritto?

E. Con queste esatte parole: «Bello! Giovane come san Michele, senza la barba, con i capelli corto-lunghi, con una tunica bianca e il mantello rosso». Ci disse anche che Gesù con una mano lo aveva accarezzato, mentre con l’altra gli aveva toccato il cuore.

Nel libro si narra della Prima Comunione di Davide come di una svolta radicale nella vostra vita...

E. Sia io sia Salvatore vivevamo lontani dalla Chiesa e dai sacramenti; e Davide era cresciuto senza formazione religiosa. Mai prima di allora avevamo capito cosa volesse dire che Gesù Cristo è vivo e presente nell’Eucaristia. Attraverso nostro figlio abbiamo toccato con mano questa presenza reale. Davide ci ha detto di vedere Gesù, ma noi abbiamo visto come Davide ce lo ha detto: la sua sicurezza, la sua fede, la sua spontaneità, i suoi occhi pieni di una luce che non esiste su questa terra.

Salvatore, lei è un apicoltore, un uomo della terra concreto: come ha potuto credere alle parole di suo figlio e come lo hanno cambiato?

S. La domanda che mi faccio è opposta: come avrei potuto non credere? Dal primo istante in cui ho sentito mio figlio parlare del Cielo qualcosa dentro di me è cambiato. È come se le parole di Davide rispondessero a tante domande che mi portavo dentro in un modo in cui nessuno mai aveva risposto. La prima volta che Elisa mi ha fatto correre in ospedale dicendomi che Davide aveva raccontato degli Angioletti e del Paradiso io sono scoppiato a piangere e ho avuto dentro di me una certezza incrollabile. Giorno dopo giorno io ed Elisa – ognuno a modo suo, ma insieme – capivamo che se quello che ci diceva nostro figlio era vero, la nostra vita non poteva più essere la stessa! Io sono un uomo razionale e avevo vissuto come se non esistesse nulla oltre a ciò che si vede e si tocca. Ma Davide ci ha mostrato un’altra vita, la vita vera, ed è quella che lui attendeva e desiderava più di tutto.

Come vi comunicava queste cose?

S. In tantissimi modi. Le faccio un esempio. Il giorno dopo la Prima Comunione vidi Davide trafficare con il suo salvadanaio a forma di casetta delle api. Ben sapendo quanto gli piacesse comprare i giocattoli gli dissi: "Lo vedi quanti soldini hai ricevuto in dono: devi dire agli Angioletti e alla Madonnina di farti guarire così li puoi spendere!”. Mi rispose di getto, senza pensarci nemmeno un istante: "No papà. Loro mi stanno aspettando. Io devo andare”. Se lo immagina un bambino di otto anni che, con una certezza e una serenità indescrivibili, parla in questo modo della sua morte? Davide ci ha fatto vedere che la morte non è la fine ma il principio della vita. Prima di andare in Paradiso si è fatto cucire un abito apposta per volare con gli Angioletti: ha scelto lui tutto nei dettagli, e quando lo ha provato pareva si preparasse per le nozze, per il giorno più bello della sua vita!

Vi ha anche descritto cosa c’è dopo la morte?

E. Lui non ha mai parlato di morte. Un giorno ci ha raccontato di quando gli Angioletti lo hanno portato a vedere il Paradiso e lo ha descritto come un luogo bellissimo, pieno di luce e con l’arcobaleno. Un luogo dove le cose belle che desideri accadono e dove non esiste la sofferenza, infatti ripeteva: "In Paradiso non si prendono le medicine e non ci sono gli ospedali”. Pensi che Davide era legatissimo a me, al punto che durante i ricoveri non mi lasciava uscire dalla stanza, ma da quando ha visto il Paradiso ha iniziato a dire che lui desiderava andarci. Era di una serenità inspiegabile e mi ripeteva che io dovevo stare tranquilla perché lui sarebbe venuto sempre a trovarmi.  

S. Noi non abbiamo sentito solamente i suoi racconti, lo abbiamo visto cambiare completamente: prima di partire per il Cielo Davide aveva sconfitto le angosce tipiche dei bambini affetti per anni da gravi malattie. Non piangeva più né faceva i capricci. Era diventato sempre allegro e pieno di vita, ringraziava per ogni cosa, voleva bene a tutti e ci parlava sempre del Cielo. Anche suo fratello Antonio, al quale era attaccatissimo, era rimasto travolto da questo suo cambiamento. Uno dei suoi ultimi giorni ha riunito la famiglia, anche gli zii e i cuginetti, e ci ha portato alla Messa. In chiesa, vedendo che stavamo indietro, ci ha "spinto” nelle panche davanti perché fossimo vicini all’altare. Lui era sul passeggino perché dai dolori che aveva non riusciva a camminare, ma era pieno di una gioia che ci lasciò senza parole. Era il giorno del Corpus Domini.

La statua della Madonna degli Angeli di Cassano è una figura regale...

E. Per Davide la "Madonnina” – così la chiamava – era prima di tutto una mamma. Un giorno di fronte alla mia domanda su cosa la Madonna facesse o gli dicesse, lui candidamente mi rispose: "Lei viene vicino al mio letto e mi abbraccia come una mamma, come fai tu!”.

S. Davide con la spontaneità e l’ingenuità di un bambino ci ha fatto capire che il Cielo – gli Angeli, la Madonna, Gesù, i Santi – sono persone familiari, e sono più vicini a noi di quanto possiamo immaginare.


Fulton Sheen: Un grande apostolo del Rosario e la corona a cinque colori

Fulton Sheen: Un grande apostolo del Rosario e la corona a cinque colori

     
?

La devozione mariana del venerabile era ardente, illuminata, tenera ed apostolicamente efficace. Leggendo i numerosissimi suoi pensieri mariani, pare di ritrovare l’entusiasmo di S. Bernardo e dei grandi Dottori mariani. Nei suoi libri parla sempre di due cose: la pace e Maria SS. Fulton Sheen fu un grande apostolo del Rosario negli Stati Uniti d’America; lo indicò come la preghiera idonea anche per le tante persone che, nei tempi moderni, hanno difficoltà a concentrarsi. Scriveva: «Il difficile, per gli spiriti tormentati, è che la concentrazione è impossibile quando la loro mente è turbata da pensieri che si accavallano, migliaia di immagini sommergono la mente; si è distratti e sviati. Nell’angoscia mentale i mille pensieri non trovano alcun ordine o sollievo. Il Rosario è la terapia migliore per questi distratti, per queste anime paurose e deluse, perché implica l’uso simultaneo di tre facoltà: fisica, vocale e spirituale. Le dita, toccando i grani, ci ricordano che questi piccoli grani vanno usati per la preghiera; le labbra si muovono all’unisono con le dita e così la volontà seguirà ben presto e la preghiera terminerà per coinvolgere il nostro cuore. I grani aiutano la mente a concentrarsi. Sono un po’ come l’accensione di un motore: dopo un po’ di giri e di sforzi l’anima comincia a muoversi».

Il grande apostolo del Rosario, aveva ideato una corona a cinque colori, ancora molto in uso: una decina di grani verdi, per ricordare le lussureggianti foreste dell’Africa; una decina di grani rossi per l’America, abitata un tempo dai Pellirossa; una decina di grani bianchi per l’ Europa, in omaggio alla veste del Papa; una decina di grani azzurri per l’Oceania, immersa nell’azzurro dell’Oceano Pacifico; una decina di grani gialli per l’immenso Continente asiatico, abitato fra gli altri dai ‘gialli’ della Cina… Così, sencondo il suo pensiero, alla fine della corona, si abbraccia tutto il mondo.

Maria Valtorta - 25 Agosto 1953. Ore 19

Dice Maria Ss.:
«Metti nel medaglioncino d'oro con la stella, che è di Marta, un pezzetto del lino miracoloso: una perla di bene sotto la perla che è nella stella, e che Marta lo porti più che può. E tu poniti al collo la corona di Gerusalemme. Quegli ulivi superstiti sono stati molte volte toccati e benedetti da mio Figlio, e da Me, e dagli Apostoli e discepoli, e da molti Consacrati, nei secoli. Hanno bevuto il Sangue di Gesù, il suo e mio pianto. E ciò li fa santi e potenti contro Satana e ogni altro male.

Più userai quella Corona e più sarai benedetta e mi darai gioia, e la darai al mio Gesù... Hai avuto un dono d'infinito valore spirituale.

Amalo, preferendolo, benché così rozzo, e scabro, e povero, ad ogni altra Corona, meno quella di Mr. Fulton Sheen che veramente sarebbe bene che tu facessi, per questo povero mondo così in pericolo in tutti e cinque i continenti».



BURKINA FASO Jihadisti senza pietà: strage di fedeli a Messa, 15 morti


Assalto spietato nel villaggio di Essakane dove era in corso la Messa: 15 vittime. Ma la minaccia jihadista in Burkina Faso colpisce anche i musulmani. Il vescovo: «Il terrorismo si è abbattuto sul Sahel con l'intento di islamizzare tutta l'Africa». E tanti cattolici stanno già disertando le chiese per paura. 

LIBERTÀ RELIGIOSA 27_02_2024

La mattina del 25 febbraio si stava celebrando la Messa della domenica nella chiesa cattolica del villaggio di Essakane, nel nord del Burkina Faso, quando degli uomini armati vi hanno fatto irruzione e hanno aperto il fuoco sui fedeli. Ne hanno uccisi 15 e feriti due. La strage non è stata per ora rivendicata, ma che la matrice sia jihadista è praticamente certo perché il villaggio si trova nella "zona dei tre confini”, così viene chiamata la regione nord orientale del Paese che confina con il Mali e il Niger, infestata, come quelle dei due stati vicini, da numerosi gruppi jihadisti affiliati ad al Qaeda o all’Isis, lo Stato Islamico.

Il Burkina Faso è uno degli stati dell’Africa sub-sahariana in cui i terroristi islamici sono riusciti a penetrare e insediarsi. Inizialmente  erano attacchi e attentati compiuti in gran parte nel nord est da jihadisti arrivati dai paesi vicini, soprattutto dal Mali. Ma nel 2016 e nel 2018 sono stati messi a segno due clamorosi attentati nel cuore del paese, addirittura nelle vie centrali della capitale Ouagadougou. Poi i terroristi hanno creato delle basi stabili reclutando molti giovani, attratti, se non tutti dalla missione jihadista di conquistare territori e popoli all’Islam, dalla prospettiva allettante di un salario e del potere che danno le armi di abusare di persone inermi, depredarle, sottometterle.

Adesso circa metà del Burkina Faso è fuori controllo, occupata da gruppi jihadisti. Su un totale di 24 milioni di abitanti, gli sfollati, in cerca di salvezza, sono più di due milioni, poco meno di un decimo della popolazione. Le vittime sono circa 20mila, sempre più numerose nel corso degli anni. Nel nord est e negli altri territori progressivamente raggiunti dal jihad, centinaia di scuole sono state distrutte o costrette a chiudere perché situate in aree troppo insicure. La stessa sorte è toccata a istituti missionari e parrocchie.

In una intervista rilasciata ad Aiuto alla Chiesa che soffre lo scorso luglio, monsignor Laurent Birfuoré Dabiré, presidente della Conferenza episcopale congiunta di Burkina Faso e Niger e vescovo di Dori, la diocesi di cui Essakane fa parte, spiegava che tre delle sei parrocchie della sua diocesi sono state abbandonate per motivi di sicurezza e che un gran numero di cattolici disertano le chiese per paura dei terroristi. «Li comprendiamo – aveva detto – e non chiediamo loro di dare prova di coraggio». «Il terrorismo è una valanga che si è abbattuta sul Sahel e sul nostro paese con l’intento di islamizzare tutta l’Africa, è una minaccia per tutti», aveva detto in un’altra intervista, spiegando che i jihadisti non colpiscono solo i cristiani e le loro chiese, ma anche i musulmani che non professano lo stesso Islam e le loro moschee.

A conferma delle sue affermazioni, poche ore prima che nel nord venisse attaccata la chiesa di Essakane, un grave attacco ha colpito una moschea nella città di Natiaboani, un importante snodo commerciale nel sud est del paese. Mancano ancora informazioni dettagliate, ma si parla di molte decine di persone uccise, tutti musulmani, in gran parte maschi. Dei testimoni hanno riferito al quotidiano Al Jazeera che gli assalitori erano tanti, che si è trattato di un attacco «su larga scala». Arrivati di mattino presto nei pressi della moschea, in quel momento affollata perché si stavano recitando le preghiere del mattino, le prime della giornata, l’hanno circondata per non lasciare scampo ai fedeli e hanno incominciato a sparare. Tra le vittime ci sarebbe anche un importante leader religioso.

Diverse agenzie di stampa riferiscono che inoltre il 25 febbraio sono state attaccate molte basi militari in diverse regioni del nord est. Fonti di sicurezza governative sostengono che centinaia di jihadisti sono stati «neutralizzati» dai militari che hanno risposto alle aggressioni. Ma l’attendibilità di questa dichiarazione ufficiale è dubbia. Troppe volte le autorità africane, in cerca di credibilità e consenso, annunciano vittorie sui jihadisti, perdite inflitte, l’imminente sconfitta di un gruppo armato che invece continua a combattere e minacciare. La giunta militare al potere in Burkina Faso ha bisogno di vittorie sul terrorismo. È al potere dal settembre del 2022 quando con un colpo di stato ha rovesciato il governo militare in carica, a sua volta risultato di un primo golpe che nel gennaio dello stesso anno aveva destituito il presidente democraticamente eletto, Roch Marc Christian Kaboré. Allora la popolazione esausta aveva festeggiato i militari, pensando che con loro al potere il paese avrebbe avuto un governo meno corrotto e più determinato e capace di combattere i jihadisti. Ma si sono dovuti ricredere molto presto. Secondo un rapporto dell’Africa Center for Strategic Studies diffuso nell’agosto del 2023, nei 18 mesi di governi militari il numero dei civili uccisi dai gruppi jihadisti è quasi triplicato rispetto ai 18 mesi precedenti.

«In queste dolorose circostanze – ha scritto in un comunicato monsignor Birfuoré Dabiré – vi invitiamo a pregare per il riposo eterno di quanti sono morti nella fede, per la guarigione dei feriti e per la consolazione dei cuori addolorati e a pregare anche per la conversione di coloro che continuano a seminare morte e desolazione nel nostro Paese. Che i nostri sforzi di penitenza e di preghiera durante questo periodo di Quaresima portino pace e sicurezza al nostro Paese, il Burkina Faso».

Il 25 febbraio sono morti pregando dei cristiani e dei musulmani, vittime, gli uni e gli altri, di una fede che, come dice giustamente il vescovo di Dori, minaccia tutti.

Foto: da Aiuto alla Chiesa che soffre


Il governo Tusk mira a espandere l'aborto, chimico e chirurgico, abolendo di fatto l'obiezione di coscienza. Insorgono i partiti centristi e la Chiesa.


VITA E BIOETICA 30_01_2024
Donald Tusk (La Presse)

Procede a pieno ritmo l’eradicazione sistematica di valori cristiani e libertà inalienabili a Varsavia, in questi giorni, nei quali si avvia la liquidazione dell’agenzia di stampa polacca per volere del governo di sinistra-centro guidato da Donald Tusk. La Chiesa cattolica è scesa però di nuovo in campo, unita e determinata, ad esprime il suo giudizio netto e fermo contro i tentativi e le proposte dell’esecutivo europeista di voler liberalizzare tout court non solo la "pillola del giorno dopo", potenzialmente abortiva, ma anche l’aborto sino ed oltre la 12ma settimana.

Ricordiamo che già a pochi giorni dalla entrata in carica del nuovo governo, lo scorso 14 dicembre, il Ministro all’eguaglianza e rappresentante della sinistra estremista di Lewica, Katarzyna Kotula, aveva giurato di introdurre al più presto ogni misura che permettesse alle donne il "diritto" di uccidere il bimbo concepito nel proprio grembo, secondo l’incivile principio dell'autonomia e libertà di decisione personale, anche per ottemperare alla decisione della Corte europea dei diritti umani che si era pronunciata contro il divieto costituzionale polacco all’aborto per motivi eugenetici.

Lo scorso 24 gennaio, il governo aveva deliberato il disegno di legge per liberalizzare l’accesso alla contraccezione d’emergenza, una modifica della legge farmaceutica che mira a rendere disponibile la pillola del giorno dopo, in particolare la marca ”ellaOne”,  senza prescrizione medica per le ragazze dai 15 anni in su. Lo stesso giorno, il gruppo parlamentare della Coalizione Civica (KO), associato ai Popolari europei, del primo ministro Donald Tusk, si era spinto oltre nel voler dimostrare un malinteso europeismo relativista, presentando al parlamento polacco un disegno di legge che introdurrebbe l’aborto su richiesta, senza condizioni particolari, fino alla 12ma settimana di gravidanza.

Ovviamente, se fosse approvata, la legislazione non solo annullerebbe il divieto quasi totale di aborto introdotto sotto il precedente governo di Diritto e Giustizia (PiS), ma creerebbe una legge sull’aborto ancor più liberale di quanto esistesse in precedenza. Infatti, l’aborto sarebbe consentito anche dopo la 12ma settimana se la gravidanza mette a rischio la vita o la salute della persona (compresa la salute mentale); se esiste il "fondato sospetto” che la gravidanza è conseguenza di un reato; o se al feto vengono diagnosticati difetti alla nascita. Il termine ultimo consentito per la risoluzione varia a seconda delle circostanze. L'aborto si potrebbe effettuare sia chirurgicamente che farmacologicamente (pillole abortive) ed in entrambi i casi, le prestazioni verrebbero fornite gratuitamente a chiunque abbia diritto all’assistenza sanitaria e finanziata con soldi pubblici.

La proposta prevede anche la limitazione di fatto dell’obiezione di coscienza, laddove si dispone che tutti gli operatori sanitari che ricevono finanziamenti pubblici per la cura delle donne incinte, siano obbligati a offrire aborti, qualora un singolo medico invocasse la "clausola di coscienza”, il primario del dipartimento ospedaliero dovrà indicare un altro medico che possa praticarlo. Come era ampiamente prevedibile, gli apprezzamenti dalla stampa internazionale non sono mancati. Le critiche interne alla coalizione e tra i partiti di maggioranza sono forti e, non essendoci alcun accordo su questo tema nel programma di governo, non sarà per nulla semplice per Tusk e i suoi fedeli alleati della sinistra poter approvare in parlamento un testo così radicalmente favorevole all’aborto.

Infatti, il blocco centrista della Terza Via è il più conservatore tra i partiti all’interno della coalizione ed uno dei suoi leaders ed oggi presidente del parlamento Szymon Hołownia, si è già espresso a favore di un referendum sul tema, non certo a sostegno della proposta di Tusk. Insieme a Terza Via anche il Partito popolare polacco (Psl), è contrario alla liberalizzazione delle leggi sull’aborto. Se manterranno la posizione di coerenza, Terza Via con i suoi 65 parlamentari al Sejm (Camera) e i 12 al Senato, insieme ai popolari polacchi di Psi con i loro 28 membri alla Sejm e 4 al Senato, potranno bloccare ogni manovra di Tusk e della sinistra su questi temi. La Chiesa Cattolica non si è nascosta ed anzi ha aspramente criticato le mosse sinistre del nuovo esecutivo di liberalizzare la legge sull’aborto e ripristinare l’accesso senza prescrizione alla pillola del giorno dopo.

Mons. Leszek Gęsiak, il portavoce della Conferenza episcopale polacca (KEP), ha affermato nei giorni scorsi che tali politiche "porteranno la morte”, mentre il presidente dei vescovi cattolici polacchi, l’Arcivescovo Stanisław Gądecki, ha avvertito che «non bisogna mai rispettare… leggi che consentono l'omicidio diretto di esseri umani innocenti… Non ci sarà mai alcun sostegno da parte della Chiesa per queste azioni», ha proseguito. «L'aborto è un grave reato contro la vita umana... e la vita umana non è una questione privata. Una persona non ha il diritto di decidere della vita o della morte di un'altra persona. Togliere la vita a qualcuno non può mai essere chiamato progresso o modernità». Nemmeno se a promuovere queste leggi sono i progressisti socialisti, le sinistre ideologizzate o pseudo ‘popolari’ in cerca di vendette e ripicche politiche infantili e violente.

Fonte: La nuova bussola quotidiana


L'Ordinariato per ex anglicani, Benedetto XVI ci vide giusto

di Nico Spuntoni
Il 15 gennaio 2011 venne eretto l’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham chiamato a riunire quei gruppi di pastori e fedeli anglicani intenzionati a porsi sotto l’autorità del Papa. Tutto nacque dalla costituzione apostolica Anglicanorum coetibus (2009) scritta da Benedetto XVI e che resta uno degli atti più importanti del suo pontificato.


C’erano solo posti in piedi nella cattedrale cattolica di Westminster il 15 gennaio del 2011. Una giornata "unica che segna un nuovo passo nella vita e nella storia della Chiesa cattolica”, secondo l’omelia pronunciata all’epoca dal cardinale Vincent Nichols, primate di Inghilterra e Galles. L’arcivescovo di Londra salutò così la storica ordinazione sacerdotale di tre ex-vescovi anglicani che avevano scelto di lasciare titolo, stipendio e residenza per essere accolti nella piena comunione con la Chiesa di Roma insieme alle rispettive famiglie.

La cerimonia grazie a cui John Broadhurst, Andrew Burnham e Keith Newton diventarono preti cattolici avvenne a poche ore dalla pubblicazione del decreto di erezione dell’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham chiamato a riunire quei gruppi di pastori e fedeli anglicani intenzionati a porsi sotto l’autorità del Papa. Con quel documento la Congregazione per la Dottrina della Fede diede seguito a quanto voluto e scritto poco più di un anno prima da Benedetto XVI nella costituzione apostolica Anglicanorum coetibus (4 novembre 2009) sull’istituzione di ordinariati personali per l’accoglimento degli anglicani che "più volte e insistentemente” avevano chiesto "di essere ricevuti, anche corporativamente, nella piena comunione cattolica e questa Sede Apostolica ha benevolmente accolto la loro richiesta”. Una formula canonica, quella dell’ordinariato, che avrebbe consentito di conservare i libri liturgici della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede e capace di mettere in evidenza gli elementi di sintonia di questo patrimonio con quello cattolico.

La Anglicanorum coetibus resta uno degli atti più importanti del pontificato di Benedetto XVI, essendone anche l’unica iniziativa legislativa direttamente riconducibile al campo del dialogo ecumenico. Il documento già in partenza si annunciava non facile sia per i timori che potesse pregiudicare il dialogo con Canterbury che per le prevedibili speculazioni sul tema caldo del celibato sacerdotale. Nonostante ciò, Ratzinger preferì non adeguarsi alla realpolitik e volle dare ascolto alle numerose richieste arrivate tra il 2006 e il 2007 da più vescovi episcopaliani intenzionati ad entrare in piena comunione con Roma. La costituzione apostolica arrivò sicuramente in un momento in cui le crepe nel mondo anglicano - già emerse negli anni Settanta sull’ordinazione sacerdotale delle donne - si stavano manifestando drammaticamente con le posizioni ultra-liberal della componente episcopaliana americana e le pressanti minacce di scisma, ma non diede alcuna sponda a quella che papa Francesco chiama "la tentazione del trionfalismo”.

Benedetto XVI non soffiò sul vento scismatico nonostante il suo sostegno agli episcopaliani americani contrari all’ordinazione episcopale di un omosessuale dichiarato nel New Hampshire e nonostante la lettera indirizzatagli da 36 vescovi anglicani - rivelata dal Times - che affermavano di "vedere il valore di un ministero universale che potrebbe essere esercitato dal vescovo di Roma su una Chiesa riunificata”.

La Anglicanorum coetibus non fu un documento contro qualcuno ma pro qualcun altro: una mano tesa voluta da Ratzinger di fronte ad un bisogno spirituale esistente e diffuso come dimostrarono le immediate richieste di poter usufruire della costituzione arrivate da gruppi britannici, australiani e statunitensi. L’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham fece da apripista ad un’esperienza che, nelle intenzioni di Benedetto XVI, avrebbe dovuto essere "una benedizione per tutta la Chiesa”. All’epoca dell’ordinazione sacerdotale di Broadhurst, Burnham e Newton si prevedeva l’imminente ingresso di 50 sacerdoti e altri due vescovi anglicani - come effettivamente avvenne - ma non mancavano forti dubbi sulla sopravvivenza stessa dell’Ordinariato: il Guardian, ad esempio, parlò di "confusione che circonda la natura del nuovo Ordinariato che rende tutto possibile” perché "al momento, non ha uffici, nessuna chiesa in cui pregare, pochissimi soldi e - sostiene - un mucchio di candidati da esaminare”.

Broadhurst, dimettendosi da vescovo anglicano di Fulham, disse di aspettarsi che "non saranno centinaia ma migliaia i preti che aderiranno all’offerta del Papa”. A dieci anni di distanza dall’istituzione nel Regno Unito di quello di Nostra Signora di Walsingham esistono altri due Ordinariati: uno negli Stati Uniti e l’altro in Australia denominato Nostra Signora della Croce del Sud. L’Ordinariato personale della Cattedra di San Pietro, con sede a Houston, nel Texas, comprende quaranta parrocchie tra Stati Uniti e Canada e dal 2015 ha un ordinario, monsignor Steven Joseph Lopes, che nel 2016 è stato consacrato vescovo da papa Francesco, il primo scelto nei tre Ordinariati. Nella sua prima omelia dopo l’ordinazione episcopale, Lopes - che ai tempi della promulgazione della Anglicanorum coetibus ricopriva l’incarico di segretario personale dell’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, William Joseph Levada, e quindi conosce molto bene i dossier - ha detto che i fedeli degli Ordinariati sono discendenti del "nobile patrimonio della cristianità inglese” che "ci hanno spinto a cercare la pienezza della comunione cattolica sotto il successore di San Pietro Apostolo”.

Un decennio dopo il decreto di erezione del primo Ordinariato e la solenne cerimonia di Westminster non ha torto chi sostiene che non c’è stato il boom di conversioni corporative al cattolicesimo che qualcuno sembrava aspettarsi grazie all’Anglicanorum coetibus; ma, d’altra parte, l’obiettivo di Benedetto XVI nel promulgarla non era quello di "allargare il suo impero” - come giustamente fece notare all’epoca il cardinal Walter Kasper, prefetto del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani - volendo limitarsi ad aprire generosamente una porta, che prima di allora era chiusa, a chi intendeva entrare in piena comunione con la Chiesa Cattolica senza rinunciare al proprio patrimonio liturgico.

La decima candelina spenta dall’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham per il quale Ratzinger volle come patrono il più famoso convertito dall’anglicanesimo, quel san John Henry Newman in cui l’attuale Papa emerito "rivede sé stesso” (cardinal Saraiva Martins dixit), dimostra che la costituzione apostolica di dodici anni fa ha saputo veramente essere "una benedizione per tutta la Chiesa”.

Fonte: La N.B.Q




Europa, l'ora della catastrofe demografica

FAMIGLIA
di Luca Volontè



Catastrofe demografica in Europa, i gravi segnali di declino dell'anno scorso si confermano. Solo il Nord, in particolare i Paesi Baltici, un po' la Francia e l'Europa dell'Est in ripresa sono buone notizie. Ma il cuore dell'Europa, la Germania, e soprattutto il Sud dell'Europa (Italia ultima in classifica) sono in pieno inverno demografico. Ecco perché

Inverno demografico
Catastrofe demografica in Europa, i gravi segnali di declino della scorsa primavera si confermano. La Commissione Europea si bea del ‘dolce far nulla’, la Francia resiste (appena sotto i due figli), il resto dei Paesi nel gelo invernale, primi segnali di inversione di tendenza in Polonia, Romania, Ungheria ed Est Europa.

La fertilità è rimasta stabile in Francia tra il 2018 e il 2019 a 1,84 figli per donna, dopo il declino che la vedeva a più di 2 figli nel 2010, lo dice uno studio dell’istituto di statistica francese che analizza anche l’andamento demografico degli ultimi 20 anni nei Paesi europei. Il divario Nord-Sud che era già visibile 30 anni fa, suggerisce che oltre alle politiche fiscali, sociali e famigliari, nei paesi del Sud Europa la denatalità è frutto anche di comportamenti culturali radicati. In questi Paesi sono state messe in atto meno politiche per favorire la libertà di scelta femminile e ancor meno politiche per una reale conciliazione tra lavoro e cura per i genitori, soprattutto necessarie oggi con l’aumento spropositato del lavoro ‘temporaneo’e l’incertezza del reddito mensile famigliare.

La fertilità nei paesi dell'Europa centrale e orientale ha subito notevoli fluttuazioni negli ultimi 3 decenni. Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e gli sconvolgimenti sociali ed economici che ne sono seguiti, la fertilità è crollata. Solo per fare degli esempi: nel 1989 i figli per donna in Repubblica Ceca era di 1,87, in Ungheria di 1,82, in Romania di 2,22; nel 2000 il crollo verticale con Repubblica Ceca a 1,15, Ungheria a 1,31, Romania a 1,32. Negli ultimi anni del comunismo le donne hanno avuto i loro figli in età relativamente precoce e ricevevano sussidi statali e sostegno per l'assistenza all'infanzia, poi con la caduta del muro di Berlino,l'economia di mercato,  l’austerità, le politiche sociali ridotte e i falsi ideali consumistici occidentali hanno fatto un disastro: tasso di fertilità è diminuito molto rapidamente dopo la caduta del comunismo. La fertilità ha poi iniziato un timido rimbalzo, ma è stato fermato dalla crisi finanziaria del 2007-2008, una nuova ripresa è stata osservata intorno al 2012-2013 ed il ritmo di crescita demografica si è accelerato da allora. Ad esempio,  nel 2018 sono stati 1,71 bambini per donna nella Repubblica Ceca e di 1,76 in Romania nel 2018. In molti Paesi dell'Europa dell'Est, si sta tornando ai livelli di fertilità relativamente elevati e, come in Polonia (1,35 figli nel 2000, 1.47 figli nel 2018) e Ungheria (1,3 figli nel 2000 e 1,55 nel 2018) le politiche dei governi puntano a riportare i paesi ad una crescita demografica superiore ai due figli per donna.

Nei paesi del Nord Europa, dove la fertilità è rimasta relativamente elevata negli ultimi 30 anni, il tasso di nascite relativamente basso negli anni '90 era dovuto al rinvio della nascita, poi all'inizio degli anni 2000 un aumento delle nascite. Nuovo rallentamento, causato dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Nei venti anni (2000-2018) comunque le nascite in Svezia sono cresciute (da poco più di 1,5 figli per donna a 1,76), mentre in Danimarca sono calate le nascite da 1,76 a 1,73 nel 2018 ed in Finlandia da ben più di 1,7 figli per donna nel 2010 agli attuali 1.41. Forse c’è poco da imitare… Bene invece i Paesi Baltici, nel decennio l’Estonia passa dai 1,37 figli a 1,67 figli per donna, la Lituania dai 1,39 ai 1,63, la Lettonia da 1,26 a 1,6 figli per donna.

Al Sud le politiche (assenti in molti paesi) e l’assalto culturale alla famiglia e alla natalità, hanno portato il gelo assoluto: Malta passa nel decennio da 1,86 agli attuali 1,23; Cipro da 1,63 agli attuali 1,32. L'Italia? I dati Istat delle prossime settimane ci dimostreranno ancora una volta che, dopo decenni di promesse a sostegno della famiglia e delle politiche di natalità, il nostro Paese è all’ultimo posto al mondo per tasso di natalità e figli per donna. Non spediamo parole inutili, l’assegno unico al prossimo luglio e l’assenza di famiglia e natalità nel Recovery Plan del Governo Conte, dimostrano l'inadeguatezza italiana.

La Germania? Dopo la fase di crescita, dovuta alla immigrazione degli ultimi decenni, nel 2020 non c'è stata alcuna crescita demografica in Germania, per la prima volta dal 2011. Il tasso di natalità è leggermente diminuito nel 2020, l’immigrazione si è ridotta (causa Covid-19) e dunque la leggera crescita demografica complessiva si è interrotta. Infatti, senza l'immigrazione, la popolazione sarebbe in realtà diminuita dal 1972. Con un tasso di natalità di soli 1,54 bambini per donna (il tasso di sostituzione è di circa 2,1), ogni anno dal 1972 ci sono stati più decessi che nascite.  Nel 2010 il tasso di natalità tedesco era appena 1,39 bambini per donna. Philipp Deschermeier della Società tedesca per la demografia ha chiesto al Governo Federale ed ai Lander di programmare più misure e opzioni di sostegno che "permettano alle persone di lavorare da casa , anche a tempo parziale, e scegliere anche di prendersi la cura dei bambini in modo che entrambi i genitori possano lavorare, in modi più flessibili".

L'Europa? La Vice Presidente della Commissione e Commissaria Europea con delega alla ‘Demografia e Democrazia’ Dubravka Šuica che cosa sta facendo per affrontare questa emergenza? Leggiamo dal suo blog istituzionale: "Per quanto riguarda la demografia… La base di questo lavoro è il Rapporto sull'impatto del cambiamento demografico che è stato adottato il 17 giugno. Il Rapporto presenta i principali motori del cambiamento demografico e il loro impatto in tutta Europa… le nostre iniziative chiave a sostegno dei bambini e dei diritti dei bambini si concretizzeranno all'inizio della primavera del 2021… Nel lavoro preparatorio per il nostro Libro verde sull'invecchiamento, consideriamo l'invecchiamento come una questione che riguarda tutte le generazioni e che presenta sia sfide che opportunità”. Sconcertante, dopo un anno questi sono i risultati? L’Europa passa dall’inverno alla glaciazione demografica e a Bruxelles pensano ai libretti coloratì

 
 Fonte: La N.B.Q.
 


Da Medjugorje un monito agli USA



Da Medjugorje un monito agli Stati Uniti

 
È stato completamente ignorato da pressoché tutti i media, compresi quelli cattolici. Eppure, chi ha pronunciato quel discorso non è affatto un personaggio secondario nel panorama ecclesiastico mondiale. Le parole dell’arcivescovo Henryk Hoser, visitatore apostolico della Santa Sede a Medjugorje, sono state un pugno nello stomaco e, al tempo stesso, un lampo nel buio. In un breve ma densissimo videomessaggio indirizzato ai pellegrini americani, il presule ha individuato una serie di sfide e di "segni dei tempi” di carattere quasi apocalittico. Monsignor Hoser ha usato un linguaggio totalmente disallineato dall’agenda attuale della Chiesa, assumendo i toni della profezia nel senso più corretto del termine. Una vox clamans in deserto, destinata ad essere ignorata perché troppo scomoda.

L’arcivescovo polacco ha associato il "tempo in cui viviamo” al "mondo immerso nella tenebra” subito dopo la morte di Gesù. Un "tempo di prova”, dunque, a causa della pandemia ma non solo. Hoser si è rivolto ai fedeli americani perché possano vivere con "l’intelligenza del cuore”. Chiaro il riferimento al "cambio della guardia” alla Casa Bianca. Mercoledì scorso, Joe Biden si è insediato come 46° presidente deli Stati Uniti d’America. Moltissimo cambierà rispetto all’amministrazione Trump.

All’indomani delle elezioni, avevamo tenuto a precisare che la vittoria di un candidato cattolico non sarebbe stata assolutamente garanzia di un programma politico accettabile per i cattolici. Tutt’altro. Ebbene, senza troppi giri di parole, monsignor Hoser ha detto: "Se gli Stati Uniti promettono e progettano la loro vita verso lo sviluppo e la protezione della vita umana in tutti gli stadi dell’esistenza, essi si salveranno. Se la politica vi spingerà verso la negazione della vita umana, tutto questo contribuirà ad aumentare queste tenebre che ci fanno paura”.

 
Veniamo ora alle prime battute della nuova amministrazione Biden. Il neopresidente e la sua vice Kamala Harris hanno fatto appello all’unità della nazione, scossa dai tragici fatti di Capitol Hill, dello scorso 6 gennaio. Poco prima di giurare sulla Bibbia, come da tradizione, Biden ha citato Sant’Agostino, il quale affermava che "un popolo era una moltitudine definita dagli oggetti comuni del loro amore”.

Leggi di più:  Diego Manetti: "Vi racconto la bellezza di Medjugorje”
Al di là delle buone intenzioni di partenza, però, tutto si può dire tranne che i primi provvedimenti dell’amministrazione Biden non siano stati divisivi. Nel giorno stesso dell’insediamento, il nuovo presidente ha emesso ben 17 ordini esecutivi, che lo pongono in netta rottura con il suo predecessore. La mascherina anti-Covid sarà resa obbligatoria sempre e comunque in tutti gli uffici federali, a bordo dei treni e degli aerei. Gli USA rientrano nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo che Trump ne aveva decretato l’uscita, in polemica con la Cina e con la gestione della pandemia a livello globale. Altra "riconciliazione” riguarda gli accordi di Parigi sul clima, da cui l’amministrazione Trump si era sfilata.

Un ambito in cui il cambiamento sarà a trecentosessanta gradi è quello riguardante le politiche migratorie. È stato in primo luogo cancellato il Muslim Ban, con cui Trump bloccava gli ingressi da una serie di paesi ad alta densità di terrorismo jihadista. Biden ha quindi interrotto i finanziamenti alla costruzione del muro ai confini tra Texas e Messico e, nell’immediato futuro, ha intenzione di accelerare la regolarizzazione di almeno 11 milioni di immigrati, in larghissima parte latino-americani.

Gli USA diventeranno così un paese più "accogliente” e, in questo senso, i provvedimenti di Biden si pongono in contrasto non solo con le misure di Trump ma anche con quelle, non meno restrittive, di presidenti democratici come Clinton o Obama. Da questo punto di vista, però, il nuovo inquilino della Casa Bianca rischia di cadere in contraddizione. Lo stesso Biden ha infatti promesso anche l’aumento degli stipendi minimi: l’afflusso indiscriminato di nuovi "immigrati economici” riverserebbe tuttavia nell’intero paese una massa enorme di potenziale manovalanza a bassissimo costo, che rischia di vanificare questi intenti e generare ulteriori reti di sfruttamento lavorativo illegale, mandando così in tilt il welfare statunitense.

Leggi di più:  Anche a Natale… chi canta prega due volte
Il capitolo più critico, però, riguarda i principi non negoziabili. Si è molto parlato della nomina a Segretario alla Salute di Rachel Levine, pediatra transessuale, il cui nome "da maschio” era Richard. Al di là delle scelte private del nuovo ministro (e in ogni caso si potrebbe molto discutere sull’opportunità di questa nomina), ciò che lascia perplessi sono le politiche che la stessa Levine porterà avanti. Oltre ad essere un convinto abortista, il nuovo Segretario vuole ripristinare l’obbligo (imposto da Obama e poi rimosso da Trump) di distribuzione di contraccettivi anche per le scuole e gli ospedali di ispirazione cristiana. Che l’amministrazione Biden sia particolarmente gender friendly, lo si deduce in primo luogo dalla reimpostazione del sito della Casa Bianca, che permetterà la scelta di pronomi maschili, femminili o neutri, a seconda della percezione soggettiva che ognuno ha di sé.

Questa svolta "arcobaleno”, però, non è soltanto di facciata. Uno dei primi ordini esecutivi di Biden riammette i transgender negli sport scolastici femminili. Il neopresidente ha poi ristabilito l’obbligo per le agenzie federali di non discriminare i dipendenti "sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere”. Sul fronte della vita nascente, poi, Biden e Harris, proprio nel 48° anniversario della sentenza della Corte Suprema che legalizzava l’aborto, hanno diffuso un’inquietante dichiarazione congiunta. La nuova amministrazione democratica, promettono presidente e vicepresidente, si impegnerà ad "assicurare a chiunque l’accesso alle cure”, compresa la "salute riproduttiva” (leggasi aborto), e ad incrementare "l’accesso alla contraccezione”.

Di fronte a un programma che, più che alla dottrina sociale cattolica, sembra ispirarsi all’ideologia global-massonica più spinta, era come minimo prevedibile la perplessità degli episcopati. Il presidente della Conferenza Episcopale Statunitense, monsignor José Horacio Gomez, che pure non era stato tenero con Trump sull’immigrazione, non le ha mandate a dire. "Piuttosto che imporre ulteriori espansioni dell’aborto e della contraccezione, come ha promesso – ha dichiarato il presule nel suo messaggio a Biden – spero che il nuovo presidente e la sua amministrazione lavoreranno con la Chiesa”, avviando "un dialogo per affrontare i complicati fattori culturali ed economici che conducono all’aborto e scoraggiano le famiglie”.

Leggi di più:  Mons Hoser è appena arrivato a Medjugorje
Monsignor Gomez ha quindi lasciato intendere che non potrà esservi alcuna "riconciliazione”, se non vi sarà "un ascolto paziente di coloro che non sono d’accordo con noi e la disponibilità a perdonare”. Chiara l’allusione alla volontà di Biden di sanare le ferite di un paese mai come oggi terribilmente diviso.

Ancora più allarmati i commenti nell’episcopato africano. In particolare, non è stata apprezzata la nomina di Samantha Power alla guida dell’USAID, agenzia federale che gestisce gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. La Power, tanto per cambiare, è un’accesa sostenitrice dell’imposizione di politiche lgbt e di controllo delle nascite, in cambio di aiuti umanitari. Una pretesa inaccettabile per i vescovi africani, particolarmente determinati nel custodire le tradizioni dei loro popoli.

Alla luce di questi dissensi episcopali, è più facile comprendere il richiamo "profetico” di monsignor Hoser. Non stiamo parlando dell’ultimo dei complottisti da bar a sfondo mistico ma del luogotenente del Papa presso un luogo cruciale di apparizioni e miracoli. Siamo nell’anno del quarantennale di Medjugorje e si avvicina sempre di più la rivelazione dei dieci segreti. Che l’America sia al centro delle preoccupazioni e dei piani di Maria? Molti cattolici hanno accolto con entusiasmo il debutto di Joe Biden. Noi, anche in considerazione delle sue prime mosse, ci permettiamo di non unirci a questi cori osannanti.

Spagna, terra delle croci spezzate in odio ai cristiani
Spagna





Il furore ideologico delle città amministrate da Podemos, Izquierda Unida e Psoe sta provocando episodi sconcertanti di eliminazione dei simboli cristiani con la scusa dell'antifrachismo. L'ultima croce smontata e gettata in una discarica nella provincia di Cordoba sotto gli occhi sconvolti dei cittadini. Si tratta di monumenti installati a conclusione della guerra civile e che sono diventati simboli di devozione e memoria. Da anni la Sinistra al potere smantella e distrugge i simboli religiosi. E anche il premier Sanchez promette battaglia alla croce che perpetua «il ricordo dell'odio». 

Español
La croce divelta questa settimana a Cordoba
Questa settimana il municipio di Aguilar de la Frontera (Cordoba, Spagna), governato da Izquierda Unida, ha deciso di rimuovere la "Cruz del Llanito de las Descalzas”, invocando la Legge della memoria storica. La croce fu costruita nel 1938 ed era accompagnata da una targa commemorativa dei morti delle milizie nazionaliste della guerra civile. Tuttavia, qualunque commemorazione cessò negli anni ’80.

Perché allora gli amministratori di Sinistra hanno deciso di togliere di mezzo questa croce proprio adesso, trasformandosi in veri e proprio talebani del XXI secolo? Dall’assessorato alla Cultura della giunta comunale hanno argomentato che «copriva il monastero» che sorge dietro, mentre il sindaco della città ha detto che si trattava di una «anomalia democratica».

L’associazione degli Avvocati Cristiani, coraggiosi come sempre, ha denunciato i fatti come stanno facendo da anni di fronte all’eliminazione dei simboli cristiani. Le religiose del convento, con umiltà, si sono recate in municipio per chiedere i resti della croce e poterla venerare dentro al convento e per pregare per coloro che hanno commesso questa barbarie.

A loro volta, alcuni giovani eroici, hanno collocato un’altra croce al suo posto. Qualche ora più tardi la croce originale è comparsa in una discarica. Il tutto mentre la Sinistra Unita si incaricava di criticare il vescovo della città che in una omelia ha detto che i cristiani perdonano però «ricordano» e che avrebbero tenuto in mente questo fatto al momento di votare per le prossime elezioni.

Nascondendosi dietro la legge della memoria storica, con la quale si pretende di eliminare tutti i "residui” del franchismo, come se non fosse mai esistito, i partiti della Sinistra spagnola hanno eliminato diverse croci e sembra che non cesseranno in questa azione.

Il loro più grande successo sarà abbattere la Croce del Valle de los Caidos, alta 150 metri. Così i senatori del Grupo Izquierda Confederal, formato da diversi partiti, hanno presentato l’anno scorso una proposta di legge per toglierla di mezzo.

Ma sono moltissime le croci eliminate prima di Aguilar.

Nel 2014, la Corte Suprema sancì che la Cruz de la Muela (Orihuela, Alicante) non impegnava lo Stato in una scelta confessionale. Sembra che sette anni dopo la Sinistra abbia trovato la sua legge per eliminare i simboli cristiani.

Nel 2017, il sindaco di Sant Carles de la Ràpita (Tarragona), del partito catalano Esquerra Republicana ha ritirato la croce senza alcun preavviso provocando lo sconcerto dei residenti. Psoe e Podemos hanno provato a fare lo stesso con una croce a Orgiva (Granada) mentre ci sono riusciti a Cuevas del Becerro (Malaga) nel 2018.

In quello stesso anno, il consiglio comunale di Callosa de Segura (Alicante) ha eliminato questo simbolo cristiano dalle sue strade, senza una particolare opposizione di buona parte dei residenti, che una e un’altra volta ancora hanno ricollocato una nuova croce al suo posto, che puntualmente l’amministrazione comunale è tornata a ritirare. Allora hanno progettato di far partire dalla casa di una vicina, Teresa Agulló, un fascio di luce a forma di croce. Sono stati tutti multati come si conviene ad una vera persecuzione da parte del sindaco socialista Fran Maciá. La consigliera di Giustizia della Comunità valenciana allora si è unita al linciaggio social contro questi cristiani descrivendo l’azione dimostrativa come uno "spettacolo deplorevole”. Un anno dopo questi fatti sarebbero comparsi sul muro del municipio le scritte "Fuoco alla croce”.

Qualcosa di simile è accaduto a Castellón con la croce del Parque de Ribalta che è stata vandalizzata con vernice spray in numerose occasioni da parte di Gruppi di estrema sinistra. La sindaca Amparo Marco (PSOE) cerca di eliminarla direttamente dal 2017.

Nella stessa provincia, nel giugno 2018 l’amministrazione de La Vall d’Uixó, governata dal Psoe, Izquierda Unida e Compromìs, ha eliminato una croce. La prima volta che ci provarono, i vicini riuscirono a impedirlo opponendosi fisicamente, ma la seconda comparvero quattro mezzi antisommossa per "dissuaderli”.

Attualmente la Sinistra ha nel mirino la croce de Cáceres. La vicenda è approdata fino al Senato e, rispondendo a una interrogazione parlamentare di Compromís, il governo di Pedro Sanchez ha detto che quel simbolo perpetua il «ricordo dell’odio».

Ma non vogliono eliminare simboli o monumenti dell’epoca franchista: vogliono eliminare la croce.

*Presidentessa dell'Osservatorio Libertà religiosa Spagna

Fonte: La N.B:Q

L’abortista Biden cancella le misure pro vita di Trump
STATI UNITI

  
di Luca Volontè

Ordine esecutivo del neo presidente degli Usa che abolisce alcune delle principali misure pro vita di Trump. Abrogata la cosiddetta "Mexico City Policy” e ordinati il rifinanziamento dell’Unfpa, la modifica del Titolo X e la fuoriuscita dalla Dichiarazione di Ginevra che ribadiva l’inesistenza di un diritto internazionale all’aborto. Il tutto proprio nei giorni della "March for Life".


Si è conclusa ieri, dopo due giorni di eventi, la Marcia per la Vita di Washington, la più grande manifestazione pro life del mondo. Biden adotta di fatto la politica del "Cancel Trump” rispetto a tutte le misure pro vita del precedente esecutivo. Il presidente della Commissione per la Vita della Conferenza episcopale statunitense, l’arcivescovo Joseph Naumann, ha speso parole di fuoco contro le misure adottate in questi giorni dall’Amministrazione Biden.

Trump, in uno dei suoi ultimi atti da presidente, aveva proclamato (anche per quest’anno) la "Giornata nazionale della sacralità della vita” per il 22 gennaio, giorno della terribile sentenza della Corte suprema nel caso Roe vs Wade (1973).

Joe Biden e Kamala Harris, in quello stesso giorno, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui ribadiscono il proprio impegno ad abolire il divieto di finanziamenti ad istituzioni e organizzazioni internazionali che promuovono o praticano l’aborto all’estero come metodo di pianificazione familiare. Una coincidenza? No. Proprio nel primo dei due giorni (28 e 29 gennaio) di eventi della Marcia per la vita di Washington, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone collegate attraverso Internet, Biden ha firmato il suo ordine esecutivo per abolire la trumpiana "Protecting Life in Global Health Assistance Policy”, la versione estesa della vecchia Mexico City Policy introdotta da Reagan. Uno schiaffo in faccia sonoro, quello di Biden, alla maggioranza di tutti gli americani di ogni credo politico (77%) che ancor oggi - lo dimostra un recentissimo sondaggio - rifiutano l’idea di pagare con le proprie tasse l’aborto all’estero.

Con il suo ordine esecutivo del 28 gennaio Biden ha inoltre deciso la revisione e revoca (appena possibile) delle modifiche legislative introdotte da Trump nel 2019 riguardanti il Titolo X della Legge sui Servizi Sanitari, modifiche che impediscono di finanziare con i fondi di quel programma federale le organizzazioni che non separano i servizi di pianificazione familiare dalle strutture abortive (vedi qui).

Andando a leggere l’ordine in dettaglio, si specifica non solo la revoca del memorandum presidenziale del 23 gennaio 2017, firmato da Trump a favore della reintroduzione della "Mexico City Policy” estesa, ma Biden dà anche incarico al Segretario di Stato, al Segretario della Difesa, al Segretario della Sanità e dei Servizi Umani, all’amministratore dell’Usaid e ai funzionari competenti di tutte le altre agenzie coinvolte nell’assistenza estera, di prendere "tutte le misure necessarie per attuare questo memorandum, in modo appropriato e coerente con la legge applicabile”. Tra queste misure "necessarie” fin da subito, ogni dipartimento dell’Amministrazione deve "cessare immediatamente” di imporre le suddette condizioni (pro life) in qualsiasi futuro sussidio. Inoltre si "sospenderanno, rivedranno o revocheranno tutti i regolamenti, ordini, documenti di orientamento, politiche e qualsiasi altra azione simile dell’agenzia che siano stati emessi in conformità con il memorandum presidenziale del gennaio 2017”.

Gli Usa dovranno anche ritirare il proprio patrocinio alla "Dichiarazione di Consenso di Ginevra”, la coalizione internazionale di 34 paesi promossa da Trump e Pompeo lo scorso ottobre per favorire politiche pro family e pro life nel mondo e ribadire che non esiste un diritto internazionale all’aborto. La Dichiarazione è stata immediatamente cancellata dai siti ufficiali delle agenzie dell’Amministrazione americana.

Al nuovo Segretario di Stato, Antony Blinken, in collaborazione con la nuova direttrice dell’Usaid, Samantha Power, entrambi fedeli promotori dei diritti di "salute riproduttiva” e perciò dell’aborto, Biden ha anche ordinato di intraprendere i passi necessari per ristabilire i finanziamenti del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) e garantire che "vengano indirizzati fondi adeguati per sostenere i bisogni di salute delle donne a livello globale, compresi la salute sessuale e riproduttiva e i diritti riproduttivi”.

Al Congresso sono centinaia i parlamentari - in grande maggioranza Repubblicani più alcuni Democratici - che hanno presentato leggi a difesa della vita e decine gli Stati che stanno approvando leggi pro life. Il popolo della Marcia per la Vita resisterà al tornado Biden.

Sempre ieri, Biden ha presentato quattro ordini esecutivi per promuovere l’uguaglianza razziale. "Siamo tutti figli di Dio; dovremmo trattarci l’un l’altro come vorremmo essere trattati noi stessi”, ha detto Biden: parole, tuttavia, inconciliabili con le sue stesse decisioni.

Lo scorso anno Trump non era solo stato il primo presidente degli Stati Uniti d’America a partecipare alla "Marcia per la Vita”, non solo aveva ricordato la sacralità di ogni vita umana come un "dono prezioso e sacro di Dio”, non solo aveva nei suoi primi tre anni di presidenza dimostrato coi fatti di difendere e promuovere la vita nascente… Trump e il suo governo si sono battuti come leoni sino all’ultimo giorno del loro incarico.

Le decisioni prese sinora da Biden, a dieci giorni dall’entrata in carica, vanno invece tutte nella direzione opposta, cancellano le misure pro vita di Trump, come preteso dalle grandi multinazionali dell’aborto, e prefigurano possibili nuove decisioni capaci di favorire ancora di più la liberalizzazione dell’aborto a livello federale.
 Fonte:Daly Compass

 
 
 


IL SANTO DEL GIORNO 05.06.2020 San Bonifacio vescovo e martire

Senza l'opera missionaria di S. Bonifacio non sarebbe stata possibile l'organizzazione politica e sociale europea di Carlo Magno. Bonifacio o Winfrid sembra appartenesse a una nobile famiglia inglese del Devonshire, dove nacque nel 673 (o 680). Professò la regola monastica nell'abbazia di Exeter e di Nurslig, prima di dare inizio all'evangelizzazione delle popolazioni germaniche oltre il Reno. Il suo primo tentativo di raggiungere la Frisia andò a vuoto per l'ostilità tra il duca tedesco Radbod e Carlo Martello. Winfrid compì allora il pellegrinaggio a Roma per pregare sulle tombe dei martiri e avere la benedizione del papa. S. Gregorio II ne assecondò lo slancio missionario e Winfrid ripartì per la Germania. Sostò nella Turingia, quindi raggiunse la Frisia, appena assoggettata dai Franchi, e vi operò le prime conversioni. In tre anni percorse gran parte del territorio germanico.
Anche i Sassoni risposero con entusiasmo alla sua predicazione. Convocato a Roma, ebbe dal papa l'ordinazione episcopale e il nuovo nome di Bonifacio. Durante il viaggio di ritorno in Germania in un bosco di Hessen fece abbattere una gigantesca quercia alla quale le popolazioni pagane attribuivano magici poteri perché ritenuta sede di un dio. Quel gesto fu ritenuto una vera sfida alla divinità e i pagani accorsero per assistere alla vendetta del dio offeso. Bonifacio ne approfittò per recare loro il messaggio evangelico. Ai piedi della quercia abbattuta eresse la prima chiesa dedicata a S. Pietro.
Prima di organizzare la Chiesa sulla riva destra del Reno pensò alla fondazione, tra le regioni di Hessen e Turingia, di un'abbazia, che divenisse il centro propulsore della spiritualità e della cultura religiosa della Germania. Nacque così la celebre abbazia di Fulda, paragonabile per attività e prestigio alla benedettina Montecassino. Come sede arcivescovile scelse la città di Magonza, ma espresse il desiderio di essere sepolto a Fulda.
Già vecchio, eppur infaticabile, ripartì per la Frigia. Lo accompagnavano una cinquantina di monaci. Il 5 giugno 754 aveva dato l'appuntamento presso Dokkum a un gruppo di catecumeni. Era il giorno di Pentecoste; all'inizio della celebrazione della Messa i missionari vennero assaliti da un gruppo di Frisoni armati di spade. "Non temete - disse Bonifacio ai compagni - tutte le armi di questo mondo non possono uccidere la nostra anima". Quando la spada di un infedele si abbatté sul suo capo, cercò di ripararsi coprendosi con l'Evangeliario. Ma il fendente sfregiò il libro e mozzò il capo del martire.
Fu il fondatore dell'abbazia di Fulda (Germania), dove è sepolto.
La Chiesa lo venera come santo dal 1828.
A San Bonifacio si fa risalire anche uno dei simboli natalizi, l'Albero di Natale, che fu da lui utilizzato per primo nel 724, quando ebbe l’idea di addobbare un abete appoggiando delle candele accese sui suoi rami. Le candele simboleggiavano la discesa dello Spirito Santo sulla terra con la venuta del "bambino Gesù”. San Bonifacio usò questa immagine per spiegare alle popolazioni pagane il senso del Natale.

Autore: Piero Bargellini
 


Bonifacio nasce a Crediton nel Devonshire (Inghilterra sud-occidentale) tra il 673 e il 680; fu battezzato con il nome di Wilfrid o Wynfrith, decise di diventare monaco all’età di cinque anni, dopo avere ascoltato i racconti di monaci in visita a casa sua. Iniziò a sette anni la sua educazione, prima alla scuola di un monastero presso Exeter, e quindi all’abbazia benedettina di Nursling (Hampshire) presso Winchester. Qui studiò sotto l’abate Winbert, divenne monaco e quindi direttore e insegnante della scuola. Scrisse la prima grammatica latina prodotta in Inghilterra.
Wilfrid fu ordinato prete a 30 anni, e nonostante i suoi successi nell’insegnamento e nella predicazione, volle raggiungere Willibrord ("apostolo dei Paesi Bassi”) come missionario in Frisia. Ottenuto un riluttante consenso dal suo abate Winbert, partì con due confratelli. Il suo primo viaggio missionario nella primavera del 716 fallì per la rivolta di Radbod, e in autunno fece ritorno in Inghilterra. I monaci di Nursling cercarono di farlo rimanere eleggendolo abate alla morte di Winbert, ma egli rifiutò sentendosi chiamato alla missione. Nel 718, andò a Roma, dove S. Gregorio II (715-731) lo inviò a predicare ai pagani in Germania, cambiando il nome di Wilfrid in Bonifacio.
Confortato e sostenuto dall’appoggio del Papa, Bonifacio si impegnò nella predicazione del Vangelo in quelle regioni, lottando contro i culti pagani e rafforzando le basi della moralità umana e cristiana. Con grande senso del dovere egli scriveva in una delle sue lettere: «Stiamo saldi nella lotta nel giorno del Signore, poiché sono giunti giorni di afflizione e miseria… Non siamo cani muti, né osservatori taciturni, né mercenari che fuggono davanti ai lupi! Siamo invece Pastori solerti che vegliano sul gregge di Cristo, che annunciano alle persone importanti e a quelle comuni, ai ricchi e ai poveri la volontà di Dio… nei tempi opportuni e non opportuni…» (Epistulae, 3,352.354: MGH).

Alla morte di Radbod, si realizzò il suo sogno di lavorare a fianco di Willibrord, che aiutò per tre anni. All’offerta di diventare il successore di Willibrord a Utrecht, Bonifacio rifiutò, poiché il suo mandato era generale e non confinato ad una singola diocesi.
Nel 722 fu richiamato a Roma e consacrato vescovo regionario per la Germania. La sua evangelizzazione, come già quella di Willibrord, si fece notare per i colpi alle radici delle superstizioni pagane, a cominciare dall’abbattimento della quercia sacra di Thor a Geismar. Inoltre, Bonifacio diede inizio a un intenso scambio di monaci missionari tra l’Inghilterra e la Germania (soprattutto in Turingia, dove i pochi preesistenti cristiani – inclusi alcuni preti celti e franchi – erano più di ostacolo che di aiuto alla missione). A lui si deve la costruzione di diocesi e di monasteri, tra cui quello di Ohrdruf (presso Gotha), centro missionario per la Turingia, e l’abbazia di Fulda, presso Francoforte.

Nel 731, S. Gregorio III (731-741) lo costituì metropolita della Germania, con permesso di creare nuove sedi, e nel 747, dopo aver fissato la sua sede a Mainz, fu eletto primate della Germania. In tutto questo tempo continuò a mantenere stretti contatti con la famiglia reale carolingia: gli fu chiesto di dare il proprio aiuto alla chiesa dei franchi, che era in triste necessità di riforma, e organizzò sinodi e concili istituendo riforme per rivitalizzare la chiesa.

Nel 753, a oltre 70 anni di età, Bonifacio si dimise lasciando al proprio posto S. Lullo, per passare i suoi ultimi anni a riconvertire gli abitanti della Frisia, ricaduti nel paganesimo dopo la morte di S. Willibrord. Con una piccola compagnia, convertì con successo un gran numero di persone nell’area fino a quel punto non evangelizzata della Frisia nord-orientale.
Il 5 giugno 754, alla vigilia di Pentecoste, Bonifacio e il suo confratello Eoban (che era stato da lui assegnato come amministratore della diocesi di Utrecht) si preparavano alla cresima di alcuni convertiti a Dokkum, nei Paesi Bassi settentrionali. Mentre Bonifacio leggeva quietamente nella sua tenda, una banda di pagani armati assalì il campo.
Bonifacio non permise al suo seguito di difenderlo con le armi « Non temete, – disse ai compagni – tutte le armi di questo mondo non possono uccidere la nostra anima » e dopo averli esortati a confidare in Dio e ad accogliere la prospettiva del martirio per la fede, fu uno dei primi a morire. Il suo corpo fu portato all’abbazia di Fulda, dove riposa tuttora. Il libro che leggeva prima del martirio (una copia del "De Bono Mortis” o "il bene della morte”, di S. Ambrogio), macchiato di sangue, fu esibito per secoli come reliquia.

Bonifacio è considerato l’apostolo della Germania e dei Paesi Bassi, e secondo la stima dello storico Christopher Dawson, ha avuto più influenza sulla storia europea di qualsiasi altro inglese.

La parrocchia non ospita l’evento gay? A processo

Un’organizzazione Lgbt canadese chiede di affittare una sala parrocchiale. La parrocchia si rifiuta spiegando che «sostenere uno stile di vita omosessuale» è contrario alla fede cattolica. Adesso dovrà difendersi davanti a un tribunale per i diritti umani. È la conferma che la libertà della Chiesa è sotto attacco. E in Italia, se passasse la legge contro l'"omofobia", il quadro si aggraverebbe.


Giusto ieri, a proposito del Ddl Zan contro l’omofobia, Stefano Fontana ricordava sulla Nuova Bussola un pensiero di Benedetto XVI, secondo cui nella società contemporanea vi è il pericolo che «la tolleranza venga abolita in nome della tolleranza stessa» (Luce del mondo, 2010).

Ebbene, tra i tanti fatti di cronaca che ci dicono che non si tratta più di mero pericolo ma di realtà, ce n’è uno fresco che riguarda la Chiesa cattolica in Canada. Qui, con un documento pubblicato il 26 maggio, un giudice ha deciso che la parrocchia "Stella del Mare” di White Rock (Columbia Britannica) deve affrontare un’udienza completa davanti al Tribunale dei Diritti Umani della provincia, dopo che nel marzo 2019 si era rifiutata di ospitare un evento destinato alla raccolta fondi (per la causa 'arcobaleno') e promosso da un gruppo Lgbt, la White Rock Pride Society. L’evento, con a tema il «Love is love», si sarebbe dovuto svolgere - nelle intenzioni dei richiedenti - in una sala parrocchiale attigua alla chiesa.

La parrocchia aveva giustamente detto "no” sia via telefono sia in successive risposte scritte alle ripetute richieste della White Rock Pride Society, che a giugno 2019 presentava una formula denuncia per violazione dei diritti umani. In quello stesso mese gli avvocati dell’Arcidiocesi di Vancouver, intervenuta a sostegno della propria parrocchia, ribadivano in un’email al gruppo Lgbt quanto dovrebbe essere chiaro a tutti dopo duemila anni di cattolicesimo: «L’uso proposto [della sala parrocchiale] è contrario alle pratiche, agli insegnamenti e alla morale della fede cattolica, poiché l’obiettivo del Pride e della cena e danza per l’evento di raccolta fondi è di incoraggiare e sostenere uno stile di vita omosessuale».

La parrocchia e l’arcidiocesi avevano quindi chiesto al tribunale di rigettare il reclamo della Pride Society, adducendo come motivazione la necessità per le istituzioni religiose di rimanere libere di usare i propri spazi senza contraddire la propria fede. Il giudice Kathleen Smith, come riferisce il sito canadese www.mapleridgenews.com, ha anche riconosciuto che la parrocchia ha portato un «argomento convincente» riguardo alla protezione degli spazi religiosi. Ma a suo giudizio questo non basta. «Questo caso - afferma la Smith - è complicato, comunque, dal fatto che la Parrocchia rende una parte del suo spazio disponibile a coloro che sono al di fuori della sua comunità cattolica».

In realtà la "complicazione” di cui parla la Smith è un pretesto bello e buono, segno di un totalitarismo culturale e pratico che si fa sempre più evidente. Non sappiamo a chi la parrocchia di White Rock ha concesso in passato l’uso dei propri locali, se abbia fatto scelte sempre opportune sul piano ecclesiale, ma rimane un fatto: è la Chiesa che sceglie chi ospitare nei locali parrocchiali (casa sua) e - in nessun caso - lo Stato, la magistratura o gli organi per i "diritti umani” possono imporre l’evento o l’ospite alla Chiesa.

È quindi in gioco la stessa libertas Ecclesiae, minacciata da vari gruppi che ne intendono sovvertire l’insegnamento. Nel caso dell’omosessualità, si tratta di un insegnamento presente tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento, fedelmente trasmesso dalla Tradizione e dal Magistero di sempre. Come riassume il Catechismo - distinguendo tra peccatore e peccato - le persone con tendenze omosessuali vanno accolte «con rispetto, compassione, delicatezza» (CCC 2358), ma gli atti omosessuali «sono contrari alla legge naturale» e «in nessun caso possono essere approvati» (CCC 2357).

È evidente che ogni gruppo che si qualifica come Lgbt o gay, termine politico, mira a cambiare le leggi statali e della Chiesa in un senso contrario alla morale naturale (ritenuta di fatto, per usare un termine della neolingua, "omofoba”). E la Pride Society, al netto delle astuzie da causa legale, non fa eccezione. Dunque, è doveroso attenersi a quanto Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, scriveva già nel 1986 nella Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, raccomandando di ritirare l’appoggio a qualsiasi organizzazione che contrasti o si mantenga anche solo ambigua rispetto alla dottrina della Chiesa. A proposito degli spazi parrocchiali, spiegava: «A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo».

Assieme alla libertà della Chiesa è in gioco la libertà dell’intera società, che è specchio della prima, come questo quotidiano ricordava ieri nel lanciare il tema della nuova raccolta fondi. E se la libertà della Chiesa è gravemente lesa già oggi - vedi per ultimo le imposizioni da Coronavirus - cosa succederà con una legge contro la cosiddetta "omofobia”?

05-06-2020 Fonte: la nuova bussola quotidiana

IL LOGO DELLA APP Immuni è colpa nostra: non sappiamo sceglierci i capi
di Remo Cammilleri

Le polemiche sul logo della app Immuni. Ma che volete farci? Siamo italiani, bravissimi a fare i poeti, santi & navigatori, ma perfettamente cretini quando si tratta di scegliersi i capi. Ormai siamo ridotti come i topi del Pifferaio di Hamelin, tant’è che facciamo i patrioti a comando.

La vicenda sarebbe, in sé, comica. Purtroppo, di questi tempi, i comici fondano partiti di governo, perciò anticipo subito che c’è poco da ridere. Il fatto è questo: ricordate la famosa «app» Immuni che doveva guidarci fuori dalla pandemia come aveva fatto la Corea del Sud? E’ vero, la Corea del Sud l’aveva fatto prima, evitando i 33mila morti che, invece, noi italiani abbiamo subito. Ma che volete farci? Siamo italiani, bravissimi a fare i poeti, santi & navigatori, ma perfettamente cretini quando si tratta di scegliersi i capi. Ormai siamo ridotti come i topi del Pifferaio di Hamelin, tant’è che facciamo i patrioti a comando: bandiere, inni nazionali  anche in bagno, semo i mejo ar monno, spot-kolossal sul nostro passato «romano», Colombo, Vespucci e Galileo, La Gioconda, ‘o sole, ‘o mare, ‘a pizza e aerei tricolori nei cieli quotidiani.

Al tempo in cui tutto ciò era retorica «fascista», populista e sovranista (cioè, fino all’altr’ieri, fino a quando, insomma, c’era Salvini al governo), il sottoscritto, nel 2001, pubblicò per la Bur un Doveroso elogio degli italiani, libro di cui non si pentirà mai abbastanza. Sì, perché l’unica costante della nostra storia, l’unica cosa in cui davvero eccelliamo, è la propensione alla guerra civile, fin da Romolo e Remo.

Detto questo, torniamo all’Immuni. E’ appena partita ed ecco la divisione mortale. E perché? Perché temiamo per la nostra privacy? Perché tra noi c’è ancora un sacco di gente, vecchietti e snob inclusi, che non ha uno smartphone? Macché. Il logo con cui è stata lanciata ha un disegno di due finestre della stessa casa: in una c’è una mamma che accudisce un neonato, nell’altra c’è il papà che lavora da remoto al computer. Ed ecco il picco dell’imbecillità nazionale (altro che Dante e Leonardo!): immagine sessista, stereotipata, non al passo coi tempi, «fascista» (nessuno la ha detto ma è ovvio: figli alla Patria), eccetera.

In prima fila, al solito, la Boldrini e la Concia. Signori miei, c’è poco da fare spallucce: gli italiani «stupor mundi» hanno mandato la prima a presiedere la Camera (terza carica della Repubblica) e la seconda al Senato. Ma, fin qui, uno potrebbe dire: be’, dalle due signore ce lo aspettavamo, visto che sono da sempre pasionarie del politically correct americano. Ma Enrico Letta? E’ stato capo del governo e scalda i muscoli per un ritorno. Ecco che cosa ha twittato: «Sulla #immuniApp peggio dell’immagine stereotipata (donna col bambino e uomo al lavoro) ci sono i commenti. Tanti, troppi che la giustificano e si scandalizzano per lo scandalo».

Detto fatto: la ministra dell’Innovazione ha subito invertito l’immagine incriminata. Ora è la mamma che lavora da remoto mentre il papà culla la creatura. La ministra poteva avere uno scatto d’orgoglio e dire: il dicastero lo comando io. Invece no, si è adeguata ai diktat con una velocità tale che, ad avercela noi avuta per le mascherine, a quest’ora saremmo tutti salvi.

Viva l’Italia? Ma per favore. Orsù, votiamo coi piedi e andiamo tutti in Svizzera, Paese con pochi preti e scarsi comunisti, infatti è ben più serio. Votiamo ho detto? Seeeh, sono quasi dieci anni che subiamo governi del presidente che nessun italiano ha votato. Questo popolo, talmente ne aveva le tasche piene della sua classe politica da aver fatto dei grillini il primo partito. Dimenticando che sono italiani anche loro.

Sono ingeneroso? Può darsi, ma ho visto personalmente Monti uscire da messa applaudito dalle signore come «salvatore dell’Italia». Ed ecco l’esempio biblico: Israele era governato da Giudici (non magistrati, naturalmente, ma suscitati da Dio come Sansone, per esempio); quando il popolo cominciò a chiedere un re come ne avevano gli altri popoli, Dio dapprima titubò, poi acconsentì ma a un patto: lo avrebbe scelto Lui. Eh, conosceva i suoi polli. 

Le polemiche sul logo della app Immuni. Ma che volete farci? Siamo italiani, bravissimi a fare i poeti, santi & navigatori, ma perfettamente cretini quando si tratta di scegliersi i capi. Ormai siamo ridotti come i topi del Pifferaio di Hamelin, tant’è che facciamo i patrioti a comando. 


La vicenda sarebbe, in sé, comica. Purtroppo, di questi tempi, i comici fondano partiti di governo, perciò anticipo subito che c’è poco da ridere. Il fatto è questo: ricordate la famosa «app» Immuni che doveva guidarci fuori dalla pandemia come aveva fatto la Corea del Sud? E’ vero, la Corea del Sud l’aveva fatto prima, evitando i 33mila morti che, invece, noi italiani abbiamo subito. Ma che volete farci? Siamo italiani, bravissimi a fare i poeti, santi & navigatori, ma perfettamente cretini quando si tratta di scegliersi i capi. Ormai siamo ridotti come i topi del Pifferaio di Hamelin, tant’è che facciamo i patrioti a comando: bandiere, inni nazionali  anche in bagno, semo i mejo ar monno, spot-kolossal sul nostro passato «romano», Colombo, Vespucci e Galileo, La Gioconda, ‘o sole, ‘o mare, ‘a pizza e aerei tricolori nei cieli quotidiani.

Al tempo in cui tutto ciò era retorica «fascista», populista e sovranista (cioè, fino all’altr’ieri, fino a quando, insomma, c’era Salvini al governo), il sottoscritto, nel 2001, pubblicò per la Bur un Doveroso elogio degli italiani, libro di cui non si pentirà mai abbastanza. Sì, perché l’unica costante della nostra storia, l’unica cosa in cui davvero eccelliamo, è la propensione alla guerra civile, fin da Romolo e Remo.

Detto questo, torniamo all’Immuni. E’ appena partita ed ecco la divisione mortale. E perché? Perché temiamo per la nostra privacy? Perché tra noi c’è ancora un sacco di gente, vecchietti e snob inclusi, che non ha uno smartphone? Macché. Il logo con cui è stata lanciata ha un disegno di due finestre della stessa casa: in una c’è una mamma che accudisce un neonato, nell’altra c’è il papà che lavora da remoto al computer. Ed ecco il picco dell’imbecillità nazionale (altro che Dante e Leonardo!): immagine sessista, stereotipata, non al passo coi tempi, «fascista» (nessuno la ha detto ma è ovvio: figli alla Patria), eccetera.

In prima fila, al solito, la Boldrini e la Concia. Signori miei, c’è poco da fare spallucce: gli italiani «stupor mundi» hanno mandato la prima a presiedere la Camera (terza carica della Repubblica) e la seconda al Senato. Ma, fin qui, uno potrebbe dire: be’, dalle due signore ce lo aspettavamo, visto che sono da sempre pasionarie del politically correct americano. Ma Enrico Letta? E’ stato capo del governo e scalda i muscoli per un ritorno. Ecco che cosa ha twittato: «Sulla #immuniApp peggio dell’immagine stereotipata (donna col bambino e uomo al lavoro) ci sono i commenti. Tanti, troppi che la giustificano e si scandalizzano per lo scandalo».

Detto fatto: la ministra dell’Innovazione ha subito invertito l’immagine incriminata. Ora è la mamma che lavora da remoto mentre il papà culla la creatura. La ministra poteva avere uno scatto d’orgoglio e dire: il dicastero lo comando io. Invece no, si è adeguata ai diktat con una velocità tale che, ad avercela noi avuta per le mascherine, a quest’ora saremmo tutti salvi.

Viva l’Italia? Ma per favore. Orsù, votiamo coi piedi e andiamo tutti in Svizzera, Paese con pochi preti e scarsi comunisti, infatti è ben più serio. Votiamo ho detto? Seeeh, sono quasi dieci anni che subiamo governi del presidente che nessun italiano ha votato. Questo popolo, talmente ne aveva le tasche piene della sua classe politica da aver fatto dei grillini il primo partito. Dimenticando che sono italiani anche loro.

Sono ingeneroso? Può darsi, ma ho visto personalmente Monti uscire da messa applaudito dalle signore come «salvatore dell’Italia». Ed ecco l’esempio biblico: Israele era governato da Giudici (non magistrati, naturalmente, ma suscitati da Dio come Sansone, per esempio); quando il popolo cominciò a chiedere un re come ne avevano gli altri popoli, Dio dapprima titubò, poi acconsentì ma a un patto: lo avrebbe scelto Lui. Eh, conosceva i suoi polli. 

05-06-2020 Fonte: la nuova bussola quotidiana


Abusi in Val d'Enza, mamma assolta: la vittima è la famiglia
Dopo sette anni di calvario, una mamma è stata assolta dall'accusa di aver partecipato agli abusi sulla figlia di dieci anni commessi dallo zio disturbato psichico. Nel frattempo però, i Servizi Sociali della Val d'Enza della Anghinolfi le hanno fatto togliere la potestà genitoriale, confezionando una relazione con la Hansel & Gretel in cui veniva accusata dalla figlia. Ma quell'accusa si è rivelata senza riscontri e ora la perizia finirà nell'inchiesta Angeli & Demoni sul sistema illecito di affidi di Bibbiano. L'avvocato della donna alla Nuova BQ: «Ha ottenuto giustizia, ma la sua vita è devastata, ha divorziato e da anni non sa nulla della figlia». Una bambina con problemi, una mamma innocente e una famiglia distrutta: «I Servizi dovevano aiutare le famiglie in difficoltà a risollevarsi, non distruggerle». 


Sette anni lontano dalla figlia strappatale ingiustamente dopo una relazione dei servizi sociali dell’Unione Val d’Enza. 7 anni di calvario: una famiglia devastata. Adesso, provare a ricostruire sarà difficile, ma è l’unico obiettivo rimasto a una donna della Bassa emiliana che ha affrontato sette anni di un procedimento con un’accusa devastante sul capo: concorso in violenza sessuale sulla figlia di appena dieci anni. Sarebbe stata lei – secondo la ricostruzione emersa dalle sedute di psicoterapia della dottoressa Bolognini della Onlus Hansel & Gretel cui si appoggiavano i servizi sociali diretti da Federica Anghinolfi  – a legare la bambina al letto mentre lo zio, il fratello di lei con problemi psichici, abusava di lei.

Invece le accuse alla madre non erano vere, ma ci sono voluti sette lunghissimi anni per dare ragione anche alla donna che mercoledì si è vista riconoscere la sentenza più agognata:  il proscioglimento con formula piena.

«Adesso si potrà riprendere la sua vita, la sua dignità e con le dovute accortezze, potrà tornare a fare la mamma», spiega il legale della donna, l’avvocato Barbara Campani del foro di Reggio Emilia. Già, la bambina di allora oggi è diventata una ragazzina di quasi 17 anni. «Ma non sappiamo dove sia – dice alla Nuova BQ il difensore -, la mamma non la vede dal 2013. In questi anni ha dovuto affrontare un divorzio lacerante ed è andata via dalla Bassa».

In questa storia ci sono tre vittime: una è la bambina, vittima di abusi da parte dello zio, ma che si è vista di punto in bianco strappata della mamma e degli affetti più cari, il padre, i nonni, il fratello per essere sballottata qua e là negli affidi famigliari. Dopo un incidente probatorio, per lei non c’è stata altra possibilità di poter chiarire meglio quelle accuse alla madre uscite nel corso di una seduta di psicoterapia.

Come seconda vittima c’è lei, questa mamma coraggio che non ha mai smesso un secondo di gridare la sua innocenza. Ora, quella relazione dei Servizi Sociali, smontata pezzo per pezzo dal presidente del collegio giudicante Simone Medioli Devoto, tribunale di Reggio, e prim’ancora dalla Procura di Reggo che aveva chiesto il proscioglimento con formula piena per la donna, finirà nell’inchiesta Angeli & Demoni come nuovo elemento di indagine a carico del sistema sugli affidi illeciti che ha sconvolto un anno fa il Comune di Bibbiano e che ora, al giro di boa del primo anno, si avvia verso il rinvio a giudizio. La terza vittima è la famiglia. «Una famiglia difficile, con diverse problematiche, che meritava di essere aiutata e non distrutta sulla base di accuse infondate», aggiunge la professionista.

I fatti hanno avvio in Val d’Enza nel 2013. La piccola racconta a scuola di violenze da parte dello zio. Si mette in moto la "macchina” dei servizi sociali. Una volta entrata sotto la tutela legale della Anghinolfi che si avvale delle consulenze del centro Hansel & Gretel, la bambina inizia a coinvolgere altri: «Il padre, gli amici, i nonni e la madre. Collegamenti inverosimili che portano gli inquirenti ad abbandonare la pista. Per tutti ma non per la madre, che viene così privata della potestà genitoriale e successivamente rinviata a giudizio nel filone processuale dello zio».

Nel frattempo, riconosciute le violenze, lo zio viene però prosciolto perché ritenuto incapace di intendere e di volere, ma la mamma, che non ha scelto alcun rito abbreviato prosegue il suo calvario giudiziario: «Al dibattimento vengono sentite tante persone, tanti soggetti medici, terapisti e arriviamo a una certezza: la donna è estranea a tutto. Le rivelazioni di allora della bambina, pronunciate in un contesto fortemente viziato da deficit cognitivi della piccola, sono state prese per oro colato dai Servizi e su questo si è imbastito il processo. Ma nei pochi incontri protetti fatti prima che la piccola sparisse del tutto, era felice di vedere la mamma e non erano emersi mai problemi».

La donna ha appreso della sentenza a lei favorevole al telefono, dall’avvocato: «Piangeva, certo. Ora, a seguito di quanto accaduto ha problemi cardiaci, ha affrontato un divorzio molto doloroso ed è devastata. Ma non ha commesso l’orribile reato che le veniva contestato e da questo ora ricominceremo per ridarle tutta la dignità che merita di riavere».

Ora, di quella relazione e delle perizie svolte sulla piccola, se ne occuperà la Procura nel filone dell’Inchiesta Angeli & Demoni, ma una cosa è certa e sembra confermare le linee già emerse con gli altri casi di bambini strappati ai genitori sulla base di accuse inventate o gonfiate. Il sistema Bibbiano aveva come principale nemico la famiglia. Famiglie fragili, problematiche, spesso in crisi con genitori con limiti educativi, che però dovevano essere aiutati in tutti i modi e non affossati ancora di più fino a privarli dell’affetto 

05-06-2020 Fonte: la nuova bussola quotidiana


Così la pandemia frena i viaggi verso l'eutanasia VITA E BIOETICA

Nonostante i risvolti negativi, la pandemia ha determinato anche degli effetti di segno opposto. Per esempio, bloccando i vari "viaggi della morte". A dire che vale la pena vivere in ogni caso è la storia di Cohen che, non potendo più partire per la clinica svizzera, si sta rifugiando nella bellezza della musica e dell'arte. Occorre spiegare con Oriana Fallaci che la sofferenza ha senso, altrimenti i voli riprenderanno. 


Nonostante i tanti e noti risvolti negativi, la pandemia ha determinato anche degli effetti di segno opposto. Per esempio, bloccando i vari «viaggi della morte», ossia le trasferte internazionali - talvolta intercontinentali -  di persone intenzionate a farla finita e pronte, per questo, a volare in Paesi dalla legislazione permissiva, come per esempio la Svizzera, già da anni meta appunto di chi è desideroso di farla finita, anche se le sue condizioni non sono così disperate.

Torna a tal proposito in mente la storia Anne, un’insegnante britannica recatasi qualche anno fa in una clinica elvetica per ottenere il suicidio assistito. Il motivo? La signora non riusciva ad adattarsi alle tecnologie e ai tempi moderni, ai computer e alle e-mail, e anche al consumismo e ai fast food. Perciò ha chiesto di morire ed è stata accontentata: ne dava notizia, il 7 aprile 2014, Repubblica, testata sospettabile di tutto fuorché di essere pro life.

Casi simili sono forse rari, anche se i «viaggi della morte» di questi anni sono purtroppo stati innumerevoli. Ma ora, come si diceva, sono sospesi causa pandemia. E molti aspiranti suicidi se ne lamentano, denunciando ai media quella che giudicano un’ingiusta discriminazione a danno del loro misconosciuto "diritto di morire”. Tra i piani di morte che il coronavirus ha fatto saltare, c’è quello della signora Janet Cohen, 66 anni, malata grave – pressoché terminale – di cancro ai polmoni.

La sua vicenda è stata raccontata in questi giorni su The Sydney Morning Herald, dato che la signora Cohen risiede nel Nuovo Galles del Sud, Stato appunto dell'Australia sud-orientale. Secondo i medici alla donna restano pochi mesi di vita, motivo che l’ha spinta a programmare un viaggio in Svizzera. Che però, per le ragioni che si dicevano, ora è rinviato a data da destinarsi. Tutto questo ha generato nella Cohen un forte senso di delusione e di amarezza.

«Mi sento derubata di un conforto», ha spiegato alla giornalista che l’ha incontrata,  «la consapevolezza di potermi recare in Svizzera ha avuto un effetto liberatorio su di me, mi ha permesso di essere meno ansiosa e spaventata di morire. Ma ora è tutto saltato». In effetti, non solo alla donna è temporaneamente preclusa la possibilità di volare in Europa, ma anche nel suo Paese, in questo periodo, le priorità paiono comprensibilmente altre, benché in Australia il coronavirus non abbia mietuto che poco di più di 7.000 contagi e 100 vittime.

Questo al momento ha portato la signora Cohen a cercare distrazione in passeggiate all’aperto, nella musica e nell’arte, da lei indicati come i principali sollievi. Della fede, purtroppo, neppure un accenno. E forse è proprio questo, a ben vedere, quel che più manca nell’esperienza difficile che sta toccando a questa donna australiana, la cui tragica vicenda è comunque simile a quella di tantissimi altri che, talvolta, riescono anche da non credenti a trovare la forza di vivere la sofferenza fino in fondo.

Il pensiero qui corre alla scrittrice Oriana Fallaci, la quale, pur da malata terminale, fu sempre e fieramente avversa all’eutanasia. «La parola eutanasia», sottolineava laicamente l’autrice de La Rabbia e L’Orgoglio, «è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La morte è morte è basta».

Ecco, sarebbe bello che, da qui a quando avrà di nuovo la possibilità di prendere la via della Svizzera, qualcuno leggesse alla Cohen queste parole della Fallaci o, meglio ancora, le ricordasse la grandiosa lezione del cristianesimo che, con le atroci sofferenze patite in croce da Gesù, rischiara di senso anche le pagine più dolorose della nostra vita. Che non è mai priva di senso e, nonostante tutto, merita d’esser vissuta fino in fondo.

Certo, il dolore resta dolore anche per il cristiano. Ma, lo si ripete, la consapevolezza che esso abbia senso pone tutto sotto una luce diversa; viceversa, se non hanno senso i giorni più difficili non l’hanno, dopotutto, neppure i più spensierati. Ed è precisamente questo il grande limite della cosiddetta etica laica, ossia una finta rassicurazione che alle prime serie difficoltà si sbriciola. Anche questo, a ben vedere, sarebbe opportuno spiegare alla signore Cohen e ad altri nella sua condizione, affinché sperimentino il Conforto. Quello vero, però.

01-06-2020 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 19/12/2019 Sant'Anastasio papa I




Il Liber Pontificalis lo dice romano di origine; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell'Africa: ratificò le decisioni del Concilio di Toledo del 400, nel quale alcuni vescovi galiziani che avevano sconfessato Priscilliano, furono conservati nel loro ufficio, purché la reintegrazione fosse stata approvata da Anastasio. Il Liber Pontificalis ci informa come egli scoprisse a Roma un certo numero di manichei. Viveva in lui lo spirito dei difensori della Chiesa contro l'arianesimo; i diritti del patriarcato occidentale nell'Illirico trovarono in lui un coraggioso difensore.
Anastasio è conosciuto specialmente per la controversia origenista e per la severità dimostrata verso Rufino. Nel 399 gli amici di s. Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell'origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell'Occidente a questa lotta, condannò le «proposizioni blasfematorie presentategli». Rufino, profondamente irritato da questa campagna, gli fece presentare una sua Apologia, «per cancellare ogni traccia di sospetto e per rimettere al papa la dichiarazione di fede». Questa Apologia non produsse, però, su Anastasio alcun effetto ed egli evitò di dirimere la questione delle vere intenzioni di Rufino come traduttore del Periarchon. Sull'origenismo scrisse parecchie lettere, di cui una indirizzata a Venerio di Milano.
Fu in ottimi rapporti con s. Paolino, poi vescovo di Nola, anzi si credette obbligato a riparare i dispiaceri recatigli dal suo predecessore. Dopo avere, infatti, scritto ai vescovi della Campania, facendo loro i suoi elogi, lo invitò direttamente a Roma per prender parte alla festa anniversaria della sua consacrazione, festa cui i papi solevano invitare solamente i vescovi. L'eccezione costituiva per Paolino un favore specialissimo e anche una riparazione. Quantunque egli non potesse in questa occasione andarvi, il papa accettò la sua lettera di scusa. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere.
Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401, come ha dimostrato il Duchesne nel suo commento al Liber Pontificalis. Fu sepolto sulla Via Portuense in un monumento sepolcrale posto fra le basiliche di S. Candida e dei SS. Abdon e Sennen. S. Gerolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico). Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano.
Il culto reso al pontefice e ai suoi predecessori, ad eccezione di Zosimo, fiorì in breve tempo: il suo nome figura già nel Martirologio Geronimiano datato alla metà del sec. V. La sua festa ricorre il 27 apr., giorno errato tratto dal Liber Pontificalis, che qui richiede una revisione.


Autore: Filippo Caraffa

L'astronauta Parmitano in videocollegamento coi piccoli pazienti del Bambino Gesù


Un evento organizzato dall'Agenzia Spaziale Europea durato appena 30 minuti ma che ha lasciato un segno indelebile nei bimbi in cura presso l'ospedale della Santa Sede. Domande, divertimento, curiosità. Il Comandante della Missione ammette: Babbo Natale arriva ovunque ma io gli ho chiesto di essere vicino a chi amo


di Cecilia Seppia 
Ma Babbo Natale ci viene da voi nello Spazio a portare i regali? Hai mai visto gli alieni? Lo mangiate il panettone sulla navicella spaziale? Come ci si sente a comandare un’astronave? E ancora: come si può aiutare il Pianeta Terra? I piccoli pazienti del Bambino Gesù non stavano nella pelle per il video-collegamento con l’astronauta e Comandante della Missione spaziale, Luca Parmitano, che ha voluto regalare ai bimbi, riuniti nella Ludoteca, un momento davvero speciale. Così appena avviata la video-chiamata, organizzata dall’ESA, l’European Space Agency, hanno cominciato a sommergerlo di domande e curiosità a cui Parmitano non si è sottratto, anzi volando da una parte all’altra, ha pure mostrato tanti dettagli della Stazione orbitante, compresa una splendida vista dalla Terra, attraverso uno degli oblò della navicella.

Facciamo scienza
Tanti sono stati i quesiti riguardo la vita a bordo della Stazione addobbata per il Natale con un albero a testa in giù e calze rosse appese qua e là in attesa di essere riempite di doni. "La nostra attività principale è fare scienza, abbiamo diversi laboratori, oggi ad esempio ho finito di installare una struttura per riciclare l’acqua a bordo - ha spiegato Parmitano -. Quando non lavoriamo, invece, scattiamo molte foto alla Terra, che è sempre meravigliosa, facciamo videochiamate, come questa, ai nostri famigliare e amici. Facciamo anche attività fisica. Comandare una Stazione spaziale è una grande responsabilità.  C’è tanto da fare. Fortunatamente ho dei compagni eccezionali”.

19/12/2019 fonte : vatican news

Il Papa: il presepe è un'immagine artigianale di pace

Se la nostra vita rinasce, è davvero Natale. Lo ricorda Papa Francesco stamani all'udienza generale in Aula Paolo VI, concentrandosi sull'importanza di fare il presepe
di Debora Donnini 

Il presepe porta il Vangelo nei posti in cui si vive: nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze.  È il senso profondo del presepe per la pace, per la famiglia, per cambiare la nostra vita, insieme all'esortazione a realizzarne uno nelle proprie abitazioni, stamani al centro della catechesi di Papa Francesco all’udienza generale in Aula Paolo VI. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Parlare al Signore delle situazioni che abbiamo a cuore
Fare il presepe è prima di tutto un modo semplice ma efficace per prepararsi al Natale che si avvicina, tanto che il Papa ricorda di essersi recato a Greccio, dove San Francesco realizzò il primo, e di aver scritto una Lettera sul suo significato. Il presepe richiama una cosa essenziale, cioè che Dio non è rimasto invisibile in cielo ma è venuto sulla Terra e si è fatto uomo. Fare il presepe è quindi "celebrare la vicinanza di Dio”: Dio sempre è stato vicino al suo popolo ma quando si è incarnato è stato "vicinissimo”, afferma il Papa.  Non è infatti "un giudice distaccato” o un "signore lontano” ma è "Amore umile, disceso fino a noi”. Il Bambinello con le braccia aperte ricorda proprio che "Dio è venuto ad abbracciare la nostra umanità”. Per questo il Papa esorta a stare davanti al presepe per parlare al Signore delle persone e delle situazioni che abbiamo a cuore, per "fare con Lui il bilancio dell’anno che sta finendo”, condividere attese e preoccupazioni.

Il presepe è un Vangelo vivo
La sua attualità coinvolge anche l’orizzonte della pace:

Il presepe è più che mai attuale, mentre ogni giorno si fabbricano nel mondo tante armi e tante immagini violente, che entrano negli occhi e nel cuore. Il presepe è invece un’immagine artigianale di pace. Per questo è un Vangelo vivo.

LEGGI ANCHE
Udienza generale 18 dicembre 2019
18/12/2019
Udienza generale 18 dicembre 2019
Aprire la porta a Gesù
Nel presepe vengono proposte scene quotidiane: i pastori con le pecore, i fabbri che battono il ferro, i mugnai, a indicare che Dio viene "nella nostra vita concreta”. Quindi è importante fare un piccolo presepe a casa anche per ricordare che "Dio è venuto da noi”, "ci accompagna nella vita”, e quindi "nella vita di tutti i giorni, non siamo più soli”, ribadisce il Papa:

Non cambia magicamente le cose ma, se Lo accogliamo, ogni cosa può cambiare. Vi auguro allora che fare il presepe sia l’occasione per invitare Gesù nella vita. Quando noi facciamo il presepe a casa, è come aprire la porta e dire: "Entra, Gesù!”, è fare concreta questa vicinanza, questo invito a Gesù perché venga nella nostra vita. Perché se Lui abita la nostra vita, la vita rinasce. E se la vita rinasce, Ed è davvero Natale. 

Accanto a Gesù, vediamo Maria e Giuseppe e il Papa esorta quindi anche ad invitare la Sacra Famiglia a casa nostra. Il presepe è "un Vangelo domestico",  significa letteralmente "mangiatoia” e Betlemme "casa del pane” e pertanto farlo nella nostra casa, dove condividiamo cibo e affetti, ricorda che Gesù è il "pane della vita” e dona alle famiglie la forza di andare avanti e perdonarsi.

Il presepe è l’attualità di ogni famiglia
Il presepe è anche "un invito alla contemplazione”, che richiama l’importanza di fermarci:

Solo se lasciamo fuori casa il frastuono del mondo ci apriamo all’ascolto di Dio, che parla nel silenzio. Il presepe è attuale, è l’attualità di ogni famiglia. Ieri mi hanno regalato un’immaginetta di un presepe speciale, piccolina, che si chiamava: "Lasciamo riposare mamma”. C’era la Madonna addormentata e Giuseppe con il Bambinello lì, che lo faceva addormentare. Quanti di voi dovete dividere la notte fra marito e moglie per il bambino o la bambina che piange, piange, piange … "Lasciate riposare mamma”; la tenerezza di una famiglia, di un matrimonio.

Il Papa ringrazia per gli auguri per il 50.mo di sacerdozio e per il compleanno
Un augurio di "Buon Natale" e un ringraziamento per quanti, da tante parti del mondo, gli hanno inviato messaggi di auguri per il 50.mo di sacerdozio e per il suo compleanno, riecheggiano nei saluti del Papa, al termine della catechesi. Stamani infatti è stato accolto da un particolare clima di festa e gioia dai 7mila fedeli presenti. A tanti si è avvicinato, stringendo le mani e ricevendo piccoli doni. 

19/12/2019 fonte: vatican news

Anche l’Emilia si accoda per l’eliminazione dei bimbi Down


di Ermes Dovico

La giunta Bonaccini lancia il Nipt, un nuovo test prenatale che in molti casi consente di individuare anomalie cromosomiche come le sindromi di Down, Edwards e Patau. L’Emilia Romagna «è la prima Regione in Italia ad introdurlo gratuitamente». Pagheranno i contribuenti, anche se contrari all’aborto. Prevista da gennaio, mese delle elezioni, una fase pilota nell’area di Bologna e poi l’estensione a tutta la regione. Il test favorirà la selezione eugenetica, come dimostrano i dati del Regno Unito. Dove in pochi anni, da quando è stato introdotto il Nipt, le nascite di bambini con sindrome di Down sono crollate di circa il 30%.

DAI PASSEGGINI AI BIBERON, PRO VITA AIUTA 10 MAMME, di Marco Guerra


Non ci sono solo i Paesi dell’America o dell’Europa del Nord: l’eugenetica fa passi da gigante anche in Italia. La conferma arriva dall’Emilia Romagna, che in un comunicato diffuso il 6 dicembre sul sito Internet della Regione si vanta dell’introduzione di nuovi test per la diagnosi prenatale. Si tratta del cosiddetto Nipt (Non invasive prenatal testing), che la giunta di centrosinistra guidata da Stefano Bonaccini presenta come «un test di screening innovativo, non invasivo (un semplice prelievo di sangue) e sicuro per donna e feto. Che consente di prevedere con un alto grado di attendibilità alcune alterazioni dei cromosomi, e cioè le trisomie 21 (sindrome di Down), 18 (sindrome di Edwards) e 13 (sindrome di Patau), già dalla decima settimana di gestazione».

Il comunicato afferma poi che il Nipt ha «una sensibilità e una specificità che arrivano all’incirca al 100% nell’individuazione del rischio di sindrome di Down e di trisomia 13, e poco inferiori nella trisomia 18». E prosegue trionfalmente spiegando che «è l’Emilia Romagna la prima Regione in Italia ad introdurlo gratuitamente per tutte le donne residenti in stato di gravidanza, indipendentemente dall’età e dalla presenza di fattori di rischio».

I nuovi test saranno disponibili su richiesta dal gennaio 2020, cioè proprio nel mese in cui gli elettori emiliano-romagnoli saranno chiamati a votare per il rinnovo del parlamento e della giunta regionali. La fase pilota del test sarà avviata nell’area metropolitana di Bologna, per una durata prevista di nove mesi, dopo i quali Bonaccini&Co annunciano che il test «sarà esteso gratuitamente a tutto il territorio» nelle strutture pubbliche. Un tasto, questo, su cui l’attuale presidente dell’Emilia Romagna insiste anche in una dichiarazione congiunta con l’assessore alla Salute, Sergio Venturi, spiegando che per questo ‘servizio’ ci sarà «addirittura l’azzeramento dei costi a carico dei cittadini». È davvero così? In realtà i costi ricadranno su tutti i cittadini della regione - in particolare sui contribuenti - compresi i molti che sono comprensibilmente contrari a simili test per la selezione eugenetica e, quindi, all’aborto. Figuriamoci a finanziarli di tasca propria e sentirsi dire dal proprio presidente che è tutto gratis.

Andiamo poi all’affermazione, che suona come un macabro paradosso, secondo cui il Nipt sarebbe «sicuro» per il feto. Secondo il comunicato della Regione, l’introduzione del Nipt diminuirà di circa il 50% il ricorso all’amniocentesi e alla villocentesi, tecniche invasive di diagnosi prenatale che comportano anche margini di rischio per la vita del bambino. Ammesso e non concesso che avvenga la diminuzione stimata, va detto che il Nipt è solo il primo gradino di una procedura che ha comunque all’orizzonte amniocentesi e villocentesi, quando si vuole la conferma diagnostica di una probabile anomalia cromosomica.

La premessa comune è sempre quella che l’aborto sia un diritto, perciò parlare di "sicurezza” per i bambini è un’offesa a quei piccoli che si sono visti e si vedranno togliere la vita nel grembo materno, nonché all’intelligenza di tutti. Inoltre, se il Nipt diventerà una routine ospedaliera, addirittura gratuita, la mentalità eugenetica troverà terreno fertile per diffondersi ancora di più. Perché, appunto, il Nipt ha il fine di individuare - con «una sensibilità» di circa il 100%, come afferma con entusiasmo la Regione Emilia Romagna - i bambini ritenuti difettosi e perciò da scartare, uccidere, attraverso l’aborto. Come dire che si celebra l’idea di poter fare a gara con Paesi come l’Islanda e il suo famigerato 100% virtuale di aborti di bambini con sindrome di Down.

Quel che è emerso proprio in questi giorni in un altro Paese europeo, il Regno Unito, dovrebbe essere di monito. Secondo i dati pubblicati dal Times e forniti da 26 trust ospedalieri britannici (circa un quinto di quelli che hanno reparti per la maternità) per il periodo 2013-2017, il numero dei bambini nati con sindrome di Down è diminuito di circa il 30% da quando è stato introdotto il Nipt: nel 2013 risultava una nascita ogni 956 (0,1%); ancora meno nel 2017, ossia una nascita ogni 1.368 (0,07%).

A ottenere i dati dagli ospedali del National Health Service è stata Colette Lloyd, mamma di Katie, una ragazza di 22 anni con la trisomia 21. La signora Lloyd, come riporta il Times, ha detto di avere difficoltà a spiegare a sua figlia il fine del Nipt e della diagnostica prenatale. «Come potrei dirle: "Abbiamo un test tale che le donne possano scegliere se vogliono tenere o no un bambino come te”?». Lynn Murray, un’altra madre che ha una figlia (oggi diciannovenne) con sindrome di Down, ha commentato i dati spiegando che sarebbe «totalmente immorale e discriminatorio» se il governo britannico continuasse a diffondere questi test in altri ospedali dell’NHS.

Il buonsenso racchiuso nelle parole di queste mamme stride evidentemente con la cultura di chi presenta questi test come uno straordinario avanzamento del progresso, non vedendo o non volendo vedere che si tratta di un imbarbarimento e disumanizzazione delle nostre società, un tempo cristiane. La suddetta cultura, purtroppo oggi dominante, parla in modo ossessivo di "diversità”, "non discriminazione”, "rispetto”, ma solo quando si tratta di promuovere azioni e leggi che vanno contro la famiglia, la maternità, la vita umana. È la stessa intellighenzia autoreferenziale che festeggia ritualmente la Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down, chiedendone una volta all’anno la piena "inclusione” (se già nate), ma nel frattempo si adopera perché non ne nascano più.

19/12/2019 fonte : la nuova Bussola quotidiana


Il triste Natale in carcere del cardinale Pell. Senza Messa
di Nico Spuntoni

Nel carcere di Melbourne, dove sconta una condanna per abusi, George Pell passerà un Natale senza Messa: la prigione non ha un cappellano e a lui è impedito di celebrare. In attesa dell’Alta Corte, continua il clima da caccia alle streghe, ma non pochi stanno uscendo allo scoperto per sbugiardare le accuse e mostrare solidarietà a Pell. Oggi il 53° anniversario della sua ordinazione.


Il clima da caccia alle streghe continua ad accompagnare le sorti del cardinale George Pell, finito in isolamento in una cella del carcere di Melbourne per scontare una condanna a sei anni per abusi. Un caso giudiziario su cui aleggia l’inquietante dubbio della totale innocenza del condannato e su cui, molto probabilmente, dirà l’ultima parola l’Alta Corte australiana che ha ammesso il ricorso presentato dalla difesa contro la sentenza d’appello.

Il forte sospetto che la giustizia australiana abbia finora spedito un innocente di 78 anni dietro le sbarre accomuna migliaia di persone in tutto il mondo. Una convinzione supportata dal parere di Mark Weinberg, uno dei giudici - il più esperto dei tre - della Corte d’Appello di Victoria che in una lunga e accurata relazione ha smontato la credibilità delle prove contro Pell, prese in esame dalla giuria del tribunale di contea. In essa, in dissenso rispetto alla decisione presa a maggioranza dai suoi due colleghi, l’ex capo della pubblica accusa federale aveva rilevato "incoerenze e discrepanze” nelle accuse del denunciante, oltre a sottolineare come "un certo numero di sue risposte semplicemente non aveva senso”.

Sulla base di ciò, Weinberg aveva concluso che l’appello della difesa del porporato contro la condanna a sei anni per abusi sessuali su minori avrebbe dovuto essere accolto. Il diverso parere dei giudici Anne Ferguson e Chris Maxwell ha però confermato il verdetto negativo per Pell, che tuttora si trova a scontare la pena nella Melbourne Assessment Prison.

Nel penitenziario, che ospita soprattutto detenuti per reati come pedofilia e violenza sessuale, il prefetto emerito della Segreteria per l’Economia trascorre le sue giornate in una cella dove ha a disposizione un letto singolo con materasso sottile, una televisione e una toilette in metallo. Per la sua incolumità, il cardinal Pell non può entrare in contatto con gli altri detenuti, visto l’alto rischio che corrono i prigionieri di alto profilo, ma ha a che fare solo con il personale penitenziario. Tra i suoi vicini di cella ci dovrebbe ancora essere James Gargasoulas, l’autore di quello che proprio Mark Weinberg - il giudice che lo ha condannato a 46 anni di carcere - ha definito "uno dei peggiori esempi di omicidi di massa della storia australiana”. Il killer che due anni fa, a Bourke Street (la via dello shopping di Melbourne), travolse con una vettura la folla presente, uccidendo sei persone e ferendone oltre venti, soffre di schizofrenia paranoica ed è noto alla polizia penitenziaria perché solito disturbare gli altri detenuti, parlando in continuazione di notte e proclamandosi "inviato di Dio”.

Il cardinale Pell passerà il prossimo Natale in carcere, ancora senza la possibilità di celebrare la Santa Messa e senza poter concelebrare. La Melbourne Assessment Prison, infatti, non dispone di un vero e proprio cappellano e l’unica assistenza spirituale è affidata a una suora. Soltanto saltuariamente la religiosa porta la Santa Comunione in cella e queste sono le uniche occasioni in cui il porporato ha accesso al Sacramento.

Oggi ricorre il 53° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, una data che tanti fedeli e anche non credenti - convinti dell’innocenza dell’ex arcivescovo di Sidney - non hanno dimenticato: sono tantissime le lettere che continua a ricevere e da cui ha ammesso di trarre grande forza per sopportare la detenzione. Le sue condizioni di salute continuano ad essere buone, nonostante la consistente perdita di peso. In queste ultime settimane, proprio un appello a scrivere all’indirizzo del carcere di Melbourne per esprimere vicinanza umana al più celebre detenuto d’Australia ha causato reazioni d’odio in quell’opinione pubblica schierata senza alcun dubbio sulla linea colpevolista: un diacono inglese che su Twitter aveva invitato i suoi followers a mandare una lettera d’auguri al cardinale per l’imminente Natale si è ritrovato oggetto di minacce di morte.

Il clima d’intolleranza sulla vicenda Pell ha avuto, inoltre, una vittima illustre: l’ex premier australiano, Tony Abbott, ‘colpevole’ di aver visitato il cardinale in carcere. L’esponente del Partito Liberale, che non ha mai rinnegato la sua amicizia col porporato e che aveva già confessato di averlo chiamato il giorno successivo alla condanna, è stato sorpreso all’uscita del penitenziario da una troupe di Seven News e ha reagito alle domande provocatorie del giornalista, limitandosi a dire di aver "visitato un amico”. Il gesto d’umanità di Abbott è stato pesantemente attaccato da Daniel Andrews, premier dello Stato di Victoria che si professa cattolico, oltre a finire nel mirino di numerosi commentatori e media nazionali.

Nonostante questa linea intransigente di una parte dell’opinione pubblica convinta della colpevolezza del cardinale, gli innocentisti che vengono allo scoperto non sono pochi (vedi, tra gli esempi più recenti, l’inchiesta di Andrew Bolt di Sky), come dimostrano le diverse iniziative intraprese per esprimere supporto alle tesi della difesa. Tra di esse, è stata anche lanciata una petizione su Care2 che vede come primi firmatari Theresa DeMaria e Joseph Pagano, nella quale, rivolgendosi direttamente al cardinale, vengono rivendicate le preghiere e le novene recitate per la sua liberazione.

Sia i colpevolisti che gli innocentisti dovranno aspettare probabilmente il prossimo marzo, periodo in cui si dovrebbe svolgere la prima udienza dell’Alta Corte, che ha accettato di ascoltare le ragioni della difesa ed è perciò chiamata a pronunciarsi definitivamente su questo caso, che continua a dividere l’Australia e non solo.

19/12/2019  fonte:la nuova bussola quotidiana


IL SANTO DEL GIORNI 03/11/2018 San Martino de Porres (domenicano)




"Figlio di padre ignoto": così lo registrano fra i battezzati nella chiesa di San Sebastiano a Lima. Suo padre è l’aristocratico spagnolo Juan de Porres, che non lo riconosce perché la madre è un’ex schiava nera d’origine africana. Il piccolo mulatto vive con lei e la sorellina, finché il padre si decide al riconoscimento, tenendo con sé in Ecuador i due piccoli, per qualche tempo. Nominato poi governatore del Panama, lascia la bimba a un parente e Martino alla madre, con i mezzi per farlo studiare un po’. 
E Martino diventa allievo di un barbiere-chirurgo (le due attività sono spesso abbinate, all’epoca) apprendendo anche nozioni mediche in una farmacia. Avvenire garantito, dunque, per il ragazzo appena quindicenne. 
Lui però vorrebbe entrare fra i Domenicani, che hanno fondato a Lima il loro primo convento peruviano. Ma è mulatto: e viene accolto sì, ma solo come terziario; non come religioso con i voti. E i suoi compiti sono perlopiù di inserviente e spazzino. Suo padre se ne indigna: ma lui no, per nulla. Anzi, mentre suo padre va in giro con la spada, lui ama mostrarsi brandendo una scopa (con la quale verrà poi spesso raffigurato). Lo irridono perché mulatto? E lui, vedendo malconce le finanze del convento, propone seriamente ai superiori: "Vendete me come schiavo". I Domenicani ormai avvertono la sua energia interiore, e lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo nell’Ordine come fratello cooperatore. 
Nel Perù che ha ancora freschissimo il ricordo dei predatori Pizarro e Almagro, crudeli con la gente del luogo e poi impegnati in atroci faide interne, Martino de Porres, figlio di un "conquistatore”, offre un esempio di vita radicalmente contrapposto. Vengono da lui per consiglio il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima, trovandolo perlopiù circondato da poveri e da malati, guaritore e consolatore. 
Quando a Lima arriva la peste, frate Martino cura da solo i 60 confratelli e li salva tutti. E sempre più si parla di suoi prodigi, come trovarsi al tempo stesso in luoghi lontani fra loro, sollevarsi da terra, chiarire complessi argomenti di teologia senza averla mai studiata. Gli si attribuisce poi un potere speciale sui topi, che raduna e sfama in un angolo dell’orto, liberando le case dalla loro presenza devastatrice. Per tutti è l’uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri, ed è fior di miracolo anch’esso, il primo collegio del Nuovo Mondo. 
Guarisce l’arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Martino però non potrà partire: colpito da violente febbri, muore a Lima sessantenne. Per il popolo peruviano e per i confratelli è subito santo. Invece l’iter canonico, iniziato nel 1660, avrà poi una lunghissima sosta. E sarà Giovanni XXIII a farlo santo, il 6 maggio 1962. Nel 1966, Paolo VI lo proclamerà patrono dei barbieri e parrucchieri.

Aria di Minculpop in Vaticano
Nel documento finale del Sinodo viene lanciata la possibilità di istituire un ufficio che certifichi quali siti sono definibili cattolici. Un'idea illusoria oltre che pericolosa.


di Riccardo Cascioli

Ve li immaginate dei ventenni cattolici che frequentano la parrocchia e vanno dal loro vescovo a chiedere per favore di indicare loro quali sono i siti web cattolici affidabili, che non riportano notizie false sulla Chiesa, perché loro non vogliono essere sviati? No? Neanche noi, tanto è una scena surreale.

Eppure pare che al Sinodo appena conclusosi abbiano fatto credere – oppure qualcuno che ha gestito il Sinodo vuole fare credere a noi - che questa sia una esigenza primaria dei giovani, addirittura una condizione per lo "slancio missionario”. Al paragrafo numero 146 del Documento finale si legge, infatti, che il Sinodo auspica che si costituiscano appositi uffici per l’evangelizzazione digitale che, tra i loro compiti, avrebbero anche «quello di gestire sistemi di certificazione dei siti cattolici, per contrastare la diffusione di fake news riguardanti la Chiesa».

Un Minculpop vaticano? La cosa potrebbe essere liquidata con un sorriso, magari ricordando che, se il criterio sono le fake news, il primo a non poter aspirare alla certificazione Doc è il sito ufficiale Vatican News, responsabile del clamoroso fake con cui è stato coinvolto papa Benedetto XVI a proposito di una lettera spacciata per sostegno entusiasta al pontificato di Francesco.

Il problema è però che ci sono diversi elementi che suggeriscono invece di prenderla molto sul serio.

Infatti non c’è dubbio che in Vaticano ci sia qualcuno che sta studiando come è possibile fermare opinioni e giudizi non perfettamente in linea con i desiderata di questo pontificato. Negli ultimi mesi gli attacchi ai siti giudicati "critici verso” o "ostili” a Papa Francesco sono ormai ricorrenti. Già questa divisione del campo in siti pro e contro Bergoglio è pretestuosa e finalizzata proprio a isolare e liquidare – se possibile – il "nemico”. Anche il nostro sito recentemente è stato definito più di una volta "sedicente cattolico” da una testata importante come Vatican Insider.

Peraltro, ci si dovrebbe chiedere, quali sarebbero i criteri per cui rilasciare il certificato di cattolicità a un sito. Possiamo star sicuri che nella mente di chi ha suggerito questo aspetto nel documento del Sinodo, non riguardano l’adesione o meno alla dottrina della Chiesa (altrimenti molti vescovi e teologi avrebbero dovuto già da tempo lasciare i propri incarichi), quanto invece l’indice di gradimento di questo pontificato. Una mossa degna delle dittature sudamericane.

In ogni caso, pensare con una sorta di Indice di fermare giudizi e opinioni dei cattolici – e soprattutto la loro richiesta che i pastori amino più la verità che il potere - è un’idea quantomeno illusoria oltre che pericolosa.

03/11/2018 fonte: La nuova bussola quotidiana

Pakistan in fiamme, gli islamisti non mollano Asia Bibi

di Anna Bono

Asia Bibi è stata assolta, ma libera non è ancora e salva non lo sarà mai in Pakistan. Dal 31 ottobre, giorno in cui i giudici della Corte Suprema hanno reso nota la sentenza di assoluzione decisa l’8 ottobre, si è scatenata la rabbia di una parte della popolazione, influenzata dai radicali islamici. Decine di migliaia di persone hanno risposto all’appello del principale partito islamista, il Tehreek-i-Labbaik Pakistan, Tlp, e si sono riversate per le strade delle principali città. Vogliono Asia Bibi morta, acclamano il Tlp che ha giurato di uccidere i giudici che l’hanno assolta e l’avvocato che l’ha difesa.

Si sapeva che sarebbe successo. Il silenzio dei giudici si credeva servisse al governo pakistano proprio per organizzare l’espatrio di Asia Bibi e dei suoi famigliari, di nascosto, in maniera che il giorno dell’annuncio della sentenza fossero già al sicuro in uno dei paesi che hanno offerto loro asilo.

Invece Asia Bibi è ancora in Pakistan. Dal 1° novembre, racconta suo fratello James Masih, si trova in un luogo segreto per ragioni di sicurezza, in attesa di essere rilasciata: "Poi dovrà lasciare il paese al più presto – dice – non ci sono alternative”. Il marito di Asia, Ashiq Masih, è rientrato a metà ottobre con i figli dalla Gran Bretagna. Anche loro si nascondono temendo per la vita, in attesa di riunirsi ad Asia. Intanto stanno pensando a come uscire incolumi dal paese: "Non abbiamo avuto contatti né con le autorità pachistane – sostiene il cognato Nedeem Masih – né con altre straniere”.

Il 2 novembre, venerdì giorno di preghiera per gli islamici, le manifestazioni sono entrate nel terzo giorno. Le principali strade di Lahore, Islamabad, Karachi e di altre città sono state bloccate. I dimostranti hanno sfilato bruciando fotografie di Asia Bibi, altre ne mostravano, con un cappio disegnato attorno alla testa e la scritta "impiccatela!”. Le proteste si sono inasprite estendendosi al governo dopo che il primo ministro Imran Khan ha difeso i giudici che hanno assolto Asia in un messaggio televisivo, ha esortato la popolazione a non aderire agli appelli dei gruppi radicali islamici accusandoli di non servire l’islam, ma di agire per fini politici, "per aumentare il loro bacino di voti”.

Le autorità delle città più coinvolte nelle manifestazioni hanno disposto agenti di polizia a guardia delle chiese. In alcune località tutti gli edifici religiosi cristiani sono rimasti chiusi. Chiuse già nei giorni precedenti anche le scuole, a tempo indeterminato. Tuttavia per ridurre il rischio di aggressioni e attentati, le diocesi di tutto il paese hanno cancellato le messe in programma per la commemorazione dei defunti, i cimiteri sono stati chiusi. Le autorità religiose hanno invitato i fedeli a pregare individualmente, restando a casa.

Nel corso della giornata sono circolate voci che hanno accresciuto ansia e tensione. Il DawnNewsTV ha diffuso la notizia che, per indurre il Tlp a interrompere le proteste, il governo, nonostante le dichiarazioni del premier del giorno precedente, ha  acconsentito alla richiesta del querelante nel caso di Asia, l’imam Qari Muhammad Saalam, di avviare il procedimento legale per inserire il nome di Asia Bibi nella Lista di controllo delle uscite dal paese, l’elenco nazionale delle persone a cui è proibito lasciare il Pakistan. Secondo il Dawn, inoltre, il governo ha dichiarato di non opporsi a una petizione inoltrata dallo stesso Saalam contro la sentenza della Corte Suprema.

Secondo altre voci, il governo si era impegnato a intraprendere azioni legali in favore delle eventuali vittime causate dalle proteste e a rilasciare tutte le persone fermate in relazione alle proteste stesse. In cambio il Tpl si è scusato per "aver urtato i sentimenti o aver creato disagi a qualcuno senza motivo”. L’accordo tra governo e Tlp, dicevano le voci, è stato firmato dal ministro degli affari religiosi e dal ministro della giustizia del Punjab, per il governo, e da due alti dirigenti del Tlp.

Tuttavia quasi subito è arrivata la smentita del partito di governo, il Pakistan Tehreek-i-Insaf del premier Khan: il governo federale – ha dichiarato tramite un portavoce – non intende "inserire il nome di Asia Bibi nella Lista di controllo delle uscite o accogliere un ricorso contro la sentenza della Corte Suprema”. In un comunicato successivo il Pakistan Tehreek-i-Insaf ha aggiunto che la petizione di Salaam "era stata inoltrata dal Tlp che non ha nulla a che vedere con il governo”.        

Alcuni mass media hanno ripreso anche un tweet del presidente del Tlp, Khadim Hussain Rizvi, in cui il leader da parte sua avrebbe annunciato il totale fallimento dei colloqui con il governo, precisando che vi avevano partecipato agenzie di sicurezza e rappresentanti governativi. 

Eppure gli ultimi lanci di agenzia tendono a confermare l’accordo tra governo e Tlp.

Nell’attesa di notizie certe, il dato sicuro è che la liberazione di Asia Bibi è rimandata. Se Khan difende la sentenza di assoluzione meglio sarebbe stato allontanare Asia e la sua famiglia, mettendo peraltro in conto rappresaglie contro i cristiani e vendette da parte dei radicali islamici. Se ha ceduto alle loro pressioni, il destino di Asia Bibi e della sua famiglia è segnato.

03/11/2018 fonte: La Nuova bussola quotidiana

Il Vaticano non si oppone a esumazione resti di Franco
La Sala Stampa della Santa Sede riferisce che il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin non è contrario all'esumazione del corpo di Francisco Franco

Marco Guerra – Città del Vaticano

A proposito dell'incontro tenutosi lunedì 29 ottobre, tra la Segreteria di Stato della Santa Sede e la vicepresidente del Governo spagnolo, Carmen Calvo, il direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

 "Il cardinale Pietro Parolin non si oppone alla riesumazione di Francisco Franco, se così deciso dalle autorità competenti; ma in nessun momento si è pronunciato sul luogo di sepoltura. È vero che la signora Carmen Calvo ha espresso la sua preoccupazione per la possibile sepoltura dei resti nella cattedrale dell'Almudena, così come il suo desiderio di esplorare altre alternative, anche attraverso il dialogo con la famiglia. Il Cardinale Segretario di Stato ha ritenuto opportuna questa soluzione”.

Francisco Franco è sepolto, dal momento della morte avvenuta nel 1975, nella Valle de Los Caidos, monumento nazionale dedicato a vincitori e vinti della guerra civile spagnola (1936-1939) costruito proprio sotto il regime del generale Franco. Lo scorso agosto il governo socialista spagnolo ha approvato un decreto che apre la strada alla riesumazione dei resti di Francisco Franco. La famiglia del dittatore, che ha guidato la Spagna per 36 anni, ha quindi espresso la volontà di portare le spoglie in uno spazio di loro proprietà nella cripta della cattedrale dell’Almudena di Madrid.

Il Paese resta comunque diviso sulla vicenda. Una parte dell’opinione pubblica appoggia l’iniziativa del governo, mentre il Partito Popolare accusa il governo di porre questioni inutili con il rischio di creare nuove fratture nella società spagnola.
03/11/2018 fonte: Vaticana

Attacco terroristico in Egitto

Rivendicato dall'Is l'attaco al bus di pellegrini copti in Egitto. Vogliono destabilizzare il Paese e affermare la loro presenza, è il commento del vescovo copto-cattolico di Asyut, mons. Kyrillos William. Sette morti e tredici feriti, il bilancio
L'Is ha rivendicato l'attacco al bus di pellegrini copti nella zona di Minya, nel centro dell’Egitto. A riferirlo con un tweet, la tv Sky News Arabiya. Secondo fonti locali, sarebbe stata un'esecuzione a freddo compiuta forse come immediata risposta a un'operazione antiterrorismo per danneggiare l'immagine del Paese, nel giorno di inizio del Forum mondiale della Gioventù in corso a Sharm el-Sheikh.

I terroristi hanno fermato il bus intimando ai passeggeri di scendere e aprendo poi il fuoco all’impazzata. Al momento si contano 7 vittime e 13 feriti.

Per il vescovo copto-cattolico di Asyut, mons. Kyrillos William, i terroristi  "vogliono destabilizzare lo Stato”, affermare la  loro presenza sul territorio e "dire al mondo che in Egitto non c'é sicurezza". L’attentato è avvenuto proprio in un momento in cui il settore turistico sta ripartendo. "Questa stagione, a Luxor e in altre località, é tutto pieno", ha ricordato  mons. Kyrillos che ha poi sottolineato: "a pagare il conto sono i copti”.
03/11/2018 fonte: Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 22/11/2017 Santa Cecilia


Nel mosaico dell’XI secolo dell’abside della Basilica di Santa Cecilia a Roma oltre a Cristo benidecente, affiancato dai santi Pietro e Paolo, alla sua destra è rappresentata santa Cecilia, posta accanto a papa Pasquale I, che reca in mano proprio questa chiesa da lui fatta edificare nel rione Trastevere: l’aureola quadrata del Pontefice indica che egli era ancora vivo quando venne eseguita l’opera.
A sinistra di Cristo, invece, san Valeriano, sposo di santa Cecilia. La fondazione del titulus Caeciliae risale al III secolo. Il Liber pontificalis narra che nell’anno 545, durante le persecuzioni cristiane, il segretario imperiale Antimo andò ad arrestare papa Vigilio e lo trovò nella chiesa di Santa Cecilia, a dieci giorni dalle calende di dicembre, ovvero il 22 novembre, ritenuto dies natalis della santa. Tuttavia altre fonti storiche (come il Martirologio geronimiano del V secolo) ritengono che questa non sia la data della morte o della sepoltura, ma della dedicazione della sua chiesa.
La Nobildonna romana, benefattrice dei Pontefici e fondatrice di una delle prime chiese di Roma, visse fra il II e III secolo. Venne iscritta al canone della Messa all’inizio del VI secolo, secolo in cui sorse il suo culto. Nel III secolo papa Callisto, uomo d’azione ed eccellente amministratore, fece seppellire il suo predecessore Zeferino accanto alla sala funeraria della famiglia dei Caecilii. In seguito aprì, accanto alla martire, la "Cripta dei Papi”, nella quale furono deposti tutti gli altri pontefici di quello stesso secolo.
Cecilia sposò il nobile Valeriano. Nella sua Passio si narra che il giorno delle nozze la santa cantava nel suo cuore: «conserva o Signore immacolati il mio cuore e il mio corpo, affinché non resti confusa». Da questo particolare è stata denominata patrona dei musicisti. Confidato allo sposo il suo voto di castità, egli si convertì al Cristianesimo e la prima notte di nozze ricevette il Battesimo da papa Urbano I. Cecilia aveva un dono particolare: riusciva ad essere convincente e convertiva. Le autorità romane catturarono san Valeriano, che venne torturato e decapitato; per Cecilia venne ordinato di bruciarla, ma, dopo un giorno e una notte, il fuoco non la molestò; si decise, quindi, di decapitarla: fu colpita tre volte, ma non morì subito e agonizzò tre giorni: molti cristiani che lei aveva convertito andarono ad intingere dei lini nel suo sangue, mentre Cecilia non desisteva dal fortificarli nella Fede. Quando la martire morì, papa Urbano I, sua guida spirituale, con i suoi diaconi, prese di notte il corpo e lo seppellì con gli altri papi e fece della casa di Cecilia una chiesa.
Nell’821 le sue spoglie furono traslate da papa Pasquale I nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere e nel 1599, durante i restauri, ordinati dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati in occasione dell’imminente Giubileo del 1600, venne ritrovato un sarcofago con il corpo della martire che ebbe l’alta dignità di essere stata sepolta accanto ai Pontefici e sorprendentemente fu trovata in un ottimo stato di conservazione. Il Cardinale commissionò allo scultore Stefano Maderno una statua che riproducesse quanto più fedelmente l’aspetto e la posizione del corpo di santa Cecilia, così com’era stato ritrovato, con la testa girata a tre quarti, a causa della decapitazione e con le dita della mano destra che indicano tre (la Trinità) e della mano sinistra uno (l’Unità); questo capolavoro di marmo si trova sotto l’altare centrale di Santa Cecilia.
Nel XIX secolo sorse il cosiddetto Movimento Ceciliano, diffuso in Italia, Francia e Germania. Vi aderirono musicisti, liturgisti e studiosi, che intendevano restituire onore alla musica liturgica sottraendola all’influsso del melodramma e della musica popolare. Il movimento ebbe il grande merito di ripresentare nelle chiese il gregoriano e la polifonia rinascimentale delle celebrazioni liturgiche cattoliche. Nacquero così le varie Scholae cantorum in quasi tutte le parrocchie e i vari Istituti Diocesani di Musica Sacra (IDMS), che dovevano formare i maestri delle stesse Scholae.
Il tortonese e sacerdote Lorenzo Perosi, che trovò in San Pio X un paterno mecenate, è certamente l’esponente più celebre del Movimento Ceciliano, che ebbe in Papa Sarto il più grande sostenitore. Il 22 novembre 1903, giorno di santa Cecilia, il Pontefice emanò il Motu Proprio Inter Sollicitudines, considerato il manifesto del Movimento.


Una mucca crocefissa in chiesa. E dicono che è ''arte''
di Marco Tosatti

 L'installazione nella chiesa di Looz
Dal Belgio veramente le sorprese non hanno fine, e normalmente non sono sorprese gradevoli. Almeno per chi ha amore e rispetto per la Chiesa cattolica. L’ultima notizia che ci è stata data da amici belgi, giustamente, a nostro parere, stupefatti e indignati è questa. Nella chiesa cattolica – non sconsacrata – di Kuttekoven, a Looz (nella diocesi di Limburg) è stata installata un’opera d’arte dell’artista Tom Kerck, dal titolo "La vacca sacra”. Su un grande crocifisso è appesa una mucca; intorno a lei un lago di latte.
Nel pomeriggio di domenica scorsa una quindicina di cristiani cattolici, in seguito a un tam tam avvenuto sui social media, si sono radunati nella chiesa, armati di rosario, per riparare a quella che evidentemente è, al minimo una mancanza di buon gusto clamorosa. Venivano da diverse parti delle Fiandre, e l’azione è stata organizzata dal l’ASB Katholiek Forum.
La chiesa di Kuttekoven è in pessimo stato, come si può vedere dall’immagine, e non viene usata normalmente per scopi liturgici. Ma comunque non è stata ancora sconsacrata; e anche se la sorte di molte chiese in Belgio è soggetta a cambi di destinazione d’uso impressionanti, da supermercato a palestra, il fatto che l’edificio religioso abbia ancora il suo carattere sacro ha esacerbato i sentimenti dei fedeli. Secondo il Katholiek Forum, si tratta di "un’immagine satanica, e di un insulto disgustoso a Dio e al cattolicesimo”.
Il gruppo che si è ritrovato a pregare era munito di rosari, di una croce, e di un cartello, diretto all’autore dell’opera e al vescovo, mons. Patrick Hoogmartens, che riportava questa scritta: "Fermate la blasfemia e l’arte degenerata. Pregate per la riabilitazione”. "Siamo delusi da Patrick Hoohmartens – ha dichiarato Dries Goethals, direttore del Katholiek Forum. "Non ha fatto niente contro questa sedicente opera d’arte perché vuole evitare il conflitto. È terrorizzato dai media. Per questo noi siamo venuti a pregare qui, perché il cattolicesimo è disonorato”. L’autore dell’opera era presente, e ha detto al gruppetto: "Sono contento che voi siate venuti, ciascuno ha il diritto ad avere la sua opinione”. Secondo lui l’opera non vuole essere un insulto al cattolicesimo, ma fa riferimento allo spreco che avviene nella nostra società.  Sarà, ma ancora una volta, come in altri, troppi, episodi, è sempre la religione cristiana che offre spunti e materiale per le provocazioni. Stranamente altre fedi, forse oggetto di fede da persone più suscettibili e, pronte a dimostrare la loro suscettibilità non solo a parole, non ispirano nello stesso modo gli artisti. Misteri della creazione artistica. Il Katholiek forum conta qualche decina di membri, di cui una cinquantina nelle Fiandre, e gli altri in Olanda.
22/11/2017 fonte: L.N.B.Q

In San Pietro esequie del card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo


di Amedeo Lomonaco
Il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo "era sostenuto dalla consapevolezza che il tramonto della scena di questo mondo, coincide con l’entrata nella gioia eterna del Signore”. E’ quanto ha affermato il cardinale Giovanni Battista Re, vice-decano del Collegio cardinalizio, celebrando stamani, nella Basilica di San Pietro, le esequie del porporato, morto domenica scorso all’età di 92 anni. Papa Francesco ha presieduto il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio.
Di antica famiglia patrizia piemontese
Il vice-decano del Collegio cardinalizio ha ricordato che il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo "apparteneva ad una antica famiglia patrizia piemontese, per generazioni a servizio dei Savoia”:
"Andrea di Montezemolo era nato a Torino, figlio della medaglia d’oro colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, fucilato a Roma alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944, nella disumana rappresaglia nazista per l’attentato di via Rasella. Da alcune settimane il colonnello Giuseppe di Montezemolo era stato arrestato dalla SS tedesche perché era il capo del Fronte militare clandestino di Roma e rinchiuso nel carcere di via Tasso. Il cardinale aveva 19 anni quando questa enorme tragedia colpì lui e la sua famiglia, la quale solo alcune settimane dopo venne a conoscenza della drammatica notizia. La madre del cardinale, Amalaia Dematteis, fu uditrice laica durante il Concilio Vaticano II”.
Nunzio apostolico in diversi Paesi
Il cardinale Giovanni Battista Re si è soffermato sulla vita del porporato. Dopo la laurea in architettura - ha ricordato il cardinale Re - Andrea di Montezemolo è entrato nel Collegio Capranica e nel marzo del 1954 fu ordinato sacerdote. Ha svolto la missione di nunzio apostolico in diversi Paesi:
"Negli anni in cui fu in Terra Santa come delegato apostolico per Gerusalemme e la Palestina, mons. Andrea di Montezemolo fu l’artefice dei negoziati, che portarono alla firma del noto ‘Accordo fondamentale’ della Santa Sede con le autorità israeliane, nel quale fu riconosciuta la natura unica delle relazioni tra Chiesa cattolica e il popolo ebraico, gettando le basi per i rapporti diplomatici fra la Santa Sede e lo Stato di Israele. Fu così che egli divenne il primo nunzio apostolico in Israele”.
Arciprete della Basilica di San Paolo fuori le mura
Il cardinale Giovanni Battista Re ha infine ricordato che il cardinale Andrea di Montezemolo, nel 2005, fu nominato arciprete della Basilica di San Paolo fuori le mura:
"In tale incarico, egli lavorò con instancabile dedizione per il buon svolgimento dell’Anno paolino, inaugurato nel giugno del 2008”.
Promosse un’indagine scientifica all’interno del sarcofago tradizionalmente ritenuto di San Paolo. L’accurato esame - ha concluso il cardinale Re – "confermò trattarsi effettivamente della tomba dell’Apostolo della genti”.
22/11/2017 fonte: Radio vaticana

Le famiglie chiedono alla scuola il consenso informato


 Gandolfini
Il fronte scolastico è sicuramente il campo in cui si sta giocando lo spezzone più decisivo della partita sul primato e la libertà educativa della famiglia. Sono tutte rivolte agli studenti le principali strategie tese alla destrutturazione di quelli che vengono definiti "stereotipi” ma che in realtà non sono altro che le identità biologiche e antropologiche degli alunni.
Questo la sanno molto bene le realtà pro family italiane che, infatti, hanno dedicato un intero Family day, quello del giugno 2015, per denunciare la diffusione della teoria gender nelle scuole, quella che Papa Francesco ha definito una vera e propria "colonizzazione ideologica”. Nell’ultimo anno le sigle aderenti a Comitato difendiamo i nostri figli guidato da Massimo Gandolfini sono riuscite ad aprire un canale di dialogo con il Ministero della pubblica Istruzione riuscendo a modificare le linee guida nazionali per l'attuazione del comma 16 della riforma della scuola (legge 107 del 2015) per la promozione dell'educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere, presentate lo scorso 27 ottobre. Il nuovo testo, come descritto nei dettagli anche dalla Nuova Bq, presenta sicuramente dei notevoli miglioramenti, voluti proprio dalle associazioni pro family, rispetto a quello circolato in via ufficiosa nell’estate del 2016 e che causò forti contestazioni che portarono l’allora ministro Stefania Giannini a sospenderne la stesura.
In pratica nelle nuove linee guida i riferimenti al genere vanno intesi nell’ambito della differenza sessuale tra maschile e femminile, non solo, ma si specifica chiaramente che "tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo le ideologie gender”. Resta invece tutta una parte fortemente permeata dal pensiero femminista storico che mette in contrapposizione i due sessi, puntando il dito contro la tradizione occidentale.
Ad ogni mondo Gandolfini e il Family day hanno espresso una moderata soddisfazione soprattutto alla luce delle note posizioni del governo e di questa maggioranza di centro sinistra sul tema della famiglia e l’educazione dei bambini. Tuttavia nessuno si illude che il contrasto al gender nelle scuole sia terminato, poiché le cronache di tutti i giorni confermano che le suddette linee guida possono essere aggirate dalle iniziative delle istituzioni locali e dei singoli Istituti, che godono di ampia autonomia soprattutto per quanto riguarda i programmi extracurriculari. Ad incidere possono essere persino le sensibilità dei professori che trattano determinati temi.
Per questo motivo gli sforzi di coloro che hanno portato avanti la buona causa sono ora concentrati sul rinnovo del patto educativo di corresponsabilità (Pec) che, probabilmente, sarà presentato il 21 novembre. La organizzazioni pro life chiedono che questo documento formalizzi lo strumento del consenso preventivo informato, per rendere concreto quanto pronunciato in linea teorica nelle linee guida e per rilanciare una vera alleanza scuola-famiglia. Le associazioni del Family day sono inoltre consapevoli che l’obbligatorietà del consenso informato va intesa solo come una tappa, come è stato fatto giustamente notare anche pagine di questa testata.  I genitori che vogliono costruttivamente implicarsi sono consapevoli del loro essere corresponsabili del processo educativo, sanno bene che non si tratta di mettere al riparo i propri figli e poi disinteressarsi del clima culturale-educativo che si respira nella scuola.
Di questo clima, tutti restano responsabili e tutti sono chiamati ad offrire pazientemente il loro costruttivo apporto, mettendosi in gioco, nelle innumerevoli e  particolari realtà delle scuole, maturando la consapevolezza dei loro diritti e la capacità di partecipare  nella scuola e sensibilizzando in questo modo anche genitori meno attenti. Per questo motivo le associazioni continueranno a svolgere il loro lavoro in una strategia complessa fatta da più elementi e da portare avanti sempre in parallelo: sia con il lavoro di sostegno ai diritti dei genitori e promozione della libertà di educazione sia con quello di sensibilizzazione contro l'infiltrazione dell' ideologia gender nella scuola. Gli attivisti impegnati sui tavoli con il Miur sono altresì convinti che bisogna inoltre promuovere progetti di educazione affettiva e contro le discriminazioni davvero fondati e condivisi. Lavoro paziente, certamente a medio-lungo termine, ma che non può esonerare dall’esigere nell’immediato, quelle misure che sono rese necessarie dalle attuali pressioni, messe in atto da chi vorrebbe sbrigativamente operare senza il consenso dei genitori.
Quello che sta emergendo in questi giorni è la possibilità che il Ministero riconosca una formale adesione da parte delle famiglie per le attività extra curriculari pomeridiane, dando per scontata la loro adesione a quelle svolte al mattino nelle ore curriculari. Il problema sta nella quota facoltativa del 20% delle attività didattiche di ogni insegnate. In questa parte di lezioni, svolte in orario scolastico, potrebbero insinuarsi progetti controversi non condivisi e abusi educativi. Quindi se sulle materie extracurricolari si ottenuto molto resta tutto da vedere sui margini di discrezionalità che saranno dati ai genitori sulle attività curriculari.
Intanto, però, i genitori devono chiedere tutte le informazione avendone ogni diritto, a cominciare dal Ptof (piano triennale dell’offerta formativa) della scuola che frequentano i loro figli, ovvero il piano triennale dell’offerta formativa, e devono interessarsi anche di tutti i progetti che vengono inseriti successivamente alla definizione del Ptof. Le esperienze pregresse ci dicono infatti che anche una sola famiglia è in grado di bloccare progetti non condivisi. Fatto sta che le stesse associazioni Lgbt si lamentano di dirigenti scolastici che annullano progetti alle prime rimostranze di poche famiglie. Insomma è necessario che i genitori prendano coscienza del loro ruolo e iniziano a far sentire alta la loro voce.

22/11/2017 fonte L.N.B.Q

Conquista islamica in atto: i dati che confermano Wojtyla


 La nuova moschea di Colonia
La visione di Giovanni Paolo II relativa alla conquista islamica dell’Europa è realistica? Un dibattito sembra aprirsi su questo tema fra chi vede la concreta possibilità dell’avverarsi di questo messaggio e chi invece sembra più preoccupato delle ricadute – sul breve termine – di carattere politico, in Italia e altrove; e probabilmente non può non percepire l’incongruenza fra questo messaggio, e questo rischio, con la politica di immigrazione ossessiva praticata, e predicata da alcun settori della Chiesa contemporanea.
E mentre si discute, il sito spagnolo Actuall entra, involontariamente, nella discussione pubblicando un interessante inchiesta sullo stato della Chiesa cattolica tedesca, e sulla sua progressiva sostituzione da parte dell’islam.
"I dati dell’indebolimento cattolico pubblicati dalla Conferenza episcopale tedesca mostrano che ‘la fede si è svaporata’, come ha detto il cardinale Friedrich Wetter”, scrive Actuall. I dati sono drammatici: centinaia di migliaia di fedeli abbandonano la Chiesa cattolica, mentre solo qualche migliaio chiede di entrare a farne parte. Non dimentichiamo che in Germania la dichiarazione di appartenenza a una fede si paga nella cartella delle tasse, e quindi certamente anche questo elemento ha un suo ruolo; però… Le vocazioni sacerdotali stanno scomparendo (e questo spiega l’interesse dei vescovi tedeschi per la questione dei Viri Probati). A Monaco di Baviera, una volta la sorgente del cattolicesimo tedesco, ci sono 37 seminaristi a fronte di un milione e settecentomila cattolici. Negli Stati Uniti, per fare un paragone, la proporzione è di 49 seminaristi ogni 96 mila cattolici.
I dati resi noti si riferiscono all’anno scorso, al 2016. E in quei dodici mesi 162.093 persone hanno abbandonato. Sono state chiuse 537 parrocchie. È un’emorragia che non sembra volersi fermare: dal 1996 ad oggi un quarto delle comunità cattoliche hanno chiuso i battenti. Ci sono esempi drammatici. Nella diocesi di Trier, culla della comunità cattolica più antica, e città in cui ha avuto i suoi natali Karl Marx (non il cardinale, il filosofo), nel giro di tre anni le parrocchie passeranno da 903 a 35. A Essen su 259 parrocchie ne sono rimaste aperte 43.
Del fenomeno si è occupato anche Die Welt, e le previsioni del giornale sono queste: nei prossimi venti anni i cristiani – cattolici e di altre confessioni – si trasformeranno in una minoranza. Attualmente il 60 per cento della popolazione è nominalmente cristiano; ma questa cifra diminuisce in maniera rapida. I 24 milioni di cattolici e i 23 milioni di protestanti perdono, per varie ragioni, ogni anno circa 500 mila unità. Die Zeit ha reso noto che nel 2016 sono venuti a mancare 340mila protestanti, e ci sono stati solo 180mila battesimi. Le uscite volontarie dalle confessioni protestanti tradizionali sono arrivate a 190mila, in quel periodo, contro 25mila nuovi adepti.
Il panorama religioso tedesco vedrà dunque nell’immediato futuro una maggioranza di atei o agnostici, e due religioni minoritarie, cristianesimo e islam, di cui la seconda però, a differenza della prima è in rapida espansione, ed è determinata a far sentire la sua voce e a cercare di stabilire, per le sue caratteristiche, qualche forma di supremazia. La demografia c’entra, e non poco. Secondo Conrad Hackett, che ha guidato per il PEW Forum un’inchiesta qualche mese fa, "Il cristianesimo sta letteralmente morendo in Europa”. Dal 2010 al 2015 i cristiani morti hanno superato di sei milioni le nuove nascite. Un milione e 400 mila solo in Germania.
Un architetto tedesco, Joaquim Renig, ha detto al giornale cattolico Tagespost che per integrare la comunità islamica bisognerebbe demolire le chiese e sostituirle con "moschee più visibili”. Negli anni ’80 moschee e sale di orazione erano circa 700; adesso sono più di 2500. La Turchia finanziato la costruzione di una mega-moschea a Colonia, capace di ospitare milleduecento fedeli; e ha il minareto più alto d’Europa. Che ormai gareggia nel panorama con le torri campanarie della famosissima cattedrale. La Turchia controlla 900 moschee nel Paese. Ma tutto questo sta creando una reazione: secondo il Gatestone Institute, il 57 per cento dei tedeschi teme la crescita dell’islam. Secondo quanto ha dichiarato Erdogan, "I nostri minareti sono le nostre baionette, le nostre cupole sono i nostri caschi, le nostre moschee sono le nostre caserme”. E anche l’Arabia Saudita si è fatta avanti, proponendo di costruire 200 nuove moschee. Però ci sono nella Chiesa quelli che accusano di essere i nuovi crociati coloro che segnalano il problema…
D’altronde anche nel campo progressista della Chiesa di tanto in tanto si leva quale voce preoccupata. Non più tardi dell’11 settembre scorso il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e uno dei porporati più ammirati dal Pontefice regnante, ha ammonito l’Europa perché rischia di perdere la sua "eredità cristiana” e ha ipotizzato il pericolo che nel suo futuro ci possa essere "una conquista islamica”.
Il cardinale, che certamente non può essere definito un jihadista cattolico, parlava nella cattedrale di Vienna, in occasione della festa che commemora la vittoria decisiva della coalizione cristiana sull’esercito dell’Impero ottomano nell’assedio della città nel 1683.
"In questo giorno, 333 anni fa, Vienna fu salvata”, ha detto. "Ci sarà adesso un terzo tentativo di una conquista islamica dell’Europa? Molti musulmani pensano così, e lo desiderano, e dicono: questa Europa è alla fine”.
Christoph Schönborn ha poi continuato: "Credo che dobbiamo chiedere per l’Europa quello che Mosè ha fatto, nella lettura di oggi, per il suo figlio più giovane: Signore, dacci un’altra possibilità! Non dimenticare che siamo il tuo popolo, come Mosè Gli ricorda: Essi sono il tuo popolo, li hai guidati tu fuori, li hai santificati, sono il tuo popolo”.
Ha poi concluso la sua omelia con parole certamente commoventi: "…abbi pietà dei tuoi eredi, abbi pietà del tuo popolo, dell’Europa che è sul punto di abbandonare la sua eredità cristiana! Abbi pietà di noi e innalzaci di nuovo, per la gloria del tuo nome e come una benedizione per il mondo”.
L’11 settembre 1683 il re polacco Giovanni Sobieski III, comandante supremo della coalizione, guidò una carica famosa di diciottomila uomini, gli "ussari alati” contro le linee turche, in quella che è considerata da alcuni la più grande carica di cavalleria della storia. La vittoria della coalizione sugli assedianti turchi da parte di polacchi, austriaci, bavaresi, sassoni veneziani e altri segnò la fine dell’espansione dell’Impero ottomano verso occidente. Sobieski, prima della battaglia, affidò il suo regno alla Madonna di Czestochowa.
E ci sono voci pessimiste anche in Francia. Nell’arco di quaranta anni, in base alle tendenze demografiche attuali, la popolazione originaria in Francia e in altri Paesi d’Europa diminuirà in maniera così consistente che si avrà una maggioranza musulmana. È la conclusione – naturalmente passibile di dibattito e di dissenso, come sempre in questi casi di proiezioni a lungo termine – di uno studioso ed economista francese, Charles Gave, che l’ha pubblicata sul sito del suo think tank, Libertés. Gave parla di una graduale "sparizione delle popolazioni europee”, a fronte di un robusto tasso di nascite dei musulmani. Secondo lo studioso "La grande, immensa notizia dei prossimi trenta o quaranta anni sarà così la sparizione delle popolazioni europee, i cui antenati hanno creato il mondo moderno. E con queste popolazioni spariranno le diverse e complementari nazioni europee che hanno permesso l’immenso successo del vecchio continente per almeno cinque secoli”.

22/11/2017 fonte: la nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 08/04/2017 Santa Giulia Billiart, Vergin



Leggere la vita di santa Giulia, sembra di leggere la vita di altre sante o beate fondatrici anch’esse di Congregazioni religiose, tanto gli episodi salienti sono quasi uguali. Nacque il 12 luglio 1751 da una famiglia agiata a Cuvilly (Francia), sedici anni dopo, la miseria colpì la famiglia e quindi Giulia fu costretta a lavorare anche con lavori manuali pesanti. 
A ventidue anni, fu colpita dalla paralisi alle gambe, pur in quelle condizioni, sotto la guida del suo parroco, si dedicò alle pratiche di pietà e all’insegnamento del catechismo ai bambini. Costretta alla fuga, durante la Rivoluzione Francese, perché accusata di nascondere dei sacerdoti restii alle nuove norme civili, si diresse ad Amiens, dove incontrò padre Varin, superiore dei Padri della Fede, il quale la convinse a fondare un’organizzazione dedita all’educazione cristiana delle fanciulle. 
Cominciò nel 1803 la vita in comune con alcune compagne, pronunciando i voti nel 1804, anno in cui avvenne la miracolosa guarigione delle sue gambe. Superiora nel 1805, allargò la sua opera fondando scuole dappertutto in Francia e Belgio, nel 1809 il vescovo di Amiens, dando credito a voci calunniose su di lei, ordinò che lasciasse la sua Casa, ma tutta la Comunità la seguì e si istallarono a Namur in Belgio, sotto la protezione del locale vescovo; nel frattempo cambiarono il nome in "Suore di Nostra Signora di Namur”. 
Pur essendo d’istruzione limitata, seppe diffondere le sue fondazioni in Belgio, formando anche schiere di maestre. Fervente devota al Sacro Cuore ebbe anche il dono di estasi e miracoli, morì a Namur l’8 aprile 1816. Beatificata da s. Pio X il 13 maggio 1906 e dopo il riconoscimento di due miracoli avvenuti uno in Belgio e l’altro in Brasile è stata canonizzata il 22 giugno 1969 da papa Paolo VI.

Incontro dell’Arcivescovo S.E. Mons. Henryk Hoser, Inviato Speciale della Santa Sede per Medjugorje, con i giornalisti. Medjugorje,


           «Signore e Signori, buongiorno.

           All’inizio devo dare qualche spiegazione e qualche giustificazione. Il quadro della mia missione è stato definito dalla Santa Sede: si tratta, come abbiamo appena sentito, di esaminare lo stato della pastorale dei pellegrini a Medjugorje. Questa è la mia prima visita a Medjugorje: sono arrivato senza conoscere la situazione sul posto, ma sapendo al contempo che si trattava di un luogo di pellegrinaggio a livello internazionale. Mi servo della lingua francese, perché essa è stata per molto tempo, e rimane ancora, una lingua diplomatica.

         Senza dubbio voi attendete di sapere da me le mie impressioni, le mie conclusioni. La prima cosa che vorrei sottolineare è il fatto essenziale che, in passato, Medjugorje non era conosciuta nel mondo. Era una piccola località sperduta da qualche parte tra le montagne, come il nome stesso — Medjugorje — indica. Ora Medjugorje è conosciuta nel mondo intero, e bisogna anche sapere che vi si recano pellegrini provenienti da ottanta paesi del mondo. Dal punto di vista dell’importanza di questo luogo di pellegrinaggio, esso può essere paragonato ad altri posti. Ad esempio, se a Medjugorje vengono due milioni e mezzo di pellegrini all’anno, a Lourdes ne vanno sei milioni, ma Lourdes esiste da più di centocinquanta anni. Medjugorje ha solo trentasei anni d’anzianità. E’ tempo di fare un primo bilancio, una prima valutazione, che è molto importante per lo sviluppo futuro di questo luogo.  

         Allora, perché tanta gente viene qui? Da un lato, chi viene ha senza dubbio sentito parlare di quelle che vengono chiamate "le apparizioni di Medjugorje”, che hanno avuto luogo per la prima volta nel 1981. D’altra parte, coloro che vengono qui scoprono qualcosa di eccezionale. La prima cosa è l’ambiente, l’atmosfera, che è di pace e pacificazione, come pure di pace interiore, di pacificazione del cuore. Essi scoprono pure un grande spazio di spiritualità profonda. Riscoprono, o scoprono per la prima volta nella loro vita, cosa sia il senso del sacro. A Medjugorje essi incontrano sia tempi sacri che spazi sacri. "Sacro” significa riservato in modo particolare alla divinità. 

           Comunemente si dice che Medjugorje è un luogo di culto mariano, ed è vero. Ma, se andiamo in profondità, vediamo che a Medjugorje il culto è essenzialmente cristocentrico, perché ha al centro la celebrazione dell’Eucaristia, la trasmissione della Parola di Dio e l’adorazione del Santissimo Sacramento, durante la quale si scopre che esso è la presenza reale di Gesù Cristo, nella sua divinità ed umanità. Alcuni scoprono la recita del Rosario, che in fondo è una preghiera di meditazione sui misteri della nostra fede. Infine, facendo la Via Crucis, essi entrano nel mistero pasquale, ossia nel mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. Termino questo panorama con un accento più marcato riguardo al Sacramento del Perdono, la Confessione personale e personalizzata. 

           Dal punto di vista religioso, Medjugorje è un terreno molto fertile. In questi anni sono state enumerate seicentodieci vocazioni religiose e sacerdotali d’ispirazione medjugorjana: le più numerose sono in Italia, negli Stati Uniti ed in Germania. Tenendo presente l’attuale crisi di vocazioni, soprattutto in paesi di antica cristianità come l’Europa occidentale, questo fatto ci pare qualcosa di nuovo e, a volte, sconvolgente. 

           Considerando il numero di Comunioni distribuite — perché è quella l’unica possibilità di contare i pellegrini, anche se naturalmente con un certo margine d’errore — possiamo dire che, negli anni passati, dal 1986 al 2016, sono stati distribuiti trentasette milioni di Comunioni. Il numero di pellegrini è però più grande, perché non tutti accedono alla Comunione.  

          Nella valutazione della situazione di Medjugorje, vanno distinti tre ambiti. 

           Il primo ambito è la parrocchia, che esiste da molto tempo. Essa serve i parrocchiani che sono qui, che abitano qui sul posto ed il cui numero, nei dieci anni passati, è aumentato di un migliaio di unità o forse anche di più. Questa parrocchia — che ha la sua storia e che, negli anni trenta del secolo scorso, ha costruito la croce che sovrasta Medjugorje — è stata il terreno in cui è stato accolto l’odierno fenomeno di Medjugorje. In questa storia parrocchiale s’iscrive anche quella particolare e personale di quelli che vengono chiamati "veggenti”. 

           Un secondo circolo, un secondo ambito, sono i pellegrini, che, come ho appena detto, arrivano anche alla cifra di 2.500.000 all’anno. Questo numero tende ad aumentare, e questa è evidentemente una sfida enorme per i pastori che servono questo luogo. Tale fenomeno ha inoltre causato il potenziamento delle attuali strutture, che devono chiaramente rispondere alle necessità dei pellegrini: esse comprendono questa sala, la Cappella dell’Adorazione e lo spazio per la celebrazione di Messe all’aperto. Si tratta, dunque, di alcuni elementi che sono giustamente stati aggiunti in considerazione dell’arrivo dei pellegrini. D’altra parte, abbiamo anche visto lo sviluppo della cittadina: ci sono sempre più alberghi, ristoranti, esercizi commerciali, cosa che mi fa già pensare ad una piccola Lourdes. Non è risaputo il fatto che Lourdes è la seconda città per numero di alberghi in Francia dopo Parigi. Potrebbe essere questo anche il futuro di Medjugorje in rapporto a Sarajevo. Dunque, la popolazione aumenta, e quindi aumenta pure la capacità di accoglienza dei pellegrini.

           Abbiamo però anche un terzo ambito: a Medjugorje si sono insediate delle comunità, delle associazioni, delle opere sociali e caritative che vengono sommariamente stimate in una trentina. Ve ne sono alcune che si sono stabilite qui perché ispirate a Medjugorje o perché hanno qui le proprie radici, ma ve ne sono anche altre che sono venute da altri paesi: che sono cioè state create altrove, ma poi si sono stabilite qui per vivere questa atmosfera e questo fenomeno di Medjugorje.

           Qui evidentemente vi sono anche delle creazioni originali, e vorrei menzionare soprattutto l’opera caritativa creata dai padri francescani: il "Villaggio della Madre”. Vale la pena di visitarlo, se vi interessa, perché è costruito con l’idea di accompagnare le vite delle persone, e in special modo quelle difficoltose, in tutti i loro stadi: gli orfani, i giovani, in difficoltà, le persone dipendenti dalla droga, dall’alcool o da altri condizionamenti dello stesso tipo, i disabili. Anche questa è un’espressione di quella carità attiva intimamente legata alla fede cristiana. Ma vi è anche un’altra opera molto importante, anch’essa creata dai padri francescani, chiamata "Domus Pacis”, ossia una casa per ritiri in silenzio. Si stima che già vi siano passati 1.200 gruppi, per un totale di più di 42.000 partecipanti. Questo genere di ritiri e di seminari trasforma le persone dall’interno.

           Anche i seminari sono un’altra invenzione pastorale della parrocchia di Medjugorje. Sono annuali, ossia vengono tenuti una volta l’anno. Da ventitré anni esiste già un seminario aperto a tutti; da ventuno anni vi è un seminario destinato unicamente ai sacerdoti ed alla loro formazione; da diciassette anni ci sono seminari riservati alle coppie, e da quattro è iniziato un nuovo tipo di seminario, rivolto a medici e paramedici. L’anno scorso è stato inoltre organizzato, per la prima volta, un seminario a favore della vita umana. Ce n’è, infine, anche uno per disabili. Questo panorama mostra l’intensità della vita cristiana qui a Medjugorje, che rappresenta in certo modo un modello che potrebbe essere seguito anche altrove.

         L’offerta dei Santuari nel mondo di oggi è di tale portata che Papa Francesco ha trasferito la problematica dei Santuari dalla Congregazione per il Clero alla Congregazione per la Nuova Evangelizzazione. La gente qui riceve ciò che non ha nel luogo in cui vive. In molti dei nostri paesi di antica cristianità la Confessione individuale non esiste più. In molti paesi non c’è l’Adorazione del Santissimo Sacramento. In molti paesi non si conosce più la Via Crucis ed il Rosario non viene recitato. Nella Bretagna francese, una volta mi è stato detto che l’ultima Via Crucis era stata pregata trenta anni prima. Un tale inaridimento dell’ambito spirituale e del sacro porta, evidentemente, a una crisi di fede generalizzata.

           Qui la gente arriva alla sorgente, sazia la sua sete del sacro: la sua sete di Dio, di preghiera, che viene riscoperta come contatto diretto con Dio. Direi che la gente qui sente la presenza del divino anche per mezzo della Santa Vergine Maria. 

           A Medjugorje viene accentuato il titolo mariano di "Regina della pace”. Direi che questa non è una novità, perché nel mondo intero vi sono chiese dedicate alla Regina della pace. Se però noi guardiamo il contesto mondiale della nostra vita di oggi, vediamo ciò che Papa Francesco definisce "la terza guerra mondiale a pezzi”, ossia in frammenti e sotto le forme più crudeli e che causano più ferite, ovvero le guerre civili. Voi, che abitate nei Balcani, avete vissuto una guerra civile non molto tempo fa. Io ho vissuto il genocidio in Ruanda. Tutto quello che ora vedete accadere in Siria, nel Vicino Oriente, è la distruzione dei paesi di più antica cristianità, anche facendo ricorso alle armi chimiche: questo è il paesaggio che vediamo oggi dinanzi a noi. Quanti conflitti politici in ciascun paese! Dunque, il ricorso a nostra Signora della Pace è, a mio avviso, essenziale. Qui il ruolo specifico di Medjugorje è estremamente importante.

        Voi, cari amici, dovreste essere i portatori della Buona Novella: dite al mondo che a Medjugorje si ritrova la luce. Perché abbiamo bisogno di punti di forte luce, in un mondo che sta cadendo nell’oscurità. Io vi suggerisco, inoltre, di iscrivervi ai seminari che si svolgono qui, non so a quale, per scoprire quello che ancora non conoscete. Grazie!»

 

Domande e risposte

Danuta Liese, Polonia: «Sarebbe possibile che un sacerdote della Polonia venisse posto stabilmente a servizio dei pellegrini in questa parrocchia? Intendo non solo temporaneamente, come ospite, ma in modo permanente?».

«Penso spetti al Provinciale concordare con le Province polacche l’invio di un sacerdote fisso, come già ve ne sono altri qui».

Sanja Pehar, Radio MIR Medjugorje: «Eccellenza, per l’esperienza che ha avuto in questi giorni, dove vede Medjugorje all’interno della nuova evangelizzazione, che sappiamo la Chiesa sottolinea oggi così fortemente?».

«Io credo che Medjugorje già si trovi nella linea della nuova evangelizzazione, lo provano le cifre che ho appena citato. La dinamica crescente della presenza dei pellegrini qui sta a significare che anche le loro necessità sono in aumento».

Ivica Đuzel, HRT: «Ho trovato in rete un dato secondo cui lei avrebbe già parlato con i veggenti. Che impressione le hanno lasciato?».

«E’ vero che un contatto con i "veggenti” era iscritto nella mia missione, ma non un incontro molto approfondito, poiché questa è materia di competenza della Commissione dottrinale presieduta dal Card. Ruini. I "veggenti” sono andati in Vaticano appunto per presentare la loro storia, queste esperienze, eccetera. Con i "veggenti” che ho visto, ho avuto l’impressione di un contatto normale, molto diretto. Non dobbiamo dimenticare che non sono più ragazzi e ragazze: alcune di loro sono già nonne! Per approcciarsi al loro ruolo, bisogna anche tener presente che sono immersi in una normale vita familiare e professionale. Devono provvedere alla vita dei loro figli, e sono quindi vicini alle preoccupazioni di tutti noi. Alcuni sono malati, altri cercano di provvedere alla loro vita, eccetera. Hanno quindi, direi, una vita normale e, stando a ciò che dicono, hanno avuto il privilegio di queste "apparizioni”, che hanno interiorizzato. Non è mio compito pronunciarmi sulla veridicità o non veridicità delle "apparizioni”. La Chiesa non si è ancora pronunciata.

Ivan Ugrin, Slobodna Dalmacija: «Arcivescovo Hoser, penso che il fatto che lei oggi sia qui con noi sia per noi tutti un grande onore. Una volta, in un messaggio, la Madonna ha detto di essere venuta qui per continuare l’opera iniziata a Fatima…».

«Lei può leggere la storia delle apparizioni riconosciute in successione. Potrei citare, ad esempio, quelle di La Salette, avvenute a metà del XVII secolo, o quelle a Rue du Bac; quelle di Lourdes, di Fatima, di Banneux in Belgio, nell’anno della ascesa al potere di Hitler. O anche quelle di Guadalupe nell’America del Sud, in occasione della colonizzazione degli Indiani d’America. Tutte queste apparizioni hanno un denominatore comune, ossia il fatto che la Santa Vergine invita alla conversione, ad abbandonare la vita di peccato. In esse ella mostra anche le sfide di ogni epoca. Vorrei terminare questa risposta citando le apparizioni di Kibeho. Ho vissuto io stesso ventuno anni in Ruanda ed ho partecipato alla Commissione medica sulle apparizioni, cominciate un anno dopo rispetto a quelle di Medjugorje. Là la Santa Vergine aveva già mostrato lo spettro del genocidio, che si sarebbe poi verificato dodici anni dopo. Anche quello era un avvertimento. Il messaggio è simile a quello che viene riferito qui a Medjugorje: un invito alla conversione, alla pace. Le apparizioni di Kibeho sono state riconosciute dalla Chiesa. Io direi perciò che si tratta di due località "sorelle”, sia per contesto storico che per vicinanza temporale, visto che tra le due vi è soltanto un anno di differenza. All’inizio, anche là ci sono stati evidentemente molti dubbi sulla veridicità dei veggenti e sul fatto che potessero anche inventare delle storie: alcuni di loro sono stati poi esclusi dal numero dei veggenti riconosciuti. Perciò vi invito alla pazienza, perché chiaramente più il problema è complesso, più necessita di tempo per giungere a conclusioni davvero valide».

Paolo Brosio, Mediaset Mondadori: «Mons. Hoser, io la ringrazio per quello che lei ha detto per questo luogo, che mi ha ridato la vita. Quando ho visto la sua foto sul Podbrdo, sotto la statua della Madonna, sono scoppiato a piangere dalla gioia. Ho cercato di divulgare questo in tutta Italia e, dalle prime sue interviste, ho capito cosa pensava di questo luogo benedetto. Le chiedo: da indiscrezioni trapelate in Italia, si sa che il Card. Ruini, dopo tre anni e mezzo, avrebbe terminato la Commissione Internazionale d’Inchiesta stabilendo la veridicità dei primi anni di queste apparizioni a Medjugorje. Io le chiedo: cosa pensa lei di queste conclusioni e, se lei ha letto il Dossier della Commissione Internazionale d’Inchiesta, cosa ne pensa?».

«Purtroppo io non ho letto il materiale di detta Commissione, perché non è stato pubblicato. Può essere che, dopo il mio ritorno in Vaticano, io possa avervi accesso o almeno parlare col Card. Ruini ma, per adesso, non posso dire nulla. La mia missione non consiste soltanto nell’interrogare le persone che lavorano qui, che sono responsabili o meno della situazione, ma anche nel visitare i luoghi di pellegrinaggio. Ed è precisamente questo il motivo per cui ho affrontato il non semplice cammino che porta alla statua della Santa Vergine. Si tratta di un luogo che merita la presenza di tutti, per il fatto stesso che là vi sia una statua della Santa Vergine. Lassù ho incontrato un gruppo di pellegrini polacchi ed ho rivolto loro qualche parola sul culto mariano. La stampa però poi ha cominciato subito a dire che io avevo condotto lassù un gruppo di pellegrini: non è vero».

Darko Pavičić, Večernji list: «Reverendissimo Arcivescovo, ogni volta che lei ha parlato degli eventi di Medjugorje ha fatto riferimento ad "apparizioni” e non a "presunte apparizioni”. Lei crede che qui si tratti davvero di apparizioni? Di cosa ha parlato con Ratko Perić, il Vescovo di Mostar, che non ci crede e le contesta? Grazie molte».

«Evidentemente io sospendo il mio giudizio, perché non conosco tutti i dettagli e non conosco il gigantesco lavoro fatto dalla Commissione Ruini. Se parlo di "apparizioni”, lo faccio per il semplice motivo che qui si utilizza questa espressione. Io lo dico "tra virgolette” solo che, mentre parlo, le virgolette non si possono vedere. Attendo come voi il verdetto finale di detta Commissione, e soprattutto quello del Papa, che si pronuncerà».

Ivan Pavković, Al Jazeera: «Cosa pensa davvero il Papa su Medjugorje: sulle apparizioni e su questi frutti di cui lei parla?».

«Come si dice, è una bella domanda! Io però evidentemente non so cosa ne pensi il Papa, lui non me l’ha mai detto. Dunque anche qui bisogna attendere, perché evidentemente il Papa prende in considerazione tutto il materiale riguardante le ricerche ed il lavoro svolto. Io credo, però, che anche il fatto che Medjugorje sia un luogo così importante nella prospettiva della nuova evangelizzazione avrà in qualche modo il suo peso nel giudizio finale. Non ho detto nel giudizio "ultimo”, ma "finale”».

Ines Grbić, Laudato TV: «In una dichiarazione da lei fatta nell’imminenza del suo arrivo a Medjugorje, ha detto che qui dovrà svolgere la sua missione in condizioni del tutto diverse ed in modo differente. Mi interesserebbe sapere quali siano queste "condizioni” e quale sia questo "modo”, che sono differenti dal lavoro da lei svolto finora. Lei ha anche detto che queste "apparizioni mariane” sono significativamente differenti dalle precedenti. Cos’è che in esse è specificatamente diverso?».

«Lei avrà certamente notato, Signora, la specificità di queste "apparizioni”, che direi hanno un nuovo formato rispetto a quelle del passato. Anzitutto la durata di quelle che vengono chiamale le "apparizioni di Medjugorje”, che già stanno per superare i trentasei anni. I "veggenti” di Medjugorje, per usare un’espressione che cantiamo nel Prefazio della Messa, sono "Sine fine dicentes…”, anche se è vero che, nell’agiografia di certi santi, è presente questo fenomeno, per cui essi hanno avuto apparizioni per tutta la vita. Una seconda specificità è il numero delle apparizioni: c’è chi ha contato circa quarantasettemila apparizioni individuali. Tenendo presente il fatto che ci sono sei veggenti che hanno frequenti apparizioni personali da trentasei anni, forse un tale numero potrebbe essere anche attendibile, non so. Inoltre, si tratta di "apparizioni” non legate al luogo. A Lourdes la Madonna appariva sempre nella grotta, a Fatima sopra un albero. Ma qui, stando ai veggenti, "l’apparizione” segue la persona, per cui ne hanno in casa, in viaggio, o in chiesa, eccetera. Queste sono specificità che fanno difficoltà in rapporto alla pronuncia di un giudizio».

08/04/2017 fonte: Medjugorje .hr

Sacerdote irakeno: La messa delle Palme a Karamles, nella chiesa devastata dall’Isis



Don Paolo racconta con "entusiasmo” e "commozione” la prima celebrazione eucaristica "da tre anni” nella chiesa di Mar Addai. La cittadina della piana di Ninive è stata a lungo nelle mani dello Stato islamico, che ha devastato il luogo di culto. Previste decine di pullman e mezzi privati da Erbil per partecipare alla funzione. In programma la diretta Facebook dell’evento.

 

       
Erbil (AsiaNews) - "Celebreremo la Domenica delle Palme a Karamles, una delle cittadine della piana di Ninive” occupate a lungo e devastate dallo Stato islamico (SI). La funzione si terrà "nella chiesa di Mar Addai, che abbiamo ripulito in questi giorni” (nelle foto) e "sarà trasmessa in diretta su Facebook”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, 41enne sacerdote caldeo di Mosul, che non nasconde il proprio "entusiasmo, ma anche un po’ di commozione” a pochi giorni dalla prima celebrazione nella cittadina cristiana da tre anni a questa parte. "Sarà una festa della comunità - aggiunge - che torna a riunirsi proprio alla vigilia della Pasqua. Una vera e propria risurrezione, ma anche la prima Pasqua di liberazione” da Daesh [acronimo arabo per lo SI, ex Isis].

"Dovrei concelebrare assieme al parroco di Karamles”  racconta il sacerdote caldeo. Da Erbil, prosegue, "è prevista la partenza di almeno 10 pullman, per un numero complessivo di circa 400 persone”. Si tratta di cittadini "originari proprio di Karamles, che vivono ancora oggi nei centri di accoglienza e nelle case prese in affitto” nella capitale del Kurdistan irakeno. A questi si dovrebbero aggiungere "decine di auto private e di persone che si sposteranno con mezzi propri”.

Don Paolo è responsabile del campo profughi "Occhi di Erbil”, alla periferia della capitale del Kurdistan irakeno, dove nel tempo hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di cristiani (insieme a musulmani e yazidi) in seguito all’ascesa dello SI. La struttura ospita ancora oggi 140 famiglie, circa 700 persone in tutto, con 46 mini-appartamenti e un’area per la raccolta e la distribuzione di aiuti. A questo si sono aggiunti un asilo nido per i più piccoli, oltre che una scuola materna e una secondaria. Molti di questi profughi arrivano proprio da Karamles.

"In queste ultime settimane - afferma don Paolo - molti abitanti si recano ogni giorno nella cittadina per sistemare le loro case, per cercare di rendere di nuovo abitabile l’area, anche se al momento non è possibile prevedere una data per il rientro”. A Karamles, aggiunge, "la situazione è ancora difficile. Abbiamo circa 800 case, di cui 200 sono bruciate, poi altre 90 sono andate completamente distrutte; altre centinaia sono danneggiate a vario titolo. La distruzione è dappertutto, anche se in modo e per gradi diversi”.

Per quanto concerne la sicurezza, invece, si può affermare che ora l’area è tranquilla. "L’esercito irakeno è andato via - conferma il sacerdote caldeo - e vi sono alcuni elementi appartenenti alle milizie cristiane che restano a guardia e garantiscono la sicurezza del villaggio”. Persone, perlopiù volontari armati, che "presidiano gli ingressi” a tutela di quanti stanno ricostruendo le proprie abitazioni. Al contempo vi è un rischio, seppur minimo, di mine inesplose piantate nel terreno in periferia e per questo "bisogna essere cauti e fare attenzione”.

La chiesa di Mar Addai è situata nella parte nord della cittadina ed è il luogo di culto più grande e moderno della zona; la costruzione dell’edificio è iniziata nel 1937 e, dopo alcuni ritardi, è stata inaugurata nel 1963. "Sarà davvero una bella festa - sottolinea don Paolo - e un’emozione forte anche a livello personale. Sono tre anni che non celebro messa su quell’altare in cui sono stato ordinato”.

E anche per il villaggio stesso sarà una occasione di rinascita, come spiegherà il sacerdote durante l’omelia. "Come Cristo, anche il nostro villaggio è stato umiliato. Tuttavia, Egli sarà in mezzo a noi, Cristo sarà fra noi in questo villaggio. Dopo tanta sofferenza sarà una messa con un sapore davvero speciale. La celebrazione eucaristica sarà preceduta da una processione per le vie del villaggio, con canti e preghiere tradizionali che vengono recitati una volta all’anno proprio in questa occasione”.

A Karamles vi era inoltre l’abitudine per la Pasqua di benedire le case, i giardini, le vigne. Quest’anno, anticipa don Paolo, "riprenderemo questa antica tradizione e benediremo il villaggio con i rami dei nostri ulivi”. Fra i rifugiati ancora oggi ospitati nei centri di accoglienza e nelle case di Ankawa, sobborgo cristiano di Erbil, si vive un clima di "ansia e trepidazione” in vista della festa. "Quanto ho proposto loro - rivela il sacerdote - il proposito di celebrare la messa delle Palme nella chiesa del villaggio tutti hanno risposto con entusiasmo e partecipazione. Sarà una occasione di gioia, non di tristezza e grande sarà la festa. Stiamo inoltre valutando se effettuare altre celebrazioni della Settimana Santa al villaggio, ma finora non vi sono conferme ufficiali”.

La comunità cristiana del nord dell’Iraq vive un momento di rinnovata speranza, perché vede all’orizzonte spiragli positivi. "Ieri sono stato nella chiesa di Karamles - conclude don Paolo - con una camionetta dei pompieri, per ripulire con gli idranti le parti dell’edificio bruciate dai jihadisti (clicca qui per il filmato). Il fumo ha lasciato segni su molte parti della struttura, alcuni dei quali li abbiamo mantenuti per ricordare la tragedia vissuta. Come la croce di marmo sull’altare, bruciata”.

La mesa della Domenica delle Palme, preceduta dalla processione, inizierà fra le 9.30 e le 10 del mattino ora locale. Al termine gli abitanti si ritroveranno all’esterno dell’edificio per un momento conviviale e di festa. Ciascuna famiglia porterà con sé cibi preparati in precedenza e bevante, che verranno condivisi fra tutta la comunità.

08/04/2017 fonte: Asia News

Umbria: legge sull'omofobia, una sconfitta per tutti

di Marco Guerra

In Umbria passa la prima legge regionale italiana sull’omofobia. Un antipasto locale di quello che potrebbe essere la Scalfarotto, ferma in Senato per i dubbi sollevati persino dalla stessa maggioranza di governo. Il testo votato dal Consiglio regionale umbro lunedì sera prevede una serie di misure volte ad imporre il pensiero unico in ambito lavorativo, scolastico e sanitario. Dall’insegnamento della teoria gender nelle scuole alla promozione di eventi tesi a far conoscere il mondo gay; dall’istituzione di un osservatorio regionale che assurgerà a supremo tribunale dell’inquisizione ad iniziative tese all’inserimento lavorativo dei cittadini lgbt.  Fuori e dentro l’Aula Consiliare uno dei più strenui oppositori di questa legge è stato il consigliere dell’opposizione Sergio De Vincenzi (Lista Ricci presidente). La Nuova Bq lo ha intervistato per capire come nasce una legge liberticida. 

Consigliere De Vincenzi, lei che è stato il più strenuo oppositore della legge 15 bis come si sente all’indomani della sua approvazione? 

Una grande delusione perché la ritengo una sconfitta dell’uomo, che non è l’uomo "della famiglia” o "l’omosessuale” ma l’umanità nella sua interezza. La mia non è stata una partita contro qualcuno, chi ha voluto strumentalizzare gli omossessuali e le famiglie mettendoli l’uno contro l’altro ha fatto solo un gioco al massacro. Ne usciamo tutti più deboli. 

Perché? Si può spiegare meglio?

"Beh, ne escono perdenti anche gli omosessuali perché questa è una legge che ne attesta una diversità a fronte di una sempre riaffermata normalità e uguaglianza  di ogni essere umano che prescinde dall’orientamento sessuale. Dall’altra parte resta poi il fatto che ogni persona nasce all’interno di una famiglia, quindi le famiglie non sono in contrapposizione a questa realtà ma ne sono parte integrante, per questo non possono essere escluse o, peggio ancora, poste come soggetto passivo di un’azione legislativa tesa alla loro rieducazione. Presto o tardi pagheremo un prezzo che ancora non ci è dato conoscerlo. 

Dice che non si vedranno subito gli effetti di questo provvedimento?

Chi ha approvato queste legge ha avuto il coraggio di dire che in realtà non cambierà niente perché una legge regionale che non prevede le sanzioni della Scalfarotto. Ma quando viene messo nero su bianco il concetto di identità di genere, che è inconsistente e variabile nel tempo in quanto introduce una visione dell’uomo non attinente con la realtà, non è possibile prevederne gli esiti a medio e lungo termine.

Con alcuni emendamenti approvati sono stati limitati i danni? 

L’articolo 1 ora prevede che la legge non si applichi nella normale manifestazione delle libertà di parola e di pensiero, poi per quanto riguarda l’articolo 3 sull’istruzione non si avalla più l’indottrinamento diretto suoi giovani ma si parla di corsi rivolti a genitori e insegnati di scuole di ogni ordine e grado. 

Ma come nasce l’esigenza di una legge così liberticida?

E’ quello che ci siamo chiesti un po’ tutti, anche perché in Italia i dati dicono che non esiste un’emergenza omofobia. Le segnalazioni raccolte dall’Unar ogni anno sono nell’ordine di pochissime decine di casi, la maggior parte dei quali non sono veri e propri atti di discriminazione ma di insulti che, per carità, vanno comunque stigmatizzati. Ad ogni modo la legge è stata ferma per due anni, poi c’è stata un’improvvisa accelerazione tanto che è stata portata in aula senza coperture finanziarie. Il procedimento è stato forzato contro ogni logica e contro ogni volontà di procedere ad un confronto più approfondito tra le parti.

C’è stata qualche manina esterna che ha spinto per l’approvazione? Non sono mancate le pressioni delle associazioni lgbt…

La spinta delle associazioni lgbt è stata evidente. Solinas, il relatore della legge, rispondendo ad una mia richiesta di spiegazioni riguardo ad alcuni aspetti del provvedimento, si è rivolto verso alcuni esponenti del movimento gay che seguivano i lavori dell’aula ed ha ammesso che quei punti di cui discutevamo sono stati "loro” a volerli inserire. Anche in altre occasioni la maggioranza ha riconosciuto che la legge è stata fatta sotto dettatura.  Ma queste associazioni sono una minoranza delle minoranza,  perché molti omosessuali non si riconoscono in queste rivendicazioni.

La legge ha comunque suscitato molti contrasti tra e nelle forze politiche…

È stata una partita a favore di una frangia minima di elettori del Pd ed stata una partita all’interno dei sedicenti cattolici. Molti hanno parlato di legge di civiltà e hanno tirato in ballo il Papa per giustificare il loro voto favorevole, io ho ricordato loro che il Santo Padre ha sempre tuonato contro il gender. Anche i Cinque Stelle alla fine si sono esposti votando a favore e dimostrando la loro vera sensibilità riguardo i temi antropologici. 

Forza Italia si è astenuta e se non fosse stato per lei forse si sarebbe sfaldato anche il resto del fronte dell’opposizione (Lega e Fratelli d’Italia) che ha votato contro…

Io sono stato me stesso, mi hanno detto "tu stai facendo un figurone, hai lottato come un leone", ma per me non era una partita politica, questa battaglia l’ho fatta nel rispetto di quello in cui credo e in difesa dell’umano, non dovevo guadagnare dei voti.

Quello che è successo in Umbria può riproporsi a livello nazionale sulla Scalfarotto che prevede pene fino sei anni di detenzione?

Questo rischio c’è, ormai diversi enti locali hanno già legiferato in tal senso. Il problema è che vogliono introdurre il reato di pensiero. Io non sono più libero di dire quello che penso fuori dall’ambito politico e religioso, ad esempio potrebbe diventare discriminatorio dire ai propri figli che la relazione eterosessuale è in grado di generare la vita mentre quella omosessuale è biologicamente sterile.

Sembra quasi che la politica non accetti più di confrontarsi su questi argomenti e vieti per legge qualsiasi posizione non in linea con il pensiero unico…

Il rischio dell’imposizione del pensiero unico è reale. Con questa legge dell’Umbria si apre poi una battaglia surreale sul percepito. Perché la legge non definisce le fattispecie della discriminazione ma afferma il principio della percezione della discriminazione slegata dal fatto reale accaduto. 

Non sarà più possibile organizzare un convegno contro il gender in Umbria?

Questo non lo so, in teoria esiste sempre articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione a cui è agganciata la legge ma il non aver definito le fattispecie lascia un margine molto ampio di difficile previsione. 

Come proseguirà il suo impegno per la libertà di espressione?

Siamo tutti chiamati alla responsabilità, famiglie, genitori, insegnati e gli stessi omosessuali, la maggior parte dei quali condivide una visione dell’identità sessuata che non è completamente slegata dal dato biologico. Insomma la battaglia non è persa ma non può essere portata avanti solo all’interno del palazzo. 

In ambito politico c’è un vuoto di rappresentanza dei cattolici? 

C’è un problema di cultura, non sappiamo più cos’è l’uomo. Norberto Bobbio diceva che il tema della vita non poteva essere lasciato solo alla Chiesa. Affermare un concetto indefinito di identità di genere è una sconfitta per tutti.

08/04/2017 Fonte: La nuova bussola quotidiana

Chiesa indiana: Lo yoga non serve a raggiungere il divino

Nirmala Carvalho

Il Sinodo dei vescovi di rito orientale diffonde una circolare tra i sacerdoti. Lo yoga è "una pratica utile e benefica per il corpo e la mente, ma non va confusa con la spiritualità”. Nelle scuole indiane il suo insegnamento è obbligatorio, ma spesso viene usato per "imporre lo stile di vita indù”.

 
Mumbai (AsiaNews) – "Lo yoga non è il mezzo per raggiungere il contatto con il divino, sebbene esso possa contribuire alla salute fisica e mentale”. Lo afferma la Chiesa siro-malabarese, uno dei tre riti della Chiesa cattolica indiana, in una circolare distribuita ai sacerdoti a gennaio. Nel documento il Sinodo dei vescovi di rito orientale riconosce l’importante ruolo che lo yoga occupa nella cultura indiana, ma afferma anche che esso "deve essere considerato come un esercizio fisico, una postura per concentrarsi o meditare”. Al contrario, sottolineano i vescovi, "l’esperienza della divinità non avviene tramite una particolare postura”.

Ad AsiaNews p. Paul Thelakat, ex portavoce del Sinodo, afferma: "Lo yoga indiano è un metodo accettabile e utile per la concentrazione, la meditazione e il benessere olistico del corpo e della mente. I vescovi non considerano lo yoga come una via mistica o esoterica per la vita spirituale”.

Lo yoga è una pratica di rilassamento mentale e fisico nato in India e diffuso in tutto il mondo. Esso viene abbinato ad esercizi fisici e tecniche di respirazione. Secondo la religione indù, esso è anche un percorso di ricerca spirituale tramite il quale si sperimenta il contatto con la divinità.

In India il suo insegnamento è obbligatorio nelle scuole e ogni anno, nella Giornata internazionale dello yoga (che ricorre il 21 giugno), tutto il sistema educativo si blocca per lasciare spazio a programmi, eventi e iniziative dedicate. Da tempo attivisti e intellettuali indiani affermano che l’obbligo di osservare la festa nelle scuole, costringendo gli studenti a cantare sonetti e mantra sacri indù, limita la libertà di culto delle minoranze e rappresenta una mancanza di "sensibilità” nei confronti degli alunni cristiani e musulmani.

La scorsa settimana in Tamil Nadu un pastore pentecostale è stato arrestato perché aveva criticato "l’insegnamento obbligatorio dello yoga per promuovere in modo forzato lo stile di vita indù”. Egli però aveva anche evidenziato le proprietà benefiche per la mente e per il corpo di tale pratica.

Nella circolare il card. George Alencherry, a capo del Sinodo, chiarisce la posizione della Chiesa sul tema: "Il Dio in cui crediamo è un Dio personale. Dio non è qualcuno che può essere raggiunto tramite una particolare posizione del corpo. Non è corretto pensare che l’esperienza di Dio e l’incontro personale con il Signore siano possibili attraverso lo yoga”. Inoltre il Sinodo invita i sacerdoti a "non unirsi a gruppi di preghiera e movimenti spirituali che sono contro la fede cattolica e non riconoscono gli insegnamenti ufficiali della Chiesa”.

P. Paul Thelakat aggiunge che il Sinodo "non accetta lo yoga come una scala trascendentale verso il divino. La Chiesa cattolica insegna che il modo per raggiungere la divinità è l’autopurificazione e l’unione con Dio nell’ascetismo e nella preghiera”. In quanto sacerdote cattolico, che pratica lo yoga da anni, egli ritiene che il Sinodo faccia bene "a puntualizzare l’insegnamento della Chiesa sulla spiritualità, che non ha niente a che vedere con le pratiche magiche”.

08/04/2017 fonte: Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 08/02/2017 Santa Giuseppina Bakhita Vergine



Esiste un manoscritto, redatto in italiano e custodito nell’archivio storico della Curia generalizia delle suore Canossiane di Roma, che raccoglie l’autobiografia di santa Bakhita, canonizzata in piazza San Pietro il 1° 2000 fra danze e ritmati canti africani. In questo manoscritto sono racchiuse le brutture a cui fu sottoposta Bakhita nei suoi tragici anni di schiavitù, la sua riacquistata libertà e infine la conversione al cattolicesimo.

"La mia famiglia abitava proprio nel centro dell’Africa, in un subborgo del Darfur, detto Olgrossa, vicino al monte Agilerei... Vivevo pienamente felice…

Avevo nove anni circa, quando un mattino…andai… a passeggio nei nostri campi… Ad un tratto [sbucano] da una siepe due brutti stranieri armati… Uno… estrae un grosso coltello dalla cintura, me lo punta sul fianco e con una voce imperiosa, "Se gridi, sei morta, avanti seguici!””.

Venduta a mercanti di schiavi, iniziò per Bakhita un’esistenza di privazioni, di frustate e di passaggi di padrone in padrone. Poi venne tatuata con rito crudele e tribale: 114 tagli di coltello lungo il corpo: "Mi pareva di morire ad ogni momento… Immersa in un lago di sangue, fui portata sul giaciglio, ove per più ore non seppi nulla di me… Per più di un mese [distesa] sulla stuoia… senza una pezzuola con cui asciugare l’acqua che continuamente usciva dalle piaghe semiaperte per il sale”.

Giunse finalmente la quinta ed ultima compra-vendita della giovane schiava sudanese. La acquistò un agente consolare italiano, Callisto Legnami.  Dieci anni di orrori e umiliazioni si chiudevano. E, per la prima volta, Bakhita indossa un vestito.

"Fui davvero fortunata; perché il nuovo padrone era assai buono e prese a volermi bene tanto”. Trascorrono più di due anni. L’incalzante rivoluzione mahdista fa decidere il funzionario italiano di lasciare Khartoum e tornare in patria. Allora "osai pregarlo di condurmi in Italia con sé”. Bakhita raggiunge la sconosciuta Italia, dove il console la regalerà ad una coppia di amici di Mirano Veneto e per tre anni diventerà la bambinaia di loro figlia, Alice.

Ed ecco l’incontro con Cristo. La mamma di Alice, Maria Turina Michieli, decide di mandare figlia e bambinaia in collegio dovendo raggiungere l’Africa per un certo periodo di tempo. La giovane viene ospitata nel Catecumenato diretto dalle Suore Canossiane di Venezia (1888). "Circa nove mesi dopo, la signora Turina venne a reclamare i suoi diritti su di me. Io mi rifiutai di seguirla in Africa… Ella montò sulle furie”. Nella questione intervennero il patriarca di Venezia Domenico Agostini e il procuratore del re, il quale  "mandò a dire che, essendo io in Italia, dove non si fa mercato di schiavi, restavo… libera”.

Il 9 gennaio 1890 riceve dal Patriarca di Venezia il battesimo, la cresima e la comunione e le viene imposto il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata, che in arabo si traduce Bakhita.

Nel 1893 entra nel noviziato delle Canossiane. "Pronunciate i santi voti senza timori. Gesù vi vuole, Gesù vi ama. Voi amatelo e servitelo sempre così”, le dirà il cardinal Giuseppe Sarto, nuovo Patriarca e futuro Pio X. Nel 1896 pronuncia i voti e si avvia ad un cammino di santità. Cuoca, sacrestana e portinaia saranno le sue umili mansioni, descritte e testimoniate dal recente e ben riuscito video prodotto dalla Nova-T, dal titolo "Le due valigie, S. Giuseppina Bakhita”, con la regia di Paolo Damosso, la fotografia di Antonio Moirabito e la recitazione di  Franco Giacobini e Angela Goodwin. Il titolo si rifà alle parole che Bakhita disse prima di morire: "Me ne vado, adagio adagio, verso l’eternità… Me ne vado con due valigie: una, contiene i miei peccati, l’altra, ben più pesante, i meriti infiniti di Gesù Cristo”.

Donna di preghiera e di misericordia, conquistò la gente di Schio, dove rimase per ben 45 anni. La suora di "cioccolato”,  che i bambini provavano a mangiare, catturava per la sua bontà, la sua gioia, la sua fede. Già in vita la chiamano santa e alla sua morte (8 febbraio 1947),  sopraggiunta a causa di una polmonite, Schio si vestì a lutto.

Aveva detto: "Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa…”.

La Chiesa la ricorda l'8 febbraio mentre nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 9 febbraio.
 


Una rosa unisce Civitavecchia a Medjugorje
di Riccardo Caniato
La grotta dei Gregori a Civitavecchia

Il 2 febbraio, festa della Candelora e della Purificazione della Madonna e della Presentazione di Gesù al tempio, dedicata e cara per queste ragioni a tutti i Consacrati, si celebra anche l’anniversario dell’evento straordinario della lacrimazione della Madonnina a Pantano di Civitavecchia, che pianse sangue nel 1995.

La famiglia Gregori, proprietaria della statua della Vergine, rivive questo momento partecipando alla processione con la Messa notturna che dal centro della città si snoda in preghiera fino alla loro parrocchia di Sant’Agostino – oggi santuario della Madonna delle Lacrime che custodisce il sacro simulacro – e aprendo nella giornata del 2 il giardino di casa a tutti coloro, pellegrini o semplici curiosi, che desiderino raccogliersi presso la grotta dove si è verificato questo fatto scientificamente inspiegabile.

In questa grotticella di pietra, fin dal 1995, dal momento in cui la Madonnina insanguinata fu data in custodia alla Chiesa, nella persona dell’allora vescovo Girolamo Grillo, che la intronò successivamente nella chiesetta sunnominata, si venera una copia identica che fu fatta dono alla famiglia dal cardinale polacco Andrzej Maria Deskur a nome del Papa al tempo regnante, Giovanni Paolo II, oggi santo.

Ebbene questa seconda Madonnina si contraddistinse subito per un altro fenomeno di carattere straordinario, dal momento che in alcune festività della Chiesa o in presenza di persone che si raccolgono in preghiera trasuda un olio che, analizzato, è risultato composto da una miriade di essenze naturali diverse, ma che produce un particolare e intenso profumo di rose, con coinvolgimento della natura circostante: dell’edera, delle rocce della grotta, ma talvolta anche degli alberi circostanti.

Perché il profumo di rose? Perché a Civitavecchia, come non tutti, ma molti ormai cominciano a sapere, la Madonna è anche apparsa, proprio alla famiglia Gregori e, in particolare a Jessica e a suo papà Fabio, presentandosi come Madre e Regina della Chiesa e della Famiglia e, con sguardo alla Rosa Mistica, come «Madonna delle Rose». Negli anni 1995 e 1996, comunicando oltre novanta messaggi, ha messo in guardia dalla crisi di fede che avrebbe minato l’unità della Chiesa e della Famiglia cristiana, con conseguenze potenziali molto gravi per l’umanità che incorre nel rischio di una nuova guerra mondiale con interessamento di armamenti nucleari. Ma di questo ho scritto altre volte.

Ciò che mi preme raccontare ora è che a Fabio Gregori la Vergine stessa ha spiegato che la rosa è il «fiore di Cristo»: rosso è il sangue versato sulla Croce, mentre i petali raccolti attorno al nucleo rappresentano la Chiesa, il popolo di Dio stretti intorno a Gesù Salvatore, sempre presente nell’Eucaristia e negli altri Sacramenti, ma pronti ad aprirsi a 360° per portare a tutti la nuova Alleanza.

Di questo profumo di rose sono stato testimone più volte con mia moglie e i miei figli. Ma anche di questo segno ricevuto, di cui ringrazio il Signore, ho raccontato altrove.

Ciò che mi colpisce ora è che proprio lo scorso 2 febbraio, in un altro luogo di apparizioni, mediaticamente più noto, la Madonna sembrerebbe aver voluto dare, con il suo stile delicato, una traccia certa della sua venuta e presenza – parole sue – a Civitavecchia.

Nel messaggio mensile a Mirjana Dragi?evi?-Soldo, una dei sei veggenti di Medjugorje, la Madonna, l’altro giorno ha, infatti, detto così: «Cari figli, voi che cercate ogni giorno della vostra vita di offrirvi a mio Figlio, voi che cercate di vivere con Lui, voi che pregate e vi sacrificate, voi siete la speranza in questo mondo inquieto, voi siete i raggi della luce di mio Figlio, il Vangelo vivo, voi siete i miei cari apostoli dell’amore. Mio Figlio è con voi, Lui è con coloro che pensano a Lui, coloro che pregano, ma allo stesso modo Lui, con pazienza, aspetta coloro che non lo conoscono. Perciò voi, apostoli del mio amore, pregate con cuore, mostrate con le opere l’amore di mio Figlio. Questa è l’unica speranza per voi, questa è l’unica via verso la vita eterna. Io come Madre sono qui con voi. Le vostre preghiere rivolte a me sono le più belle rose d’amore per me: non posso non essere lì dove sento il profumo delle rose. La speranza c’è. Vi ringrazio».

«Non posso non essere lì dove sento il profumo delle rose». Questa frase mi suggerisce alcune riflessioni in ordine sparso: 1. A Medjugorje la Madonna ha rivelato che Lei è sempre presente dove c’è Cristo, quindi, davanti a ogni Tabernacolo, ma anche dove si invoca e si prega suo Figlio con la fede e con il cuore...; 2. La Madonna non può non essere dove sente il profumo di rose, perché il profumo di rose è il profumo indicatore della presenza di Cristo;  3. Di tanti santi mistici – il caso più eclatante è quello di padre Pio – si dice che emanino un profumo di rose, esattamente come la seconda statua della Madonna di Civitavecchia custodita in casa dai Gregori... 4. Ma se la rosa è, come è stato spiegato a Fabio e ora viene confermato da Mirjana, il fiore che simboleggia Cristo, ecco che anche i santi, la Madonnina di Civitavecchia e il giardino e la casa dei Gregori (che rappresentano tutte le case e le famiglie cristiane) divengono segni della presenza oggettiva di Cristo, e pertanto di sua Madre, fra noi. Del resto non è forse Vangelo che «là dove due o più sono riuniti nel mio nome...»?

Non so quanti lo ricordano: ma entrambe le statue della Madonna di Civitavecchia provengono da Medjugorje e raffigurano la Regina della Pace, così come Ella si è presentata in Erzegovina. Questa trama misteriosa che lega questi due luoghi visitati dal Divino trova a mio giudizio in questo messaggio un altro punto di contatto. E suona come l’ennesimo richiamo a quanti lasciano cadere questi partecipi appelli materni o si perdono in disquisizioni che non centrano il cuore di queste grandi iniziative di Maria nel nostro tempo, come Lei stessa ha evidenziato, con dolore, nel messaggio dato a Civitavecchia il 26 agosto 1995: «Figli cari piango perché vi sto parlando in ogni parte del mondo, dandovi segni straordinari, ma voi non mi ascoltate. Mi sto presentando a voi in ogni forma, ma voi non mi accettate con vero amore nei vostri cuori».

In ogni sua apparizione la Madonna ha un progetto preciso per quel luogo, per quelle persone a cui si rivolge in quel dato contesto e in quel dato tempo, ma in definitiva è sempre Lei, la stessa persona che, inviata dall’Alto, si accolla la fatica di venirci a ridestare dal sonno quando non dall’odio in cui ci trasciniamo. E, seppure con accenti diversi, il fine è sempre lo stesso: ricordarci che siamo figli del Padre celeste e, incoraggiandoci a chiedere perdono per tutte le mancanze, ripartire con buoni propositi, camminando nella presenza trinitaria di Dio verso la sua, nostra Casa.

A questo stile di vita appartengono gli «apostoli dell’amore» da Lei formati, di cui la Madonna parla nel messaggio a Mirjana. Questo ritratto di uomini e donne che con pazienza si rendono speranza e luce in un mondo inquieto e sempre più oscuro calza perfettamente per descrivere la bontà e l’atteggiamento accogliente e aperto che la famiglia di Pantano ha mostrato e mostra verso quanti bussano alla sua porta. E poco importa se tanti che hanno bussato, l’hanno denigrata, maltrattata, usata, tradita, non creduta... La sua speranza e il suo profumo non sono di questo mondo.

08/02/2017 fonte: La nuova bussola quotidiana

Sanremo violenta l'innocenza dei bambini

di Benedetta Frigerio

Cosa c’entra la musica italiana con una sfilata di gente che si è comprata i figli affittando gli uteri da cui sono stati strappati? E cosa ci fa sul palco dell’Ariston Diletta Leotta, la giornalista diventata famosa non tanto per le sue performance professionali ma piuttosto per quelle pornografiche girate in rete a sua insaputa? E perché lanciare una campagna contro il bullismo, anziché concentrarsi sugli astri nascenti della canzone? Ma soprattutto come motivare il lancio di un film che giustifica il divorzio e l’egoismo degli adulti? Propaganda, propaganda, propaganda. Non serve la dietrologia, e c'è poco da essere fissati con il gender, per riconoscere che la riposta può essere solo questa. Perché ormai ciò che importa al palcoscenico della musica nostrana è tutto tranne che la musica, appunto. 

E’ evidente da qualche anno ormai che il Festival di Sanremo funge da acceleratore al potere che, mirando a fare dell'uomo una sua marionetta, culla l’edonismo istintivo e ribelle dal limite e dalla dipendenza dal suo Creatore. Ad accorgersi, alla vigilia di questa edizione, e ad opporsi ad un'asticella ormai superata da tempo, sono state le Sentinelle in Piedi (Sip) che sabato prossimo alle 15 veglieranno in protesta (in Corso Imperatrice), data la partecipazione in chiave promozionale di Ricky Martin (vive con un uomo che si illude di poter "sposare”, con dei bambini pagati profumatamente e strappati dal seno e dall’utero materni e ha annunciato di volerne altri così). 

Ma ad aggiungersi alle star arcobaleno ci sarà anche il cantante Tiziano Ferro, che si è messo a promuove lo sfruttamento dei grembi femminili usando la tattica vittimista della discriminazione di chi non permette a un uomo come lui di farsi un figlio da solo (se la prenda con la natura, piuttosto). Insomma, dai nastrini arcobaleno dell’edizione 2016, sventolati da vip e cantanti prima dell’approvazione della legge sulle "unioni civili”, si passa allo spot delle adozioni e compravendite umane Lgbt. Poco importa se la pratica dell’utero in affitto sia illegale in Italia e quindi la sua pubblicizzazione punita dalla legge 40/2004 (reclusione fino a due anni e multa fino a 1 milione di euro), perché al potere individualista e omosessualista, che ha comprato anche i media, tutto è permesso.

Ricordando che l’anno scorso avevano sfilato sul palcoscenico anche Nicole Kidman ed Elton John (altre due icone dell'utero in affitto), oltre che Thomas Neuwirth, uomo vestito da donna che si definisce trans facendosi chiamare Concita Wirst, le Sip hanno quindi giustamente domandato se voi "chiamereste in casa vostra un trafficante di esseri umani? Fareste accomodare sul divano una persona che ha stipulato un contratto per comprare un bambino? Sareste disposti a pagare per farvi un caffè con un uomo che ha commesso un reato e non solo non è pentito, ma si prepara a rifarlo?”. Non è mancata la risposta del padrone di casa Carlo Conti (affiancato da Maria De Filippi reduce dal nuovo format Lgbt di Uomini e Donne) che ha risposto alle Sip che  il loro è "un refrain già sentito l'anno scorso con gli strali contro Elton John e Nicole Kidman. Ma il palco dell'Ariston è per tutti”. 

Per tutti sì, meno che per quelli che non hanno voce giustamente o che non la sanno ancora usare. Come i neonati prodotti in laboratorio da sperma e ovociti di uomini e donne che magari non conosceranno mai e cresciuti dentro grembi a cui verranno violentemente sottratti. O come i figli del divorzio i cui dolori sono minimizzati dal film di Antonio Albanese "Mamma o Papà?”, che verrà presentato a Sanremo per raccontare come normale la vicenda di due genitori in lotta per non ottenere l’affido dei bambini e così farsi i fatti loro. Perché, diciamocelo, anche la campagna per il bullismo, che mira a normalizzare le pulsioni omoerotiche, a tutto servirà ma non a difendere i piccoli indifesi. Ed è proprio qui che crolla l’illusione dell’autosufficienza, che si trasformarla in schiavitù aprendo scenari disumani. Quelli che presto ci ritroveremo a canticchiare senza accorgercene con Gigi D’Alessio che descriverà dolcemente l'inferno di un uomo senza limiti, riassumendo perfettamente la propaganda in atto: "Adesso un fiore nasce pure senza sole. Un figlio può arrivare anche senza fare l’amore. Chi è pronto per morire non ha la croce al muro. Che c’è una porta aperta sopra il mare per chi da guerre cerca di fuggire”.

Tutto questo ovviamente avverrà, come fa notare il Popolo della Famiglia (sarà presente a Sanremo con un presidio dalle 19 alle 21 di giovedì e venerdì in via Escoffier) con "16 milioni di euro presi dai soldi delle famiglie italiane”. Eppure tutto tace perché è più comodo accettare supinamente di contribuire di tasca propria a questa carneficina dell’innocenza. "E’ accettabile tutto questo?”, domandano le Sip. Bisogna chiederselo, perché un giorno ce ne sarà chiesto conto: "Un giorno questi bambini ci chiederanno dove eravamo mentre loro, piccini, venivano strappati alla mamma e trattati come un oggetto. Quindi chiediamo agli italiani: sarete pronti a rispondere a questa domanda?”

 08/02/2017 fonte: La nuova bussola quotidiana

Papa: la Quaresima tempo di conversione, invita ad ascoltare con assiduità la Parola di Dio
VATICANO

Nel Messaggio per la Quaresima 2017, Francesco commentando la parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro afferma che quest’ultimo "ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore”. "Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi.

 
Città del Vaticano  – La Quaresima, "tempo favorevole per rinnovarsi nell'incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo”, sia un vero cammino di conversione, "per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi”. E’ l’invito espresso da papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima 2017, reso pubblico oggi.

"La Quaresima – scrive il Papa - è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità”. In proposito, il documento concentra l’attenzione sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro. Dei due personaggi, evidenzia Francesco, è il povero che viene descritto più dettagliatamente: "si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato”. Ma se ne conosce il nome.

Il riccco, invece, è solo "il ricco”: di lui si dice che indossa abiti "di un lusso esagerato” e che "ogni giorno si dava a lauti banchetti”. "In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l'amore per il denaro, la vanità e la superbia”. "La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza (cfr ibid., 62). Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l'uomo corrotto dall'amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell'attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione”.

Lazzaro, invece, "ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco”.

"Il Vangelo del ricco e del povero Lazzaro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua che si avvicina. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci invita a vivere un’esperienza simile a quella che fa il ricco in maniera molto drammatica. Il sacerdote, imponendo le ceneri sul capo, ripete le parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono entrambi e la parte principale della parabola si svolge nell'aldilà. I due personaggi scoprono improvvisamente che «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via» (1 Tm 6,7)”.

"Solo tra i tormenti dell'aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po' di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell'aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene. La parabola si protrae e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro da loro per ammonirli; ma Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro» (v. 29). E di fronte all'obiezione del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (v. 31). In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello”.

La Quaresima, conclude il messaggio, "è il tempo favorevole per rinnovarsi nell'incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore - che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore - ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovamento spirituale anche partecipando alle Campagne di Quaresima che molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per far crescere la cultura dell'incontro nell'unica famiglia umana. Preghiamo gli uni per gli altri affinché, partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero. Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua”.
08/02/2017 fonte: Asia News

Il racconto. «Stavo già per essere abortito... Invece sono qui grazie a un film»

Lucia Bellaspiga
«Una verità che purtroppo un giorno mi è sbattuta sulla faccia». Oggi Luca accoglie 70 persone fragili, tra cui 32 donne che volevano abortire: «Sono nati 32 bambini»
«Stavo già per essere abortito... Invece sono qui grazie a un film»
Se sua madre quella sera non fosse andata al cinema, o se in cartellone ci fosse stato un qualsiasi altro film, Luca Mattei oggi non sarebbe vivo. E nessuno (eccetto forse lei) lo piangerebbe morto: non sarebbe neanche nato. Venuto al mondo per il rotto della cuffia, Luca era già pronto in rampa di lancio per essere abortito, uno dei 100mila desaparecidos che ogni anno in Italia spariscono in silenzio. La storia è sempre quella: un uomo che volta le spalle, una donna sola, la maternità vista come un peso impossibile, l’illegalità di chi per legge (la 194) dovrebbe garantirle ogni supporto e invece emette un frettoloso certificato di morte. «Mio padre se ne andò di casa appena seppe che mia madre mi aspettava – racconta Luca, nato in Piemonte 35 anni fa –, così io crebbi senza di lui e a 7/8 anni cominciai a sentirne forte la mancanza. Notavo che con mia sorella maggiore, che lo aveva avuto in casa fino a 5 anni, per lo meno aveva un rapporto, con me nulla, il che mi rendeva un bambino molto triste, anche se mia madre invece mi ricolmava di attenzioni.

Con l’adolescenza la mancanza del padre fece crescere in me una rabbia ingestibile, che scaricavo contro l’innocente mia madre, non le parlavo, ero aggressivo. Il motivo era che non sapevo più chi fossi io, senza quel punto di riferimento...». A preservarlo da droga e alcol sono stati lo sport e il desiderio di non veder piangere sua madre: «Giocavo a calcio e questo mi ha salvato, sfogavo tutto lì, e poi vedevo l’estrema sofferenza con cui mia mamma discuteva con mia sorella quando lei difendeva in lacrime quel padre che tanto le mancava, e io non volevo aggiungere strazio a strazio».

Finché un giorno di 20 anni fa lei non seppe più trattenere quella verità covata a lungo: «Fosse stato per tuo padre tu oggi non saresti qui!», gli sbatté in faccia in un momento di disperazione. Parole capaci di mordere il cuore. Che Luca ormai perdona ma che allora rischiarono di ucciderlo. «Sbagliò, non puoi scaricare su un ragazzino un rancore trattenuto per anni, ma oggi che vivo accanto ai bisognosi ho imparato a guardare tutto con gli occhi della misericordia e la comprendo. Certo fu atroce... ». Quel giorno Luca apprese tutto d’un fiato che «nemmeno per un secondo ero stato desiderato», di tutto era frutto fuorché dell’amore: nato da un rapporto occasionale e distratto, quando i genitori si stavano già lasciando, era pure figlio di un errore, «il preservativo si è rotto, così sei nato», gli disse la madre. Poi il rifiuto del padre, «abortiscilo, cara mia, tanto io me ne vado».

Per paradosso azzerare quel bambino per cancellare ogni traccia di un amore mutato in odio diventava l’unico punto di accordo tra i due. Se non che la sera prima di abortire (è il 1980) Anna entra in un cinema. «Adoro questa cosa», si illumina il giovane a questo punto del racconto. Proiettavano un film che in Italia s’intitolava Luca bambino mio e nell’originale spagnolo Il Cristo nell’oceano, la storia di un bimbo che perde entrambi i genitori e vive con uno zio alcolista. «Un giorno nel mare trova un crocifisso portato dalle onde e lo nasconde in cantina – riassume Luca – e questo Cristo gli parla di amore, gli fa scoprire che la vita è bella. È lì che mia madre ha avuto l’intuizione: se un bambino può essere felice senza genitori, io che almeno una mamma l’avrei avuta perché non potevo nascere? È uscita da quel cinema determinata a salvarmi e a chiamarmi come lui».

Luca è nato la Domenica delle Palme ed è stato la resurrezione di Anna. Dieci anni fa ha cercato quel film e se lo è divorato scena per scena, ma da solo, «mi vergognavo di vederlo con lei e mostrarle i miei sentimenti... ». A dissipare pian piano quella rabbia che dentro lo divorava sono stato i suoi amici, i disabili, quelli con cui oggi vive in una struttura in cui accoglie settanta persone: «Grazie a mia madre, che pure agnostica aveva uno spiccato senso del sociale, ho iniziato a frequentarli a 16 anni e sono cresciuto alla loro scuola, non mi stancherò mai di dirlo – spiega –. Mi direte: cos’hai da imparare da un disabile? Sei tu che lo lavi, che lo vesti...

Mi hanno insegnato uno sguardo di stupore sulla vita. Io a 16 anni già non mi meravigliavo più di niente, invece li osservavo e loro erano felici con poco. Quanto erano fortunati!». Se fino a quel momento la consapevolezza di essere un aborto sopravvissuto gli scorreva sottopelle, adesso tutto cambiava: «Finché ero centrato su me stesso la mia vita non mi piaceva e che io fossi nato oppure no mi pareva ininfluente, ma con gli amici ho trovato il sale nella mia vita e ho capito che esserci, al mondo, o non esserci non sarebbe stata la stessa cosa. Ho un debito con loro, mi hanno donato lo stupore senza bisogno di stupefacenti ». In dieci anni nella sua struttura sono passate anche 32 donne incinte, soprattutto ex schiave prostitute, convinte di dover abortire. Invece sono nati 32 bambini.

08/02/2017 fonte Avvenire

IL SANTO DEL GIORNO 02/11/2016 Commemorazione dei fedeli defunti


La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo. E’ solo con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio. La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo: "Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per "comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione dell’amore. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza  di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico e nei riti religiosi quotidiani.
Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche "festa dei defunti”. Ma anche nella messa quotidiana, sempre riserva un piccolo spazio, detto "memento, Domine…”, che vuol dire "ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i  morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. La Chiesa, inoltre, sa che "non entrerà in essa nulla di impuro”.
Nessuno può entrare nella visione e nel godimento di Dio, se al momento della morte, non ha raggiunto la perfezione nell’amore. Per particolari pratiche, inoltre, come le preghiere e le buone opere, la Chiesa offre lo splendido dono delle indulgenze, parziali o plenarie, che possono essere offerte in suffragio delle anime del Purgatorio. Una indulgenza parziale o plenaria offre alla persona interessata una parziale o plenaria riduzione delle pene, dovute ai suoi peccati, che sono già stati perdonati. Tale riduzione può essere fruita anche dai defunti, i quali possono essere liberati dalle loro pene parzialmente o totalmente. La commemorazione dei defunti ebbe origine in Francia all’inizio del decimo secolo.
Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.
Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni anno la "festa” dei morti viene celebrata in questo giorno. Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via, il bene che coloro che ci hanno preceduti sulla terra hanno lasciato all’umanità, e il loro contributo all’aumento della fede, della speranza, della carità e della grazia nella chiesa. Il 2 Novembre, poi, ci riporta alla realtà delle cose richiamando la nostra attenzione sulla caducità della vita. Questo pensiero richiama il fluire del tempo intorno a noi e in noi.
Ci accorgiamo facilmente della trasformazione e del cambiamento del mondo a noi circostante: vediamo con indifferenza il passaggio delle cose e delle persone quando queste scivolano lentamente davanti a noi o non fanno rumore o non portano dolori e dispiaceri. Ogni passaggio, ogni spostamento comporta l’impiego del tempo, dice la dinamica della fisica.  Che non è come quello del martello o di un qualsiasi strumento: dopo l’uso può essere ancora utilizzato. Il tempo no. Il tempo va via per sempre. Non ritornerà mai più. Resta il frutto maturato in quel tempo: quel che abbiamo seminiamo in quel tempo produce frutto. Se si è seminato vento si raccoglierà tempesta, recita il proverbio antico.
Quel che viviamo è altro, non quello di prima. Con maggiore indifferenza non notiamo il fluire del tempo in noi. Il nostro "io” si erge in noi come persona fuori dal mondo e, quindi, estranea al mutare delle cose e al susseguirsi delle stagioni.
Il nostro "io” è l’essere pensante che fa vivere e muovere le cose, che gioca con il giorno e con la notte e spinge le lancette dell’orologio e dona emozioni nella gioia e nel dolore. Questo dicono alcuni filosofi che hanno il culto dell’Idea e che per questo si chiamano idealisti. Ma poi l’io aggiorna le idee e si adegua ai nuovi pensieri e scopre il fluire del tempo in sé. L’io eterno entra nel tempo, si fa per dire, e avverte il suo logorio.
Il presente appare provvisorio, tanto provvisorio da non contare, da "non essere” in sé: conclusione o epilogo di ieri, anticipo o prologo del domani. Tutta passa. Giorno dopo giorno il tempo va via. Passo dopo passo il cammino si affatica sempre più. Atto dopo atto il logorio delle forze fisiche che invecchiano  si fa sempre più sentire. Passano le gioie e passano pure i dolori. Poi passeremo anche noi; e finiranno su questa terra anche i nostri giorni. Il richiamo alla realtà della nostra morte ci invita, pure, a dare importanza alle cose essenziali, ai valori perenni e universali, che elevano lo spirito e resistono al tempo. "Accumulate un tesoro nel cielo, dove né tignuola e né ladro possono arrivare”, consiglia Gesù Cristo ai suoi discepoli.
Se tutto passa, l’amore di Dio resta. Il pensiero ritorna a noi. La certezza della morte deve farci riflettere, affinché possiamo essere pronti all’incontro con essa senza alcuna paura. Sarebbe un grande errore dire: "Mi darò a Dio quando sarò vecchio”, ed aspettare di cambiare i nostri cuori al momento della morte. Così come nessuno diventa all’improvviso cattivo, allo stesso modo nessuno diventa in un attimo buono.
E ricorda che la morte può arrivare senza alcun preannunzio, improvvisamente. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
E’, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci. Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro, mentre prego o sono distratto in altre faccende? Quando mi sorprenderà? Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, vittima ed esecutore, può produrre disagio e paura mentre si è in vita. Eppure per i veri cristiani non dovrebbe essere così.
La vita è un cammino che comporta il passaggio da una condizione all’altra, si passa dall’infanzia alla fanciullezza, dalla fanciullezza alla giovinezza, alla maturità, alla vecchiaia e dalla vecchiaia all’eternità attraverso la morte. Per questo, vista nella luce di Dio la morte diventa o dovrebbe diventare un dolce incontro, non un precipitare nel nulla, ma il contemporaneo chiudersi e aprirsi di una porta: la terra e il cielo si incontrano su quella porta. Del resto il pensiero della morte ritorna ogni volta che ci rivolgiamo alla Madonna con la preghiera del Rosario: "Santa Maria, madre di Dio prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”. Si è detto che la morte sia la prova più dura della vita, ma non è vero.
E’ l’unica cosa che tutti sanno di dovere affrontare! Il giovane e il vecchio centenario, l’intelligente e l’idiota, il santo ed il peccatore, il papa e l’ateo. Come passiamo dall’infanzia alla giovinezza, dalla giovinezza alla maturità e poi alla vecchiaia, così si passa dalla vita alla morte. Vista nella luce di Dio la morte diventa un dolce incontro, non un tramonto, ma una bellissima alba annunciatrice della vita eterna con Dio insieme agli angeli e ai santi che ci hanno preceduto in terra.

Il Papa cambia sui migranti: accoglienza sì, ma regolata. E sulle donne prete: non se ne parla

di Lorenzo Bertocchi

«Sull’ordinazione delle donne l’ultima parola, chiara, è stata quella di San Giovanni Paolo II, e questa rimane». Così ha risposto Papa Francesco alla domanda sulla possibilità di ordinare donne prete che gli è stata posta nella consueta conferenza stampa sull'aereo di ritorno dal viaggio apostolico in Svezia. E sull'accoglienza dei migranti ha parlato di prudenza per una autentica integrazione.

La seconda giornata in terra scandinava, dopo quella interamente dedicata alla Commemorazione comune di cattolici e luterani a 500 anni della Riforma, si era aperta con la S. Messa celebrata dal Papa allo stadio di Malmo (clicca qui per l'omelia), dove, tra l'altro, Francesco ha ricordato che «i Santi ottengono dei cambiamenti grazie alla mitezza del cuore». 

NO AL SACERDOZIO FEMMINILE

Alla domanda se fosse realistico pensare all'ordinazione delle donne prete nella Chiesa Cattolica, Papa Francesco ha risosto chiaramente: «Sulle donne prete l'ultima parola è chiara e l'ha data Giovanni Paolo II e questa rimane. Leggiamo bene la dichiarazione di Wojtyla». Il riferimento è alla posizione espressa da san Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994. «...Al fine di togliere ogni dubbio», si legge in quella Lettera, «su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa».

«Per sempre mai donne prete?», ha insistito il giornalista rivolgendosi a Francesco. «Se rilegge bene la dichiarazione di san Giovanni Paolo II», ha risposto, «va in questa linea». Poi ha ribadito un concetto a lui molto caro, ossia che non esiste la Chiesa senza la dimensione femminile, una dimensione che va intesa guardando a Maria. «Le donne - ha detto papa Francesco» possono fare tante cose meglio degli uomini e anche nel campo dogmatico. Per chiarire: nella ecclesiologia cattolica ci sono due dimensioni: una petrina (degli apostoli Pietro e del collegio, che è la pastorale dei vescovi) e una mariana (la dimensione femminile della Chiesa). E questo l'ho detto qui più di una volta: chi è più importante nella teologia e nella mistica della Chiesa il giorno di pentecoste, gli apostoli o Maria? È Maria. La Chiesa è donna. È "la" Chiesa non "il" Chiesa. La Chiesa sposa Gesù Cristo. È il mistero dello sposalizio.

MIGRANTI: ACCOGLIERE CON PRUDENZA PER INTEGRARE 

Con riferimento alla situazione della Svezia, ma non solo, il Papa ha risposto a una domanda del giornalista Elin Swedenmark sul tema dei rifugiati e della paura dell'accoglienza. «Si deve distinguere», ha detto il Papa, «tra migrante e rifugiato. Il migrante dev’essere trattato con certe regole perché migrare è un diritto ma è un diritto molto regolato. Invece, essere rifugiato viene da una situazione di guerra, di angoscia, di fame, di una situazione terribile e lo status di rifugiato ha bisogno di più cura, di più lavoro. (…) Non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché non solo a un rifugiato lo si deve ricevere, ma lo si deve integrare. (…) Non è umano chiudere le porte, chiudere il cuore. Alla lunga questo si paga politicamente. Come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere di più di quelli che si possono integrare. (...) Se un immigrato non è integrato si ghettizza e una cultura che non si sviluppa in un rapporto entra in conflitto con un'altra cultura e questo è pericoloso. (...) Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza».

LA SECOLARIZZAZIONE: L'UOMO CHE SI SENTE DIO

«...Nella secolarizzazione io credo che prima o poi si arriva al peccato contro il Dio creatore. L’uomo sufficiente… Non è un problema di laicità perché ci vuole una sana laicità, che è l’autonomia delle cose, l’autonomia sana delle cose, l’autonomia sana delle scienze, del pensiero, della politica, ci vuole una sana laicità. No, un’altra cosa è un laicismo come quello che ci ha lasciato in eredità l’illuminismo. Ma io credo che [nella secolarizzazione, nda] sono queste due cose: un po’ la sufficienza dell’uomo creatore di cultura ma che va oltre i limiti e si sente Dio, e anche una debolezza nell’evangelizzazione, diventa tiepida e i cristiani sono tiepidi». 

L'INCONTRO CON IL PRESIDENTE MADURO

«...il Presidente del Venezuela ha chiesto un colloquio e un appuntamento (…) Quando un Presidente chiede, lo si riceve, per di più era a Roma, in scalo. L’ho ascoltato mezz’ora, io gli ho fatto qualche domanda e ho sentito il suo parere. E’ sempre buono sentire tutte le anime. Il dialogo è l’unica strada per tutti i conflitti, eh? Per tutti i conflitti! O si dialoga o si grida. Io col cuore ce la metto tutta sul dialogo e credo che si debba andare su quella strada. Non so come finirà, non so perché è molto complesso, ma la gente che è nel dialogo è gente di statura politica importante: Zapatero, che è stato due volte presidente del governo della Spagna, e quell’altro, Restrepo, hanno chiesto alla Santa Sede di essere presenti nel dialogo, ambedue le parti. E la Santa Sede ha designato il nunzio in Argentina, mons. Tscherrig, al tavolo del negoziato. Ma il dialogo che favorisce il negoziato è l’unica strada per uscire dai conflitti, non ce n’è un’altra… Se il Medio Oriente facesse questo, quante vite sarebbero state risparmiate!»

02/11/2016 fonte:La nuova bussola quotidiana

Fuggito dall'Isis, ucciso dagli sciiti Morte di un cristiano

di Giorgio Bernardelli

Veniva dalla città di Qaraqosh. Ovvero proprio da uno dei centri cristiani della Piana di Ninive appena liberati dall'Isis nell'offensiva che l'esercito iracheno e i peshmerga curdi stanno portando avanti per la riconquista di Mosul.

Anche Nazar Elias Al-Qas-Musa, siro-cattolico di 47 anni, sposato e padre di cinque figli, l'aveva lasciata nell'estate di due anni fa, quando i jihadisti erano arrivati a Qaraqosh imponendo ai cristiani locali la scelta tra partire in fretta lasciando tutto dietro di sé oppure morire. Solo che lui - a differenza della maggioranza degli altri esuli della Piana di Ninive - non aveva preso la direzione nord-est, verso Erbil e la regione del Kurdistan. Con la sua famiglia aveva scelto di trasferirsi a sud, nell'area irachena a maggioranza sciita: era andato a Bassora, la grande città portuale che è anche il centro dell'industria petrolifera irachena; e qui aveva provato a ricostruirsi una vita aprendo un piccolo negozio di alimentari. Non aveva però fatto i conti con gli altri fondamentalisti, quelli sciiti, che l'altra sera l'hanno ucciso a sangue freddo sulla pubblica via. La sua colpa? Tra gli articoli che vendeva c'erano anche gli alcolici.

Nazar Elias è diventato così la prima vittima della legge che vieta la vendita, l'importazione e la produzione di alcolici in Iraq, fatta approvare sabato scorso con un colpo di mano al Parlamento di Baghdad. Una mossa sponsorizzata dai movimenti sciiti radicali proprio nel momento in cui il Paese vive il delicatissimo momento della campagna per la liberazione di Mosul. A dire il vero la contestata legge prevederebbe come pena multe fino a 25 milioni di dinari iracheni (circa 20 mila euro); ma oggi a Bassora c'è chi non va troppo per il sottile sull'argomento. «Sembra che per qualcuno la radice della crisi irachena sia proprio l'alcol, evidentemente la gente si ubriaca e proclama lo Stato islamico - commenta con amara ironia dall'Iraq padre Rebwar Basa, il sacerdote caldeo che appena pochi giorni fa alla Giornata della Bussola ha raccontato le sofferenze dei cristiani iracheni -. Viva la liberazione della Piana di Ninive... Ma intanto qui muoiono la libertà e i diritti umani».

Non è evidentemente un'esagerazione: dietro alla campagna contro la vendita dell'alcol c'è infatti lo stesso obiettivo portato avanti dall'Isis e cioè una divisione settaria dell'Iraq, dove non ci sia più posto per i cristiani e per le altre minoranze. Non ci vuole infatti molto a capire chi - in un Paese dove i fedeli musulmani è vietato bere alcolici - si arrischi a produrre, importare e vendere vino, birra o liquori. E va notato che la concomitanza con la campagna di Mosul non è affatto casuale: nella grande partita sul dopo-Isis nel nord dell'Iraq le forze sciite irachene provano a ricompattarsi dopo la rivolta che qualche mese fa aveva portato al clamoroso assalto al parlamento guidato dal movimento di Moqtada al Sadr, in aperta rivolta contro il governo guidato da premier Haider al Abadi, anch'egli sciita. E non c'è niente di meglio di una prova di forza sui simboli per serrare le fila; specie in un momento in cui c'è da far pesare la propria forza contro le mire dei curdi e dei sunniti sul futuro di Mosul.

Così la morte a Bassora del cristiano scappato da Qaraqosh rischia di essere solo l'inizio: «L’omicidio di Nazar Elias - denunciavano ieri fonti del patriarcato caldeo parlando con AsiaNews, che per prima in Italia ha rilanciato la notizia - non è il solo caso di violenza avvenuto nelle ultime ore nel Paese a causa della legge anti-alcol. Anche a Karrada, quartiere della capitale Baghdad, anonimi assalitori hanno fatto esplodere un negozio in cui si vendeva alcol».

Diventa allora importante la battaglia che in parlamento il deputato cristiano Yonadam Kanna sta portando avanti per riaprire la questione, ricordando come la Costituzione irachena riconosca «piena libertà e diritti per le minoranze». E spiegando che questa legge è inaccettabile esattamente come quella di qualche mese fa, che prevedeva che i figli di una coppia in cui uno dei due genitori è musulmano, diventino essi stessi musulmani. Dietro, infatti, c'è la stessa idea di un Iraq teocratico che negherebbe ogni diritto alle minoranze.

Contro la legge anti-alcol si è schierato anche il presidente iracheno, che nella complessa alchimia istituzionale di ciò che resta di questo Paese è il curdo Fuad Masum. Del resto la regione autonoma del Kurdistan ha già dichiarato che non applicherà il provvedimento. Ma la preoccupazione resta, perché è evidente che in gioco c'è molto di più rispetto alla questione degli alcolici in sé. E fa pensare che la notizia dell'uccisione del siro-cattolico Nazar Elias si intrecci con le immagini dell'esercito iracheno che a Qaraqosh riapre la chiesa dell'Immacolata Concezione, spogliata e oltraggiata dalle milizie dell'Isis. Getta un'ombra sulle speranze di queste ore. E rende ancora più urgente il ripetuto appello rivolto in questi giorni dal patriarca caldeo Sako agli iracheni ma anche alla coalizione internazionale: il bene degli iracheni prevalga davvero sugli appetiti di chi - nella macabra giostra di questo Paese da troppo tempo senza pace - sta già preparando il prossimo scontro.
02/11/2016 fonte: La nuova bussola quotidiana

I santi? Non sono una piccola casta di eletti… Spunti di meditazione per le liturgie del 1° e del 2 novembre



Oggi contempliamo il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra e di tutti i defunti. Noi non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande nuvola di testimoni: con loro formiamo il Corpo di Cristo, con loro siamo figli di Dio, con loro siamo fatti santi dello Spirito Santo. Gioia in cielo, esulti la terra!

In Paradiso innumerevoli santi e tutti i defunti intercedono per noi presso il Signore, ci accompagnano nel nostro cammino verso il Regno, ci spingono a tenere fisso lo sguardo su Gesù il Signore, che verrà nella gloria in mezzo ai suoi santi.

La liturgia di questi due giorni ci invita a condividere il gioia celeste dei santi, a gustarne la gioia. I santi non sono una piccola casta di eletti, ma una folla senza numero, verso la quale la liturgia ci esorta oggi a levare lo sguardo. In tale moltitudine non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i defunti battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina. Della gran parte di essi non conosciamo i volti e nemmeno i nomi, ma con gli occhi della fede li vediamo risplendere, come astri pieni di gloria, nel firmamento di Dio.

Disponiamoci a celebrare questi due giorni confessandoci bisognosi della misericordia di Dio, andando a Messa e meditando questi brani del Catechismo della Chiesa Cattolica:

957 La comunione con i santi «Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d’esempio, ma più ancora perché l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall’esercizio della fraterna carità. Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio» 517:

«Noi adoriamo Cristo quale Figlio di Dio, mentre ai martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imitatori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il loro Re e Maestro; e sia dato anche a noi di farci loro compagni e condiscepoli»518.

958 La comunione con i defunti. «La Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati” (2Mac 12,46), ha offerto per loro anche i suoi suffragi»519. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore.

959 Nell’unica famiglia di Dio. «Tutti noi che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia, mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell’unica lode della Trinità Santissima, corrispondiamo all’intima vocazione della Chiesa» 520.

In sintesi

960 La Chiesa è «comunione dei santi»: questa espressione designa primariamente le «cose sante» (sancta), e innanzi tutto l’Eucaristia con la quale « viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo»521.

961 Questo termine designa anche la comunione delle «persone sante» (sancti) nel Cristo che è «morto per tutti», in modo che quanto ognuno fa o soffre in e per Cristo porta frutto per tutti.

962 «Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere»

02/11/2016 fonte: Zenit

«La Provvidenza ha "invertito" le scosse»

di Andrea Zambrano

La statua di San Benedetto a Norcia

Sismologo e benedettino, per Padre Martino Siciliani questi sono giorni di prova. La Basilica di Norcia a lui tanto cara è crollata durante la scossa delle 7.40 di domenica, ma nel frattempo, il suo essere esperto di terremoti lo costringe a frenare l’emotività e a guardare i freddi numeri: gli unici che possano dare un qualche riferimento a quanto sta accadendo in Umbria e Marche in questi giorni.

Ieri Padre Martino, direttore dell’Osservatorio di sismologia Padre Bina di Perugia, è stato a Norcia per verificare uno scantinato, ma non lo hanno fatto entrare nella zona rossa. 

Padre Martino…uno scantinato? Perché?

Perché per eventi sismici di questo tipo gli scantinati in effetti sono quelli che rimangono integri. Volevo studiare perché. E’ importante saperlo, anche per logiche di protezione, ma non mi hanno fatto entrare perché Norcia ormai è tutta zona rossa.

Intanto intorno era tutto crollato. 

E’ stato un evento inaspettato e molto forte, in effetti. 

I sismologi come lei continuano a ripetere che sotto terra c’è un accumulo di energia impressionante…

E’ vero. 

Tale da provocare sismi così forti a ripetizione?

Sì, la quantità delle scosse cosiddette di assestamento sta diventando esasperante. In poche ore ce ne sono state oltre 20 sopra i 4 gradi ogni dieci minuti.

Lo chiedono tutti: ce ne saranno altre?

Può succedere di tutto, possono esserci repliche anche intense e anche dopo le 24 ore. In questi giorni bisogna essere molto prudenti in queste zone. 

Fino a dove?

Direi che Perugia e Foligno possono stare tranquille. 

E’ giusto evacuare le zone epicentrali?

Sì, è conveniente e vedo che la protezione civile si sta già attrezzando a farlo. Gli edifici sono troppo precari.

Che tipo di attività sismologica è questa?

Questo è uno dei terremoti più forti avvenuti in Umbria dall’anno mille. Anche il terremoto del 1703 a Norcia è stato meno intenso.

Potrebbero arrivare terremoti più forti, anche oltre il 7° grado? 

In linea di massima non è ipotizzabile nel senso che potrebbe essere questo il massimo che la crosta terrestre possa esprimere come restituzione di energia elastica, però sui terremoti non si può dire mai l’ultima parola.

Anche l’apertura della terra è impressionante…

Questa è meno inquietante di quanto si possa pensare. E’ normale che per terremoti così violenti ci siano delle spaccature che riguardano la superficie crostate, ma si tratta di spaccature poco profonde che riguardano la faglia, non la superficie sismo-tettonica, ne sono solo l’espressione superficiale.

Ha sentito i suoi confratelli di Norcia? 

Non ancora, sono molto impegnati in queste ore. Hanno dovuto abbandonare la loro struttura e ora sono al sicuro.

Come sismologo benedettino è molto partecipe?

Si, sto vivendo il tutto con una forma di depressione, l’aver visto un monastero per me molto amato che conosco da quando ero ragazzo e poi sapere i miei confratelli che venivano a studiare da noi a Perugia in così gravi difficoltà, mi fa stare male. Loro sono choccati com’è giusto che sia. Ma li conosco, so che aiuteranno concretamente, sono in 16 e sono giovani. Possiamo contare su di loro per la ricostruzione.

Che  riflessione le provoca il fatto che siano venute giù le chiese, ma non ci sia stata neanche una vittima?

E’ sicuramente un fatto provvidenziale di cui ringraziare. E’ un fatto misterioso a livello di fede, ma ha uno sviluppo scientifico.

Che cosa vuol dire?

Il Signore protegge il Creato, ma lo lascia esprimersi, l’evitare qualche danno dipende anche, ma non solo, dalla collaborazione dell’uomo col Creatore. Però qualche volta il Signore interviene per farci soffrire meno e invitarci a guardare a lui per il pericolo scampato. 

E lo sviluppo scientifico?

Ciò che è avvenuto domenica è provvidenziale, ma è il risultato di un’attività sismica iniziata con la prima scossa di Ussita. La prima scossa delle 19 e quella delle 21.18 non sono state altro che scosse anticipatrici del più grande evento di domenica. 

Quindi non sono state le prime e quella di domenica la terza?

No, sono state quelle che in gergo chiamiamo foreshock, cioè scosse anticipatrici di intensità molto forte, che però hanno portato alla scossa "madre” di domenica, dove nel frattempo la popolazione era stata per tempo avvertita del rischio. 

E’ per questo che non ci sono stati morti?

Sì, le due scosse del 26 ottobre hanno portato la popolazione ad allertarsi. E’ questa la provvidenzialità. 

In effetti i sismologi sostengono il contrario.

Anche io ero stato tratto in inganno. Dopo il secondo evento ho visto un’attività spasmodica di scosse, non solo di repliche, ma pensavo che fosse la restituzione di energia di quell’evento originario, in realtà era la preparazione di quest’ultimo evento.

Ma perché non ve ne siete accorti?

Perché non si riesce a distinguere le due cose, se si fosse trattato di un’altra faglia ce ne saremmo accorti invece il distretto sismico era lo stesso, pertanto era impossibile distinguere tra assestamento o avvisaglia. 

Siamo in grado di capire quanta energia ancora dovrà essere sprigionata? 

No, sappiamo soltanto che c’è un’intensissima attività sismica, la quale fa supporre che potrebbero esserci ancora altre scosse.

IL SANTO DEL GIORNO 31/8/2016 San Giuseppe D'Arimatea




I pochi riferimenti storici si desumono dai quattro Evangelisti allorquando narrano la deposizione e la sepoltura di Gesú. Originario di Arimatea, di condizione assai agiata, era un discepolo di Gesú, ma come Nicodemo non aveva dimostrato la propria fede per paura dei Giudei, fino al periodo della Passione. Tuttavia durante il processo di Gesú, partecipando alle sedute del sinedrio, per il senso di giustizia che l'animava e per l'aspettativa del regno di Dio, aveva osato dissentire dai suoi colleghi non approvando le risoluzioni e gli atti di quell'assemblea. Anzi maggior coraggio dimostrò dopo la morte del Maestro, quando arditamente, come si esprime Marco, si presentò a Pilato per ottenere la sua salma e darle degna sepoltura, impedendo così che fosse gettata in una fossa comune, con quella dei due ladroni. Nel pietoso intento, Giuseppe trovò collaborazione, oltre che nelle pie donne, anche in Nicodemo, accorso portando con sé aromi (mirra ed aloè). Giuseppe, secondo quando detto in Mt. 27,59, aveva comprato una bianca sindone. I due coraggiosi discepoli, preso il corpo di Gesú, lo avvolsero in bende profumate e lo deposero nel sepolcro nuovo, scavato nella roccia, che Giuseppe si era fatto costruire nelle vicinanze del Calvario. Era il tramonto quando Giuseppe "rotolata una grande pietra alla porta del sepolcro andò via".
La storia ha qui termine, ma il personaggio non fu trascurato dalla leggenda ed in primo luogo dagli anonimi autori degli apocrifi. Nello pseudo-Vangelo di Pietro (sec. II) la narrazione non si distacca da quella del Vangelo; l'unica differenza sta nel fatto che Giuseppe chiese a Pilato il corpo di Cristo ancora prima della Crocifissione. Ricchi di nuovi fantastici racconti sono inveci gli Atti di Pilato o Vangelo di Nicodemo (sec. V), in cui si narra che i Giudei rimproverarono a Nicodemo e a Giuseppe il loro comportamento in favore di Gesú e che proprio per questo, Giuseppe venne imprigionato, ma, miracolosamente liberato, fu ritrovato poi ad Arimatea. Riportato a Gerusalemme narrò la prodigiosa liberazione. Ancora piú singolare è una narrazione denominata Vindicia Salvatoris (sec. IV?), che ebbe poi larghissima diffusione in Inghilterra ed Aquitania. Anzi, a questo opuscoletto si è voluto dare un intento polemico contro Roma, giacchè il Vangelo sarebbe stato diffuso in quelle zone non da missionari romani, ma da discepoli di Gesú. Il racconto si dilunga nel descrivere l'impresa di Tito, figlio dell'imperatore Vespasiano, che partì da Bordeaux con un grande esercito per recarsi in Palestina a vendicare la morte di Gesú, voluta ingiustamente dai Giudei. Occupata la città, trovò Giuseppe in una torre dove era stato rinchiuso dai Giudei perché morisse di fame e di stenti; egli era invece sopravvissuto per nutrimento celeste. Già Gregorio di Tours faceva menzione di questa prigionia di Giuseppe. Altre leggende di origine orientale riferiscono che Giuseppe fu il fondatore della Chiesa di Lydda, la cui cattedrale fu consacrata da s Pietro.
Ma nell'ambiente francese ed inglese dei secc. XI-XIII la leggenda si colorì di nuovi particolari inserendosi e confondendosi nel ciclo del Santo Graal e del re Artù. Secondo una di queste narrazioni Giuseppe, prima di seppellire Gesú, ne lavò accuratamente il corpo tutto cosparso di sangue, preoccupandosi di conservare quest'acqua e sangue in un vaso, il cui contenuto fu poi diviso fra Giuseppe e Nicodemo. Il prezioso recipiente si tramandò da Giuseppe ai suoi figli e cosí per varie generazioni fino a quando venne in possesso del patriarca di Gerusalemme. Questi nel 1257, temendo cadesse in mano degli infedeli, su consiglio dei suffraganei, lo consegnò ad Enrico III d'Inghilterra, perchè lo tutelasse.
Altre leggende, pur collegandosi alla precedente, riferiscono che Giuseppe, con il prezioso reliquiario, peregrinò accompagnato da vari cavalieri per evangelizzare la Francia (alcuni racconti dicono che sarebbe sbarcato a Marsiglia con Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria), la Spagna (dove sarebbe andato con s. Giacomo, che lo avrebbe creato vescovo!), il Portogallo ed infine l'Inghilterra. Quivi il vaso (il Santo Graal) andò smarrito e solo un cavaliere senza macchia e senza paura l'avrebbe ritrovato. Questa leggenda del Santo Graal fa parte del ciclo di Lancillotto e specialmente della 'Estoire du Graal', che non è altro che una versione in prosa del poema di Roberto di Boron.
Forse questa diffusione della leggenda in Francia si collega anche alla narrazione riguardante le ossa di Giuseppe. Un racconto del sec. IX riferisce che il patriarca Fortunato di Gerusalemme per non essere catturato dai pagani, fuggí in Occidente al tempo di Carlo Magno portando con sé le ossa di Giuseppe d'Arimatea; nel suo peregrinare si fermò per ultimo nel monastero di Moyenmoutier, di cui divenne abate. Le reliquie del santo furono poi trafugate dai canonici.
Il culto più antico sembra però stabilito in Oriente. In alcuni calendari georgiani del sec. X la festa è menzionata il 30, 31 agosto o anche la terza domenica dopo Pasqua. Per i Greci invece la commemorazione era il 31 luglio. In Occidente fu particolarmente venerato a Glastonbury in Inghilterra, ove, secondo una tradizione, avrebbe fondato il primo oratorio. Nel Martirologio Romano fu inserito al 17 marzo dal Baronio. Al compilatore degli Annali l'inserimento fu suggerito dalla venerazione che i canonici della basilica vaticana davano ad un braccio del santo, proprio il 17 marzo. Al tempo del Baronio la più antica documentazione della reliquia era uno scritto del 1454. Tuttavia nessun martirologio occidentale prima di tale data faceva menzione di culto a s. Giuseppe d'Arimatea.


Terremoto. Mons. Pompili: “Dio non è il capro espiatorio”

Ad Amatrice, il vescovo di Rieti celebra i funerali di 29 vittime. E proclama: "Non ti abbandoneremo, uomo dell’Appennino”


 Funerali terremoto Amatrice
Un funerale voluto dal popolo dopo tante polemiche. Per desiderio dei residenti e del sindaco, le esequie di una parte delle vittime del terremoto nell’Appennino centrale sono stati celebrati ad Amatrice e non a Rieti, come precedentemente stabilito dalla prefettura.

Sotto una pioggia che ha reso ancor più malinconico lo scenario, intorno alle sei di sera, presso la tensostruttura adibita per l’occasione, sono giunte le bare di 29 vittime. Solo una piccola parte, dunque, delle 291 totali.

Accanto all’altare, la statua di una Madonna rimasta indenne dalle scosse sismiche e posta in cima ad un mucchio di macerie: il simbolo della misericordia di Dio, più forte della stessa morte umana, anche la più crudele ed improvvisa.

Mentre il primo dei funerali, celebrato ad Ascoli sabato scorso, aveva coinvolto le vittime della provincia marchigiana, oggi è stata la volta della provincia più colpita, quella reatina. Molte delle famiglie hanno però preferito optare per le esequie private o di celebrarle nei paesi di origine.

A concelebrare con monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, i vescovi emeriti della diocesi sabina, e monsignor Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, giunto in rappresentanza di papa Francesco.

Presente alla cerimonia funebre anche un vescovo ortodosso, in ragione della presenza tra le vittime di immigrati moldavi e rumeni. Qua e là, dispersi tra la folla, i volti delle massime cariche dello Stato: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il presidente della Camera, Laura Boldrini, il presidente del Senato, Pietro Grasso.

Il grido di dolore di una donna irrompe allorché monsignor Pompili pronuncia il nome di sua figlia tredicenne, una dei minorenni deceduti nel sisma, assieme a due fratellini di tre anni e tre mesi, di cui spiccano le due piccole bare bianche. Tutti e 291 i morti di Amatrice e dintorni sono stati ricordati in ordine alfabetico dal vescovo, compresi quanti hanno già ricevuto le esequie e chi ancora le deve ricevere.

Al momento dell’omelia, monsignor Pompili ha menzionato la prima lettura, tratta dal libro delle Lamentazioni, che descrivendo la distruzione di Gerusalemme, che sembra quasi evocare "la devastazione di Amatrice e di Accumoli. Sembra di risentire i sopravvissuti: un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere. Poi le urla. Quindi il buio”.

Pompili ha poi raccomandato non cercare in Dio un "capro espiatorio” ma, al contrario, di "guardare in quell’unica direzione come possibile salvezza”. Non è infatti il terremoto che uccide, ha detto il presule, ma "uccidono le opere dell’uomo”.

"I paesaggi che vediamo e che ci stupiscono per la loro bellezza sono dovuti alla sequenza dei terremoti”. Senza i terremoti del passato, ha aggiunto, non sarebbe possibile ammirare l’ecosistema appenninico attuale, né vi sarebbero gli uomini che attualmente lo abitano, né altre forme di vita.

L’invito è quindi quello ad ascoltare Gesù che dice: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Parole che sono "un balsamo sulle ferite fisiche, psicologiche e spirituali di tantissimi”, sebbene "non basteranno giorni, ci vorranno anni”.

La mitezza che Gesù stesso evoca è "una ‘forza’ distante sia dalla muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante, sia dall’inerzia rassegnata di chi già si volge altrove. La mitezza dice, invece, di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve, medio e lungo periodo”.

Lontana dalla "querelle politica” o dallo "sciacallaggio di varia natura”, la popolazione locale è chiamata a "far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta. Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore”.

In conclusione il vescovo ha pronunciato in messaggio in forma poetica: "Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: ‘Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più’. Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino: l’ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell’alba ancor ti stupirai”.

A fine celebrazione hanno preso la parola i sindaci di Accumoli, Stefano Petrucci, e di Amatrice, Sergio Pirozzi, che hanno rincuorato i loro concittadini, incoraggiandoli a diventare parte attiva nella ricostruzione. "Dopo la morte c’è la resurrezione – ha detto Pirozzi, visibilmente emozionato – siamo pronti a fare la nostra parte. Nei momenti di emergenza, l’Italia è una grandissima nazione”. Il commovente abbraccio tra il sindaco e il vescovo ha segnato la fine della cerimonia.
31/8/2016 : fonte ZENIT

“Madre Teresa volle amare Gesù come nessuno lo aveva mai amato prima”

A pochi giorni dalla canonizzazione, il postulatore Brian Kolodiejchuk illustra le virtù della futura santa, di cui c’è ancora molto da scoprire e da imparare



Tutto il mondo l’ha conosciuta e l’ha amata: ora Madre Teresa di Calcutta diventerà Santa per volere di papa Francesco, che la canonizzerà il prossimo 4 settembre, durante una cerimonia in piazza San Pietro alla quale si prevede la partecipazione di migliaia di fedeli. Postulatore della causa di canonizzazione è padre Brian Kolodiejchuk, M.C., autore di numerose pubblicazioni sulla fondatrice delle Missionarie della Carità. La più recente è "A Call to Mercy: Hearts to Love, Hands to Serve (Una chiamata alla Misericordia: un cuore per amare, mani per servire)”, un libro di immagini pubblicato questo mese. Il volume, progettato in concomitanza con il Giubileo della Misericordia, raccoglie le più belle frasi e i messaggi di Madre Teresa che mostrano "una pratica e concreta espressione di come la misericordia incontri la sofferenza”, come spiega padre Kolodiejchuk nell’intervista rilasciata a ZENIT.

***
Madre Teresa è stata molto conosciuta e amata dal mondo intero. Secondo lei, cosa bisogna ancora conoscere o imparare da lei?

Madre Teresa è generalmente riconosciuta come un’icona di amore e compassione per i più poveri, i più deboli, coloro che vivono nelle ‘periferie’ dell’umana esistenza. Lei è amata e ammirata come una icona universale della misericordia, una persona realmente straordinaria. Ciononostante, io non penso che lei sia molto nota alle generazioni più giovani; molti bambini, adolescenti e adulti hanno una conoscenza scarsa o addirittura nulla della sua vita e del suo messaggio.

Anche tutti quelli che comunque conoscono Madre Teresa, non hanno nient’altro che qualche informazione generale sulla sua vita e sulle sue opere. Lo si può constatare dalle reazioni ai libri che ho pubblicato nel corso degli ultimi anni. Ogni libro rivela qualcosa di nuovo su Madre Teresa e questo ha "sorpreso” in qualche modo i lettori; ad esempio Vieni, sii la mia luce, che rivelava la sua oscurità interiore in unione con i poveri che ha servito; Dove c’è amore, c’è Dio, sulla sua profonda saggezza e semplicità su importanti temi spirituali come la fede, l’amore, la fiducia. E ora Una chiamata alla misericordia, che mostra il suo "amore in azione”, attraverso la pratica delle opere corporali e spirituali di misericordia. Questo libro rivela chiaramente la sua preferenza per i più poveri e bisognosi.

Penso che molte persone abbiano ancora quindi tanto da imparare su Madre Teresa. Lei è stata un profeta del nostro tempo e il suo messaggio è ancora essenziale e attuale per il mondo di oggi. Perché lei ci ha reso consapevoli della presenza dei poveri, della dignità di ogni persona, del valore della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, della chiamata di tutti alla vera missione sulla terra, cioè amare ed essere amati, amare fino a soffrire, per essere santi.

La fonte dell’energia e dello zelo di Madre Teresa non erano un’idea, né un concetto: erano una persona – Gesù – che lei voleva amare, come Lui non era mai stato amato prima. Lei ha reso testimonianza al mondo che l’insegnamento di Gesù era vero; lei lo ha vissuto e lo ha tradotto in pratica. La sua ferma fede nelle parole di Gesù del Vangelo di Matteo, "l’avete fatto a me”, rende gli altri consapevoli della presenza di Gesù nei più poveri dei poveri, o come lei diceva, nelle "sofferenti sembianze dei più poveri tra i poveri”. Era una realtà che lei ha portato nella casa di molti.

C’è quindi ancora molto da imparare da Madre Teresa e su Madre Teresa: la sua fede, la sua vita interiore, il suo carattere, le sue relazioni – a partire dalla relazione con Dio, fino alla relazione con la sua famiglia, con le sue consorelle, con i suoi più stretti collaboratori e, soprattutto, con i poveri. Ci sono anche molte cose interessanti su di lei che affascineranno i lettori, ad esempio, il suo senso comune, la sua notevole energia, il suo senso dello umorismo e certe sue "particolari pratiche”, come quella di cambiare mobili nella sua casa. Il mio più importante progetto editoriale sarà un’approfondita biografia, che spero porterà agli estimatori di Madre Teresa – e in generale ai lettori – un ritratto esauriente di quel che lei era davvero.

Il titolo di questo nuovo libro, Una chiamata alla misericordia, sottolinea ovviamente il Giubileo che stiamo vivendo. A suo avviso, cosa ha da dire Madre Teresa alla Chiesa sulla misericordia?

Il messaggio di Madre Teresa sulla misericordia non consiste in una sofisticata dissertazione teologica e nemmeno lo è questo libro. È piuttosto un’espressione pratica e molto concreta di come la "misericordia” raggiunga la "sofferenza”. Mostra un metodo in cui tutti ci possiamo identificare: quando siamo al minimo delle nostre possibilità, è allora che abbiamo più bisogno della misericordia di Dio ed è allora che lo sperimentiamo nel modo più tangibile, sia in modo diretto o tramite intermediari, come lo era effettivamente Madre Teresa. Una chiamata alla misericordia dimostra come Madre Teresa abbia riconosciuto se stessa bisognosa della misericordia di Dio, di come si sia aperta a Lui e anche di come l’abbia estesa agli altri. Perciò, attraverso il suo esempio, lei si rivela una vera "maestra” nella pratica della misericordia, nell’essere misericordiosi.

Madre Teresa ci insegna che essere misericordiosi, avere cura dei nostri fratelli e sorelle poveri, aiutarli nei loro bisogni – materiali o spirituali – non è un’opzione; è un comandamento, un obbligo per ognuno di noi. Avere cura gli uni degli altri significa mettere in azione la misericordia. Non si tratta soltanto di una scelta quanto di un dovere, poiché la futura santa Teresa di Calcutta ci insegna: "I poveri sono la speranza dell’umanità, i poveri sono, per me e per te, la speranza di andare in paradiso, per il giudizio finale che tutti riceveremo. ‘Ero affamato e mi avete dato da mangiare, nudo e mi avete vestito’”.

Madre Teresa ci insegna che, nel momento in cui ci arrendiamo completamente a Dio, Lui ci usa per diffondere la misericordia, per toccare i cuori. E poi Gesù ha il sopravvento e compire "miracoli”, come ha fatto per mezzo della vita di Madre Teresa, toccando letteralmente milioni di vite, conferendo loro significato, aiutando tante persone a rendersi conto di essere amate e capaci di amore.

Madre Teresa ci insegna che la misericordia guarisce anche chi la dona, il quale è più benedetto di colui che la riceve. L’intera vita di Madre Teresa ci insegna che la misericordia – concreta, efficiente, tenera, mite, gentile, gioiosa – per i nostri fratelli e sorelle è una fonte di vita che trae origine dalla misericordia di Dio e dalla profonda convinzione del bisogno di misericordia da parte di ognuno di noi. La misericordia in azione, come vediamo nella vita di Madre Teresa, ci mostra che, se una persona è misericordiosa, Gesù entra nelle sue azioni e moltiplica le grazie date e ricevute. Madre Teresa, come è dimostrato in questo libro, ha toccato milioni di vite e ha realizzato molto più di quello che può fare una persona normale, facendo leva esclusivamente sulle risorse umane. Una volta che ci si focalizza su Gesù e sulla sua misericordia, nulla è impossibile per chi Lo ama.

A settembre sarà scritta la pagina finale del suo processo di beatificazione e di canonizzazione. Ci può dare alcuni spunti riguardo a come la causa si è svolta? Si potrebbe presumere che, dal momento che la sua santità era universalmente riconosciuta ben prima della sua morte, la strada del processo sia stata sempre in discesa. Vi sono stati ostacoli nelle cause di beatificazione e canonizzazione?

La fame di santità di Madre Teresa era già parecchio diffusa ed acclamata durante la sua vita. Molti dicevano: "Se non è una santa lei, allora chi può esserlo?”. Al momento della discussione sulla sua beatificazione, altri dicevano: "Concludiamo tutto in fretta”. Tutto ciò conferma la reputazione di santità di cui Madre Teresa godeva in tutto il mondo ed è quello che spinse papa Giovanni Paolo II a bypassare la convenzione dei cinque anni da attendere prima che una causa inizi.

Questa eccezione non ha però reso superfluo il processo. I requisiti del processo canonico sono stati pienamente adempiuti in modo scrupoloso, in ogni fase. Ciò ha richiesto un enorme lavoro, poiché Madre Teresa era una figura di fama mondiale, quindi sono stati raccolti documenti e testimonianze da un ampio numero di fonti.

La fase diocesana è quindi iniziata nel luglio 1999 e si è conclusa nell’agosto 2001. Le circa 35mila pagine raccolte sono state mandate a Roma in un formato di 81 volumi di 400-450 pagine ciascuno. Lo studio della sua vita, delle virtù e della fama di santità – ovvero la Positio, di 5000 pagine – è stato effettuato in modo meticoloso, seppure in un tempo relativamente rapido (entro la Pasqua 2002), in modo che uno dei teologi che vi ha studiato, ha sottolineato che aver svolto un tale lavoro in un tempo così breve è stato già di suo un miracolo. La condotta di vita cristiana da parte di Madre Teresa è stata confermata essere eroica da un decreto di papa Giovanni Paolo II, nel dicembre 2002. Il miracolo attribuito all’intercessione di Madre Teresa, che è stato studiato dalla Congregazione per le Cause dei Santi, è stato accettato ufficialmente dal Santo Padre, lo stesso giorno della conferma delle virtù eroiche (un’eccezione precedentemente operata per papa Giovanni XXIII).

Potremmo dire che il processo è stato al tempo stesso semplice e pieno di sfide: semplice perché chi vi è stato coinvolto, ha collaborato generosamente, riguardando Madre Teresa; pieno di sfide perché la raccolta delle informazioni richieste è stato effettuato davvero in ogni angolo del pianeta. Devo dire che, specie durante i mesi di lavoro sulla Positio, io e il mio team abbiamo avuto la palpabile consapevolezza dell’azione di Dio, della Sua grazia che operava con noi e per noi, grazie alla preghiera di molti, in particolare delle nostre Sorelle contemplative che hanno tutte "preso in affidamento” ogni membro del team.

31/8/2016: Fonte ZENIT


Ma la cena eucaristica non è un pic-nic

di Rino Cammilleri

Pensate, ai tempi del giansenismo per fare la comunione ci voleva un permesso speciale del proprio direttore spirituale. Palesemente influenzato dal luteranesimo, tale movimento (che dilagò all’interno del cattolicesimo nel XVII secolo ma il cui contagio arrivò fino ai primi decenni del XIX) partiva dal presupposto dell’indegnità umana ad accostarsi ai sacramenti. Alla fine, poiché, a ben pensarci, è difficile che uno si ritenga degno, il risultato è lo scoraggiamento. E il conseguente allontanamento. 

Troppo difficile, grazie lo stesso. Il giansenismo colpì duro soprattutto in Francia, dove i cattolici vivevano a stretto contatto con i calvinisti ugonotti e le guerre di religione avevano lasciato il segno. Proprio al culmine dell’eresia (perché questo era), il Sacro Cuore di Gesù apparve a santa Marguerite Alacoque, a ricordare l’umanità di Cristo e la sua misericordia. Fieri avversari del giansenismo furono i soliti gesuiti, l’esercito personale del Papa. Ci volle, come sempre nella storia del cristianesimo, parecchio tempo prima che la Chiesa ri-centrasse le cose. Infatti, il timone serve a impedire che la barca sbandi di qua o di là. Nessuno è degno («Domine, non sum dignus…»), ma la misericordia divina supplisce all’indegnità («…sed tamen dic verbum…»). 

I più anziani tra noi forse ricorderanno quando, per poter fare la comunione, bisognava essere digiuni dalla sera prima. E solo alla fine degli anni Cinquanta si cominciò a ridurre il limite fino a portarlo a un’ora. Qui è rimasto, anche perché di meno sarebbe ridicolo e tanto varrebbe abolirlo. A che serve questo, pur minimo, limite? Appunto a ricordare, almeno simbolicamente, l’”indegnità”: è il Corpo di Cristo quello che vai a ingoiare, vera carne e vero sangue di Dio. Il catechismo invece non ha mai modificato niente in materia: puoi comunicarti solo se sei «in grazia di Dio», cioè se sei stato assolto dal confessore. In casi eccezionali puoi confessarti anche dopo, ma che sia alla svelta, in base alla tua coscienza (sempre che questa sia «ben formata», cioè cristianamente edotta e istruita, sennò diventa arbitrio). 

Queste sono le regole, e non si dà comunità senza regole: anche in un villaggio di santi i semafori sono necessari. Tutto ciò si impose alla mia mente quando alla tivù vidi le prime grandi messe negli stadi, con molti sacerdoti sguinzagliati tra gli spalti a distribuire la comunione a chiunque tendesse le labbra (poi le mani). Mi chiedevo: saranno tutti confessati? O, subito dopo, in migliaia affolleranno i confessionali? Boh. Veniamo all’oggi. Non è vero che le chiese sono vuote: io, anche in giro per l’Italia, e anche d’estate, le vedo sempre affollate. E, all’ora della comunione, tutti, dico tutti, si mettono in fila per comunicarsi. Infatti, in molte chiese occorrono i "ministri straordinari” per darla, sennò non la finiamo più. 

La domanda è la stessa di prima: saranno tutti «in grazia di Dio»? Ma scaccio il pensiero: chi sono io per giudicare? Poi, però, leggo lettere accorate di lettori (non solo a me, ma anche, per esempio, al sito cattolico Aleteia.org), che chiedono consiglio su, che so, loro parenti divorziati e risposati che si comunicano tranquillamente, e se viene obiettato loro qualcosa, ti rispondono giudicando, eccome, te: non hai misericordia, non sei un buon cattolico, sei privo di amore per il prossimo eccetera. Allora, ecco che si insinua il dubbio sulla famosa domanda di prima. Papa Francesco ha chiarito che cosa si intende per «coscienza ben formata». Ma quanti di quelli che, in massa, vanno a fare la comunione ce l’hanno? 

Una mia collega insegnante, buddista, ogni tanto, a seconda dell’estro, si presentava alla messa domenicale e si comunicava. Perché? Si vergognava di restar seduta mentre tutti gli altri si mettevano in fila. Ora, la strategia globale della "misericordia” è ben fondata nel Vangelo. Sì, nella parabola in cui il re invita gli amici al pranzo di nozze e tutti si defilano perché hanno altro da fare (Lc 14,21): «Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". Il servo disse: "Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". Il padrone allora disse al servo: "Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia».

Matteo (22, 9) aggiunge: «Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali». Ma ecco l’ultima parte della parabola, quella più difficile da digerire (infatti, viene silenziata nelle omelie): «Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti"». Giansenismo? No, «coscienza ben formata». 

31/8/2016: fonte La nuova bussola quotidiana

Enigma Benedetto e la necessità di chiarezza

di Riccardo Cascioli

In principio fu la promessa di restare «nascosto al mondo», di «salire sul monte», di continuare a servire la Chiesa ritirandosi nella preghiera e nella meditazione, «in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze». Nel febbraio 2013 Benedetto XVI aveva accompagnato così la sua rinuncia al pontificato, che aveva colto tutti di sorpresa. E per un bel po’ effettivamente è stato così, a parte la puntuale risposta nel settembre 2013 al matematico Piergiorgio Odifreddi che aveva criticato il suo libro su Gesù. 

Ma ormai pare proprio che il "papa emerito” Benedetto XVI ci abbia ripensato. E da un po’ di mesi stiamo assistendo a un crescendo di interventi che sta raggiungendo il culmine in questi giorni. Ieri è infatti uscita una biografia di Ratzinger con allegata una intervista concessa all’autore, Elio Guerriero, e anticipata nei giorni scorsi da Repubblica. E il 9 settembre uscirà un libro-intervista con il giornalista tedesco Peter Seewald, lo stesso del precedente libro-intervista (Luce del mondo) uscito nel 2010 in pieno pontificato. Questa volta il titolo è "Benedetto XVI, Ultime conversazioni”. Che poi siano davvero le ultime a questo punto è lecito dubitarne, ma soprattutto è lecito chiedersi il perché di questo improvviso attivismo.

Non c’è bisogno di essere dietrologi o complottisti per osservare che i conti non tornano. I fatti sono chiari: era stato annunciato il silenzio definitivo, sta avvenendo il contrario. Lecito chiedersi quali ragioni abbiano spinto Benedetto XVI a venir meno al suo impegno. Non solo, improvvisamente ha cominciato a parlare anche il suo fido segretario, quel monsignor Georg Ganswein che si definisce fedele al Papa emerito «fino alla morte» ma che è anche Prefetto della casa Pontificia. E mentre Benedetto XVI è attentissimo a usare solo parole positive nel confronti del suo successore, monsignor Ganswein da una parte si lancia in azzardate tesi sul "pontificato allargato", dall'altra non manca di mettere bene in evidenza i punti deboli di Papa Francesco.

Ma al fatto in sé si deve aggiungere anche il contenuto di alcuni interventi, come quello dell’intervista appena pubblicata da Repubblica. Tornando sulle ragioni della rinuncia, e riproponendo il tema della stanchezza, Benedetto XVI aggiunge: «In particolare era già stata fissata la data della Giornata Mondiale della Gioventù che doveva svolgersi nell’estate del 2013 a Rio de Janeiro in Brasile. Ora, a questo riguardo, io avevo due convinzioni ben precise. Dopo l’esperienza del viaggio in Messico e a Cuba, non mi sentivo più in grado di compiere un viaggio così impegnativo. Inoltre, con l’impostazione data da Giovanni Paolo II a queste giornate, la presenza fisica del Papa era indispensabile. Non si poteva pensare a un collegamento televisivo o ad altre forme garantite dalla tecnologia. Anche questa era una circostanza per la quale la rinuncia era per me un dovere». 

Con tutto il rispetto si fa veramente fatica a credere che il motivo della rinuncia – una decisione che lo stesso Benedetto XVI definì allora "grave” e "nuova” -  possa essere stata l’impossibilità di partecipare alla GMG di Rio, quando l’interruzione del suo Pontificato ha significato, ad esempio, lasciare a metà l’enciclica sulla fede che doveva terminare la trilogia dopo quelle sulla carità (Caritas in Veritate) e sulla speranza (Spe salvi).

Non sappiamo ancora cosa ci sarà nel prossimo libro-intervista, anche se probabilmente in linea con le ultime uscite non c’è da aspettarsi rivelazioni clamorose. Ma il fatto è che già le affermazioni poco credibili fatte a proposito della rinuncia, da una parte alimentano voci e pettegolezzi sui reali motivi della decisione, dall’altra aumentano le preoccupazioni di chi vede per la Chiesa la pericolosità di una situazione del genere, a partire dalla possibilità stessa che si possa parlare di un "papa emerito”.  Di queste preoccupazioni si è fatto recentemente interprete il cardinale tedesco Walter Brandmüller, grande amico di Ratzinger ma fortemente critico sia della decisione della rinuncia sia soprattutto del "dopo”. Brandmüller ritiene infatti «necessaria e urgente una legislazione che definisca e regoli» lo statuto di chi è stato Papa, perché la decisione di istituire un papato emerito – lasciandolo peraltro indefinito – sta creando una situazione pericolosa per la Chiesa al punto da poter portare a uno scisma. 

Da qualsiasi parte si prenda la questione, resta il fatto che in tempi di grave confusione per la Chiesa, si aggiungono purtroppo – aldilà delle intenzioni - altri motivi di confusione. Non è certo di questo che oggi abbiamo tutti bisogno. Per questo c’è solo da augurarsi che si chiarisca presto almeno il motivo di questi strani interventi.

31/8/2016: fonte La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 18/05/2016 Sant' Antusa di Costantinopoli Vergine, principessa imperiale

Figlia dell’imperatore d’Oriente Costantino V Copronimo e dell’imperatrice Irene, alla nascita le fu dato il nome di Antusa in omaggio alla santa omonima dell’Onoriade, venerata il 27 luglio, fondatrice di monasteri maschili e femminili, che perseguitata a causa dell’iconoclastia, aveva poi vaticinato il felice esito della difficile gravidanza gemellare dell’imperatrice. 
La principessa Antusa nacque verso il 750 a Costantinopoli e rimase ben presto orfana della madre, rimanendo insieme al fratello gemello Leone, alla corte dell’empio padre. 
Costantino V Copronimo (718-775), imperatore d’Oriente dal 741 al 755, figlio di Leone III l’Isaurico, sin dall’inizio del suo regno, ripristinò il prestigio imperiale, riconquistando lo Stato dall’usurpatore Artavasde, combatté gli Arabi e salvò Costantinopoli la capitale, attaccata dai Bulgari, vincendoli nel 755 ad Anchialo; riportò anche successi sugli Slavi. 
In Occidente le cose non andarono bene, perse nel 751, ad opera dei Longobardi, l’esarcato di Ravenna; l’intervento poi di re Pipino e di Carlo Magno, fecero tramontare i suoi progetti di riconquista della Penisola Italiana, inoltre i dissidi religiosi con il Papato provocarono la rottura con Roma. 
Se all’interno dell’Impero, la sua politica amministrativa fruttò una reale prosperità alla monarchia, d’altra parte la questione dell’iconoclastia, turbò profondamente il suo regno. 
Il Concilio di Hieria del 754, condannò il culto delle immagini e l’imperatore ne pose in atto i deliberati con un rigore, che dopo la congiura del 765, ebbe carattere di persecuzione. 
I monaci più degli altri furono colpiti e ciò valse a Costantino V da parte degli avversari, insultanti soprannomi (Copronimo, da kópros, sterco; staffiere). 
Antusa non condivise le posizioni del padre e rinunziando al matrimonio, dedicò la sua vita al servizio di Cristo; quando nel 775 Costantino V morì e gli successe l’altro figlio e fratello di Antusa con il nome di Leone IV, la principessa distribuì le sue ricchezze ai poveri, restaurando chiese, edificando monasteri e riscattando schiavi. 
Quando anche Leone IV morì nel 780, sua moglie Irene, diventò reggente per il figlio minore Costantino VI e offrì alla cognata Antusa di associarsi a lei nel governo dell’Impero. 
Ma Antusa ormai era tutta di Dio e preferì rifiutare, continuando nelle sue pratiche di carità, occupandosi soprattutto delle vedove e degli orfani, provvedendo alla loro educazione a sue spese, finché nel 784 ricevette l’abito monacale dal patriarca san Tarasio, nel monastero della Concordia di Costantinopoli, dove trascorse gli ultimi suoi anni, svolgendo anche i servizi più umili e assistendo con amore le consorelle. 
Morì a quasi 52 anni nell’801; la tradizione orientale la considera anche come martire, ma questo titolo non è riconosciuto dal Martirologio latino; è celebrata sia in Oriente che in Occidente, il 18 aprile.

Regina Caeli. Papa Francesco: a Lesbo ho visto tanto dolore
"Ho visto tanto dolore”. Al Regina Caeli in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha parlato con commozione della sua visita di ieri tra i profughi accolti sull’isola greca di Lesbo, condivisa con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene, Ieronymos. Il Papa ha anche espresso solidarietà per le vittime del sisma in Ecuador e per quello avvenuto in Giappone qualche giorno fa e ha invocato attenzione per i lavoratori precari dei call center. Il servizio di Alessandro De Carolis:



 
Una notte non basta a far sedimentare ciò che mente e cuore hanno assorbito di una giornata di emozioni potenti, che poche volte capita nella vita.
"Ho visto tanto dolore”
La prima cosa che Papa Francesco condivide con la folla dopo la preghiera del Regina Caeli, è l’esperienza vissuta a Lesbo tra profughi di tutte le età, tra gente che lo ha accolto e toccato con meraviglia e commozione, come la personificazione del fatto che non tutti i grandi del mondo, nei loro confronti, sono concentrati su come fare per tenerli il più possibile a distanza, ma che c’è chi è capace di farsi vicino, condividere il loro dramma, portare aiuto:
"Abbiamo visitato uno dei campi dei rifugiati: provenivano dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Africa, da tanti Paesi… Abbiamo salutato circa 300 di questi profughi, uno ad uno. Tutti e tre: il Patriarca Bartolomeo, l’arcivescovo Ieronymos ed io. Tanti di loro erano bambini; alcuni di loro – di questi bambini – hanno assistito alla morte dei genitori e dei compagni; alcuni di loro morti annegati in mare. Ho vito tanto dolore!”
"Quell’uomo piangeva tanto”
Di quel mare di disperazione, Francesco coglie un frammento, una storia di ordinario orrore per chi ha messo in gioco ogni sicurezza pur di lasciare l’inferno che gli è scoppiato attorno:
"Voglio raccontare un caso particolare di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, si amavano e si rispettavano a vicenda; ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto negare Cristo ed abbandonare la sua fede. E’ una martire! E quell’uomo piangeva tanto…”
Preghiera per Ecuador e Giappone
La piazza resta muta, attonita, mentre il Papa passa a esprimere solidarietà agli ecuadoriani della parte settentrionale del Paese – anch’essi vittime di una tragedia, un terremoto violentissimo che ha fatto un’ottantina di morti e centinaia di feriti – così come ai giapponesi di Kumamoto, colpiti dal sisma giovedì scorso. "L’aiuto di Dio e dei fratelli – è la preghiera di Francesco – dia loro forza e sostegno”. Forza che la fede, aveva detto nella riflessione prima del Regina Caeli, trova sempre in Gesù, il Pastore buono celebrato dalla quarta domenica di Pasqua, che nel Vangelo assicura: Io do la vita per le mie pecore "e nessuno le strapperà dalla mia mano”:
"Queste parole ci aiutano a comprendere che nessuno può dirsi seguace di Gesù, se non presta ascolto alla sua voce. E questo "ascoltare” non va inteso in modo superficiale, ma coinvolgente, al punto da rendere possibile una vera conoscenza reciproca, dalla quale può venire una sequela generosa, espressa nelle parole «ed esse mi seguono» (v. 27). Si tratta di un ascolto non solo dell’orecchio, ma un ascolto del cuore!”
Nessuno ci strappa da Gesù
Queste parole, afferma Francesco, "ci comunicano un senso di assoluta sicurezza e di immensa tenerezza. La nostra vita è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre”:
"Per questo non abbiamo più paura: la nostra vita è ormai salvata dalla perdizione. Niente e nessuno potrà strapparci dalle mani di Gesù, perché niente e nessuno può vincere il suo amore. L’amore di Gesù è invincibile! Il maligno, il grande nemico di Dio e delle sue creature, tenta in molti modi di strapparci la vita eterna. Ma il maligno non può nulla se non siamo noi ad aprirgli le porte della nostra anima, seguendo le sue lusinghe ingannatrici”.
Lavoro, prima la dignità
Durante i saluti finali, il Papa ha ricordato la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni invitando ragazzi e ragazze in Piazza a chiedersi se il Signore non stia chiamandoli a "consacrare la vita al suo servizio”, nel sacerdozio o nella vita religiosa. E accorato è anche l’ultimo appello di Francesco, quando esprime vicinanza "alle tante famiglie preoccupate – dice – per il problema del lavoro”:
"Penso in particolare alla situazione precaria dei lavoratori italiani dei call center: auspico che su tutto prevalga sempre la dignità della persona umana e non gli interessi particolari”.

18/05/2016 fonte Radio Vaticana

Papa, famiglie siriane. S. Egidio: è possibile cambiare vita
Per le tre famiglie siriane portate ieri a Roma dal Papa ed accolte dalla Comunità di Sant’Egidio è già iniziata una nuova vita e un percorso di inclusione e integrazione. Le  tre coppie di profughi e i loro bambini hanno espresso gratitudine al Pontefiche e hanno vissuto momenti di grande emozione alla cena di accoglienza a Santa Maria in Trastevere. Marco Guerra ne ha parlato con Daniela Pompei, responsabile del servizio ai migranti della Comunità di Sant'Egidio:



 
R. – E’ stato un clima molto caldo, molto accogliente. Gli altri profughi, già ospiti nella casa di accoglienza, hanno preparato una cena siriana e questo ha già dato loro la dimensione di entrare in una famiglia: c’erano i felafel, c’erano dolci siriani preparati dalla prima famiglia che è arrivata – anch’essa siriana – con la bambina… Erano un po’ stanchi e anche un po’ storditi, ma contentissimi! Non se lo aspettavano… Molti ci hanno detto: "Siamo rimasti senza parole!”. Le parole che ripetevano continuamente erano: "grazie”, "grazie”, "grazie al Papa”, "grazie al Papa di questo”, "noi non pensavo, effettivamente”… Uno dei capi famiglia ci ha detto: "Questa accoglienza – io ero un po’ timoroso dell’arrivo, perché non sapevo cosa avrei trovato – mi ha fatto dimenticare tutto quello che ho passato in Siria!”.
D. – Che impressione hanno avuto del Papa? Il Santo Padre ha toccato i loro cuori?
R. – Effettivamente, questo abbraccio del Pontefice ha cambiato la loro vita. Loro sapevano che il Papa sarebbe arrivato a Lesbo, sapevano anche il significato di questa visita: andare a vedere loro, andare a vedere i profughi. E quando hanno anche intuito che sarebbero tornati con il Papa, ovviamente le parole – come dicevo prima – che ripetevano e che hanno ripetuto continuamente sono state: "Grazie! Grazie!”. Una delle famiglie ha detto al Papa: "Preghi per noi” e il Papa ha risposto loro: "Pregate voi per me!”.
D. – Sappiamo che queste famiglie sono di religione musulmana. Con quali modalità sono state scelte?
R. – Non sono state scelte per il discorso religioso, ma semplicemente perché c’era una situazione – determinata dalla loro stessa condizione – di vulnerabilità. Anzitutto, perché sono famiglie e il fatto di essere già famiglia in fuga è di per sé una condizione di vulnerabilità e poi perché tutte queste famiglie venivano da un Paese che vive una guerra che dura da più di cinque anni. Una di queste famiglie, in particolare, viene da una zona che è controllata da Daesh, le altre due famiglie vengono da zone vicino a Damasco, dalla zona di confine in cui c’erano i combattimenti e sono stati costretti a fuggire. Questo è molto significativo, perché sono persone che non avevano intenzione di lasciare la Siria: hanno aspettato cinque anni prima di lasciare la Siria!
D. – Queste famiglie avevano una vita normalissima nel loro Paese d’origine, che è stata sconvolta dalla guerra. Nei loro occhi c’è tutto il dramma del conflitto siriano…
R. – Erano persone normalissime. Nella coppia più giovane, la moglie è un ingegnere agronomo, anche il marito è un ingegnere: era una coppia normalissima e aveva già un percorso di vita abbastanza segnato in maniera positiva. Anche le altre due famiglie sono normalissime. Una signora è sarta e lavorava come sarta, l’altra lavorava come parrucchiera; uno dei due mariti faceva piccolo commercio e l’altro faceva l’agricoltore… Quindi, sono famiglie che avevano una loro vita, una vita dignitosa. Due di queste famiglie ci hanno detto che hanno bombardato la loro casa e che non potevano più vivere lì. Hanno conosciuto anche la violenza dello Stato islamico. Una delle donne ci ha raccontato che è stata costretta a portare il Burqa totale, un’altra invece ci ha raccontato che se gli uomini portavano i jeans venivano ripresi…
D. – I bimbi dell’asilo per stranieri della vostra Comunità erano presenti alla cerimonia di accoglienza. Si tratterà quindi di un soggiorno in comunità, che prevede un percorso di accoglienza e di inclusione?
R. – Sì, certo. Prevede un percorso di accoglienza e di integrazione immediatamente: già questa mattina alcune delle famiglie stavano venendo qui, nella nostra scuola di lingua e cultura italiana, per iscriversi, per iniziare subito il percorso di integrazione. Effettivamente, questo è necessario: essere accompagnati, essere accolti, ma iniziare subito il percorso di integrazione. Hanno tutto il desiderio di farlo. Pur essendo stanchissimi – felici, ma stanchissimi – sia le donne che gli uomini mi hanno chiesto se potevano venire a iscriversi alla scuola di lingua. La mattina a Lesbo ci hanno chiesto come funzionava il sistema scolastico per l’iscrizione dei bambini: tutte domande di integrazione, con il desiderio di cominciare una nuova vita.
D. – L’impegno di Sant’Egidio rappresenta un esempio virtuoso di come possono essere attivati i corridoi umanitari. Questa esperienza con i profughi siriani sarà ripetuta?
R. – Sì, certo sarà ripetuta. Noi abbiamo già attivo un protocollo di intesa con il governo italiano, con il Ministero degli esteri e il Ministero degli Interni, per far arrivare in Italia mille persone dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia. Questo protocollo noi lo abbiamo sottoscritto insieme alla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e con la Tavola Valdese: è un progetto ecumenico. Allo stato attuale, sono già arrivati in Italia 100 siriani. Fra qualche giorno, arriveranno i prossimi 100 dal Libano, sempre siriani… Noi abbiamo tutte le intenzioni di continuare e anche di dimostrare che è possibile far entrare delle persone in sicurezza – non affrontando cioè quei terribili viaggi che portano la morte – e questa sicurezza è garantita anche ai cittadini europei, perché queste persone – prima di arrivare in Italia – vengono controllate più volte dalle autorità italiane, dalle autorità – per esempio, in questo caso, libanesi – e poi vengono ricontrollate quando arrivano in Italia. Quindi, è anche una forma di sicurezza per gli europei e garantisce un inserimento pensato e sicuro. Quello che noi vogliamo dire è che è possibile: è possibile anche un’altra vita.

18/05/2016 fonte Radio Vaticana

Comunione ai divorziati risposati, preti e vescovi in corsa per arrivare primi

di Riccardo Cascioli


«Da "artigianato locale” a prassi della Chiesa». Così il settimanale della diocesi di Bergamo, Sant’Alessandro, con una sintesi efficace brinda alla comunione ai divorziati risposati. Finalmente «alla luce del sole», esulta monsignor Alberto Carrara, il parroco che ha firmato l’articolo. Alla luce del sole in realtà sta venendo tutta quella parte di Chiesa che in questi anni se ne è fregata altamente delle indicazioni pastorali oltre che dottrinali stabilite dal magistero. Come abbiamo già scritto alcuni giorni fa, non sorprende dopo decenni di magistero parallelo insegnato in seminari e università pontificie. Forse un po’ sorprende la velocità con cui escono fuori coloro che ormai si sentono profeti della "nuova Chiesa”, che la vivevano già tanto tempo prima dell’attuale pontificato. 

E meno male che sabato, tornando dall’isola di Lesbo, rispondendo alla domanda di un giornalista papa Francesco se l’è presa con i media che hanno ridotto l’evento dei sinodi a un referendum sulla comunione ai divorziati risposati. Il Papa dovrebbe guardare piuttosto a preti e vescovi impegnati in una gara a chi rivela per primo di aver già dato la comunione ai divorziati risposati e a chi ne ha date di più. Come se si stessero disputando il Gran Premio della Misericordia. Non solo la diocesi di Bergamo; all’indomani della pubblicazione dell’esortazione apostolica era stato don Giovanni Cereti, sacerdote genovese trapiantato a Roma, in una intervista al Quotidiano Nazionale ad affermare orgoglioso che lui lo fa già da 40 anni. Don Cereti è l’autore di un vecchio libro sessantottino su "Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva”, ristampato per l’occasione alla vigilia del doppio Sinodo, facendo la fortuna dei sostenitori della "Comunione per tutti”.  

E ancora: nelle Filippine è addirittura la Conferenza episcopale a correre: «La Misericordia non può aspettare», afferma in una lettera a tutti fedeli dell’arcipelago il presidente della Conferenza episcopale Socrates Villegas. Seguiranno direttive concrete da parte dei vescovi però intanto «già fin d'ora vescovi e preti devono aprire braccia accoglienti a coloro che si sono tenuti fuori dalla Chiesa per un sentimento di colpa e di vergogna. Il laicato deve fare lo stesso». 

E casomai più che con i giornalisti in generale, il Papa dovrebbe prendersela con quelli che qualcuno ha chiamato "i turiferari”, e anche con i suoi collaboratori più stretti che da due anni impongono ai giornalisti il tema della comunione ai divorziati risposati. E lo hanno fatto anche all’indomani della pubblicazione dell’esortazione apostolica, per essere sicuri che il messaggio passasse chiaramente (leggere qui per una selezione degli interventi al proposito). È proprio così scandaloso sospettare che alla fin fine i due anni e mezzo di dibattito sulla famiglia servissero proprio a promuovere tale prassi?

Non sorprende perciò che lo stesso monsignor Carrara citato all’inizio si sia stupito del rumore provocato dal suo articolo. E nella replica, tra le altre cose, racconta i suoi colloqui con coppie di divorziati risposati, che vale la pena riprendere perché spiega meglio di qualsiasi altro discorso il valore che certo clero dà ai sacramenti: 

«Molte volte ho incontrato persone che erano passate a nuovo matrimonio. Con loro facevo un discorso pressappoco così. "Il tuo matrimonio, il primo, quello che è fallito, è indissolubile. Questo è scritto nel vangelo. Non ce l’hai fatta a viverlo fino in fondo: vivere come una sola carne non è cosa facile, lo so perché me lo ripetono anche quelli che non si separano, e vivere così per tutta la vita è difficile”.
"Ma è stato lui a andarsene via con la segretaria…”, mi rispondevano; "Ma vivere insieme era diventato un inferno”, "Saremmo stati costretti a fingere per tutta la vita”… Ascoltavo. Spesso ritornavano lacrime.
Continuavo: Tu protesti perché la Chiesa ti esclude dai sacramenti. Permetti che anche la Chiesa abbia qualche difficoltà a decidere, con quel vangelo in mano? Vedi tu. Puoi anche vivere la tua fede senza confessarti e fare la comunione, sei cristiano, sei cristiana a tutti gli effetti.
"Scusa, però, perché allora insistete tanto sull’eucarestia?”. Ascoltavo. Non riuscivo a rispondere perché quell’obiezione, in fondo, la facevo anch’io a me stesso, alla Chiesa di cui, in quel momento, ero visto come rappresentante in qualche modo ufficiale. Mi sentivo come sdoppiato, insieme accusatore e accusato.
Continuavo: "Ma, secondo me, puoi anche decidere di accostarti ai sacramenti. Ti do l’assoluzione. Non significa però che il problema è risolto. Resta sospeso. Soltanto, in coscienza, da prete, mi pare di non poterti dire che sei condannato per tutta la vita. Tu ti assumi la responsabilità di chiedere l’assoluzione, io di dartela. E aspettiamo con fiducia”.
Dopo aver dato quell’assoluzione mi sentivo sempre assolutamente tranquillo. Ho sempre pensato che, se andrò all’inferno, non sarà certo per quelle assoluzioni. Sarò forse pretenzioso ma mi sembra che la Chiesa, alla fine, mi ha dato ragione».

Ma questo è ancora niente. Perché ora si apre anche la caccia ai preti che invece non ritengono di dare la comunione a chi convive o si è risposato dopo un primo matrimonio. Il format è già collaudato: il prete fa un discorso generale, alla singola coppia o ad un gruppo, qualcuno comincia a lamentarsi delle idee retrograde e senza misericordia del parroco, c’è sempre un giornalista pronto a raccogliere gli sfoghi dei "discriminati” dal prete, e il caso è bello che montato. Segue linciaggio mediatico del prete e - in molti casi - la presa di distanza del proprio vescovo. 

Il format è già diventato operativo ancor prima dell’esortazione apostolica: a suo tempo riportammo il caso del sacerdote di Cameri, diocesi di Novara, ma più recentemente a farne le spese è stato il parroco di Montemurlo, nella diocesi di Pistoia. Padre Maurizio Vismara, brianzolo e religioso betharramita, si è visto dedicare una pagina dal quotidiano locale Il Tirreno perché a una riunione di genitori con bambini che si preparano alla Prima comunione, ha detto che non avrebbe potuto dare la comunione a coloro che erano in situazioni irregolari. Uno dei presenti ha creato il caso su cui il giornale è andato ovviamente a nozze. Ma è solo un assaggio. Nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. E magari anche l’annuncio ufficiale del prossimo obiettivo: il celibato dei sacerdoti. Forse che anche questo non potrà essere definito un ideale, ma un giogo troppo pesante per tanti preti comuni?

18/05/2016 fonte  la nuova bussola quotidiana

Centesimus Annus, non c'è umanesimo senza Dio

di Stefano Fontana

Giovanni Paolo II in visita agli impianti di Rosignano

Il prossimo 1 maggio l’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II compirà 25 anni. Ieri e oggi si tiene presso la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, guidata dal Vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, un convegno internazionale commemorativo dell’evento. La stampa ne ha parlato soprattutto per alcuni ospiti invitati, come il candidato democratico alle primarie americane Bernie Sanders, i leader politici del socialismo sudamericano Rafael Correa, presidente dell’Ecuador e Evo Morales, presidente della Bolivia. 

Può essere utile ricordare il significato e l’importanza della Centesimus annus.

L’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II non è stata certo un documento sociale invertebrato e di semplice apertura ad ogni tipo di collaborazione in vista di un generico umanesimo. E’ stata, invece, la riproposizione del corpus della Dottrina sociale della Chiesa, in tutta la sua valenza dottrinale e pratica, dopo il crollo del comunismo, nella speranza che un ripensamento globale dell’intera questione sociale fosse messo all’ordine del giorno anche dal mondo occidentale. 

L’enciclica è molto incentrata sull’uomo, via della Chiesa, ma visto nella "integralità della sua vocazione”, ossia dentro il progetto di Dio a cui egli è finalizzato, in quanto la Chiesa "riceve il senso dell’uomo dalla divina rivelazione” (55). L’apparente "umanesimo” dell’enciclica è in realtà teocentrico: il mondo ha bisogno non tanto di riforme materiali quanto di rimettere Dio al centro della propria costruzione, "l’antropologia cristiana è in realtà un capitolo della teologia” (55).

Anche il giudizio sul crollo del comunismo va in questo senso. Quel sistema è venuto meno per un errore antropologico (13), ossia per una errata visione della persona umana, ma nello stesso tempo si tratta anche e soprattutto di un errore teologico, perché quella ideologia voleva "sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell’uomo” (24). 

Ogni interpretazione della Centesimus annus nel senso di semplice dialogo o imprecisata collaborazione sociale con i soggetti che operano nella società mondiale, oppure di pastoralismo, come un proiettarsi d’impulso sui bisogni con interventi lenitivi ritenuti l’unico orizzonte della presenza della Chiesa, oppure di sottovalutazione delle nuove ideologie che in questi 25 anni hanno sostituito quelle classiche, sarebbe un grave errore.

La Chiesa ha una parola propria da dire sulle questioni sociali e rivendica, come aveva fatto la Rerum novarum, un suo ruolo pubblico, un suo "statuto di cittadinanza” (5) che non può consistere solo nell’aprire tavoli di confronto o accompagnare chi è in difficoltà, ma che ha una pretesa di essenzialità e non solo di opportunità: non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo, afferma Giovanni Paolo II riprendendo Leone XIII (5).

Dentro la Centesimus annus c’è l’idea che la costruzione della società dipende da Cristo Creatore ed è ordinata a Cristo Salvatore (5). La questione sociale non si potrebbe nemmeno comprendere nei suoi esatti termini negando il peccato originale (25) e la storia della salvezza. La Centesimus annus contiene una teologia della storia, l’ultima, fino a questo momento, donataci dal magistero sociale pontificio. In essa trovano spazio i giudizi sui tragici avvenimenti del secolo breve, sul misterium iniquitatis presente nella vicenda umana, sul ruolo delle nazioni - discorso in seguito dimenticato -, sulla cultura e sull’inclinazione verso il nichilismo delle nostre società. Che nel 1991 si proclamavano "vincenti” ma che invece covavano e covano potenti germi di dissoluzione, soprattutto nella lotta alla vita e alla famiglia. La Centesimus annus chiedeva una assunzione di responsabilità di fronte al bene e al male (13).

Non di rado oggi i cattolici convivono con questi germi di dissoluzione, ritengono difforme dallo stile del tempo opporvisi, scambiano ecologismi e pacifismi per la vera ecologia umana (38) e per la vera pace che il mondo irride, votano e sostengono i partiti che li perseguitano e li perseguiteranno, appoggiano progetti di welfare che distruggono la società civile e la famiglia (48), tralasciano di lottare per la libertà di educazione e sembra che il principale dei loro doveri sociali e politici sia di difendere la democrazia, al punto di dare più credito alla fedeltà alle istituzioni democratiche e ai loro procedimenti piuttosto che alla propria coscienza educata da Dio.

Non era certo questa la proposta dalla Centesimus annus. La democrazia viene fortemente criticata nei suoi presupposti relativisti (46), viene ribadita la contrarietà del cristianesimo alla libertà senza verità e del bene comune si dà una interpretazione non solo orizzontale ma verticale (47). Si rifiuta l’ideologia pauperista parlando dei veri poveri e collocando il profitto al suo giusto posto (34): si dà un senso cristiano all’imprenditorialità (32); del consumismo non si offrono solo slogans moralistici ma una interpretazione ben strutturata in dialogo con le scienze sociali (36). Nulla si concede alle interpretazioni materialistiche e funzionalistiche: "il primo e più importante lavoro si compie nel cuore dell’uomo” (51), se l’uomo è alienato non è colpa dei meccanismi sociali – che pure sono da correggere - ma della mancanza di Dio (40) – senza del quale non si possono correggere nemmeno i meccanismi sociali. La dignità della persona non dipende dal riconoscimento delle istituzioni statali o dai dettati costituzionali, ma dall’atteggiamento cha l’uomo assume davanti al mistero più grande, il mistero di Dio (24). E poiché è "nella risposta all’appello di Dio” che l’uomo diventa consapevole della sua dignità (13), l’ateismo è la prima causa da cui deriva l’errata concezione della persona umana (13). 

La Centesimus annus è un’enciclica sociale per una Chiesa consapevole, capace di testimonianza anche eroica, impegnata nella lotta tra il bene e il male, missionaria ed evangelizzatrice del sociale, impegnata per la salvezza di Dio che riguarda anche l’ordine temporale.
18/04/2016 fonte: La nuova bussola quotidiana


IL SANTO DEL GIORNO 11/03/2016 Sant' Eulogio di Cordoba Sacerdote e martire



Sant’Eulogio non è che il più importante fra la folta schiera dei "Martiri di Cordoba”. Numerosissimi cristiani, infatti, testimoniarono la loro fede in Cristo con il supremo sacrificio dell’effusione del loro sangue presso Cordoba, importante città spagnola dell’Andalusia. Strappata ai Visigoti dagli Arabi nel 771, la città raggiunse il suo apogeo culturale nel X secolo, prima di essere riconquistata nel 1236 dal celebre sovrano San Ferdinando III di Castiglia.
Bisogna constatare, ad onor del vero, che i musulmani non si mostrarono sempre feroci persecutori dei cristiani, ai quali solitamente si limitavano ad imporre di non testimoniare pubblicamente la loro fede cristiana e soprattutto di versare periodicamente un cospicuo tributo: se ciò da un punto di vista puramente politico portava a provocare uno spirito d’indipendenza e di autonomia da parte della popolazione indigena, quest’ultima in quanto cristiana non poteva certo tollerare una sorta di ibernazione religiosa. Nacquero così sporadiche reazioni alla dominazione dei mori, che venivano facilmente soffocate con altrettanto sporadiche persecuzioni.
Fu proprio in tale contesto che si collocò il martirio di Eulogio, sacerdote, vescovo eletto di Toledo. Non potendo a qualunque costo accettare o tollerare la passività dei cristiani, egli scrisse e predicò apertamente contro il Corano. Imprigionato una prima volta, venne rilasciato dopo che egli aveva confortato e rianomato i suoi compagni di prigionia con un’efficace "Esortazione ai martiri”. Nominato vescovo di Toledo, non poté neppure essere consacrato e prendere possesso della sua sede: l’11 marzo 859 venne infatti decapitato, in esaudimento del suo grande desiderio.


Papa approva nuove norme per la gestione dei beni delle Cause di Beatificazione



Papa Francesco ha approvato, ad experimentum per tre anni, le nuove "Norme sull’amministrazione dei beni delle Cause di beatificazione e canonizzazione”, abrogando quelle precedentemente approvate da San Giovanni Paolo II nel 1983.
Più trasparenza, maggiore coinvolgimento di promotori e vescovi
Il Rescritto - che riporta le nuove norme - ricorda che le Cause di beatificazione e canonizzazione per la loro complessità richiedono molto lavoro e comportano spese. Si intende adesso rendere ancora più trasparente, chiara e funzionale la gestione di tali beni. I promotori delle Cause e i vescovi diocesani competenti saranno maggiormente coinvolti.
Vigilanza su contenimento spese
Per quanto riguarda la fase romana, la Sede Apostolica, data la natura peculiare di bene pubblico delle Cause, ne sostiene i costi, a cui i promotori partecipano tramite un contributo, e vigila perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento.
Contabilità regolarmente aggiornata
Il promotore costituisce un fondo di beni per le spese della Causa, proveniente da offerte sia di persone fisiche sia di persone giuridiche, che viene considerato, a motivo della sua natura particolare, "fondo di Causa pia”. L’amministratore del fondo deve rispettare scrupolosamente l’intenzione degli offerenti, tenere una contabilità regolarmente aggiornata, redigere annualmente i bilanci da presentare al promotore per la dovuta approvazione, inviare al postulatore copia dei bilanci.
Interventi disciplinari in caso di abusi
Qualora il promotore intenda utilizzare anche una sola parte dei beni per scopi diversi dalla Causa dovrà ottenere l’autorizzazione della Congregazione delle Cause dei Santi. Il promotore, ricevuto il bilancio, dopo averlo approvato tempestivamente, ne invia copia all’autorità competente perla vigilanza. In caso di inadempienze o di abusi di natura amministrativo-finanziaria da parte di quanti partecipano allo svolgimento della Causa, il Dicastero interviene disciplinarmente.
Cessazione del fondo
Celebrata la beatificazione o la canonizzazione, l’amministratore del fondo rende conto dell’amministrazione complessiva dei beni per la debita approvazione. Dopo la canonizzazione la Congregazione delle Cause dei Santi, a nome della Sede Apostolica, dispone dell’eventuale rimanenza del fondo, tenendo presenti le richieste di utilizzo da parte del promotore. Adempiuto quanto prescritto, il fondo della Causa e la Postulazione cessano di esistere.
Fondo di solidarietà
Presso la Congregazione delle Cause dei Santi è costituito un "Fondo di Solidarietà” che viene alimentato con offerte libere dei promotori o di qualsiasi altra fonte. Nei casi in cui vi sia reale difficoltà a sostenere i costi di una Causa in fase romana, il promotore può chiedere un contributo alla Congregazione delle Cause dei Santi per il tramite dell’ordinario competente. Questi, prima di inviare l’eventuale richiesta, verifichi la posizione economico-finanziaria del fondo e l’impossibilità di alimentarlo con il reperimento di ulteriori sussidi. La Congregazione delle Cause dei Santi valuterà caso per caso.

11/03/2016 fonte: radio vaticana

Brasile: ucciso francescano. Aveva partecipato al Sinodo sulla famiglia



È stato ucciso ieri mattina a Petrópolis, nello Stato di Rio di Janeiro, il padre francescano Antonio Moser. La sua morte è avvenuta durante un tentativo di rapina sulla strada statale Washington Luiz, all’altezza di Duque de Caxias (RJ). Nato a Gaspar (Stato di Santa Catarina) 75 anni fa – riferisce l’agenzia Fides - fra Moser, dell'Ordine dei Frati Minori (ofm), era direttore della casa editrice Vozes e aveva preso parte all'ultimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia come collaboratore del segretario speciale.
Una vita fruttuosa, al servizio della Chiesa
Nel comunicato della Conferenza Episcopale Brasiliana (Cnbb), firmato dal segretario generale, mons. Leonardo Steiner, si ricorda che "la vita di fra Antonio Moser era ricca e fruttuosa”. Ricordando l’impegno del religioso all’interno della Cnbb, mons. Steiner cita il suo apporto "nella preparazione di testi e nella riflessione teologica, soprattutto in teologia morale”. Dal suo canto, il vescovo di Petrópolis, mons. Gregório Paixão Neto, ha espresso profondo dolore e costernazione per il terribile crimine, invitando alla preghiera la parrocchia di Santa Clara, dove padre Moser era stato parroco negli ultimi anni.
Nel 2015, presente al Sinodo sulla famiglia
Da ricordare che nel 2015 fra Antonio Moser è stato l’unico teologo brasiliano scelto dal Papa per partecipare al Sinodo generale ordinario dei vescovi sulla famiglia. Il 12 e 13 dicembre scorsi, aveva celebrato nella sua città natale, Gaspar, i 50 anni di sacerdozio. Aveva scritto molti libri e offerto un grande contributo alla Chiesa locale. Dopo i funerali, oggi nella Cattedrale di Petrópolis, fra Moser verrà sepolto presso il mausoleo dei Frati Francescani nel cimitero comunale.

11/03/2016 fonte: Radio Vaticana

L'utero in affitto è moralmente un'aberrazione

di Michele Paolini Paoletti

L'approvazione del Ddl Renzi-Boschi sulle unioni civili e la notizia del figlio avuto dal compagno di Nicky Vendola con l'utero in affitto, che l'ex governatore della Puglia ora vorrebbe adottare, ha riportato la tematica della maternità surrogata nell'ambito della stretta attualità. Ma per quale motivo la gestazione in affitto è moralmente sbagliata? Esiste un criterio laico e razionale che vada al di là dell'emotività del momento per discernere l'intrinseco errore che si cela dietro questa pratica? La Bussola ospita l'intervento di Michele Paolini Paoletti, dell'Università di Macerata. 

«Al di là di vaghi richiami ai desideri individuali, all’autodeterminazione e all’amore e al dono di sé "che tutto vincono”, si fatica a trovare in Italia una seria riflessione laica sulla maternità surrogata. Con "laica” intendo una riflessione che possa prescindere dall’assunzione delle verità di fede in quanto verità di fede, cioè una riflessione capace di coinvolgere e magari persuadere anche chi non crede in quelle verità. 

E dunque: è moralmente accettabile la maternità surrogata? Per non generare confusione, bisogna distinguere due situazioni: la maternità surrogata "pagata” e quella "gratuita” o "donata”. 

Vediamo il primo caso. Quando io pago una persona per qualcosa, come già spiegava più di due secoli fa Adam Smith, io non sto semplicemente comprando un bene o un servizio da quella persona. Sto comprando il suo tempo. Quando compro un orologio, sto comprando il tempo che un artigiano ha impiegato per realizzare il mio orologio – e anche il tempo che egli ha impiegato per imparare a costruire un buon orologio. Quando compro un chilo di carne, sto comprando il tempo di colui che ha macellato la carne, ma anche il tempo di chi ha allevato gli animali. Il tempo misura il valore di qualcosa ben prima del suo valore di mercato. In tempi di capitalismo finanziario, abbiamo dimenticato questa banale verità. 

Ad ogni modo, non tutto può essere quantificato in termini di tempo. Se il valore del rapporto con una persona consistesse soltanto nel tempo trascorso assieme (o nel tempo "libero” cui rinunciamo per stare con lei), allora i rapporti meno duraturi sarebbero per definizione di minore valore. Ma chiedete agli Apostoli quale valore ebbe per loro passare pochissimi anni o mesi con Gesù, rispetto a tanti altri rapporti… Di alcuni si racconta che bastò uno sguardo, o una semplice parola, per cambiare tutto. Inoltre, se il valore della vita di un figlio fosse quantificabile in termini di tempo, allora un figlio che vive fino ad ottant’anni avrebbe maggiore valore di un figlio che, purtroppo, muore in tenera età. Nessun genitore assennato penserebbe mai una cosa del genere. Insomma, ci sono cose il cui valore non è quantificabile in termini temporali, cose che non hanno prezzo – e probabilmente sono le stesse cose che più ci avvicinano all’eternità.

Quando una madre rinuncia al proprio figlio per darlo ad una coppia che paga per esso, non vi è alcun prezzo che possa esprimere il valore di ciò che quella madre perde – che quella madre se ne renda conto o meno. Non i nove mesi della gravidanza, non il tempo strappato ad altre occupazioni, non il tempo che non potrà trascorrere con il proprio figlio… Nessuna misura di tempo può quantificare il valore perduto. E ogni prezzo pagato sarà pur sempre troppo basso. Per questo crediamo che ci siano "beni” che non possono divenire "merci”: non già perché la maggioranza delle persone, se potesse, non si presterebbe alla loro mercificazione, ma perché tali "beni”, oggettivamente, non possono diventare "merci”, non potendo avere alcun prezzo. 

Chi ha davvero lottato perché il tempo del lavoro di un operaio non fosse rubato dal capitalista, perché il prodotto, i mezzi e la natura stessa dell’atto di produzione trovassero riconosciuta la loro dignità a prescindere dal mercato e dai suoi interessi, dovrebbe ora alzare le barricate contro queste gravissime pretese di mercificazione. E invece…

Ma veniamo al secondo caso, quello della maternità surrogata "gratuita”. È moralmente accettabile che una donna, liberamente e senza compensi o rimborsi, e anzi ritenendo in buona fede che il suo sia un grandissimo gesto di amore, si offra come madre surrogata per realizzare il desiderio di genitorialità di una coppia (eterosessuale o omosessuale)? Cosa potrebbe esservi di sbagliato nell’esaudire gratuitamente un desiderio e nel garantire così un diritto – come avviene nel civilissimo Regno Unito? Di più: che differenza vi sarebbe con una qualsiasi adozione?

All’ultima domanda si può rispondere con quanto notato intelligentemente da Serena Sileoni (Il Foglio, 2 marzo 2016): "l’adozione non è un istituto che primariamente soddisfa il desiderio di genitorialità, ma che guarda a un minore in stato di abbandono”; "nell’adozione, è già al mondo un fanciullo in difficoltà, una prospettiva completamente diversa da quella di un adulto che desidera far nascere un bambino”. In un’adozione il bambino è accolto come il centro dell’intero processo: tutto ruota attorno al suo diritto di avere un padre e una madre e di vivere in modo soddisfacente. Viceversa, il motore propulsore di una maternità surrogata è il desiderio di una coppia di avere un figlio. Dispiace dirlo, ma in questa prospettiva sia il figlio che la madre surrogata sono primariamente dei mezzi per soddisfare tale desiderio.

Pertanto, ciò che viene meno in una maternità surrogata è la condizione necessaria di ogni diritto e di ogni libertà in una democrazia liberale: il fatto che l’umanità propria e quella degli altri, per dirla con Kant, siano trattate come fini, e mai siano trattate come mezzi. In effetti, i miei diritti contano qualcosa solo se la mia natura e la mia esistenza non sono dei mezzi. Viceversa, ogni diritto può essere piegato al volere di chi mi usa per i propri scopi. Per inciso: qui non si tratta della semplice libertà di fare ciò che si vuole purché non si sia di ostacolo ad altri. Anche in uno Stato totalitario si potrebbe godere di una simile libertà: se lo Stato riuscisse a determinare ciò che voglio (con la propaganda e la persuasione), esso potrebbe garantirmi tale libertà e i diritti che ne conseguono. Tuttavia, non si tratterebbe affatto di una democrazia liberale, poiché io sarei trattato come un mezzo per soddisfare i bisogni dello Stato e di chi lo governa. 

La natura della madre surrogata (il suo essere donna) e la natura del figlio (il suo essere un umano) sono piegate al progetto di soddisfazione di un desiderio. Certamente, lo stesso tipo di operazione potrebbe avvenire nelle intenzioni di chi compie un atto riproduttivo naturale: il figlio e/o la madre potrebbero essere usati solo per soddisfare un forte desiderio di genitorialità. Nondimeno, lo Stato non è chiamato a legiferare sulle intenzioni, ma sugli atti. E la maternità surrogata è un atto che esprime, in maniera inequivocabile, una visione aberrante dell’umanità. 

Ancora una volta dispiace dirlo, ma conta poco, in termini di giustificazione morale, che una donna si presti felicemente a questo progetto. E conta poco che qualcuno avverta fortemente il desiderio (pur buono) di essere padre o madre. La strada per l’inferno può essere lastricata di ottime intenzioni. 

E nessuno intende negare che il figlio di una madre surrogata sarà amato dalla coppia che lo ha voluto. Certamente, è facile amare ciò che si vuole, il frutto realizzato del proprio desiderio. Ben più difficile è amare ed accogliere chi non si vuole, chi contrasta (volutamente o meno) con le nostre attese ed i nostri desideri, eppure si impone come una presenza unica ed irreducibile nelle nostre vite. 

Sarebbe una bella sfida se ci si riuscisse ad amare così. Nonostante tutto. Persino nonostante il fatto che tu, amore mio, non sarai mai capace di realizzare il mio vibrante desiderio di genitorialità». 

11/03/2016 fonte: La nuova bussola quotidiana

 

«Avevo fatto 1.200 aborti, un giorno guardai la gambina nel forcipe e tutto cambiò»




«Come puoi riparare alla morte di 1.200 bambini? Non puoi». Mentre la politica americana si divide sul finanziamento pubblico al colosso delle cliniche dell’aborto Planned Parenthood, accusato da una inchiesta giornalistica indipendente di commercio di organi umani, il dottor Anthony Levatino, autore nella sua "prima vita” professionale di ben 1.200 interruzioni di gravidanza, ha voluto raccontare in un video il modo in cui all’interno di quelle cliniche «si uccidono» i bambini, descrivendo per filo e per segno e senza eufemismi le procedure.
IMMAGINI ASETTICHE. Il video, che colpisce nel segno nonostante non contenga scene sanguinolente ma è solo disegni illustrativi, è stato diffuso su internet dall’organizzazione pro-life Live Action, anche in vista dell’imminente discussione presso la Corte suprema in merito alle leggi restrittive dell’aborto recentemente introdotte in Texas. L’obiettivo del filmato non è quello di colpire sentimentalmente gli spettatori, e infatti la scelta di corredarlo con immagini "asettiche” fa emergere con la massima chiarezza la barbarie della pratica abortiva.
LA PROCEDURA. Già nel 2012 Levatino rese una testimonianza davanti al Congresso di Washington in cui spiegò ai rappresentanti del popolo americano quanto dolore provino i bambini vittime dell’aborto. Adesso, con questo video e soprattutto in una intervista con la leader di Live Action Lila Rose, ha deciso di raccontare anche di sé. Levatino iniziò a praticare aborti nel 1977, lavorando in alcune cliniche private prima ancora di laurearsi in medicina. «Strappi le braccia e le gambe del bambino e le metti in una sacca sul tavolo», spiega nel video.

 LA ROUTINE. Col passare degli anni l’aborto per il giovane medico americano diventò semplice routine. Da ginecologo professionista arriverà a compierne addirittura 1.200, fra cui un centinaio anche oltre il terzo mese di gravidanza. A scalfire questa ripetizione indifferente fu a un certo punto il dramma dell’impossibilità di concepire un figlio. Dopo aver provato a percorrere ogni via possibile, Levatino e la moglie fecero domanda per l’adozione, finché un giorno il ginecologo venne a sapere che una ragazza di 15 anni arrivata ormai sul punto di partorire «voleva dare in adozione la bambina». Furono i servizi sociali a contattare Levatino: «Risposi: "Oh certo che la voglio”. Il mese dopo mia moglie era incinta».
L’INCIDENTE. I due figli crescevano e l’uomo riprese la sua "routine”, animato dall’intenzione di «mettere via un po’ di soldi». Ma pochi giorni prima del suo compleanno la piccola Heather, dopo una giornata splendida passata con gli amici, venne investita da un’auto: «Morì nelle nostre braccia in ambulanza», ricorda Levatino. Distrutto dal dolore, il medico si prese una pausa. Ma appena ricominciò la sua attività «guardai la gambina nel forcipe e rimasi colpito». Levatino sul momento non poté fermarsi, poiché l’aborto, una volta iniziato, deve essere terminato, ma quel giorno «per la prima vota nella mia carriera vidi le parti del corpo del bambino ammucchiate. Non vedevo il medico meraviglioso che aiutava le donne a risolvere il loro problema, non vedevo il fantastico diritto di scelta, non vedevo gli 800 dollari. L’unica cosa che vedevo era il figlio o la figlia di qualcuno». Nella mente del medico prese forma l’immagine della donna che si avvicinava a lui dicendogli: «Tieni 100 dollari e uccidi mio figlio».
LA DECISIONE. «Sapevo perché stavo male», ricorda Levatino, ma «provai a continuare e feci altri due aborti». Dopo quell’esperienza però non poteva più mettere a tacere la sua coscienza, l’orrore era diventato troppo forte. «Dissi ai miei colleghi che non avrei più fatto gli aborti al secondo trimestre». E non ci vorrà molto tempo perché il ginecologo decida di smettere del tutto. «Quando finalmente capisci che uccidere un bambino è sbagliato, non importa quanto è grande il bambino, è sempre lo stesso», spiega. Secondo Levatino è stato il sacrificio di sua figlia a spingerlo a coinvolgersi in prima persona nella causa pro life, provando a salvare vite anziché a sopprimerle, anche «per guarire e per trovare perdono».

11/03/2016 fonte: Tempi.it




IL SANTO DEL GIORNO 23/01/2016 Sant' Ildefonso (Idelfonso) da Toledo Vescovo

Molto devoto a Maria, su cui scrisse un celebre trattato, e significativo esponente della Spagna del suo tempo, Ildefonso era discendente di una potente famiglia romana. Anche sotto i Visigoti avrebbe potuto far carriera, ma si fece monaco e divenne diacono. Fu eletto abate del monastero dei Santi Cosma e Damiano, nei pressi di Toledo. Quando il vescovo morì, nel 657, l'uomo di lettere e preghiera, cinquantenne, divenne anche uomo di governo ecclesiale nella diocesi della capitale del regno visigoto. Si districò tra difficili questioni interne e tenne testa alle pretese del re Recesvinto, che si era mosso personalmente per convincerlo a lasciare il cenobio e accettare l'elezione. Ha lasciato libri di liturgia e l'opera «De viris illustribus», una sorta di continuazione dell'enciclopedia di sant'Isidoro di Siviglia (di cui secondo la tradizione sarebbe stato allievo). Il 15 agosto del 660 la vergine gli apparve nel presbiterio della cattedrale, lodandolo e consegnandogli una preziosa veste. Morì a Toledo, di cui è patrono, nel 667.

Congresso eucaristico a Cebu. Piero Marini: Vangelo del dialogo in Asia

Un’occasione per rilanciare l’evangelizzazione in Asia attraverso il dialogo e l’esperienza di comunione: è ciò che intende essere il 51.mo Congresso Eucaristico Internazionale, in programma a Cebu, nelle Filippine, da questa domenica al 31 gennaio. E’ quanto afferma ai nostri microfoni mons. Piero Marini, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali. Il tema scelto per questo Congresso, che segue quello di Dublino del 2012, è "Cristo in voi, speranza della gloria”, tratto dalla lettera di San Paolo ai Colossesi. All’evento sono attesi 10mila partecipanti e 8.500 delegati da 71 Paesi. Tra relatori principali al Congresso figurano i cardinali Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, Timothy Dolan , arcivescovo di New York, John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria, Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay. A rappresentare il Santo Padre ci sarà il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon (Myanmar). Sul tema di questo Congresso ascoltiamo mons. Piero Marini al microfono di Sergio Centofante

 
R. – Il tema della speranza è il tema centrale di questo Congresso Eucaristico in un continente, fatto soprattutto da giovani, in cui la speranza è un elemento necessario per guardare al futuro.
D. – Il Congresso si tiene nelle Filippine, l’unico Paese asiatico, insieme con Timor Est, a maggioranza cattolica…
R. – Sì, le Filippine sono un’eccezione nell’Asia, che è il continente in cui Cristo è nato, e purtroppo bisogna dire che è il continente in cui il Cristo oggi è ancora meno conosciuto. I cattolici nelle Filippine sono circa 100 milioni, l’80% è cattolico. E quindi le Filippine sono un po’, per noi cattolici, il punto di partenza per l’evangelizzazione dell’Asia. E difatti Cebu è proprio nel cuore delle Filippine. Sappiamo che l’evangelizzazione dell’Asia ha avuto varie fasi: la prima è quella dei missionari assiri – i cosiddetti "caldei” – che sono partiti proprio dalla regione da cui è partito Abramo. La prima evangelizzazione è stata la loro. Si pensi che, verso l’anno 1000, alcune fonti riferiscono che questa Chiesa caldea - che ha raggiunto perfino la Mongolia, l’Indonesia e l’India - aveva più fedeli che non la Chiesa di Roma e Costantinopoli messe insieme. Ma poi, a causa anche dell’uso della lingua siriaca e a causa della mancata inculturazione, questa evangelizzazione nel tempo si è perduta. È stata poi ripresa dai Francescani nel 1200-1300 e poi dai Gesuiti. Nel 1800 poi tante congregazioni hanno continuato questa evangelizzazione delle Filippine. Sappiamo che le Filippine sono state evangelizzate dagli spagnoli, i quali sono arrivati nel 1521 proprio a Cebu: ecco perché si celebra il Congresso Eucaristico a Cebu. Le Filippine sono quindi un esempio in tutta l’Asia di una Chiesa che ha vissuto l’inculturazione, perché questo è il grosso programma che da 30 anni viene portato avanti da tutte le Conferenze episcopali dell’Asia, le quali hanno posto il dialogo come fondamento dell’evangelizzazione. Dialogo perché si tratta di un continente ricco di culture. E – naturalmente – se la fede o se la liturgia non vengono inculturate, poi passano senza lasciare il segno.
D. – In Asia ci sono ancora tanti cristiani che stanno soffrendo…
R. – Sì e uno dei motivi fondamentali di ciò è che ancora oggi – purtroppo – persiste in Asia la visione della Chiesa cattolica come di una Chiesa legata all’Occidente. E quindi questo è un grande ostacolo per l’evangelizzazione. Di qui la necessità di una inculturazione della fede, di dialogare con le altre religioni. L’importante del Congresso Eucaristico è far vedere come l’Eucarestia sia un luogo di riconciliazione e un motivo di pace, in cui tutti si ritrovano figli dello stesso Dio e fratelli tra di loro.
D. – Quali sono i frutti di questi Congressi Eucaristici?
R. – Prima di tutto bisogna sottolineare che i Congressi Eucaristici hanno accompagnato la storia della Chiesa, a partire dalla fine del 1800. Il primo Congresso Eucaristico è stato quello di Lille, in Francia, nel 1881. Allora erano Congressi Eucaristici che sottolineavano soprattutto la visibilità: volevano sottolineare la presenza dei cattolici in un ambiente, come quello dell’800, pieno di governi che erano contro la Chiesa cattolica, e la necessità dei cristiani di farsi vedere: tutta l’attenzione era posta sulla processione eucaristica, quasi un prendere possesso di nuovo delle città. Poi i Congressi eucaristici sono diventati delle occasioni, quando Pio X ha anticipato l’età per ricevere l’Eucarestia, di migliaia di Prime Comunioni da parte dei giovani. Sotto Pio XI c’è stato soprattutto l’aspetto missionario, perché i Congressi eucaristici hanno varcato l’Europa, sono andati in America ecc. Quindi è sempre stato un movimento che ha accompagnato e ha sottolineato la storia della Chiesa, fino al 1960, quando si è celebrato il Congresso di Monaco di Baviera che ha segnato una svolta, sottolineando l’importanza della celebrazione della Eucarestia più che di altri elementi, come quello della processione eucaristica o quello dell’adorazione fuori dalla Messa che fino ad allora avevano sottolineato di più le finalità dei Congressi eucaristici. Quelli che vanno a Cebu, vanno a dare una testimonianza della Chiesa universale a questa Chiesa particolare di Cebu, ma vanno anche a ricevere. A Cebu si troverà una popolazione molto povera: non è una grande metropoli del Primo Mondo. Ma i filippini sono persone che hanno una grande fede, un grande amore per la vita e per la gioia. Io vado volentieri perché i filippini hanno dato una testimonianza in tutto il mondo, e la stanno dando ancora, di lavoro e di fedeltà. Questa è dunque anche un’occasione per ringraziare tutti i filippini sparsi nel mondo per la loro testimonianza di fede e unità alla Chiesa cattolica.

23/01/2016 fonte: Radio Vaticana
 

Le meraviglie della fede sulla porta della Misericordia

di Margherita Del Castillo

La porta della Misericordia della Cattedrale di Udine si è aperta lo scorso 13 dicembre per celebrare l’inizio dell’Anno Santo. É un portale prezioso, quello della Redenzione, così chiamato perché nella lunetta sono rappresentati temi fondanti la dottrina cristiana, seppur accostati in maniera inusuale. Sopra una mensola un’Adorazione dei Magi sta a significare l’Incarnazione; distribuite sulla superficie sono le scene della Crocifissione, della Resurrezione dal sepolcro e l’Agnus Dei, ovvero il Cristo Salvatore dell’umanità. 

I rilievi, incorniciati da una cuspide affiancata da pinnacoli, sono della prima metà del XIV secolo e sono opera di un anonimo scultore tedesco. Come lo sono quelli del portale che si apre sul lato nord dell’edificio, poco più tardo, dedicato all’Incoronazione della Vergine rappresentata al centro del timpano, sotto un grande padiglione sorretto da angeli. Nell’architrave si susseguono senza soluzione di continuità episodi della vita di Gesù Bambino.

Il Duomo ha origini più antiche. Il patriarca Bertoldo di Andechs lo fece erigere a metà del XIII secolo, intitolandolo a Sant’Odorico, al posto di una chiesa già esistente dedicata a San Girolamo. L’originale impianto cistercense della costruzione fu successivamente modificato, ampliato e impreziosito da campagne decorative. Fino a che, nel 1335, la Cattedrale venne nuovamente riconsacrata a Santa Maria Maggiore. 

Nel corso del XIV secolo, in seguito ai danni provocati da un terremoto, la facciata fu restaurata e ne fu modificato l’aspetto. Il rosone centrale venne inscritto in un quadrato, profondamente strombato e collegato ai due rosoni laterali da una finta loggia a dodici archi trilobati. Sotto furono aperte due lunghe finestre.  L’interno, a croce latina, è suddiviso da pilastri in tre navate. Su quelle laterali si aprono, per ciascun lato, quattro cappelle comunicanti tra loro. Lo stile barocco che caratterizza lo spazio risale agli interventi di inizio Settecento, affidati all’architetto Domenico Rossi.  A quest’epoca risale l’ultima consacrazione del Tempio, da allora in poi intitolato all’Annunziata.

Ad accrescere la bellezza e la preziosità dei diversi ambienti contribuì anche Gianbattista Tiepolo che nel 1726 per la Cappella del Sacramento dipinse degli affreschi monocromi con il Sacrificio di Isacco e l’Apparizione dell’Angelo ad Abramo. Al celeberrimo maestro si devono anche le due pale d’altare delle cappelle dei Santi Ermagora e Fortunato, protomartiri e patroni del patriarcato aquilense e della Trinità, dove sono raffigurati i rispettivi omonimi soggetti.

Il nucleo più antico, trecentesco, del Duomo è costituito dalla Cappella di San Nicolò e dal Battistero, dove sono visibili affreschi di Vitale da Bologna con storie della vita del Santo ed episodi del Vecchio e Nuovo Testamento, e dalla Cappella del Corpo di Cristo dove sono esposti tre dipinti su tavola quattrocenteschi che raccontano la vita del Beato Bertrando, figura ecclesiastica e politica di grande importanza per la città, che riposa in un sepolcro custodito all’interno del Duomo.

23/01/2016 fonte: La nuova bussola quotidiana

 

Presto Santo ‘el Cura Brochero’, pioniere di tutti i preti di strada

Oggi la promulgazione del decreto riguardante il miracolo ad una bimba argentina. La postulatrice Silvia Correali: "Un giorno di grande allegria per tutta l’Argentina e per la Chiesa”



Tra i sei miracoli di cui Papa Francesco ha autorizzato ieri la promulgazione del decreto, c’è anche quello avvenuto per intercessione del beato argentino Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, meglio conosciuto come ‘el Cura Brochero’. Nato il 16 marzo 1840 e morto in odore di santità il 26 gennaio 1914. Di lui Papa Francesco oggi direbbe che era un "pastore con l’odore delle pecore”, sempre a cavallo di una mula per diffondere il  Vangelo e occuparsi dei bisognosi della sua regione.

E’ stato proclamato beato il 14 settembre 2013, in una celebrazione presieduta dal cardinale Angelo Amato alla quale presero parte circa 200mila persone che gridavano il suo nome. Per l’occasione Papa Francesco donò una campana e fissò il 16 marzo come festa liturgica del Beato.

La promulgazione del decreto "significa che verso la fine di febbraio o i primi giorni di marzo si terrà un Concistoro per decidere la festa e il luogo della cerimonia della canonizzazione del Beato Brochero”, spiega a ZENIT Silvia Correale, postulatrice della causa.

"E’ un giorno di grande allegria per tutta l’Argentina e la sua Chiesa – prosegue – perché viene riconosciuta ufficialmente una vita che già si sapeva fosse quella di un santo”. E il fatto che l’attestazione del miracolo sia avvenuta così rapidamente dalla beatificazione "mostra un disegno della provvidenza di Dio”.

Il team medico ha confermato la validità della cura e guarigione senza alcuna spiegazione scientifica di una bambina, Camila Brusotti,che era stata picchiata brutalmente dalla madre e dal patrigno al punto da provocarle un attacco di cuore e un ictus nell’emisfero destro del cervello, che rendeva impossibile il recupero della mobilità del corpo.

"E’ stata una grazia che il Signore ha permesso succedesse in una diocesi di una periferia dell’Argentina – racconta Correali – perché la preghiera fu innalzata a Dio da tutto il popolo, coinvolgendo parrocchie, villaggi, partirono catene di preghiere su internet e via dicendo. E il miracolo alla fine avvenne”.

La prognosi medica era quella che la bimba sarebbe rimasta in stato vegetativo; invece Camila ha pienamente recuperato le sue capacità, i medici le hanno detto che la sua riabilitazione ha raggiunto ottimi livelli, anche dal punto di vista cognitivo, tanto da permetterle di tornare a scuola.

In una lettera inviata al presidente della Conferenza Episcopale argentina, in occasione della cerimonia di beatificazione di padre José Gabriel. Papa Francesco scriveva: "Che il «Cura Brochero» sia finalmente tra i beati è una gioia e una benedizione molto grande per gli argentini e i devoti di questo pastore che odorava di pecora, che si fece povero tra i poveri, che lottò sempre per stare vicino a Dio e alla gente, che fece e continua a fare tanto bene come carezza di Dio al nostro popolo sofferente”.

"Mi piace – aggiungeva il Pontefice –  immaginare oggi Brochero parroco sulla sua mula dalla frangetta bianca (malacara), mentre percorreva i lunghi sentieri aridi e desolati dei 200 chilometri quadrati della sua parrocchia, cercando casa per casa i vostri bisnonni e trisnonni, per chiedere loro se avevano bisogno di qualcosa e per invitarli a fare gli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola. Conobbe ogni angolo della sua parrocchia. Non rimase in sacrestia a pettinare pecore”.

"Il Cura Brochero era una visita di Gesù stesso a ogni famiglia”, disse ancora il Papa, egli "incentrò la sua azione pastorale sulla preghiera” e sulla "attualità del Vangelo”. Cosa che fece di lui "un pioniere nell’uscire verso le periferie geografiche ed esistenziali per portare a tutti l’amore, la misericordia di Dio”.

23/01/2016 fonte: Zenit
 

Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione''.





Papa benedice i social
Papa Francesco riceve in udienza il Tribunale della Rota Romana, in occasione dell'inaugurazione dell'Anno Giudiziario, e incentra la sua riflessione sulla famiglia. Parole nette che rispondono senza se e senza ma al dibattito sulle unioni civili. Tanto che Matteo Renzi rischia di farsi esplodere il Pd nelle mani.

L'Italia (e la politica) si spacca sul ddl Cirinnà. Dal parlamento alla piazza il passo è breve. Domani, al fianco delle associazioni Lgbt, manifesteranno i grillini, i politici di Possibile e diversi esponenti del Pd, a cominciare da Sinistradem. Il 30 sarà la volta del Family Day che vedrà in piazza diversi esponenti del centro-destra, a partire dal ministro Gian Luca Galletti. Decisione, questa, sulla quale Renzi taglia corto: "Non vedo alcun problema". Ma sulle unioni civili non è disposto a fare alcun passo indietro. "Io penso che questa legge ci voglia, la stragrande maggioranza degli italiani sono convinti che è arrivato il momento di chiudere questa battaglia ideologica", spiega pur sapendo che il problema politico resta, a partire dalla stepchild adoption. "È un tema molto delicato, dobbiamo avere un principio di riferimento, una stella polare: l'interesse del bambino - continua ai microfoni di Rtl 102,5 - ciò che importa è il diritto del bambino a crescere nell'ambiente considerato più giusto". Su questo tema, però, c'è una discussione molto forte. E i mal di pancia sono bipartisan. "Il parlamento voterà, vedremo se troverà una soluzione alternativa, ma spero che si faccia la legge in un tono civile - conclude Renzi - evitiamo che sia uno scontro".

Lo scontro più forte si consuma proprio all'interno del Partito democratico. Sebbene un emendamento a prima firma Giuseppe Lumia riduca al minimo qualsiasi rimando alle sezioni del codice civile che disciplinano il matrimonio, il vero punto di caduta tra le posizioni dei catto-dem e dei laici è l'articolo 5 del ddl. Da qui la proposta di disporre che il giudice "verifichi e indaghi" dopo che la richiesta di stepchild adoption è stata inoltrata al Tribunale dei minori da parte dell'unione civile di persone dello stesso sesso. I poteri di indagine fanno riferimento all'articolo 57 della legge sulle adozioni del 1983 che prevede, tra l'altro, che l'adozione "realizza il preminente interesse del minore". Si profila ugualmente il rischio per il Pd di affrontare l'aula del Senato senza rete, senza una sintesi. Dei nove emendamenti depositati dall'ala cattolica del Pd restano infatti i due sulla trasformazione della stepchild adoption in "affido rafforzato" e sul "divieto della pratica di surrogazione di maternità". Rispetto a quanto annunciato non si prevede, né per chi realizza la maternità surrogata né per chi la organizza, alcun inasprimento delle pene.

23/01/2016 fonte: Il giornale.it

IL SANTO DEL GIORNO 10/12/2015 Beata Vergine Maria di Loreto




Iniziamo questa scheda riportando una riflessione di papa Giovanni Paolo II, riferendosi alla Santa Casa di Loreto: "Quello Lauretano è un Santuario mirabile. In esso è inscritta la trentennale esperienza di condivisione, che Gesù fece con Maria e Giuseppe. Attraverso questo mistero umano e divino, nella casa di Nazaret è come inscritta la storia di tutti gli uomini, poiché ogni uomo è legato ad una ‘casa’, dove nasce, lavora, riposa, incontra gli altri e la storia di ogni uomo, è segnata in modo particolare da una casa: la casa della sua infanzia, dei suoi primi passi nella vita. 
Ed è eloquente ed importante per tutti che quest’Uomo unico e singolare, che è il Figlio unigenito di Dio, abbia pure voluto legare la sua storia ad una casa, quella di Nazaret, che secondo il racconto evangelico, ospitò Gesù di Nazaret lungo l’intero arco della sua infanzia, adolescenza e giovinezza, cioè della sua misteriosa maturazione umana… La casa del Figlio dell’uomo è dunque la casa universale di tutti i figli adottivi di Dio. La storia di ogni uomo, in un certo senso, passa attraverso quella casa…”. 
A partire da papa Clemente V che con una bolla del 18 luglio 1310 confermò indirettamente l’autenticità della Santa Casa, i papi nei secoli successivi confermarono nuovamente la loro devozione alla Vergine Lauretana, specie in drammatiche circostanze. 
Ma le origini dell’antica e devota tradizione della traslazione della Casa dalla Palestina a Loreto, risalgono al 1296, quando in una visione, ne era stata indicata l’esistenza e l’autenticità ad un eremita, fra’ Paolo della Selva e da lui riferita alle Autorità. 
Ciò ci è narrato da una cronaca del 1465, redatta da Pier Giorgio di Tolomei, detto il Teramano, che a sua volta l’aveva desunta da una vecchia ‘tabula’ consumata, risalente al 1300. Si riportano alcuni passi più significativi, che poi sono stati tramandati nelle narrazioni, più o meno arricchite nei secoli successivi; "L’alma chiesa di santa Maria di Loreto fu camera della casa della gloriosissima Madre del nostro Signore Gesù Cristo… La quale casa fu in una città della Galilea, chiamata Nazaret. 
E in detta casa nacque la Vergine Maria, qui fu allevata e poi dall’Angelo Gabriele salutata; e finalmente nella stessa camera nutrì Gesù Cristo suo figliuolo… Quindi gli apostoli e discepoli consacrarono quella camera in chiesa, ivi celebrando i divini misteri… 
Ma dopo che quel popolo di Galilea e di Nazaret abbandonò la fede in Cristo e accettò la fede di Maometto, allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la trasportarono nella Schiavonia, posandola presso un castello chiamato Fiume (1291). 
Ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine… Perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la portarono attraverso il mare, nel territorio di Recanati (1294) e la posero in una selva di cui era padrona una gentildonna chiamata Loreta; da qui prese il nome la chiesa: ‘Santa Maria di Loreta…”. 
Per il gran numero di gente, purtroppo succedevano anche ladrocini e violenze, per cui continua il racconto, gli Angeli la spostarono altre due volte, sempre per gli stessi motivi, depositandola alla fine sul colle, nella notte del 9-10 dicembre 1294, dove si trova attualmente. 
"Allora accorse tutto il popolo di Recanati a vedere la detta chiesa, che stava sopra la terra senza alcun fondamento. Per la qual cosa, il popolo considerando così gran miracolo e temendo che detta chiesa non venisse a rovina, la fecero circondare da un altro ben grosso muro e di buonissimo fondamento, come ancor oggi chiaramente si vede”. 
Questo il racconto del 1465; che si fonda sull’aspetto storico dell’epoca, quando i rapporti culturali e religiosi delle comunità insediate sulle due sponde dell’Adriatico, erano intensi, per l’attraversamento delle navi veneziane e poi di quelle di Ancona e dell’attuale Dubrovnik, che trasportavano i pellegrini ai Luoghi Santi della Palestina. 
Sullo sfondo vi è la conquista della Terra Santa da parte dei mamelucchi e poi la lenta penetrazione degli ottomani nella penisola balcanica, dopo la caduta di Costantinopoli. 
Da questi eventi scaturirono le Crociate, per liberare i popoli ed i paesi dall’occupazione araba e secondo la tradizione, gli Angeli intervennero per mettere in salvo la casa della Vergine, già trasformata in chiesa sin dai tempi apostolici. 
Da allora moltitudini di fedeli si sono recati in pellegrinaggio al grandioso santuario, che racchiude la Santa Casa, iniziato a costruire nel 1468 da papa Paolo II, in breve diventò ed è, secondo una felice definizione di papa Giovanni Paolo II, "cuore mariano della cristianità”. 
Fin dall’inizio del Trecento fu già meta di pellegrinaggio, anche per quanti prendendo la strada costiera, erano diretti a S. Michele al Gargano oppure in Terrasanta; il flusso nei secoli XV e XVI diventò enorme, fino ad indurre nel 1520 papa Leone X ad equiparare il voto dei pellegrini del Santuario di Loreto a quello di Gerusalemme, che già man mano Loreto aveva sostituito nelle punte dei grandi pellegrinaggi penitenziali, che vedevano Roma, Santiago di Compostella, Gerusalemme. 
Il prodigio eclatante della traslazione della Santa Casa attirò anche, a partire dal secolo XV, la peregrinazione di re e regine, principi, cardinali e papi, che lasciarono doni o ex voto per grazie ricevute; a loro si aggiunsero nei tempi successivi, condottieri, poeti, scrittori, inventori, fondatori di Ordini religiosi, filosofi, artisti, futuri santi e beati. 
Grandi architetti furono chiamati a progettare e realizzare le opere edili, che costituiscono il grandioso complesso del santuario, che sorto come chiesa dalle linee goticheggianti, su progetti degli architetti Marino di Marco Cedrino e Giuliano da Maiano; venne poi per necessità di difesa dai pirati, che infierivano sui centri costieri, munita di un cammino di ronda e di stanze per i soldati, ad opera di Baccio Pontelli; ma non fu sufficiente, perché papa Leone X (1475-1521) fece erigere una cinta fortificata intorno al complesso, che divenne in pratica un vero e proprio castello. 
Nel frattempo intorno al Santuario, sempre più frequentato dai pellegrini, sorse un borgo che fu chiamato Villa Santa Maria e che in seguito nel 1586 papa Sisto V promosse a sede vescovile. 
L’interno del Santuario ebbe varie trasformazioni a cui lavorarono insigni artisti, come Giuliano da Sangallo che innalzò la solenne cupola, Giorgio Marini, il Bramante, il Sansovino, Antonio da Sangallo il Giovane, Luigi Vanvitelli. 
Per la facciata nel 1571 lavorò Giovanni Boccalini da Carpi e nel 1587 Giovan Battista Chioldi. Come pittori portarono la loro arte, per citarne alcuni, Melozzo da Forlì, Luca Signorelli, Lorenzo Lotto, Cristofaro Pomarancio, ecc. 
L’interno attuale del Santuario è a croce latina a tre navate, ospita sotto la grande cupola la Santa Casa, letteralmente coperta da un rivestimento marmoreo, arricchito da statue e bassorilievi raffiguranti sibille e profeti e narranti otto storie della vita di Maria, oltre a rilievi bronzei narranti alcuni episodi della vita di Gesù. 
Un incendio nel 1921, sviluppatosi all’interno della Santa Casa, la danneggiò gravemente, distruggendo anche la venerata immagine lignea della Madonna, attualmente sostituita da una copia, riccamente vestita e con il volto nero dell’originale, scurito dal fumo delle lampade. 
La raccolta religiosità dell’interno, ben specifica e fa immaginare la semplice vita di Maria, di Gesù e di Giuseppe, nella Palestina di allora, tutto invita alla preghiera ed al raccoglimento. Trent’anni dopo la costruzione della chiesa, incominciò quella del Palazzo Apostolico, che occupa uno dei lati della piazza della Chiesa e in cui sono conservati capolavori d’arte di ogni genere, compresi gli arazzi, porcellane e tavolette votive, costituenti il tesoro della Santa Casa, donato nei secoli da tanti devoti. 
Oltre 50 papi si sono recati in pellegrinaggio a Loreto e sempre è stata grande la loro devozione; alla Vergine si rivolsero i papi Pio II e Paolo II per guarire miracolosamente dalle loro gravi malattie; papa Benedetto XV (1914-1922) in considerazione della traslazione della sua Casa, dalla Palestina a Fiume e poi a Loreto, la proclamò patrona degli aviatori. 
Loreto è considerata la Lourdes italiana e tanti pellegrinaggi di malati vengono organizzati ogni anno, con cerimonie collettive come quelle di Lourdes; aggiungo una mia piccola esperienza personale, in ambedue i luoghi sacri a Maria, ho sentito improvvisamente la necessità di piangere, come se avvertissi la spiritualità nei due ambienti permeati della sua presenza. 
Innumerevoli sono i luoghi pii, chiese, ospedali o di assistenza, come pure delle Congregazioni religiose, intitolati al nome della Vergine di Loreto, il suo nome cambiato in Loredana è fra i più diffusi fra le donne; infine come non ricordare le "Litanie Lauretane” che dal XII secolo sono divenute una vera e propria orazione alla Vergine, incentrata sui titoli che in ogni tempo le sono stati tributati, anche con riferimenti biblici. Le "Litanie Lauretane” sostituirono nella cristianità, quelle denominate ‘veneziane’ (in uso nella basilica di S. Marco e originarie di Aquileia) e quelle ‘deprecatorie’ (ossia di supplica, originarie della Germania). 
La celebrazione liturgica nella Chiesa Cattolica è al 10 dicembre, in ricordo della data dell’arrivo della Santa Casa a Loreto.


Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio
di Alessandro Gisotti

Dio è innamorato della nostra piccolezza, la sua misericordia non ha fine. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, alla quale hanno preso parte anche i cardinali del Consiglio dei Nove
"Il Signore è misericordioso e grande nell’amore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia mattutina muovendo dalla prima Lettura – tratta dal libro di Isaia – laddove in un monologo del Signore si comprende che Dio ha scelto il suo popolo "non perché fosse grande o potente”, ma "perché era il più piccolo di tutti, il più miserabile di tutti”.
Dio si innamora della nostra piccolezza
Dio, prosegue, "si è innamorato di questa miseria, si è innamorato proprio di questa piccolezza”. E in questo monologo di Dio col suo popolo, ribadisce, "si vede questo amore”, un "amore tenero, un amore come quello del papà o della mamma, quando” parla con il bambino che "la notte si sveglia spaventato da un sogno”. E lo rassicura: "Io ti tengo per la destra, stai tranquillo, non temere”:
"Tutti noi conosciamo le carezze dei papà e delle mamme, quando i bambini sono inquieti per lo spavento: ‘Non temere, io sono qui; Io sono innamorato della tua piccolezza; mi sono innamorato della tua piccolezza, del tuo niente’. Anche: ‘Non temere i tuoi peccati, Io ti voglio tanto bene; Io sono qui per perdonarti’. Questa è la misericordia di Dio”.
Il Signore prende su di sé le nostre debolezze
Francesco rammenta, quindi, un Santo che faceva molte penitenze, ma il Signore gli chiedeva sempre di più fino a quando gli disse che non aveva più niente da donargli e Dio gli rispose: "Dammi i tuoi peccati”:
"Il Signore ha voglia di prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, le nostre stanchezze. Gesù quante volte faceva sentire questo e poi: ‘Venite a me, tutti voi che siete affaticati, stanchi e io vi darò ristoro. Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra, non temere piccolino, non temere. Io ti darò forza. Dammi tutto ed Io ti perdonerò, ti darò pace”. 
La misericordia di Dio ci faccia più misericordiosi con gli altri
Queste, riprende, "sono le carezze di Dio, queste sono le carezze del nostro Padre, quando si esprime con la sua misericordia”:
"Noi che siamo tanto nervosi, quando una cosa non va bene, strepitiamo, siamo impazienti… Invece Lui: ‘Ma, stai tranquillo, ne hai fatta una grossa, sì, ma stai tranquillo; non temere, Io ti perdono. Dammela’. Questo è quello che significa quando abbiamo ripetuto nel Salmo: ‘Il Signore è misericordioso e grande nell’amore’. Noi siamo piccoli. Lui ci ha dato tutto. Ci chiede soltanto le nostre miserie, le nostre piccolezze, i nostri peccati, per abbracciarci, per accarezzarci”.
"Chiediamo al Signore – ha concluso Francesco – di risvegliare in ognuno di noi e in tutto il popolo la fede in questa paternità, in questa misericordia, nel suo cuore. E che questa fede nella sua paternità e la sua misericordia ci faccia un po’ più misericordiosi nel confronto degli altri”.

10/12/2015 fonte: Radio Vaticana

Quelli che in Vaticano la corruzione non la combattevano

di Ettore Gotti Tedeschi

La Basilica di San Pietro
 
In una riforma auspicata, Papa Francesco, rischia di ottenere "successo”: avere una Chiesa povera. La percezione che questa riforma sia perseguita ed avrà successo, la si deduce dai recenti avvenimenti: l’enfasi provocata su Vatileaks II, cioè sulla fuga e pubblicazione di documenti, vari riferimenti alla corruzione in Vaticano, l’elenco delle 15 malattie della curia (13° e 15° soprattutto). Si direbbe che quasi si auspichi una diffidenza verso l’utilità ed opportunità di dare l’otto per mille alla Chiesa, di fare elemosine o donazioni e indirettamente si incoraggi le istituzioni preposte a rivedere le stesse modalità di attribuzione dell’otto per mille alla Chiesa cattolica. 

Papa Francesco ha anche chiamato come testimone il suo predecessore, riconoscendo pubblicamente, durante il viaggio di ritorno dall’Africa, che Benedetto XVI combatteva la corruzione e voleva una Chiesa esemplare anche nelle attività più temporali. Se progredisse nella indagine comprenderebbe perché ciò gli è stato impedito scoprendo anche casi di falsificazione di fatti e casi di persecuzione proprio nei confronti di chi operava per combattere detta corruzione. Questi temi riferiti alle finanze vaticane, oggi, sono all’ordine del giorno, ma sono trattati e persino direi incoraggiati "mediaticamente”, al fine di incuriosire ed inquietare il mondo cattolico. Che si pone però una domanda: finalmente si fa luce su queste vicende o queste vicende emergono ancora perché non si è provveduto ad attuare quello che Benedetto XVI aveva disposto?  

Riferendoci a questi casi specifici, il mondo cattolico molto probabilmente non ha ben capito i motivi e gli strumenti usati per impedire che fosse realizzata la trasparenza voluta da papa Benedetto e del conseguente "lamento” di oggi di papa Francesco. Lui non sa cosa successe nel mondo finanziario per contrastare le attività di riciclaggio e finanziamento al terrorismo dopo l’attentato alle Torri gemelle del 11 settembre 2001. Né sa, conseguentemente, cosa venne richiesto alle istituzioni finanziarie della Santa Sede. Certo non ha ben capito come Benedetto XVI ottemperò opportunamente e esemplarmente a detti obblighi, né è informato di perché e come queste sue decisioni vennero modificate e da  parte di chi. Pertanto, il mondo cattolico neppure sogna di domandarsi se, per caso, i responsabili siano ancora operativi, perché se lo fossero, capirebbe meglio i fatti che oggi indignano il Papa. Ma capirebbe anche perché si sta rafforzando il convincimento, presso i nemici della nostra santa Chiesa, sulla sua "indegnità” ad essere Autorità Morale e la necessità di ridimensionarne il ruolo, il prestigio e l’8 x1000.  

Quando nel 2012 si modifica la legge antiriciclaggio firmata con il motu proprio da Benedetto  XVI, proprio in quel momento scoppia mediaticamente e misteriosamente Vatileaks I (con l’uscita di documenti riservati ), che distoglie l’attenzione dai fatti riportati sopra di modifica della Legge . Osservando ora gli avvenimenti definiti Vatileaks II, ci si domanda ancora una volta perché anche questi nuovi documenti riservati siano usciti. La "lezione” del gennaio 2012 (Vatileaks I) non era bastata? No, non era bastata perché non si volle mai conoscere tutte le spiegazioni della "lezione” . Così non si rimediò ai "difetti” per realizzare un sistema virtuoso e corretto in questa materia ed ora papa Francesco sta riconoscendone, con sdegno, le conseguenze . 

Certo, ci sarà chi spiegherà al Papa che non sarebbe stato opportuno e utile alla Chiesa adottare queste norme perché avrebbe altrimenti perso sovranità . Ci sarà chi spiegherà al Papa che la solita "persecuzione” laicista aveva imposto alla Santa Sede l’adozione di queste norme per controllarla e ridurne l’autonomia. Ci sarà chi spiegherà al Papa che ora le norme sono state migliorate e perfezionate. Ma se il Papa, che manifestamente sta soffrendo per il degrado morale diffuso, dovesse credere, senza indagare, a queste spiegazioni , dobbiamo attenderci (con soddisfazione di scrittori e giornalisti) altre Vatileaks III, IV e così via… Il Papa soffre la difficoltà a far pulizia per por fine alla "corruzione”, al malaffare ecc. Ma osservando ciò che ha fatto, in proposito, negli ultimi due anni e mezzo, mi sono convinto che non gli abbiano mai fatto capire bene come farla. 

 10/12/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

Il card. Sarah: "Niente Inter- comunione tra cattolici e non cattolici. E' necessario essere cattolici".
di Matteo Orlando

 «L’intercomunione non è consentita tra cattolici e non cattolici. È necessario confessare la fede cattolica. Un non-cattolico non può ricevere la comunione. Questo è molto, molto chiaro. Non è una questione che riguarda la libertà di coscienza». Risponde così il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino, a coloro che hanno visto un’apertura all’intercomunione tra cattolici e luterani in una risposta data da Papa Francesco ad una luterana durante la sua recente visita alla comunità luterana di Roma. «Noi diamo la comunione ai cattolici», dare la comunione a tutti è «una sciocchezza», dice il Cardinale africano.

«Non c’è intercomunione tra anglicani e cattolici, tra cattolici e protestanti. Se vanno a messa insieme, il cattolico può andare alla comunione ma il luterano o l’anglicano no». Senza un’unione nella fede e nella dottrina, aprire le porte all’intercomunione «sarebbe promuovere la profanazione». «Noi non possiamo farlo. Non è che dobbiamo parlare con il Signore per sapere se possiamo fare la Comunione. Noi dobbiamo sapere se siamo in accordo con le regole della Chiesa. La nostra coscienza deve essere illuminata dalle regole della Chiesa che dice che, per comunicarsi, abbiamo bisogno di essere in stato di grazia, senza peccato, e avere fede nell’Eucaristia. Non è un desiderio o un dialogo personale con Gesù che determina se possiamo ricevere la comunione nella Chiesa cattolica. Una persona non può decidere se è in grado di ricevere la Comunione. Deve essere cattolica, in stato di grazia, correttamente sposata [se coniugata]». L’intercomunione non permette l’unità perchè «il Signore ci aiuta ad essere uno se lo riceviamo in modo corretto altrimenti noi mangeremo la nostra condanna, come dice san Paolo (1 Corinzi 11,27-29). Non riusciamo a diventare una cosa sola se si partecipa alla comunione con il peccato, con disprezzo per il Corpo di Cristo».

10/12/2015 fonte: Il Timone

Attacchi a Chiesa e famiglia: le profezie di Maria

di Riccardo Caniato



La statua della Madonna di Civitavecchia che lacrima sangue

«È ormai di dominio pubblico, ma non per questo noto a tutti che, a Pantano di Civitavecchia, alle lacrimazioni di sangue e alle trasudazioni d’olio di due statue identiche raffiguranti la Madonna si sono accompagnate apparizioni e messaggi della Vergine. Il dato è stato confermato sia da Jessica – la figlia dei Gregori, proprietari delle due sacre immagini –, in una dichiarazione scritta per il dossier pubblicato dalla rivista diocesana di Civitavecchia dal titolo "Non dimenticare il gemito di tua madre” (2005), sia da suo padre Fabio, sia da allora vescovo Girolamo Grillo nello stesso documento. Il vescovo ha poi confermato queste dichiarazioni dando alle stampe un suo memoriale. E io stesso ho dedicato un capitolo all’argomento nel mio libro La Madonna di Civitavecchia. Lacrime e messaggi».

Parla padre Flavio Ubodi, teologo cappuccino, vicepresidente della Commissione diocesana che si è espressa favorevolmente sulla lacrimazione definita «scientificamente inspiegabile» della Madonnina di Civitavecchia, verificatasi nel 1995 per tredici volte, di fronte a testimoni diversi, tra il 2 e il 6 febbraio, e un’ultima volta il 15 marzo nelle mani dell’ordinario diocesano. L’ho contattato a seguito dei tragici fatti di Parigi, nella convinzione che la Madonna, apparendo vent’anni fa presso la famiglia Gregori a Pantano di Civitavecchia, ultima propaggine della diocesi metropolitana di Roma, abbia predetto la crisi della Chiesa, della famiglia e del mondo, che veramente oggi sembrerebbero trovarsi sull’orlo di un baratro. Come ipotizzato ieri in queste stesse pagine (leggi qui) – posto per vero che abbiamo una Madre nel Cielo, creatura viva, protagonista nell’economia della salvezza, che in ogni epoca storica, con instancabile premura, fa leva sulla coscienza dei suoi figli perché facciano ciascuno buon uso della libertà che gli è stata data da Dio…–, se fosse stato accolto a tempo debito il richiamo alla conversione che il Cielo ha rivolto allora alle porte di Roma, forse si sarebbe evitato tanto spargimento di sangue, non solamente in Europa ma in tutto il mondo, e già avrebbe potuto trionfare il Cuore Immacolato di Maria, come promesso ai pastorelli di Fatima e ribadito in molteplici messaggi anche nella casa dei Gregori.

Nell’ora presente, invece, l’umanità non sembrerebbe disposta a comprendere che l’odio presente nel mondo ha riempito gli spazi che l’umanità ha tolto al Creatore, che è Dio d’amore, e ancora rimanda o addirittura si rifiuta di adottare quei correttivi del cuore che soli potranno favorire la vera pace. Per questo penso sia importante fermarsi a riflettere su quanto la Madonna ha voluto dirci a Pantano. «È da precisare», interviene padre Flavio, «che si tratta di messaggi che non hanno carattere di obbligatorietà di fede come la Scrittura o il magistero della Chiesa». Sono comunque «messaggi che ci riguardano tutti e che si stanno realizzando puntualmente». La Madonna, già nel 1995, aveva messo in guardia da un piano diabolico che prevedeva: «Attacco e distruzione della famiglia; grande apostasia; scandali dentro la Chiesa; gravi mancanze fra le stesse schiere gerarchiche, da cui un forte richiamo ai vescovi per la loro unità intorno al papa Giovanni Paolo II, indicato come modello e suo dono per i tempi presenti. Pericolo per la nostra nazione, con il rischio concreto di una Terza guerra mondiale tra Occidente e Oriente». Ho chiesto al mio interlocutore di commentare punto per punto queste affermazioni, in stretta relazione con i messaggi della Madonna, per la parte che il vescovo Grillo aveva dato permesso a padre Ubodi di pubblicare nel suo libro-documento.

Padre Flavio, che cosa intende per «attacco e distruzione della famiglia»?

«Un feroce attacco di Satana nei confronti della famiglia si nota come sottofondo in tutta la vicenda di Civitavecchia. In un messaggio del 16.7.1995 alle ore 6.00, la Madonna svela: "Satana vuole distruggere le famiglie”. Distruggere la famiglia significa distruggere la cellula fondamentale della società, quindi infettarla come un cancro per portarla alla dissoluzione. Questa preoccupazione della Madre di Dio si è andata chiarendo sempre di più negli anni con la disgregazione delle famiglie ancora in atto: divorzi, separazioni, unioni di fatto, matrimoni omosessuali, poligamia… L’aggressione nei confronti della famiglia si è manifestata anche all’interno della Chiesa con la discussione sulla "Comunione ai divorziati risposati”, dividendo addirittura un Sinodo in due schieramenti. Il rischio è che si potrebbe arrivare a negare l’indissolubilità del sacramento del Matrimonio con tutto ciò che comporta a livello dottrinale e magisteriale. I messaggi, che a Pantano non a caso sono stati consegnati a una famiglia, avevano anticipato questo terremoto e invitato a costruire la famiglia nel rispetto dei valori cristiani e a coltivare l’amore, la fedeltà, l’indissolubilità e l’unità. La Vergine si è presentata qui, fra l’altro, come "Madre e Regina della famiglia” e sono tantissime le coppie che ritrovano unità pregando la Madonna di Civitavecchia».

È vero che nella Chiesa contemporanea si starebbe facendo strada l’apostasia?

«Di "grande apostasia” si parla in un messaggio dell’8.9.1995. E noi stiamo vivendo questa terribile realtà. Sembra che l’apostasia riguardasse anche una parte dei segreti di Fatima. Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, successiva ai messaggi dati ai Gregori, rilevò: "La cultura europea dà l’impressione di una apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse” (n. 9). All’interno della Chiesa si respira una perdita di fede e la messa in discussione di molte verità dogmatiche. Tutto ciò è causato anche da una preoccupante infiltrazione della massoneria e del comunismo ateo. Per quanto dubiti che possa essere preoccupato per il bene della Chiesa, il giornalista Gianluigi Nuzzi, l’eco di Vatileaks, ha scritto che già ai tempi di Papa Luciani all’interno della Curia romana c’era una lobby massonica con centoventuno iscritti, traendone le conclusioni: c’è una schiera di "cardinali, vescovi, presbiteri che non seguono le parole del Vangelo ma rispondono al giuramento della fratellanza massonica”. Mi auguro che tutto ciò non sia vero, ma qualora lo fosse, si tratterebbe di una situazione di una gravità incalcolabile. In ogni caso si registrano nello studio e nella pratica della teologia tendenze non cattoliche nella valutazione degli elementi fondamentali della fede: il Credo, il Padre nostro, il Decalogo, i Sacramenti».

Queste sue valutazioni, pur dolorose, spiegano tuttavia i tanti scandali emersi negli ultimi anni da dentro la Chiesa…

«In un messaggio del 30.7.1995 la Madonna dice: "Satana si sta impadronendo di tutta l’umanità, e ora sta cercando di distruggere la Chiesa di Dio tramite molti sacerdoti. Non permettetelo! Aiutate il Santo Padre”. La preoccupazione della Vergine si è rivelata vera, infatti abbiamo assistito a una serie sconcertante di scandali che nessuno avrebbe potuto immaginare ai tempi degli eventi di Civitavecchia. Si cominciò con la triste vicenda del vescovo Milingo, si proseguì con i preti pedofili, fino ad arrivare agli scandali di oggi. Ai tempi dei messaggi di Civitavecchia nessuno avrebbe potuto pensare a quanto successivamente ebbe a dire il cardinale Ratzinger, e ribadito da papa Francesco in questi giorni, che dentro la Chiesa c’è molta sporcizia. La Madonna lo aveva anticipato, ma chi vi aveva prestato attenzione?».

È vero che la Madonna ha esplicitamente richiamato i vescovi per il loro ministero e per la loro testimonianza, chiedendo di ritrovare unità attorno al Papa, con riferimento a Giovanni Paolo II?

«Si è fatto notare che la diocesi Civitavecchia è suffraganea di Roma: questo ci fa dire che la Vergine si è manifestata nel cuore pulsante della Chiesa. E, in un messaggio del 19.9.1995, Ella si rivolge ai vescovi dicendo: "Vescovi, il vostro compito è di continuare la crescita della Chiesa di Dio… Tornate ad essere un solo cuore pieno di vera fede e di umiltà con il mio figlio Giovanni Paolo II, il dono più grande che il Mio Cuore Immacolato abbia ottenuto dal Cuore di Gesù”. Il messaggio indica che c’è divisione all’interno della gerarchia della Chiesa e non c’è sintonia e unione con il Papa. Nello stesso tempo la Madonna ha indicato in san Giovanni Paolo II il suo più grande dono per questo nostro tempo. Se si prende sul serio questa rivelazione di Colei che a Civitavecchia, si è presentata anche nei titoli di "Madre e Regina della Chiesa” possiamo comprendere quanto la vita e il magistero di questo santo Papa possano essere di riferimento per la Chiesa non solo di oggi, ma anche futura».

Restando al presente così delicato: la Madonna ha mai fatto riferimento all’Italia?

«A tale proposito la Vergine ha ammonito: "La vostra nazione è in pericolo… Consacratevi tutti a me, al mio Cuore Immacolato, e io proteggerò la vostra nazione» (messaggio del 19.9.1995). La Madonna parla di nazione, quindi con attenzione rivolta più al popolo che al Paese. La nostra nazione dal 1995 a oggi ha vissuto momenti molto difficili, ma penso che momenti ancora più difficili dovranno venire. La società italiana è oggi pervasa a diversi livelli da persone e correnti di pensiero fra loro anche molto eterogenee, ma unite nell’intento di distruggere le nostre radici cristiane, i valori di democrazia acquisiti con fatica, le tradizioni, la cultura. È "l’umanesimo cristiano” che è messo in crisi, cioè è la visione occidentale dell’uomo che viene aggredita e distrutta. La difesa di una nazione si attua, soprattutto, difendendo i valori che la caratterizzano, la cultura e una visione dell’uomo e dell’universo. Oggi persino alcuni vescovi sembrano aver perso questa consapevolezza o di avervi abdicato, pronti a rinunciare alle proprie tradizioni (anche al Vangelo?) in nome di una non ben precisa forma di "fratellanza”, "accoglienza”, "amicizia” coi cosiddetti lontani e diversi. Ma che cosa avremo da offrire di nostro se rinunciamo a essere ciò che siamo? Che dialogo possiamo imbastire senza un’identità precisa che ci dia contenuto? E siamo sicuri che ci possa essere fratellanza o amicizia autentiche con chi ci chiede di abiurare le nostre radici, ciò che noi siamo?».

Forse non a caso in un messaggio si paventa il rischio di una terza guerra mondiale tra Oriente e Occidente, con coinvolgimento di armi nucleari…

«Qui è fondamentale il messaggio dato alle ore 9.00 del 19.5.1995: "L’umanità sta per incombere in una tragedia molto brutta che si sta avvicinando. Non si sta accorgendo che sta per entrare in una guerra mondiale che può essere fermata”. Temo che anche questo messaggio si stia realizzando. In questi giorni diversi capi di Stato hanno dichiarato che siamo in guerra. Lo sta ripetendo di frequente il Presidente francese, dopo i drammatici attentati di Parigi, ma anche il Pontefice parla da tempo di "terza guerra mondiale combattuta a pezzetti”. Si parla di possibili attacchi chimici e batteriologici. I messaggi fanno capire che si tratta di "guerra nucleare” che potrebbe avere conseguenze incalcolabili. Tuttavia la Madonna come si è visto non chiudeva le porte alla speranza: "La guerra può essere fermata”».

Sarebbe importante sapere come…

«Anche il Cielo ha le sue "armi”. La Vergine, per fermare la guerra, ha indicato l’amore, le preghiere, il Rosario in particolare, l’umiltà, la conversione autentica, la consacrazione al suo Cuore Immacolato. Ma soprattutto una grande confidenza con Gesù, che si stabilisce nella Comunione e nell’Adorazione Eucaristica, e nella Confessione frequente. Il mondo come osservava papa Benedetto XVI ha imboccato la deriva del relativismo: non esiste nulla che abbia carattere di assolutezza e di immutabilità; tutto è "relativo” al tempo, ai luoghi, alle persone nelle concrete situazioni in cui vivono. Con questa visione crolla la fede nella verità eterna e immutabile contenuta nella Scrittura e nel magistero della Chiesa. Ma si ha anche un "relativismo etico”, cioè il comportamento pratico non tiene più in alcun conto princìpi e norme morali fondate sulla legge naturale e sulla legge divina. Il relativismo nega ogni validità alla morale naturale-razionale e a ogni norma etica di origine e di natura religiosa. Con queste convinzioni l’umanità poggia i piedi su sabbie mobili pronte a inghiottirla nel nulla. Si cercano sicurezze nel potere e nel denaro che portano a conflitti mondiali. Oggi, oltre che una guerra per il potere e per l’accaparramento dei beni della terra, stiamo affrontando anche una guerra culturale e di religione. Sempre più osservatori, anche laici, hanno preso atto che l’Occidente sta subendo passivamente un’invasione e un’imposizione della cultura islamica. Passivamente, perché l’Occidente, nonostante sia sconvolto da questo grande cambiamento epocale, rinuncia a riaffermare la ricchezza della propria cultura cristiana e della propria tradizione, perché le ha rinnegate, come bene dimostra lo Statuto stesso dell’Unione Europea, con l’esclusione voluta di ogni riferimento alle radici cristiane, per cui si era speso in prima persona Giovanni Paolo II. A riprova che in Europa, e anche in Italia, si annida un mondo massonico e satanista che gode dell’aggressione alla Chiesa da qualunque parte venga».

È vero che questi messaggi sarebbero stati collegati dalla Vergine al messaggio di Fatima?

«La Madonna nel messaggio del 19.9.1995 dice: "Le tenebre di satana stanno oscurando ormai tutto il mondo e stanno oscurando anche la Chiesa di Dio. Preparatevi a vivere quanto io avevo svelato alle mie piccole figlie di Fatima” (cfr. n. 28). Poi viene comunicato a Jessica il Terzo segreto di Fatima che tiene gelosamente segreto».

Quali analogie ha riscontrato tra le mariofanie di Civitavecchia e di Fatima?

«Ogni manifestazione mariana ha modalità proprie e particolari. Le apparizioni di Civitavecchia hanno avuto anch’esse una certa preparazione con il manifestarsi di vari segni e anche con apparizioni di angeli. Ma è soprattutto il contenuto che coincide in gran parte con Fatima: l’invito alla conversione e alla consacrazione al Cuore Immacolato di Maria; la recita del Rosario come arma per sconfiggere l’avversario di Dio; le tenebre di Satana che stanno oscurano il mondo e la Chiesa, con il rischio di una guerra nucleare; la consegna a Jessica del Terzo segreto; il riferimento all’apostasia e la riconferma incoraggiante che il Cuore Immacolato di Maria trionferà».

Ci ricorda che cosa ha detto papa Benedetto XVI in proposito del Terzo segreto, in particolare durante il suo pellegrinaggio alla Cova d’Iria nel 2010?

«Ha detto che il messaggio di Fatima non è ancora concluso e che, quindi, dobbiamo attendere il suo compimento. Le parole suonano così: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”».

Che cosa ha chiesto la Madonna per scongiurare questa situazione dentro e fuori la Chiesa?

In un messaggio del 25.8.1995, alle ore 18.00, la Madonna dice: "Il mio volere è che vi consacriate al mio Cuore Immacolato per potervi condurre tutti a Gesù… Convertitevi, siate umili di cuore, caritatevoli, tornate ad essere il vero popolo di Dio…”. Anche nel messaggio del 26.8.1995, alle ore 18.30 si ripete: "Consacratevi al mio Cuore Immacolato”; e ancora: "Pregate e non stancatevi mai di pregare. Amatevi, perché l’amore in Cristo mio Figlio è la vostra chiave per entrare in quella porta piccola che conduce al Regno di Dio”».

Qual è stata la risposta dentro la Chiesa?

«All’interno della Chiesa ci sono state personalità di primaria importanza che hanno creduto agli eventi di Civitavecchia, come Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta, Natuzza di Paravati, padre Amorth e tanti altri. Purtroppo ci sono state, e ci sono ancora, anche delle negazioni e delle aggressioni. D’altronde se è vero ciò che scrive Nuzzi, che all’interno della Curia romana c’è una lobby massonica, questa, essendo satanista nei suoi vertici, odia la Madonna e cerca di negare le sue apparizioni e i suoi messaggi. E si servirà dei suoi adepti più qualificati per combattere la Madre di Dio. Anche oggi si ha l’impressione che un potere superiore massonico ordini l’oscuramento degli eventi di Civitavecchia e impedisca la devozione alla Madonnina che ha lacrimato sangue».

Quali sono state le tappe principali del discernimento, e a che punto siamo adesso?

«Mi limito a dire che la Commissione teologica, di cui ho fatto parte, ha preso in esame solo l’evento delle lacrimazioni di sangue, tutto il resto, compresi i messaggi, doveva essere analizzato, ma mons. Grillo giudicò sufficiente il lavoro svolto, e le cose sono rimaste sospese. Monsignor Grillo ha, in seguito, mostrato il suo orientamento di vescovo con la pubblicazione del diario, in cui dichiara di aver avuto conferma per via ordinaria e straordinaria di tutti i fatti collegati alla mariofania di Civitavecchia, comprese le apparizioni e i messaggi».

È troppo tardi ormai per rispondere all’appello della Madonna? Che cosa possiamo fare?

«La Madonna dice in un messaggio del 30.7.1995: "Il mio mantello ora è aperto a tutti voi, tutto pieno di grazie, per mettevi tutti vicino al mio Cuore Immacolato. (Esso) si sta per chiudere, poi il mio Figlio Gesù sferrerà la sua giustizia divina”. Sono convinto che la Mamma celeste terrà aperto il suo mantello fino all’ultimo istante».

Prima ha accennato che la Madonna, ha annunciato a Civitavecchia, come a Fatima, il trionfo del suo Cuore Immacolato…

«Abbiamo un primo accenno in un messaggio del 15.3.1995, alle ore 18.00: "La strada sarà lunga, tortuosa, sofferente, ma poi splenderà la luce del Signore”. In un messaggio del 4.9.1995 si legge: "Questo è il tempo della grande prova. Pregate, pregate, pregate! Verrà il tempo della vera pace, della gioia, dell’Amore, della fratellanza, della santità e della vittoria dell’Amore divino”. In maniera ancora più esplicita nel messaggio del 19.9.1995 la Madonna dice: "Dopo i dolorosi anni di tenebra di satana, ora sono imminenti gli anni del trionfo del mio Cuore Immacolato”. Si ha la sensazione che dopo un periodo di grande prova il Bene e la Verità alla fine trionferanno».

Siamo certi che i messaggi siano realmente datati 1995 e 1996. Lei era testimone di queste apparizioni all’epoca?

«È certo che i messaggi, che possiamo definire "pubblici”, sono stati dati in un ciclo di apparizioni che hanno inizio il 2 luglio 1995 e termine il 17 maggio 1996. Ai tempi delle apparizioni e dei messaggi io frequentavo la famiglia Gregori, come incaricato del vescovo, ma non ho mai avuto esperienza diretta del momento delle apparizioni. Gli eventi mi sono stati narrati e i messaggi consegnati via via per iscritto da Fabio Gregori. È documentato che sono di quel preciso periodo».

Chi sono i destinatari delle apparizioni?

«I destinatari sono prima di tutto i protagonisti delle apparizioni, cioè i componenti della famiglia Gregori, ma riguardano anche il vescovo Girolamo Grillo, la Chiesa, la nazione e l’umanità tutta. Sinteticamente si può dire che la Madonna: avverte l’umanità che sta andando verso una guerra mondiale dal sapore apocalittico; avverte la Chiesa che al suo interno si sta consumando una grave apostasia; avverte le famiglie che sono oggetto di aggressioni diabolica che ha come obiettivo la loro disgregazione».

Quanti sono in tutto i messaggi oggetto di rivelazione pubblica?

«Oltre novanta».

È vero che anche Anna Maria Gregori è stata depositaria di alcuni messaggi?

«Fa parte della famiglia. A Civitavecchia la Madonna si rivolge non a un singolo soggetto, ma a tutta la famiglia, sia pure a ciascuno in modo particolare. Anna Maria ha avuto talvolta dei sogni e delle locuzioni a conferma del contenuto delle apparizioni».

Come venivano trasmessi i messaggi?

«La Madonna ha comunicato oralmente i suoi messaggi nelle apparizioni, che subito dopo venivano trascritti da Fabio o da Jessica».

Il vescovo ne era a conoscenza?

«I Gregori tenevano costantemente aggiornato il vescovo e gli fornivano con estrema sollecitudine copia autenticata di ogni nuovo messaggio che veniva loro dato. Si conservano le ricevute firmate da mons. Grillo».

È vero che monsignor Grillo emise poi un Decreto perché sia costruito un più ampio Santuario mariano presso la parrocchia di Pantano, ove si custodisce la statua della Madonna che ha pianto sangue? E mi pare che il vescovo abbia dato ulteriore solennità a questa sua decisione, celebrando sul luogo una Santa Messa e depositando simbolicamente la prima pietra…

«Lo confermo. Il vescovo mons. Girolamo Grillo, nel decimo anniversario delle lacrimazioni, e precisamente il 15 marzo 2005, ha emanato un Decreto che recita testualmente: "Visti i Canoni 1230; 1232 e 1234 del CIC; al fine di offrire ai fedeli che si recano a ‘Pantano’ per pregare la Madonnina ed assicurare loro una maggiore assistenza spirituale, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione dell’Eucaristia e della Penitenza, come pure coltivando una sana forma di pietà popolare: DECRETIAMO che sia ivi edificato un apposito Santuario a Statuto Diocesano, dedicato alla Madonna, anche per meglio accogliere i numerosi pellegrini provenienti da ogni parte”. C’è quindi un Decreto ufficiale del vescovo con Prot. N. 32/2005 per la costruzione di un Santuario. Questo atto indica implicitamente un ufficiale riconoscimento della Chiesa dell’evento delle lacrimazioni. Bisogna chiedersi come mai non sia stato ancora dato seguito a queste disposizioni. Speriamo che ciò avvenga presto, perché il Decreto è sempre valido».

È vero che l’effigie della Madonna delle lacrime ha ricevuto in dono una corona direttamente da papa Giovanni Paolo II? Che significato ha il gesto dell’incoronazione?

«La Statua che ha lacrimato sangue è stata oggetto di due incoronazioni. La prima incoronazione è stata fatta da Giovanni Paolo II in persona. Ne è testimonianza l’importantissimo documento reso pubblico da mons. Girolamo Grillo e datato 8 ottobre 2000. In questo documento, sottoposto direttamente al Santo Padre, si dice testualmente: "La sera dell’11 giugno 1995… abbiamo pregato insieme dinanzi alla stessa effigie della Madonna, che Ella ha benedetta, mettendole, sul capo, dopo averla baciata, una piccola corona d’oro e nelle mani la coroncina d’oro del Rosario che la statuina tuttora porta con sé”. Quest’affermazione porta il sigillo del Papa perché Egli vi ha apposto la sua firma. È un atto importantissimo perché è il successore di Pietro, in tutta la sua autorità, che riconosce che quella statua è stata oggetto di evento soprannaturale e "baciandola” l’ha ritenuta degna di venerazione. La seconda incoronazione è avvenuta per  opera del nuovo vescovo diocesano Mons. Luigi Marrucci. Il giorno 26 aprile 2014, nel grande tendone accanto al Santuario della Madonna in località Pantano a Civitavecchia, si è svolta una solenne Liturgia eucaristica presieduta dal vescovo diocesano e concelebrata da altri due vescovi, mons. Girolamo Grillo e mons. Giovanni Marra, e da diversi sacerdoti. Erano presenti molti fedeli nonostante la cerimonia non fosse stata sufficientemente propagandata. In questa liturgia il vescovo ha proceduto a una nuova incoronazione, con una nuova corona, della stessa statuina che aveva lacrimato sangue e già oggetto di attenzione da parte di Giovanni Paolo II. Al termine della cerimonia la Madonnina è stata esposta alla venerazione dei fedeli concedendo ai soli sacerdoti di baciarla, come a prolungare il bacio datole da Papa Wojtyla. Io ero personalmente presente a questo evento e ho preso parte alla solenne concelebrazione. Queste due incoronazioni possono essere considerate come un marchio di autenticità dato sia dalla Chiesa universale che dalla Chiesa locale agli eventi di Civitavecchia e l’autorizzazione alla venerazione della Madonnina. Potrebbero sembrare gesti fatti in maniera dimessa, ma questo è il modo della Madonna di "farsi la strada”».

Che significato dà alle lacrime di sangue della Madonna in relazione alla crisi di fede e di credibilità che attraversa la Chiesa e al dilagare dell’odio e della guerra nel mondo?

«Una mamma piange per ragioni serie, se poi piange sangue vuol dire che abbiamo toccato il fondo e che il sangue versato da Gesù per la redenzione del mondo risulta vano per molti».

Come uomo e come teologo incaricato delle indagini, quando ha maturato la convinzione che questo evento fosse attendibile?

«La convinzione è maturata progressivamente, analizzando a fondo gli eventi, le testimonianze di vari testimoni, l’assenza assoluta di ogni frode. Eppoi la serietà e la serena forza d’animo dei Gregori, nonostante le aggressioni inspiegabili che sono venute da ogni parte; la loro obbedienza alla Chiesa singolarmente e come famiglia. Infine, l’assenza di errori teologici ed etici nei messaggi, e tante altre costatazioni fatte di persona».

Ha fatto riferimento ad aggressioni inspiegabili? Si riferiva alla famiglia o all’evento in sé stesso?

«A entrambi. Mi permette una precisazione importante: non mi risulta che nella storia millenaria delle apparizioni e dei messaggi mariani ci sia stata tanta avversione e tanto accanimento come in questo caso: avversione di una parte della Magistratura che si scatenò contro la famiglia in mille modi fino a porre agli "arresti domiciliari” la Madonnina (allora si disse che quella Magistratura era massonica); avversione da parte di alcune associazioni (Codacons e Telefono antiplagio); avversione di una parte di alcuni uomini di Chiesa (non solo nei confronti della famiglia, ma anche del vescovo, mons. Grillo, e perfino delle convinzioni profonde e favorevoli manifestate da Giovanni Paolo II). Alla Magistratura di Civitavecchia sono arrivate lettere irricevibili da parte di singoli individui, di sacerdoti, di testimoni di Geova, di chiese sataniche… Una cosa impressionante! Personalmente sono giunto alla conclusione che a Satana l’evento dava realmente molto fastidio e che ha cercato di distruggerlo in ogni modo. E purtroppo le aggressioni non sono ancora finite…».

10/12/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 04/11/2015 San Carlo Borromeo Vescovo




Nella storia civile e anche in quella della Chiesa troviamo vari personaggi cui i posteri hanno decretato il titolo di Magno. Non li enumero qui perché sono facili da ricordare e poi non sono moltissimi. Al santo che vi presento, San Carlo Borromeo, non è stato dato il titolo di Grande, ma secondo me lo meriterebbe, almeno nell’ambito della storia ecclesiastica. È un personaggio centrale del 1500, una delle figure più eminenti, la cui opera, specialmente per Milano, ha superato la forza dell’oblio.
Carlo nacque ad Arona, sul Lago Maggiore, nel 1538, in una nobile e ricca famiglia. Il padre, Gilberto, era noto per la profonda religiosità e per la sua generosità verso i poveri. Anche la madre, Margherita, era piissima: purtroppo morì quando Carlo aveva solo nove anni. Questo influsso dei genitori rimarrà fondamentale nella sua educazione.
A 12 anni, Carlo fu nominato commendatario di un’abbazia benedettina di Arona, che fruttava una rendita di 2000 scudi.
Una cifra considerevole. Nonostante l’età, però, il ragazzo aveva già le idee chiare.
Infatti, appena ricevuta l’investitura, corse dal padre per dirgli che aveva deciso di spendere quei soldi in aiuto dei poveri. Non c’è male per un dodicenne. I suoi pari di oggi sono anni luce lontano da lui.
Arrivati i 14 anni si recò a studiare prima a Milano poi a Pavia, portando con sé solo un piccola somma di denaro. Ma a lui questa condizione di strettezza economica (relativamente al suo rango) non pesava più di tanto. Nella condizione di studente rivelò ben presto i suoi numerosi talenti: grande intelligenza, carattere tenace e riflessivo, era portato all’essenziale, a non perdersi cioè in tante banalità ed esperienze superficiali, non infrequenti a quell’età. Nel 1559, diventò dottore "in utroque jure” ed aveva solo 21 anni.
A Roma, intanto, alla fine dello stesso anno ci fu il cambio di guardia in Vaticano. Era stato eletto un nuovo Papa, Pio IV, nella persona di Gianangelo de’ Medici, suo zio materno. Questo fatto impresse una svolta alla sua vita. Fu infatti chiamato dallo stesso Papa nella Città Eterna insieme al fratello Federico.

Carriera ecclesiastica a Roma

Nel caso di Pio IV ci troviamo davanti ad un raro caso di nepotismo positivo per la Chiesa. Il Papa promosse immediatamente i due nipoti: Federico (1561) ebbe la carica di capitano generale della Chiesa, Carlo non ancora ventiduenne, fu nominato cardinale con un incarico che oggi potremmo chiamare di Segretario di Stato. Poco dopo gli affidò anche l’amministrazione della diocesi di Milano con l’obbligo di restare però... a Roma. E questa non era l’unica carica. Ne ebbe parecchie altre con l’inevitabile cumulo anche dei rispettivi benefici economici. Gli storici dicono che l’accordo tra Papa e nipote fu sempre perfetto. Carlo nonostante le cariche rimaneva sempre un uomo di cultura.
Al tal fine fondò un’accademia a carattere umanistico-letterario, composta da amici, chiamata Notti Vaticane. Si era anche comprato un fastoso palazzo con servitù a seguito, in cui organizzava fastosi e festosi ricevimenti. Erano i tempi: il tutto non per vanità ma perché lo riteneva opportuno per la carica che ricopriva e per la fama e decoro della famiglia da cui proveniva.

L’evento decisivo

L’improvvisa morte del fratello Federico (1562) gli fece cambiare radicalmente vita. La interpretò come un segno da parte di Dio per riformare la propria vita ancor più in senso evangelico. Così cambiò radicalmente: addio ai festosi ricevimenti, addio ai divertimenti anche moralmente leciti, addio alle Notti Vaticane che divennero un cenacolo di cultura religiosa. Ridusse il proprio tenore di vita, intensificando la penitenza, i digiuni e le rinunce. Riprese inoltre, con più impegno, la propria formazione teologica e pastorale. Era pur sempre vescovo di una diocesi anche se non esercitava direttamente.
Il Papa vide perplesso la trasformazione in senso ascetico del prezioso nipote (che qualche volta chiamava "il mio occhio destro”). Scosse la testa: il tutto gli sembrava esagerato. Giunse persino a sgridarlo (addebitando l’eccessivo zelo ascetico ai consigli dei suoi direttori spirituali e all’influsso di personaggi contemporanei del calibro di Ignazio di Loyola, Gaetano da Thiene, Filippo Neri: guarda caso tutti Santi dichiarati tali dalla Chiesa). Il Papa lo scoraggiò, lo rimproverò, ma lo lasciò fare, e alla fine lo... imitò.
Ma il più grande merito di Carlo Borromeo fu che convinse il Papa a riconvocare il Concilio di Trento sospeso nel 1555. Se questo lavorò tanto e bene e se finì gloriosamente e proficuamente per la Chiesa (1563) il grande merito fu di Carlo. Egli ne fu la mente organizzatrice e l’ispiratore.
Nel luglio 1563, fu ordinato sacerdote e poco tempo dopo vescovo. Voleva fare il pastore di anime nella sua diocesi di Milano e ne aspettava l’occasione.
Il Concilio era finito ma bisognava assicurarsi che anche il successore di Pio IV avesse l’intenzione di continuare la riforma che ne era scaturita. Carlo credeva nell’azione dello Spirito Santo nella direzione della Chiesa, ma, nello stesso tempo, faceva umanamente quello che lui stesso pensava utile. Al vecchio e ammalato zio infatti suggerì i nomi dei nuovi cardinali del futuro conclave: doveva promuovere solo quelli favorevoli alla riforma della Chiesa voluta dal Concilio di Trento. Fatto questo gli chiese di poter presiedere, come legato papale, il consiglio provinciale che si teneva a Milano (la sua diocesi) per attuare le disposizioni conciliari. Lo zio Papa acconsentì. E Carlo partì. Ma poco tempo dopo dovette in tutta fretta fare ritorno a Roma (in compagnia di Filippo Neri) perché il Papa era ormai alla fine. Pio IV infatti morì tra le sue braccia il 9 dicembre 1565.
Morto un Papa, se ne fa un altro, così dice il proverbio. E così fu. Il 7 gennaio 1566, il Nostro avrebbe potuto farsi eleggere Papa con facilità, la sua "lobby” infatti era fortissima. Ed inoltre, era degnissimo. Ma lo Spirito Santo e lui non vollero. Fu eletto il Card. Michele Ghislieri, domenicano, favorevole all’attuazione del Concilio di Trento. E Carlo fu uno dei suoi "sponsor”.

Un pastore "di ferro” che dà la sua vita

Nell’aprile del 1566, raggiunse Milano, dove iniziò subito la grande opera di riforma secondo il Concilio di Trento. Fu un organizzatore geniale e un lavoratore instancabile tanto che Filippo Neri esclamò: "Ma quest’uomo è di ferro”.
Organizzò la sua diocesi in 12 circoscrizioni, curò la revisione della vita della parrocchia obbligando i parroci a tenere i registri di archivio, con le varie attività e associazioni parrocchiali. Si impegnò molto nella formazione del clero creando il seminario maggiore e minore. Fu soprattutto instancabile nel visitare le popolazioni affidate alla sua cura pastorale e spirituale, iniziando la sua prima visita nel 1566 subito dopo l’arrivo a Milano.
La sua visita in una parrocchia era preparata spiritualmente con la preghiera e con la predicazione che doveva portare ai sacramenti. Il vescovo all’inizio faceva una riunione con i notabili del paese ai quali chiedeva tra l’altro: "Come si comportano in chiesa i parrocchiani? Ci sono eretici, usurai, concubini, banditi o criminali? Ci sono seminatori di discordia, parrocchiani che non osservano la Quaresima?... I padri di famiglia educano bene i propri figli? Non c’è lusso esagerato nel vestire da parte degli uomini e delle donne? Se ci sono delle istituzioni di beneficenza e di aiuto sociale, sono ben amministrate?”. E altre domande simili. Come si vede concrete.
Tutto bene quindi nella sua opera di riforma? Non proprio. Incontrò difficoltà e talvolta anche ostilità. Come nel caso dell’attentato che subì il 26 ottobre 1569 ad opera di quattro frati dell’Ordine degli Umiliati. Uno di questi gli sparò mentre era in preghiera nella sua cappella privata. Motivo? Il Borromeo voleva riformare quell’ordine religioso ormai decaduto. Ma le riforme proposte furono viste dagli Umiliati come umiliazioni. La pallottola gli forò il rocchetto, ma lui rimase illeso miracolosamente ed il popolo lo interpretò come un segno dall’alto della bontà delle sue riforme. E gli Umiliati, di nome, furono umiliati anche di fatto e per sempre con la loro cancellazione definitiva.
Ma lo spessore della sua personalità di pastore e del suo amore più grande che "dona la vita per i suoi amici”, la mostrò in occasione della peste del 1576. Assente dalla città perché in visita pastorale, rientrò subito, mentre il governatore spagnolo e il gran cancelliere fuggivano via.
Fece subito testamento sapendo che la peste non aveva riguardo per nessuno, nemmeno per l’alto clero: organizzò l’opera di assistenza, visitò personalmente e coraggiosamente i colpiti dal terribile morbo, aiutò tutti instancabilmente fino al punto da meritarsi un rimprovero dal Papa di Roma.
Nonostante tutta l’attività pastorale, il Borromeo fece quattro viaggi a Roma e quattro a Torino. Era molto devoto della sacra Sindone. Fu proprio nel 1578 che i duchi di Savoia la portarono a Torino perché al vescovo di Milano, che aveva chiesto di venerarla personalmente, fosse risparmiato il difficile e pericoloso attraversamento delle Alpi (motivo ufficiale), ma anche per difenderla dalle brame dei Francesi (motivo politico). L’esposizione della reliquia fatta a Torino nel 1978 fu per ricordare questo suo arrivo nella città.
A causa della sua attività pastorale senza sosta, dei frequenti viaggi, delle continue penitenze, la sua salute peggiorò rapidamente. La morte lo colse preparatissimo il 3 novembre del 1584, ed il suo culto si diffuse rapidamente fino alla canonizzazione fatta nel 1610 da Paolo V.
Carlo Borromeo moriva fisicamente ma la sua eredità, fatta di santità personale e di azione instancabile per la Chiesa era più viva che mai, e sarebbe continuata nei secoli. Fino ad oggi.


rancesco: come Dio farsi servi umili, non funzionari


"Lo stile di Dio che ci salva servendoci e annientandosi ci insegna che anche noi possiamo vincere con Lui, se scegliamo l’amore servizievole e umile che rimane vittorioso per l’eternità”. Ruota intorno a questo pensiero l’omelia pronunciata dal Papa nella Messa celebrata questa mattina nella Basilica di S. Pietro a suffragio dei vescovi e dei cardinali defunti nell’ultimo anno. ”Ci basti Dio”, è stato l’auspicio conclusivo del Pontefice, ”per essere liberi dalle cose effimere”, per esser "figli amati” e non "funzionari”. 
 di Gabriella Ceraso:



Ricordare i cardinali e vescovi deceduti nell’ultimo anno significa pregare perché trovino in Dio la gioia piena nella comunione dei Santi, ma anche rinnovare la scelta che è stata la loro vocazione di ministri, cioè farsi "servi” umili e fino al sacrificio di sé come Dio ha fatto per primo:
"Chi serve e dona, sembra un perdente agli occhi del mondo. In realtà, proprio perdendo la vita, la ritrova. Perché una vita che si spossessa di sé, perdendosi nell’amore, imita Cristo: vince la morte e dà vita al mondo. Chi serve, salva. Al contrario, chi non vive per servire, non serve per vivere”.
Come Gesù amiamo con umilità e concretezza
Il Vangelo ci ricorda questo: "Dio ha tanto amato il mondo" che per salvarci ci ha raggiunto là dove eravamo andati a finire, "nella morte”. L’ha presa su di sé "con tutte le sue contraddizioni", dice il Papa, e ora noi "guardando a Lui e credendo in Lui veniamo salvati". E questo che Francesco chiama "stile di Dio che ci salva servendoci e annientandosi”, non dunque una vittoria trionfante, ma umilissima basata sulla forza dell’amore, "ha molto da insegnarci ":
"Nella Pasqua di Gesù vediamo insieme la morte e il rimedio alla morte, e questo è possibile per il grande amore con cui Dio ci ha amati, per l’amore umile che si abbassa, per il servizio che sa assumere la condizione del servo. Così Gesù non solo ha tolto il male, ma l’ha trasformato in bene. Non ha cambiato le cose a parole, ma con i fatti; non in apparenza, ma nella sostanza; non in superficie, ma alla radice. Ha fatto della croce un ponte verso la vita. Anche noi possiamo vincere con Lui, se scegliamo l’amore servizievole e umile, che rimane vittorioso per l’eternità. È un amore che non grida e non si impone, ma sa attendere con fiducia e pazienza”.
Lo stile dell’amore di Dio è anche, spiega Francesco, di amare "fino alla fine” il mondo, mentre noi, osserva, siamo portati ad "amare ciò di cui sentiamo il bisogno e che desideriamo”.
Non funzionari, ma figli amati
E allora anche questa Messa diventa occasione per chiedere al Padre di rivolgere il nostro pensiero alle "cose di lassù”, a Dio, al prossimo", più che "ai nostri bisogni". Che "sia sufficiente alla nostra vita la Pasqua del Signore", è l’auspicio finale del Papa," per essere liberi dagli affanni delle cose effimere che passano e svaniscono nel nulla”:
"Che ci basti Lui, in cui ci sono vita, salvezza, risurrezione e gioia. Allora saremo servi secondo il suo cuore: non funzionari che prestano servizio, ma figli amati che donano la vita per il mondo”.

04/11/2015 fonte: Radio Vaticana

Per il giudice dei minori la Cirinnà è già legge Via libera alle adozione anche per le coppie gay


di Tommaso Scandroglio

Non serve aspettare il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili per avere la stepchild adoption. Ci hanno già pensato i giudici. Infatti, il Tribunale per i minorenni di Roma ha permesso ad una lei di una coppia lesbica di adottare la figlia della sua compagna. Esattamente quanto previsto dall’art. 5 del ddl Cirinnà. Questa è la seconda volta che un Tribunale legittima un’adozione gay (la prima volta accadde nell’agosto del 2014) e per opera del medesimo giudice, la dottoressa Melita Cavallo. 

La coppia aveva avuto la bambina tramite fecondazione artificiale di tipo eterologo, pratica svolta in una clinica estera. La minore era poi nata qui in Italia e risultava ovviamente figlia della sola madre biologica. La coppia allora ha iniziato nell’agosto del 2014 un iter giuridico per chiedere che la compagna non mamma potesse adottare Irene (nome di fantasia). Il Tribunale chiese un parere tecnico al servizio Gil adozioni. Parere che in un passaggio così recita: «La piccola Irene vive in un ambiente solido e affettivamente confortante in grado di garantire una crescita armonica adeguata alla sua età. La bambina frequenta oltre ai parenti anche i tanti amici della coppia, la maggior parte dei quali sono famiglie eterosessuali. Le due donne sono in grado di riflettere sulle scelte educative per Irene, di discuterle e di condividerle nell’ottica di costruire per lei un percorso di vita che non le crei difficoltà, ma le fornisca strumenti adeguati a conoscere la sua storia e a farla sentire serena e in equilibrio con se stessa. La tematica delle origini ed il modo di raccontarla alla bambina è un argomento da affrontare con gradualità e le due donne hanno deciso di farsi sostenere da specialisti». 

Il passaggio è davvero un autogol. Infatti, dichiarare che in futuro verrà interpellato uno specialista, crediamo uno psicologo, per spiegare a Irene il perché ha due mamme e non una mamma e un papà è ammettere che l’omogenitorialità non è condizione naturale e sana, ma è una situazione patologica che può solo ledere il benessere psicologico della minore. Viene poi chiesta una seconda relazione, questa volta ad un Consulente tecnico di ufficio (Ctu). La musica non cambia: «La aspirante madre appare dotata di un funzionamento psicologico equilibrato e adatto, frutto di un pensiero integro e di un consistente contenimento razionale che conferisce alla donna una sostanziale stabilità nel comportamento e nelle espressioni affettive e pulsionali, in una personalità sensibile e emotivamente disponibile. L’adeguatezza genitoriale presuppone la presenza necessaria di funzioni e responsabilità specifiche che non dipendono dall’essere madre-padre, donna-uomo, o addirittura dalla presenza o dal sesso del co-genitore. Nel caso in oggetto l’esame delle competenze genitoriali è positivo e il giudizio clinico è assolutamente favorevole». 

In buona sostanza, per il Ctu i genitori possono essere sostituiti da chiunque, basta che sia dotato di «funzioni e responsabilità specifiche». Quindi vanno bene una tata, una nonna, uno zio, una suora in un orfanotrofio, un educatore dell’oratorio, un pedagogista, tutte figure adatte a diventare "co-genitori”. Perché l’importante è avere un «pensiero integro» e «un consistente contenimento razionale», mica essere papà e mamma. La diversità sessuale a questo punto è aspetto marginale come il fatto che i genitori siano due. E così il giudice Melita Cavallo ha sentenziato che «La compagna della madre biologica può adottare la bambina». Eccovi servita la Cirinnà prima che il Parlamento legiferi. Altro caso di sentenza contra legem e di intromissione in una sfera di competenza, quella legislativa, che non spetta al potere giudicante.

La dottoressa Cavallo ha tentato di legittimare l’adozione gay puntellandosi all’art. 44 comma 1 lettera d) in combinato con il comma 3 della legge sulle adozioni, medesimo puntello usato anche nell’agosto dell’anno scorso. Questa lettera disciplina un caso particolare di adozione che risulta essere una eccezione rispetto alla disciplina generale prevista dalla legge. Il minore, cioè, può essere adottato anche da un convivente, ma solo nel caso in cui «vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Nel caso presente la minore non necessita di affidamento preadottivo perché la madre biologica può validamente prendersi cura di lei. Quindi non sussiste la condizione prevista per la legge per l’adozione. Ma ammesso e non concesso che la minore possa essere adottata dalla convivente della madre, quello che fa problema è la diversità di sesso. Il giudice Cavallo sorvola con leggiadria su questo punto: «Nessuna limitazione è prevista espressamente, o può derivarsi in via interpretativa, con riferimento all’orientamento sessuale dell’adottante o del genitore dell’adottato, qualora tra essi vi sia un rapporto di convivenza». 

É vero che nella legge sull’adozione non c’è un divieto espresso in merito al dovere di disparità sessuale degli adottanti, ma proprio perché appariva scontato che l’adottato abbia necessità di avere una figura maschile e femminile dedicate alla sua educazione (l’adozione da parte di single è eccezionale ed è comunque cosa diversa per il minore crescere in una coppia omosessuale rispetto a crescere con uno zio), così come non c’è un divieto esplicito che l’adottante sia un animale. Quindi c’è un divieto implicito in merito all’omogenitorialità facilmente desumibile da tutto l’impianto della legge sull’adozione che vuole riprodurre il più possibile l’ambiente familiare. 

E l’unica famiglia è quella dell’art. 29 della Costituzione composta da un uomo e una donna. Ad oggi poi le convivenze omo non sono riconosciute per legge e quindi l’orientamento sessuale del convivente non ha ricevuto ruolo legittimante in capo alla possibilità di adottare. Infine, se davvero già nel nostro ordinamento è presente la possibilità che un gay adotti il figlio dell’altro compagno, perché accapigliarsi così tanto per introdurre la stepchild adoption nella Cirinnà? Ciò a dimostrazione che alla stato attuale tale possibilità non esiste secondo le nostre leggi e serve una norma apposita per introdurre tale facoltà.

 04/11/2015 fonte:La nuova bussola quotidiana

Divulgazione notizie e documenti riservati: due arresti in Vaticano



Nel quadro di indagini di polizia giudiziaria svolte dalla Gendarmeria vaticana ed avviate da alcuni mesi a proposito di sottrazione e divulgazione di notizie e documenti riservati, sabato e domenica scorsi sono state convocate due persone per essere interrogate sulla base degli elementi raccolti e delle evidenze raggiunte. Lo riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana.
Si tratta di un ecclesiastico, mons. Lucio Angel Vallejo Balda, e della dott.ssa Francesca Chaouqui, che in passato erano stati rispettivamente segretario e membro della COSEA (Commissione referente di Studio e indirizzo sull’organizzazione delle Strutture Economico-Amministrative della Santa Sede, istituita dal Papa nel luglio 2013 e successivamente sciolta dopo il compimento del suo mandato). In seguito alle risultanze degli interrogatori queste due persone sono state trattenute in stato di arresto in vista del proseguimento delle indagini.
Nella giornata odierna l’Ufficio del promotore di Giustizia, nelle persone del prof. avv. Gian Piero Milano, promotore di Giustizia, e prof. avv. Roberto Zannotti, promotore di Giustizia aggiunto, ha convalidato l’arresto dei predetti, provvedendo a rimettere in stato di libertà la dott.ssa Chaouqui, nei confronti della quale non sono più state ravvisate esigenze cautelari, anche a motivo della sua collaborazione alle indagini. La posizione di Mons. Vallejo Balda rimane al vaglio dell’Ufficio del Promotore di Giustizia.
Si deve ricordare che la divulgazione di notizie e documenti riservati è un reato previsto dalla Legge n. IX dello Stato della Città del Vaticano (13 luglio 2013) art. 10 (art. 116 bis c.p.).
Quanto ai libri annunciati per i prossimi giorni - sottolinea il comunicato - va detto chiaramente che anche questa volta, come già in passato, sono frutto di un grave tradimento della fiducia accordata dal Papa e, per quanto riguarda gli autori, di una operazione per trarre vantaggio da un atto gravemente illecito di consegna di documentazione riservata, operazione i cui risvolti giuridici ed eventualmente penali sono oggetto di riflessione da parte dell’Ufficio del Promotore in vista di eventuali ulteriori provvedimenti, ricorrendo, se del caso, alla cooperazione internazionale.
Pubblicazioni di questo genere - conclude la Sala Stampa - non concorrono in alcun modo a stabilire chiarezza e verità, ma piuttosto a generare confusione e interpretazioni parziali e tendenziose. Bisogna assolutamente evitare l’equivoco di pensare che ciò sia un modo per aiutare la missione del Papa.

04/11/2015 fonte: Radio Vaticana

Dolore del Papa per la tragedia nella discoteca di Bucarest



È "profondo dolore” quello che Papa Francesco esprime in un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, per la tragedia avvenuta in Romania, la notte di venerdì scorso in una discoteca di Bucarest.
Un incendio causato da uno spettacolo di fuochi pirotecnici ha causato la morte di 30 giovani e il ferimento di altre 180 persone. Francesco assicura, si legge nel messaggio, "la sua spirituale vicinanza ai familiari delle vittime, alle autorità governative e all'intera nazione”, affidando "alla misericordia del Signore quanti sono deceduti in così drammatici eventi”.

04/11/2015 fonte : Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 14/10/2015 San Callisto papa I




A Roma sono famose le Catacombe di San Callisto, lungo la via Appia. Tra i molti cimiteri sotterranei dell'Urbe, quelle di San Callisto sono le Catacombe più note e più frequentate, celebri soprattutto per la cosiddetta " Cripta dei Papi ".
Ma tra i moltissimi Martiri e i Pontefici deposti ivi questo sepolcreto, inutilmente si cercherebbe il corpo del Santo dal quale le Catacombe lungo la via Appia hanno preso il nome, e che è segnato oggi sul Calendario universale della Chiesa, onorato come " Martire ".
La sorte di questo Santo, Pontefice agli inizi del III secolo, è stata veramente strana. Egli ebbe, ai suoi tempi, molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma, e proprio da uno scritto del capo di questi cristiani separati, cioè di un Antipapa, abbiamo quasi tutte le notizie sul conto di San Callisto. Sono, naturalmente, notizie che tendono a farlo apparire riprovevole e quasi odioso.
San Callisto viene detto, per esempio, " uomo industrioso per il male e pieno di risorse per l'errore ". Vi si legge che, prima di diventare Papa, era stato schiavo, frodatore di un padrone troppo ingenuo, finanziere improvvisato e bancarottiere più o meno fraudolento. Fuggito in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati, nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma in occasione di un'amnistia, venne inviato ad Anzio perché - sempre secondo il racconto tendenzioso del suo avversario - il Papa non volle averlo d'intorno. Ma la lunga permanenza ad Anzio dovette riscattare l'antico schiavo dai suoi difetti, se mai ne ebbe, perché un altro Papa, Zeffirino, lo richiamò a Roma, affidando alla sua intraprendenza la cura dei cimiteri della Chiesa. Fu allora che Callisto iniziò lo scavo dei grande sepolcreto lungo la via Appia che doveva portare il suo nome.
Alla morte di Zeffirino, Callisto passò dalla cura dei morti a quella dei vivi, essendo eletto Papa egli stesso. E fu proprio allora, come Papa, che il reduce dalle miniere della Sardegna e dall'" esilio " di Anzio, si attirò le recriminazioni di certi cristiani troppo ligi alla tradizione, troppo rigidi nella morale, troppo retrivi alle novità.
Fu accusato di eresia, nella formulazione del mistero della Trinità, che invece Callisto sosteneva secondo la tradizione ortodossa, confermata poi dai concili. Venne incolpato, inoltre, di scarso zelo mentre, in tempi di rilassatezza, istituì il digiuno delle Quattro Tempora.
Gli fu rimproverato soprattutto il " lassismo ", cioè la scarsa severità disciplinare. Accoglieva infatti nella Chiesa i peccatori pentiti e . cristiani che debolmente avevano difeso la loro fede in tempo di pericolo.
Ma qualsiasi ombra gravasse sulla vita di San Callisto, venne riscattata alla sua morte, che fu morte di Martire, nel 222. Gettato in un pozzo di Trastevere, forse in una sommossa popolare, il suo corpo venne deposto di là dal fiume, lungo la via Aurelia, lontano dalle Catacombe da lui aperte lungo la via Appia, che di San Callisto conservano il nome ma non le reliquie.



Sinodo. Parroco invitato dal Papa: famiglie ritrovino calore

Altra sfida da raccogliere per la Chiesa è il rapporto famiglia-lavoro. Se ne discute al Sinodo in Vaticano dove viene evidenziata la duplice problematica rappresentata da un lato dalla piaga della disoccupazione e dall’altro dal "troppo lavoro” che spesso minaccia la vita familiare. Ne parla al microfono del nostro inviato Paolo Ondarza, don Roberto Rosa, parroco di San Giacomo Apostolo a Trieste, nominato personalmente dal Papa tra i Padri sinodali:



R. – É stata una cosa imprevista, iniziata con una lettera che io ho inviato al Papa nei primi giorni di agosto su alcune questioni pastorali. Gli ho scritto senza neppure pensare che l’avrebbe letta. Qualche giorno dopo mi è giunta una telefonata diretta di Papa Francesco, il quale aveva la mia lettera in mano e assieme abbiamo parlato di alcuni problemi pastorali, della famiglia. Poi ci siamo salutati. Qualche giorno dopo, mi è arrivata la nomina, inaspettata, di partecipare come padre sinodale a questo Sinodo sulla famiglia.
D. – Qui al Sinodo, quindi, porta i problemi concreti vissuti dalla gente che frequenta la sua parrocchia e che lei sperimenta ogni giorno…
R. – È quello che io posso portare; l’esperienza di una vita quotidiana accanto alle persone, alle famiglie, soprattutto portando quella che è la bellezza dell’amore umano vissuto nella famiglia, ma anche quelli che sono i problemi delle famiglie di oggi.
D. – Quali sono i problemi delle famiglie, oggi, che lei ritiene più urgenti?
R. – Prima di tutto, quello del lavoro. Molte volte manca un lavoro continuativo per cui la famiglia soffre di questa mancanza, perché quando manca il lavoro, manca il pane e quindi la dignità. Poi, dall’altra parte invece, c’è anche un assolutizzare il lavoro, quando entrambi i genitori lavorano per stare meglio dal punto di vista economico, per avere di più, però poi trascurano quella che è l’intimità della vita famigliare, come lo stare a tavola insieme, non c’è tempo... I figli – lo vedo in parrocchia – risentono di questa assenza dei genitori dovuta tante volte al lavoro. Tante famiglie giovani vedono che i loro genitori sono stanchi, parlano poco…
D. – Rimane poco tempo, poca energia da dedicare alla famiglia?
R. – Poca energia da dedicare alla famiglia, per cui i giovani hanno l’impressione che la famiglia sia qualcosa che stanchi. Quando, poi, la famiglia diventa un albergo, non ci si parla, non ci si vuole bene, non ci perdona, non ci si accoglie, c’è veramente il rischio anche di arrivare qualche volta alla separazione.
D. – Turni, spesso anche scomodi, a cui sempre più frequentemente vengono sottoposti molti lavori. Ad esempio, il lavoro domenicale: penso agli esercizi commerciali o addirittura al lavoro notturno. Anche queste sono cose che vanno a incidere sull’equilibrio della famiglia, sulla serenità, sulla condivisione in famiglia...
R. – Si pensi per esempio all’impossibilità, qualche volta, di celebrare la festa in famiglia anche dal punto di vista cristiano: si è lì, come se fosse un giorno come tutti gli altri, perché magari la mamma lavora in un supermercato, il papà è impegnato da un’altra parte, i figli non riescono nemmeno a venire in chiesa, non possono muoversi. Qualche volta, c’è la fortuna di avere i nonni anche e soprattutto per la trasmissione della fede.
D. – Lo stato delle cose oggi porta anche ad un confronto tra generazioni lontane, i nonni e i nipoti proprio per questo motivo, dettato dal lavoro, dall’impossibilità dei genitori a seguire come prima, come una volta, i propri figli…
R. – Certamente. È una fortuna avere i nonni che aiutano a legare la famiglia, a tenerla unita. Molte volte sono loro che portano i ragazzi in parrocchia, a scuola, che li seguono, sempre in contatto con i genitori. Per cui, in questo momento sono figure che vanno valorizzate.
D. – Tornando al tema del lavoro, il Sinodo che prospettive può offrire? La Chiesa può aiutare nello stabilire un rapporto equilibrato con la dimensione del lavoro?
R. – Penso di sì. Ma direi che la Chiesa, soprattutto, dovrebbe proporre a quelli che sono imprenditori cattolici, impegnati nell’area del commercio, nei supermercati per fare un esempio, a fare una scelta coraggiosa: vivere la domenica e farla vivere anche ai loro dipendenti. Va riscoperto il valore del lavoro, che chiaramente è uno strumento per portare avanti la propria famiglia – "ora et labora", noi siamo stati creati da Dio anche per lavorare – però, il fine ultimo della nostra vita non è il lavoro, è la festa. Direi che il Signore ci ha creati per la domenica. È lì che c’è il senso di tutto il lavoro.
D. – C’è un cammino da percorrere che è controcorrente rispetto a quello che la società a volte impone con i suoi ritmi e con le sue regole?
R. – Certo, il Vangelo va sempre controcorrente, è sempre una grande novità che rende più bella la vita degli uomini, del mondo, della Chiesa. Quindi riscoprire il Vangelo della vita, di una vita piena!
14/10/15 Fonte: Zenit

Udienza generale: il Papa chiede perdono per gli scandali. Ampia sintesi



All’udienza generale di oggi in Piazza San Pietro la catechesi del Papa, dedicata ai bambini, è partita dalla frase di Gesù: "E’ inevitabile che vengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale viene lo scandalo”.
"La parola di Gesù è forte oggi” – ha detto il Pontefice - "Gesù è realista”. E ha aggiunto:  "Io vorrei, prima di iniziare la catechesi, in nome della Chiesa, chiedervi perdono per gli scandali che in questi ultimi tempi sono caduti sia a Roma che in Vaticano, vi chiedo perdono”.
Papa Francesco ha quindi parlato delle "promesse che facciamo ai bambini. Non parlo tanto delle promesse che facciamo qua e là, durante la giornata, per farli contenti o per farli stare buoni (magari con qualche innocente trucchetto: ma ti do una caramelle, queste promesse…), per invogliarli ad impegnarsi nella scuola o per dissuaderli da qualche capriccio. Parlo di altre promesse, delle promesse  più importanti, decisive per le loro attese nei confronti della vita, per la loro fiducia nei confronti degli esseri umani, per la loro capacità di concepire il nome di Dio come una benedizione. Sono promesse che noi facciamo loro”.
"Noi adulti siamo pronti a parlare dei bambini come di una promessa della vita. Tutti diciamo: i bambini sono una promessa della vita. E siamo anche facili a commuoverci, dicendo ai giovani che sono il nostro futuro, è vero. Ma mi domando, a volte, se siamo altrettanto seri con il loro futuro, con il futuro dei bambini e con il futuro dei giovani! Una domanda che dovremmo farci più spesso è questa: quanto siamo leali con le promesse che facciamo ai bambini, facendoli venire nel nostro mondo? Noi li facciamo venire al mondo e questa è una promessa, cosa promettiamo loro?”.
"Accoglienza e cura, vicinanza e attenzione, fiducia e speranza, sono altrettante promesse di base, che si possono riassumere in una sola: amore. Noi promettiamo amore, cioè amore che si esprime nell’accoglienza, nella cura, nella vicinanza, nell’attenzione, nella fiducia e la speranza, ma la grande promessa è amore. Questo è il modo più giusto di accogliere un essere umano che viene al mondo, e tutti noi lo impariamo, ancora prima di esserne coscienti. A me piace tanto quando vedo i papà e le mamme, quando passo fra voi, portarmi un bambino, una bambina piccolina (e chiedo): "Quanto tempo ha?” –"Tre settimane, quattro settimane… Ma, cerco che il Signore la benedica!”. Questo si chiama amore anche, eh? L’amore è la promessa che l’uomo e la donna fanno ad ogni figlio: fin da quando è concepito nel pensiero. I bambini vengono al mondo e si aspettano di avere conferma di questa promessa: lo aspettano in modo totale, fiducioso, indifeso. Basta guardarli: in tutte le etnie, in tutte le culture, in tutte le condizioni di vita! Quando accade il contrario, i bambini vengono feriti da uno "scandalo”, da uno scandalo insopportabile, tanto più grave, in quanto non hanno i mezzi per decifrarlo. Non possono capire cosa succede. Dio veglia su questa promessa, fin dal primo istante. Ricordate cosa dice Gesù? Gli Angeli dei bambini rispecchiano lo sguardo di Dio, e Dio non perde mai di vista i bambini (cfr Mt 18,10). Guai a coloro che tradiscono la loro fiducia, guai! Il loro fiducioso abbandono alla nostra promessa, che ci impegna fin dal primo istante, ci giudica”.
Il Papa ha proseguito: "E vorrei aggiungere un’altra cosa, con molto rispetto per tutti, ma anche con molta franchezza. La loro spontanea fiducia in Dio non dovrebbe mai essere ferita, soprattutto quando ciò avviene a motivo di una certa presunzione (più o meno inconscia) di sostituirci a Lui. Il tenero e misterioso rapporto di Dio con l’anima dei bambini non dovrebbe essere mai violato. E’ un rapporto reale, che Dio lo vuole e Dio lo custodisce. Il bambino è pronto fin dalla nascita per sentirsi amato da Dio, è pronto a questo. Non appena è in grado di sentire che viene amato per sé stesso, un figlio sente anche che c’è un Dio che ama i bambini”.
"I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, insieme col nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi. Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. Un secondo miracolo, una seconda promessa: noi – papà e mamma – ci doniamo a te, per donare te a te stesso! E questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio! Ma voi, papà e mamme, avete questa scintilla di Dio che date ai bambini, voi siete strumento dell’amore di Dio e questo è bello, bello, bello!”.
"Solo se guardiamo i bambini con gli occhi di Gesù, possiamo veramente capire in che senso, difendendo la famiglia, proteggiamo l’umanità! Il punto di vista dei bambini è il punto di vista del Figlio di Dio. La Chiesa stessa, nel Battesimo, ai bambini fa grandi promesse, con cui impegna i genitori e la comunità cristiana. La santa Madre di Gesù – per mezzo della quale il Figlio di Dio è arrivato a noi, amato e generato come un bambino – renda la Chiesa capace di seguire la via della sua maternità e della sua fede. E san Giuseppe – uomo giusto, che l’ha accolto e protetto, onorando coraggiosamente la benedizione e la promessa di Dio – ci renda tutti capaci e degni di ospitare Gesù in ogni bambino che Dio manda sulla terra. Grazie”.

 14/10/2015 fonte: Radio Vaticana

Inaugurata a Kinshasa una scuola secondaria dedicata a Papa Francesco





Una scuola secondaria dedicata a Papa Francesco è stata inaugurata nei giorni scorsi a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. L’istituto è stato finanziato dalla Conferenza Episcopale italiana (Cei) con i fondi dell’8x1000 e dalla onlus Semi di Pace. L’edificio, completato dopo nove mesi di lavori, dotato di dodici aule, un laboratorio informatico e uffici, ospiterà fino a seicento studenti, tra i 10 e i 16 anni, della comunità di Mikondo, nel quartiere periferico e degradato della capitale Kinshasa. Le attività didattiche sono coordinate dalle suore missionarie Figlie della Passione di Gesù Cristo e Maria Addolorata.

Al taglio del nastro - informa L'Osservatore Romano - hanno preso parte, oltre alle autorità civili, il vescovo ausiliare di Kinshasa,  monsignor Timothée Bodika Mansiyai, in rappresentanza del cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, il vice presidente della onlus, Marino Sabatino e il responsabile del settore "sostegno a distanza”, Giancarlo Andreoli.

Secondo i responsabili di Semi di Pace, "andare a scuola è una normalità che è tale solo per i Paesi sviluppati. In questo angolo di Africa l’istruzione è un diritto per pochi. Accedervi vuol dire per i giovani crearsi un futuro lontano dalle strade pericolose della violenza, della prostituzione e della criminalità».

Aver dedicato l’istituto a Papa Francesco, aggiungono i responsabili dell’onlus, "significa condividerne il pensiero soprattutto quando afferma che "la Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”.

14/10/2015 fonte: Zenit

Se un milione di bambini pregheranno insieme il Rosario, il mondo cambierà»



Il 18 ottobre, attraverso le 21 sedi nazionali di ACS presenti in quattro continenti, la fondazione pontificia esorta tutti i bambini ad unirsi in preghiera.
Campagna Rosario Bambini b
Un milione di bambini che recitano insieme il Rosario per l’unità e la pace. È l’invito che il 18 ottobre, ormai da dieci anni, Aiuto alla Chiesa che Soffre rivolge ai bambini di tutto il mondo.
L’iniziativa, chiamata "Un milione di Bambini in Preghiera”, è nata nel 2005 a Caracas in Venezuela. Mentre un gruppo di bambini pregava, alcune donne presenti hanno avvertito la presenza della Vergine. Una di loro si è ricordata allora della promessa di Padre Pio: «Se un milione di bambini pregheranno insieme il Rosario, il mondo cambierà».
Da allora ogni anno, il 18 ottobre, attraverso le 21 sedi nazionali di ACS presenti in quattro continenti, la fondazione pontificia esorta tutti i bambini ad unirsi in preghiera.
Da sempre Aiuto alla Chiesa che Soffre unisce al sostegno della pastorale della Chiesa in tutto il mondo e alla denuncia delle limitazioni alla libertà religiosa, iniziative legate alla preghiera. Come le due giornate mondiali di preghiera per la pace in Iraq promosse il 6 agosto 2014 e 2015, la settimana di preghiera per la Siria (settembre 2013) e le Novene per la pace nella repubblica Democratica del Congo (dicembre 2012) e nella Repubblica Centrafricana (dicembre 2013). ACS è inoltre fortemente impegnata alla promozione della preghiera del Rosario tra i bambini e per insegnare ai piccoli come recitarlo ha creato un apposito libricino, "Noi Bambini preghiamo il Rosario”, che dal 2009 ad oggi è stato tradotto in otto lingue e pubblicato in 600mila copie, diffuse da ACS in tutto il mondo.
"Un milione di Bambini in Preghiera” nasce dalla consapevolezza che, se affidata ai bimbi, la preghiera sia davvero capace di portare la pace. Specie la preghiera del Rosario, come ha scritto Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae: «Non si può recitare il Rosario senza sentirsi coinvolti in un preciso impegno di servizio alla pace».

 Per questo ACS invita genitori, insegnanti e quanti lavorano nelle scuole, negli asili, negli ospedali, negli orfanotrofi ed in qualunque luogo vi siano gruppi di bambini, ad esortare i piccoli a recitare il Rosario. Al tempo stesso ACS chiede a tutti di rivolgere un pensiero a tutti quei bambini a cui nessuno ha mai insegnato a pregare, donando loro la Bibbia del Fanciullo: il libro sul quale milioni di bambini in tutto il mondo hanno imparato a leggere, scrivere e pregare. È una Bibbia illustrata di ACS che dal 1979 ad oggi è stata stampata in 178 lingue diverse e in oltre 51 milioni di copie. È possibile donare collegandosi al sito acs-italia.org.
 14/10/2015 fonte Tempi .it

IL SANTO DEL GIORNO 19/09/2015 San Gennaro vescovo e martire




Fra i santi dell’antichità è certamente uno dei più venerati dai fedeli e se poi consideriamo che questi fedeli, sono primariamente napoletani, si può comprendere per la nota estemporaneità e focosa fede che li distingue, perché il suo culto, travalicando i secoli, sia giunto intatto fino a noi, accompagnato periodicamente dal misterioso prodigio della liquefazione del suo sangue, che tanto attira i napoletani.
Prima di tutto il suo nome diffuso in Campania e anche nel Sud Italia, risale al latino ‘Ianuarius’ derivato da ‘Ianus’ (Giano) il dio bifronte delle chiavi del cielo, dell’inizio dell’anno e del passaggio delle porte e delle case.
Il nome era in genere attribuito ai bambini nati nel mese di gennaio "Ianuarius”, undicesimo mese dell’anno secondo il calendario romano, ma il primo dopo la riforma del II secolo d.C.
Gennaro appartenne alla gens Ianuaria, perché Ianuarius che significa "consacrato al dio Ianus” non era il suo nome, che non ci è pervenuto, ma il gentilizio corrispondente al nostro cognome.
Vi sono ben sette antichi ‘Atti’, ‘Passio’, ‘Vitae’, che parlano di Gennaro, fra i più celebri gli "Atti Bolognesi” e gli "Atti Vaticani”. Da questi documenti si apprende che Gennaro nato a Napoli (?) nella seconda metà del III secolo, fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani per la cura, che impiegava nelle opere di carità a tutti indistintamente; si era nel primo periodo dell’impero di Diocleziano (243-313), il quale permise ai cristiani di occupare anche posti di prestigio e una certa libertà di culto. 
Nella sua vecchiaia però, sotto la pressione del suo cesare Galerio (293), firmò ben tre editti contro i cristiani, provocando una delle più feroci persecuzioni, colpendo la Chiesa nei suoi membri e nei suoi averi per impedirle di soccorrere i poveri e spezzare così il favore popolare.
E in questo contesto s’inserisce la storia del martirio di Gennaro; egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno, importante porto romano sulla costa occidentale del litorale flegreo; Sosso fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania, per le funzioni religiose che quotidianamente venivano celebrate nonostante i divieti.
In quel periodo il vescovo di Benevento Gennaro, accompagnato dal diacono Festo e dal lettore Desiderio, si trovavano a Pozzuoli in incognito, visto il gran numero di pagani che si recavano nella vicinissima Cuma ad ascoltare gli oracoli della Sibilla Cumana e aveva ricevuto di nascosto anche qualche visita del diacono di Miseno (località tutte vicinissime tra loro).
Gennaro saputo dell’arresto di Sosso, volle recarsi insieme ai suoi due compagni Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere e anche con alcuni scritti, per esortarlo insieme agli altri cristiani prigionieri a resistere nella fede.
Il giudice Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio.
Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell’anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi, in un pubblico spettacolo. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri cristiani nel Foro di Vulcano, presso la celebre Solfatara di Pozzuoli.
Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione; era usanza dei cristiani dell’epoca di cercare di raccogliere corpi o parte di corpi, abiti, ecc. per poter poi venerarli come reliquie dei loro martiri.
I cristiani di Pozzuoli, nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che s. Gennaro avesse sui 35 anni, come pure giovani, erano i suoi compagni di martirio. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi "Catacombe di S. Gennaro”, per volontà dal vescovo di Napoli, s. Giovanni I e sistemate vicino a quelle di s. Agrippino vescovo. 
Le reliquie degli altri sei martiri, hanno una storia a parte per le loro traslazioni, ma in maggioranza ebbero culto e spostamento nelle loro zone di origine. 
Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire; a ricordo delle tappe della solenne traslazione vennero erette due cappelle: S. Gennariello al Vomero e San Gennaro ad Antignano.
Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini.
Va notato che già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586. La tomba divenne come già detto, meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre aumentava il culto per s. Gennaro, diminuiva man mano quello per s. Agrippino vescovo, fino allora patrono della città di Napoli; dal 472 s. Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono principale della città. 
Durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, s. Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie; dopo fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di S. Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo; riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue.
Questa provvidenziale decisione, preservò le suddette reliquie, dal furto operato dal longobardo Sicone, che durante l’assedio di Napoli dell’831, penetrò nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della città, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo. 
Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli, addirittura se ne perdettero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.
Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli nel succorpo del Duomo ed unite al capo ed alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.
Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le ormai famose ampolline col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere. Le ampolle erano state incastonate in una teca preziosa fatta realizzare da Roberto d’Angiò, in un periodo imprecisato del suo lungo regno (1309-1343).
La teca assunse l’aspetto attuale nel XVII secolo, racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri di diametro, vi sono le due ampolline, una più grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa il 60% di sangue e quella più piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.
Le altre reliquie poste in un’antica anfora, sono rimaste nella cripta del Duomo, su cui s’innalza l’abside e l’altare maggiore della grande Cattedrale. San Gennaro è conosciuto in tutto il mondo, grazie anche al culto esportato insieme ai tantissimi emigranti napoletani, suoi fedeli, non solo per i suoi prodigiosi interventi nel bloccare le calamità naturali, purtroppo ricorrenti che colpivano Napoli, come pestilenze, terremoti e le numerose eruzioni del vulcano Vesuvio, croce e vanto di tutto il Golfo di Napoli; ma anche per il famoso prodigio della liquefazione del sangue contenuto nelle antiche ampolle, completamente sigillate e custodite in una nicchia chiusa con porte d’argento, situata dietro l’altare principale, della già menzionata Cappella del Tesoro.
Il Tesoro è oggi custodito in un caveau di una banca, essendo ingente e preziosissimo, quale testimonianza dei doni fatti al santo patrono da sovrani, nobili e quanti altri abbiano ricevuto grazie per sua intercessione, o alla loro persona e famiglia o alla città stessa.
Le chiavi della nicchia, sono conservate dalla Deputazione del Tesoro di S. Gennaro, da secoli composta da nobili e illustri personaggi napoletani con a capo il sindaco della città. Il miracolo della liquefazione del sangue, che è opportuno dire non è un’esclusiva del santo vescovo, ma anche di altri santi e in altre città, ma che a Napoli ha assunto una valenza incredibile, secondo un antico documento, è avvenuto per la prima volta nel lontano 17 agosto 1389; non è escluso, perché non documentato, che sia avvenuto anche in precedenza.
Detto prodigio avviene da allora tre volte l’anno; nel primo sabato di maggio, in cui il busto ornato di preziosissimi paramenti vescovili e il reliquiario con la teca e le ampolle, vengono portati in processione, insieme ai busti d’argento dei numerosi santi compatroni di Napoli, anch’essi esposti nella suddetta Cappella del Tesoro, dal Duomo alla Basilica di S. Chiara, in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napoli, e qui dopo le rituali preghiere, avviene la liquefazione del sangue raggrumito; la seconda avviene il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione, una volta avveniva nella Cappella del Tesoro, ma per il gran numero di fedeli, il busto e le reliquie sono oggi esposte sull’altare maggiore del Duomo, dove anche qui dopo ripetute preghiere, con la presenza del cardinale arcivescovo, autorità civili e fedeli, avviene il prodigio tra il tripudio generale.
Avvenuta la liquefazione la teca sorretta dall’arcivescovo, viene mostrata quasi capovolgendola ai fedeli e al bacio dei più vicini; il sangue rimane sciolto per tutta l’ottava successiva e i fedeli sono ammessi a vedere da vicini la teca e baciarla con un prelato che la muove per far constatare la liquidità, dopo gli otto giorni viene di nuovo riposta nella nicchia e chiusa a chiave. 
Una terza liquefazione avviene il 16 dicembre "festa del patrocinio di s. Gennaro”, in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo. Il prodigio così puntuale, non è sempre avvenuto, esiste un diario dei Canonici del Duomo che riporta nei secoli, anche le volte che il sangue non si è sciolto, oppure con ore e giorni di ritardo, oppure a volte è stato trovato già liquefatto quando sono state aperte le porte argentee per prelevare le ampolle; il miracolo a volte è avvenuto al di fuori delle date solite, per eventi straordinari.
Il popolo napoletano nei secoli ha voluto vedere nella velocità del prodigio, un auspicio positivo per il futuro della città, mentre una sua assenza o un prolungato ritardo è visto come fatto negativo per possibili calamità da venire. La catechesi costante degli ultimi arcivescovi di Napoli, ha convinto la maggioranza dei fedeli, che anche la mancanza del prodigio o il ritardo vanno vissuti con serenità e intensificazione semmai di una vita più cristiana.
Del resto questo "miracolo ballerino”, imprevedibile, è stato oggetto di profondi studi scientifici, l’ultimo nel 1988, con i quali usando l’esame spettroscopico, non potendosi aprire le ampolline sigillate da tanti secoli, si è potuto stabilire la presenza nel liquido di emoglobina, dunque sangue.
La liquefazione del sangue è innegabile e spiegazioni scientifiche finora non se ne sono trovate, come tutte le ipotesi contrarie formulate nei secoli, non sono mai state provate. È singolare il fatto, che a Pozzuoli, contemporaneamente al miracolo che avviene a Napoli, la pietra conservata nella chiesa di S. Gennaro, vicino alla Solfatara e che si crede sia il ceppo su cui il martire poggiò la testa per essere decapitato, diventa più rossa.
Pur essendo venuti tanti papi a Napoli in devoto omaggio e personalmente baciarono la teca lasciando doni, la Chiesa è bene ricordarlo, non si è mai pronunciata ufficialmente sul miracolo di s. Gennaro.
Papa Paolo VI nel 1966, in un discorso ad un gruppo di pellegrini partenopei, richiamò chiaramente il prodigio: "…come questo sangue che ribolle ad ogni festa, così la fede del popolo di Napoli possa ribollire, rifiorire ed affermarsi”.


I vescovi Usa chiedono aiuto a papa Francesco «Dal Sinodo giunga un vero sostegno alle famiglie»

di Lorenzo Bertocchi

«Mettere Dio al centro del proprio matrimonio e della famiglia». Secondo monsignor Joseph Kurtz, presidente della Conferenza episcopale degli Usa., questo è il messaggio fondamentale che i due patroni dell’Incontro mondiale di Philadelphia, san Giovanni Paolo II e santa Gianna Beretta Molla consegnano lke famiglie di tutto il mondo. Siamo a pochi giorni dall'Incontro Mondiale delle Famiglie e La Nuova Bussola Quotidiana ha invontrato monsignor Joseph Kurtz per chiedergli quale potrà essere il frutto di questo incontro, anche in vista del prossimo Sinodo di ottobre. Questi meeting sono stati pensati e voluti da san Giovanni Paolo II, il "Papa della famiglia” come lo ha definito papa Francesco, e si susseguono ogni tre anni a partire dal 1994. Philadelphia segue l'incontro mondiale di Milano 2012 ed è il primo che si realizza negli Stati Uniti. Si intitola "L'amore è la nostra missione: la famiglia pienamente viva”. 

Eccellenza, nella lettera di benvenuto dell’VIII Incontro mondiale delle Famiglie l’arcivescovo di Philadelphia, Joseph Chaput, ha scritto che «la gloria di uomini e donne è la loro capacità di amare come Dio ama – e non esiste mezzo migliore per insegnare l’amore della famiglia». Se la famiglia è in crisi, lo è anche Chiesa?

«La famiglia è il mattone fondamentale per la costruzione della Chiesa e della società. Quando la famiglia soffre, il mondo soffre. Le famiglie sono chiamate a essere la scuola domestica dove impariamo con più forza a ricevere e dare amore, a vivere con gentilezza in comunità, e a prenderci cura degli altri così come di noi stessi. I genitori che vivono un vincolo permanente, fedele e fecondo rendono presente in modo sensibile l'amore di Dio ai loro figli e la Chiesa ha il grande obbligo di affiancare le famiglie e accompagnarle in questo viaggio. Noi vogliamo assicurare loro non solo sacramenti prontamente disponibili, ma di camminare con fiducia ascoltando la parola di Dio e mettendola in pratica. Sono grato a papa Francesco per aver convocato un Sinodo diviso in due parti per concentrarsi su alcune sfide che le famiglie devono affrontare oggi, e per l'Incontro mondiale delle Famiglie che assicura alla Chiesa uno spazio abituale per celebrare gli aspetti buoni e forti della famiglia, e un modo per continuare a esaminare come possiamo migliorare».

I santi patroni dell’Incontro mondiale delle Famiglie sono san Giovanni Paolo II e santa Gianna Beretta Molla. Due straordinarie figure. Qual è il messaggio più importante che i due santi offrono alle famiglie del mondo?

«Questi due santi offrono un semplice, ma potente messaggio alle famiglie: mettete Dio al centro della vostra vita famigliare; tenete Lui al centro del vostro matrimonio. Il secondo messaggio deriva dal primo: famiglie, voi siete necessarie; il mondo ha bisogno di voi, e la Chiesa ha bisogno di voi. La vostra testimonianza è vitale; il vostro amore, l'ospitalità, e il sacrificio sono necessari. San Giovanni Paolo II ha sottolineato con insistenza che la missione della famiglia è "diventa ciò che sei”. E santa Gianna Beretta Molla, una moglie e madre che ha messo il Signore al primo posto e ha coraggiosamente testimoniato la santità di ogni vita umana, ha vissuto questa missione. Che esempio eccellente ed eroico per tutti noi!»

A suo avviso, quali saranno le maggiori sfide per il bene della famiglia al prossimo Sinodo a ottobre?

«In primo luogo, le famiglie di oggi hanno bisogno di sperimentare la fiducia e la speranza che nutriamo per loro, e che è un loro di diritto. Ci sono molti messaggi negativi che dissuadono le persone dallo sposarsi, dal credere di poter non solo fare una famiglia, ma anche farla crescere bene, e dal credere che i bambini sono un dono da accogliere e amare. La mia speranza per il Sinodo del prossimo mese e anche dopo, è che troveremo il modo di sostenere e mettere gli uomini e le donne nella condizione di seguire più pienamente Cristo e vivere la propria vocazione con coraggio. In secondo luogo, vi è anche un grande bisogno per noi di accompagnare coloro che sperimentano sofferenza, difficoltà e dolore. I vari documenti e le dichiarazioni del Sinodo dello scorso anno hanno evidenziato una serie di difficoltà che devono affrontare oggi le famiglie in tutto il mondo e altre le conosciamo dalle nostre esperienze quotidiane. Con il Cuore di Gesù, la Chiesa cerca di camminare con chi è nel bisogno».

 19/09/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

Quegli strani "suicidi" di cristiani nell'esercito egiziano

di Stefano Magni

L’esercito egiziano è in prima linea nella lotta alle milizie jihadiste, nel Sinai e al confine con la Libia. E’ purtroppo tornato alla ribalta nelle cronache di tutto il mondo anche per aver ucciso, per errore, dodici turisti messicani che facevano un giro nell’Egitto occidentale con i fuoristrada (e per questo sono stati scambiati per jihadisti). Ma capita che, all’interno dell’esercito e lontano dalle telecamere, i soldati di fede cristiana vengano assassinati dai loro ufficiali o dai loro commilitoni, se rifiutano di convertirsi all’islam. Questo volto oscuro dell’esercito arabo più potente e numeroso del Medio Oriente, è stato rivelato da Raymond Ibrahim, in una sua recente inchiesta (http://pjmedia.com/blog/in-egypt-muslim-soldiers-slaughtering-their-fellow-christian-platoon-mates/ ).

Raymond Ibrahim, autore di Crucified Again: Exposing Islam’s New War on Christians, parte da un caso di un omicidio nelle forze armate egiziane, avvenuto lo scorso 23 agosto. Baha Saeed Karam, 22 anni, cristiano copto, è stato ucciso con quattro colpi di arma da fuoco nella sede del comando del suo battaglione, a Marsa Matruh. Testimoni che lo conoscevano, fra cui il fratello Cirillo, raccontano di come confidasse di subire pressioni dai commilitoni, per motivi religiosi. Aveva già ricevuto minacce di morte, prima del suo assassinio, perché non voleva convertirsi all’islam. Ibrahim risale appena allo scorso 24 giugno per trovare un caso di "suicidio” (ufficialmente dichiarato tale dalle autorità), di un altro soldato cristiano, Bahaa Gamal Mikhail Silvanus, 23 anni, trovato morto con due colpi alla testa. Un suicida difficilmente può spararsi due volte in testa. E chi lo conosceva, come padre Mikhail Shenouda, lo descrive come una persona serena, amante della vita e desideroso di entrare nella vita monastica dopo il suo servizio militare. Anche in questo caso, amici della vittima testimoniano di come abbia subito pressioni affinché si convertisse all’islam, fino alle minacce esplicite di morte. Ibrahim ricorda un altro caso di "suicidio” del 31 agosto 2013, quando Abu al-Khair Atta è stato trovato morto nella sua base. A suo padre, però, la vittima aveva riferito le pressioni subite da un suo ufficiale, che lo voleva convertire a tutti i costi all’islam. E ancora: Guirgus Rizq Yusif al-Maqar, 20 anni, ufficialmente morto per cause naturali il 18 settembre 2006, ma con il corpo pieno di contusioni da percosse. Anche in quel caso, un suo commilitone testimonia che il militare copto fosse "sistematicamente” insultato, umiliato, picchiato, anche ai testicoli, semplicemente perché cristiano. Un mese prima, il corpo senza vita di un altro soldato cristiano copto, Hani Seraphim, veniva trovato nel Nilo. Prima di morire aveva confidato alla sua famiglia di aver subito pressioni e minacce esplicite dal suo comandante di unità, perché non voleva convertirsi.

I casi ricordati da Raymond Ibrahim sono sorprendenti per due motivi. Prima di tutto perché sono coppie di omicidi ravvicinati fra loro, ma distribuiti in un arco di tempo molto ampio (dal 2006 al 2015), il ché suggerisce che potrebbero essere molto più numerosi. Di una morte misteriosa si parla, soprattutto, quando c’è stato un altro caso simile poche settimane o pochi mesi prima, altrimenti tende a non essere notato. Di Guirgus Rizq Yusif al-Maqar si è parlato, dunque, perché due settimane prima era stato ritrovato il corpo di Seraphim. In questo mese, si parla di Baha Saeed Karam, perché solo due mesi fa c’è stato un altro caso di copto "suicidato”. Ma quanti Baha Saeed Karam sono stati uccisi nei mesi e negli anni scorsi, nel segreto di una caserma e sotto il silenzio delle autorità? Il problema è che i racconti dei parenti o degli amici delle vittime, sembrano suggerire una certa sistematicità nel tentare di convertire i cristiani reclutati nelle forze armate, con le buone o con le cattive. Il secondo aspetto sorprendente dell’inchiesta di Ibrahim è la mancanza di correlazione fra questi delitti e il periodo in cui i Fratelli Musulmani erano al potere. Il breve periodo post-rivoluzionario e quello della presidenza Morsi (dunque dal 2011 al 2013) è coinciso, in tutto il paese, fra i civili e i militari, con la peggior persecuzione dei cristiani: pogrom, omicidi, attentati, chiese bruciate in tutto il paese. I casi citati da Ibrahim avvengono, invece, nei periodi più "laici” della storia recente egiziana: nel 2006 era ancora al potere Hosni Moubarak, nell’estate del 2013 stava esordendo il regime del generale Al Sisi e i casi più recenti dell’estate scorsa coincidono con la lotta dell’esercito regolare contro gli jihadisti.

Queste violenze non sembrano nemmeno essere causate da un’infiltrazione politica dei Fratelli Musulmani nell’esercito. Un allarme in questo senso era stato lanciato dai media egiziani e arabi nel marzo del 2013, quando le forze armate, per la prima volta, avevano accettato nei loro ranghi i parenti di militanti della Fratellanza. Anche l’accademia militare aveva aperto le porte ad aspiranti ufficiali con un background islamista. Fra cui il figlio dell’allora presidente Morsi. Con la presa del potere di Al Sisi, questa scalata alle forze di sicurezza si è interrotta. La finestra di opportunità per gli islamisti è dunque rimasta aperta solo per pochi mesi del 2013. Non si spiega con la loro presenza nei ranghi dell’esercito, dunque, questa sequenza di omicidi di cristiani, a partire dal 2006. Il problema potrebbe essere proprio quello che il politicamente corretto impone di non dire: quando la maggioranza è costituita da musulmani, le minoranze tendono a estinguersi. Raymond Ibrahim è convinto che la causa sia il retaggio della tradizionale legge di sottomissione (dhimmi), in base alla quale i non musulmani non avevano il diritto di portare armi, oltre a tante altre restrizioni delle loro libertà.

19/09/2015 fonte: La nuova Bussola quotidiana

Come abbiamo bloccato il suicidio assistito? Facendo parlare i malati come me e mostrando i dati




Dopo quattro tentativi ripetuti negli ultimi nove anni, con cui i fautori della legge sul suicidio assistito hanno cercato di legalizzare la morte procurata in Gran Bretagna, a sorpresa il fronte pro life ha vinto ancora. Venerdì 11 settembre, la Camera dei Comuni a grande maggioranza ha votato contro il disegno di legge: 330 i voti contrari, 118 i favorevoli. Fra le voci fondamentali che hanno contribuito al buon esito della battaglia c’è quella della baronessa Jane Campbell, membro indipendente della Camera dei Lord e affetta da atrofia muscolare. Già nel 2009 Campbell convinse il parlamento inglese a respingere il ddl che avrebbe permesso di aiutare i malati a viaggiare verso paesi dove l’eutanasia è legale.
Baronessa, com’è possibile che la legge, già approvata in prima lettura il 24 giugno scorso, sia stata respinta a grande maggioranza?
È incredibile, sinceramente non ce lo aspettavamo. Pensavamo a un numero di favorevoli pari a quello di chi si è invece opposto alla norma.
Cosa è accaduto? Come spiega la vostra vittoria?
La cosa fondamentale è stata la voce di circa venti disabili fra cui persone che, come me, sono affette da malattie degenerative. Siamo intervenuti nel dibattito smentendo i luoghi comuni che ci dipingono come gente disperata. Abbiamo poi presentato tutti i rischi della legislazione mostrando come norme estere simili a quella introdotta al parlamento inglese spingano i malati a sentirsi di peso e a chiedere l’eutanasia come via d’uscita normale al dolore e a una società che li rifiuta. Tutto ciò ha fatto crescere la consapevolezza dei parlamentari che, messi di fronte alle cifre delle morti procurate laddove il suicidio assistito è legale, e a persone come me, non si sono sentite di votare a favore di un provvedimento simile: «Se approvate la norma – abbiamo ripetuto – metterete in pericolo mortale tutta la società e, invece che aiutare le persone in difficoltà, le spingerete alla disperazione».
Lei che argomentazioni ha portato?
Ho raccontato la mia storia e il mio amore alla vita. E, come gli altri malati intervenuti, ho spiegato che viviamo vite ordinarie e che tutto dipende dal sostegno e dall’amore che riceviamo. Questo è vero per tutti, la vita è degna e bella se c’è chi ci ama, ma per un malato è più evidente. Al contrario, chiunque è indotto alla disperazione se lo Stato o la famiglia mettono in dubbio che la sua vita sia sempre degna di essere vissuta. La tragedia si consuma quando le persone non credono in noi. Ecco, credo che la voce della nostra esperienza abbia cambiato tutto il dibattito. Le persone in buona fede o confuse hanno capito.

 La norma è stata scritta sul modello di quella approvata in Oregon nel 1997, per cui il richiedente deve essere maggiorenne, mentalmente abile e malato terminale. Come li avete convinti che si sarebbe passati all’omicidio di disabili, anziani o bambini?
Abbiamo spiegato ai parlamentari che tutte le leggi sulla morte procurata inizialmente contemplata per i soli terminali sono arrivate a coinvolgere le categorie di persone che lei cita. Non c’è un freno quando si decide che la vita è disponibile. Inoltre, ha aiutato il fatto che l’Associazione dei medici britannici, il Royal College dei medici, il Royal College dei medici di famiglia, l’Associazione per le cure palliative e la società geriatrica britannica si siano espresse tutte contro il ddl. Anche fra le associazioni di pazienti affetti dal cancro l’opposizione è stata unanime: tutte hanno dichiarato che la norma era pericolosa.
Si aspetta un’altra proposta di legge simile?
Sì, ma non credo si presenteranno prima di qualche anno. Tutto dipenderà da quanto disabili e malati saranno aiutati e sostenuti.
Sono noti gli scandali relativi alle persone incapaci di esprimersi uccise dal personale ospedaliero all’insaputa dei parenti e nonostante l’eutanasia sia illegale. Il problema del paese, dunque, è più morale o legale?
Lo scandalo delle morti procurate senza consenso ha contribuito a destare le coscienze. Quando poi abbiamo spiegato in aula che, anziché combattere per l’omicidio, bisogna far sì che un paziente sia amato e sostenuto, i parlamentari si sono smossi fino al rifiuto della legge: «Fate il possibile affinché la legge e il sistema assicurino l’aiuto ai malati e vedrete che sarà molto più difficile sentire invocare la morte». Ci hanno ascoltato.


19/09/2015 fonte: Tempi.it

Francia. Alla maggioranza dei francesi non piace più la legge sul matrimonio gay
Sono passati solo due anni, ma la maggioranza dei francesi si è già stancata del matrimonio gay. È questo il risultato di un sondaggio dell’autorevole Ifop, commissionato da Frigide Barjot, i cui risultati sono stati diffusi in anteprima da Valeurs Actuelles. L’ex leader della Manif pour tous si era staccata dal movimento dopo essersi dichiarata favorevole alle unioni civili e aveva fondato il gruppo L’Avenir pour tous.
MATRIMONIO GAY. La cosiddetta legge Taubira, fortemente voluta dal presidente socialista François Hollande, è stata approvata nel 2013. Ma il 54 per cento dei francesi non la vuole più, soprattutto adesso che è stata integrata con l’utero in affitto.

 RISULTATI DEL SONDAGGIO. Infatti, solo il 46 per cento dei francesi si è detto favorevole a «conservare la legge Taubira sul matrimonio e l’adozione per le coppie omosessuali con riconoscimento allo stato civile dei bambini nati all’estero con l’aiuto di una madre surrogata o con l’inseminazione artificiale», come è adesso.
ABROGAZIONE O UNIONI CIVILI. Tra coloro che non vogliono più il matrimonio gay, il 22 per cento ha chiesto «l’abrogazione pura e semplice della legge», mentre il 32 per cento ha proposto di trasformare il matrimonio in unione civile «senza il diritto all’adozione piena».


19/09/2015 fonte: tempi.it

IL SANTO DEL GIORNO 28/7/2015 Santi Nazzario e Celsio Martiri


San Nazaro, cittadino romano, discepolo di San Pietro, fu battezzato da S. Lino non ancora Papa, incontrò per questo, la disgrazia del di lui padre, di religione Ebreo, e dell’imperatore Nerone persecutore dei Cristiani, per esimersi dalla malignità dell’uno e dell’altro, uscì Nazaro da Roma, e, predicando Gesù Cristo, traversate alcune città lombarde, entrò in Piacenza, portossi indi a Milano: ivi trovò, per fede carcerati i santi fratelli Gervasio e Protasio, ed amorosamente confortatali, li animò a soffrire coraggiosamente il martirio. Di questo fatto informato, il Prefetto Romano condannò Nazaro alla frusta e all’esilio. Volse allora Nazaro alla Francia seguitando a predicare in ogni luogo la fede in Gesù Cristo". 

Arrivato in Francia, da una cospicua Matrona gli fu presentato un assai grazioso fanciullo di nove anni. E fu pregato a volerlo avviare nella legge e religione da lui predicata. Con lieta cortesia accettò Nazaro il presentato infante, e dopo la conveniente istruzione, lo battezzò imponendogli il nome di Celso. E trovata angelica la indole del suo allievo, lo dichiarò compagno del suo apostolato, sebbene ancora non fosse uscito da puerizia. Non furono li Santi senza incontri in quella città. Infieriva in quel tempo in Roma e nelle province dell’impero, la dichiarata persecuzione di Nerone ed i Ss. Nazaro e Celso, stretti di catene il collo, furono imprigionati. Atterrita da tristo sogno, la moglie di Prefetto romano, ne ottenne la liberazione. Simile avventura provarono in Treviri dove molto fruttuosa riusciva la loro predicazione. Gran numero di quelli cittadini ricevevano il Battesimo, per tale motivo irritato quel prefetto fece arrestare li due Santi. Imprigionò Nazaro e consegno Celso ad una donna pagana, acciò lo conducesse all’idolatria; ma non riuscì essa all’intento. Non si mosse Celso per carezze, né per schiaffi, né per sferzate dal santo proposito. Invocando Gesù Cristo, mai cessò da piangere fin che fu riunito a Nazaro suo maestro. Nazaro intanto fu indarno tentato a rinunciare alla religione cristiana dal quel prefetto; ma perché cittadino Romano non fu tormentato nella persona, stretto in catene, fu con il suo allievo spedito a Nerone a Roma. 
Ivi, come era successo in Treviri, Celso fu separato dal suo maestro e tentato di rinunziare a Gesù Cristo restò sempre fermo nella fede, e con animo virile sopportò ogni tormento e minacciò al prefetto: "Dio a cui servo ti giudicherà" né mai potè acquietarsi privo del suo maestro. Per comando di Nerone fu Nazaro strascinato nel tempio di Giove con la intenzione di sacrificare a quel falso nume sotto pena di morte. Non si sgomentò per questo, entrato egli nel tempio caddero tosto a terra infranti quegli idoli tutti. Si vide Nazaro tutto splendente di luce celeste e comparve vero apostolo di Gesù Cristo. Conosciuta Nerone la ferma risoluzione delli Santi ordinò che fossero ambidue gittati in mare. Scortati perciò a Civitavecchia, rinchiusi furono in una appostata barca ed avviata questa in alto, li nostri Santi furono sommersi in mare. Non erano ancora in allora compiuti i disegni di Dio, a questi la Divina Provvidenza, (a noi genovesi mai sempre propizia, e benefica) li riservava, fu quindi risparmiata la corona del martirio tanto desiderata. Una subita tempesta di mare minacciava di assorbire la barca colla quale erano stati precipitati i Santi, mentre essi andavano a piedi asciutti passeggiando sulle onde del mare in placida calma. Spaventati del temuto naufragio li marinari esecutori del tirrenico decreto di Nerone, ed illuminati dalla prodigiosa situazione dei Santi conobbero il loro fallo risolvettero di riceverli di nuovo in barca e dopo breve preghiera delli medesimi videro il mare in subita bonaccia. Da tali prodigi persuasi quei marinari della santità delle persone da loro oltraggiate, e della religione da essi predicata, chiesero ed ottennero dai Santi istruzione e Battesimo. Dopo tali avvenimenti quei novelli cristiani non si azzardavano ritornare a Nerone, e pieni della speranza in Dio, confortati della compagnia dei Santi abbandonarono le vele alla direzione della Provvidenza. Prosperamente navigando entrato nel nostro mare il fortunato naviglio volse la prora verso Genova città allora libera e alleata col Romano Impero. Distanti ancora da quelle mura 600 incirca passi videro sopra una delle colline di Albaro un tempio e una torre con intorno un’area circondata da macerie. Qui per ispirazione divina approdarono i Santi ed atterrati gli idoli che ritrovarono in quel tempio, consacrato alla falsa deità delli loro morti, cominciarono a predicare la fede in Gesù Cristo con felice riuscimento e senza veruno incontro, battezzarono quanti si convertirono; vi celebrarono il Divino Sacrificio e diedero così ad Albaro il vanto di essere la prima terra, non solo del Genovesato, ma di tutta la Italia, dove si è palesemente predicata e ricevuta la fede di Cristo, e dove è stata celebrata la prima Messa quietamente. Da Albao passarono a predicare in Genova, dove in pochi giorni videro ricevuta e radicata la santa nostra religione, che per grazia particolare dell’Altissimo da poco meno di secoli diciotto conserviamo purissima, mai turbata dalla eresia, né mai amareggiata per sangue sparso da’ martiri della nostra terra. Compiuto con tanta felicità e frutto il loro apostolato in Genova, passarono i nostri Santi a Milano, premuroso Nazaro delli sovra lodati Gervasio e Protasio ivi tutt’ora in catene, di vieppiù fortificarli a soffrire per la fede di Gesù Cristo. Reggeva in allora quella Provincia a nome del crudele Nerone, il crudelissimo Antolino nella qualità di Prefetto. Inteso questo dell’operare dei Santi (che mai cessarono di predicare Gesù Cristo) li fece imprigionare, e trovati inutili quanti seppe trovare, li tentativi, e tormenti, li condannò l’uno e l’altro ad essere decapitati. Fregente e glorioso retaggio dell’Apostolato; e fuori della porta Romana fu eseguita l’empia condanna nel luogo allora detto "le tre muraglie" nell’anno di nostra salute 76. … Informati del glorioso martirio delli suddetti loro Santi Apostoli seguito in Milano, sul terminare del primo secolo, memori de’ benefici da loro ricevuti eressero a loro nome un tempio in distanza dalla prememorata torre di passi circa 60, luogo dove approdato avevano li Santi".



Card. Rylko: Gmg di Cracovia sarà Giubileo dei giovani



"La Gmg di Cracovia sarà un vero e proprio Giubileo dei giovani a livello mondiale”. E’ quanto scrive il card. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, in un messaggio ad un anno dalla Giornata Mondiale della Gioventù, la seconda in Polonia dopo quella del 1991 celebrata a Częstochowa. A Cracovia, sottolinea il porporato, "i giovani saranno chiamati a riflettere sul tema della ‘misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede’”. Da Cracovia, soggiunge, "dovrà diffondersi nel mondo intero il messaggio, carico di speranza, dell’amore misericordioso di Dio per ogni uomo della terra”. Centro spirituale di questo Giubileo dei Giovani, scrive il card. Rylko, "sarà il Santuario della Divina Misericordia e di Santa Faustina Kowalska, Apostola della Divina Misericordia, inaugurato da San Giovanni Paolo II nel 2002”.
Riconciliazione e misericordia al centro della Gmg
Nel Santuario, evidenzia, "sarà allestito anche un grande ‘Centro della misericordia’ con numerosi confessionali dove i giovani avranno la possibilità di accostarsi al sacramento della riconciliazione in diverse lingue”. Anche nella Gmg di Cracovia, nel luogo del grande raduno conclusivo dei giovani denominato Campus Misericordiae, informa il porporato polacco, "sarà allestita una simbolica Porta Santa, quale segno visibile del carattere giubilare dell’evento”. Francesco, accompagnato da alcuni giovani, varcherà questa Porta all’inizio della Veglia di preghiera di sabato 30 luglio, veglia che culminerà con l’adorazione eucaristica. Infine, domenica 31 luglio, dopo l’Eucaristia, il Papa consegnerà a cinque coppie di giovani dei cinque continenti delle lampade accese, simbolo del fuoco della misericordia portato da Cristo, e invierà i giovani in tutto il mondo come testimoni e missionari della Divina Misericordia. (A.G.)

28/7/2015 fonte: Radio Vaticana

L’aborto vien dal cielo. L’ultima follia femminista: droni che sganciano pillole che uccidono il feto

di Tommaso Scandroglio

Una vera manna dal cielo, penseranno gli abortisti. E l’immagine non è più di tanto figurata. Si tratta della nuova iniziativa del gruppo femminista-abortista Women on Waves. Usare droni per recapitare pillole abortive in quelle nazioni dove è illegale il commercio. Il via a questo sorvolo abortivo è iniziato lo scorso 27 giugno sul confine tra Germania e Polonia. Il drone è stato caricato a Francoforte sull’Oder con alcune bombe abortive (due confezioni di pillole a base di mifepristone e misoprostol) e queste sono state sganciate a Slubice in Polonia. Solo un breve volo tanto per superare il fiume che divide le due nazioni. 

Ancora una volta la guerra è iniziata con l’invasione della Polonia da parte della Germania. La storia si ripete. I poliziotti tedeschi hanno cercato di intervenire, ma i piloti sono stati più bravi ad evitare la contraerea pro-life. Però sono riusciti a sequestrare tutta l’apparecchiatura e i piloti sono stati denunciati. Appena mollato il suo carico di morte, due donne polacche – che avevano commissionato le pillole sul web – le hanno subito inghiottite.  Sul sito di Women on Waves si legge: «alle donne in Polonia viene negata la possibilità di trarre vantaggio dai progressi scientifici in quanto l'aborto chimico, uno dei farmaci essenziali dell'Oms Wold, non è registrato in Polonia». Hanno poi aggiunto che questa idea dell’aborto volante è «un miracolo venuto dal cielo». La dottoressa Rebecca Gomperts, fondatrice e direttrice di questa ong, ha dichiarato al quotidiano inglese The Telegraph: «Penso che sia estremamente importante perché in Europa c’è troppa disuguaglianza nel modo in cui vengono rispettati i diritti delle donne. (…) Non possiamo smettere di sottolineare la mancanza di accesso sicuro all’aborto e di pillole per abortire. Si tratta di una violazione dei diritti delle donne».

Women on Waves ha portato a termine questo progetto insieme ad altre organizzazioni pro-choice polacche e di altre Paesi: Ciocia Basia, Feminoteka Foundation, Porozumienie kobiet 8 marca, Berlin-Irish Pro Choice Solidarity, Codziennik Feministyczny e Political group Twoj Ruch. Women on Waves – Donne sulle Onde – si è scelta questo nome non a caso. Da moltissimi anni queste signore e signorine si recano con un’imbarcazione battente bandiera dei Paesi Bassi di fronte alle coste dei quei Paesi in cui l’aborto è vietato o subisce alcuni limiti. Mettendosi in acque internazionali vige sui loro ponti la legislazione dei Paesi Bassi e quindi possono praticare aborti a danno di quelle donne a cui è vietato l’aborto in tutto o in parte nelle nazioni in cui loro vivono. Una volta ricevute a bordo, il gioco è fatto ed è tutto (forse) legale. Quando si dice che la lotta contro l’aborto è in alto mare.

Ora l’offensiva si è allargata dal mare al cielo. Tutti con il naso all’insù in Polonia per scorgere i bombardieri dell’aborto. E sì, perché a questo primo lancio ne seguiranno degli altri. L’aborto al volo che vien dal cielo spiega plasticamente cosa sia il confine ultimo dell’aggressione abortista. L’aborto deve piovere dal cielo come un desiderio espresso nella notte di San Lorenzo e che poi si avvera. Le leggi e leggine che vogliono mettere qualche granello di sabbia nei rotori dei droni devono essere bellamente sorvolate, è proprio il caso di dirlo.

 28/7/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

Quel padre della tabaccaia di Asti capace di perdono

di Angelo Busetto

Mi capita ancora di incrociare quella mamma; e ancora sempre la donna non risponde al mio tentativo di saluto. È accaduto una ventina di anni fa. Sua figlia era stata uccisa dal fidanzato e solo dopo molti giorni se ne scoprì il corpo e si svelò il colpevole. In questo angoscioso intervallo di tempo avevo visitato più volte la famiglia della ragazza. Dopo la scoperta, manifestai il desiderio di prendere contatto con il giovane assassino in prigione. Tanto bastò per inimicarmi duramente tutta la famiglia.

Ho bene sperimentato molte volte come la morte di un figlio sia il dolore più grande che possa colpire un padre e una madre. Da queste tragiche circostanze ho visto spesso fiorire una fede intensa e un rapporto vivace con la realtà della Chiesa. In altri casi la disperazione ha scavato un abisso invalicabile: si sono indurite le facce dei genitori e si sono sbilanciati tutti i rapporti. Per questo, ogni volta mi sorprende ancor più la notizia del perdono dato agli assassini da parte dei familiari della persona uccisa. In questo caso però non si tratta solo del perdono, ma della collaborazione attiva al bene dell’altro: il padre della tabaccaia di Asti uccisa si è detto disposto ad aiutare la figlia dell'assassino di sua figlia, affetta da una malattia genetica. 

Dicono le cronache che sia la tabaccaia che i suoi genitori vivono in un bel contesto cristiano. E non c’è gesto più cristiano di chi fa del bene a chi gli ha fatto del male. Dice Gesù nel Vangelo: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono…» (Lc 6,27). É la diversità cristiana: «Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso». (Lc 6, 32). Una novità possibile a chi ha fede: «Tutto è possibile a chi crede» (Mc 9,23). 

Quando la grazia di Dio incontra la nostra disponibilità, allora l’umano fiorisce e il cristianesimo rivela tutta la sua efficacia. Ma, nel deserto del nostro mondo, ha ancora buon gioco la fede? Nella partita della vita fatta di lotte, di conquiste e di sconfitte, è ancora possibile non rimanere rinchiusi nel sentimento di vendetta, di rappresaglia, o semplicemente di "giustizia”? Quando, a conclusione di procedimenti giudiziari complessi e spesso annosi, si arriva alla "giusta” condanna dei colpevoli, è ben magra la "soddisfazione” che se ne trae. La minaccia della pena potrà servire come deterrente per chi è tentato di fare il male e per chi compie azioni pericolose al prossimo. Ma lo spirito di vendetta o peggio la rappresaglia corrono sulla stessa china del male già fatto e lo amplificano: insieme con la vita della persona uccisa si spegne quella di altri, familiari e amici. 

La misericordia invece e il soccorso a chi (ci) fa del male compiono il miracolo della risurrezione: colui che perdona rialza il capo e trova nuove energie di vita. A volte cambia anche il cuore dell’assassino e di quanti gli stanno attorno. C’è una sorgente di vita nel cristianesimo, un fattore attivo di nuova umanità. Nel gesto decisivo e discreto del papà della tabaccaia uccisa, riscontriamo già un inizio del cambiamento del mondo e una speranza per tutti.  

28/7/2015 fonte: La nuova bussola Quotidiana

«Se continuate ad adorare il vostro Dio qui, vi uccideremo tutti»

di  Leone Grotti
Il 2 aprile Al-Shabaab ha massacrato in Kenya 147 studenti cristiani a Garissa e minacciato tutti gli altri. Che però continuano a frequentare le Messe, nonostante il pericolo

«Se continuate ad adorare il vostro Dio qui, vi uccideremo tutti». La minaccia rivolta dai terroristi islamici di Al-Shabaab ai cristiani di Garissa è di quelle da prendere sul serio. Il 2 aprile, infatti, i jihadisti hanno massacrato nel campus universitario della città kenyota 147 cristiani. E nessuno dubita che potrebbero ripetersi.
«LA MIA CATTEDRALE». A Garissa, però, i cristiani hanno deciso di non disertare la Messa. Patrick Gitau continua a recarsi nella cattedrale della città, Nostra Signora della consolazione, come tutte le domeniche. Dei pericoli che corre, non gli importa: «Ogni domenica vengo qui nella mia cattedrale», dichiara alla Cnn. «Sono stato battezzato in questa chiesa, non potrei che venire qui».
«PUOI MORIRE IN OGNI MOMENTO». La scelta è coraggiosa. Anche se la cattedrale è circondata ormai dall’esercito, tutti sanno che qualche soldato non potrà fermare i jihadisti. Ecco perché Esther, madre di tre bambini, ha scelto di lasciare la città per andare a vivere al di là del fiume: «È per colpa di Al-Shabaab che me ne sono andata da Garissa. Puoi essere ucciso in ogni momento, anche mentre cammini per strada. A casa non sei al sicuro, possono sempre sbucare fuori dalla boscaglia».

 «DIO NON CI ABBANDONA». Dopo l’attacco all’università, l’ateneo si è svuotato. E non solo quello: «Prima dell’attentato, venivano nella nostra scuola 460 studenti. Dopo, solo 300. Gli altri se ne sono andati dalla città o sono troppo spaventati per tornare a scuola». Per monsignor Joseph Alessandro, vescovo di Garissa, non è certo un momento facile, come non lo è per i fedeli, che però affollano sempre la chiesa: «Siamo gente di Dio, gente di fede», spiega il vescovo. «Dio non ci abbandona mai, neanche quando sembra che ci abbia lasciati soli. Ci sono momenti in cui Dio è veramente vicino a noi, anche se non lo sentiamo».
DOVERE DI RESTARE. Monsignor Alessandro, originario di Malta, è arrivato in Kenya negli anni ’90. Dopo neanche tre anni, è stato costretto a tornare in patria a curarsi, visto che dei miliziani islamici gli avevano sparato. Cinque anni fa, però, ha deciso di tornare e non ha intenzione di andarsene: «Non è questione di scelta, rimanere qui è il nostro dovere. Nel momento in cui veniamo ordinati vescovi, dobbiamo restare, a prescindere da quello che accade. Finché rimane anche un solo cattolico, il mio dovere è di restare qui».
SE PUOI ANDARE A LAVORARE. Il governo abbia aumentato la sicurezza a Garissa, cercando di proteggere congregazioni e chiese, ma il pericolo è ancora alto. Suor Evelyn Ingoshe non sembra essere preoccupata: «Sapevo che venire in questa zona del paese, per un non musulmano, è pericoloso ma ho seguito il mio cuore e fatto ciò che volevo fare». Ha prestato servizio anche a Mandera, nel nord-est del paese, dove sono frequenti gli attacchi contro i cristiani. «Per me, se puoi andare a lavorare, puoi anche andare in chiesa».


28/7/2015 fonte: Tempi,it

IL SANTO DEL GIORNO 07/07/2015 Beato Benedetto XI (Niccolò Boccasini) Papa



Treviso, la diocesi che dette alla Chiesa S. Pio X, è la patria di un altro papa, elevato agli onori degli altari: Benedetto XI. Come S. Pio X, anche Benedetto XI, per l'anagrafe Niccolò Boccasini, nato a Treviso nel 1240, proveniva da modestissima famiglia. Sua madre faceva la lavandaia nel vicino convento dei domenicani e questa sua mansione favorì l'ingresso del figlio nel giovane ordine di S. Domenico. Indossato l'abito religioso a diciassette anni, Niccolò completò gli studi a Milano. Ordinato sacerdote, fece ritorno a Treviso dove svolse il compito di insegnante nel proprio convento. Si distinse per mitezza di carattere, purezza di vita, umiltà e pietà. Eletto nel 1286 superiore provinciale della vasta regione lombarda, dieci anni dopo fu chiamato a succedere a Stefano di Besancon nella carica di generale dell'Ordine.
Poco dopo il Boccasini, figlio di un'umile lavandaia trevigiana, riuscì a realizzare una difficile tregua d'armi tra il re d'Inghilterra, Edoardo I, e il re di Francia, Filippo il Bello. Questa sua missione di pace, coronata dall'insperato successo, valse al generale dei domenicani il cappello cardinalizio, accordatogli da papa Bonifacio VIII, che intese con questa nomina premiare anche tutto l'ordine domenicano, per la sua adesione al pontefice. Il cardinale Boccasini era ad Anagni accanto a Bonifacio VIII quando questi venne colpito dallo schiaffo dell'emissario di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret.
Morto Bonifacio VIII, i cardinali, riuniti in conclave a Roma, il 22 ottobre 1303 gli diedero come successore proprio il cardinale Boccasini, uomo conciliante e il più indicato a mettere riparo all'increscioso conflitto tra il papato e il re di Francia. Il nuovo pontefice, che assunse il nome di Benedetto XI, rispose alle attese. Pur mostrandosi duro con l'esecutore materiale del sacrilego gesto (rinnovò la scomunica al Nogaret e a Sciarra Colonna), sciolse il re dalle censure in cui era incorso.
Benedetto XI alla residenza romana preferì quella di Perugia, per tenersi lontano dai tumulti e dalle insidie, e dedicarsi al pacifico governo della Chiesa. Ma anche qui pare sia stato raggiunto dall'odio dei suoi nemici: sentendosi venir meno dopo aver assaggiato un fico fresco, probabilmente iniettato di veleno, fece spalancare le porte del palazzo per concedere un'ultima udienza e benedizione ai fedeli. Tra gli atti del suo breve pontificato (22 ottobre 1303 - 7 luglio 1304), c'è il decreto che fa obbligo a ogni cristiano di confessarsi almeno una volta all'anno.


Guayaquil. Un milione di fedeli a Messa Papa: recuperare gioia della famiglia

Oltre un milione di fedeli ha partecipato alla Messa presieduta dal Papa nel Parco de Los Samanes a Guayaquil, in Ecuador, sull'Oceano Pacifico. Una grande e colorita manifestazione di affetto per il Pontefice argentino nella seconda giornata del suo viaggio apostolico in America Latina. Al centro dell’omelia, una intensa meditazione sulla famiglia, a partire dal Vangelo delle nozze di Cana proposto dalla liturgia. 
di Sergio Centofanti:

Le sofferenze della famiglia
Grande festa della gioia alla Messa di Guayaquil, incontenibile l’affetto dei fedeli, una folla oceanica. Papa Francesco nell’omelia lancia un forte appello alle tante realtà familiari ferite: recuperare la gioia in famiglia è possibile con l’aiuto di Maria. E’ quello che è successo alle nozze di Cana dove a un certo punto mancava il vino, segno di gioia e amore:
"Quanti nostri adolescenti e giovani percepiscono che nelle loro case ormai da tempo non c’è più questo vino! Quante donne sole e rattristate si domandano quando l’amore se n’è andato, quando l'amore è scivolato via dalla loro vita! Quanti anziani si sentono lasciati fuori dalle feste delle loro famiglie, abbandonati in un angolo e ormai senza il nutrimento dell’amore quotidiano dei loro figli, dei loro nipoti e pronipoti! La mancanza di vino può essere anche la conseguenza della mancanza di lavoro, delle malattie, delle situazioni problematiche che le nostre famiglie in tutto il mondo attraversano”.
Porre le nostre famiglie nelle mani di Dio
Maria è attenta a tutte queste situazioni: "è madre” premurosa e "si rivolge con fiducia a Gesù”, prega perché intervenga. Così, Maria anticipa "l’ora” di Dio:
"Lei ci insegna a porre le nostre famiglie nelle mani di Dio; ci insegna a pregare, alimentando la speranza che ci indica che le nostre preoccupazioni sono anche le preoccupazioni di Dio. E pregare ci fa sempre uscire dal recinto delle nostre preoccupazioni, ci fa andare oltre quello che ci fa soffrire, quello che ci agita o ci manca, e ci aiuta a metterci nei panni degli altri, a metterci nelle loro scarpe. La famiglia è una scuola dove il pregare ci ricorda anche che c’è un ‘noi’, che esiste un prossimo vicino, evidente, che vive sotto lo stesso tetto, che condivide con noi la vita e ha delle necessità”.
Famiglia è grande ricchezza sociale, servizi dello Stato non sono elemosina
Maria – osserva il Papa – ci mostra che "il servizio è il criterio del vero amore. E questo si impara specialmente nella famiglia, dove ci facciamo servitori per amore gli uni degli altri”. Quindi rilancia le tre parole che vanno imparate in famiglia: permesso, scusa, grazie. "Piccoli gesti” che "aiutano a costruire”, in particolare là dove è più forte la sofferenza. "La famiglia – ricorda Francesco - è l’ospedale più vicino, quando uno è malato è lì che lo curano ... la famiglia è la prima scuola dei bambini, il punto di riferimento imprescindibile per i giovani, è il miglior asilo per gli anziani”:
"La famiglia costituisce la grande ricchezza sociale, che altre istituzioni non possono sostituire, che dev’essere aiutata e potenziata, per non perdere mai il giusto senso dei servizi che la società presta ai cittadini. In effetti, questi servizi che la società presta ai cittadini non sono una forma di elemosina, ma un autentico ‘debito sociale’ nei confronti dell’istituzione familiare, che è la base e che tanto apporta al bene comune”.
Pregare per il Sinodo sulla famiglia
Molte volte – sottolinea il Papa – le realtà familiari non sono l’ideale. Anzi ci sono tante difficoltà. Di qui l’invito a pregare per il Sinodo del prossimo ottobre che cercherà di "trovare soluzioni e aiuti concreti” perché "persino quello che a noi sembra impuro" e ci scandalizza e spaventa, "Dio - facendolo passare attraverso la sua 'ora' – lo possa trasformare in miracolo. La famiglia oggi ha bisogno di questo miracolo!”.
Nella famiglia si deve avere il coraggio di amare
Il miracolo delle nozze di Cana è che "il vino migliore è quello che sta per essere bevuto, la realtà più amabile, profonda e bella per la famiglia deve ancora arrivare”:
"Il vino migliore è nella speranza, sta per venire per ogni persona che ha il coraggio di amare. E nella famiglia si deve avere il coraggio di amare, si deve avere il coraggio di amare! E il vino migliore sta per venire anche se tutte le possibili variabili e le statistiche dicono il contrario. Il vino migliore sta per venire per quelli che oggi vedono crollare tutto”.
Il miracolo di recuperare la gioia di vivere in famiglia
Dio – conclude il Papa – "si avvicina sempre alle periferie di coloro che sono rimasti senza vino, di quelli che hanno da bere solo lo scoraggiamento”. Se ci si affida a Lui, con l’aiuto di Maria, può avvenire il miracolo di "recuperare la gioia della famiglia, di vivere in famiglia”. 

07/07/2015 fonte: Radio Vaticana

Medjugorje. Parla Puljic, arcivescovo di Sarajevo: «La Chiesa non ha fretta»

 


Vinko Puljic, membro della commissione voluta nel 2010 da Benedetto XVI: «Abbiamo dato i risultati del lavoro alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ora si sta ancora studiando tutto»
medjugorje-bosnia-ansa
«La Chiesa non ha fretta di prendere decisioni rapide su Medjugorje, perché devono essere adottate con ponderatezza». Il cardinale arcivescovo di Sarajevo, Vinko Puljic, si esprime così a proposito di una presunta decisione imminente di papa Francesco circa il fenomeno delle apparizioni mariane, che da 34 anni coinvolgono sei veggenti del piccolo villaggio della Bosnia.
LA COMMISSIONE. Puljic è membro della commissione voluta nel 2010 da Benedetto XVI, presieduta dal cardinale Camillo Ruini, incaricata di vagliare i fatti. E pensa che i media abbiano «distorto e manipolato certe dichiarazioni». Il 6 giugno scorso, sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Bosnia-Erzegovina, papa Francesco ha risposto così a una domanda sull’esito dello studio elaborato dalla commissione Ruini: «Hanno fatto un bel lavoro, un bel lavoro. Il cardinale Muller (prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ndr), mi ha detto che aveva fatto una "feria quarta” (un’apposita riunione) in questi tempi… ma non sono sicuro. Siamo lì lì per prendere delle decisioni. Per il momento si danno soltanto alcuni orientamenti».
LE PAROLE DEL PAPA. Tre giorni dopo, nella predica della consueta Messa a Santa Marta, mettendo in guardia da una fede sensazionalista, il Papa ha dichiarato: «Ci sono anche quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana: hanno dimenticato che sono stati scelti, unti, che hanno la garanzia dello Spirito, e cercano: "Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna ci manderà alle 4 del pomeriggio?”. Per esempio, no? E vivono di questo. Ma questa non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente di più».
REAZIONI DELLA STAMPA. Dopo queste parole la stampa si era scatenata spiegando che, sulla base dello studio della commissione, la Congregazione per la dottrina della fede aveva già elaborato delle linee guida pastorali molto restrittive, per regolare gli afflussi a Medjugorje e gli eventi legati alle apparizioni e ai veggenti. Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, aveva poi precisato che non vi era ancora stata alcuna riunione della Congregazione per la dottrina della fede.

 «NON C’È FRETTA». Per l’arcivescovo di Sarajevo, dopo la consegna dei risultati del lavoro della commissione alla Congregazione per la dottrina della fede, «di nuovo si sta ancora studiando il tutto». «Poi i risultati saranno posti di fronte a papa Francesco e il Santo Padre darà la decisione finale», aggiunge. Non si sa quando questa decisione verrà comunicata e le previsioni dei media, secondo i quali si sarebbe dovuto esprimere il 25 o 26 giugno, si sono rivelate inesatte. Nel frattempo, come avviene da 34 anni, «l’Ordinario del luogo e il parroco locale assumeranno la cura delle attività pastorali, la celebrazione delle Sante Messe, l’amministrazione dei sacramenti, soprattutto, del sacramento della confessione, perché a Medjugorje tante persone si confessano. Ma la Chiesa non ha fretta di prendere decisioni rapide perché devono essere ponderate bene».
ASPETTARE IL PAPA. Per il momento, il cardinale Puljic su Medjugorje si limita a dire che «non è vietato pregare Dio, confessarsi, fare penitenza e aprirsi alla grazia di Dio e alla conversione». È pronto a «rispettare la posizione del Papa, che è valida per tutta la Chiesa». Di certo, non apprezza il lavoro fatto finora dai media: «Il Papa non ha la possibilità di dirigere i media. Essi, purtroppo, si comportano da tifosi, cercando solo quello che solletica le orecchie dei lettori al fine di vendere al meglio la propria notizia. Tendono ad usare le parole del Papa in modo parziale, interpretandole come fa comodo a loro. Mancano criteri morali a vari livelli. Io non sono chiamato a giudicare le parole del Santo Padre, ma ad accettarle. Questo non vale solo per me ma anche per tutta la Chiesa».

07/07/2015 fonte: Tempi.it


Il Papa in Ecuador: Solo Gesù brilla di luce propria
di Massimo Introvigne

Il 5 luglio 2015 Papa Francesco è arrivato in Ecuador, prima tappa del suo viaggio apostolico più lungo, che continuerà in Bolivia e Paraguay. All'inizio di un viaggio che lo porterà a incontrare diverse personalità forti, leader politici autoritari e figure controverse il Papa ha voluto ricordare che, nella Chiesa e nella società, «solo Gesù brilla di luce propria». Ha anche sottolineato - in un Paese bellissimo - che la capacità di stupirsi di fronte alla bellezza permette a un cristiano di essere veramente tale.

Francesco nella cerimonia di benvenuto con le autorità del Paese ha ricordato i molti legami che gli rendono cara «la bella terra dell'Ecuador», visitata più volte quando era arcivescovo di Buenos Aires. Il Papa ha confidato di essere sempre rimasto impressionato dal fatto che in Ecuador si trova «il punto più vicino allo spazio esterno del mondo»: la punta del Monte Chimborazo, nelle Ande, è infatti sulla Terra «il punto più vicino al sole, alla luna e alle stelle».

Ma ancora più importante, ha detto il Pontefice, è il carattere profondamente cattolico del Paese. La fede cattolica ha «per secoli plasmato l’identità» della nazione e in un Paese relativamente piccolo sono fioriti diversi santi. Francesco ha citato santa Marianna di Gesù, patrona dell'Ecuador, che nel XVII secolo visse una vita di preghiera e penitenza nel Terz'Ordine Francescano; san Michele Febres, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, difensore della libertà d'insegnamento contro le persecuzioni laiciste dei secoli XIX e XX; santa Narcisa di Gesù, che nel XIX secolo emulò Marianna di Gesù fra le Terziarie Domenicane; e Mercedes di Gesù Molina, beatificata a  Guayaquil da san Giovanni Paolo II durante la sua visita in Ecuador trent'anni fa. Santa Mercedes fondò nel 1873 l'ordine di suore che porta il nome di santa Marianna di Gesù, particolarmente dedito a strappare le giovani donne dell'Ecuador alla prostituzione.

Come per ogni altra nazione, è importante che la memoria storica non rimanga solo un ricordo del passato. Anche oggi «possiamo trovare nel Vangelo le chiavi che ci permettono di affrontare le sfide attuali, apprezzando le differenze, promuovendo il dialogo e la partecipazione senza esclusioni, affinché i passi avanti in progresso e sviluppo che si stanno ottenendo garantiscano un futuro migliore per tutti, riservando una speciale attenzione ai nostri fratelli più fragili e alle minoranze più vulnerabili».

«Noi cristiani - ha aggiunto Francesco - paragoniamo Gesù Cristo con il sole, e la luna con la Chiesa» e con ciascuno dei suoi membri, anche i più eminenti. Ma «la luna non ha luce propria e se la luna si nasconde dal sole diventa buia». «Il sole è Gesù Cristo», e se la Chiesa «si allontana o si nasconde da Gesù Cristo diventa oscura e non dà testimonianza». 

Lo stesso vale per i cristiani. Voi potete brillare, ha detto il Papa alle autorità e al popolo dell'Ecuador, solo se non perdete  «la capacità di rendere grazie a Dio per quello che ha fatto e fa per voi; la capacità di difendere il piccolo e il semplice, di aver cura dei vostri bambini e anziani, di avere fiducia nella gioventù». E anche «di provare meraviglia per la nobiltà della vostra gente e la bellezza singolare del vostro Paese».

07/07/2015 fonte: La nuova BQ

Il family day diventa permanente
Pubblichiamo il comunicato del Comitato difendiamo i nostri figli – Il comitato "Difendiamo i nostri figli” che ha organizzato il grande family day del 20 giugno 2015 si struttura in modo permanente e diventa una realtà permanente per fare formazione sul piano culturale e battersi sul piano politico per riaffermare i diritti dei bambini e fermare la deriva gender nel nostro Paese. Inizia ora la fase costituente per allargare la partecipazione ad altri soggetti associativi e lavorare sul territorio.
Forte delle centinaia di migliaia di visi e di occhi incontrati, delle mani strette, degli abbracci bagnati dalla pioggia il 20 giugno scorso, il Comitato Difendiamo i nostri figli, che era nato al solo scopo di organizzare la manifestazione di Piazza San Giovanni, ha deciso che, lasciato l’evento alle spalle, non può sciogliersi, pur avendo raggiunto e abbondantemente superato l’obiettivo che si era dato. Quasi un miracolo si è compiuto davanti ai nostri occhi. Proprio per quella piazza che ancora abbiamo tutti nel cuore, noi che l’abbiamo organizzata e quelli che l’hanno generosamente riempita, abbiamo capito che non possiamo lasciare da sole le famiglie che chiedono aiuto, consapevoli della grande partita culturale che si sta giocando sulle teste dei loro figli.
Il Comitato dunque diventa permanente, con lo scopo di mantenere alta l’attenzione pubblica sui temi della educazione dei figli, della difesa dei loro diritti – prima di tutto quello a crescere in una famiglia con un padre e una madre; con lo scopo di diffondere cultura e consapevolezza; soprattutto di affiancare i genitori, i primi responsabili dell’educazione dei figli, perché sappiano dove informarsi e come muoversi se percepiscono che, per esempio a scuola, i loro ragazzi sono fatti oggetto di un indottrinamento nell’ideologia gender. Sono i genitori l’avamposto della nostra battaglia culturale, che cercherà di giocare le sue carte anche tenendo alta l’attenzione sui politici, sapendo però che è nelle case che si svolge la resistenza più importante.

 Il Comitato, pur avendo una struttura necessariamente ristretta per poter essere operativo, ha deciso di aprirsi al contributo di altri: movimenti, associazioni, spiritualità, singoli che vogliano dare una mano. C’è da fare per tutti, perché è in gioco l’idea stessa di uomo, e i mezzi di cui disponiamo sono risibili, inadeguati ad arginare la marea di una cultura che a momenti sembra avere la meglio.
Eppure, anche se non disponiamo della comunicazione e del potere, abbiamo la forza di un popolo che si è incontrato e si è riconosciuto, dando vita a qualcosa di nuovo e molto grande. Per questo il Comitato vuole soprattutto dire grazie a tutte le famiglie e le persone che hanno affrontato sacrifici e costi e fatica e disagi per testimoniare in piazza insieme a noi. Grazie a chi ha fatto ore e ore di viaggio, con ogni mezzo, grazie a chi ha dovuto fare dei sacrifici seri per affrontare la spesa, grazie a chi ha portato i bambini, anche molto piccoli, a chi ha preso la pioggia e sofferto il caldo, a chi è stato in piedi per ore, a chi si è messo in coda lontanissimo dal palco, solo per esserci. Grazie alla storia che vi ha portato ad essere lì, il 20 giugno, agli incontri a cui avete partecipato, al lavoro quotidiano che fate a difesa della vita e della famiglia in tanto modi, ognuno al proprio posto e col proprio carisma. È grazie a voi che adesso la nostra piazza può mettersi con autorevolezza nel dibattito pubblico, e anche dialogare con la politica perché produca leggi a difesa dei bambini, con la forza data da un evento dalla portata storica, di cui non si ha memoria negli anni recenti del nostro paese.


07/07/2015 fonte:  tempi.it

IL SANTO DEL GIORNO 01/05/2015 San Giuseppe lavoratore



Sotto la sua protezione si sono posti Ordini e Congregazioni religiose, associazioni e pie unioni, sacerdoti e laici, dotti e ignoranti. Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, di recente fatto Santo, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava al santo falegname di Nazareth. Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il "papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo. Grande, eppure ancor oggi piuttosto sconosciuto. Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la "cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe. Come giustamente ha osservato Vittorio Messori, "lo starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”. Il Nuovo Testamento non attribuisce a san Giuseppe neppure una parola. Quando comincia la vita pubblica di Gesù, egli è probabilmente già scomparso (alle nozze di Cana, infatti, non è menzionato), ma noi non sappiamo né dove nè quando sia morto; non conosciamo la sua tomba, mentre ci è nota quella di Abramo che è più vecchia di secoli. Il Vangelo gli conferisce l’appellativo di Giusto. Nel linguaggio biblico è detto "giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe discende dalla casa di David, di lui sappiamo che era un artigiano che lavorava il legno. Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, secondo il cliché del "buon vecchio Giuseppe” che prese in sposa la Vergine di Nazareth per fare da padre putativo al Figlio di Dio. Al contrario, egli era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria. Con lei si fidanzò secondo gli usi e i costumi del suo tempo. Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale. Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale. La procedura da rispettare era a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione. Ora appunto nel Vangelo di Matteo leggiamo che "Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto”(Mt 18-19). Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Giuseppe può accettare o no il progetto di Dio. In ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, giacché il Signore non violenta mai l’intimità delle sue creature né mai interferisce sul loro libero arbitrio. Giuseppe allora può accettare o no. Per amore di Maria accetta, nelle Scritture leggiamo che "fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé”(Mt 1, 24). Egli ubbidì prontamente all’Angelo e in questo modo disse il suo sì all’opera della Redenzione. Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo anche pensare al sì di Giuseppe al progetto di Dio. Forzando ogni prudenza terrena, e andando al di là delle convenzioni sociali e dei costumi del suo tempo, egli seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Nella schiera dei suoi fedeli il primo in ordine di tempo oltre che di grandezza è lui: san Giuseppe è senz’ombra di dubbio il primo devoto di Maria. Una volta conosciuta la sua missione, si consacrò a lei con tutte le sue forze. Fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…) Quello di Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio? E’ la domanda che affiora più frequentemente sulle labbra sia di dotti che di semplici fedeli. Sappiamo che la loro fu una convivenza matrimoniale vissuta nella verginità (cfr. Mt 1, 18-25), ossia un matrimonio verginale, ma un matrimonio comunque vissuto nella comunione più piena e più vera: "una comunione di vita al di là dell’eros, una sponsalità implicante un amore profondo ma non orientato al sesso e alla generazione” (S. De Fiores). Se Maria vive di fede, Giuseppe non le è da meno. Se Maria è modello di umiltà, in questa umiltà si specchia anche quella del suo sposo. Maria amava il silenzio, Giuseppe anche: tra loro due esisteva, né poteva essere diversamente, una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. "La coppia di Maria e Giuseppe costituisce il vertice – ha detto Giovanni Paolo II –, dal quale la santità si espande su tutta la terra” (Redemptoris Custos, n. 7). La coniugalità di Maria e Giuseppe, in cui è adombrata la prima "chiesa domestica” della storia, anticipa per così dire la condizione finale del Regno (cfr. Lc 20, 34-36 ; Mt 22, 30), divenendo in questo modo, già sulla terra, prefigurazione del Paradiso, dove Dio sarà tutto in tutti, e dove solo l’eterno esisterà, solo la dimensione verticale dell’esistenza, mentre l’umano sarà trasfigurato e assorbito nel divino. "Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. "Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare...”( cfr. cap. VI dell’Autobiografia). Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo. Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste. Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.


Expo, occasione per globalizzare la solidarietà




"Smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane non abbiano un impatto su chi soffre la fame”. E’ l’invito di Papa Francesco che, nel video messaggio in diretta con l’Expo di Milano nella mattinata di apertura, chiede "un cambiamento di mentalità” sulle questioni alimentari, per "nutrire ogni uomo e donna del pianeta nel rispetto dell'ambiente".  Francesco dice ‘no’ a spreco e scarto, e chiede di tenere ben presenti i volti di uomini, donne e bambini malnutriti. Così – dice – la Expo può essere "occasione propizia per globalizzare la solidarietà”. Il servizio di Fausta Speranza:
"Importante”, "essenziale”: così Francesco definisce il tema dell’Expo: ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita’. Poi la forte raccomandazione:  
"…purché non resti solo un "tema”, purché sia sempre accompagnato dalla coscienza dei "volti”: i volti di milioni di persone che oggi hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno di un essere umano.”
Il Papa parla di "una presenza nascosta di questi volti, che – dice - in realtà dev’essere la vera protagonista dell’evento”. Una presenza che il Papa vorrebbe – lo esprime esplicitamente – che "ogni persona che passerà a visitare la Expo possa percepire”.  L’obiettivo è chiaro e doveroso: cambiare mentalità. Di fronte a noi – ricorda – abbiamo il paradosso dell’abbondanza (come diceva Giovanni Paolo II alla FAO nel 1992), la cultura dello spreco, dello scarto. Abbiamo quelli che Francesco definisce "meravigliosi padiglioni” dell’Expo. Ma Francesco chiede a gran voce di cambiare mentalità:  
"…per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame. Penso a tanti uomini e donne che patiscono la fame, e specialmente alla moltitudine di bambini che muoiono di fame nel mondo.”
Francesco, dunque, si rivolge a tutti, parlando di diversi gradi di responsabilità. Poi il riferimento preciso:
"E ci sono altri volti che avranno un ruolo importante nell’Esposizione Universale: quelli di tanti operatori e ricercatori del settore alimentare. Il Signore conceda ad ognuno di essi saggezza e coraggio, perché è grande la loro responsabilità.”
Francesco, all’inizio del suo messaggio, chiarisce di parlare da vescovo di Roma, a nome del popolo di Dio pellegrino nel mondo intero, "voce – sottolinea - di tanti poveri che fanno parte di questo popolo e con dignità cercano di guadagnarsi il pane col sudore della fronte.” A questo titolo lancia il suo appello:
"La Expo è un’occasione propizia per globalizzare la solidarietà. Cerchiamo di non sprecarla ma di valorizzarla pienamente!”
Ancora l’auspicio di Papa Francesco:
"Il mio auspicio è che questa esperienza permetta agli imprenditori, ai commercianti, agli studiosi, di sentirsi coinvolti in un grande progetto di solidarietà: quello di nutrire il pianeta nel rispetto di ogni uomo e donna che vi abita e nel rispetto dell’ambiente naturale.
Come cristiani, Francesco ricorda il riferimento preciso alla preghiera del eccellenza: quella che ci ha insegnato Gesù: il Padre Nostro in cui diciamo "Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
"Questa è una grande sfida alla quale Dio chiama l’umanità del secolo ventunesimo: smettere finalmente di abusare del giardino che Dio ci ha affidato, perché tutti possano mangiare dei frutti di questo giardino. Assumere tale grande progetto dà piena dignità al lavoro di chi produce e di chi ricerca nel campo alimentare.”
Poi il Primo Maggio, giorno dedicato al lavoro, il Papa non vuole dimenticare i volti di tutti i lavoratori che hanno faticato per la Expo di Milano, specialmente dei più anonimi, dei più nascosti, che anche grazie a Expo hanno guadagnato il pane da portare a casa. E due appelli di Francesco davvero universali:
"Che nessuno sia privato di questa dignità! E che nessun pane sia frutto di un lavoro indegno dell’uomo!
E ancora:
"E che non manchi il pane e la dignità del lavoro ad ogni uomo e donna.”
Papa Francesco non ha dubbi: "tutto parte da lì, dalla percezione dei volti”.

01/05/2015 fonte: Radio Vaticana

Don Mauro Fornasari, un giovane martire sconosciuto

di Graziano Motta

La mano sovvertitrice si è fermata a Longara. La sua campagna vede preservate molte delle connotazioni ambientali di prima dell’ultima guerra e lo spazio ordinatissimo attorno alla chiesa parrocchiale di san Michele Arcangelo (con il campanile che si annuncia da lontano) non è stato aggredito dall’espansione urbanistica di Bologna che si è fermata a pochi chilometri di distanza oltre l’aeroporto, a Calderara di Reno, il Comune di cui è una frazione. Longara riesce così a presentarsi come doveva essere settanta anni fa, quando nel pieno della tempesta fratricida, il 5 ottobre 1944, un giovane religioso – aveva ventidue anni, era stato da poco ordinato diacono e sua mamma aveva già deposto nella cassapanca di famiglia la veste per la sua prima messa – veniva ucciso pochi chilometri lontano, sul greto del torrente Lavino, presso Gessi, nel territorio di Zola Predosa.   

Si scoprirà un anno dopo, a guerra finita, quando fu possibile istruire un processo, che era stato verosimilmente un veterinario, noto esponente fascista, papà di due ragazzi ai quali il seminarista impartiva delle lezioni private, a segnalarlo agli assassini, militi della Guardia nazionale repubblicana e delle Brigate nere "Facchini”: per odio religioso e l’acceso anticlericalismo nel clima di esasperata conflittualità e violenza del tempo. Più che un delitto fu un martirio. Ed è per questo che la devozione di don Mauro Fornasari, questo il suo nome, si è sviluppata nell’arcidiocesi di Bologna.  La sua memoria, coltivata da seminaristi suoi coetanei, in particolare da don Dante Campagna, che presiede un’associazione di fedeli che ne porta il nome, e da mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, continua a sfidare il tempo, a suscitare sempre nuovo interesse , e da ultimo una mostra, concepita come itinerante, inaugurata nella parrocchia di Longara, e un nuovo importante studio del suo biografo, lo storico Alberto Mandreoli , dal significativo titolo Vangelo e coscienza – Antifascismo e Resistenza dei cattolici bolognesi, presentato in questa occasione. Giusto in tempo per inserirsi come importante contributo commemorativo dei 70 anni della Liberazione. 

Tante le ragioni di una così forte attrazione. Innanzi tutto le circostanze del suo assassinio, ma certo anche la sua personalità , il suo carisma, la sua fede, la sua testimonianza del Vangelo e l’offerta della vita nel pieno della sua giovinezza : virtù espresse in modo esemplare in un momento tempestoso.  Ecco perché il rettore del Seminario bolognese, mons. Roberto Macciantelli, nella prefazione della biografia, opera dello stesso prof. Mandreoli, edito dalla "Dehoniana Libri”, può esaltare la «figura eminente» di don Mauro come «dono particolare per il nostro Presbiterio diocesano…. trovando in lui una vera scuola di santità e un forte motivo di identità, ispirazione, incoraggiamento». Don Mauro é l’unico diacono tra i 19 religiosi "martiri e confessori” ricordati in una lapide nella cappella del Seminario. «Nonostante  siano tanti gli anni passati da quelle vicende che hanno insanguinato le nostre comunità, sappiamo», afferma mons. Macciantelli, «come ogni giorno debba essere grande l’impegno per continuare a costruire la concordia e il rispetto della dignità di ciascuno, crescendo nella capacità del perdono e non della vendetta, della giustizia e non dell’usurpazione violenta». 

Se il Seminario di Bologna non fosse stato distrutto da un bombardamento nel 1943, don Mauro vi sarebbe rimasto fino all’ordinazione sacerdotale prevista per la primavera del 1945. Dovette invece ritornare in famiglia; ne profittò per  impegnarsi intensamente in parrocchia , animando molteplici attività e testimoniando ovunque la carità cristiana. «Era dotato di un’intelligenza e di una spiritualità ferma…. era un entusiasta, un energico, un coraggioso….un nemico della guerra…. al di sopra delle parti… un innamorato della Creazione tanto da iscriversi alla facoltà di Scienze naturali», così viene ancora oggi ricordato. «Era un catechista rigoroso» e così pure «un consolatore… dallo stile controcorrente … un pacificatore in tempo di guerra» . Visitava ammalati e bisognosi, ma essere stato notato talvolta a portare del cibo a sbandati che si erano dati alla macchia nella campagna, avrà presumibilmente convinto qualche sostenitore del regime della sua avversione; da qui la delazione e, poi, quel che fu considerato un tradimento.  Il titolo del libro biografico "Chi cercate?”, evoca inequivocabilmente la cattura di Gesù nel Getsemani tramandataci dalla Passione secondo Giovanni.  

Anche la dinamica degli eventi non ha mai cessato di essere narrata e ascoltata. La sera del 4 ottobre 1944 cinque uomini armati si presentarono nella casa dei Fornasari tra i campi, erano coltivatori diretti, e chiesero a Mauro di seguirli perché serviva da testimone (ma era una fandonia) al veterinario della zona, il dott. Giuseppe Belluzzi, «inviso e prepotente», sostenitore della Rsi (Repubblica Sociale Italiana).  Lo caricarono sulla loro automobile che però percorsi alcuni chilometri su una strada poderale si fermò per un guasto, don Mauro fu costretto a scendere e uno del gruppo gli rivolse contro la pistola sparando alcuni colpi andati a vuoto. Compreso il pericolo, favorito dal buio, riuscì a sottrarsi e, correndo a zig-zag tra alberi e filari di viti, a raggiungere casa. «Miracolosamente la Madonna di San Luca mi ha fatto la grazia di essermi salvato», dirà ai suoi.

Seguì una notte terribile, di interrogativi, di incessante preghiera. Confrontandosi con i genitori, due sorelle e un fratello che erano stati presenti al prelevamento, don Mauro pensò anche a un equivoco, a uno scambio di persona. Ma quando venne presa in considerazione l’opportunità di una sua fuga – vana era risultata la richiesta di aiuto al parroco di Longara, in canonica c’era un militare tedesco – come colto da un presentimento non volle più discutere, la sua anima innocente sentì di prepararsi ad «una scelta, definitiva» . «Se questa è la mia ora, disse ai suoi, io devo restare. Non dovevo scappare ieri sera». Racconterà sua nonna Enrica: «Di fronte alla morte era scappato e questo non gli piaceva affatto di se stesso. Chiese perdono al Signore per non aver saputo accettare subito il suo momento e pregò (tutta la notte, inginocchiato) per trovare la forza di affrontare tutto quello che il Signore aveva deciso per lui» .Così quando, alle sette del mattino, i cinque si ripresentarono, pretendendo con urla e bestemmie che uscisse e si consegnasse, minacciando diversamente di bruciare la casa, di uccidere suo padre, affermò: «Si vede che il Signore mi vuole ora. Devo andare».  Le sue ultime parole di obbedienza alla propria coscienza e a Dio furono: «Ecco, è arrivato il mio momento, sono qui». Si offrì liberamente, seguendo l’esempio di Cristo. Sarebbe stato picchiato, vilipeso e oltraggiato, senza risparmiare una sola parte del suo corpo.  

Prima di essere finito con diversi colpi di pistola al volto, privato persino di un occhio, gli furono inflitte bruciature di sigaretta sugli arti e mutilazioni ai genitali. Sul greto del torrente Lavino, un cippo ricorda il martirio, fu ritrovato, lordato di sangue e di fango, che stringeva ancora nella mano il Breviario, il Salterio della sua preghiera. In quel momento dei militari tedeschi di un vicino comando, sentendo gli spari e credendo che fossero di partigiani, ignari quindi che fosse in corso l’esecuzione, aprirono il fuoco contro l’auto dei miliziani fascisti uccidendone uno e ferendone un altro.  I funerali di don Mauro riunirono nella sua parrocchia di Longara una folla sbigottita e dolente mentre nella zona il clima generale era di smarrimento e di confusione, di silenzio e di lacerazioni, di odio e di inesistenza del perdono. Erano tempi travagliatissimi anche per la Chiesa e la sua gerarchia, evocati con rigorosa lucidità –in occasione dell’ apertura della mostra commemorativa di don Mauro – da Alberto Mandreoli, lo storico che da anni conduce ricerche sulle stragi della seconda Guerra Mondiale e il loro riflesso sulla coscienza individuale laica e cattolica. Oltre ad aver scritto della vita e morte di don Mauro, tra le sue pubblicazioni va ricordata Chi resta saldo. Memoria e responsabilità sull’eccidio nazi-fascista di Monte Sole dove tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 persero la vita 770 persone.  

Ed ora, in quest’anno celebrativo dei 70 anni della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, il volume Vangelo e coscienza, edito da "Il pozzo di Giacobbe”. É un’opera importante che, penetrando fra le pieghe della guerra e della resistenza a Bologna, «si propone di recuperare la storia dimenticata della partecipazione dei cristiani locali alla Resistenza».  Emergono così «nomi e circostanze subito coperti da oblio per calcolo, per desiderio di voltare pagina e timore di essere accusati di intesa con il nemico, individuato, nei primi anni della Repubblica, con le amministrazioni di sinistra dell’Emilia- Romagna». É ricca di testimonianze la sofferta , obiettiva rievocazione della figura dell’arcivescovo cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca e del ruolo svolto dal quotidiano L’Avvenire d’Italia diretto da Raimondo Manzini nelle drammatiche situazioni della guerra civile. E suscita emozioni la galleria di «preti, religiosi e laici che seppero superare la tentazione dell’indifferenza; che, in nome del Vangelo, diedero ascolto alla coscienza, rifiutando complicità e silenzio, e che, di fronte a crimini ed orrori, operarono sino all’effusione del sangue». Come don Mauro Fornasari; come quei sacerdoti che condivisero nelle stragi, non solo in quella di Monte Sole, la sorte del loro gregge. Non di meno tutti quei cristiani che si prodigarono nel portare aiuto e assistenza agli inermi, ai perseguitati politici, alle famiglie di sfollati.

Lo storico Mandreoli lascia allo storico Vecchio ( citando la voce della Treccani "Guerra e Resistenza” in "Cristiani d’Italia”) la spiegazione dell’ «ansia della gerarchia ecclesiale per gli accadimenti che avrebbero potuto destabilizzare l’unità della Chiesa»: «La sincera preoccupazione di evitare guai maggiori alla popolazione civile, il tentativo di contenere il numero delle vittime e lo spargimento di sangue, gli appelli alla moderazione e alla pacificazione, la paura di dover passare dal dominio nazista a quello comunista . Presente nell’episcopato italiano era il tentativo di rinsaldare l’unità del popolo di Dio attorno al proprio vescovo contro ogni forza disgregatrice. Questo impegno […] è una chiave più utile al fine di comprendere l’atteggiamento dell’episcopato, rispetto a quella dell’anticomunismo, che, a scanso di equivoci, esisteva ed era più che radicato».

Ho introdotto nella parrocchia di Longara l’inaugurazione della mostra e la presentazione del libro di Mandreoli evocando la figura, il martirio di don Mauro Fornasari e il mantello del perdono cristiano che li avvolge . I promotori della manifestazione non si aspettavano che raccontassi come il 3 agosto 1943 ero stato testimone, a Pedara, sulle pendici dell’Etna, della prima cattura in assoluto di ostaggi civili da parte di una compagnia di militari tedeschi per rappresaglia all’uccisione di un loro soldato, vicenda da me evocata in un libro che ricorda pure come i miei concittadini, uno era mio vicino di casa, ebbero salva la vita grazie all’intervento di mons. Francesco Pennisi, rettore del seminario arcivescovile di Catania. Ho scritto pure in questo volumetto , edito da I.l.a Palma nel 1977, della contemporanea insurrezione antitedesca nella vicina cittadina di Mascalucia e della strage compiuta il 12 agosto per le vie di Castiglione di Sicilia, sempre nella zona etnea, da un reparto tedesco: 16 civili morti e 20 feriti. Tre episodi tuttora largamente sconosciuti, precursori di quella che sarebbe stata la Resistenza.

01/05/2015 fonte : La nuova bussola quotidiana

Il nemico più pericoloso per la Chiesa? L'ignoranza

di Rino Cammilleri


Qualche giorno fa, in un editoriale sulla Nuova Bussola (clicca qui) Ettore Gotti Tedeschi ha ricordato la saggezza che san Josemaría Escrivá de Balaguer usava somministrare, in pillole, in libretti che hanno formato generazioni di cattolici, laici e non. La generazione presente forse non ha mai sentito parlare di Cammino e Forgia (in Italia editi da Ares) nonché Solco da cui Ettore Gotti Tedeschi ha estratto alcuni pensieri. Come questo (il n. 359): «Sono d’accordo con te che vi sono cattolici, praticanti e persino pii agli occhi degli altri, e forse sinceramente convinti, che servono ingenuamente i nemici della Chiesa… Si è infiltrato nella loro stessa casa, con diversi nomi male applicati – ecumenismo, pluralismo, democrazia – l’avversario peggiore: l’ignoranza». Il quale pensiero, poiché a ogni nuova generazione bisogna ripetere da capo tutto, necessita di qualche approfondimento. 

Già nel 1852 vi fu chi avvertì che gli –ismi moderni non erano altro che riedizioni in salsa laicista di antiche eresie già condannate dalla Chiesa. Si trattava di Juan Donoso Cortés, pensatore e uomo politico spagnolo, al quale era stato chiesto dal cardinale Raffaele Fornari, per conto di Pio IX, di stilare un elenco degli "errori” contemporanei in vista della preparazione del Sillabo (che poi uscì nel 1864 e suscitò un vespaio). É stato argutamente osservato che le posizioni eretiche sono come quelle erotiche: poche e ripetitive. Ma, malgrado ciò, non cessano di esercitare la loro potente attrattiva. Un’eresia, infatti, non potrebbe affascinare se non contenesse un brandello di verità. È però un pezzo di verità che esclude tutto il resto, e così diventa errore. Lo stesso vale per quelle eresie laiche che sono le ideologie. Il marxismo, per esempio, non si sarebbe diffuso se non avesse propugnato due concetti cristiani, eguaglianza e giustizia sociale. Perciò ha avuto (ed ha) tanta presa sui cristiani e pure su parte del clero. 

Lo stesso accade con le ideologie correnti. Ma, anche qui, la loro fascinazione sui cristiani è dovuta, come avvertiva san Josemaría, all’ignoranza di questi ultimi, l’«avversario peggiore». La tentazione di trovare un compromesso con le idee di volta in volta alla moda da parte dei credenti è vecchia come il cucco, ma la Chiesa esiste proprio per questo: dissipare l’ignoranza in chi è tentato. Si faccia caso al modus operandi del Fondatore: Cristo non ha lasciato un Libro, non ha scritto niente. E ha fatto bene. Un Libro avrebbe periodicamente riportato il cristianesimo al fondamentalismo della letteralità, praticamente riazzerandolo. Cristo, invece, si è procurato uno staff gerarchicamente strutturato: 12 Apostoli con un Capo e 72 Discepoli. Li ha istruiti, poi dotati di Spirito Santo per guidarli alla «verità tutta intera» (mentre, lo si ricordi, l’eresia è solo un pezzo di verità). Li ha voluti celibi per evitare che si costituissero in "casta sacerdotale” e/o fossero ricattabili (come lo è chi tiene famiglia) dal Potere. Pastori di uomini, che ripetessero a ogni generazione futura le Istruzioni del Fabbricante per il migliore uso del Prodotto (l’uomo), affinché gli uomini siano contenti Qui e poi felici Lassù. 

Ed è quello che la Chiesa ha sempre fatto, mettendo in guardia dalle contraffazioni –sempre apparentemente nuove ma in realtà sempre le stesse- insufflate dal Tentatore. Oggi, dopo un lavorìo ai fianchi durato secoli, i popoli della civiltà cristiana vedono nelle Istruzioni solo un’insopportabile e incomprensibile serie di divieti che impediscono di godere la vita. É un inganno, come tutti quelli precedenti, e la Chiesa esiste apposta per svelarlo. Ma ha di fronte una novità: la velocità e la diffusione delle immagini ingannevoli. Gli stessi chierici si sono formati nelle scuole statali, dove hanno imparato una vulgata fatta di luoghi comuni di propaganda politica. La (loro) tentazione è la solita: venire incontro alle "istanze”. Da qui, in alcuni, l’atteggiamento benevolo e le "aperture” nei confronti dei "lontani”, tanto più blanditi quanto più lontani sono. E l’ostilità, che in certi casi arriva fino all’odio, per quelli che trovano questo metodo quanto meno rischioso e, storicamente, perdente. Questi sono accusati di «mancanza di carità» (per restare nel nostro esempio, san Josemaría, reo di quel Solco n. 359, politicamente scorrettissimo, da cui siamo partiti). 

Così, si arriva a un’altra novità vecchia come il cucco: la dottrina è una cosa, la prassi un’altra; ortoprassi contro ortodossia. Déjà vu, ma, come si suol dire, a volte ritornano. Blaise Pascal diceva: Bien penser pour bien agir. Ma lui è "superato”. Qualcun altro insiste: se non vivi per come pensi finirai per pensare per come vivi. Qualcuno, infine, avverte che, se la "pastorale” si allontana troppo dalla "dottrina”, è come ammettere che Cristo ha insegnato cose impossibili da mettere in pratica, perciò non si vede che cosa sia venuto a fare sulla Terra. E anche questa è un’eresia. Insomma, il pensiero n. 359 (come tutti gli altri del Santo) ha ragione da vendere. Il nemico peggiore per i cattolici è l’ignoranza, che li divide e crea quinte colonne in casa. Per questo, Cristo ci ha lasciato la Chiesa Maestra, e non un Libro Intoccabile. Per questo, Gesù non è un fondatore di religioni come gli altri, ma è Dio. 

 01/05/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

Papa: il sangue dei cristiani uccisi solo per la loro fede spinge a una nuova era dell’ecumenismo

L’auspicio di Francesco ai componenti della Commissione internazionale anglicana-cattolica: "la tradizione di fede e la storia condivise possano ispirare e sostenere i nostri sforzi nel superare gli ostacoli che si frappongono alla piena comunione”. Tra breve la pubblicazione di cinque dichiarazioni comuni prodotte finora nella seconda fase del dialogo anglicano-cattolico 


Città del Vaticano (AsiaNews) – Il sangue dei cristiani appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano "nutrirà una nuova era di impegno ecumenico”, che, con il dialogo, "non sono elementi secondari della vita delle Chiese”. L’ha ribadito oggi il Papa incontrando i componenti della Commissione internazionale anglicana-cattolica, riuniti a Roma per un esame della relazione tra Chiesa universale e Chiesa locale con particolare riferimento ai processi di confronto e di decisione sulle questioni morali ed etiche.

Francesco nel suo discorso ha sottolineato che anche se ancora non si è raggiunto l’obiettivo di quel "serio dialogo che, fondato sui Vangeli e sulle antiche tradizioni comuni”, potesse condurre a "quella unità nella verità per la quale Cristo ha pregato” – auspicato nello storico incontro, avvenuto nel 1966, tra Paolo VI e l’arcivescovo Ramsey – "siamo convinti che lo Spirito Santo continua a spingerci in quella direzione, nonostante le difficoltà e le nuove sfide”.

"La vostra presenza oggi – ha detto ancora Francesco - è indice di quanto la tradizione di fede e la storia condivise da anglicani e cattolici possano ispirare e sostenere i nostri sforzi nel superare gli ostacoli che si frappongono alla piena comunione. Consapevoli dell’importanza delle sfide che ci attendono, con realismo siamo fiduciosi che riusciremo a compiere insieme ancora molti progressi”.

"Tra breve pubblicherete cinque dichiarazioni comuni prodotte finora nella seconda fase del dialogo anglicano-cattolico, accompagnate dai relativi commenti e risposte. Mi congratulo con voi per questo lavoro. Esso ci ricorda che le relazioni ecumeniche ed il dialogo non sono elementi secondari della vita delle Chiese. La causa dell’unità non è un impegno opzionale e le divergenze che ci dividono non devono essere accettate come inevitabili. Alcuni vorrebbero che, dopo cinquant’anni, ci fossero risultati maggiori quanto all’unità. Nonostante le difficoltà, non possiamo lasciarci prendere dallo sconforto, ma dobbiamo confidare ancora di più nella potenza dello Spirito Santo, che può sanarci e riconciliarci e fare ciò che umanamente sembra impossibile”.

"Esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano. Il sangue di questi martiri nutrirà una nuova era di impegno ecumenico, una nuova appassionata volontà di adempiere il testamento del Signore: che tutti siano una cosa sola (cfr Gv 17,21). La testimonianza di questi nostri fratelli e sorelle ci esorta ad essere ancora più coerenti con il Vangelo e a sforzarci di realizzare, con determinazione, ciò che il Signore vuole per la sua Chiesa. Oggi il mondo ha urgentemente bisogno della testimonianza comune e gioiosa, dei cristiani, dalla difesa della vita e della dignità umane alla promozione della pace e della giustizia”.

"Invochiamo insieme i doni dello Spirito Santo, per essere in grado di rispondere coraggiosamente ai ‘segni dei tempi’, che chiamano tutti i cristiani all’unità e alla testimonianza comune. Possa lo Spirito ispirare abbondantemente il vostro lavoro”.

01/05/2015 fonte: Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 05/04/2015 Pasqua di Risurrezione




Se il Natale è la festività che raccoglie la famiglia, riunisce i parenti lontani, che più fa sentire il calore di una casa, degli affetti familiari, condividendoli con chi è solo, nello struggente ricordo del Dio Bambino; la Pasqua invece è la festa della gioia, dell’esplosione della natura che rifiorisce in Primavera, ma soprattutto del sollievo, del gaudio che si prova, come dopo il passare di un dolore e di una mestizia che creava angoscia, perché per noi cristiani questa è la Pasqua, la dimostrazione reale che la Resurrezione di Gesù non era una vana promessa, di un uomo creduto un esaltato dai contemporanei o un Maestro (Rabbi) da un certo numero di persone, fra i quali i disorientati discepoli. 
La Risurrezione è la dimostrazione massima della divinità di Gesù, non uno dei numerosi miracoli fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che credettero in Lui; questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di Cristo. 
La Pasqua è una forza, una energia d’amore immessa nel Creato, che viene posta come lievito nella vita degli uomini ed è una energia incredibile, perché alimenta e sorregge la nostra speranza di risorgere anche noi, perché le membra devono seguire la sorte del capo; ci dà la certezza della Redenzione, perché Cristo morendo ci ha liberati dai peccati, ma risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto con la colpa. 

Racconto evangelico 

Esaminiamo adesso la cronologia degli avvenimenti che seguirono alla morte e sepoltura di Gesù. La sepoltura fu una operazione provvisoria, in quando essendo ormai un’ora serale e si approssimava con il tramonto il Sabato ebraico, in cui è noto era proibita qualsiasi attività, il corpo di Gesù fu avvolto in un lenzuolo candido e deposto nel sepolcro nuovo scavato nella roccia, appartenente a Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio, ma ormai seguace delle idee del giovane "Rabbi” della Galilea. 
Le operazioni necessarie per questo tipo di sepoltura, che non era l’inumazione nel terreno, e cioè il cospargere il corpo con profumi ed unguenti conservativi e l’avvolgimento dello stesso corpo con fasce o bende (ne abbiamo l’esempio nel racconto di Lazzaro risuscitato dallo stesso Gesù); queste operazioni, dicevamo, furono rimandate a dopo il Sabato dalle pie donne, le quali dopo aver preparato gli aromi e visto dove era stato deposto il corpo di Gesù, alla fine si allontanarono. 
Dopo la Parasceve (vigilia del Sabato) quindi appena dopo sepolto Gesù, i sacerdoti ed i Farisei si recarono da Pilato dicendogli che si erano ricordati "che quell’impostore quando era ancora in vita, disse: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risorto dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. 
E Pilato, secondo il solo Vangelo di Matteo, autorizzò il sigillo del sepolcro e dispose alcune guardie per controllarlo. 
Trascorso il Sabato, in cui tutti osservarono il riposo, Maria di Magdala, Maria di Cleofa e Salome, completarono la preparazione dei profumi e si recarono al sepolcro di buon’ora per completare le unzioni del corpo e la fasciatura; lungo la strada dicevano tra loro, chi poteva aiutarle a spostare la pesante pietra circolare, che chiudeva la bassa apertura del sepolcro, che era composto da due ambienti scavati nella roccia, consistenti in un piccolo atrio e nella cella sepolcrale; quest’ultima contenente una specie di rialzo in pietra, su cui veniva deposto il cadavere. 
Quando arrivarono, secondo i Vangeli, vi fu un terremoto, un angelo sfolgorante scese dal cielo, si accostò al sepolcro fece rotolare la pietra e si pose a sedere su di essa; le guardie prese da grande spavento caddero svenute. Ma l’Angelo si rivolse alle donne sgomente, dicendo loro: "Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. 
Proseguendo con il racconto del Vangelo di Matteo, le donne si allontanarono di corsa per dare l’annunzio ai discepoli. Piace ricordare che anche l’annunzio della nascita di Gesù avvenne tramite un Angelo a dei semplici pastori, così anche la Sua Risurrezione viene annunciata da un Angelo a delle umili donne, che secondo l’antico Diritto ebraico, erano inabilitate a testimoniare, quindi con questo evento che le vede messaggere e testimoni, viene anche ad inserirsi un evento storico nella socialità ebraica. 
Lungo la strada lo stesso Gesù apparve loro, che prese dalla gioia si prostrarono ad adorarlo e il Risorto disse loro: "Non temete, andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”. 
Proseguendo nella lettura del Vangelo di Matteo (che è l’unico ad indicare l’esistenza di un drappello di guardie), mentre le donne proseguirono veloci alla ricerca degli apostoli per avvisarli, alcuni dei soldati di guardia, rinvenuti dallo spavento provato, si recarono in città a riferire ai sommi sacerdoti l’accaduto. 
Questi allora, riunitasi con gli anziani, decisero di dare una cospicua somma di denaro ai soldati, affinché dichiarassero che erano venuti i discepoli di Gesù di notte, mentre dormivano e ne avevano rubato il corpo, promettendo di intervenire in loro favore presso il governatore, se avessero avuto delle punizioni per questo. 
Questa diceria, propagata dai soldati, si è diffusa fra i Giudei fino ad oggi. Se colpa si potrebbe attribuire alle autorità religiose ebraiche dell’epoca, questa riguarda l’ostinazione nello sbagliare anche di fronte all’evidenza, pur di non ammettere l’errore commesso; "quel timore che venga rubato il corpo, quelle guardie al sepolcro, quel sigillo apposto per loro richiesta, sono la testimonianza della loro follia ed ostinazione” (s. Ilario); in realtà tutto ciò servì soltanto a rendere più certa ed incontestabile la Resurrezione. 
Quando le donne raggiunsero gli apostoli e riferirono l’accaduto, essi corsero verso il sepolcro, ma Pietro e Giovanni corsero avanti, al sepolcro arrivò per primo Giovanni più giovane e veloce, ma sulla soglia si fermò dopo aver visto il lenzuolo (Sindone) a terra, Pietro sopraggiunto, entrò per primo e constatò che il lenzuolo era per terra, mentre il sudario, usato per poggiarlo sul capo dei defunti, era ripiegato in un angolo, poi entrò anche Giovanni e ambedue capirono e credettero a quanto lo stesso Gesù, aveva detto in precedenza riguardo la sua Risurrezione. 
A questo punto, con gli apostoli che se ne ritornano tutti meravigliati e gioiosi verso la loro dimora, riempiti di certezza e nuova forza, termina il racconto evangelico del giorno di Pasqua; Gesù comparirà altre volte alla Maddalena, agli Apostoli, ai discepoli di Emmaus, a sua madre, finché non si avrà la sua Ascensione al cielo; gli Evangelisti raccontano in modo diverso questi avvenimenti connessi con la Resurrezione, ma in sostanza simili nell’insegnamento. 


Papa: Urbi et Orbi, abbiamo il coraggio del perdono e della pace

Con Gesù Cristo che è risorto "l’amore ha sconfitto l’odio, la vita ha vinto la morte, la luce ha scacciato le tenebre”: per questo, in un mondo che "propone di imporsi a tutti costi”, cerchiamo di "non cedere all’orgoglio” che alimenta violenza e guerre, ma di avere il "coraggio umile” del perdono e della pace. Questo il messaggio di Pasqua di Papa Francesco che dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana ha impartito la benedizione Urbi et Orbi, subito dopo aver presieduto in Piazza San Pietro la Santa Messa ed aver compiuto un giro sulla papamobile per salutare i fedeli e augurare loro buona Pasqua. Il servizio di Giada Aquilino:


Il coraggio umile di Cristo
Dal Signore risorto imploriamo la grazia di "non cedere all’orgoglio che alimenta la violenza e le guerre”, ma di avere il "coraggio umile” del perdono e della pace. Così Papa Francesco, dopo che una pioggia quasi incessante aveva accompagnato la Santa Messa di Pasqua in Piazza San Pietro, ha pregato e benedetto la città di cui è vescovo, Roma, e il mondo.
Cristiani perseguitati
Immediato il riferimento a quanti perseguitati:
"A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso. Ne sono tante”.
I Paesi sconvolti dai conflitti
Quindi il pensiero del Papa è andato alle tante realtà di guerra e sofferenza, come in Siria e Iraq:
"Cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la buona convivenza tra i diversi gruppi che compongono questi amati Paesi. La comunità internazionale non rimanga inerte di fronte alla immensa tragedia umanitaria all’interno di questi Paesi e al dramma dei numerosi rifugiati”.
Implorata la pace per tutti gli abitanti della Terra Santa:
"Possa crescere tra Israeliani e Palestinesi la cultura dell’incontro e riprendere il processo di pace così da porre fine ad anni di sofferenze e divisioni”.
La preghiera di Francesco si è estesa alla Libia, affinché - ha detto - "si fermi l’assurdo spargimento di sangue in corso e ogni barbara violenza” e ci si adoperi "per favorire la riconciliazione e per edificare una società fraterna che rispetti la dignità della persona”. Poi allo Yemen, perché "prevalga una comune volontà di pacificazione per il bene di tutta la popolazione”. Con "speranza” ha affidato al Signore misericordioso "l’intesa raggiunta in questi giorni a Losanna” sul nucleare iraniano, affinché - ha auspicato - "sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno”. Il dono della pace è stato implorato dal Pontefice pure per la Nigeria, il Sud Sudan, il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo:
"Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita – uccisi giovedì scorso nell’Università di Garissa, in Kenia –, per quanti sono stati rapiti, per chi ha dovuto abbandonare la propria casa ed i propri affetti”.
La Risurrezione del Signore porti luce inoltre all’amata Ucraina, ha proseguito il Pontefice, non dimenticando " quanti hanno subito le violenze del conflitto degli ultimi mesi”:
"Possa il Paese ritrovare pace e speranza grazie all’impegno di tutte le parti interessate”.
Le nuove e vecchie schiavitù
Il Papa ha chiesto pace e libertà per i tanti uomini e donne "soggetti - ha sottolineato - a nuove e vecchie forme di schiavitù da parte di persone e organizzazioni criminali”:
"Pace e libertà per le vittime dei trafficanti di droga, tante volte alleati con i poteri che dovrebbero difendere la pace e l’armonia nella famiglia umana. E pace chiediamo per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano col sangue degli uomini e delle donne”.
Gesù rimane sempre con i sofferenti
La voce del Signore Gesù che dona pace e assicura di rimanere "sempre” con noi - ha affermato Francesco - giunga dunque agli emarginati, ai carcerati, ai poveri e ai migranti "che tanto spesso sono rifiutati, maltrattati e scartati”, ai malati e ai sofferenti, ai bambini e specialmente a quelli che, ha aggiunto, "subiscono violenza”, a quanti "sono nel lutto” e agli uomini e alle donne "di buona volontà”. A tutti, ha spiegato il Papa, Gesù con la sua morte e risurrezione indica "la via della vita e della felicità”: la via è "l’umiltà, che comporta l’umiliazione” della morte sulla croce. Solo chi si umilia può andare "verso Dio”, perché "l’orgoglioso guarda dall’alto in basso, l’umile guarda dal basso in alto”.
Chinarsi nel mistero pasquale
D’altra parte, il mattino di Pasqua, Pietro e Giovanni - avvertiti dalle donne - corsero al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto; si avvicinarono e si "chinarono” per entrare nel sepolcro. Per entrare nel mistero, ha ricordato il Papa, bisogna "chinarsi, abbassarsi. Solo chi si abbassa - ha aggiunto - comprende la glorificazione di Gesù e può seguirlo sulla sua strada”:
"Il mondo propone di imporsi a tutti costi, di competere, di farsi valere… Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi”.
Auguri in una giornata tanto bella ma anche tanto brutta per la pioggia
Augurando buona Pasqua ai presenti in Piazza San Pietro e a quanti collegati attraverso i mezzi di comunicazione sociale, il Papa ha pure ringraziato per il dono dei fiori dai Paesi Bassi che, ha detto, "in una giornata tanto bella” ma anche "tanto brutta per la pioggia”, hanno fatto da cornice alla celebrazione. Infine un auspicio:
"Portate nelle vostre case e a quanti incontrate il gioioso annuncio che è risorto il Signore della vita, recando con sé amore, giustizia, rispetto e perdono”.

05/04/2015 fonte: Radio Vaticana

Papa: Urbi et Orbi, abbiamo il coraggio del perdono e della pace

Con Gesù Cristo che è risorto "l’amore ha sconfitto l’odio, la vita ha vinto la morte, la luce ha scacciato le tenebre”: per questo, in un mondo che "propone di imporsi a tutti costi”, cerchiamo di "non cedere all’orgoglio” che alimenta violenza e guerre, ma di avere il "coraggio umile” del perdono e della pace. Questo il messaggio di Pasqua di Papa Francesco che dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana ha impartito la benedizione Urbi et Orbi, subito dopo aver presieduto in Piazza San Pietro la Santa Messa ed aver compiuto un giro sulla papamobile per salutare i fedeli e augurare loro buona Pasqua. Il servizio di Giada Aquilino:


Il coraggio umile di Cristo
Dal Signore risorto imploriamo la grazia di "non cedere all’orgoglio che alimenta la violenza e le guerre”, ma di avere il "coraggio umile” del perdono e della pace. Così Papa Francesco, dopo che una pioggia quasi incessante aveva accompagnato la Santa Messa di Pasqua in Piazza San Pietro, ha pregato e benedetto la città di cui è vescovo, Roma, e il mondo.
Cristiani perseguitati
Immediato il riferimento a quanti perseguitati:
"A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso. Ne sono tante”.
I Paesi sconvolti dai conflitti
Quindi il pensiero del Papa è andato alle tante realtà di guerra e sofferenza, come in Siria e Iraq:
"Cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la buona convivenza tra i diversi gruppi che compongono questi amati Paesi. La comunità internazionale non rimanga inerte di fronte alla immensa tragedia umanitaria all’interno di questi Paesi e al dramma dei numerosi rifugiati”.
Implorata la pace per tutti gli abitanti della Terra Santa:
"Possa crescere tra Israeliani e Palestinesi la cultura dell’incontro e riprendere il processo di pace così da porre fine ad anni di sofferenze e divisioni”.
La preghiera di Francesco si è estesa alla Libia, affinché - ha detto - "si fermi l’assurdo spargimento di sangue in corso e ogni barbara violenza” e ci si adoperi "per favorire la riconciliazione e per edificare una società fraterna che rispetti la dignità della persona”. Poi allo Yemen, perché "prevalga una comune volontà di pacificazione per il bene di tutta la popolazione”. Con "speranza” ha affidato al Signore misericordioso "l’intesa raggiunta in questi giorni a Losanna” sul nucleare iraniano, affinché - ha auspicato - "sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno”. Il dono della pace è stato implorato dal Pontefice pure per la Nigeria, il Sud Sudan, il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo:
"Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita – uccisi giovedì scorso nell’Università di Garissa, in Kenia –, per quanti sono stati rapiti, per chi ha dovuto abbandonare la propria casa ed i propri affetti”.
La Risurrezione del Signore porti luce inoltre all’amata Ucraina, ha proseguito il Pontefice, non dimenticando " quanti hanno subito le violenze del conflitto degli ultimi mesi”:
"Possa il Paese ritrovare pace e speranza grazie all’impegno di tutte le parti interessate”.
Le nuove e vecchie schiavitù
Il Papa ha chiesto pace e libertà per i tanti uomini e donne "soggetti - ha sottolineato - a nuove e vecchie forme di schiavitù da parte di persone e organizzazioni criminali”:
"Pace e libertà per le vittime dei trafficanti di droga, tante volte alleati con i poteri che dovrebbero difendere la pace e l’armonia nella famiglia umana. E pace chiediamo per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano col sangue degli uomini e delle donne”.
Gesù rimane sempre con i sofferenti
La voce del Signore Gesù che dona pace e assicura di rimanere "sempre” con noi - ha affermato Francesco - giunga dunque agli emarginati, ai carcerati, ai poveri e ai migranti "che tanto spesso sono rifiutati, maltrattati e scartati”, ai malati e ai sofferenti, ai bambini e specialmente a quelli che, ha aggiunto, "subiscono violenza”, a quanti "sono nel lutto” e agli uomini e alle donne "di buona volontà”. A tutti, ha spiegato il Papa, Gesù con la sua morte e risurrezione indica "la via della vita e della felicità”: la via è "l’umiltà, che comporta l’umiliazione” della morte sulla croce. Solo chi si umilia può andare "verso Dio”, perché "l’orgoglioso guarda dall’alto in basso, l’umile guarda dal basso in alto”.
Chinarsi nel mistero pasquale
D’altra parte, il mattino di Pasqua, Pietro e Giovanni - avvertiti dalle donne - corsero al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto; si avvicinarono e si "chinarono” per entrare nel sepolcro. Per entrare nel mistero, ha ricordato il Papa, bisogna "chinarsi, abbassarsi. Solo chi si abbassa - ha aggiunto - comprende la glorificazione di Gesù e può seguirlo sulla sua strada”:
"Il mondo propone di imporsi a tutti costi, di competere, di farsi valere… Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi”.
Auguri in una giornata tanto bella ma anche tanto brutta per la pioggia
Augurando buona Pasqua ai presenti in Piazza San Pietro e a quanti collegati attraverso i mezzi di comunicazione sociale, il Papa ha pure ringraziato per il dono dei fiori dai Paesi Bassi che, ha detto, "in una giornata tanto bella” ma anche "tanto brutta per la pioggia”, hanno fatto da cornice alla celebrazione. Infine un auspicio:
"Portate nelle vostre case e a quanti incontrate il gioioso annuncio che è risorto il Signore della vita, recando con sé amore, giustizia, rispetto e perdono”.

05/04/2015 fonte: Radio Vaticana

È possibile parlare di Cristo risorto

di Angelo Busetto

Come parlare di Cristo risorto? Appena tenti di toccarlo, Egli svanisce come davanti alle mani protese della Maddalena; appena gli occhi si aprono a intravvederlo, non lo vediamo più alla nostra tavola, come i discepoli di Emmaus.

Se andiamo a ricercare i segni della risurrezione nel gran campo del mondo, tutto sembra soccombere nella voragine del male assoluto. La mamma che vede partire il figlio per la gita scolastica a Parigi nel giorno in cui un aereo viene scagliato contro le montagne, vive un incubo fino a quando il figlio non rientra a casa. Il cuore umano è un mistero di male e di bene. Il male si accanisce contro uomini e donne e bambini, rapiti e uccisi; contro chiese e case, e musei che custodiscono il passato e aprono il futuro; contro bimbi appena concepiti nel grembo; contro il sentimento amoroso di padri e madri; corrompe avvenimenti e persone nella menzogna delle parole e delle promesse, e rinchiude ciascuno nel cerchio di un’ingorda soddisfazione.

Nello stesso tempo, il cuore umano freme per la voglia di vivere: i fiori di primavera ci spuntano sotto i piedi. Un gesto di accoglienza e di perdono, accolto o trasmesso, risana la vita. Vedi fidanzati decisi a una dedizione duratura; sperimenti la grata compagnia di sposi fedeli; ti sorprendi per la pazienza infinita della donna accanto al marito malato. Dio è qui, Trinità che ci ha creati a sua immagine e somiglianza; siamo specchio dell’intelligenza e dell’amore divino.

È possibile parlare di Cristo risorto perché la risurrezione non è l’incantato risveglio di un uomo che s’era pacificamente addormentato nella morte. Risorge il Crocifisso, colui che è entrato nel prodigio e nel dramma della nostra umanità, nella tragedia del rinnegamento e del tradimento, della sofferenza e della morte. Il Figlio di Dio, disceso a raccogliere l’umanità fino all’estremo confine della perdizione, risorge per portare a compimento l’opera di ricostruzione dell’umano. Continua a percorrere le strade del mondo, cerca e ama ciò che era perduto; risana l’uomo ferito dai malfattori e perdona la donna perduta. Cristo risorto non si è rifugiato nel trono dei cieli ma entra nelle nostre case, semina misericordia e raccoglie il frutto della speranza. 

Ci fa suoi amici e continua a condividere la vita con noi. Nella fatica e nel dolore dei giorni, una grazia dirompente ci accompagna, rianima i cuori affranti e guarisce le anime ferite. Riporta a bellezza i volti delle persone e ricostruisce ogni giorno le mura della nuova Gerusalemme, la Chiesa, dove Egli ci convoca perché lo testimoniamo al mondo. 

05/04/2015 fonte: la nuova bussola quotidiana

Sacerdote irakeno: Anche fra i profughi di Mosul, la vita e la resurrezione vincono sulla morte

Gli oltre 130mila rifugiati sostenuti nella speranza dalla fede. La visita del card. Fernando Filoni, inviato del papa, rafforza la percezione di "non essere lasciati soli”. La Veglia pasquale preparata sotto una grande tenda per mille persone.


Erbil (AsiaNews) – "Anche se le nostre sofferenze, quelle dei profughi e quelle di tutto l’Iraq si prolungano, la nostra speranza rimane fondata nel Signore che è risorto. Lui è il Signore della Vita e la vita vince sempre sulla morte; ormai domina la resurrezione”.

E’ quanto dice ad AsiaNews p. Janan Shamil Azeez, sacerdote della diocesi caldea di Erbil, la capitale del Kurdistan irakeno, a pochi giorni dalla Pasqua. Dallo scorso giugno la Chiesa di Erbil sostiene ogni giorno il peso e la vita di oltre 130mila profughi cristiani fuggiti da Mosul dopo la conquista della città da parte dell’esercito islamico. Le ferite della fuga, l’impoverimento e la ricerca di alloggi sono il dramma quotidiano a cui i cristiani fanno fronte. Proprio per questo AsiaNews ha lanciato da mesi la campagna "Adotta un cristiano di Mosul”, attraverso cui ha raccolto e inviato circa 1,3 milioni di euro.

In questo periodo i profughi hanno perso la speranza di poter tornare presto alle loro case. Le vittorie dell’esercito irakeno a Tikrit sono ancora lontane da Mosul. Per questo l’impegno per i rifugiati sta cercando una transizione verso qualcosa di più stabile. Ormai i campi profughi non sono più fatti da tende, ma da container in cui le famiglie possono vivere con più spazio e con minore dipendenza dal clima torrido in estate e freddo in inverno. La Chiesa caldea ha anche trovato oltre 600 case in affitto per migliaia di famiglie. Avere una casa – pur abitata da due o tre famiglie – significa un passo in più verso la normalità. "Le persone – spiega un sacerdote del luogo – si impegnano nella pulizia, nell’abbellimento, cercano un lavoro, pur rimanendo nella precarietà”.

In questi giorni, ad accrescere la speranza, contribuisce anche la visita del card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, inviato da papa Francesco per far sentire la sua vicinanza alla popolazione irakena e in special modo ai rifugiati.  P. Jamal, che è anche segretario di mons. Bashar Warda, il vescovo caldeo di Erbil, spiega: "Il card. Filoni è  stato accolto in modo molto caloroso, la gente lo festeggia con calore perché è un inviato del papa. Tutti percepiscono di non essere soli nella loro sofferenza e trovano la forza di continuare a sopportare. Fin dall’inizio di questo dramma, i profughi e i vescovi hanno sempre chiesto: Non lasciateci soli!”.

In passato, il prefetto di Propaganda Fide è stato nunzio in Iraq ed era già venuto nel Paese all’inizio di giugno lo scorso anno, proprio quando è cominciata la tragedia dell’esodo da Mosul.

"Con l’arrivo del card. Filoni – spiega ancora p. Janan -  è anche partita l’iniziativa della diocesi di Roma, "una colomba per la pace”, il dono di un dolce pasquale per ogni famiglia di rifugiati. Io stesso sono andato a ritirarle e stiamo ora distribuendole alle famiglie come  dono del Santo Padre. Saranno almeno 15-20mila colombe”.

Il card. Filoni sta facendo visita a tutte le diocesi del Kurdistan, dove ci sono accampamenti di profughi. Nei giorni scorsi è stato nel nord, ad Al Qosh, Zakho e  Duhoc. Ora è ad Erbil. Dove celebrerà la Veglia pasquale insieme al patriarca caldeo di Baghdad, Louis Sako. La celebrazione sarà tenuta all’interno di una grande tenda che accoglie almeno un migliaio di persone. La tenda è stata issata in un quartiere nuovo di Ankawa [la zona cristiana di Erbil]. La messa verrà trasmessa anche dalla televisione curda.

Il giorno di Pasqua, il porporato andrà a visitare le comunità di Sulaymaniyya e Kirkuk.

"La resurrezione – conclude p. Janan -  è il punto fondamentale della nostra fede: non soltanto in questo periodo di prova e di dolore. Nella nostra tradizione orientale, non ci fermiamo mai alla croce: la croce non è una maledizione, ma uno strumento di gloria, che rimanda alla resurrezione”.

05/04/2015 fonte: Asia news

È vero che la Madonna libera le anime dal Purgatorio?









È bello avere un giornale come il vostro a cui rivolgersi, che spiega il pensiero e le leggi che regolano la Chiesa. A questo proposito vorrei sottoporvi una domanda: ho sentito parlare di Maria Santissima che scende in Purgatorio per liberare delle anime e portarle in Paradiso da Nostro Signore Gesù. Io e molte altre persone che conosco ci chiedevamo qual è la posizione della Chiesa a riguardo.
Patrizia Pecchioli

Prima di rispondere alla domanda specifica, bisogna ricordare che la dimensione del Purgatorio è dottrina comune della Chiesa, che non lo interpreta necessariamente come un luogo, quanto piuttosto come un’opportunità di purificazione post mortem e quindi come un dono della misericordia divina.

Affinché ciò sia chiaro bisogna ricordare che il Purgatorio non è una dottrina tardo medioevale: abbiamo testimonianze molto antiche di preghiera in suffragio e per la purificazione dei defunti che testimoniano tale credenza. Ad esempio alcune antiche iscrizioni tombali, fin dai secoli III-IV, chiedono preghiera per il defunto e ne invocano la purificazione, così come le liturgie funebri di suffragio e le preghiere private per i defunti sono attestate patristicamente fin dal sec. III (ad es. Tertulliano).

Il primo testo a fornire una dottrina del Purgatorio piuttosto compiuta fu il Prognosticon futuri saeculi di San Giuliano di Toledo (scritto fra il 687 e il 688), il quale con l’espressione ignis purgatorius (lib. II, cc. 20-23) descrive una prospettiva «purgante mediante fuoco». Si tratta di una descrizione che dà adito a pensare al Purgatorio come ad un luogo, ma ciò accade per la limitatezza del nostro linguaggio, in realtà quanto resta come veramente fondante in tale testo è l’opera di purificazione delle anime, che, sopravvissute alla morte del corpo, attendono sia la fine della purificazione, che la resurrezione della fine dei tempi. Ovviamente l’idea del fuoco proviene dalla memoria di Sap 3,6 (li ha saggiati come oro nel crogiuolo) e Sir 2,5 (perché con il fuoco si prova l’oro, e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore).

Sul Purgatorio come luogo i cristiani non cattolici avrebbero molto da dire, in realtà se lo consideriamo una dimensione di misericordiosa purificazione troviamo un maggiore consenso da parte delle varie confessioni cristiane, soprattutto fra gli ortodossi. Nel frattempo, da San Giuliano in poi la Chiesa si è espressa almeno due volte e ufficialmente sul Purgatorio. La prima volta con la costituzione Benedictus Deus di Papa Benedetto XII (29 gennaio 1336), in cui il Pontefice sostiene: «Noi… definiamo che… le anime di tutti… nei quali non ci fu nulla da purificare quando morirono, e non ci sarà nemmeno in futuro quando moriranno, oppure qualora ci sia stato o ci sarà in essi qualcosa da purificare, una volta che siano stati purificati dopo la morte… furono, sono e saranno in cielo, nel regno dei cieli, nel celeste paradiso, con Cristo, associate alla compagnia degli angeli santi». Si noti che il nostro testo non parla di un luogo, ma piuttosto di una azione, la purificazione che precede, per chi ne avesse necessità, l’associazione a Cristo.

Il secondo testo è della Congregazione per la Dottrina della Fede (Lettera su alcune questioni concernenti l’escatologia) del 1979, ove prima di tutto si afferma che: la «Chiesa afferma la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale, il quale è dotato di coscienza e di volontà, in modo tale che l’"io" umano sussista. Per designare un tale elemento, la Chiesa adopera la parola "anima"» (n. 3). Riaffermata la non mortalità dell’anima con questa bella definizione, che sarebbe preziosa da commentare dettagliatamente ma non è questa la sede, il documento prosegue adducendo che: la Chiesa «crede, infine, per quanto concerne gli eletti, ad una loro eventuale purificazione che è preliminare alla visione di Dio ed è, tuttavia, del tutto diversa dalla pena dei dannati. È quanto la Chiesa intende quando parla di Inferno e di Purgatorio» (n. 7).

Da quanto sopra ricordato bisogna rispondere alla domanda iniziale affermando che la Chiesa sostiene con certezza la sopravvivenza dell’anima alla morte del corpo, come del resto sostiene un atto misericordioso di purificazione offerto a quelle anime che ne avessero necessità prima della visione beatifica. Questo non avviene necessariamente in un luogo: spazio e tempo sono categorie umane che non sappiamo quanto siano pertinenti per parlare della realtà conseguente alla morte.

Sostenere la discesa della Vergine in Purgatorio a «liberare» le anime e condurle in Paradiso è contrario ad un aspetto del secondo testo citato, in quanto la purificazione verrebbe vista come prigionia e punizione, mentre questa è del tutto diversa dalla pena dei dannati. La purificazione non ha caratteristica punitiva, sebbene la sua esperienza comporti la pena del non accesso alla visione di Dio, ma non ci è dato pensare che sia costituita da sofferenza ulteriore, quindi la sua conclusione dovrebbe essere ritenuta non alla stregua di una liberazione, ma piuttosto di una festa: in primis la festa dell’incontro con il Cristo.

Dunque: non sempre le nostre credenze devozionali rispecchiano appieno l’insegnamento ecclesiale; in questo caso, se consideriamo la purificazione come una punizione, finiamo per oscurare l’aspetto misericordioso dell’offerta di una occasione di purificazione delle anime da parte di Dio. Coinvolgere la Vergine in questa opera di misericordia innestata direttamente nel mistero di Cristo morto, risorto, asceso al cielo e glorificato non sarebbe strettamente necessario, se non nella misura in cui la si consideri opportunamente associata alla sorte del Figlio.
Senza nulla togliere alla Madonna, talora la devozione popolare rischia di sopraesaltarla con esiti controproducenti: in questo caso si potrebbero oscurare la dimensione cristica della misericordia della purificazione, incentrata sul Mistero Pasquale del Signore, inoltre passa quasi in secondo piano la dinamica trinitaria in cui consiste l’accesso alla visione beatifica, da intendere come piena comunione con Dio Trino, Padre, Figlio, Spirito.

5/04/2015 fonte: Aleteia



IL SANTO DEL GIORNO 23/03/2015 San Turibio de Mogrovejo Vescovo


Turibio nacque da nobile famiglia a Maiorca (Spagna), nel 1538. Studiò Diritto nelle università di Coimbra e Salamanca. Aveva 40 anni ed era Presidente del Tribunale di Granada quando, su indicazione del Re Filippo II, il Papa Gregorio XIII lo nominò Arcivescovo di Lima.
Precipitosamente, quasi da un giorno all'altro, fu innalzato un semplice laico alla dignità di vescovo della Santa Chiesa. Sono così le vie della Provvidenza, quando ella decide di realizzare un'opera.  Si verificò col giurista Turibio lo stesso che, poco più di mille anni prima, si era verificato con lo statista Sant'Ambrogio: in quattro domeniche consecutive, Turibio ricevette gli ordini minori; poche settimane dopo fu ordinato presbitero e, infine, consacrato vescovo.

L'insigne giurista si fa catechista

San Turibio di Mogrovejo arrivò alla sua arcidiocesi nel maggio 1581. All'inizio dovette affrontare la decadenza spirituale degli spagnoli colonizzatori, i cui abusi i sacerdoti non osavano correggere. Il nuovo arcivescovo attaccò il male alla radice. Molti dei colpevoli di intollerabili vizi e scandali cercavano di giustificarsi:
- Facciamo quello che è costume essere fatto qui...
- Ma Cristo è verità, e non costume!- egli replicava.
Con energia e, soprattutto, col suo esempio personale, mise un freno agli abusi, moralizzò i costumi e promosse la riforma del clero.
In poco tempo, l'ex-giurista si trasformò in un esimio catechista che evangelizzava gli indigeni con parole semplici ma ardenti. Percorse tre volte in visita pastorale tutto l'immenso territorio della sua arcidiocesi, viaggiando instancabilmente per migliaia di chilometri. Entrava nelle capanne miserabili, cercava gli indigeni fuggitivi, sorrideva loro paternamente, parlava loro con bontà nei loro idiomi e li conquistava a Cristo.

Grandi attività, intensa vita di devozione

Le tre visite pastorali gli occuparono più di dieci dei suoi venticinque anni di episcopato!
Convocò e presiedette tredici sinodi regionali di vescovi. Regolamentò e perfezionò la catechesi degli indigeni e fece stampare per loro i primi libri pubblicati nell'America del Sud: il Catechismo in spagnolo, in quéchua e in aymara. Fondò cento nuove parrocchie nella sua arcidiocesi.
Tutto questo senza pregiudicare in nulla il punto fondamentale di ogni apostolo autentico: la sua propria vita spirituale. Richiamò l'attenzione di tutti coloro che avevano vissuto insieme a lui la sua intensa vita di devozione, alla quale dedicava quotidianamente molte ore di preghiera e meditazione.

Immensa gioia: "Andrai alla Casa del Signore!"

Ebbe l'inestimabile soddisfazione di convertire migliaia di indigeni e di cresimare tre santi: San Martino di Porres, San Francesco Solano e Santa Rosa di Lima.
La morte lo colse nel corso della sua ultima visita pastorale, in una povera cappella a quasi 500 chilometri da Lima. Sentendo approssimarsi l'ora estrema, recitò il Salmo 122: "Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!". Spirò dolcemente alle 15,30 del 23 marzo 1606, un Giovedì Santo.
Benedetto XIII lo canonizzò nel 1726 e Giovanni Paolo II lo ha proclamato Patrono dell'Episcopato Latino- Americano nel 1983.

Fonte: Rivista Araldi del Vangelo, Marzo 2006

Tratti caratteristici della santità di San Turibio

San Turibio di Mogrovejo è stato perfettamente consapevole che il ministero pastorale ha un senso solamente se è vissuto in santità e se la promuove: è stata una evangelizzazione alla santità.
Contemplare la figura di San Turibio di Mogrovejo è contemplare la figura di un vescovo che si dedica con esuberante generosità al suo ministero, senza dare alcuna importanza alle difficoltà e agli inconvenienti che si possono eventualmente incontrare durante il cammino. 
Può sorgere allora legittima la domanda: quale è stato il segreto della santità di San Turibio di Mogrovejo?
Il segreto della santità di San Turibio, come di qualsiasi santo, è stato il suo essere prossimo a Dio, la sua fedeltà alla preghiera, elemento fondamentale del suo ministero apostolico. È un dato di fatto che nella vita spirituale la persona progredisce nella misura in cui prega. (...)
L'amore verso i bisognosi è stato pure un tratto caratteristico della fisionomia spirituale dell'Apostolo del Perù. Questo amore per i poveri si manifestava negli innumerevoli gesti realizzati dal Santo, dal suo tratto affabile con gli indi e i bisognosi, passando per la consegna ai poveri dei beni che riusciva ad ottenere, giungendo persino alla donazione dei suoi stessi vestiti, mobili, e utensili domestici.
In San Turibio rafforziamo la nostra convinzione che il tempo consacrato a Dio è garanzia di una fedele dedizione al compimento dei propri doveri e al servizio dei fratelli.
Nella preghiera, San Turibio Alfonso di Mogrovejo comprese che "una delle caratteristiche fondamentali del pastore dev'essere amare gli uomini che gli sono stati affidati, allo stesso modo di come ama Cristo, di cui è al servizio". Egli ha compreso il ministero pastorale come lo concepisce il nostro caro Papa Benedetto XVI, che ha detto nella Messa di inaugurazione del suo Ministero Petrino: "Pascere vuol dire amare; e amare vuol dire anche essere disposto a soffrire. Amare significa dare alle pecore il vero bene, l'alimento della verità di Dio, l'alimento della sua presenza, che Egli soltanto ci dà nel Santissimo Sacramento".

Il Papa: dove non c'è misericordia non c'è giustizia



Dove non c’è misericordia non c’è giustizia e tante volte oggi il popolo di Dio soffre un giudizio senza misericordia: così, in sintesi, Papa Francesco durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

I rigidi hanno una doppia vita
Commentando le letture del giorno e riferendosi anche ad un altro passo evangelico, Papa Francesco parla di tre donne e tre giudici: una donna innocente, Susanna, una peccatrice, l’adultera, e una povera vedova bisognosa: "Tutte e tre - spiega - secondo alcuni padri della Chiesa, sono figure allegoriche della Chiesa: la Chiesa Santa, la Chiesa peccatrice e la Chiesa bisognosa”. "I tre giudici sono cattivi” e "corrotti”, osserva il Papa: c’è innanzitutto il giudizio degli scribi e dei farisei che portano l’adultera a Gesù. "Avevano dentro il cuore la corruzione della rigidità”. Si sentivano puri perché osservavano "la lettera della legge”. "La legge dice questo e si deve fare questo”:
"Ma non erano santi questi, erano corrotti, corrotti perché una rigidità del genere soltanto può andare avanti in una doppia vita e questi che condannavano queste donne poi andavano a cercarle da dietro, di nascosto, per divertirsi un po’. I rigidi sono - uso l’aggettivo che dava Gesù loro – ipocriti: hanno doppia vita. Quelli che giudicano, pensiamo nella Chiesa - tutte e tre le donne sono figure allegoriche della Chiesa - quelli che giudicano con rigidità la Chiesa hanno doppia vita. Con la rigidità neppure si può respirare”.
Il popolo di Dio tante volte non trova misericordia
Poi ci sono i due giudici anziani che ricattano una donna, Susanna, perché si conceda, ma lei resiste: "Erano giudici viziosi – sottolinea il Papa - avevano la corruzione del vizio, in questo caso la lussuria. E si dice che quando c’è questo vizio della lussuria con gli anni diventa più feroce, più cattivo”. Infine, c’è il giudice interpellato dalla povera vedova. Questo giudice "non temeva Dio e non si curava di nessuno: non gli importava niente, soltanto gli importava di se stesso”: Era "un affarista, un giudice che col suo mestiere di giudicare faceva gli affari”. Era "un corrotto di denaro, di prestigio”. Questi giudici – rileva il Papa – l’affarista, i viziosi e i rigidi, "non conoscevano una parola, non conoscevano cosa fosse misericordia”:
"La corruzione li portava lontano dal capire la misericordia, l’essere misericordiosi. E la Bibbia ci dice che nella misericordia è proprio il giusto giudizio. E le tre donne - la santa, la peccatrice e la bisognosa, figure allegoriche della Chiesa - soffrono di questa mancanza di misericordia. Anche oggi, il popolo di Dio, quando trova questi giudici, soffre un giudizio senza misericordia, sia nel civile, sia sull’ecclesiastico. E dove non c’è misericordia non c’è giustizia. Quando il popolo di Dio si avvicina volontariamente per chiedere perdono, per essere giudicato, quante volte, quante volte, trova qualcuno di questi”.
Una delle parole più belle del Vangelo: "Neanche io ti condanno"
Trova i viziosi che "sono capaci di tentare di sfruttarli”, e questo "è uno dei peccati più gravi”; trova "gli affaristi” che "non danno ossigeno a quell’anima, non danno speranza”; e trova "i rigidi che puniscono nei penitenti quello che nascondono nella loro anima”. "Questo – dice il Papa - si chiama mancanza di misericordia”. Quindi, conclude:
"Vorrei soltanto dire una delle parole più belle del Vangelo che a me commuove tanto: ‘Nessuno ti ha condannata?’ – ‘No, nessuno, Signore’ – ‘Neanch’io ti condanno’. Neanche io ti condanno: una delle parole più belle perché è piena di misericordia”.

23/03/2015 fonte: Radio Vaticana

Papa: ai "tanti" che vogliono "vedere Gesù" offriamo il Vangelo, il crocifisso e la testimonianza della nostra fede

"I cristiani possono diventare 'chicchi di grano' e portare molto frutto se, come Gesù, 'perdono la propria vita' per amore di Dio e dei fratelli". Anche quest'anno Francesco ha fatto distribuire un Vangelo in piazza san Pietro. Oggi ricorre la Giornata mondiale dell'acqua, promossa dalle Nazioni Unite, "le acque del pianeta siano adeguatamente protette e nessuno sia escluso o discriminato nell'uso di questo bene, che è un bene comune per eccellenza".


Città del Vaticano (AsiaNews) - Ai "tanti" che "vogliono vedere Gesù", che "sono alla ricerca del volto di Dio, a chi ha ricevuto una catechesi da piccolo e poi non l'ha più approfondita", "possiamo offrire tre cose: il Vangelo; il crocifisso e la testimonianzadella nostra fede, povera, ma sincera. Il Vangelo: lì possiamo incontrare Gesù, ascoltarlo, conoscerlo. Il crocifisso: segno dell'amore di Gesù che ha dato sé stesso per noi. E poi una fede che si traduce in gesti semplici di carità fraterna". L'ha detto papa Francesco prima della recita dell'Angelus, al termine del quale anche quest'anno ha fatto distribuire tra i presenti un Vangelo.

"Secondo l'antica tradizione della Chiesa - ha spiegato alle 40mila persone presenti in piazza san Pietro -  durante la Quaresima si consegna il Vangelo a coloro che si preparano al Battesimo; così io oggi offro a voi che siete in piazza un Vangelo tascabile. Vi sarà distribuito gratuitamente da alcune persone senza fissa dimora che vivono a Roma. Anche in questo vediamo un gesto che piace a Gesù: i più bisognosi ci regalano la Parola di Dio. Prendetelo e portatelo con voi, per leggerlo spesso, un passo ogni giorno. La Parola di Dio è luce per il nostro cammino!".

Dopo la recita della preghiera mariana, il Papa ha voluto "ringraziare la calorosa accoglienza di tutti i napoletani" tra i quali si è recato ieri e ha anche ricordato che "oggi ricorre la Giornata mondiale dell'acqua, promossa dalle Nazioni Unite. L'acqua - ha aggiunto - è l'elemento più essenziale per la vita, e dalla nostra capacità di custodirlo e di condividerlo dipende il futuro dell'umanità. Incoraggio pertanto la Comunità internazionale a vigilare affinché le acque del pianeta siano adeguatamente protette e nessuno sia escluso o discriminato nell'uso di questo bene, che è un bene comune per eccellenza. Con san Francesco d'Assisi diciamo: «Laudato si', mi' Signore, per sora aqua, / la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta»".

In precedenza, Francesco aveva commentato il passo del Vangelo di oggi nel quale "alcuni 'greci', di religione ebraica, venuti a Gerusalemme per la festa di Pasqua, si rivolgono all'apostolo Filippo e gli dicono: «Vogliamo vedere Gesù». Nella città santa, dove Gesù si è recato per l'ultima volta, c'è molta gente. Ci sono i piccoli e i semplici, che hanno accolto festosamente il profeta di Nazaret riconoscendo in Lui l'Inviato del Signore. Ci sono i sommi sacerdoti e i capi del popolo, che lo vogliono eliminare perché lo considerano eretico e pericoloso. Ci sono anche persone, come quei 'greci', che sono curiose di vederlo e saperne di più sulla sua persona e sulle opere da Lui compiute, l'ultima delle quali - la risurrezione di Lazzaro - ha fatto molto scalpore".

"«Vogliamo vedere Gesù»: queste parole, come tante altre nei Vangeli, vanno al di là dell'episodio particolare ed esprimono qualcosa di universale; rivelano un desiderio che attraversa le epoche e le culture, un desiderio presente nel cuore di tante persone che hanno sentito parlare di Cristo, ma non lo hanno ancora incontrato. Rispondendo indirettamente, in modo profetico, a quella richiesta di poterlo vedere, Gesù pronuncia una profezia che svela la sua identità e indica il cammino per conoscerlo veramente: «E' giunta l'ora che il figlio dell'uomo sia glorificato». E' l'ora della Croce! È l'ora della sconfitta di Satana, principe del male, e del trionfo definitivo dell'amore misericordioso di Dio. Cristo dichiara che sarà «innalzato da terra», un'espressione dal doppio significato: 'innalzato' perché crocifisso, e 'innalzato'  perché esaltato dal Padre nella Risurrezione, per attirare tutti a sé e riconciliare gli uomini con Dio e tra di loro. L'ora della Croce, la più buia della storia, è anche la sorgente della salvezza per quanti credono in Lui".

"Proseguendo nella profezia sulla sua Pasqua ormai imminente, Gesù usa un'immagine semplice e suggestiva, quella del "chicco di grano" che, caduto in terra, muore per portare frutto. In questa immagine troviamo un altro aspetto della Croce di Cristo: quello della fecondità. La morte di Gesù, infatti, è una fonte inesauribile di vita nuova, perché porta in sé la forza rigeneratrice dell'amore di Dio. Immersi in questo amore per il Battesimo, i cristiani possono diventare 'chicchi di grano' e portare molto frutto se, come Gesù, 'perdono la propria vita' per amore di Dio e dei fratelli. Per questo, a coloro che anche oggi 'vogliono vedere Gesù', a quanti sono alla ricerca del volto di Dio; a chi ha ricevuto una catechesi da piccolo e poi non l'ha più approfondita; a tanti che non hanno ancora incontrato Gesù personalmente...; a tutte queste persone possiamo offrire tre cose: il Vangelo; il crocifisso e la testimonianza della nostra fede, povera, ma sincera. Il Vangelo: lì possiamo incontrare Gesù, ascoltarlo, conoscerlo. Il crocifisso: segno dell'amore di Gesù che ha dato sé stesso per noi. E poi una fede che si traduce in gesti semplici di carità fraterna".

 
23/03/2015 fonte: Asia New

Pena di morte. Il Papa spiega perché no

di Massimo Introvigne

Il 20 marzo 2015 Papa Francesco ha reso pubblica una lettera alla Commissione internazionale contro la pena di morte, dove afferma di volere spiegare – con maggiore dettaglio rispetto a precedenti occasioni – perché oggi la Chiesa è contraria alla pena capitale. Il Pontefice è consapevole che, sul punto, la posizione della Chiesa Cattolica ha conosciuto un’evoluzione. Il «Catechismo della Chiesa Cattolica» del 1992 ricordava al n. 2667 che «l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani». 

Lo stesso «Catechismo» ricordava però che la Chiesa ha sempre fissato condizioni molto rigorose perché la pena di morte potesse essere applicata legittimamente. E concludeva che «oggi, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo "sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”». 

La citazione finale è di san Giovanni Paolo II, tratta dall’enciclica «Evangelium vitae», e autorevoli interpreti come il cardinale americano Avery Dulles avevano già tratto dall’accenno alla «pratica inesistenza» conclusioni che tendevano a escludere del tutto la legittimità oggi della pena di morte. Con la lettera alla Commissione internazionale Papa Francesco interviene autorevolmente a sostegno di questa interpretazione.

Il Pontefice parte dalla considerazione evidente secondo cui la vita è sacra. Già sant’Ambrogio, ricorda Francesco, affermava citando il caso di Caino che «Dio non volle punire l'omicida con un omicidio, poiché vuole il pentimento del peccatore più che la sua morte». Dunque, commenta il Papa, «neppure l'omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante». Pertanto la pena di morte è contraria «al senso di ‘humanitas’ e alla misericordia divina, che dovrebbe essere un modello per la giustizia degli uomini. Implica un tratto crudele, inumano e degradante, come lo è anche l'angoscia che precede il momento dell’esecuzione e la terribile attesa tra la sentenza e l’applicazione della pena, una ‘tortura’ che in nome di un giusto processo, dura solitamente molti anni e che in attesa della morte non di rado porta alla malattia e alla follia».

Oggi la situazione è resa più grave dall’uso strumentale che della pena di morte fanno i «regimi totalitari», per non parlare dei «gruppi di fanatici» che trasformano le esecuzioni capitali in spettacoli via Internet  di cui sono spesso vittima «nuovi martiri» cristiani. 

La Chiesa sa bene che ancora oggi la pena di morte è applicata anche da Stati di diritto e membri rispettati della comunità internazionale. Ma resta, scrive il Papa, «un fallimento» della giustizia, «inammissibile per quanto grave sia il delitto della persona condannata» perché «non rende giustizia alle vittime, ma incoraggia la vendetta». Francesco cita Dostoevskij: «Uccidere chi ha ucciso è incomparabilmente più grande della stessa punizione del crimine. L'omicidio in virtù di una sentenza è più spaventoso dell'omicidio che commette un criminale». No, commenta il Pontefice, «non si raggiungerà mai la giustizia uccidendo un essere umano».

Nello sviluppo storico della sua dottrina, la Chiesa ha riflettuto sul fatto che «la giustizia umana è imperfetta» e «con l'applicazione della pena capitale si nega al condannato la possibilità di riparare o di emendare il danno commesso», «della confessione attraverso cui l'uomo esprime la propria conversione interiore» e della «contrizione che porta al pentimento e all'espiazione, per giungere all’incontro con l’amore misericordioso e risanatore di Dio». I dibattiti sul «modo umano» di amministrare la pena capitale non risolvono il problema. «Non c'è un modo umano di uccidere un'altra persona».

E Francesco ricorda le riserve che in altre occasioni ha espresso sulle condanne all’ergastolo senza speranza di liberazione, una specie di «pena di morte nascosta» che priva totalmente il condannato della speranza. Mentre la giustizia «può prendere il tempo dei colpevoli, ma non potrà mai prendere la loro speranza». E sono contrarie alla dottrina sociale della Chiesa anche le condizioni carcerarie che non rispettano la «dignità umana» dei detenuti. 

Francesco invita implicitamente a leggere anche il suo Magistero sulla pena di morte secondo l’ermeneutica della «riforma nella continuità», che nell’enciclica «Caritas in veritate» Benedetto XVI chiedeva di applicare non solo al Vaticano II ma a tutto l’insegnamento della Chiesa. C’è una riforma nelle parole di Francesco rispetto al Magistero precedente? Certamente sì. Il Papa invita ad accettarla lealmente, e mostra che si situa nella linea di uno sviluppo del Magistero che tiene conto di condizioni storiche e di contesti giuridici mutati, e che già era stato avviato da san Giovanni Paolo II.

23/03/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

Il matrimonio gay s'avvicina È ora di scendere in piazza
di Alfredo Mantovano

Il 17 marzo, mentre l’attenzione mediatica era concentrata sul "divorzio breve”, in Commissione Giustizia al Senato la sen. Cirinnà ha depositato il nuovo testo base "regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. 

Nel resoconto della Commissione si legge che la ridefinizione dell’articolato è avvenuta "anche tenendo conto delle risultanze emerse nel corso delle audizioni”: esso è quindi il testo col quale confrontarsi, nonostante nelle stesse ore senatori di Forza Italia abbiano depositato un proprio testo alternativo (per il cui esame si rinvia a breve). Da una prima lettura del "nuovo Cirinnà” emerge che le audizioni di cui la relatrice sembra aver "tenuto conto” paiono essere solo quelle delle associazioni Lgbt: la stesura attuale è, se possibile, più propensa della precedente, risalente al luglio 2014, ad attribuire alle "unioni civili” un regime sovrapponibile a quello della famiglia fondata sul matrimonio. Resta infatti la distinzione fra la disciplina delle "unioni civili”, espressione che nel testo viene riferita esclusivamente alle unioni fra persone dello stesso sesso, e disciplina delle "convivenze”, che è invece un regime light fruibile indifferentemente fra persone dello stesso o di diverso sesso.

Confrontando il nuovo testo con il precedente, la novità sostanziale è costituita dalla estensione alla parte dell’"unione civile” della possibilità di adottare il minore che sia figlio adottivo dell’altro coniuge, oggi prevista solo per il nuovo coniuge. È, in qualche misura, la trasposizione in legge del principio stabilito nel giugno 2014 dal Tribunale per i Minorenni di Roma. È evidente che, nel momento in cui si legittima il convivente dello stesso sesso a diventare genitore adottivo del figlio in precedenza adottato dell’altro convivente non vi è più alcun ostacolo all’adozione per il convivente dello stesso sesso di un partner che ha avuto il figlio da fecondazione eterologa: era esattamente questo il caso previsto dalla sentenza di quel Tribunale. Se il nuovo testo diventasse legge, l’estensione della possibilità di adozione oltre la previsione del figlio adottivo del convivente non attenderebbe l’eventuale pronuncia della Corte costituzionale: avverrebbe per via giurisprudenziale, sulla base dell’identità di ratio.

Il resto risistema la precedente stesura, con passaggi di più accentuata equiparazione fra matrimonio e unione civile; per es., sono richiamati in esplicito gli articoli del codice civile, 143, 144 e 147, dei quali viene data lettura al momento della celebrazione del matrimonio, insieme ad altri finora applicati solo al matrimonio. È confermata la partecipazione alla quota di legittima nella successione e, se proprio va individuata una ulteriore novità, essa è costituita dalla norma (di delega) pro sindaci sulle trascrizioni delle nozze fra persone dello stesso sesso contratte all’estero: l’applicazione della disciplina delle "unioni civili” viene fatta derivare in automatico da tali nozze. 

Qualche rapida considerazione, di merito e politica:

1. l’affievolimento del regime matrimoniale prodotto dall’uno-due "divorzio facile- divorzio breve” è affiancato dal prospettato rafforzamento del vincolo fra persone dello stesso sesso. Il che conferma una manovra complessiva che, indebolendo il primo e strutturando il secondo, punta alla completa parificazione di entrambi;

2. l’inserimento dell’adozione fa saltare in aria la logica dell’adozione, per come finora – e da decenni – è stata disciplinata in Italia. Come già nella sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma, anche nel "nuovo Cirinnà” prevale la prospettiva adultocentrica, che dimentica il dato essenziale secondo il quale il sistema dell’adozione ha lo scopo di attribuire al minore una famiglia, non quello di attribuire un minore a una famiglia. Finora per il nostro ordinamento l’"interesse superiore del minore” non è coinciso con l’interesse degli adulti che lo reclamano: neanche le coppie coniugate hanno potuto avanzare il  "diritto" di avere un figlio in adozione. Le caratteristiche dell’essere una coppia, unita in matrimonio, con una differenza di età con l'adottando fra i 18 e i 45 anni sono ispirate al criterio dell'imitatio naturae, hanno costituiscono i requisiti di ammissibilitá della domanda di adozione, e sono condizioni necessarie ma non sufficienti per essere considerati idonei all'adozione. Non sufficienti perché devono poi seguire le valutazioni dei servizi sociali e del Tribunale. La coppia costituita da persone dello stesso sesso, con il suo duplicare talune caratteristiche soggettive dei genitori, priva il minore di una varietá di esperienze relazionali: discostandosi dal modello familiare prevalente in natura, costringe il minore a uscire, per così dire, dalla sua "zona di comfort" ;

3. questo inserimento, se contrasta con la logica della adozione, è invece in linea con quella della sentenza della Corte costituzionale, la n. 162/2014, in tema di fecondazione eterologa e con la legislazione abortista. La sentenza 162 ha sancito la "libertà di autodeterminarsi” in ordine alla formazione di una famiglia con figli, chiudendo il cerchio aperto col riconoscimento del "diritto” di aborto: infatti, se la "libertà di autodeterminarsi” ha un peso tale da avere la meglio sulla vita di un figlio che già esiste e ha il solo limite di essere troppo giovane, è ovvio che incida parallelamente sulla possibilità di avere un figlio con gameti estranei alla coppia, a prescindere, dalla "identità genetica”. Nella medesima logica la "nuova Cirinnà” estende la "libertà di autodeterminarsi” a poter avere il figlio in adozione a prescindere dai requisiti fino a questo momento richiesti. Il figlio in questo modo diventa un oggetto: un oggetto da rimuovere se ha avuto la cattiva idea di essere concepito in contrasto con un’autodeterminazione che andava nella direzione opposta; un oggetto da ottenere perfino col patrimonio genetico – e quindi con l’identità – di altri se l’autodeterminazione si volge al suo conseguimento; ovvero da ottenere in adozione anche da single o coppie dello stesso sesso.

Coglierà la portata di queste disposizioni chi fra Camera e Senato finora ha dichiarato di voler sostenere la famiglia, e poi ha votato con convinzione il divorzio facile e quello breve? Ci si rende conto fuori dal Palazzo della posta in gioco, e quindi della necessità di far finalmente sentire – nelle piazze e con tutte le forme di dissenso possibile – la propria voce a chi sta dentro il Palazzo?

23/03/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 06/03/2015 Beata Rosa da Viterbo Vergine



Nel 1252 papa Innocenzo IV pensa di farla santa, e ordina un processo canonico, che forse non comincia mai. La sua fama di santità cresce ugualmente, e nel 1457 Callisto III ordina un nuovo processo, regolarmente svolto: ma nel frattempo muore, e Rosa non verrà mai canonizzata col solito rito solenne. Ma il suo nome è già elencato tra i santi nell’edizione 1583 del Martirologio romano. Via via si dedicano a lei chiese, cappelle e scuole in tutta Italia, e anche in America Latina.
Vita breve, la sua. Nasce dai coniugi Giovanni e Caterina, forse agricoltori nella contrada di Santa Maria in Poggio. Sui 16-17 anni, gravemente malata, ottiene di entrare subito fra le terziarie di san Francesco, che ne seguono la regola vivendo in famiglia. Guarita, si mette a percorrere Viterbo portando una piccola croce o un’immagine sacra: prega ad alta voce ed esorta tutti all’amore per Gesù e Maria, alla fedeltà verso la Chiesa. Nessuno le ha dato questo incarico. Viterbo intanto è coinvolta in una crisi fra la Santa Sede e Federico II imperatore. Occupata da quest’ultimo nel 1240, nel 1247 si è "data” accettandolo come sovrano.
Rosa inizia la campagna per rafforzare la fede cattolica, contro l’opera di vivaci gruppi del dissenso religioso, nella città dove comandano i ghibellini, ligi all’imperatore e nemici del papa. Un’iniziativa spirituale, ma collegata alla situazione politica. Per questo, il podestà manda Rosa e famiglia in domicilio coatto a Soriano del Cimino. Un breve esilio, perché nel 1250 muore Federico II e Viterbo passa nuovamente alla Chiesa. Ma non sentirà più la voce di Rosa nelle strade. La giovane muore il 6 giugno probabilmente del 1251 (altri pongono gli estremi della sua vita tra il 1234 e il 1252). Viene sepolta senza cassa, nella nuda terra, presso la chiesa di Santa Maria in Poggio. Nel novembre 1252 papa Innocenzo IV promuove il primo processo canonico (quello mai visto) e fa inumare la salma dentro la chiesa. Nel 1257 papa Alessandro IV ne ordina la traslazione nel monastero delle Clarisse. E forse vi assiste di persona, perché trasferitosi a Viterbo dall’insicura Roma (a Viterbo risiederanno i suoi successori fino al 1281).
La morte di Rosa si commemora il 6 marzo. Ma le feste più note in suo onore sono quelle di settembre, che ricordano la traslazione del corpo nell’attuale santuario a lei dedicato. Notissimo è il trasporto della "macchina” per le vie cittadine: è una sorta di torre in legno e tela, rinnovata ogni anno, col simulacro della santa, portata a spalle da 62 uomini. Si ricorda nel 1868 anche l’iniziativa del conte Mario Fani che col circolo Santa Rosa, a Viterbo, anticipava la Società della Gioventù Cattolica, promossa poi dai cattolici bolognesi con Giovanni Acquaderni. Nel 1922 Benedetto XV ha proclamato Rosa patrona della Gioventù Femminile di Azione Cattolica.
A Viterbo, di cui è patrona della città e compatrona della diocesi, è ricordata il 4 settembre, giorno della traslazione.


Papa, Stato non guadagni con medicina: curare, non lasciare morire

 di Giada Aquilino:

Quando "la logica dell’utilità” prende il sopravvento su quella "della solidarietà e della gratuità”, la società ha il "dovere” di custodire la persona umana. Lo ha detto il Papa ricevendo i partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, che in questi giorni in Vaticano è chiamata a riflettere sul tema: "Assistenza all’anziano e cure palliative”. Il tema, ha ricordato il presidente, mons. Ignacio Carrasco de Paula, non è solo una "giusta riconoscenza verso quanti ci hanno aperto le strade della vita” e una doverosa "valorizzazione della loro inalienabile dignità”, ma è anche un modo di riconoscere "il loro autentico protagonismo”.
Persona, dono prezioso anche quando diventa fragile
La persona umana rimane sempre preziosa, "anche se segnata dall’anzianità e dalla malattia”. Papa Francesco lo ha ribadito in Sala Clementina, riflettendo con i partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia per la Vita sulla società contemporanea:
"La logica dell’utilità prende il sopravvento su quella della solidarietà e della gratuità, persino all’interno delle famiglie”.
Anziani oggi emarginati fino all'abbandono
Invece la persona, "amata da Dio”, è un bene per sé stessa e per gli altri, ha ricordato: "quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell’esistenza terrena”, sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore. Anzi: la Bibbia riserva una severa ammonizione per coloro che trascurano o maltrattano i genitori: lo stesso giudizio "vale oggi - ha sottolineato, ricordando i "tanti esempi” - quando i genitori, divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all’abbandono”. L’invito del Pontefice è stato dunque a prendere spunto - con "cuore docile” - dalla Parola di Dio, contenuta nei comandamenti biblici, in particolare quello che ci chiede di onorare i genitori e "in senso lato ci rammenta l’onore che dobbiamo a tutte le persone anziane”:
"‘Onorare’ oggi potrebbe essere tradotto pure come il dovere di avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o ‘fatto morire’”.
"Tutta” la medicina ha quindi un ruolo speciale all’interno della società, come testimone "dell’onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano”:
"Evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l’agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina. Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana”.
Anziani curati dall'amore familiare
Le cure palliative, ha sottolineato Francesco, finora "sono state un prezioso accompagnamento per i malati oncologici”, ma oggi sono "molte e variegate” le malattie spesso legate all’anzianità caratterizzate "da un deperimento cronico progressivo”, che quindi possono avvalersi di questo tipo di assistenza:
"Gli anziani hanno bisogno in primo luogo delle cure dei familiari - il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più competenti e caritatevoli”.
Cure palliative, adeguato accompagnamento umano
Quando non autosufficienti o con malattia avanzata o terminale, gli anziani possono allora godere "di un’assistenza veramente umana”, con risposte adeguate alle loro esigenze, grazie alle cure palliative "offerte ad integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari”. Nella fase finale della malattia, le cure palliative hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze, assicurando "al paziente - ha aggiunto - un adeguato accompagnamento umano”:
"Si tratta di un sostegno importante soprattutto per gli anziani, i quali, a motivo dell’età, ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa e rimangono spesso abbandonati. L’abbandono è la "malattia” più grave dell’anziano, e anche l’ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della nostra tenerezza”.
Scienza, ausilio per bene dell'uomo
L’incoraggiamento del Papa è stato a professionisti e studenti "a specializzarsi in questo tipo di assistenza” che, seppure "non salva la vita”, valorizza la persona. D’altra parte, ha proseguito, ogni conoscenza medica è davvero scienza "solo se si pone come ausilio in vista del bene dell’uomo”, un bene che - ha sottolineato - non si raggiunge mai "contro” la sua vita e la sua dignità. In tal modo si misura il vero progresso della medicina e della società tutta:
"Ripeto l’appello di san Giovanni Paolo II: ‘Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità’”.

06/03/2015 fonte: radio Vaticana

Card. Turkson: attenzione per i poveri e il creato in Papa Francesco

"Ecologia integrale ed orizzonte di speranza: l’attenzione per i poveri ed il Creato nel magistero di Papa Francesco”. Questo il tema della conferenza di Quaresima tenuta ieri sera in Irlanda dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il porporato è intervenuto presso la Pontificia Università San Patrizio di Maynooth, nell’ambito di un incontro quaresimale organizzato da "Trócaire”, l’organismo caritativo della Conferenza episcopale irlandese.
Salvaguardare il Creato, un dovere di tutti gli esseri umani
Quattro, in particolare, i punti messi in risalto dal card. Turkson: il primo riguarda il fatto che l’appello a tutelare l’ambiente riguarda tutti gli esseri umani, affinché si promuova uno sviluppo umano davvero autentico e sostenibile. D’altronde, la visione della Chiesa al riguardo – come evidenziato da Papa Francesco e dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – implica "la cura e la tutela della persona umana e del suo ambiente in tutte le dimensioni possibili”. In secondo luogo, il porporato ha evidenziato che la salvaguardia del Creato "è un dovere”: "Proteggere l’ambiente, sviluppare e vivere un’ecologia integrale – ha affermato il card. Turkson – in quanto basi per la pace nel mondo, è un dovere cristiano fondamentale”, "un dovere sacro”.
Distruggere l’ambiente è un peccato grave
Non solo: il presidente di Giustizia e Pace ha ribadito il legame essenziale tra umanità, Creato e giustizia, tanto che "violare uno di questi legami” e "distruggere l’ambiente è un peccato grave”. La persona giusta, infatti, è quella che "preserva la comunione con Dio, con il prossimo e con la terra e, così facendo, crea la pace”. In quest’ottica, inoltre, ha detto il card. Turkson, è importante "condividere i frutti del Creato con gli altri, specialmente con i poveri, gli stranieri, le vedove, gli orfani”. In terzo luogo, il porporato ha richiamato l’importanza di una "conversione ecologica” del cuore umano, ovvero di "un radicale e fondamentale cambiamento del nostro atteggiamento nei confronti del Creato, dei poveri e delle priorità dell’economia globale”.
Dare spazio alla religione per capire cosa è davvero importante
Dal suo canto, la religione, ha aggiunto il porporato, può dare un notevole contributo al tema della salvaguardia ambientale perché può aiutare ad "orientare e integrare gli esseri umani nell’universo, identificando cosa è davvero importante e cosa bisogna proteggere in quanto sacro”. "Dare spazio alla religione – dunque – può trasformare il nostro atteggiamento nei confronti dell’ambiente in un modo in cui gli approcci politici o economici non possono fare”.
Appello ad una nuova solidarietà globale
Infine, il card. Turkson ha lanciato un appello al dialogo e ad una "nuova solidarietà globale”, in cui "ciascuno può fare la sua parte ed ogni singola azione, non importa quanto piccola, può fare la differenza”. "Il bene della persona umana – ha concluso il porporato – e non il perseguimento del profitto, è il valore-guida per la ricerca del bene comune universale”. (A cura di Isabella Piro) 

06/03/2015 fonte: Radio Vaticana

Io voglio aiutare i ragazzi a diventare santi». Intervista al vescovo di San Francisco, “colpevole” di essere cattolico



di Benedetta Frigerio

Attaccato perché ha chiesto di insegnare la morale cattolica nelle scuole cattoliche, Salvatore Joseph Cordileone ci spiega perché è stato criticato dai media e lgbt Usa
cordileone-joseph-salvatore«C’è una grande confusione e una rinuncia a usare la ragione e a conoscere i fatti. Dicono che sono irremovibile, ma io non posso venire meno al mio compito di vescovo e pastore che deve difendere i più deboli dalla menzogna. Ho sempre ascoltato tutti. Ho spiegato di essere disposto ad aggiungere al regolamento altri punti della dottrina e ho sottolineato la differenza fra pubblico e privato, fra peccato e peccatore». Il "regolamento” di cui parla l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Joseph Cordileone con tempi.it è quel documento che lo ha fatto finire in queste settimane sui maggiori giornali statunitensi. Persino il New York Times ne ha parlato e non certo per mettere in buona luce l’alto prelato che porta nel suo cognome chiare origini italiane. Nominato il 27 luglio del 2012 da papa Benedetto XVI a capo di una delle diocesi più liberal d’America, Cordileone non ha mai nascosto le sue idee e non è la prima volta che si trova a difendere pubblicamente la morale cristiana. Questa, volta, però, il caso è del tutto particolare, anche perché ad attaccarlo non ci sono solo i media progressisti o gli attivisti delle associazioni gay, ma gli stessi cattolici.
LE PROTESTE: «SI DIMETTA». Tutto è cominciato il 3 febbraio scorso, quando Cordileone ha dovuto mettere mano al rinnovo dei contratti degli insegnanti delle scuole superiori cattoliche della diocesi. «Il contratto – spiega – deve essere revisionato ogni quattro anni e io ho deciso di inserire diversi punti dottrinali su cui oggi si fa molta confusione, chiedendo che i docenti non li contraddicessero in aula e nella loro vita pubblica». Niente di strano. «Ho semplicemente ribadito che occorre seguire il magistero cattolico». L’arcivescovo ha, infatti, ricordato quale sia la posizione della Chiesa e del catechismo in merito alla morale sessuale, la contraccezione, l’uso delle cellule staminali. È scoppiato un putiferio. Un gruppo di docenti, genitori e alunni ha accusato Cordileone di tradire il Vangelo e di alimentare la discriminazione e la paura. Il Mercoledì delle ceneri è stata organizzata una fiaccolata di protesta davanti alla cattedrale di St. Mary in cui è stata data voce a uno studente omosessuale che ha detto: «Siamo qui a pregare che il cuore del vescovo si converta». Il giorno prima, un gruppo di legislatori democratici gli ha inviato una lettera chiedendogli di dimettersi. Diverse associazioni Lgbt lo hanno attaccato e nella campagna mediatica si è persino fatto avanti Sam Singer, uno dei più maggiori strateghi della comunicazione statunitense: «Stiamo tutti pregando perché papa Francesco rimuova l’arcivescovo di San Francisco».
«PROPONGO LA SANTITA’». «Dicono che fomento l’odio – spiega Cordileone a tempi.it -, ma non capiscono che la condanna dell’errore non coincide con quella della persona. Anzi, come ho ribadito, si condanna il peccato per amore della nostra fragile umanità». Un’umanità sempre più soggetta «alle continue sollecitazioni della mentalità che spinge verso condotte contrarie alla dignità dell’essere umano: mi sono mosso solo per amore verso i nostri ragazzi perché possano vivere da santi».
C’è un antefatto poco conosciuto, ma che spiega quali siano le intenzioni pastorali dell’arcivescovo nei confronti degli studenti e dei docenti delle scuole cattoliche. All’inizio dell’anno accademico, Cordileone parlando ai professori spiegò che i giovani che ogni giorno si incontrano in aula non sono una generazione perduta, come spesso si è portati a credere, ma che anche loro possono raggiungere grandi mete, se solo qualcuno è disposto a indicare loro una via. «Dobbiamo aiutare i ragazzi a diventare santi. Siamo qui per questo. E come si comincia? Bisogna partire dalle virtù eroiche dei servi di Dio che sono l’umiltà e la castità, non come rinunce ma come frutto dello sguardo sul nostro prossimo, creatura di Dio e, dunque, non manipolabile ma degno di rispetto». Dopo quel discorso, ricorda l’arcivescovo, molti professori «chiesero di parlarmi. Incontrai tanta gente di buona volontà che voleva capire come presentare a tutti queste virtù con decisione e carità». Oggi, però, dove sono? «Non mi stupisco che abbiano paura a mostrarsi pubblicamente. In queste quattro settimane sono stato attaccato da tutti i maggiori media, si è creato un clima da caccia alle streghe che penso abbia intimidito la maggioranza».
IL SOSTEGNO. Lui, da par suo, non indietreggia di un millimetro. «Quei politici che mi hanno accusato di voler controllare la condotta privata degli insegnanti, mentono. A loro ho risposto così: "Assumeresti come leader della tua causa qualcuno che parli e agisca pubblicamente contro il partito democratico? Assumeresti un repubblicano che insegni e agisca pubblicamente contro il tuo proposito? Se la risposta alla prima domanda è ‘sì’ e alla seconda è ‘no’, siamo d’accordo”. Io rispetto il tuo diritto ad assumere chi vuoi per portare avanti la tua missione. Semplicemente chiedo lo stesso rispetto».
Oggi l’arcivescovo ammette di sentirsi «spesso solo», anche se sente il sostegno di tanti che gli scrivono. «Ricevo lettere di fedeli da tutti gli Stati Uniti, incontro molti parrocchiani che pregano per me e anche altri preti e vescovi. A non farmi indietreggiare sono la loro vicinanza e le loro preghiere».


06/03&2015 fonte: tempi.it

E ora daremo all'islam anche la cattedrale di Cordova

di Rino Cammilleri

Eh, da due secoli la Spagna è così: una terra che trasuda cattolicesimo da ogni poro e un’élite politico-artistico-intellettuale che il cattolicesimo lo odia. Fino al punto di castrarsi pur di fare un dispetto alla moglie. L’ultima è questa: la giunta dell’Andalusia ha dato tempo fino a tutto marzo al Consiglio che regge la Cattedrale di Cordova di acconsentire a una cogestione paritaria con i musulmani, altrimenti andrà per vie legali. Il che, come fa osservare il foglio informativo dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre, potrebbe anche voler dire esproprio. 

La cattedrale, infatti, era una moschea al tempo di Al-Andalus, e adesso gli islamici, aizzati dalla nouvelle vague fondamentalista, la rivogliono. In attesa di riprendersi, con calma, il resto. Certo, intanto si procede un pezzo alla volta: un numero di membri, nella gestione, uguale a quello della Chiesa. Poi si vedrà. Naturalmente, l’iniziativa è partita dai soliti pulpiti: la formazione Sinistra Unita ha accusato la Chiesa andalusa di avere occultato la «natura islamica» del monumento. E i centri islamici non si sono fatti pregare. Già: pregare. Infatti, secondo la dottrina islamica classica, un luogo in cui un musulmano ha pregato una volta diventa musulmano per sempre. Il caso di Cordova, com’è di certo nelle intenzioni, può costituire un precedente, perché i "mori” in Spagna ci sono stati otto secoli e non c’è quasi angolo che non ne conservi traccia. Bisognerà dunque aspettarsi una sequela di contenziosi, anche se gli interessati dovranno far presto, perché il buonismo politicamente corretto non durerà per sempre: già i popoli occidentali cominciano a dar segni di insofferenza e la storia insegna che ogni ideologia può in qualsiasi momento rovesciarsi nel suo contrario. 

Nel caso della cattedrale di Cordova e di tutti gli altri monumenti ex islamici di Spagna, l’«occultamento» è una bufala perché da anni non c’è guida turistica che non assilli i visitatori con la triste storia della cattiveria dei cristiani che hanno tentato a suo tempo di cancellare le meraviglie dell’arte arabesca. Ma basta farsi un giro su internet per verificare come ciò sia completamente falso. La stessa voce relativa di Wikipedia riporta "Moschea di Cordova”, che dedica alla "Cattedrale” un paragrafo. Il decano dei canonici della cattedrale, mons. Pérez Moya, ha replicato alla giunta che, se cercava una scusa, doveva cercare meglio, perché non c’è opuscolo informativo che non racconti l’intera storia dell’edificio sacro. Il quale, se vogliamo dirla tutta, non nacque come moschea, ma come chiesa: era la basilica visigota di San Vicente quella che l’emiro Abd al-Rahman trasformò in moschea nel 785 prima che san Ferdinando III di Castiglia la riportasse alla funzione originaria nel 1236. E, per l’esattezza, l’emiro rase al suolo la chiesa, cosa che i cristiani non fecero con la moschea, limitandosi a riattarla. 

L’edificio fu moschea per quattrocento anni, ma cattedrale per ottocento, se non vogliamo calcolare il tempo in cui fu chiesa visigota. Ma parlare di reciprocità con i musulmani non ha senso: è uno dei tanti elementi della logica occidentale che la loro filosofia non è in grado di intendere. Tra un’ideologia islamista per cui la religione è tutto e una filosofia per cui la religione è niente il dialogo è tra sordi e tutto si risolve in base ai rapporti di forza. Oggi l’islam religioso-politico (ma dov’è la differenza?) avanza negli spazi in cui l’Occidente arretra. Coi petrodollari, per vie legali o coi cannoni, a seconda delle circostanze. Senza, naturalmente, cedere una virgola in cambio. 

La moschea di Cordova fu a lungo la più grande di tutto l’islam, anche se pare contenga un clamoroso errore: il mihrab non indica la Mecca ma è genericamente rivolto a Sud. Si tratta della nicchia che, in ogni moschea, addita la direzione della Ka’ba verso la quale si deve pregare. È molto importante per la sal?t (la preghiera obbligatoria), tant’è che sugli aerei di linea di compagnie islamiche una scritta mobile viene proiettata onde consentire ai passeggeri di sapere dove volgersi (nelle stanze degli alberghi c’è un’iscrizione sulla parete); esistono anche tappeti da preghiera con bussola incorporata. Come sappiamo, fu san Ferdinando III, re di Castiglia e León, il Conquistatore dell’Andalusia, a ripristinare il culto cristiano nella moschea di Cordova nel 1236.

L’edificio non fu toccato fino al XVI secolo, quando, completata la Riconquista della Spagna al cristianesimo, diverse colonne centrali vennero rimosse per dar luogo all’attuale meraviglia architettonica che fonde gli stili gotico, rinascimentale e barocco su quello arabo. Il progetto di modifica diede luogo a dispute anche accese, e lo stesso Carlo V avrebbe preferito lasciare le cose come stavano. Ma era l’epoca dell’euforia per il ritrovato Regno Cattolicissimo e gli spagnoli si comportarono come il fidanzato che, viste nella stanza dell’amata le foto di chi l’aveva preceduto, pretende che le si sostituisca con le sue. Ma i cristiani almeno lasciavano le cornici, se erano belle. Cosa che non si può dire degli altri. 

06/03/2015 fonte La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 20/02/2015 Sant' Eleuterio di Tournai Vescovo


Questo nome inconsueto ai nostri giorni fu assai comune nei primi secoli del cristianesimo appartenendo a ben quattordici santi, tra cui un papa che governò la Chiesa dal 175 al 189 e viene festeggiato il 26 maggio come martire, benché il suo martirio non sia comprovato da testimonianze storiche attendibili. Oggi il Martirologio Romano ricorda due vescovi con lo stesso nome: S. Eleuterio di Costantinopoli, che resse la Chiesa bizantina in un'epoca imprecisata (inizio del secondo secolo o addirittura fine del quinto secolo), e S. Eleuterio, vescovo di Tournai in Belgio, dov'è molto diffusa la sua devozione.
Questo santo, popolare nel nord d'Europa, visse in un periodo assai travagliato nella storia della nazione francese: la data di nascita è presumibilmente il 456 e quella della morte il 531. 
E’ l'epoca in cui la Gallia, già meta di varie migrazioni barbariche, come quella dei Burgundi e dei Visigoti - convertitisi malamente al cristianesimo, essendo passati dall'idolatria all'eresia ariana - divenne terra di conquista dei Franchi di re Clodoveo. Alla conversione di questi contribuirono la moglie cristiana, Clotilde, venerata come santa, il vescovo di Reims, S. Remigio, e anche S. Eleuterio, eletto vescovo di Tournai nel 484, quando Clodoveo aveva fatto di questa città la capitale del suo regno, prima di muovere alla conquista della regione parigina.
Benchè non possediamo alcun testo storicamente sicuro sull'attività di questo santo vescovo e sulla sua opera missionaria, molti aneddoti sulla sua vita e sui suoi contatti col re pagano Clodoveo ci sono riferiti in una biografia attribuita a S. Medardo, coetaneo e addirittura compagno di giochi, nella fanciullezza, di S. Eleuterio. Lo stesso Medardo gli predisse che un giorno sarebbe divenuto vescovo, ma quella profezia equivaleva a un augurio di vita difficile se non addirittura di martirio. I popoli barbari, che dalle regioni orientali si riversavano nelle verdi colline della Francia, non conoscevano altra autorità che quella del loro re. Al vescovo di Tournai toccò il compito di gettare il seme della parola di Dio in un rozzo popolo idolatra, i Franchi, che nel 506 riceveranno in massa il battesimo sull'esempio del loro re, dopo la vittoria sugli Alemanni a Tolbiac. Ma l'onore di questa abbondante messe toccherà a S. Remigio. Di S. Eleuterio umile e infaticabile operaio evangelico, che ebbe come campo di lavoro la nuova frontiera del cristianesimo, rappresentata dai popoli barbari, resta l'urna funeraria conservata nella cattedrale di Tournai, meta di continui pellegrinaggi.

Il Papa: mai usare Dio per coprire l'ingiustizia



I cristiani, specie in Quaresima, sono chiamati a vivere coerentemente l’amore a Dio e l’amore al prossimo. E’ uno dei passaggi chiave dell’omelia che Francesco ha pronunciato nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ha messo dunque in guardia da chi invia un assegno alla Chiesa e poi si comporta ingiustamente con i suoi dipendenti.
  di Alessandro Gisotti:


Il popolo si lamenta davanti al Signore perché non ascolta i suoi digiuni. Papa Francesco ha mosso la sua meditazione partendo dal brano di Isaia nella prima Lettura. E subito ha sottolineato che bisogna distinguere tra "il formale e il reale”. Per il Signore, ha osservato, "non è digiuno, non mangiare la carne” ma poi "litigare e sfruttare gli operai”. Ecco perché Gesù ha condannato i farisei perché facevano "tante osservanze esteriori, ma senza la verità del cuore”.
L’amore a Dio e all’uomo sono uniti, fare penitenza reale
Il digiuno che vuole Gesù invece è quello che scioglie le catene inique, rimanda liberi gli oppressi, veste i nudi, fa giustizia. "Questo – ha ribadito il Papa – è il digiuno vero, il digiuno che non è soltanto esterno, un’osservanza esterna, ma è un digiuno che viene dal cuore”:
"E nelle tavole della legge c’è la legge verso Dio e la legge verso il prossimo e tutte e due vanno insieme. Io non posso dire: 'Ma, no, io compio i tre comandamenti primi… e gli altri più o meno'. No, se tu non fai questi, quello non puoi farlo e se tu fai questo, devi fare questo. Sono uniti: l’amore a Dio e l’amore al prossimo sono una unità e se tu vuoi fare penitenza, reale non formale, devi farla davanti a Dio e anche con il tuo fratello, con il prossimo”.
Peccato gravissimo usare Dio per coprire l’ingiustizia
Si può avere tanta fede, ha proseguito, ma – come dice l’Apostolo Giacomo – se "non fai opere è morta, a che serve”. Così, se uno va a Messa tutte le domeniche e fa la comunione, gli si può chiedere: "E com’ è il tuo rapporto con i tuoi dipendenti? Li paghi in nero? Paghi loro il salario giusto? Anche versi i contributi per la pensione? Per assicurare la salute?”:
"Quanti, quanti uomini e donne di fede, hanno fede ma dividono le tavole della legge: ‘Sì, sì io faccio questo’ – ‘Ma tu fai elemosina?’ – ‘Sì, sì, sempre io invio un assegno alla Chiesa’ – ‘Ah, beh, va bene. Ma alla tua Chiesa, a casa tua, con quelli che dipendono da te - siano i figli, siano i nonni, siano i dipendenti - sei generoso, sei giusto?’. Tu non puoi fare offerte alla Chiesa sulle spalle della ingiustizia che fai con i tuoi dipendenti. Questo è un peccato gravissimo: è usare Dio per coprire l’ingiustizia”.
"E questo – ha ripreso – è quello che il profeta Isaia in nome del Signore oggi ci fa capire”: "Non è un buon cristiano quello che non fa giustizia con le persone che dipendono da lui”. E non è un buon cristiano, ha soggiunto, "quello che non si spoglia di qualcosa necessaria a lui per dare a un altro che abbia bisogno”. Il cammino della Quaresima, ha detto ancora, "è questo, è doppio, a Dio e al prossimo: cioè, è reale, non è meramente formale. Non è non mangiare carne solamente il venerdì, fare qualcosina, e poi fare crescere l’egoismo, lo sfruttamento del prossimo, l’ignoranza dei poveri”. C’è chi, ha raccontato il Papa, se ha bisogno di curarsi va in ospedale e siccome è socio di una mutua subito viene visitato. "E’ una cosa buona – ha commentato il Papa – ringrazia il Signore. Ma, dimmi, hai pensato a quelli che non hanno questo rapporto sociale con l’ospedale e quando arrivano devono aspettare 6, 7, 8 ore?”, anche "per una cosa urgente”.
A Quaresima, facciamo posto nel cuore per chi ha sbagliato
E c’è gente qui, a Roma, ha avvertito, che vive così e la Quaresima serve "per pensare a loro: cosa posso fare per i bambini, per gli anziani, che non hanno la possibilità di essere visitati da un medico?”, che magari aspettano "otto ore e poi ti danno il turno per una settimana dopo”. "Cosa fai per quella gente? Come sarà la tua Quaresima?”, domanda Francesco. "Grazie a Dio io ho una famiglia che compie i comandamenti, non abbiamo problemi…” – "Ma in questa Quaresima – chiede ancora il Papa - nel tuo cuore c’è posto per quelli che non hanno compiuto i comandamenti? Che hanno sbagliato e sono in carcere?”: 
"‘Ma con quella gente io no…’  - ‘Ma tu, lui è in carcere: se tu non sei in carcere è perché il Signore ti ha aiutato a non cadere. Nel tuo cuore i carcerati hanno un posto? Tu preghi per loro, perché il Signore li aiuti a cambiare vita?’ Accompagna, Signore, il nostro cammino quaresimale perché l’osservanza esteriore corrisponda a un profondo rinnovamento dello Spirito. Così abbiamo pregato. Che il Signore ci dia questa grazia”.

20/02/2015 fonte: Radio vaticana


Incontro del Papa con i parroci romani - L'Osservatore Romano



Papa Francesco ha incontrato oggi nell’Aula Paolo VI in Vaticano i parroci romani sul tema dell’Ars celebrandi, in particolare sull’omelia. Per prepararsi all’incontro i sacerdoti hanno ricevuto un intervento del 2005 che l’allora cardinale Bergoglio tenne presso la Congregazione per il Culto Divino proprio su questo tema. Ascoltiamo in proposito la riflessione di don Fabio Bartoli, parroco della Chiesa di San Benedetto, al microfono di Sergio Centofanti:
R. - Mi ha colpito molto innanzi tutto un riferimento che lui faceva sulla necessità di recuperare il senso dello stupore nella Liturgia; mi ha colpito l’idea che lui ha sottolineato di come alla fine non è capace di stupore né il sacerdote che celebra in una maniera rubricistica, attento soltanto alle norme, ma nemmeno il sacerdote che celebra in una maniera sciatta. Quindi tutte e due le cose: evitare il rubricismo e la sciatteria, avendo questa cura di comunicare il senso dello stupore che noi per primi dobbiamo provare di fronte alla celebrazione.
D. – Papa Francesco parla anche del contatto con la gente …
R. - Assolutamente, perché tu non puoi parlare di cose astratte che interessano solamente te. È evidente che bisogna partire dal vissuto della gente, da quella che è la loro esperienza, la loro sofferenza, la loro fatica. Però, per guidarle appunto a questo senso dello stupore. Anche questo è importante perché poi se c’è una cosa che la nostra gente ha perduto è proprio questo senso dello stupore e del sacro. Il momento fondamentale dell’omelia è proprio questo: essere aderenti alla vita per condurre di nuovo questa vita verso l’incontro con il sacro, verso l’esperienza del sacro ma interiorizzata, per cui a partire dalla loro storia, dalla loro situazione.
D. – In che contesto operano oggi i parroci romani?
R. – Credo che in generale questa città soffre molto di quel male di cui soffrono tutte le città: una vita che è ormai percepita in una maniera completamente orizzontale, senza nessun riferimento al trascendente, senza nessun riferimento a Dio. Per cui penso che - a prescindere dal contesto concreto, cioè di borgata oppure più intellettuale o più sociale in cui ci si può trovare ad operare – un tratto comune che dobbiamo avere tutti è proprio questo senso del trascendente, del primato di Dio che dobbiamo riportare ognuno nel suo specifico, nel modo caratteristico che richiede la sua comunità però che dobbiamo tutti noi riportare al centro.
D. – Che cosa sta dicendo Papa Francesco alla sua diocesi?
R. – Credo che il Papa stia esortando noi sacerdoti innanzitutto ad essere profondamente con il nostro popolo; lo ha detto fin dall’inizio: ricordi il famoso discorso del pastore che deve avere lo stesso odore delle pecore? Ci esorta ad essere vicino alla nostra  gente per amarla, per volergli bene e per condurla a Cristo. Penso che a partire da quella intuizione iniziale – ormai di due anni fa – ogni cosa che dice sia una specificazione ulteriore che va sempre in questa direzione.

20/02/2015 fonte: Radio Vaticana


Padre Samir: "Per l'Isis la Libia è la porta d'Europa"

di Marta Petrosillo

«Il rischio è reale. Gli attentati a Parigi e Copenaghen, la minaccia all’Italia mostrano che lo Stato islamico ha l’Europa come obiettivo». Così dichiara alla Nuova Bussola Quotidiana padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, islamologo, fondatore del Cedrac, il centro di documentazione e di ricerca arabo-cristiana di Beirut, e professore di teologia orientale e d’islamistica presso il Pontificio istituto Orientale di Roma e al Centre Sèvres di Parigi.

Il gesuita analizza l’attuale situazione in Libia dove l'Isis ha «approfittato del caos creatosi dopo la morte di Gheddafi». Oltre alla favorevole anarchia e alla ricchezza di pozzi petroliferi, la Libia ha un terzo aspetto strategico: è il paese più vicino all’Europa». Se il primo obiettivo del gruppo jihadista è la creazione di un califfato nel mondo arabo – come dimostra la sanguinaria ascesa avvenuta in Siria e in Iraq – il secondo è estendere lo Stato Islamico all’Europa. «Non credo saranno in grado di farlo, ma per loro la Libia è certamente interessante giacché, attraverso l’Italia, può aprire loro le porte del Vecchio continente». 

Per padre Samir i progetti dei jihadisti superano le loro possibilità, specie perché le barbarie commesse stanno procurando allo Stato Islamico nuovi nemici. La brutale uccisione dei ventuno copti egiziani in Libia ha convinto Al Sisi a bombardare le postazioni dell'Isis nel paese nordafricano. E prima ancora l’orrendo assassinio del pilota giordano aveva provocato la reazione di Amman. «I governi arabi hanno ormai compreso che l'Isis è un pericolo per tutti e spero che inizino a reagire contro questi terroristi islamici». 

Una reazione è necessaria anche da parte dell’Europa, specie all’indomani dei «"test” di Parigi e Copenaghen e della minaccia all’Italia che hanno mostrato le mire di Isis sul Vecchio continente. Il gesuita caldeggia una risposta unitaria da parte degli Stati europei - «l’Italia non può essere lasciata sola» - e la realizzazione di un disegno multilaterale sostenuto dall’Onu. «A differenza degli islamisti, l’Europa non è pronta a combattere fino alla morte. L’unica soluzione è rappresentata da un progetto internazionale teso a sradicare questo movimento. Anche se per farlo occorreranno decenni».

Un altro fenomeno preoccupante è la diffusione del fondamentalismo islamico in Europa, soprattutto tra i giovani immigrati di seconda generazione che non sono riusciti ad integrarsi all’interno delle società europee. Giovani scoraggiati che trovano nell’estremismo un’alternativa vincente, oltre ad un incentivo economico, e che subiscono il lavaggio del cervello attraverso il web, le televisioni satellitari e in alcune moschee.

Tra le varie soluzioni proposte per arginare la diffusione dell’estremismo vi è quella di esigere che gli imam tengano le prediche nella lingua del paese in cui si trovano. «I fondamentalisti predicano in arabo poiché spesso conoscono soltanto quell’idioma». L’imposizione della lingua locale potrebbe favorire una maggiore integrazione, ma è necessario contare anche sul sostegno delle singole comunità musulmane. Gli imam possono ricoprire un ruolo chiave. «Il desiderio delle seconde generazioni è quello di integrarsi e gli imam dovrebbero spingere i giovani in questa direzione. Altrimenti il rischio è che continuino a considerarsi vittime dell’Occidente. L’importanza delle guide religiose è enorme: dobbiamo formare degli imam, che pur conservando le proprie tradizioni religiose, siano integrati nelle culture occidentali e dunque propensi ad aiutare i giovani ad assimilarsi».

Infine padre Samir cita le parole pronunciate recentemente al Cairo dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, davanti a centinaia di imam dell’università di Al-Azhar: «L’islam ha bisogno di una rivoluzione interna. Il problema non è esterno a noi e dentro di noi». Il gesuita ha più volte ricordato come l’islam abbia bisogno di una nuova ermeneutica, di un nuovo approccio al Corano e alla tradizione che consenta di coniugare fede e modernità. «Siamo nel XXI secolo non nel VII, non è pensabile risolvere i problemi di oggi con le soluzioni di allora».

20/02/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

La Chiesa «modello Darwin»

di Lorenzo Bertocchi

Il dibattito sulla riforma della curia si è riacceso in occasione del recente concistoro. Il cardinale Danneels dal Belgio dice a Kerknet.be che è rammaricato per il fatto che una minoranza non sia favorevole alla riforma, «preoccupato, ma non inquieto».

Secondo quanto ha dichiarato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, la riforma non sarà comunque pronta prima del 2016. L'unico punto fermo attualmente sembra essere quello che porterà a due futuri dicasteri, uno si occuperà di laici, famiglia e vita, mentre l'altro carità, giustizia e pace. Tutto il resto è in discussione.

Le vere resistenze sembrano esserci soprattutto intorno agli affari economici. Di fronte alla proposta del cardinale Pell  di sottomettere il controllo della gestione di tutti i beni mobili e immobili al segretariato per l'economia, si sono alzati venti contrari piuttosto forti. I resistenti - documenta Sandro Magister nel suo blog -  sarebbero nelle stanze della Segreteria di Stato, in quelle del governatorato del Vaticano e anche dalle parti di Propaganda Fide, ma soprattutto il problema verrebbe dal Pontificio consiglio per i testi legislativi diretto dal Card. Coccopalmerio. Sul portale  web Vatican Insider ci tengono a far sapere che il Pontificio consiglio per i testi legislativi ha agito su mandato del papa, come a dire che il card. Pell dovrebbe moderare un po' le sue uscite e le sue pretese.

Ma il recente concistoro è stata occasione per un dibattito che si è allargato verso altri temi di rinnovamento della Chiesa. Il pensiero di molti è volato subito al Sinodo sulla famiglia. Lo stesso Danneels, parlando della riforma della Curia e delle resistenze che incontra, ha fatto notare che «la Chiesa affronta le tappe in modo graduale. Sarà lo stesso per il Sinodo della famiglia, che si terrà in ottobre. Questo sinodo – ha detto l'ex primate del Belgio  – è un momento estremamente importante, ma io non mi aspetto che ponga fine al dibattito. Le concezioni intorno alle relazioni tra partners sono in continua evoluzione nel mondo. Anche la posizione della Chiesa evolve».

L'omelia del Papa di domenica scorsa, pronunciata davanti ai neo cardinali, per qualcuno è stata un'altra occasione di riflettere sui temi del Sinodo. Su Avvenire la bella immagine usata dal Papa sulla Chiesa che non «pone barriere», diventa spunto per indicare una possibile via di uscita nel dibattito sinodale, in particolare sulla questione dei divorziati risposati. Le parole di Francesco sulla necessità «di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle periferie dell’esistenza», sono viste sul quotidiano della CEI come «destinate a segnare il percorso verso il Sinodo sulla famiglia del prossimo ottobre». Anche, par di capire – scrive la giornalista Stefania Falasca - riguardo alla particolare e delicata questione dei divorziati risposati, in quei passaggi in cui Francesco si sofferma a parlare degli atteggiamenti di fronte ai «lontani, ai sofferenti e agli emarginati per qualsiasi motivo». 

A proposito di questo tema un vescovo francese, monsignor Marc Aillet, in questi giorni ha realizzato un'iniziativa interessante che va però in senso contrario rispetto alla soluzione che sembra prospettare il commento di Avvenire e la convinzione del card. Danneels. Il 7 febbraio il vescovo di Bayonne ha incontrato coppie di divorziati coinvolti in una nuova unione, con l'obiettivo di accompagnarli nella vita ecclesiale. Uno dei partecipanti ha preso di petto il vescovo e gli ha chiesto conto sul tema dell'accesso all'eucaristia. 

«L'Eucaristia non è un diritto – ha risposto mons. Aillet - né un medicamento magico. L'Eucaristia è un dono gratuito di cui nessuno è degno. (…) L'unico modo per avvicinarsi degnamente all'eucaristia è di lasciarsi interiormente trasformare dalla Parola di Dio, per discernere le zone d'ombra in noi e fare ricorso alla misericordia divina». 

Dopo queste parole una coppia presente all'incontro ha testimoniato che la loro sete per l'Eucarestia è stata più forte di tutto, hanno deciso di rinnovare il loro amore vivendo nella castità. Cioè la via che la dottrina della Chiesa indica ai divorziati risposati per poter accedere al Corpo e Sangue di Cristo. Salvo "evoluzioni”; che però sembrano abbastanza improbabili leggendo quanto indicato dal card. Muller a proposito della riforma della curia: «Nella "dittatura del relativismo” e nella "globalizzazione dell’indifferenza”, (...), i confini tra verità e menzogna, tra bene e male, si confondono. La sfida per la gerarchia e per tutti i membri della Chiesa consiste nel resistere a queste infezioni mondane e nella cura delle malattie spirituali del nostro tempo».

20/02/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana


IL SANTO DEL GIORNO 10/02/2015 Santa Scolastica vergine



Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già "fuggendo dal mondo" verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.
La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.
Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza...
Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.
Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547.


Papa, parrocchia: guerra opera del demonio, solo Gesù è pace




Sono "tante” le guerre in corso nel mondo, tutte opera del demonio, ma l’unico che porta la pace e semina l’unità è Gesù, che "dobbiamo abituarci” ad ascoltare ogni giorno nel Vangelo. È l’essenza del messaggio che il Papa ha rivolto alla comunità parrocchiale romana di Pietralata, situata a nord di Roma, visitata da Francesco ieri pomeriggio. Il Papa ha incontrato come sua abitudine i gruppi parrocchiali e ha concluso con la celebrazione della Messa. Ma la visita è cominciata con un fuori programma. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis:
Il cappotto bianco è inghiottito in un attimo da un capannello di occhi sgranati per la sorpresa. Un corri corri di gente, voci che chiamano voci: "El Papa! El Papa!”. Francesco entra a sorpresa in una "villa miseria” a pochi metri dall’Aniene, un agglomerato di baracche chiamato "Campo Arcobaleno” che accoglie sfollati dall’Africa e dall’America Latina, e oggi anche dall’Ucraina e dalla Russia. Francesco si lascia soffocare con grandi sorrisi dalla calca che lo cerca, lo stringe, lo trattiene, finché il "Padre Nostro” recitato in spagnolo scioglie in preghiera il calore che per dieci minuti ha riscaldato il cuore di vecchi e nuovi senzapatria.
Comincia così, dal bordo di una periferia, la visita del Papa alla parrocchia di San Michele Arcangelo. Comincia con una sorpresa a qualche centinaio di metri dalla chiesa a forma di capanna rivestita di laterizi rossi, che pure sorge su una terra cento anni fa popolata di casupole e baracche, quelle dei contadini del borgo dei primi Novecento e poi di quel "villaggio degli esclusi”, come lo chiama il parroco, una sequela di tuguri riempiti prima della guerra da famiglie povere scacciate d’autorità del centro cittadino. Adesso le baracche sono scomparse e lo skyline di Pietralata è dominato dai palazzi-alveare. Ottomila famiglie, tante schierate davanti alla chiesa, dietro le transenne, per ringraziare il Papa delle periferie che li è venuti a cercare fino in casa loro.
E il "parroco” speciale si muove proprio come a casa sua – un passo, un "selfie”, una stretta di mano – per donarsi con grande senso di paternità ai gruppi che rendono viva la comunità locale. Scende prima nel salone, dagli ammalati, ai quali dice che anche quando "tutto è buio” c’è sempre un Padre che ama "e mai delude”. Poi, due piani sopra, è davanti ai senza fissa dimora, assistiti dalla Comunità di Sant’Egidio. Toccante ciò che dice loro:
"Il fatto che la gente non sa il vostro nome e vi chiama i ‘senzatetto’ e voi sopportate questo: è la vostra croce e la vostra pazienza. Ma c’è qualcosa nel cuore di tutti voi, di questo vi prego di essere sicuri: c’è lo Spirito Santo”.
Cambio di stanza e Francesco è con i genitori di bimbi battezzati durante l’anno. Educateli "bene” nella fede, li esorta, perché – dice – ci sono tanti "bambini cristiani che non sanno farsi il segno della croce”. Quindi, è la volta degli Scout che regalano cinque sacchi a pelo al Papa, che si passa al collo il loro "fazzolettone”. E arriva il momento, come sempre vivace, del faccia a faccia di Francesco con bambini più grandicelli, ai quali il Papa catechista regala un insegnamento fondamentale: le guerre non sono solo quelle che – e li sollecita a elencarle – uccidono bambini in Iraq, Ucraina, Africa. Le guerre nascono molto prima in persone che non hanno Dio:
"Chi è il padre della guerra? Forte! (bambini: "Il diavolo!”) Perché il diavolo è il padre dell’odio. D’accordo? E’ il padre delle bugie, il padre delle menzogne, eh. Perché? Perché non vuole l’unità. Invece Dio vuole l’unità (…) Se voi avete nel cuore gelosie contro un altro [un’altra persona], questo è l’inizio di una guerra. Le gelosie non sono di Dio”.
Un insegnamento che Francesco riprende con semplicità all’omelia della Messa, che presiede verso le 18 dopo aver confessato anche alcuni parrocchiani. Parole già sentite dalla grande finestra dell’Angelus o dal sagrato di San Pietro, risuonano forse ancor più nitide nel silenzio assoluto della piccola chiesa:
"Ma è triste quando in una famiglia i fratelli non si parlano per una stupidaggine, perché il diavolo prende una stupidaggine e fa un mondo. Poi le inimicizie vanno avanti tante volte per anni, eh. E si distrugge quella famiglia: i genitori soffrono perché i figli non si parlano o la moglie di un figlio non parla all’altro… E così le gelosie, le invidie… Questo lo semina il diavolo. E l’unico che caccia i demoni è Gesù. L’unico che guarisce queste cose è Gesù. Perciò ad ognuno di voi: ‘Lasciati guarire da Gesù’”.
Anche il proposito finale che il Papa formula a nome di tutti è un pezzetto di Magistero tra i più cari, da poco risuonato dall’altare di Santa Marta. Imparare ad ascoltare Gesù sull’unico "canale” che lo trasmette sempre, il Vangelo:
"Dobbiamo abituarci a questo: sentire la Parola di Gesù, ascoltare la Parola di Gesù nel Vangelo. Leggere un passo, pensare un po’ cosa dice, cosa dice a me. Se non sento che mi dice, passo ad un altro. Ma avere questo contatto quotidiano col Vangelo. Pregare col Vangelo. Perché così Gesù predica a me, dice col Vangelo quello che vuol dirmi”.

10/02/2015 fonte: Radio Vaticana

Conclusa plenaria Pontificia Commissione per Tutela dei Minori


Il cardinale O'Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori


Si sono conclusi ieri a Roma i tre giorni di lavori della plenaria della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. La plenaria - afferma un comunicato finale - ha riunito per la prima volta la Commissione al completo dei suoi 17 membri, che hanno potuto condividere i progressi nel compito affidato loro da Papa Francesco in vista della tutela e protezione dei minori nella Chiesa.
Durante la plenaria, i membri hanno presentato i rapporti dei Gruppi di Lavoro degli esperti che hanno operato l’anno scorso. La Commissione ha poi completato le proprie raccomandazioni riguardanti la struttura formale dell’organismo ed ha concordato le varie proposte da sottoporre all’esame del Santo Padre.
I Gruppi di Lavoro fanno parte integrante della struttura della Commissione. Nel periodo che intercorre tra le plenarie, questi gruppi realizzano ricerche e progetti in settori che sono centrali per l’obiettivo di rendere la Chiesa una ‘casa sicura’ per bambini, adolescenti e adulti vulnerabili. Questi settori comprendono: la cura pastorale per le vittime e le loro famiglie, l’educazione, le linee guida per un approccio ottimale, la formazione al sacerdozio e alla vita religiosa, le norme ecclesiastiche e civili che regolano le accuse di abuso e "l'esercizio della responsabilità" (accountability) di persone in posizioni di autorità all’interno della Chiesa, quando trattino accuse di abuso.
La Commissione è consapevole che la questione "dell'esercizio della responsabilità" è di massima importanza. Durante la plenaria, i membri hanno concordato su una proposta iniziale che verrà sottoposta all’esame di Papa Francesco. Inoltre, la Commissione sta sviluppando le procedure per garantire "l'esercizio della responsabilità" per tutti coloro che lavorano con i minori all’interno della Chiesa, clero, religiosi e laici.
Parte "dell'esercizio della responsabilità" consiste nell’accrescere la consapevolezza e la comprensione a tutti i livelli della Chiesa sulla gravità e l’urgenza di mettere in pratica le corrette procedure di tutela. A tale scopo, la Commissione ha deciso di promuovere seminari per educare quanti hanno responsabilità nella Chiesa nel campo della tutela dei minori.
In seguito alla Lettera del Santo Padre ai presidenti delle Conferenze Episcopali e ai superiori degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica circa la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, datata 2 febbraio, la Commissione confida nella collaborazione con le Chiese locali, mettendo a disposizione la sua competenza per garantire un approccio ottimale alle linee guida per la tutela dei minori.
Inoltre, la Commissione sta preparando il materiale per la Giornata di Preghiera che sarà dedicata a tutte le vittime di abuso sessuale. Questo evento - si legge nel comunicato - sottolineerà la nostra responsabilità di lavorare per la guarigione spirituale ed anche per aiutare ad aumentare la consapevolezza nella comunità Cattolica della piaga degli abusi sui minori.
La Commissione ricorda quanto afferma Papa Francesco: "Le famiglie devono sapere che la Chiesa non risparmia alcuno sforzo per tutelare i loro figli”. "Consapevoli della gravità del nostro compito”, i membri invitano tutti i fedeli a pregare per il loro lavoro.

10/02/2015 fonte: Radio Vaticana

Cassazione e nozze gay: una sentenza a due facce

di Riccardo Cascioli

C'è senz'altro del positivo, ma c’è anche poco da esultare per la sentenza della Corte di Cassazione che ha respinto la pretesa di una coppia omosessuale di veder trascrivere il proprio matrimonio in un registro comunale. 

Oltre al fatto di essere inutile dal punto di vista pratico perché le nostre leggi non riconoscono l’unione matrimoniale fra persone dello stesso sesso, dice la Cassazione che né la Costituzione Italiana né l’Unione Europea impongono l’estensione dei diritti matrimoniali a coppie dello stesso sesso. Proibendo le nozze gay, insomma, non si viola alcun principio di non discriminazione. Spetta dunque ai singoli Stati legiferare in materia. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è stata citata dai giudici di Cassazione: «L’articolo 12 non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo». E inoltre: «Nell’articolo 8 è senz’altro contenuto il diritto a vivere una relazione affettiva tra persone dello stesso sesso protetta dall’ordinamento, ma non necessariamente mediante l’opzione del matrimonio».

Dunque la sentenza della Cassazione toglie ogni sostanza all’argomento princìpe dei movimenti Lgbt che reclamano le nozze gay, ovvero la questione della discriminazione. Una legislazione – come quella attuale in Italia - che riconosca soltanto la famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, non è affatto discriminatoria, è nel pieno diritto del Parlamento italiano. Benissimo. La sentenza, tra l'altro dovrebbe mettere fine a questa sceneggiata dei sindaci - Ignazio Marino in testa - che vogliono trascrivere i matrimoni gay.

Ma stabilito questo importante punto positivo, ci rendiamo subito conto che la sentenza della Cassazione non avrà alcun effetto frenante sulle forze che nel Parlamento italiano spingono per il riconoscimento di unioni civili che altro non sono che un matrimonio gay mascherato. Questo anzitutto perché come non c’è obbligo per il Parlamento italiano di approvare le nozze gay, così non c’è obbligo di impedirle. Quindi via libera al Parlamento che intende procedere su questa strada.

A questo si deve aggiungere l’altra parte della sentenza, ovvero la richiesta da parte della Cassazione di un intervento legislativo che emani un non meglio precisato "statuto protettivo” che garantisca i diritti delle coppie di fatto, incluse quelle omosessuali. Quindi, non un matrimonio ma comunque un riconoscimento formale. Peraltro – si legge nelle anticipazioni pubblicate dalle agenzie – a proposito dello Statuto si parla di «acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti» da tali relazioni. 

A questo punto sorge spontanea una domanda: se tutti o quasi i diritti (e speriamo anche i doveri) delle famiglie devono essere estensibili a tutte le convivenze – cosa che già oggi è in buona parte così -, in cosa consiste la specificità del matrimonio tra un uomo e una donna rispetto alle altre forme di convivenza? In altre parole: quali sono le attribuzioni giuridiche, sociali, economiche che rendono la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna un "unicum” nell’ordinamento legislativo? Affermare che la famiglia è soltanto una e che lo Stato riconosce solo questa ha un senso solo se ci sono poi delle attribuzioni specifiche che rendono diversa la famiglia da qualsiasi altro tipo di convivenza.

C’è poi un altro punto che potrebbe far rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dalla porta. La Cassazione infatti, nel chiedere l’intervento per regolare le unioni di fatto, fa riferimento all’articolo 2 della Costituzione per chiedere il riconoscimento di «un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia» e affermare la «riconducibilità» di «tali relazioni nell'alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana». Ma questa è una evidente forzatura dell’articolo 2 della Costituzione che né esplicitamente né implicitamente fa riferimento a «relazioni affettive di coppia». Tutt’altro. Ecco infatti cosa dice l’articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

In quelle «formazioni sociali» oggi – anche eminenti giuristi cattolici – vedono lo spazio per inserirci le «relazioni affettive di coppia», ma non era assolutamente questa l’intenzione dei padri costituenti. Basterebbe leggere a questo proposito la relazione in Assemblea Costituente che l’onorevole Giorgio La Pira svolse per la I sottocommissione spiegando la ratio dell’articolo 2 (clicca qui). Diceva dunque La Pira, che di quell’articolo 2 fu il principale artefice, che per tutelare efficacemente i diritti della persona bisogna integrare i classici diritti individuali (lavoro, riposo, esistenza e così via) con i diritti essenziali delle «comunità naturali attraverso le quali la personalità umana ordinatamente si svolge». Le «formazioni sociali» dunque corrispondono in realtà alle «comunità naturali» che sono quella «familiare, religiosa, professionale», come viene descritto nella prima stesura dell’articolo 2. Nell’ambito affettivo solo la comunità familiare è giustamente contemplata (e per famiglia si intende quella naturale): inserire qui il riconoscimento delle unioni di fatto - comprese quelle omosessuali - è di nuovo equiparare qualsiasi tipo di convivenza alla famiglia naturale, esattamente ciò che si era preteso di escludere. Con tutte le conseguenze del caso.

La sentenza della Cassazione dunque, se da una parte non obbliga ai matrimoni gay dall’altra spinge proprio in quella direzione. Chi pensa oggi di aver colto un importante successo temo avrà presto modo di ricredersi.

10/02/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

No, Sanremo non lo voglio vedere

di Rino Cammilleri

Al direttore che mi chiede qualche rigo sul Festival di Sanremo mi viene voglia di rispondere come Garcia Lorca: «No! Non voglio vederlo!», anche se non lo mandano in onda a las cinco de la tarde ma alle nove e dieci. Infatti, è suppergiù da quando vi si è sparato Tenco che non lo seguo e non mi pare di aver perso niente.

Il declino inarrestabile di un «evento» che ormai sembra interessare solo alle sciampiste immigrate è testimoniato dalla pena che si danno gli organizzatori per procacciarsi l’audience a qualunque costo. Come volevasi dimostrare e come ormai ogni anno, ecco puntuale l’«invitato» che dovrebbe «far discutere», con la speranza che i benpensanti (cattolici, conservatori, famiglie etero, insomma i retrivi reazionari) abbocchino e scatenino raccolte di firme, petizioni, proteste che infiammino il «dibattito» e convincano oves et boves a sintonizzarsi. Almeno per curiosità. L’anno scorso toccò a Cat Stevens far la parte di quello la cui presenza doveva attizzare la polemica magna. Il Gatto (cat) inglese di origine greca da gran tempo si era fatto musulmano e a suo tempo aveva approvato la fatwa contro Salman Rushdie. L’islam duro&puro era un tema alla moda. Quello venne, cantò un suo pezzullo di quarant’anni prima, incassò il parcellone e tornò nell’oblio.

Quest’anno però c’è il Califfato e Sanremo non se la sente di fare il Festival-Hebdò, non si sa mai (l’audience val bene una messa, ma la pelle è pelle), così si sono ributtati sul vecchio ma sempre efficace Gender, sicuro e innocuo. Da qui l’invito, strombazzato per tempo, al signor Conchita Wurst, l’omosessuale austriaco che si veste da donna ma non si taglia la barba. Vinto l’Eurovision Song Contest e proclamato Voce Europea dalla Ue, questo personaggio dal nome d’arte che ricorda i salamini del supermercato non si capisce se è diventato famoso per la capacità canora o per il look. Giro la domanda a quelli che frequentano le classifiche dei cd venduti, ma a orecchio non mi pare che The European Voice le abbia sfondate. Il fatto è che la polemica preventiva legata alla sua presenza non decolla. Non vorrei che la disperazione induca gli organizzatori a prodursi in qualche gesto estremo nella prima serata, onde rialzare l’audience delle altre. Ma che cosa mai potranno escogitare di nuovo? Lo showman (o showgirl? boh) anglofono che cantava che Gesù è gay c’è già stato, un suicidio per aver perso la gara pure, il convertito musulmano anche, il comizio di Franco Grillini è dèjà vu, Platinette è onnipresente da anni nei palinsesti ma l’unica audience che garantisce è quella della rubrica «I nuovi mostri» di Greggio & Iacchetti e solo quando si produce in litigate da cortile.

Eh, signori miei, anche la fantasia ha un limite e se la gente ti fa capire che allo «scandalo» ha fatto il callo, allora vuol dire che sei alla frutta. Anzi, peggio, perché anche la frutta, ormai, la schiacciano le ruspe per non far crollare i prezzi. Eh, bei tempi quelli in cui bastava uno che presentava il cantante e il titolo della canzone. Arrivava l’artista in smoking o in vaporoso abito da sera, il maestro usava la bacchetta e i 4+4 di Nora Orlandi supportavano ogni brano leggendo sullo spartito. Finiva con grandi mazzi di fiori per tutti. Poi, lentamente, cominciò a non bastare più. Ed ecco Antoine che canta appeso per la schiena a una corda, Rino Gaetano vestito da clown, Lucio Dalla col violinista in camicia, Patti Pravo abbigliata da Foresta dei Pugnali Volanti, Loredana Bertè col pancione di plastica… Era prevedibile che finisse come doveva finire: con le canzoni che non c’entrano più niente con Sanremo. Sì, ci sono ancora, come no, ma contano come il due di briscola. Un Sanremo basato sulle sole canzoni vedrebbe la Grande Fuga degli sponsor pubblicitari e dovrebbe chiudere. Da qui l’affannosa ricerca di «trovate».

Infatti, mi dice il direttore che Paolo Conti (per chi non lo sapesse, il conduttore di Sanremo 2015) nel corso dell’«evento» (ormai si usa questo termine anche per le mostre di parmigiano) intervisterà una famiglia-famiglia. Cos’è, par condicio? No, disperazione. Non a caso si tratta di una famiglia etero con ben sedici figli. Figuratevi se non verrà loro chiesto se si sentono «conigli». Ora, poiché questa espressione l’ha usata papa Francesco, qualunque cosa rispondano la polemica è servita. Complimenti a chi ha avuto la pensata. Purtuttavia è patetico. Sì, perché il Festival della Canzone Italiana è ormai come il Festival del Circo di Montecarlo, dove quel che conta è stupire, colpire, ammaliare lo spettatore. Non per niente il pubblico è in massima parte composto da bambini. Io, ahimè, bambino non sono più, e da lunga pezza. Perciò, al direttore che mi chiede di Sanremo rispondo con i già citati versi di Garcia Lorca, interpretati drammaticamente, alla Gassman: «No! Non voglio vederlo!».

10/02/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 20/01/2015 San Fabiano papa e martire



L’hanno fatto Pontefice sebbene al momento fosse un semplice laico, di origine probabilmente non romana, anche se residente nell’Urbe. Succede a papa Antero, che ha governato la Chiesa per meno di due mesi; e ha la fortuna di vivere tempi tranquilli sotto gli imperatori Gordiano III (morto sui vent’anni) e Filippo, detto l’Arabo per le sue origini. Una parentesi pacifica, che vede anche feste solennissime per i mille anni della città di Roma, nel 248. 
Papa Fabiano tiene rapporti con i cristiani dell’Africa e dell’Oriente, e si dedica all’organizzazione ecclesiale nell’Urbe, dividendone il territorio in sette ripartizioni territoriali. Provvede inoltre a sistemare i cimiteri cristiani, e dà sepoltura a papa Ponziano, deportato in Sardegna ad metalla, cioè nelle miniere, e morto nel 235. Tutte opere da tempi di pace. 
Nel 249, però, Filippo l’Arabo viene ucciso presso Verona dalle truppe del suo rivale Decio, che prende il potere con un programma di rafforzamento interno dell’Impero, contro i pericoli d’invasione ad opera dei barbari, che lo minacciano da tante parti. Per lui, rafforzamento vuol dire anche ritorno all’antica religione romana, per pure ragioni politiche. Si decreta perciò che tutti i sudditi dell’Impero romano dovranno proclamare solennemente e pubblicamente la loro adesione al paganesimo tradizionale, compiendo pubblicamente un atto di culto, che consiste essenzialmente nell’immolazione di qualche animale. Fatto questo, ognuno riceverà il libello, una sorta di certificato attestante la sua qualità di buon seguace degli antichi culti. 
Chi non sacrifica in questa forma pubblica, diventa un fuorilegge, un nemico dello Stato. In Roma, tre commissioni chiamano via via tutti i cittadini alla scelta, che per i pagani costituisce un gesto semplice e naturale, mentre per i cristiani immolare un animale agli dèi di Roma significa rinnegare l’unico Dio di Gesù Cristo, respingere la sua legge. Come sempre, c’è una varietà di comportamenti: alcuni cedono in pieno, per paura o per interesse, compiendo l’atto di culto. Altri cercano scappatoie di ogni genere per avere il libello senza prestare il culto richiesto. E ci sono i cristiani convinti, che dicono un risoluto no, respingendo a viso aperto l’imposizione e affrontando la morte. 
Tra i primi a rifiutarsi di sacrificare agli dèi c’è papa Fabiano, che si spegne nel carcere Tullianum, ma non per morte violenta. Si ritiene, infatti, che l’abbiano lasciato morire di fame e di sfinimento in quella prigione. I cristiani lo hanno poi sepolto nel cimitero di San Callisto, lungo la Via Appia, onorandolo come martire, e l’iscrizione posta allora sul suo sepolcro è giunta fino a noi.
Nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 18 gennaio.


"Il Padrone del Mondo" il libro consigliato da Francesco



Il Papa durante il colloquio con i giornalisti di ritorno dalle Filippine, parlando della "colonizzazione ideologica”, ha suggerito la lettura del libro "Il Padrone del Mondo” di Robert Benson per capire cosa intendesse dire. Un'opera d'inizio '900 che descrive l'instaurazione, nel 2000, di una dittatura di stampo umanitarista, che predica la tolleranza universale per tutti, tranne che per la Chiesa, che viene perseguitata. Ce ne parla Massimiliano Menichetti:
La dittatura del pensiero unico
Anglicano, quarto figlio dell’arcivescovo di Canterbury, Robert Benson, si converte al cattolicesimo e nel 1907 scrive "The Lord of the World”, "Il Padrone del mondo”. Testo visionario in cui si concretizza la battaglia finale tra il bene ed il male. Da una parte il trentatreenne Giuliano Felsenburgh che evita lo scontro tra Occidente ed Oriente, acclamato poi presidente d’Europa che instaurerà di fatto la dittatura del pensiero unico; dall’altra gli si oppone il sacerdote Percy Franklin, anche lui 33 anni, che diventerà Papa. Claudio Siniscalchi, docente all’Università Lumsa di Roma nel corso di lingue e culture moderne:
R. - Giuliano è la materializzazione dell’anticristo. Promette l’abolizione di ogni preoccupazione: non ci sarà più guerra, non ci sarà più violenza, non ci sarà più povertà… Si presenta come colui che, sotto le sembianze del salvatore, in realtà assoggetta l’umanità. Diventa non il padrone di una nazione, ma il padrone del mondo. L’organismo globale della terra concede a lui il potere, perché la cosa straordinaria non è tanto che questo "messia capovolto” prenda il potere con la forza, con il colpo di Stato, ma lo prende con il consenso di coloro ai quali sta togliendo la libertà. E naturalmente la prima cosa che fa: deve fare a meno della religione.
Cattolici perseguitati
D. - Benson immagina un mondo dove Dio è ridotto a mero individualismo in cui viene creata una entità "La Grande fratellanza universale” che propugna la pace e l’allontanamento di ogni forma di dolore:
R. - Come si rivolve la sofferenza della morte? Con l’eutanasia! Non c’è più destra, sinistra; non c’è più religione positiva o negativa; non c’è più partito o sindacato. Benson, per primo, ha la visione del partito unico totalitario. Chi si oppone - e naturalmente sono i cattolici che si oppongono a questa deriva che il mondo sta prendendo – sono perseguitati. La pace di Giuliano è la pace di chi accetta quello che dice lui e nel momento in cui non si accetta è la guerra. L’intuizione di Benson è quella di contestare un elemento che è stato devastante per il novecento: la perfezione dell’uomo, l’insaturazione del paradiso artificiale sulla terra. Perché questa visione paradisiaca del mondo ha bisogno che il trattore del progresso distrugga tutto.
La propaganda della menzogna
D. - Questa modalità è definita da Papa Francesco "colonizzazione ideologica” in cui in nome di un presunto benessere tutto il resto deve essere annientato:
R. - Perché è la forza della menzogna contro la forza della verità. La propaganda fa sì che ci sia una nuova schiavitù dell’uomo. La fratellanza del mondo è importantissima, ma il prezzo che l’anticristo  fa pagare a quella parte dell’umanità che si oppone, perché vede il vero pericolo, è il contrario di quello che viene detto.
Distruzione di Roma
D. - Il testo parla di rischio di scontro tra Oriente ed Occidente, di attacchi kamikaze… Benson arriva ad ipotizzare la distruzione di Roma:
R. - Questo fondamentalmente è un libro per dire: ‘Fate attenzione, avete preso una strada sbagliata’!”
Il Padrone del Mondo non trionferà
D. - Ma chi vince la battaglia nel libro di Benson?
R. - Il padrone del mondo non trionferà mai, perché in Benson c’è una visione affidata alla Onnipotenza di Dio, che non lascerà mai solo l’uomo: lo aiuterà. Ci saranno sofferenze enormi che l’uomo dovrà affrontare, ma alla fine trionferà il bene. Benson non aveva una visione oscura.

20/01/2015 fonte: radio vaticana

Che cosa ha tenuto in vita Martin, risvegliato dal coma dopo 12 anni: «Nel mondo c’era un posto per me»



diBenedetta Frigerio

"Ghost Boy”, il libro in cui Martin Pistorius racconta lo scoramento, i dialoghi con Dio, l’amore per Virna e il risveglio
martin-pistorius-coma-risveglio«Voglio che vi fermiate per un momento e pensiate realmente di non avere voce. (…) Non potrete mai dire "Passami il sale” né a qualcuno veramente importante per voi: "Ti amo”». Imprigionato e trattato come un corpo esanime, il 39enne sudafricano Martin Pistorius ha vissuto in questa condizione 12 interminabili anni della sua vita, dopo che dodicenne sprofondò lentamente in coma. Meningite da criptococco fu la diagnosi dei medici, che consigliarono ai genitori di rassegnarsi aspettando la morte del figlio. In effetti, per i primi due anni Martin, in stato di veglia non responsiva, era completamente incosciente, finché improvvisamente cominciò a vedere, sentire e capire tutto, esattamente come prima di ammalarsi. Con la differenza che ora non poteva più comunicare.
«UN CARTONE INSOPPORTABILE». I primi tempi in cui riprese coscienza Martin provò a lanciare segnali all’esterno, sforzandosi così tanto da riuscire a fare cenni con il capo e a sorridere. Ma nessuno diede peso a quei piccoli cambiamenti. Perché, come scrive nel libro in cui racconta la sua storia, Ghost Boy, «abbiamo un’idea così fissa degli altri, che poi la verità può allontanarsi da ciò che pensiamo di vedere». Dopo ripetuti fallimenti nel tentativo di farsi notare, Martin si perse d’animo e si lasciò andare. Cominciò una vita passiva in cui accettava tutto quello che gli altri decidevano fosse meglio per lui: cosa, quando e quanto mangiare, quali programmi vedere, a che ora alzarsi e svegliarsi per rimanere solo (magari per delle ore) di fronte a uno schermo tv dove era trasmesso ripetutamente un cartone per bambini «insopportabile».
Quello che il ragazzo aveva in cuore era un grande dolore, anche perché la madre Joan, non avendo accettato la malattia, era sprofondata in una depressione disperata, per cui in un momento di crisi si era rivolta a lui confessandogli che sarebbe stato meglio se fosse morto. Contro il parere del padre Rodney, la donna aveva quindi deciso che il ragazzo doveva trasferirsi in un centro di riabilitazione per tornare a casa solo la sera e nei fine settimana.
«C’ERA UN POSTO NEL MONDO PER ME». Pur comprendendo lo strazio materno, Martin soffriva in un luogo dove molti lo trattavano come un soprammobile, dove «per la maggioranza delle persone che incontravo ero solo un lavoro». E dove addirittura doveva subire abusi e sevizie da parte di alcuni operatori sanitari. In quei momenti, per scappare e trovare un minimo di pace, al ragazzo restava solo l’immaginazione, tanto allenata da portarlo alle sensazioni dei luoghi e delle situazioni in cui si immergeva con la mente. L’appiglio reale, come scrive, «l’unica persona con cui potevo davvero parlare era Dio. Non era parte del mio mondo fantastico, era reale, una presenza dentro e fuori di me». Era questo a dargli forza, tanto che nei momenti di sofferenza estrema in cui chiedeva di morire, capitava sempre e improvvisamente qualcosa di bello: una sconosciuta che andava a trovarlo trattandolo come un essere cosciente, piuttosto che una carezza giunta da un infermiere, come risposte a un grido d’angoscia grazie alle quali Martin intuiva «che c’era un posto nel mondo per me».
martin-pistoriusLA SVOLTA. Ma la vera svolta fu l’incontro con Virna. Un’operatrice sanitaria che passò con lui molto tempo e che gli aprì il cuore come a un amico. Il ragazzo cominciò a sentirsi utile e quindi a migliorare: il fatto di essere utile a qualcuno lo spinse a riprovare a mostrare cosa c’era davvero dentro un guscio apparentemente vuoto. Virna era attentissima a Martin e si accorgeva anche delle variazioni quasi impercettibili dei suoi movimenti. Quelli la convinsero che dentro di lui c’era un’anima ancora cosciente. L’ultimo dubbio si sciolse quando alla donna capitò di vedere un programma in tv dove persone che non possono comunicare verbalmente lo facevano muovendo gli occhi tramite supporti tecnologici. Virna, superando lo scetticismo di tutti, decise di combattere perché la macchina fosse testata su Martin, spronandolo a non fallire e a fare del suo meglio: «È la prima volta che qualcuno mi stima così – si ripeteva lui in quei momenti – farò tutto ciò che posso». La prova fu durissima, ma nello sconvolgimento generale venne superata. Eppure, anche davanti all’evidenza delle risposte date da Martin attraverso gli occhi, i medici rimasero scettici: «Non è un film di Hollywood con un bel lieto fine – dicevano ai genitori – o un viaggio a Lourdes dove ai muti viene data miracolosamente la voce». Perciò seguì l’ordine di non comunicare troppo con il ragazzo. Nonostante questo, la speranza risvegliata nei genitori di Martin era troppa per non tentare di tutto.
IMPARARE LA LIBERTÀ. Così la madre di Martin rinacque con lui, passando dalla disperazione a un lavoro costante insieme al figlio. Il ragazzo cominciò la riabilitazione, felice e nello stesso tempo sconvolto e impaurito per il fatto di dover usare una libertà mai esercitata per 12 anni. «Per la prima volta potrò condire il mio cibo», si diceva tremando, dato che finora aveva dovuto ingurgitare qualsiasi pietanza, anche quelle sgradite, fino ad abituarsi a non sentire più nulla. Ma il cibo è solo un esempio, perché Martin doveva riscoprire che cosa amava per poter decidere dove andare, cosa volesse guardare e ascoltare o come desiderava vestirsi. Lo sforzo era enorme ma lavorando su di sé giorno e notte, Martin imparò di nuovo a leggere, usare una penna fino a iscriversi al liceo e riuscire a laurearsi. Gli esperti scoprirono che durante gli anni terribili della prigionia, Martin aveva sviluppato una fantasia e un’intelligenza fuori dal comune e tali da permettergli di trovare un buon lavoro. Anche il corpo si rinvigoriva sempre di più, mentre Martin cominciava a tenere conferenze, invitato a testimoniare la sua "rinascita”, spesso ricordando che il vero problema della disabilità non è tanto o solo la barriera fisica ma quella mentale, perché «se nessuno si aspetta nulla da te, se non ci si aspetta di riuscire, allora non ce la farai mai». È questo il segreto costante di ogni suo passo. È un rapporto, un amore ciò che ha sempre salvato Martin.
«UNA TRAMA IMPREVISTA». Solo una cosa sembrava mancargli in quella vita miracolosamente riguadagnata: l’amore mai corrisposto che aveva provato per la prima volta per Virna e poi per altre donne. Nonostante la tentazione di rassegnarsi ancora, quando incontrò Joanna capì che «bisogna solo saper aspettare» e che «le cose accadono quando il momento è giusto». Joanna rimase colpita dalla profondità di un uomo che sapeva ascoltare, osservare e da cui si sentiva aiutata a contemplare il mondo guadagnando lo sguardo di quando era bambina. Lui, sentendosi amato per quello che era, abbandonò la sua paura di sbagliare. Nel 2009 si sono sposati. Quando Martin ripensa alla sua storia, confessa gratitudine verso un’esistenza che gli ha chiesto tanto, perché «nessuno di noi sa quali pesi possiamo portare finché non ci vengono chiesti». E perché la vita è una trama imprevista che «può cambiare in un secondo».

20/01/2015 fonte: Tempi.it




I padroni del mondo vogliono imporre l'ideologia gender

di Massimo Introvigne

Nel viaggio di ritorno dalle Filippine Papa Francesco ha concesso un’ampia intervista ai giornalisti, annunciando fra l’altro che andrà presto a scoprire l’Africa, in Centrafrica e in Uganda, e dopo gli Stati Uniti visiterà ancora diversi Paesi dell’America Latina.

Come sappiamo, le interviste del Papa non sono Magistero, ma aiutano a capire la «mens» del Pontefice e possono spiegare meglio alcune espressioni dei discorsi ufficiali. Francesco ha spiegato che quando ha parlato nelle Filippine di «colonizzazioni ideologiche» che attaccano la famiglia intendeva fare riferimento alla «teoria del gender» che si vuole imporre in modo totalitario ai bambini. E ha ripetuto, con un nuovo riferimento al romanzo Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson, la critica ai poteri forti che disprezzano i poveri, mettono in ridicolo le religioni, e vogliono imporre una mentalità antinatalista, un «neo-malthusianesimo universale» contro cui profeticamente mise in guardia il beato Paolo VI – che pure insisteva sul concetto di «paternità responsabile» – nella Humanae vitae.

Delle Filippine al Pontefice è rimasto nel cuore soprattutto «il gesto dei papà, quando alzavano i bambini, perché il Papa li benedicesse. Il gesto di un papà. Ce n’erano tanti. Alzavano i bambini, lì, quando passavo per la strada. Un gesto che da altre parti non si vede». E le mamme presentavano al Papa i loro figli con gioia, anche nel caso dei disabili. «Il gesto della paternità, della maternità, dell’entusiasmo, della gioia». Il Pontefice ha ripetuto anche il suo elogio del pianto. Infatti, «una delle cose che si perde quando c’è troppo benessere, o i valori non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia, a questa cultura dello scarto, è la capacità di piangere. È una grazia che dobbiamo chiedere». E ha ricordato la ragazza di Manila che nel dialogo con i giovani «è stata l’unica a fare quella domanda che non si può rispondere: perché soffrono i bambini? Il grande Dostoevskij se la faceva e non è riuscito a rispondere». L’unica risposta adeguata è piangere e affidarsi al Signore.

La domanda forse più importante è venuta quando un giornalista tedesco ha chiesto che cosa il Papa avesse inteso nelle Filippine parlando di «colonizzazione ideologica» che minaccia oggi la famiglia. Usando un esempio, il Papa ha spiegato che intendeva fare proprio riferimento all’ideologia del gender. «La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Venti anni fa, nel 1995, una Ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione».

Parole chiare: «Perché dico "colonizzazione ideologica”? Perché prendono, prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e farsi forti, per mezzo dei bambini. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo». Il paragone fra «colonizzazione» del gender e totalitarismi del secolo XX non è nuovo. Già l’11 aprile 2014, parlando all’Ufficio Internazionale Cattolico per l’Infanzia, Papa Francesco aveva ricordato che «occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare in relazione alla mascolinità e alla femminilità di un padre e di una madre». E aveva aggiunto: «Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del "pensiero unico’”».

Ancora una volta Francesco ha messo in relazione l’attacco alla famiglia con una strategia più ampia di poteri forti, di «imperi colonizzatori, (che) cercano di far perdere ai popoli la loro identità» e insieme creano forme di dominio economico e finanziario che scartano i poveri. Un giornalista ha messo in relazione le parole del Papa sui poveri che sono «scartati» con la sua espressione «terrorismo di Stato». Francesco ha risposto che non aveva mai collegato i due concetti, ma certo scartare ed escludere hanno qualcosa a che fare con il terrorismo. «È un terrorismo questo? Ma… sì, si può pensare che sia… Si può pensare, ma lo penserò bene, grazie!».

E il Papa ha nuovamente invitato a leggere Il padrone del mondo di Benson, un romanzo sul potere dell’Anticristo che impone a tutti un pensiero unico totalitario già citato in diverse prediche di Santa Marta. «C’è un libro, scusatemi, ma faccio pubblicità, c’è un libro che forse lo stile è un po’ pesante all’inizio, perché è scritto nel 1903 a Londra. È un libro che … a quel tempo questo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in quel libro. Si chiama The Lord of the Earth o The Lord of the World, uno dei due. L’autore è Benson, scritto nel 1903, ma vi consiglio di leggerlo. Leggendo quello capirete bene quello che voglio dire con "colonizzazione ideologica”».

Negli Stati Uniti ha destato qualche stupore e critica l’elogio che il Papa ha proposto nelle Filippine dell’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI, un testo detestato da tutta una cultura antinatalista e progressista. Nell’intervista Francesco ribadisce che «l’apertura alla vita è condizione del Sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono in questo punto d’accordo, di essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo, è causa di nullità matrimoniale, no?». Ma Francesco elogia anche il beato Paolo VI perché «è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-Malthusianismo che è in arrivo». «Guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso. E come si chiama questo neo-Malthusianismo? Eh, è il meno dell’1% del livello delle nascite in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neo-Malthusianismo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze».

Questo, ha precisato il Pontefice, «non significa che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. "Ma lei vuole lasciare orfani sette?”. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile». «Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No, paternità responsabile». Quando si parla di famiglie con troppi figli in Paesi come le Filippine il Papa però invita sempre a guardare anche «l’altro estremo, che accade in Italia, dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i pensionati. Il calo della popolazione, no?».  E insegnare la paternità responsabile non significa rinnegare l’Humanae vitae ma proporre vie «lecite». Senza mai disprezzare le famiglie che liberamente e responsabilmente, valutate le loro circostanze, scelgono di diventare famiglie numerose. «Per la gente più povera un figlio è un tesoro. È vero, si deve essere anche qui prudente. Ma per loro un figlio è un tesoro. Dio sa come aiutarli. Forse alcuni non sono prudenti in questo, è vero. Paternità responsabile, ma guardare anche la generosità di quel papà e di quella mamma che vede in ogni figlio un tesoro».
20/01/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana

Educazione porno-gay a scuola, vietato protestare

di Riccardo Cascioli

29 giugno 2014, Assisi: si tiene la conferenza dal titolo "Sarà ancora possibile dire mamma e papà?”. Tra i relatori c’è Simone Pillon, portavoce del Forum delle Associazioni familiari dell’Umbria e membro del direttivo nazionale; tra i presenti in sala l’arcivescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino. 

Tra i mille esempi di "assedio” gender nelle scuole, Pillon cita il caso del Liceo scientifico Alessi di Perugia dove il 18 aprile 2012 un attivista dell’associazione Arcigay Omphalos – invitato per tenere una relazione su Identità di genere e omofobia – aveva messo a disposizione dei ragazzi di terza liceo (16-17 anni) un volantino dal contenuto porno-gay, a insaputa del preside. Pillon mostra il volantino e ne legge alcune parti a mo’ di esempio, poi si sofferma sulla parte delle iniziative a cui vengono invitati gli studenti, una vera e propria promozione dell’omosessualità. Tra queste c’è il Welcome Group, gruppo di benvenuto, e – visti i contenuti precedenti – Pillon dice ironicamente "…Non voglio entrare nei dettagli su come sarà il benvenuto…”.

A questo punto ci si potrebbe aspettare qualche denuncia da parte dei genitori, la cui responsabilità educativa garantita dalla Costituzione è stata palesemente violata al Liceo Alessi; una ispezione del Ministero dell’Istruzione per la diffusione di materiale pornografico a minorenni all'interno della scuola. Niente di tutto questo. Al contrario le denunce partono contro Simone Pillon, non appena il video della conferenza – nei giorni successivi – viene caricato sul sito del Forum umbro delle famiglie. L’accusa è diffamazione a sfondo omofobo.

E il bello – si fa per dire – è che i giudici perugini hanno dato ragione all’associazione Omphalos e disposto il sequestro della pagina web con il video incriminato. Secondo i giudici infatti l’intervento di Pillon è effettivamente «offensivo e lesivo della reputazione dell’associazione Ompholos Arcigay-Arcilesbica», perché «nel corso dell’intervento, colorito da una sferzante ironia, Simone Pillon ha in primo luogo diffuso notizie non corrispondenti al vero sull’attività di informazione e di prevenzione svolta dall’associazione», che sarebbe quella di «prevenzione delle malattie veneree, come per altro risulta chiaramente da una corretta e non dolosamente distorta lettura dei volantini». Il giudice poi rimprovera a Pillon di avere descritto il volantino in questione come un tentativo di avviare all’attività omosessuale, cosa che non sarebbe vera.

In realtà, e anche tenendo conto che il tema dell’incontro non era la prevenzione delle malattie veneree, basta dare un’occhiata alle due facciate del volantino per capire di cosa si tratta: già le figure sono esplicite, con due ragazzi nudi in posa ammiccante da una parte e idem due ragazze dall’altra. E poi le istruzioni sono in alcuni casi riferibili anche a prevenzione per la salute, ma altre sono chiaramente finalizzate a suggerire tecniche per raggiungere un maggiore piacere erotico. «Puoi aumentare l’eccitazione della tua partner usando lubrificanti rigorosamente a base acquosa», tanto per fare un esempio, non pare proprio un’indicazione per prevenire le malattie veneree. In ogni caso, afferma Pillon, «resta il fatto che i dettagli impiegati per spiegare l’uso dei presidi era talmente dettagliato da descrivere di fatto particolari tecniche omosessuali e giochi erotici».

Inoltre nella conferenza «nessuno ha eccepito circa l’astratta liceità giuridica delle attività proposte da Omphalos. Il problema posto è sulla liceità morale e l’opportunità di diffondere tali pubblicazioni tra persone minorenni in un contesto formativo, sotto l’egida di un ente educativo come il liceo scientifico Alessi e senza il consenso dei genitori».

Ma per il giudice questi evidentemente sono dettagli insignificanti, soprattutto è la testimonianza che ormai il disegno di legge Scalfarotto viene già applicato anche se non è sato approvato in Parlamento. La libertà di espressione vale solo se si stampano vignette con la Santissima Trinità in atti sodomiti, mentre una semplice ironia sulle proposte omosessuali, più che giustificata dal contesto è meritevole di censura.

È un fatto gravissimo, segnale di una deriva totalitaria che pare inarrestabile, con l’avverarsi di quanto già prefigurava papa Francesco parlando di scuole ridotte a campi di rieducazione gender. Al punto che il senatore Carlo Giovanardi ha presentato ieri una interpellanza al ministro della Pubblica Istruzione e al ministro della Giustizia (analoga iniziativa è stata annunciata dall'on. Eugenia Roccella) nella quale – dopo aver ricordato l’inaudita sentenza perugina – chiede «quali iniziative intenda intraprendere per contrastare questo assedio alle scuole italiane da parte di alcune associazioni gay e garantire a chi dissente la libertà di pensiero, critica e "sferzante ironia”, cardine delle nostre libertà costituzionali». Risponderà qualcuno? 

20/01/2015 fonte: La nuova bussola quotidiana


IL SANTO DEL GIORNO 09/01/2015 Sant' Adriano di Canterbury Abate



Africano di nascita, Sant’Adriano era abate di Nerida, nel napoletano, quando il papa San Vitaliano lo chiamò ad occupare la sede arcivescovile di Canterbury, ma questi rifiutò essendo già morti nel giro di poco tempo ben due primati inglesi, San Deusdedit e Wighard, e consigliò di sostituirlo piuttosto con San Teodoro di Tarso, che si rivelò poi infatti uno dei più grandi arcivescovi della sede primaziale inglese. Il pontefice accettò, a patto però che Adriano accettasse di accompagnarlo quale consigliere ed assistente.
Teodoro lo nominò allora abate dell’antico monastero dei Santi Pietro e Paolo, poi reintitolato a Sant’Agostino. Sotto la guida di Adriano e l’influenza di Teodosio esso divenne ben presto uno dei più importanti centri di formazione per molti futuri vescovi ed esercitò una notevole influenza sulla cristianità del tempo. Materie di insegnamento erano il latino, il greco, il diritto romano, la Sacra Scrittura ed i Padri della Chiesa.
Gli studenti provenivano da tutta l’Inghilterra ed anche dalla vicina Irlanda, siccome l’allievo Sant’Aldhelm, poi primo vescovo di Sherborne, sostenette che la formazione impartita nel monastero di Canterbury fosse qualitativamente migliore a qualsiasi altra offerta in Irlanda.
L’abate Adriano fu insegnante per ben quarant’anni. Infine morì presso Canterbury il 9 gennaio di un anno imprecisato, forse il 710, e ricevette sepoltura nel monastero. Quando nel 1091 i lavori di ristrutturazione resero necessaria la rimozione di numerose tombe, il corpo di Sant’Adriano fu rinvenuto incorrotto e profumato. Presso la sua tomba nacque la fama miracolosa che lo contraddistinse per secoli, cosicchè il suo nome venne inserito nei calendari inglesi e poi nel Martyrologium Romanum, ove ancora oggi figura nell’anniversario della morte.


Il Papa: chi ama Dio è libero, solo lo Spirito apre il cuore



Soltanto lo Spirito Santo rende il cuore docile a Dio e alla libertà. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa S. Marta. I dolori della vita, ha detto il Papa, possono chiudere una persona, mentre l’amore la rende libera. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Una seduta di yoga non potrà insegnare a un cuore a "sentire” la paternità di Dio, né un corso di spiritualità zen lo renderà più libero di amare. Questo potere ce l’ha solo lo Spirito Santo. Papa Francesco prende l’episodio del giorno del Vangelo di Marco – quello che segue la moltiplicazione dei pani e nel quale i Discepoli si spaventano nel vedere Gesù camminare verso di loro sull’acqua – che termina con una considerazione sul perché di quello spavento: gli Apostoli non avevano capito il miracolo dei pani perché "il loro cuore era indurito”.
Vita dura e muri di protezione
Un cuore può essere di pietra per tanti motivi, osserva il Papa. Per esempio, a causa di "esperienze dolorose”. Capita ai discepoli di Emmaus, timorosi di illudersi "un’altra volta”. Accade a Tommaso che rifiuta di credere alla Risurrezione di Gesù. E "un altro motivo che indurisce  il cuore – indica Francesco – è la chiusura in se stesso”:
"Fare un mondo in se stesso, chiuso. In se stesso, nella sua comunità o nella sua parrocchia, ma sempre chiusura. E la chiusura può girare intorno a tante cose: ma pensiamo all’orgoglio, alla sufficienza, pensare che io sono meglio degli altri, anche alla vanità, no? Ci sono l’uomo e la donna-specchio, che sono chiusi in se stessi per guardare se stessi continuamente, no? Questi narcisisti religiosi, no? Ma, hanno il cuore duro, perché sono chiusi, non sono aperti. E cercano di difendersi con questi muri che fanno intorno a sé”.
La sicurezza della prigione
C’è pure chi si barrica dietro la legge, aggrappandosi alla "lettera” di ciò che i comandamenti stabiliscono. Qui, afferma Papa Francesco, a indurire il cuore è un problema di "insicurezza”. E chi cerca solidità nel dettato della legge è sicuro – dice il Papa con una punta di ironia – come "un uomo o una donna nella cella di un carcere dietro la grata: è una sicurezza senza libertà”. Cioè l’opposto, soggiunge, di ciò "che è venuto a portarci Gesù”, la libertà:
"Il cuore, quando si indurisce, non è libero e se non è libero è perché non ama: così finiva Giovanni apostolo nella prima Lettura. L’amore perfetto scaccia il timore: nell’amore non c’è timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore. Non è libero. Sempre ha il timore che succeda qualcosa di doloroso, di triste, che mi faccia andare male nella vita o rischiare la salvezza eterna…  Ma tante immaginazioni, perché non ama. Chi non ama non è libero. E il loro cuore era indurito, perché ancora non avevano imparato ad amare”.
Lo Spirito rende liberi e docili
Allora, "chi ci insegna ad amare? Chi ci libera da questa durezza?”, si domanda Francesco. "Soltanto lo Spirito Santo”, è la sua risposta:
"Tu puoi fare mille corsi di catechesi, mille corsi di spiritualità, mille corsi di yoga, zen e tutte queste cose. Ma tutto questo non sarà mai capace di darti la libertà di figlio. Soltanto è lo Spirito Santo che muove il tuo cuore per dire ‘Padre’. Soltanto lo Spirito Santo è capace di scacciare, di rompere questa durezza del cuore e fare un cuore… morbido?… Non so, non mi piace la parola… "Docile”. Docile al Signore. Docile alla libertà dell’amore”. 

09/01/2015 fonte:Radio Vaticana

Iraq: espulsi da Mosul 10 anziani cristiani
I miliziani jihadisti dell'autoproclamato Califfato Islamico hanno espulso da Mosul 10 anziani cristiani caldei e siro-cattolici rastrellati dai villaggi della Piana di Ninive e temporaneamente ospitati nella seconda città irachena, dopo che aver rifiutato di abiurare la fede cristiana e di convertirsi all'islam. Mercoledì scorso il gruppo di anziani – alcuni dei quali con gravi problemi di salute – è stato accolto a Kirkuk, dopo aver passato due giorni al freddo nella "terra di nessuno” tra i villaggi occupati dalle milizie del sedicente Stato Islamico (Is) e l'area sotto controllo dei Peshmerga curdi.
L'aiuto di alcune famiglie musulmane
"Ci avevano cacciato dai nostri villaggi e dalle nostre case per occuparle - racconta Rachel, una delle anziane, contattata dall'agenzia Fides - e poi ci hanno ammassati tutti in una residenza di Mosul. Siamo andati avanti grazie all'assistenza di alcune famiglie musulmane, che ci portavano il cibo e quello di cui avevamo bisogno. Poi, a un certo punto, quelli del Califfato ci hanno detto che potevamo restare lì soltanto se ci convertivamo all'islam. Ma io, che mi nutrivo sempre del Corpo di Cristo e andavo sempre al santuario a pregare Santa Barbara, come potevo rinnegare tutto questo? Ho detto loro: io non posso farlo. Se volete, mandatemi via”.
A Kirkuk, grazie al patriarca Sako
Una volta espulsi da Mosul, gli anziani sono potuti entrare a Kirkuk grazie anche all'intercessione del patriarca caldeo Louis Raphael Sako, che ha convinto le autorità civili a sospendere il blocco ai check point d'ingresso alla città messo in atto per motivi di sicurezza. Insieme ai 10 anziani, è stata accolta a Kirkuk anche una delle famiglie musulmane di Mosul che si erano prodigate con sollecitudine nella loro cura. (G.V.)

09/01/2015 fonte: Radio Vaticana

Lettera a padre Piero Ghebbo

Piero Gheddo

Carissimo padre Piero Gheddo, è con gioia che Le scrivo questa lettera! Innanzi tutto mi presento. Mi chiamo Giovanni Maria (figlio di una famiglia con otto figli, quattro maschi e quattro femmine), ho 24 anni e ho appena terminato gli studi economici presso l’università Bocconi. Lavoro come ricercatore presso la IESE Business School di Barcellona focalizzandomi sull’Africa. Un lavoro appassionante tra la Spagna, il Kenya e la Nigeria, per cercare di comprendere in profondità le potenzialità di quello che fino a qualche anno fa veniva chiamato "the hopeless continent” ("il continente senza speranza”) e ora invece si dice che è "the new growth engine of the world” (il nuovo motore di crescita per l’umanità).
Era il 2011 e mi trovavo tra i mille colori e le mille luci di Sinchon nel cuore di Seoul in Corea del Sud. Affascinato da quello che vedevo attorno a me, ma ancor più dall’incredibile storia di padre Augusto Gianola, l’eremita del Pime nell’Amazzonia brasiliana, che Lei stava raccontando su Radio Maria. E fu proprio attraverso le sue catechesi, scaricate dal sito di Radio Maria, che venni a conoscenza della trasmissione mensile "La missione continua”, sulla missione alle genti, nella quale lei racconta la vita e lo spirito dei missionari. Da allora non l’ho più abbandonata. Le storie dalla Birmania di Felice Tantardini, il santo col martello, e del grande Clemente Vismara, le avventure di Angelo Campagnoli tra la Birmania e la Thailandia, quelle di Aristide Pirovano e Marcello Candia in Amazzonia, del vescovo  mons. Cesare Bonivento in Papua Nuova Guinea, di padre Maurizio Bezzi fra i ragazzi di strada a Yaoundè in Camerun e via dicendo.
piero-gheddo-dinajpur-santal-bangladeshRacconti che mi hanno accompagnato per le strade del mondo. Dopo cinque indimenticabili mesi in scambio universitario presso la Yonsei University di Seoul mi sono recato in Cina per un anno di studio presso la Fudan University di Shanghai. E ancora le Sue catechesi mi hanno accompagnato tra le foreste del Kenya dove mi trovavo per alcuni mesi di lavoro come ricercatore presso la Strathmore Business School di Nairobi.
Grazie padre Piero! Come Lei ha sperimentato, anche io sono rimasto senza parole di fronte alla vitalità, alla gioia, all’entusiasmo di queste giovani Chiese. Sono rimasto affascinato di fronte a quella fede semplice e giovane, che va all’essenziale del messaggio cristiano, cioè a Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo.
Sono rimasto stupito di fronte al ruolo dei laici. Padri e madri di famiglia, giovani studenti universitari come me che trasmettono la loro fede in ogni ambiente con naturalezza e con il sorriso sulle labbra. In queste giovani Chiese sono proprio i laici il motore delle parrocchie, sono i laici che organizzano al meglio la Messa domenicale, che promuovono le visite ai poveri, i ritiri spirituali, le iniziative culturali e anche la stessa attività economica. La parrocchia è una vera famiglia dove i laici si prendono cura dell’intera comunità cristiana. Il sacerdote è il padre e direttore di tutto, l’animatore dei laici che operano per annunziare Cristo ai non cristiani, con sorprendenti risultati.
Posso dire che furono proprio la Chiesa cinese e quella coreana a convertirmi. Fu proprio nell’Estremo Oriente che vidi forse per la prima volta quel Gesù vivo, quel Gesù che fece dire a san Paolo "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”, "per me vivere è Cristo”. Quanti giovani convertiti ho potuto conoscere, quanti neo-battezzati. Mai potrò dimenticare quella luce che fuoriusciva dai loro occhi, una luce che illuminava chiunque passasse per la loro strada. Valentine, giovane ragazza cinese che ora lavora nel marketing per una importante società multinazionale, subito dopo aver ricevuto il battesimo nella cattedrale di sant’Ignazio a Shanghai, mi confidò: "Giovanni. questo è il giorno più bello della mia vita. Da quando ho scoperto Gesù, vivo con lui nel mio cuore e la mia vita ha acquistato un senso”. Ecco l’Evangelii gaudium, ecco quella "gioia del Vangelo che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”.
Quanto hanno da insegnarci queste Chiese! Grazie, quindi, per quello che sta facendo attraverso le catechesi su Radio Maria e tutti i libri e gli articoli che pubblica. La ricordo sempre nella preghiera.

09/01/2015 fonte: Tempi.it




Io separata, dico no alla comunione ai risposati

di Lorenzo Schoepflin

«La mia è una vita piena d’amore». Esordisce così Stefania Tanganelli, aretina di 53 anni, di fronte ad una tazzina di caffè. E ti spiazza subito col suo sorriso sereno: Stefania, il 25 marzo del 2001, è stata lasciata da suo marito dopo neppure 10 anni di matrimonio, con un figlio di quasi 8 anni da crescere e una vita intera davanti. «Mio marito non si è mai guardato indietro ed io ero sola e stordita e dopo un periodo di solitudine ho conosciuto un bravo ragazzo che aveva un progetto importante per me e mio figlio insieme a lui». Contemporaneamente, Stefania inizia a frequentare di nuovo la parrocchia, dopo una lunga assenza, per garantire al figlio un’educazione cristiana. È qui che entra in scena il padre spirituale di Stefania, che dopo un po’ di tempo la mette di fronte alla verità: dovrà scegliere tra quel suo fidanzato e il Signore, non potrà continuare a ricevere l’Eucarestia vivendo nella sua nuova condizione.

E cosa è successo poi?

«Padre Gregorio (questo il nome del padre spirituale di Stefania, ndr) mi disse di pregare il Signore affinché mi facesse capire cosa fosse veramente importante per me. Mi consigliò di prendermi un mese di tempo e così feci, condividendo le sue indicazioni. Fu il mese più incredibile della mia vita. Ho potuto percepire nitidamente l’immensità dell’amore di Cristo, quasi il mio cuore non riusciva a contenere tanta grazia. A quel punto tutto è stato chiaro per me e con semplicità sono andata dal mio fidanzato e gli ho detto che sarei rimasta una sposa fedele e che sceglievo Gesù nella mia vita. Non potevamo più frequentarci. Corsi da padre Gregorio a comunicargli la mia scelta in confessione: uscì dal confessionale, mi abbracciò e si mise a piangere».

Una sposa fedele ad un marito che se ne va?

«Esatto. Fedele ad una promessa che ho fatto il giorno del mio matrimonio. Fedele al progetto di vita che abbiamo cominciato insieme. "Esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore”. Fin dal primo attimo del matrimonio sappiamo che il dolore può far parte della vita di coppia, ma neppure il dolore più straziante, nemmeno le spalle girate del tuo sposo possono spezzare quel vincolo reso sacro dal Sacramento. Perché quel Sacramento è molto di più dell’amore umano, lì c’è Gesù che si lega ai due sposi in modo stabile ed indissolubile». 

E se sono i due sposi a non essere più fisicamente insieme?

«Gesù resta. È in virtù di ciò, di questa presenza particolare e potente, che si comprende appieno l’identità del separato cristiano. Gesù sparisce quando ci si separa? No. Spariscono tante persone nel momento della difficoltà, tanti cosiddetti amici, ma posso dire per esperienza personale che il Cristo delle nozze è con me. E con Cristo resta l’amore, perché l’amore vero dura per sempre: tu te ne puoi andare, ma non per questo io non ti amo più».

La tua storia, per coloro che non sanno leggerla nella prospettiva soprannaturale, non ha senso: è una storia di inutile sofferenza. O addirittura, in una falsa prospettiva di fede, c’è chi potrebbe dirti che quello che hai deciso di vivere non è ciò che il Signore vuole da te. Cosa ti senti di rispondere loro?

«Non esiste una vita familiare immune dalla sofferenza. Sicuramente la mia vita è una vita anche di sofferenza, ma io vivo nella verità e questo è quello che conta. Noi dobbiamo essere testimoni di questa gioia, della gioia di Cristo, della gioia della verità. A tutti io mi sento di dire che questa gioia nessuno può portarmela via, questa grande grazia che si è manifestata nella mia vita, oggi così bella e così piena, non può essere offuscata da nulla e da nessuno. Dobbiamo dire a chi vive situazioni simili alla mia: il Signore non vi lascia soli, fidatevi di Lui».

In occasione del recente Sinodo sulla famiglia, che si concluderà quest’anno, si è a tratti respirato un clima che parrebbe contrastare con queste tue certezze. Cosa hai provato?

«Nulla e nessuno, lo ripeto, potrà privarmi di questa forte e certa presenza di Gesù nella mia vita. Credo e spero, e per questo prego, che la dottrina della Chiesa in tema di separati risposati non muti. Cambiare significherebbe di colpo minare le fondamenta di tre Sacramenti: matrimonio, confessione, Eucarestia. Il ”fedele sempre” della formula del matrimonio dovrebbe cambiare, ciò che oggi è peccato cesserebbe di esserlo e il Corpo di Cristo veramente presente nell’ostia consacrata sarebbe svenduto. Forse qualche crepa si è aperta e sarà difficile riparare il danno, ma io continuerò a essere testimone del fatto che quello che al mondo sembra impossibile, con Cristo diventa non solo possibile, ma meraviglioso. La mia condizione la vivo nella carne: una vita di continenza sessuale, di disciplina, è quanto di più lontano da quello che ti propone il pensiero dominante e non è certo semplice. Eppure la castità, se vissuta come dono, come regalo a Gesù, diventa giogo soave».

Per questo ti sei dotata di una tua regola di vita scritta.

«Ho sentito questo bisogno nel 2012, ho percepito che dovevo fare una cosa del genere durante un pellegrinaggio a Medjugorje. Con l’aiuto di padre Gregorio ho elaborato alcuni punti fondamentali. Castità, fuggire le tentazioni: a un cuore puro corrisponde sempre un corpo puro. Amore per il mio sposo che si concretizza in preghiera quotidiana per lui e per la mia famiglia. Obbedienza: vivere ogni giorno la verità del Vangelo, arrendersi a Cristo, piegare la mia volontà. Povertà: vivere con gratitudine del mio lavoro nell’uso opportunamente distaccato dei beni materiali. Adorazione eucaristica quando possibile, Santa Messa quotidiana, confessione mensile. Servizio alla Chiesa nella forma del servizio alla famiglia sofferente e impegno a vivere la vocazione di madre con dedizione totale. Sono questi gli ingredienti della mia regola». 

Una regola che poi è diventata la base per qualcosa che va oltre la tua storia personale.

«Nel 2008 avevo conosciuto un gruppo di sposi separati provenienti da tutta Italia, che vivevano come me la fedeltà al matrimonio. La loro guida era – ed è ancora oggi – monsignor Renzo Bonetti, che fino al 2009 è stato direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Cei e Consultore Pontificio per la Famiglia. A partire dalla primavera del 2012 questo gruppo ha maturato l’idea di costituire una vera e propria fraternità, che oggi si chiama "Associazione fraternità sposi per sempre”. L’obiettivo non è quello di sopravvivere a un dolore, ma di vivere in pienezza il proprio cammino di santità. Il tutto al servizio della Chiesa, testimoni in carne ed ossa che la fedeltà al matrimonio è possibile anche se l’amore non è più ricambiato dal tuo coniuge. La nostra associazione è inserita nel più ampio progetto di Mistero Grande (www.misterogrande.org), che nasce dal desiderio comune e condiviso di alcune coppie di sposi cristiani di esprimere la loro identità più vera nella bellezza del matrimonio. La mia regola ha solo codificato quello che esisteva già nell’animo di tante persone come me».

Di tutto questo, dicevi, fa parte anche l’amore per i figli. Molto importante nella tua vita è anche l’educazione che hai voluto dare a tuo figlio e il contatto quotidiano con tante storie di bambini e adolescenti vittime della separazione dei propri genitori. Forse ci dimentichiamo che sono anche loro a soffrire immensamente a seguito della fine dei matrimoni?

«Io non posso dimenticarmene perché ho visto il trauma subito da mio figlio. Ma l’impressione è proprio quella: addirittura si è arrivati a dire che l’approvazione di una legge sul divorzio breve serve anche ad alleviare il dolore dei figli. Ci si dimentica invece che per loro la vera sofferenza inizia dal momento in cui i genitori si separano definitivamente. E io posso testimoniarlo perché oggi mi trovo ad ascoltare molte persone che vivono nella mia stessa condizione e i cui figli hanno avuto molti problemi a scuola, nella vita affettiva, nell’esistenza quotidiana. Su questo argomento, anche in occasione del Sinodo, non si sono spese parole sufficienti. Che ne sarà di quei figli i cui genitori si sono fatti una seconda famiglia? Come potrebbero reagire alla "normalizzazione” di un secondo matrimonio? Sono questioni che dovrebbero consigliare prudenza sia in senso ecclesiale che laico».

Si sta correndo troppo velocemente senza una vera meta?

«Il rischio è grande. Si sta giocando con la famiglia. Se la Chiesa vorrà aprire all’accesso ai sacramenti per i risposati, cosa avrà poi da dire alle famiglie che vivono con impegno e sacrificio un matrimonio fedele? Se lo Stato demolisce la struttura portante della società, quale futuro ci attende?».  

Però la tua storia, la tua vita attuale, la tua presenza, la tua attività al servizio delle famiglie in difficoltà comunicano speranza, a dispetto di uno scenario non proprio incoraggiante.

«Potrebbe essere diversamente? L’ho già detto: Gesù è sempre con me, è sempre con noi se lo vogliamo, se Gli facciamo spazio nel nostro cuore. È la gioia di vivere e testimoniare la Verità. Consentimi di ripeterlo: il Signore ci vuole felici, ci dà la pace vera, che non è la pace del mondo. Ci tratta con misericordia, una misericordia vera, che è quella che ha usato con l’adultera: "Neppure io ti condanno, va’ e non peccare più». 

 09/01/2915 fonte La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 25/12/2014 Natale del Signore


La Chiesa celebra con la solennità del Natale la manifestazione del Verbo di Dio agli uomini. E’ questo infatti il senso spirituale più ricorrente, suggerito dalla stessa liturgia, che nelle tre Messe celebrate oggi da ogni sacerdote offre alla nostra meditazione "la nascita eterna del Verbo nel seno degli splendori del Padre (prima Messa); l'apparizione temporale nell'umiltà della carne (seconda Messa); il ritorno finale all'ultimo giudizio (terza Messa)" (Liber Sacramentorum).
Un antico documento, il Cronografo dell'anno 354, attesta l'esistenza a Roma di questa festa al 25 dicembre, che corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d'inverno, "Natalis Solis Invieti", cioè la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell'anno, riprendeva nuovo vigore.
Celebrando in questo giorno la nascita di colui che è il Sole vero, la luce del mondo, che sorge dalla notte del paganesimo, si è voluto dare un significato del tutto nuovo a una tradizione pagana molto sentita dal popolo, poiché coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi cittadini. Le strenne natalizie richiamano però più direttamente i doni dei pastori e dei re magi a Gesù Bambino.
In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol dire "manifestazione"; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si riscontra in Antiochia verso il 376 al tempo del Crisostomo e nel 380 a Costantinopoli, mentre in Occidente veniva introdotta la festa dell'Epifania, ultima festa del ciclo natalizio, per commemorare la rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano. I testi della liturgia natalizia, formulati in un'epoca di reazione alla eresia trinitaria di Arlo, sottolineano con accenti di calda poesia e con rigore teologico la divinità del Bambino nato nella grotta di Bettlem, la sua regalità e onnipotenza per invitarci all'adorazione dell'insondabile mistero del Dio rivestito di carne umana, figlio della purissima Vergine Maria ("fiorito è Cristo ne la carne pura", dice Dante).
L'Incarnazione di Cristo segna la partecipazione diretta degli uomini alla vita divina. La restaurazione dell'uomo mediante la spirituale nascita di Gesù nelle anime è il tema suggerito dalla devozione e dalla pietà cristiana che, al di là delle commoventi tradizioni natalizie fiorite ai margini della liturgia, ci invita a meditare annualmente sul mistero della nostra salvezza in Cristo Signore.

Bambini vittime degli Erode di oggi: il Papa Urbi et Orbi

Gesù trasformi l’indifferenza in vicinanza, il rifiuto in accoglienza: è la preghiera di Papa Francesco al saluto Urbi et Orbi, in cui ricorda le lacrime di tanti nel mondo: vittime di "guerre, persecuzioni, schiavitù”. In particolare parla dei bambini, "vittime degli Erode di oggi". Torna a denunciare il silenzio complice di tanti e la globalizzazione dell'indifferenza.  Il figlio di Dio è la salvezza, dice Francesco, pregando perché "tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne”. Il Papa parla a oltre 80.000 persone raccolte in Piazza San Pietro. Il servizio di Fausta Speranza:
"Gesù è la salvezza per ogni persona e per ogni popolo”: la speranza del Natale è forte nelle parole di Francesco che però ricorda che "tante lacrime ci sono in questo Natale insieme con le lacrime di Gesù”. Papa Francesco, ricordando la gioia della nascita del Figlio di Dio, Salvatore del mondo, ricorda che "sono le persone umili, piene di speranza nella bontà di Dio, che accolgono Gesù e lo riconoscono”. In tante situazioni sembra prevalere "l’indifferenza, il rifiuto”, l’odio, la violenza. Il cuore del Papa Francesco è vicino innanzitutto ai bambini:
"Gesù Bambino. Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i  bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato".
La denuncia di Papa Francesco è forte e chiara, e ribadita: 
"Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode". 
L'invocazione e la preghiera: 
 "Gesù salvi i troppi fanciulli vittime di violenza, fatti oggetto di mercimonio e della tratta delle persone, oppure costretti a diventare soldati;bambini, tanti bambini abusati. Dia conforto alle famiglie dei bambini uccisi in Pakistan la settimana scorsa”.
L’attenzione del Papa è per tutti quelli che soffrono: nomina l’Iraq, la Siria, il Medio Oriente, la Nigeria e altri focolai di conflitto nel continente africano, l'Ucraina. E poi "i gruppi etnici e religiosi che patiscono una brutale persecuzione”, i malati e in particolare le vittime di ebola.  
"Il potere di Cristo, che è liberazione e servizio, si faccia sentire in tanti cuori che soffrono guerre, persecuzioni, schiavitù”.
E’ l’appello affinchè le persone sofferenti siano raggiunte dall’amore di Dio. Ma c’è poi la preghiera accorata a Dio perché tocchi i cuori di tanti distratti osservatori o responsabili:
"Che con la sua mansuetudine questo potere divino tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne immersi nella mondanità e nell’indifferenza, nella globalizzazione dell’indifferenza. Che la sua forza redentrice trasformi le armi in aratri, la distruzione in creatività, l’odio in amore e tenerezza”.
Dunque il pensiero preciso a diverse situazioni, innanzitutto Iraq e Siria:
"A Lui Salvatore del mondo domando oggi che guardi i nostri fratelli e sorelle dell’Iraq e della Siria che da troppo tempo soffrono gli effetti del conflitto in corso e, insieme con gli appartenenti ad altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione”.
"Il Natale porti loro speranza – dice Francesco - , come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati”.
"Quanti sono ora nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere, alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità.
E dunque l’appello perché le cose in Medio Oriente cambino:
"Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi”.
Poi il pensiero alla martoriata Nigeria:
"Cristo Salvatore doni pace alla Nigeria, dove altro sangue viene versato e troppe persone sono ingiustamente sottratte ai propri affetti e tenute in ostaggio o massacrate. Pace invoco anche per altre parti del continente africano”.
E il Papa nomina anche la Libia, il Sud Sudan, la Repubblica Centroafricana e varie regioni della Repubblica Democratica del Congo. Anche qui l’appello concreto: "chiedo a quanti hanno responsabilità politiche – dice Francesco - di impegnarsi attraverso il dialogo a superare i contrasti e a costruire una duratura convivenza fraterna”.
E la speranza per l'Ucraina perchè "Gesù conceda a quell’amata terra di superare le tensioni, vincere l’odio e la violenza e intraprendere un nuovo cammino di fraternità e riconciliazione". 
Nella preghiera per le vittime di ebola, in particolare in Liberia, Sierra Leone, Guinea, c’è l’appello perché "siano assicurate l’assistenza e le terapie necessarie” ma anche un ringraziamento sentito per quanti si stanno adoperando coraggiosamente”.
Davvero per tutti, la preghiera di Francesco: "che lo Spirito Santo illumini i nostri cuori perché possiamo riconoscere nel Bambino Gesù, la salvezza donata da Dio a ogni uomo”.

25712/2014 fonte: Radio vaticana

Sante sberle di Natale di un padre che aveva il coraggio di essere padre



di Giovanni Testori

«Il portinaio aveva due figli, uno era Peppino e sarebbe diventato mio amico. Gesù quel Natale portò i doni come sempre: come è naturale a me portò molto più che a lui»
giovanni-testoriRingrazio il cielo che qualcosa d’altro mi ha dato l’educazione di mio padre. Nella nostra casa di Novate, a Natale arrivava Gesù Bambino. Stavamo a ridosso dello stabilimento dei miei e c’era lì la portineria. Il portinaio aveva due figli, uno era Peppino e sarebbe diventato mio amico. Gesù quel Natale portò i doni come sempre: com’è naturale a me portò molto più che a lui. A Santo Stefano giocavo nel cortile dello stabilimento e il Peppino mi porta a casa a vedere i suoi regali. Era felice. E io poi l’ho portato a casa mia. «Guarda i mè, quanti me n’à purtuàa ul Bambin Gesù! Perché mi sunt el fioeu del padrun!» Lo vidi uscire piangendo come un disgraziato. Avevamo cinque anni. Mio papà lo incontra e gli dice: «’Ste ghet?», cos’hai? E il Peppino: «Il Gianni mi ha detto..» «Ah sì! Adess, al ciapi mì», lo prendo io. Alle cinque della sera, quando uscivano gli operai che allora, prima del 1930, erano 25-30, mi mise sulla porta, in ginocchio. Li conoscevo tutti. Timbravano il cartellino: tac-tac, tac-tac. E lui mi picchiava e diceva: «Chi credi di essere tu? Dumanda perdùn! Domanda perdùn! Scemo, stupit. Così imparai che cos’è la vita. Perdùn!» Il tac-tac dei cartellini, gli sguardi degli operai che avevano compassione, mi sono rimasti qui. Sante sberle. Aveva il coraggio di essere padre.

25/12/2014 fonte: Tempi.it




Il primo vero presepe gay è in un seminario

di Tommaso Scandroglio

Nel seminario vescovile di San Miniato è spuntato un presepe, che a voler essere buoni perché è Natale, potremmo definirlo ambiguamente gay. L’artista Mario Rossi ha raffigurato due pastori a grandezza naturale che stanno a braccetto uno con l’altro e tengono in mano un cartello dove c’è scritto: «Cerchiamo di superare come ha detto Papa Bergoglio, la cultura dello ‘scarto’ con la cultura della solidarietà».

Quei due pastori vogliono raffigurare la prima coppia gay di Betlemme? La soluzione nelle parole di Rossi: "Ho parlato delle diversità che si palesano in questo tempo dai nuovi, pericolosi, rigurgiti oscuri e quindi è solo un messaggio contro i muri, le terre contese, le guerre tra gli uomini, l’odio scatenato dalle differenze religiose, ma anche da quelle legate all’orientamento sessuale. Il mio è un invito alla pace e alla tolleranza: nel presepe l’ho detto e lo ripeto c’è posto per tutti. Le polemiche, invece, non m’interessano: non ho realizzato questo progetto di presepe per destare clamore o per dare il via ad un polverone mediatico. La gente, vedendo questa rappresentazione, dovrebbe riflettere”. Poi aggiunge l’artista che non fa mistero di essere un cattocomunista Doc: "Il presepe è sicuramente sacro, simbolo di pace e di speranza, ma proprio per questo quel popolo che adora il bambino è un popolo che non conosce le diversità, che include tutti senza distinzione di razza, sesso o religione. Almeno nel presepe questo può accadere”.

E dunque pare proprio che l’invito di Rossi sia quello di non scartare nessuno, persone omosessuali comprese. Assolutamente condivisibile, ma si sa che l’invito ad accogliere le persone con tendenza omosessuale spesso scivola nell’invito ad accogliere l’omosessualità.

Rossi ci dice che nel presepe ci deve essere spazio per tutti. D’altronde Gesù è venuto per tutti. Quindi spazio anche ladri, truffatori ed evasori fiscali nel presepe? Perché scartare questa ampia fetta di umanità? Anzi, forse la domanda giusta è: "Perché nel presepe accanto all’arrotino, al pastore e al boscaiolo, non abbiamo mai visto un ladro che si intrufola in una casetta, un borseggiatore che sfila una paio di monete dalla saccoccia del pastore distratto che sta contemplando la natività, un sequestratore che rapisce la figlia del fabbro per chiederne il riscatto?”. Eppure sono anch’essi uomini di quel "popolo che non conosce la diversità”.

Tali figuri non hanno mai avuto le carte in regola per diventare statuine abilitate a calcare la scena di questo mistico teatro in miniatura perché l’umanità che contempla il Bambinello è sì quella peccatrice ma anche quella che vuole convertirsi. La scoperta di Gesù grazie all’annuncio celeste porta alla conversione e dunque quell’abbraccio dei due pastori di San Miniato dovrebbe immediatamente cessare. E’ vero dunque che il Gesù Bambino nella mangiatoria viene per redimere tutte le miserie di cui è afflitto l’uomo. Omosessualità e blasfemia compresa. Ma che le persone omosessuali superino questa loro tendenza e che i blasfemi si ravvedano. Altrimenti costoro starebbero a contemplare non Gesù nella mangiatoia bensì i loro peccati.

Nel presepe del sig. Rossi invece Gesù deve far posto all’omosessualità e così accade che il vero rifiutato, il vero scartato – duemila anni fa come oggi – è ancora Lui.

Ovviamente l’esperimento di San Miniato potrebbe dare la stura altre iniziative simili in futuro. Nei prossimi Natale quella coppia etero composta da Maria e Giuseppe – così stereotipata nel loro dualismo sessuale - potrebbe essere sfrattata dalla capanna per far posto ad una coppia omo. Il Gesù Bambino a quel punto non potrebbe che essere adottato. Intuibile che gli altri presepi di francescana memoria sarebbero da considerarsi omofobi. Oppure il presepe potrebbe celebrare non più tanto la natività di Nostro Signore bensì l’asessualità degli angeli – così voluti da Dio - i quali diventerebbero loro malgrado bandiera dell’ideologia gender perché né maschi e né femmine. La rivisitazione in chiave omo colpirebbe anche i Re Magi: tre uomini, che vivono a stretto contatto uno con l’altro per più di settimane senza la compagnia di una donna la direbbero già lunga sul loro orientamento sessuale. Insomma le variazioni sul tema potrebbero essere variopinte come l’arcobaleno della bandiera gay.

Ma c’è una notizia dentro la notizia. Come accennato, il presepe è stato allestito presso il seminario vescovile. La curia, attualmente sprovvista di vescovo, per ora tace. Ma non c’è un portavoce in questo momento di "sede vacante” pronto a separare i due pastorelli? E il rettore del seminario? La vicenda imbarazza non poco sia perché nell’immaginario collettivo il seminario evoca l’idea di un luogo dove fiorisce il celibato sacerdotale sia perché nell’altro lato – quello in ombra – dello stesso immaginario collettivo il seminario viene visto come luogo dove fioriscono pratiche omosessuali. Insomma vorremmo evitare che qualche malizioso pensasse che il presepe sia un imprimatur de facto a certe licenziose condotte dei sacerdoti in erba.

Forse il sig. Rossi però ha un inconsapevole merito. Ci ha fatto comprendere meglio il vero significato di quel freddo e gelo cantato dal "Tu scendi dalle stelle”: il Divin Bambino anche quest’anno raggelerà di fronte alla perversione culturale e di costumi che si squaderna al di fuori della sua capanna.

25/12/2014 fonte. la nuova bussola quotidiana

Violenze brutali contro i cristiani del Medio Oriente

di Massimo Introvigne

Il 23 dicembre è stata resa pubblica la lettera di Papa Francesco ai cristiani del Medio Oriente, formalmente datata 21 dicembre. I media si sono affrettati a commentare l'accento alla minaccia «di dimensioni prima inimmaginabili» costituita dal Califfato e l'invito rinnovato a chi nell'islam pensa di avere titolo a definire il «vero» contenuto della propria religione perché condanni senza ambiguità il terrorismo e la persecuzione delle minoranze religiose. Si tratta di aspetti certamente importanti, ma (come per il discorso del 22 dicembre alla Curia Romana) non si afferra davvero il cuore del Magistero di Papa Francesco se non se ne coglie la dimensione spirituale. Il tempo della persecuzione richiede certo una risposta della comunità internazionale «con ogni tipo di iniziativa»: ma deve anche essere vissuto, dagli stessi perseguitati e da tutta la Chiesa, come un «appello alla santità», una chiamata alla preghiera, ai Sacramenti e a una vita cristiana più coerente e fervorosa.

Il Papa parte da una citazione della Seconda Lettera ai Corinti di San Paolo: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2 Cor 1,3-4). Parole tanto adatte al Medio Oriente cristiano, dove «alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri». Davvero «l'afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente».

Le tribolazioni non sono recenti, ma si sono aggravate a causa di un fenomeno nuovo: «l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica». Né questa organizzazione terroristica, che il documento non nomina ma che è evidentemente l'Isis, il cosiddetto Califfato, se la prende solo con i cristiani: ci sono «anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione», la quale ormai non risparmia neppure i bambini. «Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa». 

Le persecuzioni - lo ha insegnato lo stesso Gesù Cristo - possono «fortificare la fede e la fedeltà», purché si rimanga uniti e non si dimentichino la preghiera e i sacramenti. «L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta». Sono pure necessari «i Sacramenti, la preghiera» perché la persecuzione è sempre «un forte appello alla santità della vita». E la persecuzione colpisce insieme cattolici e ortodossi, favorendo quell'ecumenismo della sofferenza e del sangue che il Papa ha messo al centro del suo viaggio apostolico in Turchia. «Le sofferenze patite dai cristiani», scrive Francesco, «portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. È l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo».

La presenza dei cristiani giova anche agli ebrei e ai musulmani ed «è preziosa per il Medio Oriente. Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità nella terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo. Siete come il lievito nella massa. Prima ancora di tante opere della Chiesa nell’ambito scolastico, sanitario o assistenziale, da tutti apprezzate, la ricchezza maggiore per la Regione sono i cristiani, siete voi». Qualche volta sembra che ogni tentativo di dialogo sia vano e perfino inutile. Ma in realtà lo«sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada». Il dialogo, anzi, «è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni».

A chi vive «in un ambiente a maggioranza musulmana» Francesco chiede di «aiutare i concittadini musulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti». Questa nuova auto-presentazione da parte dell'islam ha però come condizione, per essere credibile, una denuncia non ambigua delle persecuzioni delle minoranze religiose e del terrorismo. «La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli».

Superando tante difficoltà, il Papa chiede ai laici cristiani del Medio Oriente di impegnarsi nella vita politica, di esercitare «il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla crescita della vostra nazione». Ai pastori Francesco rinnova l'invito a rimanere accanto al gregge nelle difficoltà. Ai giovani ripete le parole di Benedetto XVI nell'esortazione apostolica «Ecclesia in Medio Oriente»: «Non abbiate paura o vergogna di essere cristiani. La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza religiosa». Agli anziani del Medio Oriente la lettera esprime «stima»: «siete la memoria dei vostri popoli; auspico che questa memoria sia seme di crescita per le nuove generazioni». E il Pontefice saluta quanti operano nelle vaste opere della Chiesa di carattere sociale ed educativo. In particolare, «nell’ambito dell’educazione è in gioco il futuro della società».

Francesco sa che i cristiani del Medio Oriente non possono farcela da soli. Tutta la Chiesa deve sostenerli. Ma occorre anche «esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni». Il Papa condanna nuovamente il traffico di armi e le troppe forme di scetticismo riguardo alla possibilità che nel Medio Oriente si arrivi a una vera pace: scetticismi, scrive, che si combattono anch'essi con la preghiera. 

«La vostra testimonianza», conclude la lettera del Papa ai cristiani del Medio Oriente, «mi fa tanto bene. Grazie! Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi. La Vergine Maria, la Tutta Santa Madre di Dio e Madre nostra, vi accompagni e vi protegga sempre con la sua tenerezza»

25/12/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 06/12/2014 San Nicola di Mira ( di Bari)



San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente. 

La Patria di San Nicola
 
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia. 
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida. 
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.

L'infanzia

Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive  che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.  
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro ("S. Nicola nero”). In realtà, Nicola nacque intorno all’anno 260 dopo Cristo a Patara, importante città marittima della Licia, penisola della costa meridionale dell’Asia Minore (oggi Turchia). Nel porto di questa città aveva fatto scalo anche S. Paolo in uno dei suoi viaggi.
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato "greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita. 
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata. 
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.


Il Papa: teologi, il cuore è la prima intelligenza. Spazio alle donne

di Alessandro de Carolis

L’ascolto della Parola di Dio prima dello studio deve essere una delle principali attitudini di un teologo. Lo ha affermato Papa Francesco ricevendo i membri della Commissione Teologica Internazionale, all’inizio di un nuovo quinquennio di lavori. Il Papa ha invitato a dare attenzione agli apporti delle donne in questo ambito e ha sollecitato tutti a preservare l’unità nel pluralismo dei punti di vista. A poco serviranno gli studi di un teologo, se la sua mente non è collegata al suo cuore e il suo cuore in ascolto costante di Dio. Questo è ciò che importa nello sviluppo della teologia, assieme al rispetto dei diversi punti di vista, e l’incontro con i membri della Commissione teologica internazionale stimola in Papa Francesco una nuova riflessione su un argomento spesso affrontato.
La missione della Commissione è quella, recita lo statuto, di "studiare i problemi dottrinali di grande importanza” così da aiutare il "Magistero della Chiesa”. Per questo, osserva il Papa, servono indubbie "competenze intellettuali”, ma anche, sottolinea, "disposizioni spirituali”. E la prima, afferma, si chiama "ascolto”:
"Il teologo è innanzitutto un credente che ascolta la Parola del Dio vivente e l’accoglie nel cuore e nella mente. Ma il teologo deve mettersi anche umilmente in ascolto di ‘ciò che lo Spirito dice alle Chiese’, attraverso le diverse manifestazioni della fede vissuta del popolo di Dio. Lo ha ricordato il recente documento della Commissione su ‘Il sensus fidei nella vita della Chiesa’. È bello, mi è piaciuto tanto quel documento, complimenti! Infatti, insieme a tutto il popolo cristiano, il teologo apre gli occhi e gli orecchi ai ‘segni dei tempi’”.
E un segno dei tempi che cambiano anche a livello accademico è dato dalla crescente presenza di donne specializzate in studi teologici. Papa Francesco le definisce con simpatia e intenzione "fragole” di una "torta” sulla quale devono però esservene "di più”. Le loro peculiari doti di "sensibilità” e "intuizione”, osserva ancora, rendono "indispensabile” il loro apporto intellettuale:
"In virtù del loro genio femminile, le teologhe possono rilevare, per il beneficio di tutti, certi aspetti inesplorati dell’insondabile mistero di Cristo ‘nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza’. Vi invito dunque a trarre il migliore profitto da questo apporto specifico delle donne all’intelligenza della fede”.
L’ultima indicazione di Papa Francesco alla Commissione Teologica – giunta al 45.mo anno di attività, nata dopo il Concilio – è quella di conservare l’"unità” pur nella naturale differenza delle culture:
"A partire da questo fondamento e in un sano pluralismo, vari approcci teologici, sviluppatisi in contesti culturali differenti e con diversi metodi utilizzati, non possono ignorarsi a vicenda, ma nel dialogo teologico dovrebbero arricchirsi e correggersi reciprocamente. Il lavoro della vostra Commissione può essere una testimonianza di tale crescita., e anche una testimonianza dello Spirito Santo, perché è Lui a seminare queste varietà carismatiche nella Chiesa, diversi punti di vista, e sarà Lui a fare l’unità. Lui è il protagonista, sempre”.
Papa Francesco si congeda indicando un modello, Maria. È lei, afferma, la "maestra dell’autentica teologia”, Donna "dell’ascolto, donna della contemplazione, donna della vicinanza ai problemi della Chiesa e della gente”.

06/12/2014 fonte : Radio Vaticana


Il miracolo di Benedetto XVI





E’ un bel mattino di maggio del 2012 quando Peter Srsich, insieme ai genitori Tom e Laura ed al fratello minore Johnny, si trova tra la folla di piazza S. Pietro per assistere all’udienza di Papa Benedetto XVI. Peter è un ragazzo di diciannove anni, giunto dal Colorado grazie alla Fondazione internazionale Make A Wish, che gli ha offerto la possibilità di realizzare un sogno. "E’ stato uno dei meno costosi, con una spesa complessiva di soli 14.000 dollari, ma sicuramente il più singolare” ha constatato Jennifer Mace-Walton, direttrice dell’organizzazione che nel Colorado consente ai ragazzi con malattie mortali di concretare desideri altrimenti impossibili.

Terminata l’udienza, la famiglia Srsich viene invitata a mettersi in fila per incontrare personalmente il Pontefice. Il ragazzo, che non si aspettava di potergli parlare, capisce che ha a disposizione pochissimi minuti per raccontargli le ragioni della sua venuta ma, mentre lo vede avvicinarsi sempre di più, si accorge con apprensione che gli altri fedeli gli stanno offrendo doni importanti, mentre loro sono arrivati a mani vuote.

 

E’ il padre a toglierlo dall’imbarazzo porgendogli il suo braccialetto di gomma verde con la scritta: "Prega per Peter” e con la citazione "Romani 8:28”, il passo biblico preferito dal giovane, che afferma: "E noi sappiamo che in tutte le cose Dio opera per il bene di coloro che lo amano, che sono stati chiamati secondo il suo disegno.” E’ uno dei 1.200 braccialetti fatti realizzare da un compagno di classe di Peter, che sapeva esser molto devoto, per donarlo a chiunque potesse pregare Dio per lui.

"Ho visto donargli corone d’oro e un meraviglioso quadro di Maria altro 1 metro e mezzo – dirà in seguito – e io stavo seduto lì con un braccialetto di gomma da 70 cent, ero lì in piedi come il piccolo tamburino (personaggio di una canzone natalizia, ndr) con niente da offrire.”

 

Ma come raccontare al Papa in poche parole gli ultimi due anni della sua vita? Nella mente scorrono veloci gli avvenimenti che lo hanno portato a trovarsi in quella nella piazza.

Il suo calvario era iniziato poco prima del termine del suo primo anno di liceo con la comparsa di una fastidiosa tosse.

Quell’estate, di ritorno da una gita in canoa nel Minnesota, oltre alla tosse si era anche ritrovato sopraffatto da un’insolita stanchezza. Era un tipo di affaticamento "diverso da qualsiasi altro io abbia mai provato” racconterà poi.

Quelli che all’inizio sembravano i sintomi di una semplice polmonite risultarono invece essere gli effetti della presenza, nel suo polmone sinistro, di una massa di dieci centimetri che premeva sul cuore.

"Era così grande che non poterono mettermi sotto anestesia perché c’era il rischio che non mi sarei più svegliato, quindi non potevano neanche effettuare il prelievo per una biopsia”, ha riferito il giovane. Ma la diagnosi fu comunque fatta: linfoma non-Hodgkin al quarto stadio.

Peter7Il giovane venne quindi ricoverato immediatamente presso il Children Hospital del Colorado dove fu sottoposto ad estenuanti cicli di chemioterapia e di radioterapia.

Nonostante il fisico reggesse bene le cure, in Peter cominciò a manifestarsi una forte depressione che si alleggeriva solo dopo aver ricevuto l’Eucarestia, mentre la sua mente era tormentata da angosciose domande riguardanti il volere di Dio su di lui.

Nel frattempo gli fecero visita gli operatori del Colorado Make A Wish Foundation, che aiuta ogni anno circa 250 bambini con patologie gravissime a realizzare un sogno.

"All’inizio ero un po’ preoccupato – ha detto Peter – perché ho pensato di essere come i bambini malati terminali che non hanno nessuna possibilità di guarigione e chiedono un ultimo desiderio. Ho creduto che ci fosse qualcosa che i medici non mi dicevano.”

Ma dopo aver chiacchierato con loro si era tranquillizzato, confidando che il suo massimo desiderio, molto più forte che non visitare Disneyworld o incontrare Justin Bieber, era di recarsi a Roma per incontrare il Papa.

"Ero convinto che sarei stato perfettamente bene se avessi potuto fare un viaggio in Vaticano” ha poi raccontato.

Peter4La situazione clinica di Peter Srsich soddisfaceva i criteri stabiliti dalla Make a Wish Foundation del Colorado: "un giovanissimo con una malattia, comprovata da un referto medico, che sia progressiva e maligna e che porti al possibile, se non probabile, decesso”. Quindi il suo desiderio sarebbe stato accontentato.
Pur non avendo potuto frequentare regolarmente la scuola, il giovane, completamente calvo, aveva partecipato allegramente alle festa di fine anno guadagnandosi il titolo di Re del ballo.

 

A tutti questi avvenimenti torna Peter mentre il Pontefice si sta avvicinando, e appena lo ha accanto, dopo due minuti di preamboli, gli racconta del suo cancro e gli chiede una benedizione.

Pur troneggiando sul fisico minuto di Benedetto con la sua altezza di 1,98 metri, si sente in soggezione dinnanzi alla premurosa attenzione carica d’affetto del Pontefice e resta colpito dalla sua profondissima umiltà e dalla sua sorridente dolcezza, così da regalargli il braccialetto di gomma senza alcun imbarazzo.

Il Papa, di fronte a tanta fede e a tanta confidente speranza, lo benedice ponendogli la mano destra sul torace, proprio lì dov’è annidato il tumore, mentre con la sinistra gli prende la mano.

Ma il prodigioso è che Peter non gli ha raccontato che da lì era partito il tutto e se ne stupisce maggiormente rendendosi conto che normalmente le benedizioni vengono impartite imponendo le mani sul capo.

Peter3Pieno di gioia per quell’incontro, Peter comincia ad avvertire immediatamente un nuovo senso di benessere che aumenta di giorno in giorno, finché i medici del Children Hospital lo dichiarano completamente guarito.

Oggi Peter Srsich frequenta la Regis University, un collegio di Gesuiti a Denver. Il suo obiettivo è quello di essere ordinato sacerdote.

 06/12/2014 fonte: La Madre della chiesa

Bergamo, presepe vietato a scuola




Presepe vietato all'istituto De Amicis di Bergamo, nel quartiere Celadina. Quest'anno la rappresentazione della Natività non ci sarà. Una "consuetudine" per il preside della scuola, Luciano Mastrorocco che ha vietato la realizzazione del presepe, adducendo come motivo la volontà di non discriminare chi è fedele di religioni diversa da quella cattolica. Un insegnante nei giorni scorsi aveva chiesto di poter realizzare il presepe, ma il preside glielo ha impedito con un secco no.
 
"La scuola pubblica - ha dichiarato il preside al Corriere di Bergamo - è di tutti e non va creata alcuna occasione di discriminazione". All'istituto gli alunni non italiani sono il 30%, mentre in alcune classi si raggiunge il 50%. . In classe ognuno può portare contributo, è la posizione del preside, ma fare il presepe potrebbe "risultare soverchiante per qualcuno, che potrebbe subire ciò che non gli appartiene". Il preside si è difeso sostenendo che questo è l'orientamento che ha dato all'istituto da otto anni.   

Non mancano le proteste dei genitori, che parlano di divieto assurdo: "È giusto far crescere i figli secondo il nostro credo, poi da grandi saranno liberi se seguirlo oppure no". 

E la Lega, con il suo segretario Matteo Salvini non perde l'occasione per accendere la polemica. "Pazzesco. È questo modello di scuola che dovrebbe educare nostri figli?" comenta su twitter la decisione del preside dell'istituto bergamasco di non allestire il presepe a scuola per non discriminare gli alunni di altre religioni. 

Sulla vicenda è intervenuto anche il sottosegretario all'Istruzione Gabriele Toccafondi: "Impedire la realizzazione di un presepe in una scuola è un atto che reputo privo di ragioni e di laicismo esasperato, che si nasconde dietro la presenza di alunni stranieri o di altre religioni, ma che nulla ha a che vedere con una sana laicità. Quella del preside dell'istituto bergamasco mi sembra una posizione irragionevole che spero sia dettata solo da un malinteso senso di laicità".

06/12/2014 fonte : Avvenire

I genitori non pensino a essere perfetti, ma indichino ai figli la strada di un’avventura buona

di Costanza Signorelli

Educare è poter dire al figlio. «Vivi figlio mio, vivi! Stiamo vivendo un’avventura pazzesca che finisce bene, che ha una lieta fine! Vivi, non avere paura! Tutto in questo mondo è contro di te, ma non temere!». Quando pronuncia queste parole, la voce di padre Vincent si fa viva e vibrante.  E non ha alcun dubbio quando mi dice che: «Avere figli ed educarli, non significa prima di tutto proteggerli dal dolore e dalle sofferenze, nemmeno quelle che gli rechiamo noi». Vincent Nagle è un prete della Fraternità San Carlo Borromeo di Roma, lo riesco a intercettare con un po’ di fortuna visto che la sua missione lo impegna costantemente in giro per il mondo. 

Nato a San Francisco (Usa) nel 1958, Vincent cresce in un clima familiare confuso e connotato dalla forte ideologia femminista. Dopo un percorso vivace e grazie ad una serie di amicizie decisive, su tutte quella con don Massimo Camisasca, viene ordinato sacerdote nel 1992. Chiacchieriamo per circa un’ora e nonostante lui mi parli da Roma con un italiano molto californiano e io sia a Milano con alle caviglie una figlioletta che verseggia allegramente, padre Vincent riesce a farsi capire molto bene. É il dono di chi, come lui, quando parla sa far vivere un’esperienza. L’esperienza di una missione che lo ha portato dagli Stati Uniti, dove ha lavorato per dieci anni come cappellano in un ospedale in New England, sino in Medio Oriente presso l’Ufficio del Patriarca di Gerusalemme. E che oggi lo vede impegnato più che mai a combattere al fianco delle famiglie, proprio come gli ha insegnato don Massimo Camisasca: «Voi preti, il vostro primo lavoro è sostenere le famiglie, perché loro sono in trincea, loro sono in prima linea, loro sono sotto attacco, loro hanno la missione di mandare avanti la Chiesa con i loro figli». Vincent ha di recente intrapreso, in giro per l’Italia, un ciclo di incontri dal tema: "Educare i figli cristianamente, oggi è possibile?”. Ed è proprio su questo che approfondiamo il nostro colloquio. 

Padre Vincent se educare i figli non significa prima di tutto proteggerli, qual è il compito principale di un genitore?

«L’educazione cristiana consiste nell’introdurre chi ci è stato affidato in una grande avventura che ha un buon finale. É poter partecipare non solo a una grande storia, ma alla Grande Storia. Non c’è altro, è semplicemente questo. Lo scopo dell’educazione che ci dava Gesù è di riconoscere il Salvatore. Tutto il resto sono i frutti dell’educazione, ma non lo scopo. Quindi, la questione di fare i genitori non è la questione di una bravura personale, ma è una missione data da Dio! Perciò non può dipendere da quanto mamma e papà sono bravi a non sbagliare, a non commettere errori. E nemmeno da quanto sono attenti o presenti. Mettendo figli nel mondo, bisogna accettare che è un mondo pericoloso, pieno di rischi, però è un’avventura che dà gusto alla vita. Bisogna affrontarla senza paura!».

Perché si può educare senza paura? Senza paura che il male, e se ne sente tanto ogni giorno, colpisca i nostri figli?

«Perché non avere paura? Perché tutto, ma proprio tutto, fa parte di una bellissima avventura che ha una lieta fine! Perché l’ultima parola non è la nostra, ma è nelle mani di Chi è risorto dalla morte e che ci manda lo Spirito Santo. È incredibile questa nostra vita: è un susseguirsi di imprevisti che ci scombussola in continuazione, ma la bussola c’è. È Lui qui in mezzo a noi. Lo possiamo incontrare, Lo possiamo conoscere, possiamo essere accompagnati da Lui e possiamo vedere la Sua presenza. Quindi le prove anche durissime che ci sono in questa vita non ci spaventano più».

Però viviamo in un momento in cui, solo per fare un esempio, il ministero dell’Educazione fa coppia con le associazioni Lgbt per introdurre nelle scuole l’insegnamento della cosiddetta "cultura gender”. E così i genitori si trovano a fare i conti con educatori che insegnano ai figli che la differenza tra maschio e femmina non esiste, che si possono avere due mamme o due papà etc…

«Io conosco bene questa situazione. Mia mamma è stata una delle fondatrici di tutto il pensiero e la filosofia New Age e mia sorella è un’esponente molto conosciuta di una certa espressione della cultura lesbica. Dunque, io sono cresciuto proprio nell’ambiente omosessuale. Quando ero ragazzo la nostra casa in California era frequentata da diversi personaggi di rilievo di questa cultura, persone con cui spesso mi capitava di discutere, e posso dire con certezza che tutto quello che oggi sta accadendo era già scritto e stabilito. Mi raccontavano come il loro obiettivo fosse innanzitutto quello di impadronirsi dell’educazione, di entrare nelle scuole, specialmente in quelle elementari, per diffondersi nei corridoi della politica e della burocrazia. Perché mirare all’educazione? Gli esponenti di questa cultura sanno bene che una persona adulta e sana quando sente certe cose, quando viene a conoscenza di certi atti sessuali li disprezza, è normale che li respinga. Loro lo sanno bene ed è proprio per questo che devono prevenire simili reazioni, costruendo una nuova mentalità. Devono fare in modo che un ragazzo non si permetta nemmeno di pensare in un certo modo e perciò lo devono "educare” sin da piccolo. Mi spiegavano tutto questo quarant’anni fa, ora lo stanno mettendo in atto. Noi non possiamo pretendere di non appartenere a questo momento storico. Questa è una strada che non va da nessuna parte».

E quindi, qual è la strada?

«Un genitore, un educatore, può iniziare a spiegare al ragazzo che c’è una natura, che la natura è fatta per favorire la vita e che l’uomo è in sintonia con il creato quando la sua natura, le sue azioni e la sua sessualità favoriscono la vita. Va bene, lo può fare, ed è ragionevole spiegare questo. Però io dico che il vero antidoto è consegnare nelle mani dei figli - di chi Dio ci affida - una missione, un compito. É poter dire ai ragazzi che la loro vita sarà sempre più libera quanto più investita in un compito, in una missione per cui valga la pena vivere e lottare. Perché i nostri ragazzi devono affrontare tutto il mare di informazioni, tutti i punti di vista, tutta la propaganda e il lavaggio del cervello che gli viene addosso, devono affrontare tutto quanto e i genitori non possono pensare di difenderli da ogni cosa. Allora il ragazzo potrà stare in questa realtà senza perdere la sua identità, solo se vive un’ipotesi che risponde alla sua domanda: "Perché esisto?”. Senza una risposta a questo interrogativo è chiaro che tutto diventa un idolo, specialmente la sessualità che è come uno tsunami. Quando un ragazzo è lasciato senza una missione, senza un compito per cui vivere e lottare, è allora che inizia la confusione, è allora che inizia l’ambiguità».

La questione di fare i genitori - hai detto - non è una questione di bravura, di quanto mamma e papà siano bravi a non commettere errori.  Eppure gli errori dei genitori fanno soffrire i figli, in alcuni casi anche parecchio…

«Se un genitore pecca, si confessa fa penitenza, e tanta, però vive! Vive una missione. Non siamo in questo mondo per stare bene, siamo qui per vivere. E vivere vuol dire soffrire, vuol dire morire per qualcosa. Allora se un uomo, un genitore sa per cosa vive, se guarda i suoi figli grato perché con loro può condividere questo significato, allora questa certezza viene prima ed è più importante di qualsiasi errore che quel genitore può commettere. Perché i genitori sono peccatori, chiunque essi siano, sono peccatori che infliggeranno molta sofferenza e molte ferite nei loro figli. Però questa sofferenza che arrechiamo ai nostri figli non è un’obiezione, ma fa parte della missione». 

 Cosa significa?

«Significa che se c’è un motivo per vivere, non contano le sofferenze. Io avevo una fidanzata che faceva la ballerina professionista di danza classica. Nei cinque anni in cui siamo stati insieme sarò andato centinaia di volte a prenderla dopo l’esercitazione. Dopo ogni singola esercitazione sulle punte, lei si sedeva sulle scale, toglieva le scarpette e ogni volta usciva dai suoi piedi parecchio sangue. Lei non si lamentava mai di questo, perché sapeva che quella sofferenza faceva parte del vivere la grande bellezza di quella forma d’arte. Anzi, lei era fiera di quelle ferite, fiera non sconcertata. Quindi che i vostri figli siano fieri della sofferenza, anche quella che gli infliggete voi, perché fa parte della grande avventura che hanno ricevuto da voi. Della missione che hanno imparato attraverso di voi. Del grande compito che gli avete consegnato voi. Allora io dico: non avere paura! Tutto in questo mondo è contro di te, tutto, ma con Lui sei già vincitore. Cammina, anzi corri con Lui! C’è gloria per te, figlio mio, c’è gloria eterna! Andrai a cadere in battaglia, ma non temere! Stai in campo con Lui perché Lui ha già vinto. Se stai in battaglia con Lui, avrai la Sua vittoria, la Sua gloria! Tutto è contro di te ma Lui ha già vinto. Vivi, figlio mio, vivi! Va, non perché sai vincere tu, ma perché Lui ha già vinto!».

06/12/2014 fonte: la nuova bussola quotidiana

 

IL SANTO DEL GIORNO 21/11/2014 La presentazione della Beata Vergine Maria, bambina



La memoria odierna della Presentazione della Beata Vergine Maria ha un'importanza notevole, non solo perchè in essa vien commemorato uno dei misteri della vita di Colei che Dio ha scelto come Madre del Suo Figlio e come Madre della Chiesa, nè soltanto perchè in questa 'presentazione' di Maria vien richiamata la 'presentazione' al Padre celeste di Cristo e, anzi, di tutti i cristiani, ma anche perchè essa costituisce un gesto concreto di ecumenismo, di dialogo con i nostri fratelli dell'Oriente. Questo emerge con chiarezza sia dalla nota di commento degli estensori del nuovo calendario sia dalla nota della Liturgia delle Ore, che dice: 'In questo giorno della dedicazione (543) della chiesa di S. Maria Nuova, costruita presso il tempio di Gerusalemme, celebriamo insieme ai cristiani d'oriente quella 'dedicazione' che Maria fece a Dio di se stessa fin dall'infanzia, mossa dallo Spirito Santo, della cui grazia era stata ricolma nella sua immacolata concezione'. Il fatto della presentazione di Maria al tempio, com'è, noto, non è narrato in nessun passo dei testi sacri, mentre viene proposto con abbondanza di particolari dagli apocrifi, cioè da quegli scritti molto antichi e per tanti aspetti analoghi ai libri della Bibbia, che tuttavia sempre la Chiesa ha rifiutato di considerare come ispirati da Dio e quindi come Sacra Scrittura. Or secondo tali apocrifi, la presentazione di Maria al tempio non avvenne senza pompa: sia nel momento della sua offerta che durante la permanenza nel tempio si verificarono alcuni fatti prodigiosi: Maria, secondo la promessa fatta dai suoi genitori, fu condotta nel tempio a tre anni, accompagnata da un gran numero di fanciulle ebree che tenevano delle torce accese, col concorso delle autorità gerosolimitane e tra il canto degli angeli. Per salire al tempio vi erano quindici gradini, che Maria salì da sola, benchè tanto piccola. Gli apocrifi dicono ancora che Maria nel tempio si alimentava con un cibo straordinario recatole direttamente dagli Angeli e che ella non risiedeva con le altre bambine ma addirittura nel 'Sancta Sanctorum' (che veniva invece "visitato" una sola volta all'anno dal solo Sommo Sacerdote). 
La realtà della presentazione di Maria dovette essere molto più modesta e insieme più gloriosa. Fu infatti anche attraverso questo servizio al Signore nel tempio, che Maria preparò il suo corpo, ma soprattutto la sua anima, ad accogliere il Figlio di Dio, attuando in se stessa la parola di Cristo: 'Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano'.


Il Papa: le Chiese non siano mai "affariste", redenzione di Cristo è gratuita


Papa Francesco a Santa Marta 

Le Chiese non diventino mai case di affari, la redenzione di Gesù è sempre gratuita: è quanto ha detto il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la Presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria. Il servizio di Sergio Centofanti:
La liturgia del giorno propone il Vangelo in cui Gesù caccia i mercanti dal Tempio, perché hanno trasformato la casa di preghiera in un covo di ladri. Quello di Gesù – ha spiegato il Papa - è un gesto di purificazione: "il Tempio era stato profanato” e con il Tempio, il popolo di Dio. Profanato con il peccato tanto grave che è lo scandalo”.
"La gente è buona – osserva il Papa - la gente andava al Tempio, non guardava queste cose; cercava Dio, pregava … ma doveva cambiare le monete per fare le offerte”. Il popolo di Dio andava al Tempio non per questa gente, per quelli che vendevano, ma andava al Tempio per Dio” e "lì c’era la corruzione che scandalizzava il popolo”. "Io penso allo scandalo che possiamo fare alla gente con il nostro atteggiamento – sottolinea Papa Francesco - con le nostre abitudini non sacerdotali nel Tempio: lo scandalo del commercio, lo scandalo delle mondanità … Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi” per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la Messa. "E il popolo si scandalizza”:
"Una volta, appena sacerdote, io ero con un gruppo di universitari, e voleva sposarsi una coppia di fidanzati. Erano andati in una parrocchia: ma, volevano farlo con la Messa. E lì, il segretario parrocchiale ha detto: ‘No, no: non si può’ – ‘Ma perché non si può con la Messa? Se il Concilio raccomanda di farlo sempre con la Messa …’ – ‘No, non si può, perché più di 20 minuti non si può’ – ‘Ma perché?’ – ‘Perché ci sono altri turni’ – ‘Ma, noi vogliamo la Messa!’ – ‘Ma pagate due turni!’. E per sposarsi con la Messa hanno dovuto pagare due turni. Questo è peccato di scandalo”.
Il Papa aggiunge: "Noi sappiamo quello che dice Gesù a quelli che sono causa di scandalo: ‘Meglio essere buttati nel mare’”:
"Quando quelli che sono nel Tempio – siano sacerdoti, laici, segretari, ma che hanno da gestire nel Tempio la pastorale del Tempio – divengono affaristi, il popolo si scandalizza. E noi siamo responsabili di questo. Anche i laici, eh? Tutti. Perché se io vedo che nella mia parrocchia si fa questo, devo avere il coraggio di dirlo in faccia al parroco. E la gente soffre quello scandalo. E’ curioso: il popolo di Dio sa perdonare i suoi preti, quando hanno una debolezza, scivolano su un peccato … sa perdonare. Ma ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente. Non ce la fa a perdonare! E lo scandalo, quando il Tempio, la Casa di Dio, diventa una casa di affari, come quel matrimonio: si affittava la chiesa”.
Gesù "non è arrabbiato” – spiega il Papa – "è l’Ira di Dio, è lo zelo per la Casa di Dio” perché non si possono servire due padroni: "o rendi il culto a Dio vivente, o rendi il culto ai soldi, al denaro”:
"Ma perché Gesù ce l’ha con i soldi, ce l’ha con il denaro? Perché la redenzione è gratuita; la gratuità di Dio Lui viene a portarci, la gratuità totale dell’amore di Dio. E quando la Chiesa o le chiese diventano affariste, si dice che … eh, non è tanto gratuita, la salvezza … E’ per questo che Gesù prende la frusta in mano per fare questo rito di purificazione nel Tempio. Oggi la Liturgia celebra la presentazione della Madonna al Tempio: da ragazzina … Una donna semplice, come Anna, in quel momento, entra la Madonna. Che Lei insegni a tutti noi, a tutti i parroci, a tutti quelli che hanno responsabilità pastorali, a mantenere pulito il Tempio, a ricevere con amore quelli che vengono, come se ognuno di loro fosse la Madonna”.

21/11/2014 fonte: Radio Vaticana

Nigeria, avanza il Califfato di Boko Haram nel nord: 2.500 cattolici uccisi, 100 mila sfollati, 50 parrocchie distrutte



di Leone Grotti

È il bilancio della sola diocesi di Maiduguri. Duemila cristiani sfollati dal nord hanno protestato anche a Jos: «I terroristi hanno ucciso oltre 11 mila cristiani»
nigeria-benueOltre duemila cristiani sfollati dal nord della Nigeria si sono trovati l’altro giorno a protestare a Jos, capitale dello Stato di Plateau, contro il governo. Riuniti davanti alla Chiesa dei fratelli, lo hanno accusato di non preoccuparsi più di fermare Boko Haram, che sta devastando il nord del paese.
«UCCISI 11 MILA CRISTIANI». Daniel Kadzai, presidente della sezione giovanile della Christian Association of Nigeria, ha dichiarato: «Abbiamo perso fiducia nel governo federale. Secondo le nostre informazioni, Boko Haram ha giù ucciso 11.213 cristiani», riporta il quotidiano nigeriano Daily Post. «E il dato non tiene conto degli attacchi a Mubi, Maiha, Hong e Gombi».
«POGROM». Ad oggi, «1,56 milioni di persone si ritrovano sfollate a causa dei terroristi. Siamo delusi anche dalla comunità internazionale – continua Kadzai – perché si è rifiutata di occuparsi del pogrom dei cristiani. La loro attenzione è concentrata solo su Iraq, Gaza e Afghanistan, come se i morti della Nigeria non fossero esseri umani».
nigeria-boko-haram-avanzataCALIFFATO ISLAMICO. Boko Haram ha già conquistato oltre una decina di importanti città negli Stati settentrionali di Borno e Adamawa, instaurando un Califfato islamico e circondando Maiduguri. Nelle ultime settimane aveva preso anche le città di Mubi e Chibok, dove 276 sono state rapite ad aprile. Negli ultimi giorni l’esercito nigeriano, insieme a un gruppo di "vigilantes”, è riuscito a riprendere il controllo dei due centri urbani ma la popolazione non si fida dei soldati e si è finora rifiutata di fare ritorno alle proprie case.
DISTRUZIONI A MAIDUGURI. Come riportato da Fides, il bilancio delle distruzioni causate da Boko Haram nella diocesi di Maiduguri, che comprende gli Stati di Borno, Yobe e alcune aree di quello di Adamawa, è il seguente: più di 2.500 cattolici uccisi, 100.000 cattolici sfollati, 26 sacerdoti sui 46 operanti nella diocesi sfollati, oltre 200 ragazze rapite. Inoltre, più di 50 parrocchie sono state distrutte, una quarantina sono state abbandonate e occupate da Boko Haram. Su 5 conventi, 4 sono stati abbandonati e un gran numero di cattolici sono stati costretti alla conversione all’islam contro la loro volontà.
«CATTOLICI INTRAPPOLATI». Secondo padre Gideon Obasogie, «un gran numero di cattolici nigeriani sono intrappolati e costretti a seguire la stretta interpretazione delle regole della Sharia in diverse città come Bama, Gwoza, Madagali, Gulak, Shuwa, Michika Uba e Mubi. Si tratta di cittadine collocate lungo la strada che collega Maiduguri e Yola allo Stato di Adamawa. I terroristi hanno dichiarato che tutte le città conquistate fanno parte del Califfato islamico».


21/11/2014 fonte: Tempi.it

Pakistan, cristiani bruciati vivi. La polizia li scagiona: «Non hanno commesso alcuna blasfemia»



di Leone Grotti


Intanto Tahir Ashrafi, membro del Consiglio dell’ideologia islamica, ha dichiarato: «Tutti i colpevoli devono essere arrestati e puniti. Se sono coinvolti, anche gli imam»
shehzad-shama«Shama Bibi era analfabeta e non poteva in nessun caso conoscere il contenuto delle pagine che stava bruciando. Non ha commesso blasfemia». Le parole del capo del distretto di polizia di Kasur (Punjab, Pakistan), che scagionano la donna cristiana, arrivano troppo tardi: Shama, insieme al marito Shehzad, è già stata bruciata viva in un forno per quel presunto reato da una folla di musulmani inferociti.
BRUCIATI VIVI. Il poliziotto Jawad Qamar ha confermato dunque a Morning Star News l’innocenza della coppia, che il 4 novembre è stata assassinata in modo così brutale nel villaggio di Chak 59, nella fabbrica di mattoni del musulmano Mohammed Yousuf Gujjar. Ora, come dichiarato dalla famiglia delle vittime il 16 novembre, gli islamisti hanno offerto loro come compensazione soldi e terra per convincerli a far cadere il caso.
FAMIGLIA MINACCIATA. Non solo. Alcuni influenti musulmani della zona, insieme a un parlamentare del Punjab, hanno minacciato il fratello di Shehzad, Shahbaz, e sua moglie Parveen Masih per costringerli a trovare un accordo con gli assassini. La famiglia però non si è lasciata intimidire e ha chiesto protezione alla polizia, che ha già arrestato 43 persone coinvolte nell’assassinio: «Tutto ciò che vogliamo è un’indagine onesta», ha dichiarato il fratello della vittima.
pakistan-cristiani-bruciati-shehzad-shama 2 POLITICI LOCALI. Il parlamentare Muhammad Anees Qureshi, membro del partito al governo Pakistan Muslim League, è accusato di aver assistito all’omicidio e di aver cercato di proteggere nei giorni successivi Riaz Kamboh, ex consigliere municipale del suo stesso partito, tra gli uomini che hanno materialmente cosparso di benzina i corpi dei due cristiani per poi gettarli nella fornace. Qureshi, interrogato dalla polizia, ha risposto che «Shama e Shehzad erano già morti quando ho raggiunto il luogo. Per questo non ho potuto fare niente per loro».
«PUNIRE ANCHE GLI IMAM». Il tentativo di corrompere la famiglia per lasciar cadere il caso non è andato a buon fine ma non avrebbe comunque potuto funzionare. Il caso, infatti, è stato registrato dalla polizia locale stessa e neanche la famiglia ha il potere di chiederne la cancellazione.
Intanto Tahir Ashrafi, membro del Consiglio dell’ideologia islamica, l’organismo religioso più importante del Pakistan, ha dichiarato: «Tutti i colpevoli devono essere arrestati e puniti. Se sono coinvolti, anche gli imam» che dagli altoparlanti delle moschee dei villaggi vicini a Chak 59 hanno incitato la popolazione locale a punire la coppia per la blasfemia compiuta. Il governatore del Punjab, Muhammad Sarwar, ha aggiunto: «Se una persona accusa falsamente l’altro di blasfemia, deve essere punito».

21/11/2014 fonte: Tempi.it


 

Si parla di nuovi diritti, ma non della lotta alla fame...Papa Francesco alla Fao

di Massimo Introvigne

Il 20 novembre 2014 Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, cui ha rivolto un importante discorso invitando, per combattere la fame, a tornare alla nozione di legge naturale in un mondo che parla troppo di "nuovi diritti” e perde spesso di vista i diritti reali. La fame, ha detto il Papa, non è un'entità astratta. Riguarda gli affamati, che sono persone. «La lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla "priorità del mercato”, e dalla "preminenza del guadagno”, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria». Ma è anche ostacolata da una falsa concezione dei diritti, già denunciata da Benedetto XVI nell'enciclica Caritas in veritate. Anzitutto, come già ricordava Papa Ratzinger, oggi «si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri». In secondo luogo, s'inventano diritti immaginari a tutto discapito di quelli reali e concreti. «Mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada».

Da molto tempo la dottrina sociale della Chiesa si occupa del problema della fame e indica che la soluzione può venire solo da uno sforzo internazionale in cui ciascun Paese riconosca che «i destini di ogni nazione sono più che mai collegati tra loro, come i membri di una stessa famiglia, che dipendono gli uni dagli altri». Ma questo oggi è difficile perché «viviamo in un’epoca in cui i rapporti tra le nazioni sono troppo spesso rovinati dal sospetto reciproco, che a volte si tramuta in forme di aggressione bellica ed economica, mina l’amicizia tra fratelli e rifiuta o scarta chi già è escluso. Lo sa bene chi manca del pane quotidiano e di un lavoro dignitoso. Questo è il quadro del mondo, in cui si devono riconoscere i limiti di impostazioni basate sulla sovranità di ognuno degli Stati, intesa come assoluta, e sugli interessi nazionali, condizionati spesso da ridotti gruppi di potere».

Al contrario, la «prima preoccupazione» dovrebbe essere «la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza». Già nel 1992, ha ricordato Francesco, alla prima Conferenza internazionale sulla nutrizione, San Giovanni Paolo II lanciò la formula del «paradosso dell'abbondanza». «C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo ‘paradosso’ continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica».

Il problema non è solo economico ma culturale e morale. Le nostre società «sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione» che rendono «solidarietà» una parola che molti considerano sospetta. Ma «quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune».

Il Pontefice ha indicato la radice culturale e insieme giuridica di questa crisi: si è rifiutata la nozione di legge naturale, «fonte inesauribile d’ispirazione» perché «iscritta nel cuore umano, che parla un linguaggio che tutti possono capire». Una nozione che «come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chiamati ad accogliere» e che garantisce gli autentici diritti. Accogliere la legge naturale non è un optional, ma è un vero «dovere» per gli Stati e per le stesse organizzazioni internazionali. Ne deriveranno «criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazione tra il diritto all’alimentazione e il diritto alla vita e a un’esistenza degna, il diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame».

Attenzione, ha aggiunto il Papa, le questioni del cibo e dell'acqua spesso scatenano guerre, per non parlare dei disastri ecologici causati da politiche scriteriate. «Ricordo una frase», ha detto Francesco, «che ho sentito da un anziano, molti anni fa: "Dio sempre perdona sempre le offese, gli abusi; sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La Terra non perdona mai!” Custodire la sorella Terra, la madre Terra, affinché non risponda con la distruzione». Sul piano geopolitico, «nessuna forma di pressione politica o economica che si serva della disponibilità di cibo può essere accettabile» e «nessun sistema di discriminazione, di fatto o di diritto, vincolato alla capacità di accesso al mercato degli alimenti, deve essere preso come modello delle azioni internazionali che si propongono di eliminare la fame». Con implicito riferimento a un'ampia letteratura sociologica e politica, il Pontefice ha aggiunto che «l'acqua non è gratis, come tante volte pensiamo. Sarà il grave problema che può portarci a una guerra».

La dottrina sociale della Chiesa parte e arriva sempre alla persona. Va «oltre le carte, per scorgere al di là di ogni pratica i volti spenti e le situazioni drammatiche di persone provate dalla fame e dalla sete». «Queste persone non ci chiedono altro che dignità. Ci chiedono dignità, non elemosina!». Spetta a una politica ispirata dalla morale rispondere seriamente a questa richiesta.

 
 21/11/2014 fonte La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 03/11/2014 San Martino de Porres domenicano



"Figlio di padre ignoto": così lo registrano fra i battezzati nella chiesa di San Sebastiano a Lima. Suo padre è l’aristocratico spagnolo Juan de Porres, che non lo riconosce perché la madre è un’ex schiava nera d’origine africana. Il piccolo mulatto vive con lei e la sorellina, finché il padre si decide al riconoscimento, tenendo con sé in Ecuador i due piccoli, per qualche tempo. Nominato poi governatore del Panama, lascia la bimba a un parente e Martino alla madre, con i mezzi per farlo studiare un po’. 
E Martino diventa allievo di un barbiere-chirurgo (le due attività sono spesso abbinate, all’epoca) apprendendo anche nozioni mediche in una farmacia. Avvenire garantito, dunque, per il ragazzo appena quindicenne. 
Lui però vorrebbe entrare fra i Domenicani, che hanno fondato a Lima il loro primo convento peruviano. Ma è mulatto: e viene accolto sì, ma solo come terziario; non come religioso con i voti. E i suoi compiti sono perlopiù di inserviente e spazzino. Suo padre se ne indigna: ma lui no, per nulla. Anzi, mentre suo padre va in giro con la spada, lui ama mostrarsi brandendo una scopa (con la quale verrà poi spesso raffigurato). Lo irridono perché mulatto? E lui, vedendo malconce le finanze del convento, propone seriamente ai superiori: "Vendete me come schiavo". I Domenicani ormai avvertono la sua energia interiore, e lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo nell’Ordine come fratello cooperatore. 
Nel Perù che ha ancora freschissimo il ricordo dei predatori Pizarro e Almagro, crudeli con la gente del luogo e poi impegnati in atroci faide interne, Martino de Porres, figlio di un "conquistatore”, offre un esempio di vita radicalmente contrapposto. Vengono da lui per consiglio il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima, trovandolo perlopiù circondato da poveri e da malati, guaritore e consolatore. 
Quando a Lima arriva la peste, frate Martino cura da solo i 60 confratelli e li salva tutti. E sempre più si parla di suoi prodigi, come trovarsi al tempo stesso in luoghi lontani fra loro, sollevarsi da terra, chiarire complessi argomenti di teologia senza averla mai studiata. Gli si attribuisce poi un potere speciale sui topi, che raduna e sfama in un angolo dell’orto, liberando le case dalla loro presenza devastatrice. Per tutti è l’uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri, ed è fior di miracolo anch’esso, il primo collegio del Nuovo Mondo. 
Guarisce l’arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Martino però non potrà partire: colpito da violente febbri, muore a Lima sessantenne. Per il popolo peruviano e per i confratelli è subito santo. Invece l’iter canonico, iniziato nel 1660, avrà poi una lunghissima sosta. E sarà Giovanni XXIII a farlo santo, il 6 maggio 1962. Nel 1966, Paolo VI lo proclamerà patrono dei barbieri e parrucchieri.


Francesco: rivalità e vanagloria, due tarli che indeboliscono la Chiesa


Rivalità e vanagloria sono due tarli che rendono debole la Chiesa; occorre agire invece con spirito di umiltà e concordia, senza cercare il proprio interesse: lo ha detto Papa Francesco nell’omelia mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:
Prendendo lo spunto dalla Lettera di San Paolo ai Filippesi, il Papa osserva che la gioia di un vescovo è quella di vedere nella sua Chiesa amore, unità e concordia. "Quest’armonia – ha sottolineato - è una grazia, la fa lo Spirito Santo, ma noi dobbiamo fare, da parte nostra, di tutto per aiutare lo Spirito Santo a fare questa armonia nella Chiesa”. Per questo, San Paolo invita i Filippesi a non fare nulla "per rivalità o vanagloria”, né a "lottare l’uno contro l’altro, neppure per farsi vedere, per darsi l’aria di essere migliore degli altri”. "Si vede – ha rilevato - che questa non è soltanto cosa del nostro tempo”, ma "che viene da lontano”:
"E quante volte nelle nostre istituzioni, nella Chiesa, nelle parrocchie, per esempio, nei collegi, troviamo questo, no? La rivalità; il farsi vedere; la vanagloria. Si vede che sono due tarli che mangiano la consistenza della Chiesa, la rendono debole. La rivalità e la vanagloria vanno contro questa armonia, questa concordia. Invece di rivalità e vanagloria, cosa consiglia Paolo? ‘Ma ciascuno di voi, con tutta umiltà’- cosa deve fare con umiltà? – ‘consideri gli altri superiori a se stesso’. Lui sentiva questo, eh? Lui si qualifica ‘non degno di essere chiamato apostolo’, l’ultimo. Anche fortemente si umilia lì. Questo era un suo sentimento: pensare che gli altri erano superiori a lui”.
Il Papa cita San Martino de Porres, "umile frate domenicano”, di cui la Chiesa oggi fa memoria: "la sua spiritualità era nel servizio, perché sentiva che tutti gli altri, anche i più grandi peccatori, gli erano superiori. Lo sentiva davvero”. San Paolo, poi, esorta ciascuno a non cercare il proprio interesse:
"Cercare il bene dell’altro. Servire gli altri. Ma questa è la gioia di un vescovo, quando vede la sua Chiesa così: un medesimo sentire, la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Questa è l’aria che Gesù vuole nella Chiesa. Si possono avere opinioni diverse, va bene, ma sempre dentro quest’aria, quest’atmosfera: di umiltà, carità, senza disprezzare nessuno”.
Riferendosi poi al Vangelo del giorno, Papa Francesco aggiunge:
"E’ brutto, quando nelle istituzioni della Chiesa, di una diocesi, troviamo nelle parrocchie gente che cerca il suo interesse, non il servizio, non l’amore. E questo è quello che Gesù ci dice nel Vangelo: non cercare il proprio interesse, non andare sulla strada del contraccambio, eh? ‘Ma sì, io ti ho fatto questo favore, ma tu mi fai questo’. E, con questa parabola, di invitare a cena quelli che non possono contraccambiare niente. E’ la gratuità. Quando in una Chiesa c’è l’armonia, c’è l’unità, non si cerca il proprio interesse, c’è questo atteggiamento di gratuità. Io faccio il bene, non faccio un affare con il bene”.
Il Papa invita, infine, a fare un esame di coscienza: "com’è la mia parrocchia … com’è la mia comunità? Ha questo spirito? Com’è la mia istituzione? Questo spirito di sentimenti di amore, di unanimità, di concordia, senza rivalità o vanagloria, con l’umiltà e il pensare che gli altri sono superiori a noi, nella nostra parrocchia, nella nostra comunità … E forse troveremo che c’è qualcosa da migliorare. Io oggi come posso migliorare questo?”.

03/11/2014 fonte: Radio vaticana

Lo sapevano i primi cristiani la tradizione lo conferma: Maria libera le anime del purgatorio





Era pio uso del popolo romano visi­tare le chiese con ceri in mano nella not­te della vigilia dell'Assunta.

Accadde un anno che una nobile dama, mentre stava inginocchiata nella basilica di Santa Maria in Ara Coeli sul Campi­doglio, con grande sorpresa si vide compa­rire innanzi una dama da lei molto cono­sciuta e morta in quello stesso anno. Volle attenderla alla porta della Chiesa, per chiarire lo strano fatto.

Appena la vide uscire, la trasse in di­sparte e le domandò: "Non siete voi la mia madrina Marozia, che mi tenne al fonte battesimale? - Sì, rispose la de­funta, sono proprio io! - E come vi trovate fra i vivi, se già moriste da di­versi mesi? ... E che cosa vi è accaduto nell'altra vita?"

"Sino ad oggi - rispose l'anima - sono rimasta immersa in un fuoco cocentissi­mo, in pena di tanti peccati, specie pecca­ti di vanità commessi in gioventù; ma in occasione di questa festa della Assunta, essendo la Regina del Cielo discesa in mezzo alle fiamme del Purgatorio, sono stata liberata assieme a molte anime, on­de entrassimo in Paradiso nel giorno stes­so della sua Assunzione. Ogni anno la Di­vina Signora rinnova questo miracolo di misericordia ed il numero delle anime che Ella libera in tal modo è circa quanto quello della popolazione di Roma. In ri­conoscenza di questa grazia ci rechiamo in questa notte nei santuari a Lei consa­crati. Che se i vostri occhi vedono me sola, sappiate invece che noi siamo in gran moltitudine".

E vedendo che la donna restava atto­nita e dubbiosa, subito la defunta sog­giunse:

"In prova della verità che ho detto, vi annunzio che voi stessa morrete da qui ad un anno, in questa stessa festa; scorso il quale termine, se non sarete morta, ri­terrete come una illusione quanto vi ho detto".

San Pier Damiani riferisce che la pia donna, dopo un anno trascorso nell'eser­cizio di molte opere buone, ammalatasi nell'antivigilia dell'Assunta, passò da que­sta vita all'eternità nel giorno stesso della festa, come le era stato predetto.

Molti altri scrittori, come Gersone, Teofilo, Faber, confermano questa pia credenza, la quale è basata sopra un gran numero di rivelazioni, ed è appunto per questo che in Roma la Chiesa di Santa Maria in Montorio, dove risiede l'Arciconfraternita del Suffragio, è dedicata al­l'Assunzione di Maria Vergine.

03/11/2014 fonte: Il Timone


Burkina Faso: card. Ouédraogo chiede di pregare per la pace




Una novena per la pace nel Paese è stata indetta dal card. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, sconvolto dai moti popolari che hanno costretto il 31 ottobre il Presidente Blaise Compaoré alle dimissione e all’esilio in Costa d’Avorio, mentre i militari assumevano il potere.
"Figlie e figli della nostra Chiesa Famiglia di Dio, vi esorto ad una novena di preghiera (dal 2 al 9 novembre). Pregate per la riconciliazione, la giustizia e la pace nel nostro Paese” ha scritto il cardinale in un messaggio diffuso dalla Caritas Burkina Faso e ripreso dall'agenzia Fides. Il card. Ouédraogo ha composto una speciale preghiera con la quale si chiede a Dio "di accordare al nostro Paese delle istituzioni che garantiscano il benessere, la libertà e la pace”.
Nel frattempo la situazione politica del Burkina Faso appare confusa. L’esercito ha sospeso i poteri civili ed ha formato una giunta militare guidata dal tenente colonnello Isaac Zida, numero 2 della Guardia Presidenziale. I militari hanno dichiarato che si tratta di un provvedimento provvisorio, in attesa di restituire il potere ai civili. L’opposizione appare preoccupata e chiede che l’esercito faccia un passo indietro e permetta alla società civile di riprendere in mano la situazione. 

03/11/2014 fonte: Radio Vaticana
 

Sinodo, il cardinale Marx sa come finirà. Come vuole lui

di Luisella Scrosati

Il cardinale Reinhard Marx, Presidente della Conferenza episcopale tedesca e membro del gruppo dei "consiglieri” del Santo Padre non sembra pienamente soddisfatto del risultato del Sinodo straordinario sulla famiglia. Forse non ha gradito il lavoro complessivo dei circoli minori, che hanno apportato importanti modifiche alla Relatio. Secondo quanto riporta Kath.net «il cardinal Marx avrebbe espresso in modo palese nell’aula sinodale il suo disappunto sul documento finale… per il fatto che le tesi del cardinal Kasper non hanno avuto praticamente nessuna influenza sul documento finale». Il cardinale avrebbe poi affermato che «se si confronta il discorso del Papa con questi testi, vien da dire che un po’ più di freschezza, un po’ più di slancio in avanti sarebbero stati desiderabili». 

Sarebbe dunque in ossequio a questo slancio, che l’arcivescovo di Monaco-Frisinga traccia il programma per l’anno che ci separa al Sinodo ordinario, dell’ottobre 2015: «Abbiamo il dovere di annunciare il Vangelo e non di citare noi stessi. Nei mesi che seguiranno l’attuale Sinodo, fino al Sinodo dei vescovi nell’anno a venire, si tratterà di vedere quali vie potremmo percorrere nelle Chiese locali per unire la dottrina della Chiesa e la situazione pastorale e familiare degli uomini. Si tratta - come annotato nel documento finale del Sinodo - di trovare "nuove strade” nella teoria e nella prassi. Come vescovi siamo pronti a questo nel dialogo. E non ci sono divieti di pensiero o di parola. Spero in un dibattito intenso all’interno delle nostre diocesi, parrocchie e associazioni».

"Novità”, "abolizione di divieti”, "apertura” sembrano essere divenute ormai le parole chiave della ventata antiproibizionista post-sinodale. Si sta ripetendo il mantra degli ultimi quarant’anni, per cui gli eventuali "limiti” che si trovano nei testi devono essere superati in nome dello spirito che li ha animati. Il cardinale Marx, in un’intervista rilasciata al settimanale Die Zeit il 28 ottobre, riportata sul National Catholic Reporter (clicca qui), si fa interprete di questo "spirito del Sinodo” (variante aggiornata dello spirito del Vaticano II…), infilando una serie di affermazioni che fanno ben capire quello che ci aspetterà nei prossimi mesi: «Le porte sono aperte più ampiamente di quanto sia mai accaduto dal Concilio Vaticano II. I dibattiti sinodali sono stati giusto un punto di partenza. Francesco vuole dare una mossa alle cose, vuole spingere in avanti i processi». A chi potrebbe far notare che però all’interno del Sinodo ha trovato spazio anche un altro "spirito”, che ha rigettato i famosi tre paragrafi sui temi della comunione ai divorziati-risposati e dell’omosessualità, Marx risponde: «Chiunque pervenga a questa conclusione (di un passo indietro, n.d.r.) non ha posto la sua attenzione su quanto sta avvenendo nella nostra Chiesa da un anno e mezzo. Fino ad ora, queste due questioni sono state assolutamente non negoziabili. Sebbene non abbiano raggiunto il consenso dei due terzi, la maggioranza dei padri sinodali ha nondimeno votato in loro favore».

Il cardinale inoltre ha spiegato per quale motivo i tre paragrafi siano stati comunque inseriti nel testo della Relatio, nonostante non abbiano raggiunto i voti necessari: «Sono ancora parte del testo. Specialmente io ho chiesto ciò al Papa, e il Papa ha detto che voleva che tutti i paragrafi venissero pubblicati, insieme ai voti corrispondenti. Egli ha voluto che, nella Chiesa, ciascuno vedesse a che punto eravamo. No, questo Papa ha spalancato le porte e i voti risultati alla fine del Sinodo non cambieranno questo». Verrebbe a questo punto da chiedersi a cosa serva discutere in un Sinodo e votare il documento finale paragrafo per paragrafo. A cosa serva un Sinodo che non tenga conto dei risultati del Sinodo…

03/11/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana
 

IL SANTO DEL GIORNO 17/10/2014 Sant'Ignazio di Antiochia



Dalla data del 1° febbraio, la memoria di Sant'Ignazio Martire è stata riportata ad oggi, data tradizionale del suo martirio, dal nuovo Calendario ecclesiastico, che la prescrive come obbligatoria per tutta la Chiesa.
Sant'Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d'ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era " di fuoco ", e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l'unità della Chiesa.
D'un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
"lo guadagnerei un tanto - scriveva - se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d'un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei ".
E a chi s'illudeva di poterlo liberare, implorava: " Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l'altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s'è degnato di mandare dall'Oriente in Occidente il Vescovo di Siria! ".
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: " Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo ".
E, giunto a Roma, nell'anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente " macinato " dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: " Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno ".





Francesco: la preghiera di lode è difficile ma dona la gioia



E' facile pregare per chiedere delle grazie, mentre è più difficile la preghiera di lode ma è questa la preghiera della vera gioia: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Al centro dell’omelia del Papa, la Lettera agli Efesini, in cui San Paolo eleva con gioia la sua benedizione a Dio. Si tratta di una preghiera di lode – osserva - una preghiera "che noi non facciamo tanto abitualmente: lodare Dio – afferma - è gratuità pura” ed è entrare "in una grande gioia”:
"Noi sappiamo pregare benissimo quanto chiediamo cose, anche quando ringraziamo il Signore, ma la preghiera di lode è un po’ più difficile per noi: non è tanto abituale lodare il Signore. E questo lo possiamo sentire meglio quando noi facciamo memoria delle cose che il Signore ha fatto nella nostra vita: ‘In Lui - in Cristo - ci ha scelti prima della creazione del mondo’. Benedetto sei Signore, perché tu mi ha scelto! E’ la gioia di una vicinanza paterna e tenera”.
"La preghiera di lode” – ha proseguito - ci porta questa gioia, a essere felici davanti al Signore. Facciamo uno sforzo per ritrovarla!” – esclama Papa Francesco – ma "il punto di partenza” è proprio "fare memoria” di questa scelta: "il Signore mi ha scelto prima della creazione del mondo. Ma questo non si può capire!”:
"Non si può capire e anche non si può immaginare: che il Signore mi abbia conosciuto prima della creazione del mondo, che il mio nome era nel cuore del Signore. Questa è la verità! Questa è la rivelazione! Se noi non crediamo questo non siamo cristiani, eh! Forse saremo impregnati di una religiosità teista, ma non cristiani! Il cristiano è uno scelto, il cristiano è uno scelto nel cuore di Dio prima della creazione del mondo. Anche questo pensiero riempie di gioia il nostro cuore: io sono scelto! E ci dà sicurezza”.
"Il nostro nome – ha osservato il Papa - è nel cuore di Dio, proprio nelle viscere di Dio, come il bambino è dentro la sua mamma. Questa è la nostra gioia di essere eletti”. E’ qualcosa – sottolinea – che "non si può capire solo con la testa. Neppure solo col cuore. Per capire questo dobbiamo entrare nel Mistero di Gesù Cristo. Il Mistero del suo Figlio amato: ‘Egli ha riversato il suo sangue in abbondanza su di noi, con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà’. E questo è un terzo atteggiamento: entrare nel Mistero”:
"Quando noi celebriamo l’Eucaristia, entriamo in questo Mistero, che non si può capire totalmente: il Signore è vivo, è con noi, qui, nella sua gloria, nella sua pienezza e dona un’altra volta la sua vita per noi. Questo atteggiamento di entrare nel Mistero dobbiamo impararlo ogni giorno. Il cristiano è una donna, è un uomo, che si sforza di entrare nel Mistero. Il Mistero non si può controllare: è il Mistero! Io entro”. 
La preghiera di lode – conclude il Papa - è dunque innanzitutto "preghiera di gioia”, poi "preghiera di memoria: ‘Ma quanto ha fatto il Signore per me! Con quanta tenerezza mi ha accompagnato, come si è abbassato; si è inchinato come il papà si inchina col bambino per farlo camminare’”. E infine preghiera allo Spirito Santo che ci doni "la grazia di entrare nel Mistero, soprattutto quando celebriamo l’Eucaristia”.

17/10/2014 fonte: Radio vaticana

Francesco: misure rapide per eliminazione armi nucleari e chimiche



Papa Francesco chiede "la rapida adozione di misure che portino all'eliminazione delle armi di distruzione di massa” a cominciare dalle armi nucleari e chimiche: è quanto ha affermato mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu, intervenendo al Palazzo di Vetro di New York.
Il presule denuncia, in particolare, la mancanza di progressi sul disarmo nucleare: "L'incapacità degli Stati che possiedono armi nucleari ad avviare negoziati verso ulteriori riduzioni delle loro scorte esistenti è preoccupante, ma la ‘modernizzazione’ di alcuni sistemi esistenti e l'aumento delle scorte di armi sono ancora più preoccupanti”. Il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), "così importante per la nostra sicurezza” – sottolinea – non ha finora prodotto i risultati sperati: "La promessa centrale del Tnp che gli Stati possessori di armi nucleari si disarmino gradualmente in cambio del fatto che gli Stati non dotati di armi nucleari si astengano dal cercare di acquisirle rimane in una impasse”.
"La Santa Sede – ha affermato mons. Auza - continua a credere che una politica di deterrenza nucleare permanente mette a rischio il processo di disarmo nucleare e la non proliferazione”: occorre, dunque, "andare oltre la deterrenza nucleare e lavorare per una pace duratura fondata sulla fiducia reciproca, piuttosto che su uno stato di pura non-belligeranza fondata sulla logica della reciproca distruzione”.
A questo proposito, la Santa Sede esorta tutti gli Stati a firmare e/o ratificare il Trattato di bando complessivo dei test nucleari (Ctbt) "senza ulteriori ritardi, perché è un elemento fondamentale del disarmo nucleare internazionale e della non proliferazione”. Ritiene, inoltre, che "l’istituzione di zone libere dalle armi di distruzione di massa sarebbe un grande passo nella giusta direzione, in quanto dimostrerebbe che possiamo davvero muoverci verso un accordo universale per eliminare tutte le armi di distruzione di massa”.
Mons. Auza, riprendendo quanto detto da Papa Francesco, invita poi a non trascurare "il grande obiettivo di un mondo meno dipendente dall'uso della forza”: "La Santa Sede si compiace dei progressi, per quanto modesti, nel settore delle armi convenzionali, come quelle connesse con l'attuazione della Convenzione di Ottawa e della Convenzione sulle munizioni Cluster. Ma rimane profondamente preoccupata che il flusso di armi convenzionali continua ad esacerbare i conflitti in tutto il mondo”.
Il presule poi ammonisce: "Non dimentichiamo che l’avidità dei soldi alimenta il commercio delle armi e che il commercio delle armi alimenta i conflitti che causano indicibili sofferenze e violazioni dei diritti umani. Fino a quando una così grande quantità di armi saranno in circolazione, nuovi pretesti potranno sempre essere trovati per l'avvio delle ostilità e il facile accesso alle armi faciliterà la perpetrazione della violenza contro popolazioni innocenti”.
Che l'immagine proverbiale della goccia d’acqua che pazientemente scava la roccia più dura – conclude mons. Auza - ci ispiri ad andare avanti in mezzo alla lentezza dei progressi e le battute d'arresto.

17/10/2014 fonte: Radio vaticana

Vescovo di Islamabad: La condanna di Asia Bibi è straziante, il mondo preghi per lei



di Jibran Khan 
Dopo cinque rinvii, l’Alta corte conferma la pena capitale per la madre cristiana, simbolo della lotta alla blasfemia. I legali annunciano ricorso alla Corte suprema, ultimo grado di giudizio. Vescovo di Islamabad: decisione straziante, appello alla preghiera. Domenica 19 iniziative di solidarietà nel Paese. 


Lahore (AsiaNews) - L'Alta corte di Lahore ha confermato oggi in appello, al termine di un'udienza durata alcune ore, la pena capitale comminata in primo grado ad Asia Bibi, madre cristiana di cinque figli a processo per blasfemia e da anni nel braccio della morte. La società civile pakistana manifesta preoccupazione per il verdetto - giunto al termine di almeno cinque rinvii nei mesi scorsi - ed esprime solidarietà; attivisti e organizzazioni pro diritti umani in tutto il mondo chiedono giustizia per la donna, diventata simbolo della lotta contro la famigerata "legge nera" in Pakistan. Ora gli avvocati annunciano il ricorso alla Corte suprema, terzo e ultimo grado di giudizio, dove auspicano che la sentenza possa essere ribaltata. 

Asia Bibi, dal novembre 2010 condannata a morte e da allora in regime di isolamento per motivi di sicurezza, è da tempo un simbolo della lotta contro la blasfemia. Per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro federale per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico. La comunità cristiana pakistana ha promosso giornate di digiuno e preghiera - cui hanno aderito anche musulmani - per la sua liberazione.

Nella sentenza di condanna, il giudice ha ritenuto valide le accuse delle due donne musulmane che hanno testimoniato sulla presunta blasfemia commessa da Asia.

Interpellato da AsiaNews l'avvocato Naeem Shakir, uno dei legali della donna, spiega che "i giudici hanno ascoltato le arringhe difensive e la requisitoria finale, aggiornando il procedimento". Tuttavia, poco dopo è stata diffuso il verdetto scritto in cui "è stata confermata la condanna a morte". Il vescovo di Islamabad/Rawalpindi Rufin Anthony parla di "decisione straziante" dei giudici e lancia un appello ai fedeli di tutto il mondo, perché "si uniscano alla preghiera per Asia Bibi e le altre vittime di blasfemia". P. Asher James, sacerdote dell'arcidiocesi di Lahore, annuncia per "domenica 19 ottobre eventi e iniziative di solidarietà" e invita "tutta la comunità a partecipare". 

Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità (Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo 2013), luoghi di culto (Peshawar nel settembre scorso) o abusi contro singoli individui (Sawan Masih e Asia Bibi, Rimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch'egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia.

17/10/2014 fonte.:Asia New
 

Sinodo, Relazione da rifare

di M. Matzuzzi, S. Fontana, R. Cascioli

La Relatio presentata lunedì viene sepolta sotto decine di pagine di emendamenti presentati dai dieci circoli minori. Nel mirino le aperture in tema di divorziati risposati, convivenze e unioni omosessuali. I padri chiedono di presentare modelli virtuosi di famiglia piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulle situazioni difficili. Quella che emerge è una divisione netta fra i vescovi, che è figlia delle diverse filosofie cui si fa riferimento. È la grande influenza di Karl Rahner che riduce il senso del matrimonio e di tutti i sacramenti. E intanto il cardinale Kasper vive la sua giornata nera: non solo il colpo ricevuto dai circoli minori alla sua impostazione, ma ieri è scoppiato anche il caso dell'intervista "fantasma" dagli accenti razzisti, che ha fatto infuriare i vescovi africani.

- LA RELATIO SEPOLTA DA UNA PIOGGIA DI EMENDAMENTI
di Matteo Matzuzzi
Su situazioni irregolari e unioni omosessuali i circoli minori chiedono di cambiare approccio. E soprattutto si alza la richiesta di volgere lo sguardo ai modelli positivi di famiglia cristiana, invece di guardare soltanto alle relazioni difficili.

- VESCOVI DIVISI? COLPA DELLA (CATTIVA) FILOSOFIA
di Stefano Fontana
Perché si possa fare buona teologia è necessaria una filosofia vera e conforme alla fede, come quella di san Tommaso. Molti vescovi invece sono cresciuti alla scuola di Karl Rahner, per cui la dimensione della fede non è legata all'essere ma all'esistenziale. Da qui discende una visione del matrimonio che si può riformare.
di Stefano Fontana

-  LA LOBBY GAY ALLA CHIESA NON FA BENE
di Riccardo Cascioli
Tra i fattori che hanno contribuito a quei paragrafi della Relatio dedicati all'omosessualità e sconfessati dai padri sinodali nei circoli minori, c'è da considerare il lungo lavoro della lobby gay che opera all'interno della Chiesa. E che mira soprattutto a modificare il Magistero in materia.

 - IL GIORNO "NERO" DI KASPER
Clamoroso scivolone del cardinale Kasper: in un'intervista apparsa su Zenit si è lasciato andare a commenti di sapore vagamente razzista conro i vescovi africani. L'imbarazzo creatosi ha consigliato a Kasper di smentire di aver mai dato l'intervista, ma ieri sera il giornalista in causa ha pubblicato sul proprio blog l'audio del colloquio.

17/10/2014 fonte :la nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO San Bruno ( Brunone) Sacerdote Monaco



Nato in Germania, e vissuto poi tra il suo Paese, la Francia e l’Italia, il nobile renano Bruno o Brunone è vero figlio dell’Europa dell’XI secolo, divisa e confusa, ma pure a suo modo aperta e propizia alla mobilità. Studente e poi insegnante a Reims, si trova presto faccia a faccia con la simonia, cioè col mercato delle cariche ecclesiastiche che infetta la Chiesa.

Professore di teologia e filosofia, esperto di cose curiali, potrebbe diventare vescovo per la via onesta dei meriti, ora che papa Gregorio VII lotta per ripulire gli episcopi. Ma lo disgusta l’ambiente. La fede che pratica e che insegna è tutt’altra cosa, come nel 1083 gli conferma Roberto di Molesme, il severo monaco che darà vita ai Cistercensi. 
Bruno trova sei compagni che la pensano come lui, e il vescovo Ugo di Grenoble li aiuta a stabilirsi in una località selvaggia detta "chartusia” (chartreuse in francese). Lì si costruiscono un ambiente per la preghiera comune, e sette baracche dove ciascuno vive pregando e lavorando: una vita da eremiti, con momenti comunitari. Ma non pensano minimamente a fondare qualcosa: vogliono soltanto vivere radicalmente il Vangelo e stare lontani dai mercanti del sacro. 
Quando Bruno insegnava a Reims, uno dei suoi allievi era il benedettino Oddone di Châtillon. Nel 1090 se lo ritrova papa col nome di Urbano II e deve raggiungerlo a Roma come suo consigliere. Ottiene da lui riconoscimento e autonomia per il monastero fondato presso Grenoble, poi noto come Grande Chartreuse. Però a Roma non resiste: pochi mesi, ed eccolo in Calabria nella Foresta della Torre (ora in provincia di Vibo Valentia); e riecco l’oratorio, le celle come alla Chartreuse, una nuova comunità guidata col solito rigore. Più tardi, a poca distanza, costruirà un altro monastero per chi, inadatto alle asprezze eremitiche, preferisce vivere in comunità. E’ il luogo accanto al quale sorgeranno poi le prime case dell’attuale Serra San Bruno. I suoi pochi confratelli (non ama avere intorno gente numerosa e qualunque) devono essere pronti alla durezza di una vita che egli insegna col consiglio e con istruzioni scritte, che dopo la sua morte troveranno codificazione nella Regola, approvata nel 1176 dalla Santa Sede. 
E’ una guida all’autenticità, col modello della Chiesa primitiva nella povertà e nella gioia, quando si cantano le lodi a Dio e quando lo si serve col lavoro, cercando anche qui la perfezione, e facendo da maestri ai fratelli, alle famiglie, anche con i mestieri splendidamente insegnati. Sempre pochi e sempre vivi i certosini: a Serra, vicino a Bruno, e altrove, passando attraverso guerre, terremoti, rivoluzioni. Sempre fedeli allo spirito primitivo. Una comunità "mai riformata, perché mai deformata". Come la voleva Bruno, il cui culto è stato approvato da Leone X (1513-1521) e confermato da Gregorio XV (1621-1623).

Messa inaugurale del Sinodo, il Papa: si cooperi al progetto di Dio




Il Sinodo "non serve per discutere belle idee”, ma per "cooperare al progetto d’amore” di Dio: così Papa Francesco, stamani, nella Messa inaugurale del Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano fino al 19 ottobre. Nell’omelia, il Pontefice ha messo anche in guardia dalla "cupidigia di denaro e di potere”. Alla celebrazione, nella Basilica Vaticana, hanno preso parte numerosi Padri Sinodali. Durante la Preghiera dei fedeli, si è pregato per le famiglie, i popoli in guerra e "quanti sono feriti dallo scandalo”. Il servizio di Isabella Piro:
"Lavorare per la vigna del Signore”, per "il sogno di Dio che è il suo popolo”: a questo è chiamato il Sinodo dei vescovi. E il Papa lo sottolinea nella sua omelia, ricordando che coltivare questo sogno richiede "molta cura”, "amore paziente e fedele”:
"Le Assemblee sinodali non servono per discutere idee belle e originali, o per vedere chi è più intelligente… Servono per coltivare e custodire meglio la vigna del Signore, per cooperare al suo sogno, al suo progetto d’amore sul suo popolo. In questo caso, il Signore ci chiede di prenderci cura della famiglia, che fin dalle origini è parte integrante del suo disegno d’amore per l’umanità".
Esistono, però, contadini che, "per cupidigia e superbia”, "non fanno il loro lavoro, ma pensano ai loro interessi”: e così la vigna produce "acini acerbi” e provoca "spargimento di sangue e grida di oppressi”, invece di giustizia e rettitudine:
"Cupidigia di denaro e di potere. E per saziare questa cupidigia i cattivi pastori caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili che loro non muovono neppure con un dito (cfr Mt 23,4)".
"La tentazione di ‘impadronirci’ della vigna, a causa della cupidigia, non manca mai in noi esseri umani ", continua il Papa, perché "il sogno di Dio si scontra sempre con l’ipocrisia di alcuni suoi servitori”:
"Noi possiamo 'frustrare' il sogno di Dio se non ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo. Lo Spirito ci dona la saggezza che va oltre la scienza, per lavorare generosamente con vera libertà e umile creatività".
Per "coltivare e custodire bene la vigna” del Signore, allora – è l’esortazione finale del Papa – "i capi del popolo”, "la classe dirigente” devono operare con "libertà, creatività ed operosità”, conformando "pensieri e progetti” al sogno di Dio di "formare un popolo santo”, che "porti tanti buoni frutti di giustizia”. 

06/10/2014 fonte: Radio Vaticana

La Bibbia, Parola che salva, distribuita in Piazza san Pietro

Questa mattina, nel corso dell’Angelus, sono state distribuite gratuitamente quindicimila copie della Bibbia nella nuova versione dai testi antichi.  L’iniziativa è stata promossa dalla Famiglia paolina per celebrare il centenario della fondazione per opera del beato Giacomo Alberione e l’inizio del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Il servizio di Paolo Ondarza:
Nel 1960 il beato Giacomo Alberione fece stampare un milione di copie della Parola di Dio. Come allora oggi con la distribuzione della Bibbia l’obiettivo è quello di giungere in ogni casa, fin nelle estreme periferie. Secondo recenti indagini in Italia otto abitanti su 10 posseggono una Bibbia, ma averla in casa non sempre vuol dire conoscerla. Perché allora leggerla oggi? Il biblista don Giacomo Perego ha diretto il progetto editoriale della nuova Bibbia edita da San Paolo.
R. - Il motivo per cui leggerla oggi è il motivo di sempre: incontrare Dio e incontrare se stessi. La Parola di Dio è una parola che aiuta ad immergerci nel mistero di Dio, ma anche a scoprire quella che è la grandezza dell’uomo agli occhi di Dio. Il fatto che oggi otto persone su 10 abbiano la Bibbia in casa però facciano magari fatica ad aprirla, è perché si tratta un libro che comunque un po’ spaventa.
D. - Non ci si improvvisa nell’accostarsi a questo libro …
R. - Assolutamente no. Ci si può improvvisare magari una o due volte; ci sono alcuni movimenti che suggeriscono, in un clima di preghiera, di aprire la Bibbia a caso e poi lasciarsi guidare da ciò che il Signore dona. Può essere una scelta azzardata: per entrare nel mondo della Bibbia occorre conoscere, per lo meno, la cornice in cui quei testi sono stati scritti e i valori che gli autori sacri hanno cercato di comunicare. Ecco lo strumento di accompagnamento nelle pagine introduttive a questa edizione può essere di grande utilità.
D. - Si tratta di una nuova traduzione?
R. - È la rivisitazione della traduzione che noi abbiamo elaborato a partire dai tempi del post Concilio direttamente sui testi antichi. La Famiglia paolina è stata una delle prime realtà che ha ritradotto la scrittura non a partire dalla vulgata, non a partire dal testo latino, ma a partire dai testi antichi, quindi l’ebraico e il greco e l’aramaico.
D. - E questo andare nuovamente alle origini dei testi antichi ha riportato in luce significati originari che forse si erano persi con le successive traduzioni?
R. - Sì, a volte variare una traduzione significa anche dare un messaggio, un significato diverso al testo proposto.
Introduzioni ai singoli libri biblici, note essenziali al testo, un atlante a colori, una guida per catechisti e formatori, suggerimenti su come accostarsi alle Scritture, indicazioni per una lettura "orante”. Il nuovo volume, edito da san Paolo, contiene tutto questo. Inoltre per chi volesse accogliere l’invito di Papa Francesco a leggere un brano al giorno, la nuova Bibbia  offre un piano di lettura in 365 tappe.
R. - La Bibbia non si può leggere dalla prima pagina all’ultima così, come se fosse un racconto, bisogna seguire un percorso guidato. Uno degli strumenti che offre questa edizione della Bibbia è proprio quello di un percorso guidato che tiene presente dei tempi liturgici. Per cui, non si inizia da Genesi ad Apocalisse, ma da un Vangelo per poi ripercorrere tutta la storia della salvezza insieme a Gesù tenendo presente il tempo liturgico - l’Avvento, la Quaresima, la Pasqua - che si sta vivendo.
D. - Questa lettura quotidiana è alla portata dell’uomo e della donna contemporanei, sempre alle prese con tempi stretti?
R. - Sì, l’importante è che non sia una lettura fatta in solitudine, perché quando si legge da soli la Bibbia il rischio è di prendere cantonate o stancarsi in fretta. Se invece diventa una lettura comunitaria, condivisa, la ricchezza dell’essere Chiesa fa emergere tutta la luminosità di una Parola che salva.
D. - Potremmo dire che oltre al valore spirituale riconosciutole dai credenti, la Bibbia ha anche un valore culturale per i non credenti?
R. - Senza dubbio. Ha un valore culturale perché ci si immerge in epoche e momenti storici molto diversi dai nostri; non dimentichiamo che la Bibbia - se noi prendiamo la completezza dei testi sacri - abbraccia almeno un millennio di storia. Ed è interessante anche notare come, all’interno della Bibbia, la stessa storia venga spesso offerta da prospettive diverse.
Per il lancio dell’iniziativa editoriale oggi a Roma nella basilica di Santa Maria in Trastevere la lettura di passi della Bibbia da parte di noti attori, alternata a momenti di canto e danza e online il nuovo sito internet www.leggolabibbia.it.

06/10/2014 fonte: Radio Vaticana

Sulla famiglia si gioca anche il futuro della Chiesa

di Riccardo Cascioli

I violenti attacchi squadristi di cui sono state vittima ieri migliaia di Sentinelle in tutta Italia, come da cronaca che riportiamo in Primo Piano, dovrebbero aprire gli occhi. Alle autorità civili anzitutto, che non solo alimentano una ideologia dalle chiare connotazioni totalitarie, ma tollerano anche l’illegalità di contromanifestazioni non autorizzate che impediscono lo svolgimento di manifestazioni che invece autorizzate lo sono regolarmente. 

Ma dovrebbero aprire gli occhi anche a tanti ecclesiastici che continuano a raccontare la storia di un mondo buono che contrito bussa alle porte della Chiesa per chiedere sollievo per le proprie ferite, incontrando invece le porte chiuse di una Chiesa arroccata attorno a legalismi dottrinali. Un quadretto questo in cui, tra l’altro, fatica a trovare posto un fatto come quello delle Sentinelle in Piedi: migliaia e migliaia di famiglie e singoli che in silenzio, leggendo un libro, difendono la libertà di tutti, testimoniando nel contempo l’esistenza e la forza della famiglia naturale. Se vogliamo, è una Chiesa che si apre, si mette in gioco, va nelle piazze non per gridare contro qualcuno ma per dare ragione di se stessa; e in questi mesi ci sono state tante occasioni di incontro con persone distanti, con cui sono anche nati rapporti veri. Che non sarebbero nati restando chiusi in casa o in chiesa, rinunciando a dare un giudizio su ciò che sta accadendo nella nostra società. Ma come abbiamo visto, così facendo si è pure incontrata l’ostilità del mondo. Coincidenza vuole che questo sia accaduto nel giorno di apertura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, quello che per qualcuno dovrebbe essere all’insegna del "Mondo buono-Chiesa cattiva, da riformare”. 

Un’immagine allora che disturba quella delle Sentinelle in Piedi, tanto che il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, si è ben guardato nei giorni scorsi dal dare notizia della veglia nazionale di ieri. Poi, magari, sulle violenze verserà le solite lacrime di coccodrillo nei prossimi giorni, ma sempre ben attenti a non mettere in relazione le Sentinelle con ciò di cui si parla al Sinodo, non sia mai che vengano dei dubbi su quei postulati che si danno per scontati.

Uno di questi, ripetuto alla noia nei giorni scorsi su diverse testate, recita che siamo davanti a un cambiamento epocale della famiglia, che il mondo è molto diverso da 30 anni fa (il riferimento è all’esortazione apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II) e che quindi bisogna in qualche modo adeguarsi. «Senza mettere in discussione la dottrina», ci mancherebbe, ma facendo finta che non ci sia. «Un confronto sincero, aperto e fraterno», ha auspicato sabato papa Francesco, ma per qualcuno deve trattarsi di un confronto che non abbia punti di riferimento chiari, perché la situazione odierna – si dice – è nuova e non è mai stata affrontata.

Noi, in questi giorni stiamo dimostrando il contrario. La raccolta dei testi del Magistero che stiamo presentando (clicca qui e qui) – a cura di Tommaso Scandroglio – dimostra con chiarezza che riguardo al problema dei divorziati risposati e più in generale di chi vive in situazioni irregolari c’è da decenni una grande attenzione: dalle note della Cei del 1979, al catechismo della Chiesa cattolica (1992), dalle esortazioni apostoliche Reconciliatio et Poenitentia e Familiaris Consortio fino al Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, ci sono lunghe parti in cui si guarda con amore e misericordia alle persone che vivono situazioni di sofferenza. E si invitano con forza tutte le comunità a non fare sentire escluse dalla Chiesa queste persone, si suggeriscono delle iniziative pastorali e si indicano forme di comunione ecclesiale oltre i sacramenti. E appena due anni fa papa Benedetto XVI, all’Incontro mondiale delle famiglie, aveva dato una bellissima prospettiva alla sofferenza di chi vive certe situazioni irregolari (clicca qui). 

È una attenzione costante che contraddice quanto in questi giorni viene spacciato per ovvio e scontato. E lo stesso vale per la difficoltà a concepire la famiglia naturale, che si pretenderebbe essere unica di questa nostra epoca. Lo abbiamo ricordato già tempo fa che ai tempi di Gesù, dal punto di vista della famiglia la situazione era ben peggiore (clicca qui), e basterebbe solo rileggere qualche dialogo di Gesù con i discepoli per rendersene conto.

Si fa fatica a sfuggire alla sensazione che ci siano alcuni ecclesiastici – ma anche laici – che in realtà stanno usando il Sinodo per imporre la propria agenda e orientare la Chiesa cattolica verso derive protestanti. Con l’ausilio della grande stampa laica. Anche all’interno della Chiesa servirebbero delle Sentinelle in Piedi.

 06/10/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Il cardinale Müller: se un matrimonio è valido neppure il Papa può scioglierlo.


di Riccardo Caniato


Il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha consegnato al libro intervista La speranza della famiglia (in Italia edito da Ares, www.ares.mi.it) realizzato con Carlos Granados, direttore delle spagnole edizioni BAC, le sue riflessioni programmatiche in vista del Sinodo sulla Famiglia voluto per ottobre (dal 5 al 19) da Papa Francesco.

Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (cioè dell’organismo vaticano garante della corretta interpretazione della Parola di Dio, della Tradizione e del Magistero della Chiesa) illustra qui la realtà sacramentale del matrimonio e il valore dell’istituto della famiglia dal punto di vista cristiano.

Ancorandosi al magistero di Giovanni Paolo II, che Papa Francesco ha definito il «Papa della Famiglia», l’indissolubilità e la fedeltà del matrimonio vengono spiegate anche dal cardinale Müller a partire dalla fedeltà dell’amore di Dio Padre per l’uomo. Si è portati per natura a costruire rapporti fecondi e durevoli perché siamo creati a immagine e somiglianza di un Dio  che è Padre fedele nel tempo.

Non a caso «recenti indagini svolte tra i nostri giovani hanno confermato il fascino dell’ideale di fedeltà tra un uomo e una donna, fondato sull’ordine della Creazione. Anche se affermano di "credere” nel divorzio, la maggior parte tra loro aspira a una relazione fedele e costante, corrispondente alla sua natura spirituale e morale».

Ma il matrimonio è immagine anche della relazione d’amore / donazione e offerta di sé tra Gesù e la Chiesa, motivo per cui l’approfondimento dell’amore avviene nella comunione tra gli sposi che è sintesi del loro venirsi incontro, donarsi l’uno all’altro, in antitesi a una concezione antropologica individualista che esalta il conseguimento del desiderio e dell’affermazione personali.

A questo riferimento il Cardinale sottolinea la grave ferita che una separazione matrimoniale provoca nei figli. Per loro conia il termine di «povertà da orfani del divorzio» e la spiega così:

«Il Santo Padre parla spesso della realtà della povertà, incarnata nei poveri del terzo e quarto mondo, relegati nelle cosiddette "periferie esistenziali”. Tra loro ci sono i figli che debbono crescere senza i loro genitori, gli "orfani del divorzio”. Forse sono i poveri più poveri del mondo: sono i figli abbandonati non solo nei Paesi del terzo mondo, ma anche qui in Europa, nell’America del Nord, nei Paesi più ricchi. Questi "orfani del divorzio”, a volte circondati da molti beni, con molto denaro a disposizione, sono i più poveri tra i poveri, perché hanno molti beni materiali, ma sono privi di quello fondamentale: dell’amore oblativo di due genitori che rinunciano a sé stessi per loro. Le cose stanno così perché solamente i beni spirituali e non quelli materiali ci permettono di maturare e giungere con sicurezza all’età adulta».

Quindi, secondo l’Intervistato, «il matrimonio indissolubile possiede un valore antropologico di primaria grandezza: sottrae la persona all’arbitrio e alla tirannia dei sentimenti e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; soprattutto protegge i figli.

[…] Nella sua essenza, esso è dedizione e impegno. Nell’amore coniugale, due persone si dicono l’un l’altra, in modo cosciente e volontario: sei così importante per me, sei così unico/a per me, che voglio stare solamente con te e per sempre!».

Alla luce di queste riflessioni Müller si accosta alle problematiche delle persone divorziate risposate. Ma prima di tutto ricorda in modo molto articolato, come invece fa sinteticamente in prefazione il cardinale Fernando Sebastián, che «il principale problema, presente nella Chiesa a proposito della famiglia, non è il piccolo numero dei divorziati risposati che desiderano accostarsi alla Comunione eucaristica. Il nostro problema più grave è il gran numero di battezzati che si sposano civilmente e degli sposati sacramentalmente che non vivono né il matrimonio né la vita matrimoniale in sintonia con la vita cristiana e gli insegnamenti della Chiesa».

Il cardinale invita a valutare caso per caso la validità di un matrimonio, specificando che nel tempo presente è quanto mai necessario se gli sposi si siano o meno accostati al sacramento con fede e consapevolezza.

Ma avverte anche che l’indissolubilità del matrimonio ha valore dogmatico e che, pertanto,  «quando ci troviamo in presenza di un matrimonio valido, in nessun modo è possibile sciogliere quel vincolo: né il Papa né alcun altro vescovo hanno autorità per farlo, perché si tratta di una realtà che appartiene a Dio, non a loro».

Compito della Chiesa è esercitare la Misericordia di Cristo, ma se Dio è somma carità, è anche somma verità e giustizia: Anche «santità e giustizia appartengono al mistero di Dio», chiosa Muller. Ma ecco un intero passo chiarificatore sotto questo aspetto:

«Il "principio della misericordia” è molto debole quando si trasforma in unico argomento teologico-sacramentale valido. Tutto l’ordine sacramentale è precisamente opera della misericordia divina, ma non lo si può annullare revocando lo stesso principio che lo regge. Al contrario, un errato riferimento alla misericordia comporta il grave rischio di banalizzare l’immagine di Dio, secondo cui Dio non sarebbe libero, bensì sarebbe obbligato a perdonare. Dio non si stanca mai di offrirci la sua misericordia: il problema è che noi ci stanchiamo di chiederla, riconoscendo con umiltà il nostro peccato, come ha ricordato con insistenza Papa Francesco nel primo anno e mezzo del suo pontificato».

La Misericordia, presuppone, dunque, anche la coscienza del peccato, la richiesta di perdono e il desiderio di cambiare vita, sulla scorta dell’insegnamento di Gesù che, dopo aver usato misericordia verso l’Adultera, la esorta così: «Adesso va’ e non peccare più!».

Gesù nei Vangeli si mostra anche molto esigente, osserva il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede:

«Gesù non si è incarnato per esporre alcune semplici teorie che tranquillizzino la coscienza e in fondo lascino le cose come stanno senza alterare l’”ordine costituito”. Gesù ha ricreato la Creazione, predicando una conversione che è possibile per tutti, perché Egli ha già definitivamente sconfitto il peccato: ci ha dato l’indicativo come base per l’imperativo! Pertanto, una vita cristiana autentica è tanto esigente perché comporta l’impegno personale di modificare la propria condotta, senza facili compromessi tra la Rivelazione e il mondo, senza adattarsi a una falsa antropologia. Non si può andare la mattina in chiesa e il pomeriggio in un bordello, come una specie di sintesi schizofrenica tra Dio e il mondo, come se si potesse vivere nella "casa di Dio” il mattino e nella "casa del diavolo” la sera.

Il messaggio di Gesù è una vita nuova»

06/10/2014 fonte. Korazym.org

IL SANTO DEL GIORNO 15/09/2014 Beata Vergine Maria Addolorata




La Madonna è venerata nel mondo cristiano con un culto di iperdulia, che si estrinseca in vari titoli, quanti le sono stati attribuiti nei millenni per le sue virtù, il suo patrocinio, la sua posizione di creatura prediletta da Dio, per il posto primario occupato nel piano della Redenzione, per la sua continua presenza accanto all’uomo evidenziata anche dalle tante apparizioni.
Nel calendario delle celebrazioni mariane vi sono: 1° gennaio la B.V.M. Madre di Dio; 23 gennaio lo Sposalizio della B.V.M.; 2 febbraio la Presentazione al Tempio di Gesù e la Purificazione di Maria; 11 febbraio Beata Vergine di Lourdes; 25 marzo l’Annunciazione; 26 aprile B.V.M. del Buon Consiglio; 13 maggio Beata Vergine di Fatima; 24 maggio Madonna Ausiliatrice; 31 maggio Visitazione di M.V.; a giugno Cuore Immacolato di Maria; 2 luglio Madonna delle Grazie; 16 luglio B.V. del Carmelo; 5 agosto Madonna della Neve; 15 agosto Assunzione della Vergine; 22 agosto B.V.M. Regina; 8 settembre Natività di Maria; 12 settembre SS Nome di Maria; 15 settembre B. V. Addolorata; 19 settembre B. V. de La Salette; 24 settembre B.V. della Mercede; 7 ottobre B.V. del Rosario, 21 novembre Presentazione della B.V.M.; 8 dicembre Immacolata Concezione, 10 dicembre B. V. M. di Loreto.
Inoltre l’intero mese di Maggio è dedicato alla Madonna, senza dimenticare la suggestiva e devota Novena dell’Immacolata, poi vi sono le celebrazioni locali per i tantissimi Santuari Mariani esistenti; come si vede la Vergine ha un culto così diffuso, che non c’è mese dell’anno in cui non la si ricordi e veneri.
A mio parere però, fra i tanti titoli e celebrazioni, il più sentito perché più vicino alla realtà umana, è quello di Beata Vergine Maria Addolorata; il dolore è presente nella nostra vita sin dalla nascita, con il primo angosciato grido del neonato, che lascia il sicuro del grembo materno per proiettarsi in un mondo sconosciuto, non più legato alla madre e in preda alla paura e spavento; poi il dolore ci segue più o meno intenso, più o meno costante, nei suoi vari aspetti, fisici, morali, spirituali, lungo il corso della vita, per ritrovarlo comunque al termine del nostro cammino, per l’ultimo e definitivo distacco da questo mondo.
E il dolore di Maria, creatura privilegiata sì, ma sempre creatura come noi, è più facile comprenderlo, perché lo subiamo anche noi, seppure in condizioni e gradi diversi, al contrario delle altre prerogative che sono solo sue, Annunciazione, Maternità divina, Immacolata Concezione, Assunzione al Cielo, Apparizioni, ecc. le quali da parte nostra richiedono un atto di fede per considerarle.
Veder morire un figlio è per una madre il dolore più grande che ci sia, non vi sono parole che possano consolare, chi naturalmente aspettando di poter morire dopo aver generato, allevato ed educato, l’erede e il continuatore della sua umanità, vede invece morire il figlio mentre lei resta ancora in vita, quel figlio al quale avrebbe voluto ridare altre cento volte la vita e magari sostituirsi ad esso nel morire.
I milioni di madri che nel tempo hanno subito questo immenso dolore, a lei si sono rivolte per trovare sostegno e consolazione, perché Maria ha visto morire il Figlio in modo atroce, consapevole della sua innocenza, soffrendo per la cattiveria, incomprensione, malvagità, scatenate contro di lui, personificazione della Bontà infinita.
Ma non fu solo per la repentina condanna a morte, il dolore provato da Maria fu l’epilogo di un lungo soffrire, in silenzio e senza sfogo, conservato nel suo cuore, iniziato da quella profezia del vecchio Simeone pronunziata durante la Presentazione di Gesù al Tempio: "E anche a te una spada trapasserà l’anima”.
Quindi anche tutti coloro che soffrono nella propria carne e nel proprio animo, le pene derivanti da malattie, disabilità, ingiustizia, povertà, persecuzione, violenza fisica e mentale, perdita di persone care, tradimenti, mancanza di sicurezza, solitudine, ecc. guardano a Maria, consolatrice di tutti i dolori; perché avendo sofferto tanto già prima della Passione di Cristo, può essere il faro a cui guardare nel sopportare le nostre sofferenze ed essere comprensivi di quelle dei nostri fratelli, compagni di viaggio in questo nostro pellegrinare terreno.
Ma la Madonna è anche corredentrice per Grazia del genere umano, perché partecipe dell’umanità sofferente ed offerta del Cristo, per questo lei non si è ribellata come madre alla sorte tragica del Figlio, l’ha sofferta indicibilmente ma l’ha anche offerta a Dio per la Redenzione dell’umanità.
E come dalla Passione, Morte e Sepoltura di Gesù, si è passato alla trionfale e salvifica Resurrezione, anche Maria, cooperatrice nella Redenzione, ha gioito di questa immensa consolazione e quindi maggiormente è la più adatta ad indicarci la via della salvezza e della gioia, attraversando il crogiolo della sofferenza in tutte le sue espressioni, della quale comunque non potremo liberarci perché retaggio del peccato originale. 

CULTO

La devozione alla Madonna Addolorata, che trae origine dai passi del Vangelo, dove si parla della presenza di Maria Vergine sul Calvario, prese particolare consistenza a partire dalla fine dell’XI secolo e fu anticipatrice della celebrazione liturgica, istituita più tardi. 
Il "Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius” di ignoto (erroneamente attribuito a s. Bernardo), costituisce l’inizio di una letteratura, che porta alla composizione in varie lingue del "Pianto della Vergine”.
Testimonianza di questa devozione è il popolarissimo ‘Stabat Mater’ in latino, attribuito a Jacopone da Todi, il quale compose in lingua volgare anche le famose ‘Laudi’; da questa devozione ebbe origine la festa dei "Sette Dolori di Maria SS.” Nel secolo XV si ebbero le prime celebrazioni liturgiche sulla "compassione di Maria” ai piedi della Croce, collocate nel tempo di Passione.
A metà del secolo XIII, nel 1233, sorse a Firenze l’Ordine dei frati "Servi di Maria”, fondato dai Ss. Sette Fondatori e ispirato dalla Vergine. L’Ordine che già nel nome si qualificava per la devozione alla Madre di Dio, si distinse nei secoli per l’intensa venerazione e la diffusione del culto dell’Addolorata; il 9 giugno del 1668, la S. Congregazione dei Riti permetteva all’Ordine di celebrare la Messa votiva dei sette Dolori della Beata Vergine, facendo menzione nel decreto che i Frati dei Servi, portavano l’abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che essa sostenne nella passione del Figlio.
Successivamente, papa Innocenzo XII, il 9 agosto 1692 autorizzò la celebrazione dei Sette Dolori della Beata Vergine la terza domenica di settembre.
Ma la celebrazione ebbe ancora delle tappe, man mano che il culto si diffondeva; il 18 agosto 1714 la Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il venerdì precedente la Domenica delle Palme e papa Pio VII, il 18 settembre 1814 estese la festa liturgica della terza domenica di settembre a tutta la Chiesa, con inserimento nel calendario romano.
Infine papa Pio X (1904-1914), fissò la data definitiva del 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), con memoria non più dei "Sette Dolori”, ma più opportunamente come "Beata Vergine Maria Addolorata”. 

Le devozioni 
I Sette Dolori di Maria, corrispondono ad altrettanti episodi narrati nel Vangelo: 1) La profezia dell’anziano Simeone, quando Gesù fu portato al Tempio "E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. – 2) La Sacra Famiglia è costretta a fuggire in Egitto "Giuseppe destatosi, prese con sé il Bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto”. – 3) Il ritrovamento di Gesù dodicenne nel Tempio a Gerusalemme "Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”. – 4) Maria addolorata, incontra Gesù che porta la croce sulla via del Calvario. – 5) La Madonna ai piedi della Croce in piena adesione alla volontà di Dio, partecipa alle sofferenze del Figlio crocifisso e morente. – 6) Maria accoglie tra le sue braccia il Figlio morto deposto dalla Croce. – 7) Maria affida al sepolcro il corpo di Gesù, in attesa della risurrezione.
La liturgia e la devozione hanno compilato anche le Litanie dell’Addolorata, ove la Vergine è implorata in tutte le necessità, riconoscendole tutti i titoli e meriti della sua personale sofferenza.
La tradizione popolare ha identificato la meditazione dei Sette Dolori, nella pia pratica della ‘Via Matris’, che al pari della Via Crucis, ripercorre le tappe storiche delle sofferenze di Maria e sempre più numerosi sorgono questi itinerari penitenziali, specie in prossimità di Santuari Mariani, rappresentati con sculture, ceramiche, gruppi lignei, affreschi.
Le processioni penitenziali, tipiche del periodo della Passione di Cristo, comprendono anche la figura della Madre dolorosa che segue il Figlio morto, l’incontro sulla salita del Calvario, Maria posta ai piedi del Crocifisso; in certi Comuni le processioni devozionali, assumono l’aspetto di vere e proprie rappresentazioni altamente suggestive, specie quelle dell’incontro tra il simulacro di Maria vestita a lutto e addolorata e quello di Gesù che trasporta la Croce tutto insanguinato e sofferente.
In certe località queste processioni, che nel Medioevo diedero luogo anche a rappresentazioni sacre dette "Misteri”, assumono un’imponenza di partecipazione popolare, da costituire oggi un’attrattiva oltre che devozionale e penitenziale, anche turistica e folcloristica, cito per tutte la grande processione barocca di Siviglia. 

Le espressioni artistiche
Al testo del celebre "Stabat Mater”, si sono ispirati musicisti di ogni epoca; tra i più illustri figurano Palestrina, Pergolesi, Rossini, Verdi, Dvorak.
La Vergine Addolorata è stata raffigurata lungo i secoli in tante espressioni dell’arte, specie pittura e scultura, frutto dell’opera dei più grandi artisti che secondo il proprio estro, hanno voluto esprimere in primo luogo la grande sofferenza di Maria.
La vergine Addolorata è di solito vestita di nero per la perdita del Figlio, con una spada o con sette spade che le trafiggono il cuore.
Altro soggetto molto rappresentato è la Pietà, penultimo atto della Passione, che sta fra la deposizione e la sepoltura di Gesù. Il termine ‘Pietà’ sta ad indicare nell’arte, la raffigurazione dei due personaggi principali Maria e Gesù, la madre e il figlio; Maria lo sorregge adagiato sulle sue ginocchia, oppure sul bordo del sepolcro insieme a s. Giovanni apostolo (Michelangelo e Giovanni Bellini). Capolavoro dell’intensità del dolore dei presenti, è il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto. 
Nel Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Isernia), secondo l’apparizione del 1888, Gesù è adagiato a terra e Maria sta in ginocchio accanto a lui e con le braccia aperte lo piange e lo offre nello stesso tempo.

In virtù del culto così diffuso all’Addolorata, ogni città e ogni paese ha una chiesa o cappella a lei dedicata; varie Confraternite assistenziali e penitenziali, come pure numerose Congregazioni religiose femminili e alcune maschili, sono poste sotto il nome dell’Addolorata, specie se collegate all’antico Ordine dei Servi di Maria.
L’amore e la venerazione per la Consolatrice degli afflitti e per la sua ‘compassione’, ha prodotto, specie nell’Ordine dei Servi splendide figure di santi, ne citiamo alcuni: I Santi Sette Fondatori, s. Giuliana Falconieri, s. Filippo Benizi, s. Pellegrino Laziosi, s. Antonio Maria Pucci, s. Gabriele dell’Addolorata (passionista), senza dimenticare, primo fra tutti, s. Giovanni apostolo ed evangelista, sempre accanto a lei per confortarla e condividerne l’indicibile dolore, accompagnandola fino al termine della sua vita.

Il nome Addolorata ebbe larga diffusione nell’Italia Meridionale, ma per l’evidente significato, ora c’è la tendenza a sostituirlo con il suo derivato spagnolo Dolores.


Il Papa: senza la Madre Chiesa non possiamo andare avanti

Come senza Maria non ci sarebbe stato Gesù, così "senza la Chiesa non possiamo andare avanti”. E’ quanto ha detto il Papa presiedendo la Messa mattutina a Santa Marta nel giorno in cui si celebra la memoria della Beata Vergine Addolorata. Il servizio di Sergio Centofanti:
La Liturgia – afferma Papa Francesco – dopo averci mostrato la Croce gloriosa, ci fa vedere la Madre umile e mite. Nella Lettera agli Ebrei "Paolo sottolinea tre parole forti”: dice che Gesù "imparò, obbedì e patì”. "E’ il contrario di quello che era accaduto al nostro padre Adamo, che non aveva voluto imparare quello che il Signore comandava, che non aveva voluto patire, né obbedire”. Gesù, invece, pur essendo Dio, "si annientò, umiliò se stesso facendosi servo. Questa è la gloria della Croce di Gesù”:
"Gesù è venuto al mondo per imparare a essere uomo, ed essendo uomo, camminare con gli uomini. E’ venuto al mondo per obbedire, e ha obbedito. Ma questa obbedienza l’ha imparata dalla sofferenza. Adamo è uscito dal Paradiso con una promessa, la promessa che è andata avanti durante tanti secoli. Oggi, con questa obbedienza, con questo annientare se stesso, umiliarsi, di Gesù, quella promessa diventa speranza. E il popolo di Dio cammina con speranza certa. Anche la Madre, ‘la nuova Eva’, come lo stesso Paolo la chiama, partecipa di questa strada del Figlio: imparò, soffrì e obbedì. E diventa Madre”.
Il Vangelo ci mostra Maria ai piedi della Croce. Gesù dice a Giovanni: "Ecco tua madre”. Maria - ha affermato il Papa - "è unta Madre”:
"E questa è anche la nostra speranza. Noi non siamo orfani, abbiamo Madri: la Madre Maria. Ma anche la Chiesa è Madre e anche la Chiesa è unta Madre quando fa la stessa strada di Gesù e di Maria: la strada della obbedienza, la strada della sofferenza e quando ha quell’atteggiamento di imparare continuamente il cammino del Signore. Queste due donne – Maria e la Chiesa – portano avanti la speranza che è Cristo, ci danno Cristo, generano Cristo in noi. Senza Maria, non sarebbe stato Gesù Cristo; senza la Chiesa, non possiamo andare avanti”.
"Due donne e due Madri” – ha proseguito Papa Francesco – e accanto a loro la nostra anima, che come diceva il monaco Isacco, l’abate di Stella, "è femminile” e assomiglia "a Maria e alla Chiesa”:
"Oggi, guardando presso la Croce questa donna, fermissima nel seguire suo Figlio nella sofferenza per imparare l’obbedienza, guardandola guardiamo la Chiesa e guardiamo nostra Madre. E, anche, guardiamo la nostra piccola anima che non si perderà mai, se continua a essere anche una donna vicina a queste due grandi donne che ci accompagnano nella vita: Maria e la Chiesa. E come dal Paradiso sono usciti i nostri Padri con una promessa, oggi noi possiamo andare avanti con una speranza: la speranza che ci dà la nostra Madre Maria, fermissima presso la Croce, e la nostra Santa Madre Chiesa gerarchica”.

15/09/2014 fonte Radio vaticana

Turchia: Erdogan impone lo studio del Corano in tutte le scuole

In vigore la riforma che estende l'insegnamento della religione islamica in tutti gli istituti, tranne quelli delle minoranze armene ed ortodosse. A rischio il futuro educativo dei 200mila cristiani siriani rifugiati in Turchia


Si apre con una riforma della scuola la nuova era della Turchia sotto la presidenza di Tayip Erdogan. Secondo il progetto del Capo di Stato l'insegnamento e l'educazione religiosa, quella coranica, dovrà essere estesa a tutti i tipi di scuole, di ogni grado ed ordine. Sinora esso era limitato alle sole Imam Hatip Lisesi, i licei religiosi destinati a formare la futura casta religiosa turca, ai quali si poteva accedere solo dopo il compimento degli otto anni della scuola dell'obbligo, mentre ora potrà avvenire sin dalle elementari.

La riforma - introdotta un anno fa e passata inosservata - prevede infatti l'estensione dagli attuali 8 anni della scuola d'obbligo a 12 anni, durante i quali sarà obbligatorio l'insegnamento e l'educazione della religione islamica. Essa, riferisce l'agenzia Asia News, verrà applicata a partire da quest'anno scolastico. 

Altra novità significativa della nuova Turchia di Erdogan è che anche i diplomati delle scuole religiose, al contrario di quanto avveniva finora, potranno avere accesso a tutte le facoltà universitarie che danno diritto ai posti chiave della pubblica amministrazione.

Passo successivo della riforma sarà quindi l'insegnamento della lingua araba addirittura come seconda lingua, in modo da permettere agli studenti di capire il Corano, dal momento che in lingua turca non esistono parole che aiutino ad approfondire i dettami del libro del profeta.

Non solo. Dall'obbligo dell'insegnamento ed educazione religiosa coranica - spiega ancora Asia News - sono esentate le scuole delle minoranze armene ed ortodosse, qualcosa come 2000 e 250 allievi rispettivamente. Gli altri che non vogliono frequentare le scuole pubbliche per evitare l'istruzione ed educazione religiosa dovranno andare nelle scuole private, che a causa delle elevate rate annuali, sono privilegio dei benestanti.

Alla luce di ciò, in motli si interrogano sulla sorte educativa delle migliaia di rifrugati cristiani dalla Siria, circa 200mila, stabilizzatisi in Turchia, i cui figli dovranno frequentare le scuole turche.

15/09/2014 fonte Zenit

Ai vostri figli non raccontate di essere dei perfetti supereroi, ma dite loro: «L’amore da cui sei nato, c’è ancora»



di Costanza Miriano

Cronache dal rifugio antiatomico, dove si può essere brutti, sporchi, cattivi e amarsi come squinternati tra briciole di panini. Basta «percorrere una parte di quella distanza misteriosa nella quale è nascosto il segreto di Dio»
Gli-Incredibili-19-wpcf_970x545«Mamma, il pericolo è il tuo mestiere. «Oddio, non direi. Anche se alla fine lo scivolone kamikaze in piscina l’ho fatto». «No, dicevo che è la mamma il mestiere più pericoloso. Fai un figlio, e non sai quello che ti capita. Poi te lo devi tenere tutta la vita. Con me ti è andata bene». Non l’avevo mai pensata così, in effetti, e a vederla da questa angolatura fa un po’ paura, più del kamikaze (l’addetto alla piscina mi ha assicurato che non era mai morto nessuno lanciandosi dal tubo giallo, comunque, e non ha fatto nessuna osservazione spiritosa sul fatto che sembravo seduta su un bidet quando sono scesa). Essere una famiglia significa consegnarsi per sempre a delle persone a cui sarai legato per tutta la vita (e con un figlio non sai mai chi ti metti in casa, come diceva Achille Campanile). La cosa può dare una certa vertigine. Per sempre, soprattutto in quest’epoca dello spontaneismo in cui viviamo, è un bel po’ di tempo.
È un bel po’ di tempo, e a volte può essere anche un bel po’ di fatica. Non parlo tanto delle emergenze, dei momenti di difficoltà particolare, un problema economico, una crisi di coppia (articolo diffusissimo sul mercato, al momento), una malattia, quanto dell’ordinaria amministrazione – per quanto "ordinaria” a casa mia sia spesso una parola azzardata: oggi pomeriggio mi sono ritrovata a un certo punto che facevo panini al prosciutto per undici ragazzini, spuntavano da sotto i divani come i calzini, i ciuffi di polvere e le carte di caramelle (la flora dei miei sottodivani fornisce un habitat favorevole alla proliferazione di forme di vita non ancora studiate dalla scienza, che si nutrono di panini: figli, nipoti, figli dei vicini, amichetti di passati cicli scolastici che sanno di poter sempre contare su di noi).
È un bel po’ di fatica anche la normale fedeltà al quotidiano, quel consistere, semplicemente, quello stare al proprio posto in trincea, giorno dopo giorno dopo mese dopo anno, cercando di fare bene il proprio mestiere di moglie o marito e di padre o madre, per quanto, diciamo la verità, su questo il mio obiettivo si è piuttosto ridotto negli anni, da quando sono uscita la prima volta dalla sala parto, col manuale tipo "cresco il mio bambino” tutto sottolineato e il fermo proposito di non contaminare la bocca del pargolo con qualcosa che fosse men che biodinamic-natural-artigianal-biologico, per poi passare repentinamente dalla zucchina immacolata a un’alimentazione a base di grassi saturi e coloranti: insomma sono passata dal target mamma perfetta alla speranza di essere almeno decente, dal tentativo di non sbagliare niente, al desiderio di averne azzeccata almeno una tra tanti errori, così, giusto per il calcolo delle probabilità, per la legge dei grandi numeri (a forza di fare, qualcosa di buono lo avrò prodotto, no?).
Eppure, anche questa fatica di essere decenti, vale la pena, eccome, vale veramente la pena. E non parlo di valori, parola che, almeno in me, ingenera attacchi di sbadigliarella, il desiderio di andare di là a versarmi un Cuba libre (purtroppo però non posso, sono astemia) o il progetto di scappare in Papuasia Nuova Guinea con un passante. Se rimaniamo al nostro posto non è certo per i valori. Se rimaniamo è perché abbiamo capito che la famiglia è l’unica cosa che veramente funziona, è quello per cui siamo fatti, è quel posto in cui il gioco non prevede che io vinca solo se tu perdi, ma al contrario è dove si vince solo tutti insieme, e nessuno perde. La famiglia è quel posto in cui si può dare il peggio e sempre essere accolti, e anche se è bene che non diventi un’abitudine, si sa che a casa si può essere ogni tanto anche un molto scorbutici avendo pure torto, o ballare I will survive in mutande, o cucinare per la quinta volta della settimana pasta in bianco, e rimanere "la mamma dei miei sogni”. La famiglia è quel posto per cui vale la pena risparmiare, perché si sa che ogni piccolo sacrificio fatto farà stare bene qualcuno che amiamo. La famiglia è quel posto in cui non serve neanche tanto enunciare princìpi, soprattutto con i figli, perché loro ascoltano con gli occhi, e imparano solo quello che vedono vivere. La famiglia è una specie di rifugio antiatomico, a volte, che può anche essere esposto, fuori, alle peggiori radiazioni nocive, senza paura, anche eventualmente con allegra incoscienza, perché contiene in sé tutti gli anticorpi. È anche quel posto dove tornare dopo che si sono fatte le peggiori stupidaggini, perché i figli attraverseranno la loro Babilonia, inevitabilmente, prima di approdare alla Terra Promessa. L’importante è che qualcuno sia rimasto a casa, a garantire il ritorno.
«La Canada dry perché piace a Livia e Bernardo, la Pepsi twist a Lavinia, un Chinotto per Tommaso…». Guardo ammirata mio marito che prima della grigliata in giardino tira fuori dalla busta della spesa le bibite per i nostri figli, dei quali probabilmente non saprebbe elencare esattamente i nomi delle scuole né le classi frequentate; di sicuro non ricorda mezza malattia infettiva che hanno avuto, né le saprebbe attribuire al figlio abbinato, ignora l’ubicazione dell’ambulatorio della pediatra, ricorda appena, vagamente che abbiamo un mobiletto dei medicinali ma solo perché c’è anche l’Aulin per il suo mal di testa, confonde i compagni di classe dei quattro e va al saggio di danza con le notizie del calciomercato nell’auricolare (la mia amica Paola sostiene che un padre che non si scoccia al saggio è al limite del transgender). Eppure sa quale figlio ama la coca alla ciliegia, fatto che per me ha del prodigioso.
Io in compenso non sono addetta alla spesa, e mi confondo nomi di bibite, caramelle, schifezze a elevato contenuto di grassi; non so giocare bene come lui, non sono una fonte affidabile di informazioni su un’enorme parte dello scibile umano – e guarda caso quella che interessa di più alla nostra prole: storia, politica, musica, cinema… So che ognuno di noi due ama come può, meglio che può, dando quello che può. E so che sarà abbastanza, perché è tutto l’amore che abbiamo in corpo. Questo amore limitato, squinternato e ferito – anche i genitori si portano dietro le loro storie – comunque dirà loro una sola cosa. Che vale la pena vivere. Che la vita è una cosa grandiosa, bella, bella, bellissima. Questo vogliono sapere da noi i figli, e vogliono guardarci, noi due, e vedere che quell’amore da cui sono nati c’è ancora. Per loro è una garanzia, è il permesso di esistere, il permesso di essere anche brutti, sporchi e cattivi, perché contenuti da un abbraccio più grande di loro, più di qualsiasi ombra possa mai oscurarli, un abbraccio che li trascende, e che non aspetta niente da loro in cambio.
Per questo, il modo migliore per amare i nostri figli è amare il loro padre, la loro madre. Mettere il lavoro della famiglia al primo posto, e non lasciare che finisca all’ultimo, che allo sposo, alla sposa, rimangano le briciole delle energie, della creatività. È quella che io chiamo la mia "crociata contro le mutande ascellari”, che serve a ricordare alle donne che non è necessario, dopo qualche anno di matrimonio, mettere pigiamoni respingenti felpati o mutande comode. Non è obbligatorio smettere di sorridere. Non è prescritto dalla legge mettersi i vestiti da casa quando si rientra, tenere la famosa maglietta bucata per quando ci vede l’unico che avrebbe diritto ad avere il meglio di noi.
È invece altamente consigliato ricordare alcuni semplici dati essenziali. Per esempio che l’esemplare dell’altro sesso di cui ci siamo dotati in modo permanente pensando che fosse la nostra anima gemella è in realtà una strana creatura proveniente da un altro pianeta, e dotato di alcuni meccanismi base di funzionamento del tutto diversi dai nostri: si sa che i maschi procedono con un pensiero tubolare, e pensano e fanno una cosa alla volta (non fate mai a un uomo la cattiveria di chiedergli un’opinione sul vostro taglio di capelli mentre sta smanettando al Blackberry. Non si è minimamente accorto che siete state dal parrucchiere, e se si sforza troppo finirà per cestinare la mail che aspettava con ansia). Si sa anche che gli uomini dicono esattamente quello che intendono dire – parlano una strana lingua in cui le parole significano solo quello che significano – e non sanno che per noi femmine ogni parola è portatrice di un fitto groviglio di rimandi occulti, fatto che li porta a cadere incautamente su alcune scivolose conversazioni (per una donna dire "non importa, ce la faccio da sola” di solito significa "se non mi aiuti allora dillo che non mi vuoi bene”; e per lei chiedere "come sto con questi pantaloni?” non significa attendere un parere sincero ma esigere un complimento anche piuttosto esagerato, per non parlar della domanda delle domande – "mi trovi ingrassata?” – che è una falsa domanda, visto che prevedere solo la risposta standard "macertochenomiacaraseimoltotonica”, l’unica ammessa).
Imparare a tradursi a vicenda è un lavoraccio, ma significa percorrere una parte di quella distanza misteriosa nella quale è nascosto il segreto di Dio, che ci ha creati maschio e femmina, a sua immagine (per quanto nella Genesi non sia assolutamente specificato a chi spetti lo scettro del telecomando, ci tengo a precisarlo).


15/09/2014 fonte Tempi.it

I russi volevano ucciderci perché preti cattolici

don Oleksandr Khalayim


Quando ho parlato con i tre sacerdoti rapiti in Ucraina tra luglio e agosto, ognuno di loro mi ha confidato di credere di essere stato liberato grazie alle preghiere di tante persone, giunte non soltanto dall’Ucraina ma da tutto il mondo. Perché non esistono confini né barriere che la preghiera non possa oltrepassare. Innanzitutto voglio ringraziare chiunque preghi per la pace in Ucraina e per chi è accanto alle tante persone in difficoltà. Grazie al loro aiuto noi possiamo compiere la nostra missione ed essere quell’angelo per chi soffre, per chi è incarcerato. «Andate, e mettetevi a predicare al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita» (At 5, 20). Con queste parole si rivolge l’angelo agli apostoli e perciò, in queste poche righe, voglio scrivere quanto è accaduto a questi tre sacerdoti cattolici, due di rito romano ed uno di rito greco bizantino, due dei quali ho conosciuto personalmente. Oggigiorno ci siamo purtroppo "abituati” alla sofferenza, alla persecuzione. Quanti cristiani subiscono violenze ogni giorno soltanto perché, come noi, appartengono alla famiglia che si chiama Cristianesimo. 

Questi sacerdoti sono stati rapiti perché volevano pregare per la pace in Ucraina, o forse perché rappresentavano un ostacolo per chi vuole "pulire” la società da ogni cosa estranea, da ogni fede diversa dalla propria. Due di loro servivano nelle città in cui oggi continuano i combattimenti. La parrocchia che guidava don Victor comprende la città di Gorlivka e altri centri dell’area circostante, mentre don Sergej era parroco nella città di Donetsk. Entrambi sono stati fermati dai separatisti mentre viaggiavano nella loro macchina ed hanno riconosciuto nelle divise militari indossate dai propri rapitori, quelle del gruppo Nuova Russia. Il terzo sacerdote rapito, don Pavel, è polacco e fino al suo sequestro operava in Kazakistan. È stato rapito ad agosto sulla strada per Donetsk, mentre si recava alla piazza in cui in quei giorni aveva luogo una "Maratona della preghiera” per la pace in Ucraina, cui hanno aderito fedeli di ogni confessione religiosa. 

Quando i rapitori si sono resi conto che don Pavel era polacco, hanno immediatamente pensato che lui fosse una spia, travestita da prete. Lo hanno anche schernito dicendo che chiunque può indossare un abito talare e travestirsi da sacerdote. Ad un attento controllo, si sono accorti del callo che don Pavel ha sulla mano. È dovuto all’assidua recita della coroncina del rosario, ma i suoi rapitori hanno visto in quel callo la prova che il sacerdote fosse in realtà un cecchino e lo hanno rinchiuso con forza nel bagagliaio della macchina. Quando sono giunti al covo dei separatisti, dove vi erano anche altri ostaggi, don Pavel ha sentito i suoi rapitori dire agli altri: «Il pacco è arrivato, prendetelo». 

I tre sacerdoti sono stati accusati di aver pregato per la pace in Ucraina e quindi contro gli interessi della Nuova Russia. Purtroppo nel territorio in cui hanno luogo gli scontri, in molti credono che la Chiesa cattolica e quella greco-cattolica rappresentino un pericolo per l’Ucraina e per il suo popolo, perché ritengono che in quell’area ci sia spazio unicamente per la fede ortodossa. Quando vedevano che i sacerdoti pregavano costantemente, i separatisti si prendevano gioco di loro dicendo che le loro preghiere erano vane: «Solo i "giusti” pregando vengono ascoltati da Dio». Per ognuno dei sacerdoti sono stati giorni di grande prova, di riflessione e di crescita nel ministero sacerdotale. Don Victor ha detto che sono stati i più grandi esercizi spirituali nella sua vita. Lui è stato tenuto in ostaggio per 11 giorni. In quel lasso di tempo nella stanza in cui si trovava sono passate più di 50 persone, molte delle quali si sono rivolte a lui per essere confessate o semplicemente per porgli delle domande. Un giorno uno degli ostaggi ha detto che non vi è nulla di sacro per i separatisti, perché hanno avuto il coraggio di rapire anche un sacerdote. 

Don Sergej è stato nelle mani dei rapitori per dodici giorni, quattro dei quali interamente passati a rispondere, sempre bendato, alle domande di un uomo dall’accento moscovita. Don Sergej soffre di diabete ed è rimasto senza medicine per tutta la durata del sequestro. Con grande fede racconta che il suo unico sostegno era la preghiera. Quando sentiva la pressione sanguigna aumentare e il cuore battere all’impazzata, iniziava a recitare il rosario in mano, e subito dopo si sentiva molto meglio. Non appena è stato liberato, ha dovuto subire un intervento chirurgico perché era entrato in coma diabetico. Un’ulteriore prova da sopportare per tutti i sacerdoti erano le finte fucilazioni. Diverse volte sono stati portati fuori, mentre i sequestratori dicevano loro: «Prega padre perché questi sono gli ultimi minuti della tua vita». Poi li disponevano davanti ad un muro e con i kalashnikov sparavano sopra la loro testa. Purtroppo altri non hanno avuto la loro stessa fortuna. 

Nella città di Sloviansk, vicino ad un ospedale pediatrico è stata trovata una fossa comune. Nei tragici giorni in cui i separatisti avevano assunto il controllo dell’area, diverse persone sono state uccise e gettate lì. Tra queste due pastori protestanti, che prima di essere giustiziati sono stati a lungo torturati, e i due figli di uno di loro. Si chiamavano Alberto e Ruvym Pavenkov e avevano soltanto 24 e 30 anni. Nella fossa sono stati trovati i corpi anche di due parrocchiani: Victor e Vladimiro, di 40 e 41 anni. Vladimiro aveva otto figli, oggi rimasti senza padre. La fossa comune è sempre piena di candele e di fiori che vengono portate dai parenti e dai parrocchiani, ma anche da chiunque condivida questa grande sofferenza.

Nel XXI secolo in un paese Europeo succedono queste cose. Perché? Per pulire la fede? Per falsa ideologia? Per la politica? Come sempre sono tante le domande ed è cosi difficile trovare una risposta chiara e giusta, ma non credo che si debba tacere su quanto è successo. Con la violenza non si costruisce il regno di Dio, si costruisce con il perdono, con l’amore fraterno. Perché la violenza porta la paura che chiude l’uomo verso gli altri e perfino verso Dio. Ora è importante non permettere che l’ira e il desiderio di vendetta chiudano i cuori. Sarebbe difficile guarire queste ferite condivise da tante persone, ferite che sanguineranno per anni. 

Possiamo continuare la nostra vita pensando che nel mondo non succeda niente, oppure possiamo cambiare qualcosa, perché come diceva Madre Teresa di Calcutta per cambiare il mondo dalla violenza, dalle guerre, dobbiamo cominciare dal cuore di ognuno di noi. Nel mondo la pace manca, perché non abbiamo ancora aperto le porte del nostro cuore a Cristo risorto, che dopo la risurrezione ha detto agli apostoli e al mondo intero: "La pace sia con Voi”. Non abbiate paura. Queste non sono semplici parole, questa è la nostra sicurezza. "Ma essi se ne andarono dal sinedrio, lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (At 5, 40). Quando è stato liberato don Victor ha detto di aver sentito una grande gioia dentro al suo cuore, che lui poteva soffrire tutto questo per Cristo per la Sua Chiesa. Il fondamento della vita cristiana è il comandamento dell’amore, solo che l’amore deve concretizzarsi nelle opere concrete. La legge dell’amore non conosce i confini, si può sempre amare di più migliorando se stessi e altri.

15/09/2014 fonte La nuova bussola quotidiana

 

IL SANTO DEL GIORNO 03/09/2014 San Gregorio Magno Papa e dottore della chiesa



Fu uno dei più grandi Padri nella storia della Chiesa, uno dei quattro dottori dell’Occidente: Papa san Gregorio, che fu Vescovo di Roma tra il 590 e il 604, e che meritò dalla tradizione il titolo di Magnus/Grande. Gregorio fu veramente un grande Papa e un grande Dottore della Chiesa! Nacque a Roma, intorno al 540, da una ricca famiglia patrizia della gens Anicia, che si distingueva non solo per la nobiltà del sangue, ma anche per l’attaccamento alla fede cristiana e per i servizi resi alla Sede Apostolica. Da tale famiglia erano usciti due Papi: Felice III (483-492), trisavolo di Gregorio, e Agapito (535-536). La casa in cui Gregorio crebbe sorgeva sul Clivus Scauri, circondata da solenni edifici che testimoniavano la grandezza della Roma antica e la forza spirituale del cristianesimo. Ad ispirargli alti sentimenti cristiani vi erano poi gli esempi dei genitori Gordiano e Silvia, ambedue venerati come santi, e quelli delle due zie paterne, Emiliana e Tarsilia, vissute nella propria casa quali vergini consacrate in un cammino condiviso di preghiera e di ascesi.

Gregorio entrò presto nella carriera amministrativa, che aveva seguito anche il padre, e nel 572 ne raggiunse il culmine, divenendo prefetto della città. Questa mansione, complicata dalla tristezza dei tempi, gli consentì di applicarsi su vasto raggio ad ogni genere di problemi amministrativi, traendone lumi per i futuri compiti. In particolare, gli rimase un profondo senso dell’ordine e della disciplina: divenuto Papa, suggerirà ai Vescovi di prendere a modello nella gestione degli affari ecclesiastici la diligenza e il rispetto delle leggi propri dei funzionari civili. Questa vita tuttavia non lo doveva soddisfare se, non molto dopo, decise di lasciare ogni carica civile, per ritirarsi nella sua casa ed iniziare la vita di monaco, trasformando la casa di famiglia nel monastero di Sant’Andrea al Celio. Di questo periodo di vita monastica, vita di dialogo permanente con il Signore nell’ascolto della sua parola, gli resterà una perenne nostalgia che sempre di nuovo e sempre di più appare nelle sue omelie: in mezzo agli assilli delle preoccupazioni pastorali, lo ricorderà più volte nei suoi scritti come un tempo felice di raccoglimento in Dio, di dedizione alla preghiera, di serena immersione nello studio. Poté così acquisire quella profonda conoscenza della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa di cui si servì poi nelle sue opere. 

Ma il ritiro claustrale di Gregorio non durò a lungo. La preziosa esperienza maturata nell’amministrazione civile in un periodo carico di gravi problemi, i rapporti avuti in questo ufficio con i bizantini, l’universale stima che si era acquistata, indussero Papa Pelagio a nominarlo diacono e ad inviarlo a Costantinopoli quale suo "apocrisario”, oggi si direbbe "Nunzio Apostolico”, per favorire il superamento degli ultimi strascichi della controversia monofisita e soprattutto per ottenere l’appoggio dell’imperatore nello sforzo di contenere la pressione longobarda. La permanenza a Costantinopoli, ove con un gruppo di monaci aveva ripreso la vita monastica, fu importantissima per Gregorio, poiché gli diede modo di acquisire diretta esperienza del mondo bizantino, come pure di accostare il problema dei Longobardi, che avrebbe poi messo a dura prova la sua abilità e la sua energia negli anni del Pontificato. Dopo alcuni anni fu richiamato a Roma dal Papa, che lo nominò suo segretario. Erano anni difficili: le continue piogge, lo straripare dei fiumi, la carestia affliggevano molte zone d’Italia e la stessa Roma. Alla fine scoppiò anche la peste, che fece numerose vittime, tra le quali anche il Papa Pelagio II. Il clero, il popolo e il senato furono unanimi nello scegliere quale suo successore sulla Sede di Pietro proprio lui, Gregorio. Egli cercò di resistere, tentando anche la fuga, ma non ci fu nulla da fare: alla fine dovette cedere. Era l’anno 590. 

Riconoscendo in quanto era avvenuto la volontà di Dio, il nuovo Pontefice si mise subito con lena al lavoro. Fin dall’inizio rivelò una visione singolarmente lucida della realtà con cui doveva misurarsi, una straordinaria capacità di lavoro nell’affrontare gli affari tanto ecclesiastici quanto civili, un costante equilibrio nelle decisioni, anche coraggiose, che l’ufficio gli imponeva. Si conserva del suo governo un’ampia documentazione grazie al Registro delle sue lettere (oltre 800), nelle quali si riflette il quotidiano confronto con i complessi interrogativi che affluivano sul suo tavolo. Erano questioni che gli venivano dai Vescovi, dagli Abati, dai clerici, e anche dalle autorità civili di ogni ordine e grado. Tra i problemi che affliggevano in quel tempo l’Italia e Roma ve n’era uno di particolare rilievo in ambito sia civile che ecclesiale: la questione longobarda. Ad essa il Papa dedicò ogni energia possibile in vista di una soluzione veramente pacificatrice. A differenza dell’Imperatore bizantino che partiva dal presupposto che i Longobardi fossero soltanto individui rozzi e predatori da sconfiggere o da sterminare, san Gregorio vedeva questa gente con gli occhi del buon pastore, preoccupato di annunciare loro la parola di salvezza, stabilendo con essi rapporti di fraternità in vista di una futura pace fondata sul rispetto reciproco e sulla serena convivenza tra italiani, imperiali e longobardi. Si preoccupò della conversione dei giovani popoli e del nuovo assetto civile dell’Europa: i Visigoti della Spagna, i Franchi, i Sassoni, gli immigrati in Britannia ed i Longobardi, furono i destinatari privilegiati della sua missione evangelizzatrice. Abbiamo celebrato ieri la memoria liturgica di sant’Agostino di Canterbury, il capo di un gruppo di monaci incaricati da Gregorio di andare in Britannia per evangelizzare l’Inghilterra.

Per ottenere una pace effettiva a Roma e in Italia, il Papa si impegnò a fondo - era un vero pacificatore - , intraprendendo una serrata trattativa col re longobardo Agilulfo. Tale negoziazione portò ad un periodo di tregua che durò per circa tre anni (598 – 601), dopo i quali fu possibile stipulare nel 603 un più stabile armistizio. Questo risultato positivo fu ottenuto anche grazie ai paralleli contatti che, nel frattempo, il Papa intratteneva con la regina Teodolinda, che era una principessa bavarese e, a differenza dei capi degli altri popoli germanici, era cattolica, profondamente cattolica. Si conserva una serie di lettere del Papa Gregorio a questa regina, nelle quali egli rivela dimostrano la sua stima e la sua amicizia per lei. Teodolinda riuscì man mano a guidare il re al cattolicesimo, preparando così la via alla pace. Il Papa si preoccupò anche di inviarle le reliquie per la basilica di S. Giovanni Battista da lei fatta erigere a Monza, né mancò di farle giungere espressioni di augurio e preziosi doni per la medesima cattedrale di Monza in occasione della nascita e del battesimo del figlio Adaloaldo. La vicenda di questa regina costituisce una bella testimonianza circa l’importanza delle donne nella storia della Chiesa. In fondo, gli obiettivi sui quali Gregorio puntò costantemente furono tre: contenere l’espansione dei Longobardi in Italia; sottrarre la regina Teodolinda all’influsso degli scismatici e rafforzarne la fede cattolica; mediare tra Longobardi e Bizantini in vista di un accordo che garantisse la pace nella penisola e in pari tempo consentisse di svolgere un’azione evangelizzatrice tra i Longobardi stessi. Duplice fu quindi il suo costante orientamento nella complessa vicenda: promuovere intese sul piano diplomatico-politico, diffondere l’annuncio della vera fede tra le popolazioni.

Accanto all’azione meramente spirituale e pastorale, Papa Gregorio si rese attivo protagonista anche di una multiforme attività sociale. Con le rendite del cospicuo patrimonio che la Sede romana possedeva in Italia, specialmente in Sicilia, comprò e distribuì grano, soccorse chi era nel bisogno, aiutò sacerdoti, monaci e monache che vivevano nell’indigenza, pagò riscatti di cittadini caduti prigionieri dei Longobardi, comperò armistizi e tregue. Inoltre svolse sia a Roma che in altre parti d’Italia un’attenta opera di riordino amministrativo, impartendo precise istruzioni affinché i beni della Chiesa, utili alla sua sussistenza e alla sua opera evangelizzatrice nel mondo, fossero gestiti con assoluta rettitudine e secondo le regole della giustizia e della misericordia. Esigeva che i coloni fossero protetti dalle prevaricazioni dei concessionari delle terre di proprietà della Chiesa e, in caso di frode, fossero prontamente risarciti, affinché non fosse inquinato con profitti disonesti il volto della Sposa di Cristo.

Questa intensa attività Gregorio la svolse nonostante la malferma salute, che lo costringeva spesso a restare a letto per lunghi giorni. I digiuni praticati durante gli anni della vita monastica gli avevano procurato seri disturbi all’apparato digerente. Inoltre, la sua voce era molto debole così che spesso era costretto ad affidare al diacono la lettura delle sue omelie, affinché i fedeli presenti nelle basiliche romane potessero sentirlo. Faceva comunque il possibile per celebrare nei giorni di festa Missarum sollemnia, cioè la Messa solenne, e allora incontrava personalmente il popolo di Dio, che gli era molto affezionato, perché vedeva in lui il riferimento autorevole a cui attingere sicurezza: non a caso gli venne ben presto attribuito il titolo di consul Dei. Nonostante le condizioni difficilissime in cui si trovò ad operare, riuscì a conquistarsi, grazie alla santità della vita e alla ricca umanità, la fiducia dei fedeli, conseguendo per il suo tempo e per il futuro risultati veramente grandiosi. Era un uomo immerso in Dio: il desiderio di Dio era sempre vivo nel fondo della sua anima e proprio per questo egli era sempre molto vicino al prossimo, ai bisogni della gente del suo tempo. In un tempo disastroso, anzi disperato, seppe creare pace e dare speranza. Quest’uomo di Dio ci mostra dove sono le vere sorgenti della pace, da dove viene la vera speranza e diventa così una guida anche per noi oggi.

Nonostante i molteplici impegni connessi con la sua funzione di Vescovo di Roma, egli ci ha lasciato numerose opere, alle quali la Chiesa nei secoli successivi ha attinto a piene mani. Oltre al cospicuo epistolario – il Registro a cui accennavo nella scorsa catechesi contiene oltre 800 lettere – egli ci ha lasciato innanzitutto scritti di carattere esegetico, tra cui si distinguono il Commento morale a Giobbe - noto sotto il titolo latino di Moralia in Iob -, le Omelie su Ezechiele, le Omelie sui Vangeli. Vi è poi un’importante opera di carattere agiografico, i Dialoghi, scritta da Gregorio per l’edificazione della regina longobarda Teodolinda. L’opera principale e più nota è senza dubbio la Regola pastorale, che il Papa redasse all’inizio del pontificato con finalità chiaramente programmatiche.

Volendo passare in veloce rassegna queste opere, dobbiamo anzitutto notare che, nei suoi scritti, Gregorio non si mostra mai preoccupato di delineare una "sua” dottrina, una sua originalità. Piuttosto, egli intende farsi eco dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, vuole semplicemente essere la bocca di Cristo e della sua Chiesa sul cammino che si deve percorrere per giungere a Dio. Esemplari sono a questo proposito i suoi commenti esegetici. Egli fu un appassionato lettore della Bibbia, a cui si accostò con intendimenti non semplicemente speculativi: dalla Sacra Scrittura, egli pensava, il cristiano deve trarre non tanto conoscenze teoriche, quanto piuttosto il nutrimento quotidiano per la sua anima, per la sua vita di uomo in questo mondo. Nelle Omelie su Ezechiele, ad esempio, egli insiste fortemente su questa funzione del testo sacro: avvicinare la Scrittura semplicemente per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza significa cedere alla tentazione dell’orgoglio ed esporsi così al rischio di scivolare nell’eresia. L’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro. L’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio; ma per far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile. Solo con questo atteggiamento interiore si ascolta realmente e si percepisce finalmente la voce di Dio. D’altra parte, quando si tratta di Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione non conduce all’azione. In queste omelie su Ezechiele si trova anche quella bella espressione secondo cui "il predicatore deve intingere la sua penna nel sangue del suo cuore; potrà così arrivare anche all’orecchio del prossimo”. Leggendo queste sue omelie si vede che realmente Gregorio ha scritto con il sangue del suo cuore e perciò ancora oggi parla a noi.

Questo discorso Gregorio sviluppa anche nel Commento morale a Giobbe. Seguendo la tradizione patristica, egli esamina il testo sacro nelle tre dimensioni del suo senso: la dimensione letterale, la dimensione allegorica e quella morale, che sono dimensioni dell’unico senso della Sacra Scrittura. Gregorio tuttavia attribuisce una netta prevalenza al senso morale. In questa prospettiva, egli propone il suo pensiero attraverso alcuni binomi significativi - sapere-fare, parlare-vivere, conoscere-agire -, nei quali evoca i due aspetti della vita umana che dovrebbero essere complementari, ma che spesso finiscono per essere antitetici. L’ideale morale, egli commenta, consiste sempre nel realizzare un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai doveri del proprio stato: è questa la strada per realizzare quella sintesi grazie a cui il divino discende nell’uomo e l’uomo si eleva fino alla immedesimazione con Dio. Il grande Papa traccia così per l’autentico credente un completo progetto di vita; per questo il Commento morale a Giobbe costituirà nel corso del medioevo una specie di Summa della morale cristiana.

Di notevole rilievo e bellezza sono pure le Omelie sui Vangeli. La prima di esse fu tenuta nella basilica di San Pietro durante il tempo di Avvento del 590 e dunque pochi mesi dopo l’elezione al Pontificato; l’ultima fu pronunciata nella basilica di San Lorenzo nella seconda domenica dopo Pentecoste del 593. Il Papa predicava al popolo nelle chiese dove si celebravano le "stazioni” - particolari cerimonie di preghiera nei tempi forti dell’anno liturgico - o le feste dei martiri titolari. Il principio ispiratore, che lega insieme i vari interventi, si sintetizza nella parola "praedicator”: non solo il ministro di Dio, ma anche ogni cristiano, ha il compito di farsi "predicatore” di quanto ha sperimentato nel proprio intimo, sull’esempio di Cristo che s’è fatto uomo per portare a tutti l’annuncio della salvezza. L’orizzonte di questo impegno è quello escatologico: l’attesa del compimento in Cristo di tutte le cose è un pensiero costante del grande Pontefice e finisce per diventare motivo ispiratore di ogni suo pensiero e di ogni sua attività. Da qui scaturiscono i suoi incessanti richiami alla vigilanza e all’impegno nelle buone opere.

Il testo forse più organico di Gregorio Magno è la Regola pastorale, scritta nei primi anni di Pontificato. In essa Gregorio si propone di tratteggiare la figura del Vescovo ideale, maestro e guida del suo gregge. A tal fine egli illustra la gravità dell’ufficio di pastore della Chiesa e i doveri che esso comporta: pertanto, quelli che a tale compito non sono stati chiamati non lo ricerchino con superficialità, quelli invece che l’avessero assunto senza la debita riflessione sentano nascere nell’animo una doverosa trepidazione. Riprendendo un tema prediletto, egli afferma che il Vescovo è innanzitutto il "predicatore” per eccellenza; come tale egli deve essere innanzitutto di esempio agli altri, così che il suo comportamento possa costituire un punto di riferimento per tutti. Un’efficace azione pastorale richiede poi che egli conosca i destinatari e adatti i suoi interventi alla situazione di ognuno: Gregorio si sofferma ad illustrare le varie categorie di fedeli con acute e puntuali annotazioni, che possono giustificare la valutazione di chi ha visto in quest’opera anche un trattato di psicologia. Da qui si capisce che egli conosceva realmente il suo gregge e parlava di tutto con la gente del suo tempo e della sua città.

Il grande Pontefice, tuttavia, insiste sul dovere che il Pastore ha di riconoscere ogni giorno la propria miseria, in modo che l’orgoglio non renda vano, dinanzi agli occhi del Giudice supremo, il bene compiuto. Per questo il capitolo finale della Regola è dedicato all’umiltà: "Quando ci si compiace di aver raggiunto molte virtù è bene riflettere sulle proprie insufficienze ed umiliarsi: invece di considerare il bene compiuto, bisogna considerare quello che si è trascurato di compiere”. Tutte queste preziose indicazioni dimostrano l’altissimo concetto che san Gregorio ha della cura delle anime, da lui definita "ars artium”, l’arte delle arti. La Regola ebbe grande fortuna al punto che, cosa piuttosto rara, fu ben presto tradotta in greco e in anglosassone. 

Significativa è pure l’altra opera, i Dialoghi, in cui all’amico e diacono Pietro, convinto che i costumi fossero ormai così corrotti da non consentire il sorgere di santi come nei tempi passati, Gregorio dimostra il contrario: la santità è sempre possibile, anche in tempi difficili. Egli lo prova narrando la vita di persone contemporanee o scomparse da poco, che ben potevano essere qualificate sante, anche se non canonizzate. La narrazione è accompagnata da riflessioni teologiche e mistiche che fanno del libro un testo agiografico singolare, capace di affascinare intere generazioni di lettori. La materia è attinta alle tradizioni vive del popolo ed ha lo scopo di edificare e formare, attirando l’attenzione di chi legge su una serie di questioni quali il senso del miracolo, l’interpretazione della Scrittura, l’immortalità dell’anima, l’esistenza dell’inferno, la rappresentazione dell’aldilà, temi tutti che abbisognavano di opportuni chiarimenti. Il libro II è interamente dedicato alla figura di Benedetto da Norcia ed è l’unica testimonianza antica sulla vita del santo monaco, la cui bellezza spirituale appare nel testo in tutta evidenza.

Nel disegno teologico che Gregorio sviluppa attraverso le sue opere, passato, presente e futuro vengono relativizzati. Ciò che per lui conta più di tutto è l’arco intero della storia salvifica, che continua a dipanarsi tra gli oscuri meandri del tempo. In questa prospettiva è significativo che egli inserisca l’annunzio della conversione degli Angli nel bel mezzo del Commento morale a Giobbe: ai suoi occhi l’evento costituiva un avanzamento del Regno di Dio di cui tratta la Scrittura; poteva quindi a buona ragione essere menzionato nel commento ad un libro sacro. Secondo lui le guide delle comunità cristiane devono impegnarsi a rileggere gli eventi alla luce della Parola di Dio: in questo senso il grande Pontefice sente il dovere di orientare pastori e fedeli nell’itinerario spirituale di una lectio divina illuminata e concreta, collocata nel contesto della propria vita.

Prima di concludere è doveroso spendere una parola sulle relazioni che Papa Gregorio coltivò con i Patriarchi di Antiochia, di Alessandria e della stessa Costantinopoli. Si preoccupò sempre di riconoscerne e rispettarne i diritti, guardandosi da ogni interferenza che ne limitasse la legittima autonomia. Se tuttavia san Gregorio, nel contesto della sua situazione storica, si oppose al titolo di "ecumenico” assunto da parte del Patriarca di Costantinopoli, non lo fece per limitare o negare la sua legittima autorità, ma perché egli era preoccupato dell’unità fraterna della Chiesa universale. Lo fece soprattutto per la sua profonda convinzione che l’umiltà dovrebbe essere la virtù fondamentale di ogni Vescovo, ancora più di un Patriarca. Gregorio era rimasto semplice monaco nel suo cuore e perciò era decisamente contrario ai grandi titoli. Egli voleva essere - è questa la sua espressione - servus servorum Dei. Questa parola da lui coniata non era nella sua bocca una pia formula, ma la vera manifestazione del suo modo di vivere e di agire. Egli era intimamente colpito dall’umiltà di Dio, che in Cristo si è fatto nostro servo, ci ha lavato e ci lava i piedi sporchi. Pertanto egli era convinto che soprattutto un Vescovo dovrebbe imitare questa umiltà di Dio e così seguire Cristo. Il suo desiderio veramente era di vivere da monaco in permanente colloquio con la Parola di Dio, ma per amore di Dio seppe farsi servitore di tutti in un tempo pieno di tribolazioni e di sofferenze; seppe farsi "servo dei servi”. Proprio perché fu questo, egli è grande e mostra anche a noi la misura della vera grandezza.


Registrata ufficialmente la chiesa di Satana

Nella provincia ucraina di Cerkassy è stata ufficialmente registrata, come comunità religiosa, l'associazione dei credenti nel diavolo.


La comunità si chiama "Bozhici” (Satanisti). Il leader degli idolatri del diavolo si chiama Serghei Neboga (Non-Dio).
È la prima e, per il momento, l’unica comunità dei satanisti in tutta l’area post-sovietica che legalmente, in conformità con la Costituzione dell’Ucraina, professano la venerazione del diavolo.
Sul sito ufficiale è stato comunicato che la notte di Valpurga, tra il 30 aprile e il 1 maggio scorso, è stata posta la prima pietra come fondamenta del Tempio di forze oscure a ridosso del Bosco Nero, luogo malfamato secondo la superstizione locale. Il Bosco Nero a volte viene chiamato Bosco del Diavolo.
Il libro di culto è stato scritto dallo stesso Neboga e s’intitola "Prassi segreta della magia nera dei popoli slavi”. Secondo l’affermazione del fondatore della chiesa del Satana la sua comunità "è un’associazione degli stregoni e delle streghe che praticano l'idolatria del diavolo”.
Neboga fa anche servizi a pagamento: diagnostica problemi e l’impatto delle forze oscure. Per risolvere "il problema” chiede la modica somma di 100 dollari. La garanzia della diagnostica corretta è del 99%.
Tra i riti offerti agli adepti ci sono messe nere, nozze nere e perfino la cancellazione del battesimo.
Secondo l’autorevole studioso e ricercatore ucraino Vladimir Rogatin, membro della Federation europeenne des centres de recherche et d’information sur le sectarisme (FECRIS), in Ucraina ultimamente "è stato rilevata la crescita dell’influenza e della presenza di diverse sette sataniche, oltre 100 comunità sataniche con oltre 2 mila adepti”. 

03/09/2014 fonte Rai New


Cattolici vietnamiti pregano con Papa Francesco per i cristiani in Iraq e la pace in Ucraina

di Paul N. Hung


Oltre 4mila persone alla messa celebrata per le minoranze oppresse e le vittime delle violenze perpetrate dallo Stato islamico. Sacerdote a Thái Hà: "Solo l’amore di Gesù è in grado di vincere l’odio”. L’iniziativa di preghiera è anche occasione per difendere la libertà religiosa in Vietnam e il Paese dalla minaccia "imperialista” cinese. 


Hanoi (AsiaNews) - Rispondendo all'appello lanciato da Papa Francesco, che chiede preghiere per i cristiani perseguitati in Iraq e per la pace in Ucraina, oltre 4mila fedeli della parrocchia di Thái Hà, ad Hanoi, hanno deciso di riunirsi secondo le intenzioni del Pontefice. Da domenica 31 agosto migliaia di cattolici della capitale partecipano ogni giorno a messe e veglie di preghiera, solidarizzando con le minoranze perseguitate, oppresse, vittime di abusi e massacrate dalle milizie dello Stato islamico in Medio oriente. Le immagini di violenza e terrore dei jihadisti in Iraq e Siria - persone crocifisse o decapitate per essersi rifiutate di convertirsi all'islam - hanno scosso la comunità cristiana vietnamita, la quale risponde con preghiere e celebrazioni eucaristiche che diventano occasione per rivendicare il diritto alla libertà religiosa anche in patria. 

Sui social network e in rete, anche sui siti web in lingua vietnamita, circolano senza sosta le immagini dei massacri che provengono dall'Iraq e dalla Siria. Cristiani e membri di altre minoranze uccisi a causa della loro appartenenza religiosa, per essersi rifiutati di cedere alla follia islamista, per aver scelto di "abbracciare la morte, piuttosto che rinnegare la fede".

Oltre alla pace in Ucraina (e nel mondo) e la fine delle persecuzioni in Iraq, la messa celebrata il 31 agosto dalla comunità di Thái Hà è stata occasione per rivolgere un pensiero alla nazione vietnamita, minacciata in questi ultimi tempi dalla politica imperialista di Pechino nei mari. Molti temono che la sudditanza - politica ed economica - di Hanoi verso il gigante cinese, possa trasformarsi nel tempo in una perdita sempre maggiore in tema di libertà, diritti, difesa della patria. Un pericolo reale, considerato che nei giorni scorsi il governo vietnamita ha condannato tre attivisti per compiacere il fratello maggiore comunista.  

Durante l'omelia della messa domenicale p. John Lưu Ngọc Quỳnh ha ricordato che "solo l'amore di Gesù è in grado di vincere l'odio". Egli ha inoltre aggiunto che "di fronte alle crudeltà, non siamo soli" perché possiamo beneficiare del "riparo" offerto "dalla croce di Gesù", che è morto per "sradicare l'odio" dalla terra. 

Al termine della celebrazione a Thái Hà, i sacerdoti Redentoristi di Hanoi e i 4mila fedeli presenti hanno pregato al santuario di Nostra Signora della giustizia per la pace in Iraq, in Ucraina e una vera libertà religiosa in Vietnam: "Nella storia dell'umanità, ogni tipo di dittatura e tutti i regimi atei hanno da sempre perseguito una politica di annientamento delle religioni; tuttavia, nessun potere può vincere la fede del popolo". 

03/09/2014 fonte Radio New

Il Papa: ci sono semplici vecchiette che parlano meglio dei teologi

     
di Andrea Tornielli

 
 
«Tante volte noi troviamo fra i nostri fedeli, vecchiette semplici che forse non hanno finito le elementari, ma che ti parlano delle cose meglio di un teologo, perché hanno lo Spirito di Cristo». Nell'omelia della messa a Santa Marta di questa mattina, come riferisce Radio Vaticana, Francesco è tornato a parlare dell'identità dei cristiani e della fede dei semplici. Il Papa ha spiegato che la gente era stupita dell’insegnamento di Gesù, perché la sua parola «aveva autorità» e si è soffermato sulla natura dell’autorità del Signore e di conseguenza su quella del cristiano. Gesù «non era un predicatore comune», la sua autorità gli viene dall’«unzione speciale dello Spirito Santo»: è «il Figlio di Dio unto e inviato» a «portare la salvezza, a portare la libertà». Uno stile, questo di Gesù,  che scandalizzava, ha fatto notare Bergoglio.
 
«Noi possiamo domandarci quale sia la nostra identità di cristiani? E Paolo oggi lo dice bene. "Di queste cose – dice San Paolo – noi parliamo non con parole suggerite dalla sapienza umana". La predicazione di Paolo non è perché ha fatto un corso alla Lateranense, alla Gregoriana… No, no, no! Sapienza umana, no! Bensì insegnate dallo Spirito: Paolo predicava con l’unzione dello Spirito, esprimendo cose spirituali dello Spirito in termini spirituali. Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: l’uomo da solo non può capire questo!».
 
«Se noi cristiani non capiamo bene le cose dello Spirito - ha detto ancora il Papa - non diamo e non offriamo una testimonianza, non abbiamo identità». Chi è mosso dallo Spirito, invece, «giudica ogni cosa: è libero, senza poter essere giudicato da nessuno».
 
L'identità cristiana è avere «il pensiero del Cristo e cioè lo Spirito di Cristo», ha aggiunto Francesco. «Non avere lo spirito del mondo, quel modo di pensare, quel modo di giudicare… Tu puoi avere cinque lauree in teologia, ma non avere lo Spirito di Dio! Forse tu sarai un gran teologo, ma non sei un cristiano, perché non hai lo Spirito di Dio!. Quello che dà autorità, quello che ti dà identità è lo Spirito Santo, l’unzione dello Spirito Santo».
 
Il Papa ha quindi osservato che «il popolo non amava quei predicatori, quei dottori della legge, perché parlavano davvero di teologia, ma non arrivavano al cuore, non davano libertà». Essi «non erano capaci di far in modo che il popolo trovasse la propria identità, perché non erano unti dallo Spirito Santo».
 
«L’autorità di Gesù - e l’autorità del cristiano - viene proprio da questa capacità di capire le cose dello Spirito, di parlare la lingua dello Spirito. Viene da questa unzione dello Spirito Santo. E tante volte, tante volte noi troviamo fra i nostri fedeli, vecchiette semplici che forse non hanno finito le elementari, ma che ti parlano delle cose meglio di un teologo, perché hanno lo Spirito di Cristo. Quello che ha San Paolo. E tutti noi dobbiamo chiedere questo. Signore donaci l’identità cristiana, quella che Tu avevi. Donaci il Tuo Spirito. Donaci il Tuo modo di pensare, di sentire, di parlare: cioè Signore donaci l’unzione dello Spirito Santo».
 
Già altre volte Francesco ha ricordato lo stupore di trovarsi di fronte alla profondità della fede espressa da persone semplici. Lo aveva fatto fin dall'inizio del pontificato, nel primo Angelus di domenica 17 marzo 2013, quando parlando della misericordia di Dio aveva raccontato di un incontro avvenuto nel 1992, poco dopo la sua nomina a vescovo ausiliare, in occasione di una grande messa per gli ammalati. Bergoglio stava confessando.
 
«Quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima. È venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne. Io l’ho guardata e le ho detto: "Nonna – perché da noi si dice così agli anziani: nonna – lei vuole confessarsi?”. "Sì”, mi ha detto. "Ma se lei non ha peccato …”. E lei mi ha detto: "Tutti abbiamo peccati …”. "Ma forse il Signore non li perdona …”. "Il Signore perdona tutto”, mi ha detto: sicura. "Ma come lo sa, lei, signora?”. "Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle: "Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio».

03709/2014 fonte Vatican Insider


l patriarca Raï: fermare jihadisti o si torna alla preistoria


Il cardinale libanese Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti

I patriarchi cattolici e ortodossi del Medio Oriente, riuniti in questi giorni a Bkerké, in Libano, hanno lanciato a tutto il mondo un appello a intervenire con urgenza contro la minaccia dei jhadisti del sedicente Stato Islamico. Ascoltiamo il cardinale libanese Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, al microfono di Manuella Affejee:
R. - Quello che sta succedendo per mano dello Stato islamico e di altri gruppi fondamentalisti, ci riporta alla preistoria, ci riporta al tempo in cui ancora non c’era alcuna legge. Faccio un esempio. Arriva un bel giorno lo Stato Islamico ed emette un decreto per i cristiani: o vi convertite all’Islam o pagate la tassa, perché non siete musulmani, o lasciate subito le vostre case. Avete due giorni, altrimenti … la spada. Le vostre case e le vostre proprietà sono ormai nostre! E vedere che il mondo intero osserva in silenzio assoluto, vuol dire che siamo tornati all’era della preistoria! Questo è un grande scandalo! Questa è una piaga nell’umanità. Quindi abbiamo fatto questo appello affinché la Comunità internazionale, il mondo arabo e l’Unione Europea si assumano la responsabilità di mettere fine a questi gruppi fondamentalisti per salvare la dignità stessa dell’umanità e salvare la pace nel mondo: questi gruppi minacciano il mondo intero, perché sono ricchi, sostenuti finanziariamente e con tutte le armi sofisticate date dai diversi Stati… Costituiscono una minaccia enorme! Noi abbiamo parlato fortemente alla coscienza mondiale: lo abbiamo detto; l’ho detto io stesso ai parlamentari cattolici internazionali durante l’incontro a Frascati di questi giorni; lo diremo, noi Patriarchi, a Washington, dove dal 9 all’11 settembre si terrà un convegno dal titolo "In difesa dei cristiani del Medio Oriente”.
D. – Come cristiani del Medio Oriente cosa volete dire al mondo?
R. - Vogliamo dire al mondo intero che noi cristiani del Medio Oriente non siamo una minoranza: lo statuto di minoranza non si applica ai cristiani, si applica ai gruppi etnici, ai gruppi politici, ai gruppi culturali. Noi siamo la Chiesa di Cristo presente in Medio Oriente. Quindi, non siamo una minoranza! Siamo cittadini di tutti questi Paesi del Medio Oriente da duemila anni, 600 anni prima dei musulmani. Abbiamo vissuto con i musulmani 1400 anni e abbiamo trasmesso loro i valori del Vangelo, i valori e la dignità della persona umana, la sacralità della vita umana; ma abbiamo anche ricevuto dalle tradizioni e dai valori dei musulmani: abbiamo costruito una cultura insieme, una civiltà insieme. Devo dire al mondo intero che la Siria, l’Egitto, la Giordania, la Palestina, l’Iraq sono culture cristiane, con un fondamento interamente cristiano. Non possono venire qui e demolire tutto quello che nell’arco di 2000 anni e di 1400 anni abbiamo costruito!
D. – Si parla di riforme politiche …
R. - Basta parlare di riforme politiche e di democrazia. Loro non cercano questo e lo dico chiaramente, perché ormai nessuno lo ignora: gli Stati fanno i propri interessi politici ed economici! Ormai sappiamo tutto nel dettaglio. Quindi bisogna dire la verità: questa è la Radio Vaticana che porta la voce del Papa, la voce della verità. Il mondo ha bisogno di verità! Le coscienze umane hanno bisogno di essere toccate dalla Parola del Vangelo. Bisogna che l’umanità riprenda la sua dignità e si assuma le sue responsabilità a livello internazionale e locale. Noi cristiani sopportiamo tutto con i nostri fratelli, che sono vittime in Medio Oriente, e portiamo con loro la Croce della Redenzione. E non rinunceremo!

03/09/2014 fonte Radio Vaticana


IL SANTO DEL GIORNO 25/08/2014 San Giuseppe Calasanzio sacerdote


A Peralta del Sal, in Aragona, si pensa che José de Calasanz sarà presto "canonigo”. O chissà, vescovo. E’ prete dal 1583, dopo ottimi studi, con l’aiuto dei facoltosi genitori, ed è assai stimato dai vescovi, che gli danno incarichi d’importanza: tra essi, nel 1592, quello di andare a Roma per certe pratiche con la Santa Sede. Ma è un viaggio di sola andata. Giuseppe Calasanzio (come lo chiamano a Roma) durante l’iter delle pratiche fa catechesi e assistenza nei rioni popolari, scoprendo un universo giovanile di miseria e di ignoranza, con la criminalità conseguente. Il Concilio di Trento ha fatto nascere molte scuole festive di catechismo, a cura di parrocchie e confraternite; si fa già molto, rispetto a prima. Ma in lui matura un progetto completamente nuovo: salvare i giovani realizzandoli, con l’insegnamento della fede e della morale insieme a quello delle scienze umane, in scuole quotidiane e gratuite, con programmi graduati, classi successive, esami. Non è un progetto da lui studiato: ne realizza il modello novità dopo novità, mentre insegna nella scuola fondata dal parroco di Santa Dorotea in Trastevere, e trasformata via via da lui nella prima vera scuola popolare d’Europa (1597). 
Si trova fondatore quasi senza averlo voluto, con scolari che si affollano e per i quali trova nuove sedi. Per risolvere il problema capitale degli insegnanti, con l’approvazione di papa Paolo V, fonda nel 1617 la "Congregazione Paolina dei Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie”, formata da sacerdoti ed educatori, votati alla formazione cristiana e civile dei giovani mediante la scuola. (Sono i Padri Scolopi, che nel XX secolo saranno diffusi in oltre 20 Paesi di 4 continenti). 
Nel 1622 Gregorio XV costituisce gli Scolopi in Ordine Regolare con voti solenni e riconosciuta autorità, che favorisce la loro espansione in Italia e in Europa. Una crescita forse troppo impetuosa, non esente da imperfezioni, come ogni iniziativa nuova. 
A questo punto, ecco un’esperienza terribile per il Fondatore: veder morire la sua opera. E non per mano di nemici della fede: sono uomini di Chiesa, sono anche uomini suoi, quelli che lanciano durissime accuse all’opera e a lui. Denunciato al Sant’Uffizio, spogliato della sua autorità, vede l’Ordine declassato a semplice Congregazione senza voti, abbandonata da molti dei suoi figli spirituali. Lui fa coraggio ai pochi rimasti: "L’Ordine risorgerà!". Lo ripete fino alla morte, che lo coglie a 90 anni. 
Sant’Uffizio o no, i romani lo tengono per santo e vogliono che cominci al più presto la causa canonica. E Giuseppe sarà canonizzato: nel 1767, da Clemente XIII. Un po’ tardi. Ma già da cento anni l’Ordine è risorto, come lui aveva previsto. Nel 1948, Pio XII lo proclamerà anche "Patrono davanti a Dio di tutte le scuole popolari cristiane del mondo”.


Francesco: la fede, rapporto di amore e di fiducia con Dio


Francesco all'Angelus


La Chiesa, popolo di Dio che ha con Dio un rapporto di amore e di fiducia. Ne parla Papa Francesco spiegando all’Angelus che Gesù ha voluto una Chiesa fondata "non più sulla discendenza, ma sulla fede”. E Francesco sottolinea l’immagine della comunità ecclesiale in costruzione come un edificio. Poi il saluto all’Ucraina nel giorno della festa nazionale con l’appello per la popolazione che vive "una situazione di tensione e di conflitto che non accenna a placarsi”.  Il servizio di Fausta Speranza
 
"Il nostro rapporto con Gesù, costruisce la Chiesa”. Così Papa Francesco sottolineando che "il Signore ha in mente l’immagine del costruire, l’immagine della comunità come un edificio”. Lo afferma Papa Francesco ricordando che Gesù, "quando sente la professione di fede schietta di Simone, lo chiama ‘roccia’, e manifesta l’intenzione di costruire la sua Chiesa sopra questa fede.” L’apostolo Simone  ha professato la sua fede in Gesù come ‘il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. Per la sua fede – sottolinea Francesco - e non per suoi meriti Gesù gli dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Commentando il Vangelo domenicale, Francesco sottolinea:
"Fermiamoci un momento proprio su questo punto, sul fatto che Gesù attribuisce a Simone questo nuovo nome: "Pietro”, che nella lingua di Gesù suona "Kefa”, una parola che significa "roccia”. Nella Bibbia questo termine, "roccia”, è riferito a Dio. Gesù lo attribuisce a Simone non per le sue qualità o i suoi meriti umani, ma per la sua fede genuina e salda, che gli viene dall’alto.”
Francesco afferma che "Gesù sente nel suo cuore una grande gioia, perché riconosce in Simone la mano del Padre, l’azione dello Spirito Santo. Riconosce che Dio Padre ha dato a Simone una fede "affidabile”, sulla quale Lui, Gesù, potrà costruire la sua Chiesa, cioè la sua comunità.”  
"Gesù ha in animo di dare vita alla "sua” Chiesa, Un popolo fondato non più sulla discendenza, ma sulla fede, vale a dire sul rapporto con Lui stesso, un rapporto di amore e di fiducia. E dunque per iniziare la sua Chiesa Gesù ha bisogno di trovare nei discepoli una fede solida, "affidabile”. È questo che Lui deve verificare a questo punto del cammino.”
Il riferimento all’oggi:
"Fratelli e sorelle, ciò che è avvenuto in modo unico in san Pietro, avviene anche in ogni cristiano che matura una sincera fede in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il Vangelo di oggi interpella anche ognuno di noi. Se il Signore trova nel nostro cuore una fede non dico perfetta, ma sincera, genuina, allora Lui vede anche in noi delle pietre vive con cui costruire la sua comunità, cioè tutti noi. Tutti noi.”
E Francesco aggiunge a braccio:
"Come va la tua fede? Ognuno faccia (dia) la risposta nel suo cuore, eh? Come va la tua fede? Come è? Cosa trova il Signore nei nostri cuori: un cuore saldo come la pietra o un cuore sabbioso, cioè dubbioso, diffidente, incredulo? Ci farà bene nella giornata di oggi pensare a questo.”
"Di questa comunità, - sottolinea Francesco - la pietra fondamentale è Cristo, pietra angolare e unica.” Poi c’è Pietro di cui Papa Francesco dice:
"Pietro è pietra, in quanto fondamento visibile dell’unità della Chiesa”.
Ma poi il Papa chiama in causa ogni battezzato:
"Ma ogni battezzato è chiamato ad offrire a Gesù la propria fede, povera ma sincera, perché Lui possa continuare a costruire la sua Chiesa, oggi, in ogni parte del mondo.”
"Anche ai nostri giorni – afferma Papa Francesco - «la gente» pensa che Gesù sia un grande profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia… E anche oggi Gesù domanda ai suoi discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». E dunque il Papa domanda:
"Che cosa risponderemo? Pensiamoci. Ma soprattutto preghiamo Dio Padre perché ci dia la risposta. Per intercessione della Vergine Maria preghiamolo che ci doni la grazia di rispondere, con cuore sincero: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente».”
Papa Francesco sottolinea l’importanza di quella che definisce la confessione di fede chiedendo a tutti di ripeterla con Lui tre volte.
Dopo la preghiera mariana, il pensiero "all’amata terra d’Ucraina”:
"A tutti i suoi figli e figlie, ai loro aneliti di pace e serenità, minacciati da una situazione di tensione e di conflitto che non accenna a placarsi, generando tanta sofferenza tra la popolazione civile. Affidiamo al Signore Gesù e alla Madonna l’intera Nazione e preghiamo uniti soprattutto per le vittime, le loro famiglie e quanti soffrono.”
Papa Francesco confida di aver ricevuto una lettera da un vescovo dell’Ucraina che racconta tanto dolore.
Infine i saluti a tutti i pellegrini romani e quelli provenienti da vari Paesi, in particolare i fedeli di Santiago de Compostela (Spagna), i bambini di Maipù (Cile), i giovani di Chiry-Ourscamp (Francia) e quanti partecipano all’incontro internazionale promosso dalla diocesi di Palestrina. Ai nuovi seminaristi del Pontificio Collegio Nord Americano, giunti a Roma per intraprendere gli studi teologici. Ai seicento giovani di Bergamo, che a piedi, insieme al loro Vescovo, sono giunti a Roma da Assisi. A loro dice: "Cari giovani, tornate a casa con il desiderio di testimoniare a tutti la bellezza della fede cristiana”. Il saluto ai ragazzi di Verona, Montegrotto Terme e della Valle Liona, come pure i fedeli di Giussano e Bassano del Grappa.

25/08/2014 fonte Radio Vaticana

James Foley recitava il rosario. E' stato ucciso per ciò che rappresenta, forse è un martire

di Benedetta Frigerio

Il giornalista americano James Foley, decapitato dai jihadisti, era stato prigioniero nel 2011 delle forze filo governative libiche. Detenuto a Tripoli fu liberato dopo 45 giorni di carcere, decidendo poi di scrivere una lettera per la rivista dell’università cattolica Marquette di Milwaukee, da lui frequentata. 

«COME MIA MADRE»

Nato in una famiglia cattolica di Boston, Foley raccontò: «Io e i miei colleghi fummo catturati e detenuti in un centro militare di Tripoli». Ogni giorno, spiegava il giornalista, «aumentava la preoccupazione per il fatto che le nostre mamme potessero essere in panico». E anche se «non avevo pienamente ammesso a me stesso che mia mamma fosse a conoscenza di quello che mi era successo», Foley ripeteva a una collega che «mia mamma ha una grande fede» e che «pregavo che sapesse che stavo bene. Pregavo di riuscire a comunicare con lei». Il giornalista raccontò di quando «cominciò a dire il rosario», perché «era come mia madre e mia nonna avrebbero pregato (…). Io e Clare (una collega, ndr) iniziammo a pregare ad alta voce. Mi sentivo rinfrancato nel confessare la mia debolezza e la mia speranza insieme e conversando con Dio, piuttosto che stare solo in silenzio». 

LA FORZA DEGLI AMICI

I giornalisti poi furono trasferiti in un’altra prigione dove si trovavano i prigionieri politici, «da cui fui accolto e trattato bene». Dopo 18 giorni accadde un fatto che Foley non si seppe spiegare, fu prelevato dalla cella dalle guardie e portato nell’ufficio del guardiano «dove un uomo distinto e ben vestito mi disse: "Abbiamo pensato che forse volevi chiamare la tua famiglia”. Dissi una preghiera e composi il numero». La linea funzionava e la madre del giornalista rispose: «Mamma, mamma sono io, Jim», disse il ragazzo. «Sono ancora in Libia, mamma. Mi dispiace di questo. Perdonami». La donna incredula rispose al figlio che non doveva dispiacersi e gli chiese come stava: «Le dissi che mi nutrivo, che avevo il letto migliore e che mi trattavano come un ospite». Foley aggiunse: «Ho pregato perché sapessi che stavo bene. Hai percepito le mie preghiere?». La donna rispose: «Jimmy tante persone stanno pregando per te. Tutti i tuoi amici Donnie, Michael Joyce, Dan Hanrahan, Suree, Tom Durkin, Sarah Fang che ha chiamato. Tuo fratello Michael ti vuole molto bene». Poi la guardia fece un cenno e il ragazzo dovette salutare la madre.

«LA MIA LIBERTÀ»

«Ho ripetuto la chiamata nella mia testa centinaia di volte, la voce di mia madre, i nomi dei miei amici, la sua coscienza della situazione, la sua assoluta certezza nel potere della preghiera. Mi disse che i miei amici si erano riuniti per fare tutto quello che potevano per aiutare. Sapevo di non essere solo». Infine, concluse Foley: «Nella mia ultima notte a Tripoli mi sono potuto connettere a internet dopo 44 giorni e sono riuscito ad ascoltare un discorso di Tom Durkin fatto per me (…). In una chiesa piena di amici, alunni, sacerdoti, studenti e docenti ho visto il miglior discorso che un fratello potrebbe fare per un altro (…). Era solo un assaggio degli sforzi e delle preghiere di tante persone. Se non altro, la preghiera è stato un collante che ha permesso la mia libertà, una libertà interiore prima e dopo il miracolo di essere rilasciato».

25/08/2014 fonte Il Timone

Il Papa dona 1 milione di dollari per i cristiani e le altre minoranze dell'Iraq

Il Prefetto di Propaganda Fide, card. Filoni, è rientrato dalla missione umanitaria a Erbil e ha portato con sé "un decimo della somma. Il 75% dei soldi è andato ai cattolici, il resto agli yazidi. Fino a che anche solo un cristiano vivrà in Iraq, la Chiesa sarà con lui".


Baghdad (AsiaNews) - Papa Francesco ha donato 1 milione di dollari per i cristiani e le altre minoranze religiose dell'Iraq, da settimane nel mirino dei terroristi dello Stato islamico e costretti a lasciare le proprie case per non doversi convertire all'islam. Lo ha detto il card. Fernardo Filoni, prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, inviato dal pontefice nel Paese mediorientale per esprimere la vicinanza di Francesco alle vittime di queste violenze. La somma è presa dal fondo personale del Papa, e il card. Filoni ne ha portato con sé soltanto un decimo: "Il 75% dei soldi - ha spiegato alla Catholic News Agency - è stato consegnato ai cattolici, il resto alla comunità yazida".

Il Prefetto ha visitato Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, dal 12 al 20 agosto. In quei giorni era prevista da tempo la visita pastorale di Francesco in Corea del Sud, e per il card. Filoni "l'aver inviato un rappresentante personale significa che, se avesse potuto, sarebbe andato lui di persone". La Chiesa, ha aggiunto, "non abbandonerà mai i cristiani che soffrono. Fino a che anche solo un cristiano vivrà in Iraq, noi saremo con lui. Questa è la linea di papa Francesco: come pastori, dobbiamo portare il gregge e guidarlo, ma anche camminare con lui. Dobbiamo camminare avanti per guidarlo, in mezzo per confortarlo, dietro per incoraggiarlo".

Papa Francesco ha più volte sottolineato il dramma umanitario in atto in Iraq, e ha chiesto a tutti di impegnarsi in maniera concreta per aiutare coloro che soffrono nel Paese. Seguendo questo appello, AsiaNews ha lanciato la campagna "Adotta un cristiano di Mosul", che propone ai lettori e agli amici di sostenere le necessità di coloro che sono stati costretti dalla violenza ad abbandonare case e proprietà per non convertirsi o essere ucciso. La campagna di AsiaNews propone di donare almeno 5 euro  per ogni cristiano: il fabbisogno del cibo per un giorno.

25/08/2014 fonte Asia New

Jesse, il mio figlio down ha una missione: amare le persone nel momento e nel modo in cui ne hanno bisogno»



di Benedetta Frigerio

Jim, papà di un bambino affetto da trisomia 21, ha narrato la sue esperienza: «All’inizio avevamo paura, ma ci siamo fidati e le benedizioni ricevute sono molte più delle difficoltà affrontate»
Baby boy with Down Syndrome boy being held up toward sky«Sicuramente all’inizio ci siamo spaventati per il fatto di avere un figlio diverso, non sapendo che cosa ci fosse che non andava». Jim padre di Jesse, affetto da trisomia 21, ha raccontato al sito americano LifeNews.com la sua esperienza.
La notizia «può spaventare» e «noi l’abbiamo affrontata con la preghiera e la decisione: "Ok, se Dio ci ha mandato questo figlio significa che è una benedizione”. Ed è così che lo abbiamo trattato». I momenti difficili sono stati molti ma sono imparagonabili «alla quantità di benedizioni ricevute».
UN’INTUIZIONE DIVERSA. Grazie al figlio, la famiglia di Jim è entrata in contatto con altri bambini con la medesima sindrome: «c’è una certa qualità che caratterizza i bambini Down: uno dei loro tratti è la capacità di amare, la loro tenerezza e la capacità di affezione». Ecco perché se anche «abbiamo pensato spesso: "Ok sono qui per Jesse”, non possiamo spiegare quanto invece sia lui ad essere qui per noi». Del figlio, Jim ammira sopratutto l’abilità di saper ascoltare la gente. «È dotato di una capacità intuitiva speciale, capisce di che cosa le persone hanno bisogno e come si sentono, si accorge se sono tristi o felici, con una percezione maggiore rispetto a noi».
Per il padre il piccolo Jesse ha «una missione: amare le persone nel momento e nel modo in cui ne hanno bisogno». Anche per questo «lavorare con questi bambini è un’esperienza arricchente», attraverso cui «imparare chi siamo e apprendere modi nuovi e diversi per comunicare con chi non riusciamo a capire. Questo sperimentiamo grazie a Jesse e ai bambini che tramite lui sono entrati nella nostra vita».


25/08/2014 fonte: Tempi.it

IL SANTO DEL GIORNO 18/08/2014 Sant'Elena madre di Costantino




Entrando nella basilica di San Pietro, alla base dei quattro enormi pilastri che sorreggono la cupola di Michelangelo e fanno da corona all’altare della Confessione, sotto il quale c’è la tomba dell’apostolo Pietro, si alzano maestose e magnifiche le statue di sant’Elena, raffigurata con la Croce, sant’Andrea, santa Veronica e san Longino. L’opera è stata realizzata dagli allievi di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680). Nell’iconografia orientale sant’Elena è raffigurata spesso insieme al figlio, l’Imperatore Costantino (274-337), ambedue posti ai lati della Croce e tale rappresentazione è dovuta ai due grandi meriti di cui si rivestirono madre e figlio: Elena ritrovò la vera Croce del martirio del Salvatore e Costantino diede libertà di culto ai cristiani, che per trecento anni erano stati perseguitati ed uccisi a causa della Fede.
Il nome di santa Elena (Flavia Iulia Helena) riconduce immaginariamente ad origini prestigiose, perché madre dell’Imperatore, ma la realtà è un’altra. Nacque nel 248 circa a Drepamim, in Bitinia (antica regione, che fu regno autonomo e provincia romana, situata nella parte nord-occidentale dell’Asia Minore, delimitata dalla Propontide, dal Bosforo Tracio e dal Ponto Eusino, oggi Mar Nero), città che prenderà il nome di Elenopoli per volontà di Costantino, in onore della madre. Ella discendeva da umile famiglia, secondo sant’Ambrogio (339-340-397) esercitava l’ufficio di stabularia, ovvero «ragazza addetta alle stalle» e il Vescovo di Milano la definisce anche una bona stabularia, «buona locandiera». Proprio qui conobbe il romano Costanzo Cloro (250 ca.-306), tribuno militare, che la volle sposare, nonostante lei fosse di grado sociale inferiore.
Il 27 febbraio 274 nella città di Naissus, in Serbia, nacque il figlio Costantino che Elena crebbe con amore e dedizione. Costanzo, essendosi distinto per la sua abilità militare, il 1° marzo 293, a Mediolanum, venne nominato da Massimiano (250 ca.-310) proprio Cesare, una sorta di vice-imperatore per la parte occidentale dell’Impero. Stessa decisione prese Diocleziano (244-311) con Galerio (250 ca.-311), facendo sorgere la tetrarchia, «il governo a quattro». Costanzo, per manovre di potere, ripudiò Elena e si unì in matrimonio a Teodora, figliastra di Massimiano; con queste nozze Costanzo si vide assegnate la Gallia e la Britannia. Con il ritiro di Diocleziano e Massimiano, divenne egli stesso Augusto il 1º maggio del 305, scegliendo come proprio Cesare e successore Flavio Valerio Severo (?-307). Tuttavia, alla sua morte, sopraggiunta l’anno seguente a Eboracum, durante una spedizione contro i Pitti e gli Scoti, le truppe proclamarono Augusto il figlio Costantino, che si pose l’obiettivo di riunificare l’Impero romano sotto il suo potere nel 324. Le spoglie paterne vennero cremate e portate a Treviri: i resti del mausoleo di Costanzo Cloro sono stati presumibilmente identificati nel 2003.
Elena, a causa del ripudio, tornò umilmente nell’ombra, mentre il figlio venne allevato alla corte di Diocleziano. Tuttavia il nascondimento si ruppe allorquando Costantino venne proclamato Imperatore dai suoi soldati nel 306. L’Imperatrice madre andò a risiedere prima a Treviri, poi a Roma e venne accolta con il massimo onore, ricevendo il titolo di Augusta. Costantino la ricoprì di alta dignità, dandole libero accesso al tesoro imperiale e facendo coniare delle monete con il suo nome e la sua effigie. Elena visse nella preghiera e diede prova di grande pietà e carità, moltiplicando le donazioni per l’edificazione e la vita delle chiese. Dei privilegi ricevuti mai ne abusò, anzi se ne servì per beneficiare generosamente persone di ogni ceto e addirittura intere città. Soccorreva i poveri con vesti e denaro, inoltre, grazie alla sua intercessione, salvò numerosi prigionieri condannati al carcere oppure ai lavori forzati o all’esilio.
Fu madre di splendida Fede e quanto abbia influito sul figlio per l’emanazione dell’editto di Milano del 313, che riconosceva libertà di culto al Cristianesimo, non è dato sapere; tuttavia esistono due ipotesi storiografiche: una deriva da sant’Eusebio (283 ca.-371), il quale affermava che Elena fosse stata convertita al Cristianesimo dal figlio, e l’altra da sant’Ambrogio, che sosteneva il contrario. Quest’ultima è la versione maggiormente avvalorata dai fatti, in quanto Costantino ricevette dal Vescovo Eusebio di Nicomedia (?-341) il battesimo nel 337, in punto di morte. 
Elena visse in modo esemplare la sua Fede, nell’attuare le virtù cristiane e nel praticare le buone opere; partecipava con raccoglimento e con devozione alle funzioni religiose e a volte, per confondersi con i fedeli, indossava semplici abiti. Sovente invitava i poveri a pranzo nel suo palazzo, servendoli con le proprie mani.
Mantenne un atteggiamento prudente allorquando si consumò l’oscura tragedia familiare di Costantino, il quale nel 326 fece giustiziare a Pola il figlio Crispo - nato nel 302 circa dalla prima moglie Minervina (?-307 ca.) - su istigazione della matrigna Fausta (289/290-326), sua seconda moglie, che poi fece uccidere. Crispo fu colpito da damnatio memoriae: alcuni storici antichi sostengono che Crispo e Fausta avessero una relazione, ma esiste anche l’ipotesi che Fausta avesse accusato ingiustamente Crispo di averla molestata e in seguito Costantino l’avesse punita per la falsa denuncia... Tutta questa lugubre vicenda ha lasciato una traccia archeologica: nel Duomo di Treviri sono stati rinvenuti i frammenti di un soffitto a cassettoni - i cui riquadri erano stati dipinti con la raffigurazione dei membri della famiglia imperiale - probabilmente eseguito in occasione delle nozze di Crispo nella parte del palazzo a lui destinato. Successivamente il volto del principe fu cancellato. Poco dopo il palazzo venne distrutto e al suo posto, probabilmente per volontà di Elena, fu edificata una chiesa. Forse, proprio per questi foschi episodi, che coinvolgevano il figlio, a 78 anni, nel 326, l’Imperatrice intraprese un pellegrinaggio penitenziale in Terra Santa. Qui si adoperò per la costruzione delle Basiliche della Natività a Betlemme e dell’Ascensione sul Monte degli Ulivi, che Costantino poi ornò splendidamente. Secondo lo storico bizantino Zosimo (seconda metà V secolo), fu in seguito ai rimorsi per la morte del figlio che l’Imperatore si avvicinò ancor più al Cristianesimo. 
La tradizione racconta che Elena, salita sul Golgota per purificare il sacro luogo dagli edifici pagani qui fatti costruire dai romani, scoprì la vera Croce di Cristo. E venne eseguita la prova: su di essa fu posto il cadavere di un uomo, il quale resuscitò. Questo miracolo è stato rappresentato da molti artisti, celebri sono i dipinti nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme di Roma e quelli presenti nel famoso ciclo di san Francesco ad Arezzo, firmato da Piero della Francesca (1416/1417 ca.-1492).
Alla santa madre di Costantino è anche attribuito il ritrovamento della Santa Croce e degli strumenti della Passione, i quali sono custoditi e venerati nella Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, che lei fece innalzare dopo l’eccezionale scoperta. Le sante reliquie sono: parti della Croce di Cristo, il titulus crucis (il cartiglio originario infisso sopra la Croce), la croce di uno dei due ladroni, la spugna imbevuta d’aceto, un chiodo e parte della corona di spine. Gli altri tre chiodi si trovano uno nella Corona Ferrea a Monza, uno sospeso sopra l’altare maggiore del Duomo di Milano e uno, dalla tradizione più dubbia, nel Duomo di Colle di Val d’Elsa in provincia di Siena. Inoltre, nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme si trova la cappella di Sant’Elena, il cui pavimento era stato coperto con terra proveniente dalla Terra Santa. 
Elena morì a circa 80 anni (329 ca.), assistita dal figlio, in un luogo non identificato; il suo corpo fu trasportato a Roma e sepolto sulla via Labicana ai due lauri, oggi Torpignattara, in un sarcofago di porfido, collocato in uno splendido mausoleo a forma circolare con cupola, che si può ammirare - e vale davvero la pena andarvi – presso le Catacombe di Sant’Agnese. Ma esiste anche quest’altra versione della Tradizione: sull’isola di Sant’Elena, vicino a Venezia, venne edificata nel 1028 la prima cappella dedicata alla madre di Costantino e fu affidata agli Agostiniani, che accanto costruirono anche un convento. Nel 1211 giunse a Venezia da Costantinopoli il corpo dell’Imperatrice, grazie al monaco agostiniano Aicardo e venne posto proprio in quella cappella, che, in seguito, gli Agostiniani inglobarono in una chiesa più grande. Nel XV secolo il convento e la chiesa passarono ai monaci Benedettini Olivetani. Sotto la dominazione napoleonica, nel 1810, la chiesa venne sconsacrata e l’urna fu trasportata nella basilica di San Pietro. La chiesa dell’isola di Sant’Elena fu riaperta al culto nel 1928 ed affidata all’Ordine dei Servi di Maria; negli anni successivi l’urna venne riposta nuovamente all’interno dell’edificio sacro. Forse, là dove si attesta come «salma» della santa Imperatrice, si può pensare ad essa come a delle parti del corpo, visto che era uso, nei primi secoli, scomporre le membra dei martiri e dei santi per farne reliquie e soddisfare, in tal modo, la devozione di più fedeli in diversi luoghi.
Fu da subito considerata una santa e quando i pellegrini arrivavano a Roma non omettevano di visitare anche il suo sepolcro, situato tangente al portico d’ingresso della Basilica dei Santi Marcellino e Pietro. L’imponente sarcofago fu trasportato nell’XI secolo al Laterano e oggi è conservato nei Musei Vaticani. Il culto si diffuse largamente in Oriente e in Occidente. Il monaco benedettino Usuardo (?-877 ca.) fu il primo ad inserire il nome di sant’Elena nel suo Martirologio al 18 agosto, la sua opera, molto diffusa nel Medioevo, servì poi di base al Martirologium Romanum, redatto sotto il pontificato di Gregorio XIII (1502-1585).
Nell’841-842 le reliquie sarebbero state trasferite dal monaco Teugiso da Roma all’abbazia di Hatvilliers, presso Reims. Oggi tre chiese si fregiano dell’onore di custodire le reliquie della santa Imperatrice: la basilica dell’Ara Coeli a Roma; l’antica chiesa abbaziale di Hautvilliers e la chiesa di Saint-Leu-Saint-Gilles a Parigi, dove  i Cavalieri del Santo Sepolcro avevano stabilito la sede delle loro riunioni.
Sant’Elena è la santa patrona di Pesaro ed Ascoli Piceno e viene venerata con culto speciale anche in Germania, a Colonia, Treviri, Bonn e in Francia ad Elne, che in origine si chiamava Castrum Helenae. È considerata la protettrice dei fabbricanti di chiodi e di aghi ed è invocata da chi cerca gli oggetti smarriti. In Russia si semina il lino nel giorno della sua festa, affinché cresca lungo, si dice, come i suoi capelli.


Papa: ai giovani dell'Asia, non abbiate paura di portare la fede nella società, svegliatevi!

La grande messa conclusiva della VI Giornata asiatica della Gioventù è l'occasione per Francesco di "scuotere" i ragazzi del continente: "Non dormite, avete con voi la consolazione dei martiri che hanno vinto sulla morte ma anche la responsabilità di portare Cristo sulla grande frontiera dell'Asia. Non siete soltanto una parte del futuro della Chiesa: siete anche una parte necessaria e amata del presente della Chiesa!". La prossima Giornata asiatica della gioventù, nel 2017, sarà in Indonesia. 


Daejeon (AsiaNews) - "Svegliatevi! Non dormite, svegliatevi!". È il forte invito rivolto da papa Francesco ai circa 10mila giovani riuniti nel castello di Haemi, santuario dedicato ai martiri coreani, in occasione della messa conclusiva della VI Giornata asiatica della Gioventù. "Giovani dell'Asia - ha detto il Papa - voi siete eredi di una grande testimonianza, di una preziosa confessione di fede in Cristo. E' Lui la luce del mondo, Lui la luce della nostra vita! I martiri della Corea, e innumerevoli altri in tutta l'Asia, hanno consegnato i propri corpi ai persecutori; a noi invece hanno consegnato una testimonianza perenne del fatto che la luce della verità di Cristo scaccia ogni tenebra e l'amore di Cristo trionfa glorioso".

Sull'altare insieme al pontefice vi sono i presuli di tanti Paesi del continente, riuniti per questo grande e festoso momento per la Chiesa asiatica. Concelebrano insieme a Francesco il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e il presidente della Federazione delle Conferenze asiatiche, l'arcivescovo di Mumbai card. Oswald Gracias.

La "consolazione" della testimonianza dei martiri, che assicurano la vittoria della vita sulla morte, non è però l'unico tema di questa occasione: "L'altra parte del tema della Giornata - «Gioventù dell'Asia, alzati!» - vi parla di un compito, di una responsabilità". Il continente asiatico, dice il Papa, è imbevuto di ricche tradizioni filosofiche e religiose e "rimane una grande frontiera per la vostra testimonianza a Cristo, 'via, verità e vita'. Quali giovani che non soltanto vivete in Asia, ma siete figli e figlie di questo grande continente, avete il diritto e il compito di prendere parte pienamente alla vita delle vostre società. Non abbiate paura di portare la sapienza della fede in ogni ambito della vita sociale!"

Ma il richiamo ai giovani non è solo una cambiale in bianco, una speranza: "Voi non siete soltanto una parte del futuro della Chiesa: siete anche una parte necessaria e amata del presente della Chiesa!". Ma è nel momento in cui il Papa riflette con i presenti sulla terza parte del tema della Giornata che abbandona il discorso: "Wake up - dice Francesco, che aggiunge a braccio e in inglese - Don't sleep, wake up! [Non dormite, svegliatevi ndr]. E' il dovere di essere vigilanti per non lasciare che le pressioni, le tentazioni e i nostri peccati o quelli di altri intorpidiscano la nostra sensibilità per la bellezza della santità, per la gioia del Vangelo. Nessuno, se è addormentato, può cantare, danzare, rallegrarsi".

"Cari giovani dell'Asia - conclude - vi auguro che, uniti a Cristo e alla Chiesa, possiate camminare su questa strada che certamente vi riempirà di gioia. Ed ora, mentre ci accostiamo alla mensa dell'Eucaristia, rivolgiamoci a Maria nostra Madre, che diede al mondo Gesù. Sì, Madre nostra Maria, noi desideriamo ricevere Gesù; nel tuo materno affetto, aiutaci a portarlo agli altri, a servirlo con fedeltà, e ad onorarlo in ogni tempo ed in ogni luogo, in questo Paese e in tutta l'Asia". 

Dopo la conclusione della messa si sono susseguiti i discorsi di ringraziamento al Papa da parte del presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Pietro Kang U-il e dell'arcivescovo di Mumbai card. Gracias, che ha annunciato la prossima Giornata asiatica della Gioventù per il 2017 in Indonesia.

 18/08/2014 fonte Asia New

Le persecuzioni contro i cristiani dell’Iraq sono arrivate all’improvviso, come la morte
 
Il racconto di don Georges Jahola
di Matteo Rigamonti


All’incontro a Milano con i rappresentanti delle tre maggiori religioni, ha parlato il sacerdote della chiesa siro-cattolica nella diocesi di Mosul
don-georges-jahola-bis«L’identità di un popolo si rafforza e si radica quando è legata a un pezzo di terra. Un diritto oggi negato alle comunità cristiane perseguitate in Iraq, sia da parte degli attori delle violenze sia da parte di chi, in tutto il mondo ma soprattutto nel mio Paese, sta in silenzio di fronte a quanto accade». Lo ha detto don Georges Jahola, sacerdote della chiesa siro-cattolica nella diocesi di Mosul, nato a Qaraqosh (Niniveh), ora in Italia, in occasione di un incontro giovedì 14 agosto presso la Sala delle Colonne del Duomo. L’appuntamento è stato organizzato dalla Scuola della Cattedrale di Milano e dal Tribunale  Rabbinico del Centro Nord Italia.
UNA PRESENZA MILLENARIA. «La situazione – ha esordito Jahola – è drammatica in tutti i sensi: i cristiani, che dieci anni fa erano un milione, ora sono 300 mila». E di questi già 100 mila sono stati costretti a lasciare il Paese a causa della persecuzione perpetrata dalle milizie jihadiste dell’Isil, acronomio di Stato islamico dell’Iraq e dell Levante. «Stiamo parlando di una presenza che risale al primo secolo, di un popolo che custodisce la lingua parlata da Gesù, l’aramaico, forse purtroppo destinato a sparire, di seminatori di pace e civilizzazione che hanno dato un importante contributo in campo medico, scientifico e filosofico, facendo affidamento su una sola arma: la testimonianza della loro fede». Le persecuzioni, però, ha proseguito Jahola, «sono arrivate in città all’improvviso, come la morte, così che siamo stati costretti dall’oggi al domani a voltare le spalle alla nostra terra, alle nostre case e alle nostre chiese. Ed è quello che è accaduto anche ad altre minoranze». Come quella degli Yazidi, costretti a ripararsi sui monti.
incontro-cristiani-iraq«CHI ACCOGLIERÀ IL MIO POPOLO?» Don Georges Jahola ha parlato di una vera e propria «deportazione», di un «piano occulto e concordato a tavolino per la spartizione delle ricchezze delle città assediate; una grande perdita per tutti gli uomini», cristiani e non. Nelle mani dei miliziani, infatti, sono finite «chiese, monasteri, importanti luoghi di culto come la moschea di Giona e manoscritti che corrono il rischio di essere bruciati». È «un triste sentimento» lo stato d’animo di Jahola, che ha raccontato di aver perso anche i paramenti della sua prima messa: «Non sappiamo che cosa accadrà; per ora dalle autorità sono state pronunciate molte parole, ma di fatti no». E ha aggiunto, prima di congedarsi cantando il padre nostro in aramaico, «quali governi accoglieranno il nostro popolo? Il mio è un appello per alzare la voce a favore di tutti gli innocenti cristiani e di altre minoranza perseguitati in Iraq. L’Unicef ha stabilito che molti siti e città sono patrimonio dell’umanità, perché non lo fa con i cristiani della piana di Niniveh?».
pisapia-incontro-cristiani-iraqIL MEDIO ORIENTE COLLASSA. L’incontro, a cui ha assistito anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia con consorte, ha visto, poi, gli interventi di rappresentanti della comunità ebraica e di quella musulmana in Italia. Dopo che Mahmoud Asfa, presidente del consiglio direttivo della Casa della cultura islamica di Milano, ha «condannato da musulmano qualsiasi tipo di violenza e persecuzione in particolare quelle in Iraq», David Meghnagi, docente di Psicologia clinica presso l’Università Roma Tre, ha fatto una precisazione. Ricordando che è importante «evitare quello che in psicologia si chiama diniego interpretativo. Che avviene quando si riconosce un fatto», in questo caso le persecuzioni contro i cristiani, «ma lo si svuota di significato o lo si inserisce in un buco nero dove tutto è indifferenziato». La crisi del Medio Oriente, infatti, è grave, secondo Meghnagi, perché coinvolge già tutto il «bacino del mediterraneo», con il rischio che «la presenza dell’Isis, dopo la Siria, arrivi fino in Libano» e che «le tensioni si estendano anche a tutto il continente europeo». «Dopo quanto accaduto in Iraq – ha concluso –, ma anche in Pakistan, Somalia e Nigeria, rischiamo di andare incontro a un collasso sistemico. Sono problemi seri e concreti».
PREGHIERA E RACCOLTA FONDI. La Chiesa di Milano, per decisione del suo arcivescovo Angelo Scola, intanto, ha promosso, oltre alla Giornata di preghiera per i cristiani vittime di persecuzione indetta, a livello nazionale dalla Cei, anche una raccolta fondi per aiutare i profughi della fede cristiana e della minoranza etnica degli Yazidi che verrà gestita dalla Caritas ambrosiana. I soldi così raccolti saranno inviati direttamente a Caritas Iraq che già sta assistendo nel Paese circa un milione e mezzo di profughi.


18/08/2014 fonte: Tempi.it

Parla Ulf Ekman, il leader pentecostale convertito: " l chiesa fondata da Gesù è quella cattolica"

Parla Ulf Ekman, il leader pentecostale convertito: «La Chiesa fondata da Gesù è quella cattolica»
«La convinzione della necessità di diventare cattolici è cresciuta lentamente, la decisione di compiere questo passo è arrivata piuttosto alla fine».  A parlare è Ulf Ekman, il pastore pentecostale svedese che lo scorso marzo ha annunciato la sua conversione al cattolicesimo insieme alla moglie Brigitte. Una notizia dirompente perché Ekman, 64 anni,  è stato – come ha detto di lui Stefan Gustavsson, segretario generale dell'Alleanza evangelica svedese – «il leader cristiano più dinamico e influente che abbiamo avuto in Svezia durante l'ultimo mezzo secolo». E una figura di grande prestigio in tutto il mondo pentecostale. La comunità che ha fondato, Livets Ord, o Word of Life in inglese, Parola di Vita, conta una scuola frequentata da un migliaio di alunni, diversi missionari attivi specialmente in Russia, Kazakistan e altre regioni ex sovietiche, nonché una Ong caritativa attiva in India. Ha dato vita alla più grande scuola di studi biblici dell’intera Penisola scandinava, i suoi libri sono tradotti in 60 lingue e i suoi sermoni televisivi hanno varcato i confini europei.

Passata la buriana mediatica, Ekman negli scorsi giorni ha scritto una testimonianza sulla sua vicenda per il settimanale britannico Catholic Herald, in cui si legge:

«…abbiamo incontrato anche persone con un approccio curioso, alquanto postmoderno alla questione [della conversione sua e della moglie ndr]. Erano pronti ad accettare che Dio potesse chiamarci alla Chiesa cattolica, di cui però non potevano accettare la dottrina. Un predicatore l’ha detto in questo modo: "Ok, siete diventati cattolici, ma non crederete certo a quello che credono loro, no?”. Parlavano come se veramente potessi scegliere tra quello che prendevo. Quando rispondevo che credevo in tutto ciò che la Chiesa cattolica crede e insegna, sembrava veramente strano a molti dei miei amici protestanti. Era difficile per loro capire che essere cattolici significa credere come cattolici.

Per noi la verità è stata l'elemento decisivo. Abbiamo sempre creduto nella Parola di Dio e che c’è una verità assoluta, rivelata da Dio. Via via abbiamo capito sempre meglio come c’è anche una Chiesa concreta, storica, fondata da Gesù Cristo e un tesoro, un deposito di fede oggettiva e viva. Questo ci ha attratto verso il cattolicesimo. Una volta arrivati a credere che la pienezza della verità  è conservata e custodita nella Chiesa cattolica, non avevamo altra scelta che unirci pienamente a questa Chiesa.

Quando finalmente è giunto il tempo di essere ricevuti nella Chiesa ci siamo sentiti più che pronti, ansiosi di lasciare una terra di nessuno. E’ stato come diventare finalmente ciò che eravamo. Alla fine il desiderio di ricevere la grazia sacramentale è stato soddisfatto.

Abbiamo provato a spiegare ai nostri amici che non rigettiamo quello che Dio ci ha dato nel mondo evangelico e carismatico, ma che "evangelico non è abbastanza” [titolo del libro di un altro famoso convertito, Thomas Howard ndr]. Non è sbagliato nel suo amore per la Scrittura e per le verità fondamentali del Vangelo, nella sua forza di evangelizzazione. Tutto questo è importante, ma non è sufficiente. La vita carismatica, con la sua enfasi sulla forza e la guida dello Spirito Santo, è necessaria ed è un dono meraviglioso. Ma non può essere vissuta nella sua pienezza in un contesto scismatico e oltremodo individualista. Il capire questo ci ha aperto alla comprensione della necessità della Chiesa in tutta la sua pienezza, con la sua ricca vita sacramentale. 

Non rinneghiamo il nostro trascorso e le ricche esperienze che abbiamo avuto lungo molti anni, come fondatori e guide della Parola di Vita. Siamo per sempre grati al Signore per quanto ha fatto. Ma siamo immensamente felici e grati per aver compreso che abbiamo veramente bisogno della Chiesa cattolica nella nostra vita e nel nostro servizio al Signore, che continuano. 

Ora iniziamo un cammino in cui c’è molto da esplorare. Ora che non ci sono più le responsabilità, i doveri e gli obblighi di prima, possiamo, almeno per il momento, vivere a un ritmo che ci permette una vita più riflessiva. Siamo stati abituati a reggere il nostro ministero e la nostra Chiesa. Ora è la Chiesa ci solleva. I sacramenti sono diventati una realtà tangibile nella nostra vita e ci sostengono in modo concreto. Qualcosa – la grazia, ne sono certo – è presente come non lo è mai stato prima. Una fresca brezza sta soffiando nelle nostre vite. Non vediamo l’ora di esplorare e di identificarci pienamente con tutto ciò di cui ora siamo parte. È veramente emozionante vivere pienamente per Gesù Cristo, nella Chiesa cattolica».  

18/08/2014 fonte Il Timone

La libertà di Maria contro la cultura della morte

di Massimo Introvigne

Il 15 agosto 2014 Papa Francesco ha continuato la sua visita in Corea del Sud, affrontando i problemi di una società opulenta ma disperata, da anni studiata dai sociologi per il suo tasso di suicidi che è di gran lunga il più elevato del mondo: 31,7 suicidi ogni centomila abitanti, oltre sei volte di più dell'Italia, dove il tasso è 6,3. La Corea del Sud conferma che non ci si suicida per povertà - i Paesi più poveri hanno di solito un tasso di suicidi molto basso - ma per disperazione. Quello della disperazione e del suicidio è un tema tabù, o riservato agli addetti ai lavori. Non se ne parla volentieri, perché si dovrebbe ammettere che una società ricca e secolarizzata è una società senza speranza. Papa Francesco ne ha parlato apertamente, collegando la disperazione a una «cultura della morte» che, in vari modi, oggi attacca la vita.

La giornata del Papa si è aperta con la celebrazione della Messa per l'Assunzione di Maria nello stadio della città di Daejon, che agli italiani evoca brutti ricordi: proprio qui l'arbitro Byron Moreno ci buttò fuori dal mondiale di calcio del 2002, favorendo scandalosamente la Corea padrona di casa.

Ai fedeli coreani e a tutta la Chiesa il Papa ha ricordato che la Madonna è stata veramente assunta «in corpo e anima nella gloria del Paradiso» - non si tratta di un semplice simbolo - e che questo evento ci riguarda. Mostra «il nostro destino», indica che anche noi «siamo chiamati a partecipare pienamente alla vittoria del Signore sul peccato e sulla morte e a regnare con Lui nel suo Regno eterno».

La festa dell'Assunta, che i cattolici coreani da anni celebrano «alla luce della loro esperienza storica, riconoscendo l’amorevole intercessione di Maria operante nella storia della nazione e nella vita del popolo», è una festa di libertà. La Madonna ci fa vedere che «la vera libertà si trova nell’accoglienza amorosa della volontà del Padre. Da Maria, piena di grazia, impariamo che la libertà cristiana è qualcosa di più della semplice liberazione dal peccato. È la libertà che apre ad un nuovo modo spirituale di considerare le realtà terrene, la libertà di amare Dio e i fratelli e le sorelle con un cuore puro e di vivere nella gioiosa speranza della venuta del Regno di Cristo».

La libertà cristiana è la capacità di vedere tutte le cose in modo nuovo, riferendole a Dio, e non rimane un puro stato d'animo: spinge a «trasformare il mondo secondo il piano di Dio». Oggi questa trasformazione richiede cristiani che «combattano il fascino di un materialismo che soffoca gli autentici valori spirituali e culturali» e sappiano rifiutare sia «modelli economici disumani che creano nuove forme di povertà» sia «la cultura della morte che svaluta l’immagine di Dio, il Dio della vita, e viola la dignità di ogni uomo, donna e bambino». Questo invito è rivolto ai cattolici della ricca Corea, che ha però uno dei più bassi tassi di natalità del mondo - riesce a fare peggio solo l'Italia -, la già citata percentuale record mondiale di suicidi e una discussione in corso promossa da lobby che vorrebbero allargare le maglie della legge sull'aborto, teoricamente restrittiva ma in pratica ben poco rispettata.

Maria però «ci mostra che la nostra speranza è reale»: «la speranza offerta dal Vangelo, è l’antidoto contro lo spirito di disperazione che sembra crescere come un cancro in mezzo alla società che è esteriormente ricca, ma tuttavia spesso sperimenta interiore amarezza e vuoto». «A quanti nostri giovani tale disperazione ha fatto pagare il suo tributo!», ha esclamato il Papa alludendo a un dramma nel dramma del suicidio, l'epidemia coreana di suicidi giovanili. Ma Maria, ha detto, libera dalla disperazione e offre «la grazia di essere gioiosi nella libertà dei figli di Dio», e «di usare tale libertà in modo saggio».

L'appello alla libertà è stato consegnato dal Papa in particolare ai giovani della Giornata della gioventù asiatica, che Francesco ha incontrato presso il Santuario di Solmoe, rispondendo alle loro domande. A una ragazza cambogiana che ricordava i martiri trucidati dal regime comunista di Pol Pot (1925-1998) il Pontefice ha promesso un personale interessamento per la loro beatificazione. A un'altra ragazza incerta fra vita di famiglia e vocazione religiosa, ha detto che non è lei che deve scegliere: il Signore «ha già scelto» e si tratta di ascoltare la sua voce.

Il Papa non ha eluso la domanda più attesa e delicata: che cosa possono fare i giovani coreani del Sud per i loro coetanei che vivono sotto il duro totalitarismo comunista della Corea del Nord. «Prima di tutto - ha detto Papa Francesco - il consiglio: pregare; pregare per i nostri fratelli del Nord». «Ci sono tante speranze - ha aggiunto il Pontefice -, ma ce n'è una bella: la Corea è una, è una famiglia. Ma, voi parlate la stessa lingua, la lingua di famiglia; voi siete fratelli che parlate la stessa lingua [...], Pensate ai vostri fratelli del Nord: loro parlano la stessa lingua e quando in famiglia si parla la stessa lingua, c’è anche una speranza umana».

Insieme all'invito alla preghiera, il Papa non ha fatto mancare quello alla confessione, così tipico del suo pontificato: «Nessuno di noi sa cosa ci aspetta nella vita. E voi giovani: ‘Ma, cosa mi aspetta?’. Noi possiamo fare cose brutte, bruttissime, ma per favore non disperare, sempre c’è il Padre che ci aspetta! Tornare! Tornare! Quella è la parola. Come back! Tornare a casa, perché mi aspetta il Padre. E se io sono molto peccatore, farà una grande festa». La confessione apre percorsi di libertà: quelli di cui è modello Maria, e che sono l'unico antidoto realistico alla cultura della morte, della disperazione e del suicidio.

18/08/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

 


IL SANTO DEL GIORNO 10/08/2014 San Lorenzo diacono e martire



Forse da ragazzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.

Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare "i tesori della Chiesa”.
Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi".
Allora viene messo a morte. E un’antica "passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: "Bruciato sopra una graticola": un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.


Fuga dei cristiani in Iraq. Che ne sarà di questo Paese?
di Antonella Palermo

Sono circa 15mila, solo negli ultimi due giorni, i profughi che, in prevalenza da Qaraqosh, si sono riversati nella città di Erbil e nei villaggi limitrofi a nord del paese, a seguito della avanzata dell'Isis. "Una intera enclave cristiana sta facendo il possibile per accoglierli - riferisce ai nostri microfoni Marco Labruna, capo missione di Un ponte per.. a Erbil - ma non è facile trovare posto per tutti. Intanto vengono ospitati in alcune scuole, nelle chiese, o semplicemente si accampano nelle piazze e nei parchi pubblici".
"Noi provvediamo a distribuire cibo e acqua e beni di prima necessità - riprende Labruna - per sopravvivere a temperature altissime, ma la fuga di queste proporzioni mette a dura prova la capacità di risposta locale". 
Il giornalista iracheno Latif Al Saadi commenta gli attacchi americani mirati sull'Iraq, con l'intenzione - come ha dichiarato Obama - di scongiurare un potenziale genocidio, fermare i terroristi dell'Isis e proteggere i civili. "L'intervento Usa è in ritando - denuncia - e io mi auguro che non sarà militare. E' necessario che la soluzione a questo terrore, soluzione politica e democratica, giunga dalla popolazione irachena, dal di dentro. Purtroppo questo governo non è l'espressione della realtà fortemente composita del paese, mancando la quale, non esiste Iraq. Senza le minoranze religiose, noi non esistiamo".

10/08/2014 fonte Radio Vaticana




Il card. Filoni inviato dal Papa in Iraq: porterò la solidarietà di tutta la Chiesa
Alla luce della grave situazione in Iraq, il Santo Padre ha nominato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, suo Inviato Personale per esprimere la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa. Ascoltiamo il cardinale Filoni al microfono di Sergio Centofanti:


R. – Certamente è un gesto di fiducia del Santo Padre nei miei confronti, ma più ancora direi è un gesto che manifesta la sollecitudine del Papa verso la situazione di questi cristiani, che in questo momento sono in sofferenza: quella di aver lasciato la casa e di vedere tutte le loro radici tagliate, di essere stati anche umiliati, lasciando le loro case così come erano e cercando rifugio altrove. Quindi questa sollecitudine del Papa mi pare la cosa più importante e spero, da questo punto di vista, di poter venire incontro alle esigenze di tanta gente e non solo manifestando questo aspetto proprio della sollecitudine del Papa, ma anche cercando di vedere con il Patriarcato cosa noi possiamo fare come Chiesa universale.
D. – Sarà sicuramente un viaggio difficile e delicato: c’è già qualche idea per l’organizzazione?
R. – Stiamo cercando in questo momento di organizzare, anche perché non è facile raggiungere il posto… Ma non bisogna spaventarsi più di tanto. Indubbiamente non mancheranno anche tutti gli elementi per poter fare un viaggio e vedere in che modo poter essere vicini a questa gente per qualche tempo.
D. – Il Patriarca caldeo Sako ha parlato di rischio di genocidio…
R. – Il Patriarca Sako è sul posto e quindi conosce molto bene tanti aspetti che purtroppo a noi possono sfuggire. Il popolo cristiano di questa area non è purtroppo la prima volta che si vede costretto a migrazioni e anche a sofferenze indicibile. Questo era già cominciato quasi un secolo fa e si è ripetuto poi più volte durante la storia di questi ultimi 90 anni della vita dell’Iraq, quando il territorio passò da Impero Ottomano a diventare uno Stato indipendente come tutti gli altri Paesi della regione. Quindi è una popolazione che porta ancora dentro di sé tante sofferenze e comprendo anche l’espressione del Patriarca.
D. – Lei si sente di lanciare un appello alle popolazioni che andrà a trovare?
R. – Io prima di tutto cercherò di portare la solidarietà e la vicinanza nella preghiera, anche fattivamente. Sono convinto che anche il Santo Padre mi dirà poi più esattamente quello che lui desidera far presente a questa popolazione, che è cara al cuore del Papa, ma anche a tutta la Chiesa.

10/08/2014 fonte Radio Vaticana

Arriva la volante (rossa) a cacciare gli obiettori
di Lorenzo Bertocchi

L'ultima novità viene dall'Argentina, ad esser precisi da Buenos Aires. Si tratta della squadra mobile anti obiettori di coscienza, una specie di volante per il pronto intervento dell'aborto legale. La pensata è del dott. Alexander Collie, ministro della salute della Provincia, che ha detto di voler contribuire a rimuovere gli ostacoli all'accesso dei servizi sanitari. «Se tutti i medici di un ospedale provinciale faranno obiezione di coscienza – dice il ministro – cioè se si rifiutano di effettuare un aborto legale, ci penserà la squadra mobile», che si preoccuperà di praticare aborti a donne fino a 12 settimane di gestazione.

L'Arcivescovo di La Plata non ha fatto passare molto tempo per dire la sua su questa trovata più degna di un fumetto che non della realtà. Mons. Hector Aguer ha sottolineato che il diritto "democratico e umano” all'obiezione di coscienza non può essere considerato un "ostacolo”, né si può considerare "attenzione alla salute” un'azione che è diretta ad eliminare una vita umana. Con ciò ha ribadito la dottrina della Chiesa che è quella per cui «l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque sia eseguita, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita». Per questo, ha sottolineato l'Arcivescovo, «tutti i diritti devono essere rispettati», ma non esiste nessun diritto all'aborto. Semmai c'è il diritto a dissentire – conclude - da «leggi inique, cioè ingiuste, contrarie all'uguaglianza».

Il Ministro, invece, ritiene di aver trovato la strada per metter fine a tutte le controversie (ostacoli) che i medici obiettori fanno insorgere con il loro comportamento. Così ha detto annunciando la creazione di questa specie di pronto intervento mobile, annuncio che è stato dato lo scorso 4 agosto durante un corso di formazione per ostetrici e ginecologi in un Università dal nome quantomeno sinistro: La Matanza.

Per il Ministro non esiste il dilemma se dare priorità all'obiezione di coscienza o al diritto all'aborto, ritiene di chiudere definitivamente la questione con la task force "aborto volante”. Cosa resta del diritto all'obiezione di coscienza non è dato sapere.

Questa "squadra speciale aborto” potrebbe essere paragonata agli squadroni della morte che vari regimi totalitari hanno predisposto per eliminare avversari e non allineati. Con una differenza. Mentre le squadracce che hanno spalleggiato vari regimi agiscono palesemente con autoritarismo e violenza, la squadra per l'aborto volante agisce per la "salute”, anzi per il "diritto alla salute”. Un'autorità dolce, anzi compassionevole.

A questo proposito l'Arcivescovo di La Plata fa una precisa citazione di S. Giovanni XXIII, tratta dalla celebre enciclica Pacem in Terris (1963): «L’autorità è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza, poiché "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”; (At 5,29) in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso».

Nei fumetti di solito, quando ci sono ingiustizie, entra in scena l'eroe che fa il vendicatore mascherato. L'affermazione della legge naturale certamente non ha bisogno di punitori, semmai di persone che siano testimoni della bellezza della vita e della famiglia, custodi di un'autentica affettività e sessualità, capaci di piegarsi sulle sofferenze delle donne e degli uomini. Nell'emergenza, per arginare le volanti aborto, predisponiamo un reggimento di angeli accanto ai piccoli nella pancia della mamma.

10/08/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

La Messa non è finita Deo gratias

di Rino Cammilleri

Premetto che in quel che dirò non c’è alcuna vocazione polemica, perché le dispute intraecclesiali non mi appassionano. Anzi, mi infastidiscono. Sono cose di preti, nelle quali i laici, a mio avviso, meno mettono bocca e meglio è. Troppo spesso i preti si comportano come se la Chiesa fosse «cosa loro» e rispondono piccati quando li si critica. É da cinquant’anni, cioè dai tempi del Concilio, che il clero si riempie le gote del famoso «ruolo dei laici», ma poi, a conti fatti, il ruolo dei laici lo vorrebbe così: sempre in ginocchio, obbedienti e col portafogli aperto. 

Ho ormai una certa età e confesso che, quando sento parlare o leggo di dispute sul Concilio cambio canale o pagina o clicco qualcos’altro. Lo stesso dicasi per la Messa, nuovo rito, vecchio rito, rito straordinario, progressismi e tradizionalismi. Saranno gli anni, ma sono stufo da un pezzo. Quando mio nonno aveva l’età che ho io adesso e io ero un ragazzino, lui mi diceva sempre: sta’ lontano dai preti; onorali, riveriscili e salutali per strada, bacia loro la mano (allora usava) e va’ a Messa, ma non ti ci mischiare. Con sorpresa, diventato scrittore, mi accorsi che Padre Pio era dello stesso parere. Non sopportava i laici che ronzavano attorno alle tonache: allora si chiamavano «baciapile», oggi «impegnati nella pastorale». Il Santo diceva, col suo solito modo ruvido: «O dentro o fuori». Cioè: se ti piace l’ambiente entra nel clero, sennò esci di sacrestia e fai davvero il laico. 

L’esperienza è quella cosa che quando l’hai fatta è troppo tardi. Infatti, oggi so –per esperienza- che sia mio nonno (uomo religiosissimo) che Padre Pio (santo, asceta e mistico) avevano ragione. Entrambi passarono i guai loro per colpa del clero: le vicissitudini di Padre Pio sono note (rileggersi il mio libro Vita di Padre Pio, Piemme, più volte ristampato), mio nonno (che era imprenditore) uscì mezzo rovinato economicamente per essersi fidato di preti in un affare. Premesso tutto questo, vengo al dunque. 

Sono tanti anni ormai che nella mia mente la Messa domenicale è associata a un’ora di martirio di cui farei volentieri a meno. Tedio. Noia. Omelie banali e interminabili. Canzonette pop dal testo cretino. Estenuanti e retorici assilli al Padreterno terminanti con «…ascoltaci Signore». Segni di pace sudaticci. Ridicola miniprocessione per portare i «doni» all’altare. Chilometrici avvisi parrocchiali da ascoltare in piedi prima di avere la benedizione finale (dunque, abusivamente inglobati nella liturgia). Un «rendiamo grazie a Dio» che è un (mio) urlo di sollievo prima di uscire –finalmente!- a riveder le stelle. Ripeto: nessuna polemica. Trattasi solo di mie personali sensazioni. 

Ora, però, ho scoperto che nella cittadina sul Lago Maggiore in cui passo di solito l’estate c’è un prete che dice l’antica Messa. Una sola, il sabato pomeriggio. Ci sono andato, per curiosità. Già, perché quando vigeva il vecchio rito io a Messa non ci andavo proprio, perciò per me era una vera novità. Stupore: il celebrante faceva quasi tutto lui, gli astanti dovevano «rispondere» di rado. Silenzio. Il centro del tutto era il tabernacolo, non lo show del prete. Uno, in un angolo, intonava gli antichi inni in latino e –sorpresa- qualcosa mi si scioglieva dentro. Non mi accorgevo del tempo che passava, mi ritrovavo attento e concentrato come non mai, «partecipavo» davvero. Uscii ancora pervaso da un senso del sacro quale mai avevo provato prima. C’erano a disposizione dei libri per seguire la Messa, di quelli coi nastrini segnapagine rossi. Io non ci capivo granché, ma –altra sorpresa- una bengalese seduta accanto a me, colta la mia difficoltà, prese a indicarmi i passi giusti. 

Una bengalese! Il 5 agosto una lettrice romana mi ha scritto, raccontandomi della Messa a cui aveva assistito al mattino nella basilica di Santa Maria Maggiore. Ogni anno, per la ricorrenza della festa, vi si celebra solennemente in latino. Scrive la lettrice: «Mi sono trovata a cantare e a rispondere accanto a una coppia di giovani tedeschi e a due nere americane che conoscevano alla perfezione le parti della Messa in latino sia recitate che cantate; lo stesso mi capitò anni fa con dei giapponesi; è questo un modo davvero commovente di sentire e di vivere la cattolicità della Chiesa». Eggià: per «aggiornarsi» con gli anni Sessanta -del secolo scorso- la Chiesa rinunciò alla sua lingua sacra (mentre ebraismo e islamismo mantengono rigorosamente le loro). Il risultato di quello che Vittorio Messori definì in un’intervista «un golpe clericale» è che se percorro, che so, la Spagna devo assistere a Messe in catalano, castigliano, basco e via dicendo. 

Nel turista cattolico, con difficoltà avverto un fratello e la «cattolicità» di cui parlava la lettrice diventa teoria, non una sensazione palpabile. Scusate, ma siamo fatti anche di corpo. In quella chiesina sul Lago Maggiore ho visto un sacerdote che portava a Dio le preghiere del popolo che gli stava alle spalle in religioso (è il caso di dirlo) raccoglimento. Naturalmente –mi ha raccontato poi- si è inimicato il vescovo e tutti i colleghi della diocesi per via della sua ostinazione –qualificata di «lefebvriana»- a voler celebrare una (una!) Messa alla settimana secondo il motu proprio di Benedetto XVI. Tranquilli, quando finirà l’estate e tornerò in città non ho alcuna intenzione di macinare chilometri per andare a cercare una Messa di rito «straordinario» (sic!). Offrirò, come sempre, la mia pena domenicale al Signore nella solita parrocchia, a sconto dei miei peccati.

10/08/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 25/7/2014 San Giacomo il maggiore



E’ detto "Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo. Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade. Chiamati da Gesù (che ha già con sé i fratelli Simone e Andrea) anch’essi lo seguono (Matteo cap. 4). Nasce poi il collegio apostolico: "(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui: (...) Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono" (Marco cap. 3). Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo e della notte al Getsemani. Conosciamo anche la loro madre Salome, tra le cui virtù non sovrabbonda il tatto. Chiede infatti a Gesù posti speciali nel suo regno per i figli, che si dicono pronti a bere il calice che egli berrà. Così, ecco l’incidente: "Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono". E Gesù spiega che il Figlio dell’uomo "è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Matteo cap. 20).
E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. "Il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni" (Atti cap. 12). Questo Erode è Agrippa I, a cui suo nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna). A Roma è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale al trono e lo manda in Palestina come re. Un re detestato, perché straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani. L’ultima notizia del Nuovo Testamento su Giacomo il Maggiore è appunto questa: il suo martirio.
Secoli dopo, nascono su di lui tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe predicato il Vangelo in Spagna. Quando poi quel Paese cade in mano araba (sec. IX), si afferma che il corpo di san Giacomo (Santiago, in spagnolo) è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela. Nell’angoscia dell’occupazione, gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo). La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. Nel 1989 hanno fatto il "Cammino di Compostela” Giovanni Paolo II e migliaia di giovani da tutto il mondo.

Il Papa abbraccia Meriam e la sua famiglia: grazie per la vostra fede!



Il Papa ha incontrato, a Santa Marta, Meriam, la cristiana sudanese condannata a morte per apostasìa da un tribunale di Karthoum, e l’ha ringraziata per la sua testimonianza di fede. Ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Fausta Speranza:
R. – E’ stata ricevuta non solo lei, ma tutta la sua famiglia. Lei era con il marito che è disabile – era in carrozzina – ed era con i due piccolissimi bambini, deliziosi. Quindi, una famiglia di quattro persone, molto affettuosamente unita. Il Papa ha manifestato verso di loro tutta la sua vicinanza e tenerezza; ha ringraziato per la testimonianza di fede che è stata data dai due coniugi e per l’esempio di coraggio, di costanza che è stato dato, e loro hanno ringraziato perché hanno sentito la vicinanza e il sostegno del Papa e della preghiera di tutta la Chiesa e di tutte le persone di buona volontà. Il Papa, con questo incontro, naturalmente anche al di là della vicinanza a questa specifica famiglia, ha voluto dire la sua solidarietà, la sua vicinanza per tutti coloro che sono in sofferenza, che subiscono persecuzioni o difficoltà per la loro fede o per la limitazione della libertà religiosa.
D. – Meriam è stata un caso eclatante; altre forse vengono meno sotto i riflettori …
R. – Certamente. E questi gesti hanno un grande significato per le persone che li possono vivere in prima persona, però hanno anche un significato e una portata simbolica, in senso molto forte, anche per tantissime persone che si sentono con ciò incoraggiate dalla vicinanza, dall’attenzione e dalla preghiera del Santo Padre.
D. – Ci sono stati momenti di conversazione privata…
R. – Sì, l’incontro è stato molto discreto, molto affettuoso e molto intimo. Per circa un quarto d’ora la conversazione è stata tra il Papa e i due coniugi, con l’aiuto del suo segretario che è interprete; era presente anche il vice ministro degli Esteri, Pistelli, che accompagna questa famiglia in questa nuova situazione qui in Italia: la aiuta ad affrontare i problemi per la migrazione. Poi, però, il Papa ha voluto salutare anche i membri del gruppo del personale italiano che sta accompagnando e sta aiutando questa famiglia in questo periodo e quindi c’è stato anche un momento di incontro più allargato. Sempre, però, molto gioioso, molto sereno.


25/7/2014 fonte: Radio Vaticana

Dal vangelo secondo Augias: la fede è solo superstizione

di Luigi Santambrogio

La domanda è di quelle capaci di far tremare i polsi anche al più tosto dei teologi: riguarda la vita e la morte degli uomini, il loro destino, chi lo guida e verso dove. E soprattutto perché a qualcuno basta uno stupido dettaglio, un insulso accidente per scampare a tragedie crudeli, assurde e senza pietà neppure per gli innocenti. La questione interessa tutti: chi ha in riserva almeno un briciolo di fede, ma anche quelli rassegnati a stare con i piedi sulla terra senza sperare in un Cielo vuoto e indifferente. La domanda la ripropone su Repubblica una lettera a Corrado Augias, il laicissimo e miscredente giornalista-scrittore e conduttore televisivo che con queste cose ci va a nozze. Ha indagato su Gesù, sul cristianesimo e, ultima fatica letteraria, anche sulla Vergine Maria, trovando alla fine ben poco di interessante. Certamente, niente di vero. Eppure, i lettori di Repubblica continuano a adorare questo messia, capace di dare una spiegazione accettabile e rassicurante a tutto, perfino ai miracoli.

«Perché crediamo ai miracoli?» è il titolo intrigante scelto da Augias per aprire la sua rubrica dove un lettore, Gabriele Barabino di Tortona, lancia la micidiale domanda. «Anche la tragedia dell’aereo della Malaysia Airlines», scrive, «ha confermato una specie di regola che si verifica in tante disgrazie. Una signora olandese, intervistata, ha detto che all’ultimo momento non aveva potuto prendere quel volo con la famiglia, sostenendo che di lassù qualcuno non aveva voluto che partisse. Così è successo per i sopravvissuti dell’11 settembre, e per altri in varie tragedie». Ed ecco che il signor Barabino si chiede perché gli scampati debbano sempre tirare in ballo tale "regola”: «Colpisce la certezza di chi esce indenne da un disastro che il Padreterno si sia occupato personalmente di lui mentre decine o centinaia di altre persone morivano. Capisco che sono parole dette a caldo, sull’onda dell’emozione provata, del sollievo per una morte scampata», ma preferirebbe, aggiunge lo scrivente, «il silenzio come segno di rispetto per il dolore altrui». Vabbè, questo Giuseppe Barabino da Tortona un po’ se la canta e un po’ se la suona, fa come Marzullo che invitava gli ospiti a farsi una domanda e a darsi una risposta. Comunque, la questione resta: al Padreterno importa davvero di noi, è lui che sceglie chi salvare, magari con la scusa che il taxi verso l’aeroporto resta bloccato nel traffico, e chi invece far precipitare nel nulla senza scampo.

«Il signore solleva un tema vecchio quasi quanto il mondo che è quello d’una possibile protezione divina», attacca seriosamente Augias che a questi temi senza età ci ha fatto il callo e pure la fortuna con i diritti d’autore delle sue santissime inchieste. La questione è complessa e vasta, dice, ma lui pur sfiorandola solo alla grossa, la chiude con sufficiente soddisfazione. Del resto, anche al povero Giobbe Dio non risparmiò tormenti e sventure e non si è mai capito, ricorda Augias, se era a causa dei suoi peccati o solo per la crudeltà divina che giocava con lui e lo sfidava. Ma la Bibbia è piena di questi innocenti perseguitati ingiustamente da Jhavè. E allora, rieccoci daccapo al quesito iniziale: perché?

«La risposta cristiana di fronte a simili difformità è che la volontà e i disegni dell’Onnipotente sono imperscrutabili». Una soluzione «indubbiamente comoda», perché citando Spinoza, Augias dice che neppure Dio può sfuggire alla leggi che lui stesso ha assegnato alla natura: compiere miracoli implicherebbe una mutazione della sua volontà, oltre che una palese ingiustizia. Dunque, se Dio c’è si chiama natura ed è del tutto inutile all’uomo.

Detto questo, il dottore della legge Augias passa alla seconda parte della sua risposta: la demolizione della fede, come atto contrario al buon senso e alla ragione, insomma una favola buona per i bambini e gli idioti. «In realtà, credere di essere salvi "per miracolo” appartiene all’ampia casistica delle superstizioni ovvero al bisogno comune a molti di confidare in una qualche protezione celeste». Però, caro Barabino, che vuole farci: i cattolici e i credenti sono gente così, hanno bisogno di amuleti da portare in tasca, di fare strani segni della Croce prima di far qualcosa, ma in fondo non sono cattivi e neppure pericolosi. Perciò, chiude Augias, «è una comprensibile debolezza di fronte alla quale si dev’essere tolleranti». Vabbè, meno male: nell’epistola secondo Corrado non è prevista la lapidazione per chi crede in Dio.

Dovessimo prendere davvero sul serio l’affermazione dell’esimio scrittore di Repubblica, lo faremmo scherzando con un: "Augias santo subito”. Paradosso negativo, per dire quanto di assurdo c’è nella sua apodittica, dunque antiscientifica, certezza che la fede «appartiene all’ampia casistica delle superstizioni», perché ci si affida a qualche (inesistente) "protezione celeste”, mentre la scienza vive nel dubbio, nella ricerca della verità. Beh, qui Augias scivola davvero nel pre-giudizio scientista, nell’ideologia e nell’anticlericalismo più fanatico. Con lo stesso criterio, sul fronte opposto, si potrebbe dire che i senza Dio sono dubbiosi perché l’ateismo impedisce di ragionare. Ma sarebbe una colossale sciocchezza, che nessun uomo di fede oserebbe dire ad alta voce. Perché irrazionale, ma ancora prima, contraria a ogni evidenza storica e reale.

Dunque, lo scrittore che quando si infila nei misteri della fede non è nuovo a questi tuffi nel vuoto (per lui santo Stefano, primo martire, è stato assassinato dagli stessi cristiani che complottavano tra loro) dovrebbe da principio tornare alla realtà. E prendere atto dell’immensa produzione intellettuale e scientifica che studiosi e credenti hanno offerto all’umanità. Da Galileo a Max Planck, uno dei padri della moderna fisica quantistica. E quei grandi dottori che trasformarono la saggezza dei greci e dei latini in una nuova visione del mondo ispirata proprio da Cristo, che trova in lui la luce per interpretare il mondo, con figure come San Francesco d’Assisi, che ha creato il nuovo umanesimo. E tanti altri protagonisti della nostra epoca: pensiamo a Madre Teresa o Massimiliano Kolbe.

Tuttavia, nel pronunciamento che rivela un atteggiamento chiuso e ottocentescamente abbarbicato a una concezione scientista e dogmatica, Augias solleva però un problema oggi fondamentale per tutti, per la coscienza individuale come per la cultura e la società. Lo stesso che, più di un secolo fa, il genio russo di Fëdor Dostoevskj esprimeva nell’inquietante domanda: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?». Certo, pure se Augias la mette in altra forma, la questione è la stessa. E cioè: la ragione, come capacità di indagare e comprendere il reale, basta a se stessa, è misura di ogni cosa oppure c’è un criterio di conoscenza che rinvia ad "Altro”? E riconoscere l’esistenza di questo "Altro”, significa per questo condannarsi a un livello di conoscenza inferiore, vietarsi, appunto, al ragionamento?

Il cristianesimo, come non si stanca di ripetere Benedetto XVI, è entrato nella storia come un Fatto reale, e solo come tale vi può permanere. La sua caratteristica è nel rendere contemporaneo e storico Gesù Cristo. Trattarlo come un mito o una credenza indimostrabile senza misurarsi con la pretesa che lo dichiara presente "qui e ora” attraverso la Chiesa e i suoi testimoni, vuol dire eludere il problema che da duemila anni si pone a ogni cultura, elle domande degli uomini.

E qual è la domanda più urgente e interessante per l’uomo, eppure così disattesa e appagata? Beh, quella sul senso dell’esistenza, sul desiderio di felicità. L’uomo, ci ricorda l’ateo Leopardi, ha il desiderio dell’infinito e della felicità che non si consuma. E il nostro tempo con le sue contraddizioni, le sue disperazioni, il suo massiccio rifugiarsi in scorciatoie nichiliste, pare proprio manifestare visibilmente questa sete. Ecco, Augias dovrebbe cercare di capire che qui sta la ragionevolezza della fede e la sua immensa capacità di comprendere il mondo e l’uomo in modo "scientifico”.

Don Luigi Giussani, maestro, educatore di migliaia di giovani e acuto interprete del dramma della modernità e della Chiesa italiana scriveva: «Amici miei, siamo in un'epoca di una pericolosità sterminata. Siamo in un'epoca in cui le catene non sono portate ai piedi, ma alla motilità delle prime origini del nostro io e della nostra vita». «L’Occidente», ci avvertiva don Giussani «sta non lentamente, ma violentemente spingendo tutta la realtà umana, anche nostra, verso il "gulag" di un asservimento mentale e psicologico inaudito: la perdita dell'umano, di cui Teilhard de Chardin segnalava già il sintomo più impressionante, che è la perdita del gusto del vivere». Beh, caro Augias, che ne dice di lasciar da parte la sua supponenza e scendere a questa altezza d’uomo?

25/7/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Patriarca di Baghdad a Ban Ki-moon: L'Onu non resti in silenzio e immobile davanti al massacro dei cristiani

Mar Sako scrive al Segretario generale delle Nazioni Unite: "La situazione peggiora, la comunità internazionale deve intervenire per fermare le violenze contro le minoranze religiose ed etniche. Abbiamo bisogno di tutto, dall'acqua ai medicinali". Un appello per salvare il patrimonio religioso: "Sarà difficile ricostruire chiese e monasteri antichi dati alle fiamme dagli estremisti".


Baghdad (AsiaNews) - Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite "non può rimanere fermo ed essere un semplice osservatore delle continue atrocità commesse contro i cristiani", la comunità internazionale "faccia pressione su tutte le parti in causa per fermare questo massacro. L'instabilità dell'Iraq mette a rischio l'intero Medio Oriente". Lo scrive il Patriarca di Baghdad, Mar Louis Raphael Sako, in una lettera indirizzata al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Di seguito il testo completo della lettera.

Eccellenza,

Le scrivo riguardo l'attuale situazione in Iraq e in Medio Oriente, argomento che rappresenta una grave preoccupazione per me e che so essere una preoccupazione anche per lei e le Nazioni Unite. Mi permetta di usare questa opportunità anche per ringraziare lei e il Consiglio di sicurezza dell'Onu per il documento di condanna contro l'Isis. L'instabilità dell'Iraq minaccia l'intera regione. La pressione diplomatica è necessaria per rispondere a questa crescente instabilità in Medio Oriente. Si tratta di una questione che preoccupa, anche ala luce dei crescenti attacchi contro i cristiani e le minoranze.

Noi, la comunità cristiana, ci appelliamo alle Nazioni Unite affinché facciano pressioni politiche sulla comunità internazionale: il Consiglio di sicurezza non può rimanere fermo ed essere un semplice osservatore delle continue atrocità commesse contro i cristiani. Siamo stati felici del vostro comunicato, che definisce "crimini contro l'umanità" i crimini commessi contro i cristiani e di conseguenza vi invitiamo a fare pressione su tutti affinché vengano rispettati i diritti umani.

Eccellenza, noi cristiani siamo cittadini pacifici che amano la pace nel mezzo di uno scontro fra sciiti e sunniti, così come siamo in mezzo a scontri condotti fra gruppi armati militari. La nostra comunità ha sofferto un numero sproporzionato di difficoltà causate da conflitti settari, attacchi terroristici, emigrazione e ora persino pulizia etnica: i militanti vogliono cacciare la comunità cristiana.

Ci appelliamo con urgenza alle Nazioni Unite affinché facciano pressione sul governo iracheno e mettano in pratica ogni sforzo per proteggere le minoranze etniche e religiose. Il nuovo governo, una volta insediato, dovrebbe impegnarsi nella protezione delle minoranze e nella lotta all'estremismo.

Ci appelliamo con urgenza alle Nazioni Unite affinché accelerino l'assistenza umanitaria, assicurandosi che gli aiuti raggiungano quelle comunità e quei gruppi vulnerabili che hanno urgente bisogno di aiuto. Alla luce della situazione attuale, questo bisogno potrebbe durare più di un anno. La comunità cristiana cacciata dalla sua terra ha bisogno di acqua, medicinali e servizi di base.

Ci appelliamo con urgenza alle Nazioni Unite affinché sviluppino un piano, una strategia per proteggere e preservare il nostro patrimonio, colpito e dato alle fiamme dai militanti. Continuano a bruciare chiese e antichi monasteri. Sarà difficile ricostruire chiese e monasteri antichi.

+ Louis Raphael I Sako

Patriarca della Chiesa cattolica caldea

 25/7/2014 fonte: Asia New

Vescovi contro Obama: basta follie sul gender

di Massimo Introvigne

Delle questioni relative a leggi ingiuste degli Stati in materia di famiglia e matrimonio il Papa non parla, o parla molto raramente, ma vuole che siano i vescovi a parlare. L’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» spiega che «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori». Le note dell’esortazione apostolica forniscono esempi d’interventi «opportuni» di episcopati locali precisamente in materia di famiglia, fra cui due documenti, uno dei vescovi americani e uno di quelli francesi, che prendono posizione contro il «matrimonio» omosessuale. A prescindere da ogni valutazione su questa scelta strategica di Papa Francesco (che si può certamente discutere, senza mancare di rispetto al Pontefice), si può osservare che, da un punto di vista fattuale, la strategia funziona dove i vescovi la capiscono e la attuano. 

È certamente il caso degli Stati Uniti, dove, forse dopo un breve momento iniziale di disorientamento, i vescovi sono scesi in campo con coraggio contro il «matrimonio» omosessuale e l’ideologia di genere. Anzi, per la prima volta, i vescovi non si sono limitati a pubblicare documenti, ma in un caso che riguarda il tentativo del governo centrale d’imporre il «matrimonio» omosessuale a due Stati che non lo vogliono, Utah e Oklahoma, sono intervenuti direttamente nella causa federale, ora in arrivo davanti alla Corte Suprema, con una loro memoria, assicurandosi anche la collaborazione di altre confessioni e religioni.

In questi giorni assistiamo a un nuovo capitolo di questa saga dove i vescovi americani applicano la «strategia Francesco»: non attendono che intervenga il Papa, anzi danno per scontato che non parli (quando poi ritenesse la misura colma, Francesco potrà sempre intervenire, come fa sempre più spesso in materia di aborto) e, di fronte a leggi ideologiche e ingiuste, prendono subito posizione loro.

Il 21 giugno il presidente Obama ha firmato un ordine esecutivo, che ha forza di legge, secondo cui chiunque lavori per il governo federale, vinca appalti dal governo federale o da questo riceva sussidi non può praticare discriminazioni fra i propri dipendenti sulla base dell’«orientamento sessuale» o dell’«identità di genere». Questo significa, in pratica, che se un’università cattolica che lavora sulla cura del cancro non vuole perdere gli aiuti governativi (s’intende, ove ne riceva) dovrà dimostrare di non discriminare nell’assunzione degli insegnanti non solo chi ha un «orientamento» omosessuale, ma anche chi ha una «identità» omosessuale ostentata in modo militante, con annessa propaganda. E lo stesso vale per chiunque abbia rapporti con il governo o ne riceva finanziamenti. I giuristi ritengono che la norma influenzi anche i cosiddetti casi delle toilette, che possono far sorridere, ma finiscono spesso in tribunale: un transessuale che si sente donna chiede al datore di lavoro di usare le toilette femminili, suscitando spesso l’opposizione delle dipendenti donne così che il povero imprenditore è costretto a riservare una terza toilette al solo transessuale.

Tempestivamente, lo stesso 21 luglio, la Conferenza Episcopale Americana, tramite i presidenti delle Commissioni per la Libertà religiosa, l’arcivescovo di Baltimora William Lori, e di quella su Matrimonio e famiglia, il vescovo di Buffalo Richard Malone, ha diffuso una nota in cui contesta duramente la norma emanata dal presidente Obama. La nota afferma che l’ordine esecutivo di Obama «è senza precedenti ed estremo, e rende obbligatoria l’opposizione. Con il pretesto di vietare la discriminazione, l’ordine organizza la discriminazione. Con un tratto di penna, mette il potere economico del governo al servizio di una nozione della sessualità umana profondamente difettosa, alla quale i cattolici fedeli e molte altre persone di fede non potranno mai dare il loro consenso». In pratica, persone e aziende saranno escluse da qualunque rapporto con il governo «a causa della loro fede religiosa», con una gravissima violazione della libertà di religione.

L’ordine non distingue fra l’«esperienza di un’inclinazione omosessuale», cui la Chiesa si accosta con compassione e rispetto, e «la condotta sessuale fuori del matrimonio, che è l’unione di un uomo e di una donna». Mentre la Chiesa non favorisce certo la discriminazione sulla base di semplici inclinazioni, rivendica il diritto delle sue istituzioni (e di ogni datore di lavoro che ne condivida la morale) a tenere conto della condotta delle persone che assumono. Inoltre, l’ordine, parlando di «identità di genere», secondo i vescovi adotta e impone l’ideologia di genere, «la falsa idea che il "genere” è solo una costruzione sociale o una realtà psicologica che potrebbe essere scelta a prescindere dal proprio sesso biologico». 

La nota fa riferimento anche ai fin troppo famosi casi delle toilette, spiegando che come effetto dell’ordine di Obama «un dipendente biologicamente maschio avrà diritto a usare le toilette o gli spogliatoi femminili messi a disposizione dal datore di lavoro se questo dipendente maschio si auto-identifica come donna». La nota rileva che alcuni Stati, è vero, hanno già una normativa per prevenire discriminazioni sull’orientamento sessuale, e che il Senato ha votato l’Enda, una norma federale anti-discriminazione proposta dallo «stesso partito del presidente», il Partito Democratico. 

Benché a loro volta problematiche, queste normative includono tutte una clausola che protegge la libertà religiosa. L’ordine esecutivo di Obama, «immediatamente in vigore» (c’era davvero tutta questa urgenza?) non prevede nessuna esenzione religiosa o obiezione di coscienza. Va dunque combattuto in tutte le sedi opportune. Il caso finirà probabilmente ancora una volta alla Corte Suprema. Verosimilmente, il Papa continuerà a non parlarne e i vescovi americani a battersi, perfino più vigorosamente rispetto all’epoca in cui Benedetto XVI affrontava direttamente questi problemi. È la «strategia Francesco». Discutiamone pure. Ma intanto suggeriamo a certi episcopati europei di prendere esempio dai Paesi dove funziona.

25/7/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 21/07/2014 San lorenzo da Brindisi



Giulio Cesare Russo nacque da Guglielmo Russo ed Elisabetta Masella il 22 luglio 1559. Allorché intraprese gli studi nelle scuole esterne dei Francescani Conventuali di San Paolo Eremita in Brindisi, era già orfano del padre, scomparso dopo il 1561 e prima del 1565. Tra il 1565 e il 1567 prese l'abito dei conventuali e passò dalla scuola esterna a quella per oblati e candidati alla vita religiosa. In questo periodo tradizioni variamente riportate collocano le prime sortite pubbliche del futuro santo; il riferimento è all'uso dei Conventuali di far predicare i fanciulli in determinate solennità.
Il futuro santo, orfano ora anche di madre, è in notevoli difficoltà economiche. I parenti, fra questi Giorgio Mezosa suo insegnante presso i Conventuali, non pare se ne prendessero molta cura; è forse per questo che Giulio Cesare, quattordicenne, si trasferisce in Venezia presso uno zio sacerdote che dirigeva una scuola privata e aveva cura dei chierici di San Marco. La scelta, infatti, gli consente di proseguire i suoi studi e maturare la vocazione all'ordine dei Minori Cappuccini. Il 18 febbraio 1575 gli è concesso l'abito francescano e gli è imposto dal vicario provinciale, padre Lorenzo da Bergamo, il suo stesso nome: da quel momento sarà padre Lorenzo da Brindisi. Mandato a Padova a seguire i corsi di logica e filosofia e a Venezia quello di teologia, il 18 dicembre 1582 diviene sacerdote.
La sua ascesa nell'ordine è rapida; nel 1589 è vicario generale di Toscana; nel 1594 provinciale di Venezia; nel 1596 secondo Definitore Generale; nel 1598 vicario provinciale di Svizzera; nel 1599 ancora Definitore Generale. In questo stesso anno è posto a capo della schiera di missionari che i cappuccini, su sollecitazione del pontefice, inviano in Germania. Qui, a divulgare e ad accrescere la sua fama di santità contribuì un episodio avvenuto nell'ottobre del 1601; il brindisino volle essere uno dei quattro cappellani necessari per assistere spiritualmente le truppe cattoliche nella campagna in atto contro i turchi ed il 9 ottobre giunse ad Albareale, l'attuale Székeshefer vár in Ungheria, ove era accampato l'esercito imperiale.
Padre Lorenzo, quando il nemico sferrò l'attacco, fu d'esempio sia con la parola che coi comportamenti. I turchi lo ritennero un negromante e un mago, i cristiani un santo. Il 24 maggio 1602, quasi all'unanimità, padre Lorenzo viene eletto vicario generale dell'ordine; con l'alta carica gli è affidato il compito di visitare tutte le province oltre le Alpi.
Nel triennio del generalato, il 1604, può tornare a Brindisi ove decide la costruzione di una chiesa sotto il titolo di Santa Maria degli Angeli con annesso monastero per le claustrali. Finanziatori dell'opera, che doveva svilupparsi sul luogo stesso in cui era la casa natale del santo, saranno il duca di Baviera, la principessa di Caserta e altre personalità che il cappuccino aveva avuto modo d'incontrare durante le sue missioni in Europa.
Più volte, dopo il 1604, pensa di tornare a Brindisi e nel 1618 vi è ormai diretto quando è costretto a mutare itinerario e fermarsi a Napoli. Qui è convinto dal patriziato napoletano a recarsi in Spagna per esporre al re Filippo III le malversazioni del viceré don Pietro Giron duca di Ossuna. Il 25 maggio 1619, evitati sicari e ostacoli d'ogni genere, padre Lorenzo raggiunge il re a Lisbona; ricevuto il giorno seguente, a conferma delle sue parole soggiunse che era sicuro di ciò che riferiva quanto del fatto che presto sarebbe morto e che il re, se non avesse provveduto al bene dei propri sudditi, lo sarebbe stato entro due anni. Il 22 luglio del 1619, forse avvelenato, il brindisino moriva; il 31 marzo 1621, giusto l'ammonimento, si spegneva Filippo III che aveva continuato a favorire di fatto l'Ossuna.
Padre Lorenzo sarà beatificato nel 1783 da Pio VI, canonizzato nel 1881 da Leone XIII, proclamato dottore della chiesa, col titolo di doctor apostolicus, nel 1959 da Giovanni XXIII.


“Io vivo per miracolo”: la storia di un ragazzo siciliano

"Mi ha riportato alla vita la Madonna di Medjugorje"
di Giuliana Tambaro -
 
Per chi è cattolico credere nei miracoli è facile, ma per gli atei e per gli scienziati i miracoli non esistono. Eppure, talora, anche i medici, dinanzi a guarigioni non spiegabili, hanno alzato le mani, e con voce febbrile hanno pronunciato la parola "miracolo”.
Racconta di essere un "miracolato” Dino Stuto, un ragazzo di 23 anni della Sicilia. Il miracolo è avvenuto per intercessione della Gospa, la Regina della Pace, la Madonna di Medjugorje, che fa visita ormai da quasi un trentennio ai veggenti.
La Madonna appare a Medjugorje, nel paesino sperduto tra i monti della Bosnia Erzegovina, ed è proprio qui, che Dino ed i suoi familiari si sono recati, per ringraziare la "Regina della Pace”. Il 23enne siciliano racconta: "Il 13 agosto del 2010 esco a bordo del mio motorino per andare in spiaggia, all’improvviso un’auto non si ferma allo stop e vengo travolto in pieno. Mi ritrovo a terra agonizzante, qualcuno cerca di chiamare l’ambulanza, ma subito si ferma un passante. Era un medico che aveva appena finito il servizio in ospedale e nel sedile posteriore della sua auto aveva un respiratore che subito ha adoperato per salvarmi la vita prima che arrivasse l’ambulanza. Se non fosse arrivato quest’ angelo, forse a quest’ora non sarei qua.Sono stato portato all’ospedale di Agrigento e subito dopo mi hanno trasferito in elicottero a Palermo.
La situazione era grave, i medici non davano speranza ai miei genitori. Avevo delle emorragie al fegato, le braccia, il femore e la spalla rotta, un ematoma in testa e la febbre alta che non consentiva ai medici di intervenire. Mi hanno operato ai polmoni, in tutto sono stato sottoposto a 14 operazioni e due mesi di coma. I medici dicevano ai miei genitori che le possibilità che io tornassi in vita erano ben poche, se mi fossi svegliato sarei rimasto un vegetale sulla carrozzina. Mia madre per tutti quei mesi mi benediceva con l’acqua benedetta”.
Dino ha scalato il Kricevac con le sue gambe, è in piena salute: "sono qui per ringraziare la Regina della Pace per avermi salvato dalla morte quel giorno e per avermi restituito alla vita”, dichiara il giovane.

21/07/2014 fonte: Sicilia 24 ore


L'ultima follia gay: Gesù e gli apostoli sono dei nostri

di Gianfranco Amato

La denuncia penale contro lo sketch blasfemo mandato in onda su Rai2, in cui Gesù veniva presentato come un gay, ha provocato diverse reazioni. La più interessante è quella di coloro che non solo non hanno visto nulla di male nell’iniziativa della Tv di Stato, ma che, anzi, hanno difeso a spada tratta l’assurda pretesa che Nostro Signore fosse un omosessuale dichiarato. Hanno invocato, a supporto della tesi, «importanti e recenti documenti storici» che comproverebbero inequivocabilmente l’orientamento sessuale del Cristo. 

In realtà è una storia ampiamente conosciuta e, ormai, per nulla recente. Si tratta di quella settantina di codici scoperti, circa dieci anni fa, in una grotta della Giordania, che avrebbero dovuto rivoluzionare la concezione del cristianesimo e la Chiesa cattolica. Invece, non hanno scalfito minimante né l’uno né l’altra. Nella polemica seguita alla denuncia contro la Rai è tornato in circolazione anche il provocatorio articolo pubblicato il 4 novembre 2011 sul prestigioso quotidiano britannico The Guardian, a firma del professor Michael Ruse, darwiniano docente di filosofia alla Florida State University. Il titolo dell’articolo non lascia dubbi sul contenuto, affermando apoditticamente l’omosessualità dichiarata di Gesù Cristo: "Jesus as an openly gay man”. Anche Ruse si rifà alla scoperta dei codici giordani, per dichiarare che «Gesù era inequivocabilmente e apertamente omosessuale». 

Ma non era il solo. Secondo il professore, infatti, «Lui e i suoi discepoli formavano un cenacolo di omosessuali, ed erano tra loro legati da sentimenti di amore e mutuo sostegno». Sempre Ruse nel suo articolo ci spiega che già nel Vangelo ufficiale «ci sono chiari esempi di omosessualità – il "discepolo amato” gioca in questo senso un ruolo significativo –, e c’è l’affermazione delle gioie dell’amicizia e dello stare insieme amandosi vicendevolmente». «In quest’ottica», secondo Ruse,  «si comprende perfettamente quel passaggio oscuro in cui Gesù esorta i suoi seguaci a rompere i legami familiari: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Luca 14,26)», perché «appare ora chiaro che quella esortazione non è tanto un ripudio negativo della famiglia, quanto piuttosto un invito positivo a unirsi per affermare la gioia dell’amore e dello stile di vita omosessuale ("gay lifestyle”)». 

Le nuove scoperte della grotta in Giordania darebbero un’ulteriore conferma di questa prospettiva. Ruse cita, infatti, una parabola riportata dai codici in cui si parla di «due giovani uomini», con «evidenti richiami alla relazione omosessuale tra Davide e Gionata, perché Gesù parla di un giovane uomo che aveva la sua anima "legata all’anima” dell’altro, e che lo amava, come se fosse la sua anima». Ma il nostro professore sul Guardian si spinge oltre, e arriva a psicoanalizzare anche il rapporto tra Gesù e la Beata Vergine. Evidenzia, infatti, Ruse come appaia «intrigante il fatto che siano propri i cattolici, più dei protestanti, a essere vicini alla verità sull’omosessualità di Gesù, poiché essi hanno compreso il particolarissimo legame che univa il Salvatore alla Madre», tipico degli omosessuali. 

Poteva mancare il povero San Giuseppe? No di certo: il rapporto col padre era antitetico rispetto a quello avuto con la madre. Basta leggere cosa scrive in proposito Ruse: «C’è (nei nuovi codici) almeno un episodio in cui lo stesso Gesù litiga violentemente con Giuseppe, che mostra una grande ostilità e vanta un’evidente pretesa di "virilità”. Prima si sarebbe potuto pensare che, data la verginità di Maria, il comportamento di Giuseppe riflettesse l’ambiguità del suo status all’interno della famiglia; ma ora appare molto più riconducibile al classico esempio del triangolo freudiano: madre iperpossessiva, padre ostile, figlio omosessuale». 

Ma l’articolo del docente della Florida State University ci spiega pure perché di tutto ciò si è sempre saputo poco: «Una nuova epistola paolina recentemente scoperta, quella agli ateniesi, evidenzia una maggiore influenza platonica, in particolare quella della Repubblica. Paolo di Tarso, che era anch’egli omosessuale e che aveva ricevuto un’educazione classica, vedeva la stessa omosessualità come un ostacolo al successo del cristianesimo in un contesto sociale all’epoca altamente omofobo. Perciò, i sentimenti e la pratica omosessuale erano coltivati in gran segreto dai soli leader, dai "guardiani” del cristianesimo. Ovviamente questa è una tradizione che si è sviluppata ed è durata nel tempo. Non è un caso che John Henry Newman sta per essere canonizzato». 

Neppure i santi sono stati risparmiati. Ci sarebbe da ridere, se il contenuto di queste farneticazioni non fosse stato scritto da un illustre accademico americano, su una delle più prestigiose e antiche testate giornalistiche del Regno Unito – il Guardian è stato fondato nel 1821 da un gruppo di imprenditori protestanti guidati da John Edward Taylor – e se il tutto non avesse travalicato i limiti della decenza e del blasfemo. A chiusura dell’articolo il professor Ruse ci lascia con una frase inquietante: «Il cristianesimo è destinato a non essere più lo stesso». Più che una profezia, oggi quella frase sembra una minaccia.

L’omosessualismo sta sostituendo il marxismo a livello culturale, con la stessa logica di potere gramsciana, quella delle casematte. Ieri era la lotta di classe che spiegava la storia e la dinamica evolutiva dell’umanità. Oggi è l’ideologia gay che domina e pretende di spiegare tutto. Il povero Marx si rivolterà nella tomba. Il suo amico Engels, invece, aveva capito tutto. Glielo scrisse in una lettera inviata da Manchester il 22 giugno 1869: «I pederasti iniziano a contarsi e scoprono di formare una potenza all'interno dello Stato. Mancava solo un’organizzazione, ma secondo questo libro sembra che esista già in segreto. E poiché contano uomini tanto importanti nei vecchi partiti ed anche nei nuovi, da Rösing a Schweitzer, la loro vittoria è inevitabile. D’ora in poi sarà: "Guerre aux cons, paix aux trous de cul”» (Karl Marx - Friedrich Engels, Opere Complete, vol. 43, Lettere 1868-1870, lett. n.195, pag. 349, Editori Riuniti, Roma, 1975). Oggi sarebbe considerato omofobo anche Engels.

 21/07/2014 fonte: La Nuova Bussola quotidiana

Il Papa: diamo con generosità. Mons. Feroci: la carità non va in vacanza


Dio ama chi dona con gioia. Impariamo a dare con generosità, distaccati dai beni materiali”. E’ il tweet pubblicato oggi dal Papa sul suo account @Pontifex. Francesco rinnova dunque l’esortazione alla condivisione, specie in un momento di crisi economica come quello attuale. Su queste parole del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore della Caritas di Roma, mons. Enrico Feroci:
R. – Due cose. La prima: Papa Francesco ci ricorda che fondamentalmente, per noi cristiani, se non siamo coloro che amano non siamo nemmeno presenti nel cuore di Dio, perché Dio è amore. Il che significa che un cristiano, se vuole veramente essere vicino al Signore, dev’essere per forza uno che si mette al servizio e a disposizione degli altri, perché amando, solamente, si è. Il secondo pensiero: credo che Papa Francesco ci ricordi che nei momenti difficili la nostra attenzione non dev’essere messa da parte rispetto ai fratelli che hanno grandi problemi: gente che piange, gente che ha difficoltà, gente che rimane senza lavoro, senza casa, senza cibo cresce ogni giorno: tocchiamo con mano ogni giorno. Ma soprattutto, io credo che oggi le persone abbiano bisogno che si sia attenti agli altri, perché la relazione, l’attenzione all’altro mi sembra che sia fondamentale e determinante, proprio per il nostro essere cristiani: essere attenti al nostro fratello, non passare oltre, aprire gli occhi per vedere quello che è avvenuto del fratello malmenato dai briganti lungo la strada.
D. – Il Papa sembra anche dirci che la carità non va mai in vacanza …
R. – Questo ce l’ha detto, e la Caritas – che è poi la carità del nostro vescovo, quindi di Papa Francesco – lo tiene sempre ben presente. Noi non chiudiamo mai: i nostri centri sono sempre aperti, 365 giorni l’anno. Credo che sia doveroso da parte nostra. Oltretutto, perché le vacanze sono per coloro che possono permetterselo: coloro che non possono permetterselo, che vivono ogni giorno nella difficoltà, hanno il desiderio ma anche il diritto di sentire che noi cristiani siamo vicini a loro. E mi sembra che anche l’esempio che ci dà Papa Francesco, mi sembra che il suo non sia un andare in vacanza: è sempre essere attento e disponibile perché gli altri possono avere bisogno di lui …
D. – In questo momento di crisi, il Papa invita anche a riscoprire l’importanza della condivisione …
R. – La condivisione è "con–dividere”: io dico sempre che la Caritas ha anche un aspetto pedagogico, e se io un pezzo di pane lo spezzo, siamo in due a mangiare. Quindi, questo aspetto di saper spezzare il pane per l’altro credo che sia fondamentale proprio per chi crede, per chi mangia del Corpo di Cristo e diventa pane spezzato per gli altri …

21/07/2014 fonte: Radio Vaticana

Le donne? Troppo importanti per fare il sacerdote
di Enrico Cattaneo


Non vi è dubbio che fin dalle origini le donne hanno avuto un ruolo importante nella diffusione del Vangelo. Alcuni esegeti, tuttavia, si spingono oltre, e sostengono che al tempo della prima evangelizzazione le donne hanno partecipato non solo alla missione, ma anche alla direzione delle Chiese domestiche. Questo primo periodo sarebbe stato per loro come una specie di "primavera”, che però non sarebbe durato a lungo, perché prontamente riassorbita dal modello patriarcale di origine giudaica. 

Indizio di tale regressione sarebbe il passo di 1 Cor 14, 33b-35, dove si ordina che le donne tacciano nelle assemblee. Alcuni studiosi lo ritengono un’interpolazione, la cui portata restrittiva sarebbe rafforzata da 1 Tm 2, 11-12, che vieta alle donne di insegnare. Saremmo qui lontani da Gal 3, 28, con la sua affermazione che in Cristo, con il Battesimo, «non c'è più né maschio né femmina». Sarebbe questo il manifesto della mentalità egualitaria delle origini cristiane. Tale tendenza a escludere le donne dai posti direttivi si sarebbe poi rafforzata dal II secolo, con quella che è stata chiamata «la durissima e insofferente reazione cattolica». Di conseguenza, alcuni studiosi guardano con sempre maggiore simpatia ai gruppi gnostici ed eterodossi, nei quali si sarebbe meglio conservata «la prassi libera e liberante di Gesù». 

Certamente la Chiesa antica ha riconosciuto alle donne il dono dei carismi, in particolare quello profetico, e ha pure attribuito alle donne una qualche forma di ministero, come quello delle diaconesse, ma ha sempre escluso le donne dal ministero ordinato (episcopato, presbiterato, diaconato). Questo rifiuto appare motivato da un forte senso di fedeltà alla tradizione ricevuta da Cristo e dagli apostoli. Non fu però una presa di posizione irriflessa, sotto la pressione dalla cultura del tempo, ma una scelta consapevole. Infatti, il problema dell’accesso delle donne al ministero sacerdotale non è solo di oggi, ma era già presente nel loro tempo.

I Canoni Ecclesiastici degli Apostoli - opera fittizia del III secolo -, immaginano una discussione tra gli stessi apostoli proprio sul ministero delle donne: la risposta che danno è negativa per quanto riguarda il ministero liturgico (l’offerta eucaristica), mentre è positiva rispetto al servizio di assistenza. La Tradizione Apostolica - opera anch’essa del III secolo -, riconosce che c’è l’ordine delle vedove, ma nega che ci sia una "ordinazione" per le vedove, dato che esse non hanno un ufficio sacerdotale e liturgico direttamente correlato all'eucaristia, il che equivale a una esplicita esclusione delle donne dal ministero ordinato. 

Spesso si invoca il fattore culturale: nel mondo antico, si dice, le donne erano relegate nella sfera privata, all'interno della famiglia, e la Chiesa non ha fatto altro che adeguarsi a tale mentalità. Sarebbe stato impensabile che ci fosse stata una donna a capo di una comunità a presiedere l’Eucaristia, perché ciò sarebbe stato in contrasto con la cultura del tempo, segnata dalla dominazione maschile e patriarcale. C'è qualcosa di vero in queste affermazioni: l'inferiorità della donna rispetto all’uomo nella sfera pubblica era così radicata da essere considerata un dato naturale e non culturale. Tuttavia, ci sono altri aspetti che vanno presi in considerazione e che mostrano la complessità della questione.

In primo luogo, quando si è in presenza di un divieto, come quello che impone alle donne di tacere nelle assemblee (1 Cor 14,33-35), o il divieto di insegnamento (1 Tm 2,11-12), va rilevato che tali divieti sono significativi solo se vanno contro una tendenza opposta. Il che significa che già al tempo di Paolo c’erano esponenti del sesso femminile che aspiravano ad avere libertà di parola nelle pubbliche assemblee. Tertulliano, più di un secolo dopo, dice che alcune donne rivendicavano il diritto di battezzare e insegnare adducendo l'esempio di Tecla, l'eroina del romanzo religioso che andava sotto il nome di Atti di Paolo. 

Presumibilmente, anche allora, da alcune donne, le restrizioni imposte dalla Chiesa nei loro confronti erano percepite come un ostacolo o come una discriminazione da superare. La prova ne è che al di fuori della Chiesa cattolica, come ad esempio nelle sette montaniste, gnostiche e marcionite, le donne occupavano subito senza problemi lo spazio che questi gruppi, liberi dai vincoli della tradizione, offrivano loro. Così non è raro trovare in questi gruppi donne in posizioni di responsabilità e di leadership, compresa la presidenza nel culto liturgico. 

Lo gnostico Marco, come riporta Ireneo di Lione alla fine del II secolo, incitava le donne a profetizzare e le chiamava accanto a sé perché consacrassero anch’esse il calice del vino, in una parvenza di Eucaristia. Ed erano in molte a seguirlo. Nelle comunità gnostiche, a dispetto del dogma paolino, le donne potevano non solo profetare, ma anche insegnare e celebrare riti sacramentali in qualità di sacerdotesse. In sostanza, il ministero femminile era una bandiera delle sette eterodosse. Ora questa "apertura” dei gruppi settari verso le donne corrispondeva alla cultura del tempo, che attestava la presenza delle donne anche ai livelli più alti delle gerarchie religiose. 

La Chiesa cattolica era in sostanza l’unica associazione religiosa non esclusiva (cioè non riservata a sole donne) nella quale le donne erano escluse dall’ufficiare il culto liturgico-pastorale proprio dei ministri ordinati. Ora questa è una posizione chiaramente contro-culturale presa con consapevolezza. Nei primi secoli, quando la Chiesa non aveva ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale, ma appariva come uno dei tanti movimenti religiosi del tempo, nessuno si sarebbe meravigliato se delle donne avessero tenuto un ruolo di leadership nella vita e nel culto delle comunità, tanto più che dovevano essere in maggioranza.

La resistenza della Chiesa ad ammettere le donne al sacerdozio non è dunque venuta dall'esterno, dalle pressioni culturali dell'ambiente, ma dall'interno, vale a dire l'attaccamento a una tradizione considerata vincolante per quanto riguarda la natura stessa delle comunità cristiane. 

21/07/2014 fonte : La nuova bussola quotidiana

 

IL SANTO DEL GIORNO 23/06/2014 San Giuseppe Cafasso sacerdote


«Quando varcai per la prima volta la soglia del carcere, mi sentivo disorientato. Vagavo nei corridoi senza sole, incerto sul da farsi; attraverso gli spioncini delle pesanti porte mi affacciavo alle celle scrutando chi vi abitava: visi spettrali, con i segni profondi della sofferenza, della fame, della paura. Poi, dopo pochi giorni dal mio primo ingresso nel carcere, mi si disse che avrei dovuto, l’indomani, assistere un condannato a morte. Il "mio” primo condannato a morte!». Inizia così il racconto della prima volta che padre Ruggero Cipolla (1911-2006), francescano e per cinquant’anni cappellano delle carceri giudiziarie di Torino, scriveva nel 1960. La toccante testimonianza prosegue: «Sentii nell’anima uno schianto, crebbe la mia incertezza. E mi aggrappai disperatamente al confortatore per eccellenza dei condannati a morte: san Giuseppe Cafasso, il prete della forca». 
Oggi Benedetto XVI del santo dei carcerati afferma: «Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale». Sono parole che il Santo Padre ha pronunciato durante la Catechesi dell' Udienza generale del 30 giugno 2010, a pochi giorni dalla chiusura dell’Anno sacerdotale (11 giugno 2010), un tempo di grazia, che ha portato e porterà frutti preziosi alla Chiesa, e che ha visto, per volontà di Benedetto XVI, il Santo Curato d’Ars proposto come principale modello dei ministri di Dio. 
Proprio quest’anno ricorrono duecento anni dalla nascita di questo Homo Dei e da poco si è chiuso il 150° del suo dies natalis. Della sua morte egli, con profonda umiltà, affermava: «Disceso che sarò nel sepolcro, desidero e prego il Signore a fare perire sulla terra, la mia memoria, sicché mai più alcuno abbia a pensare di me, fuori di quelle preghiere che attendo dalla carità dei fedeli. E accetto in penitenza dei miei peccati tutto quello che dopo la mia morte si dirà nel mondo contro di me». Era nel mondo, ma non fu del mondo. La sua memoria, nonostante la sua aspirazione fosse quella di sparire dai ricordi, rimane viva non per volontà di qualcuno, visto che non ha fondato alcuna congregazione o istituto religioso, ma per la forza di ciò che è stato ed ha rappresentato.
Nacque a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco, il 15 gennaio 1811 e morì a Torino il 23 giugno 1860. Era il terzo di tre figli: la sorella Marianna divenne la madre del beato Giuseppe Allamano (1851-1926), rettore del Convitto e del Santuario della Consolata, nonché fondatore dell’Istituto Missioni della Consolata.
Giovanni Bosco (1815–1888), di soli quattro anni più giovane e suo compaesano, una volta invitò il giovane don Cafasso a vedere i giochi della fiera di Castelnuovo ed ebbe di tutta risposta: «Colui che abbraccia lo stato ecclesiastico si vende al Signore: e di quanto c’è nel mondo, nulla deve più stargli a cuore». Fu sempre gracile e minuto, «era quasi tutto nella voce», diceva don Bosco, eppure fu un gigante nello spirito. 
Riceve l’ordinazione sacerdotale il 21 settembre 1833 nella chiesa dell’Arcivescovado di Torino e l’anno dopo avviene l’incontro con don Luigi Guala (1775–1848), dalla spiritualità ignaziana, insigne moralista e teologo, il quale ricevette una salda preparazione all’apostolato dal venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830) di cui fu collaboratore e con il quale fondò il Convitto Ecclesiastio di San Franceso d’Assisi, volto alla formazione del clero torinese, dove don Cafasso entrò nel 1834.
Nella terra subalpina prendono vita i moti risorgimentali e la Chiesa, duramente perseguitata sotto Napoleone, ora si appresta, dopo il Regno del cattolico Re Carlo Alberto (1798–1849), salito al trono nel 1831 (molto attento alla riforma del clero, avendo stabilito un fecondo accordo con Papa Gregorio XVI) a ricevere feroci attacchi dal governo liberale e massonico. 
Dal punto di vista spirituale nel Regno di Sardegna è influente l’ École française, quella del teologo e Cardinale Pierre de Bérulle (1575-1629), uno dei protagonisti dell’età della controriforma che, ispirandosi a san Filippo Neri (1515-1595), fondò a Parigi l'Oratorio di Gesù e Maria Immacolata. Bérulle, come Jean-Jacques Olier (1608–1657), Charles de Condren (1588-1641), Giovanni Eudes (1601– 1680), Francesco di Sales (1567- 1622) e Vincenzo de’ Paoli (1581–1660), ha vissuto e lottato per restituire splendore e grandezza allo stato sacerdotale, il «primo ordine del regno», che prima del Concilio di Trento era in larghi strati caduto nella rilassatezza. La formazione sacerdotale avvenne così, per don Cafasso, con gli insegnamenti dei maestri del Grand Siècle, e alle figure ricordate si affiancarono sant’Alfonso Maria de’ Liguori, maestro di morale, e san Carlo Borromeo, maestro di zelo. Cafasso fu anche erede di Nicola Diessbach (1732 – 1798), nativo di Berna, convertito dal calvinismo e fondatore dell’«Amicizia cristiana», opera che ebbe una felice continuazione proprio nel venerabile Pio Brunone Lanteri.
Padre spirituale, direttore di anime, consigliere di vita ascetica ed ecclesiastica, formatore di sacerdoti, a loro volta formatori di altri preti, religiosi e laici, in una sorprendente ed efficace catena, Cafasso fu rettore per 24 anni del Convitto ecclesiastico, che nel 1870 mutò sede e da via San Francesco si trasferì al santuario della Consolata, dove oggi riposano le sue spoglie. 
Le sue lezioni erano attraenti perché costruite sulle verità di Fede e sul sapiente bagaglio di conoscenze, ma anche palpitanti di documentazione raccolta dal vivo nel confessionale, al capezzale dei morenti, nelle missioni predicate al clero e al popolo, e nelle carceri, luogo a lui molto caro. Uomo di sintesi e non di pedanti trattazioni, combatté il rigorismo di matrice giansenista. Voleva fare di ogni sacerdote un uomo di Dio splendente di castità, di scienza, di pietà, di prudenza, di carità; assiduo alla preghiera, alle funzioni religiose, al confessionale, devoto di Maria Santissima e attingente forza dal Santo Sacrificio. Primo dovere del prete, diceva, era quello di essere santo per santificare e che «grande vergogna che un sacerdote si lasci anche solo eguagliare in virtù da un laico! Che onta per noi!».
Fu confessore della serva di Dio Giulia Falletti di Barolo (1786-1864) e fra i sacerdoti da lui formati ricordiamo: san Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice; Giovanni Cocchi (1813–1895), fondatore di uno dei primi oratori di Torino e del Collegio degli Artigianelli; beato Francesco Faà di Bruno (1825-1888), fondatore dell'Opera di Santa Zita e della congregazione delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio; Gaspare Saccarelli (1817- 1864), fondatore dell’Istituto della Sacra Famiglia; Pietro Merla (1815 -1855), fondatore del Ritiro di San Pietro in Vincoli; Francesco Bono (1834–1914), fondatore dell’Istituto del Santo Natale; beato Clemente Marchisio (1833-1903), fondatore dell’Istituto delle Figlie di San Giuseppe; Lorenzo Prinotti (1834-1899), fondatore dell’Istituto dei sordomuti poveri; Adolfo Barberis (1884–1967), fondatore delle Suore del Famulato Cristiano.
Operò soprattutto per la conversione dei peccatori, dei grandi peccatori. Aveva l’ambizione di portare i condannati a morte subito in Paradiso, senza passare per il Purgatorio e per il recupero dei carcerati, è proprio il caso di dirlo, fece più lui di mille legislazioni.
Era assiduo delle prigioni Senatorie, tanto da rimanervi fino a tarda notte, a volte tutta la notte. Portava sigari e tabacco da fiutare, al posto della calce che i carcerati raschiavano dai muri; ma soprattutto portava alla conversione ladri e assassini efferati. Erano lenti e tormentati pentimenti, altre volte, invece, si trattava di conversioni immediate, che avvenivano anche a pochi istanti prima dell’impiccagione. Il «prete della forca» usava immensa misericordia, possedendo un’intuizione prodigiosa dei cuori, e trattava i suoi «santi impiccati» come «galantuomini», tanto che il colpevole sentiva così forte l’amore paterno da piegarsi e desiderare di morire per arrivare presto in Paradiso con Gesù, come il buon Ladrone, crocefisso sul Calvario. 
Intanto le aspirazioni patriottiche si ponevano in contrasto con le intenzioni giacobine e anticristiane. Clero e fedeli venivano spinti a prendere posizioni estreme e Cafasso adottò una linea precisa: intransigente sulla dottrina e sui principi, schierato con la Chiesa e con il Papa, ma ugualmente comprensivo con le anime e saggio moderatore nell’ordine pratico. Al clero piemontese raccomandò di non invischiarsi nelle questioni politiche, perciò non si trovarono più sacerdoti  in Parlamento, approvanti le leggi regaliste o pronti a professare l’errore dai pulpiti.
Dotato nella docenza di calma, accortezza e prudenza, fu, soprattutto, il grande nemico del peccato, come ha ancora ricordato Benedetto XVI: «Dalla sua cattedra di teologia morale educava ad essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato.

Il Papa in Calabria: "No alla 'ndrangheta. Mafiosi scomunicati"




Si è conclusa con una solenne Messa celebrata sulla Piana di Sibari davanti a oltre 250 mila persone, la visita del Papa alla Diocesi di Cassano allo Jonio, in Calabria. Appena nove ore, che hanno permesso al Pontefice  di incontrare e conoscere diverse realtà del territorio, a partire dagli ultimi: i carcerati, gli anziani, i poveri e i malati. Più volte la voce di Francesco si è levata contro il crimine, i mafiosi ha detto "sono scomunicati". Il servizio di uno dei nostri inviati, Fausta Speranza :

Adorazione del male e disprezzo del bene comune: questo è l’Ndrangheta! Il Papa non usa mezzi termini per denunciare mafia, violenza e falsi idoli.
"Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi, ce lo domando i nostri giovani bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.
Un messaggio chiarissimo e fortissimo, che il Papa lancia alla Messa, che conclude la sua giornata in Calabria. Messaggio su peccato, violenza, mafia:
"Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato! L’Ndrangheta è questo! Adorazione del male e disprezzo del bene comune”.
Francesco sottolinea il significato della sua visita, quale incoraggiamento - spiega - alla fede e alla carità, perché - afferma - la carità è la testimonianza concreta della fede. E il Papa è molto chiaro: "il popolo che adora Dio nell’Eucaristia - ricorda - è il popolo che cammina nella carità”. Richiamandosi alla solennità del Corpus Domini, spiega che cristiano è chi adora Gesù Eucaristia e cammina con Lui e rinuncia, appunto, ad adorare falsi idoli.
Carità significa giustizia, speranza, tenerezza. E a queste parole Francesco contrappone denaro, vanità, orgoglio, potere, violenza. Dunque l’incoraggiamento del Papa alla Chiesa in Calabria, di cui cita anche l’Eparchia di Lungo, ricca della sua tradizione greco-bizantina, e un richiamo alla politica:
"Ma lo estendo a tutti, a tutti i Pastori e fedeli della Chiesa in Calabria, impegnata coraggiosamente nell’evangelizzazione e nel favorire stili di vita e iniziative che pongano al centro le necessità dei poveri e degli ultimi. E lo estendo anche alle Autorità civili che cercano di vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune”.
Francesco poi, in particolare si rivolge ai giovani e ribadisce il suo invito alla speranza. A proposito di speranza cita il Progetto Policoro, che si occupata di creare opportunità di lavoro, ma poi indica la via principale da non perdere: rimanere uniti a Dio - raccomanda - per rilanciare su male e violenza:
"Voi, cari giovani, non lasciatevi rubare la speranza! Lo ho detto tante volte e lo ripeto una volta in più: ‘Non lasciatevi rubare la speranza!’. Adorando Gesù nei vostri cuori e rimanendo uniti a Lui saprete opporvi al male, alle ingiustizie, alla violenza con la forza del bene, del vero e del bello”.
C’è da dire che il Papa già stamattina aveva citato l’Ndrangheta, incontrando - in un fuori programma al carcere di Castrovillari - il papà e le nonne del piccolo Coco, ucciso in un agguato con il nonno a gennaio. Aveva detto: "Mai più vittime della Ndrangheta!”.
Il carcere è stata la prima tappa di questa intensa giornata in Calabria. Dal carcere, il Papa ha lanciato un appello perché "la pena non sia solo punizione e ritorsione sociale, ma apra al reintegro nella società”. Ha chiesto impegno concreto delle istituzioni per questo e ha poi invitato tutti a guardare a Dio, che ha definito Maestro di reinserimento, perché sempre perdona, ma anche accompagna nel riscatto.
Papa Francesco ha sottolineato, inoltre, di voler parlare ad ogni uomo e a ogni donna che si trova in carcere in ogni parte del mondo e ha chiesto preghiere, perché - ha detto - anche io commetto sbagli:
"In questo cammino entra anche l’incontro con Dio, la capacità di lasciarci guardare da Dio che ci ama. E’ più difficile lasciarsi guardare da Dio che guardare Dio. E’ più difficile lasciarsi incontrare da Dio che incontrare Dio, perché in noi sempre c’è una resistenza. E Lui ti aspetta, Lui ci guarda, Lui ci cerca sempre, no? E questo Dio che ci ama, che è capace di comprenderci, capace di perdonare i nostri errori. Il Signore è un maestro di reinserimento: ci prende per mano e ci riporta nella comunità sociale”.
Un’altra espressione forte da ricordare, l’augurio di Papa Francesco che il tempo di detenzione non vada perduto, ma possa essere un tempo prezioso, prezioso per l’incontro con la grazia di Dio:
"Così facendo contribuirete a rendere migliori prima di tutto voi stessi, ma nello stesso tempo anche la comunità, perché, nel bene e nel male, le nostre azioni influiscono sugli altri e su tutta la famiglia umana”.
E se la tappa al carcere, luogo che nell’immaginario ci porta alle persone più lontane dal vivere sociale, è stato proprio il primo gesto che Papa Francesco ha voluto compiere in Calabria, prima ancora della cerimonia di benvenuto, bisogna dire che la seconda tappa è stata al Centro San Giuseppe Moscati, dove ha incontrato la sofferenza dei malati terminali. Ma c’è stato anche l’incontro con anziani, poveri, ex-tossicodipendenti. Tutti gesti concreti di quella solidarietà agli ultimi che Francesco chiede alla sua Chiesa.

23/06/2014 fonte: Radio Vaticana

Texas, l'Eucarestia entra in Parlamento

di Marco Respinti

Domenica, 22 giugno, Festa del Corpus Domini, lo Stato nordamericano del Texas ha assistito a un evento di portata storica: una processione eucaristica partita dopo la Messa celebrata alle 9,30, dalla cattedrale di Santa Maria di Austin, la capitale del Texas, ed entrata nel Campidoglio, la sede del governo di quello Stato nordamericano, nel cuore della città e della politica. È la prima volta che accade in tutta la storia degli Stati Uniti; la prima volta che il Santissimo Sacramento fa ingresso, in processione, e poi benedicente, in una sede di governo.

È un’iniziativa benemerita della "Divine Mercy for America Campaign”, l’organizzazione che si occupa di diffondere negli Stati Uniti la devozione alla Divina Misericordia ‒ propagata nel mondo da santa Faustina Kowalska (1905-1938) ‒, con l’intento esplicito di operare per la ricristianizzazione del Paese.

Solo un anno fa, a metà luglio 2013, il Campidoglio di Austin fu invece teatro di uno scontro con ben pochi precedenti, allorché il governatore del Texas, il Repubblicano conservatore Rick Perry (già candidato nelle primarie del 2012 per la corsa alla Casa Bianca), firmò uno dei più restrittivi giri di vite sull’aborto che il Paese abbia mai conosciuto, in ottemperanza al suo programma politico: rendere l’aborto, a ogni livello, «una cosa del passato» (clicca qui). In quell’occasione, il Campidoglio fu preso d’assalto da un’agguerrita truppa di attivisti filoabortisti che, di fronte a quella cocente sconfitta, si lasciarono andare a ogni sorta d’ingiurie e di contumelie nei confronti dei pro-lifer che erano, analogamente ma con motivazioni opposte, scesi per le strade, spingendosi fino a sbeffeggiare quanti recitavano in pubblico rosari di riparazione e di ringraziamento persino al grido di «Salve Satana!» (clicca qui) (con l’aggravante che in inglese «salve» suona un «hail» sinistramente simile al nefando e famoso «heil» nazista).

È insomma ben difficile sottovalutare la straordinarietà della processione eucaristica di domenica (clicca qui). Vuole infatti dire portare Gesù, fisicamente, dentro le istituzioni del Texas, dentro la politica di un pezzo importantissimo di Stati Uniti (segnando un precedente imponente per tutto il Paese e "sfondando” un muro significativo per tutti), in mezzo al personale politico di qualsiasi obbedienza e credo (e qui c’è da fare tanto di cappello, oltre ovviamente agli organizzatori e alla Chiesa Cattolica che è in Texas, al governatore, protestante, Perry e a tutto il parlamento di quello Stato), nel cuore di quel pandemonio scatenatosi contro il dono divino della vita. Ma ciò che è accaduto ieri è stato straordinario anche per un altro motivo.

Ha fatto il giro del mondo la notizia, solo poco tempo fa, del gruppo "The Satanic Temple”, guidato da Lucien Greaves (alias Doug Mesner), che sta ottenendo il permesso di erigere una statua al diavolo da piazzare davanti al parlamento dello Stato dell’Oklahoma, a Oklahoma City, e di fianco a un monumento che porta incisi i Dieci Comandamenti. Ebbene, l’iniziativa di Greaves e soci è proprio quella di omaggiare in pubblico il Signore del male, distorcendo il principio politico della libertà religiosa e contaminandone il più possibile il luogo dove si stabiliscono le norme di convivenza fra gli uomini.

L’iniziativa satanista mira cioè a ottenere obiettivi speculari a quelli per cui ad Austin si è svolta la processione eucaristica. Incidere, in maniera soprannaturale, sulla produzione legislativa del Paese. Greaves (il cui gruppo è appena riuscito a fare celebrare una messa nera nel campus di Harvard spacciandola come "lezione si storia”) è infatti un alacre "apostolo” dell’omosessualità, dell’aborto e di tutti i "diritti” che ne conseguono per chi pratica l’uno, l’altra o magari entrambi (clicca qui). È cioè un uomo politico, che mira a influenzare la politica poiché sa perfettamente che oggi la politica, specie nella sua funzione legislativa, è uno strumento utilissimo per guadagnare terreno e proseliti alla "causa”.

Ecco, i primi a credergli sono certamente gli apostoli politici della Divina Misericordia, che proprio per questo hanno portato per la prima volta Gesù Eucarestia dentro un parlamento statunitense.

23/06/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

 


A Seul, la lunga attesa del papa che avvicina alla pace



Sale l’attesa per il viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea del Sud. Il Pontefice partirà alla volta di Seul il prossimo 13 agosto per la sesta Giornata della gioventù asiatica. Tra gli eventi più attesi, la Messa per la pace e la riconciliazione tra le due Coree. Il servizio di Davide Dionisi:
Una striscia di terra larga quattro chilometri che corre lungo il 38.mo parallelo divide le due Coree. Un’area cuscinetto demilitarizzata, creata con la firma dell’armistizio del 1953 che ancora oggi rappresenta una ferita aperta. Un muro, non solo fisico, che ingigantisce le diversità e trasforma il fratello in nemico.
Se ne è parlato nei giorni scorsi durante il forum sulla situazione della penisola coreana e i rapporti con la Nord Corea, organizzato dall’Istituto affari internazionali e dall’Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia. Presenti, tra gli altri, Antonio Fiori docente di Politica e istituzioni della Corea e dell'Asia Orientale presso l'Università di Bologna. L’esponente della Korean Foundation ha spiegato ai nostri microfoni il motivo dell’entusiasmo dei coreani per la visita di Papa Francesco:
R. – I coreani stanno aspettando Papa Francesco, anche perché la società, la religiosità dei coreani è molto cambiata soprattutto nell’ultimo decennio. È un Paese sicuramente molto eccitato – tra virgolette – dal possibile incontro con il Papa. Si è sentito perfino investito della responsabilità di essere il Paese che il Papa ha scelto in Asia per recarvicisi.
D. – Nella Cattedrale di Myeongdong di Seul, il Santo Padre celebrerà la Messa per la pace e la riconciliazione, uno dei momenti più attesi del popolo coreano...
R. – Credo che questa visita possa essere il momento opportuno per riconfermare l’inutilità di questa divisione che percorre la penisola coreana ancora nel 2014. La visita del Pontefice potrebbe essere sicuramente un "ponte” atto a lenire le differenze che ci sono in atto tra i due Paesi.

23/06/2014 fonte: Radio vaticana

Il Papa: amiamo gli altri senza misura. La tortura è peccato mortale

L’Eucaristia è la dimostrazione che "la misura dell’amore di Dio è amare senza misura”. Lo ha affermato Papa Francesco all’Angelus recitato in Piazza San Pietro, davanti a migliaia di persone. Il Papa ha incentrato la riflessione sulla solennità odierna del Corpus Domini, quindi ha levato tra gli applausi una "ferma condanna” contro la tortura, ricordandone le vittime che saranno al centro della Giornata Onu del 26 giugno. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Un corpo "spezzato” per amore degli altri, come fu il Corpus Domini, il Corpo di Gesù, il quale all’umanità non donò "qualcosa” ma "sé stesso”. È questa la vocazione più autentica di un cristiano che nasce dall’Eucaristia. La comunione al Corpo di Gesù, afferma Papa Francesco, innesca un cambiamento radicale, un’imitazione di Gesù, il quale spezzò nel pane la sua stessa carne, mentre per noi, indica il Papa, si traduce in "comportamenti generosi verso il prossimo, che dimostrano l’atteggiamento di spezzare la vita per gli altri”:
"Ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa e ci nutriamo del Corpo di Cristo, la presenza di Gesù e dello Spirito Santo in noi agisce, plasma il nostro cuore, ci comunica atteggiamenti interiori che si traducono in comportamenti secondo il Vangelo. Anzitutto la docilità alla Parola di Dio, poi la fraternità tra di noi, il coraggio della testimonianza cristiana, la fantasia della carità, la capacità di dare speranza agli sfiduciati, di accogliere gli esclusi”.
Lo "stile di vita cristiano” matura così. L’Eucaristia, dice Papa Francesco, nutre il cuore che diventa "aperto”, è un cibo che "rende capaci di amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la misura di Dio”:
"E qual è la misura di Dio?  cioè Senza misura! La misura di Dio è senza misura. Tutto! Tutto! Tutto! Non si può misurare l’amore di Dio: è senza misura!  E allora diventiamo capaci di amare anche chi non ci ama: e questo non è facile, eh? Amare chi non ci ama… Non è facile! Perché se noi sappiamo che una persona non ci vuole bene, anche noi abbiamo la voglia di non volerle bene. E no! Dobbiamo amare anche chi non ci ama!”.
Un pane spezzato per amore, prosegue Papa Francesco, si oppone al male con il bene, e perdona, condivide, accoglie. E scopre la "vera gioia”, quella di "farsi dono” per ricambiare il "grande dono che per primi” si è ricevuto, "senza nostro merito”:
"E’ bello questo: la nostra vita si fa dono! Questo è imitare Gesù. Io vorrei ricordare queste due cose. Primo: la misura dell’amore di Dio è amare senza misura. E’ chiaro questo? E la nostra vita, con l’amore di Gesù, ricevendo l’Eucaristia, si fa dono. Com’è stata la vita di Gesù. Non dimenticare queste due cose: la misura dell’amore di Dio e amare senza misura. E seguendo Gesù, noi – con l’Eucaristia – facciamo della nostra vita un dono”.
E di corpi spezzati – non per amore ma per una delle più orribili violenze umane – Papa Francesco parla dopo la recita dell’Angelus, ricordando le vittime della tortura e la Giornata loro dedicata dall’Onu il 26 giugno prossimo. Quello che il Papa leva dalla sua finestra è un grido che vibra di sdegno:
"In questa circostanza ribadisco la ferma condanna di ogni forma di tortura e invito i cristiani ad impegnarsi per collaborare alla sua abolizione e sostenere le vittime e i loro familiari. Torturare le persone è un peccato mortale! Un peccato molto grave!”.

23/06/2014 fonte: Radio vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 13/06/2014 Sant'Antonio da Padova sacerdote e dottore della chiesa



Fernando di Buglione nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all'Ordine dei Canonici regolari di Sant'Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all'ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l'ordine dei Canonici Regolari di Sant'Agostino. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici regolari agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa.Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi.
Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell'abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s'imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell'ordine per l'Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell'eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all'ordinazione di nuovi sacerdoti dell'ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.
E' mariologo, convinto assertore dell'assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito "arca del Testamento". Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d'asma ed è gonfio per l'idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.
A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell'Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano "guerre intestine" tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a MaterDomini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato "frutto del peccato" secondo l'uomo per testimoniare l'innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
Antonio fu canonizzato l'anno seguente la sua morte dal papa Gregorio IX.
La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.
Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.


Una colletta per donare il cibo a milioni di affamati

di Stefano Magni

Il Banco Alimentare esiste dal 1989, per raccogliere prodotti alimentari da donatori volontari e ridistribuirlo ai bisognosi. Oggi i bisognosi sono molti di più, ma il cibo a disposizione è molto meno. E per la prima volta in 25 anni di storia, il Banco Alimentare deve organizzare una colletta straordinaria, o "Stracolletta”, domani sabato 14 giugno. Il cibo manca, perché esiste, prima di tutto, un problema di organizzazione. Un problema europeo, non solo italiano. L’Agea era l’agenzia italiana che si occupava dei rifornimenti alimentari, in base al programma europeo (Pead) di aiuto agli indigenti. Aiuti che arrivavano non solo al Banco Alimentare, ma anche Associazione Sempre Insieme per la pace, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Croce Rossa Italiana, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli e Fondazione Banco delle Opere di Carità. Finora aveva funzionato molto bene, ma il 31 dicembre ha chiuso i battenti il programma Pead, non tanto per decisione politica, quanto perché sono esaurite le scorte di prodotti eccedenti su cui si fondava. Come raramente accade per le burocrazie e le agenzie pubbliche, le testimonianze degli operatori del settore ne parlavano bene, come di un ente efficiente e scrupoloso nei controlli: ogni pacco alimentare timbrato Agea doveva essere destinato a uno specifico nome. L’Unione Europea non lascerà scoperti gli indigenti per sempre. Ha già provveduto a sostituire il Pead, con un altro programma, il Fead, che sarà più elastico e lascerà ai singoli stati membri la decisione su come destinare gli aiuti, se sempre in alimenti o in altri beni di prima necessità. Una cosa è certa, però: il periodo di interregno è caratterizzato dall’incertezza più completa e gli enti caritativi locali hanno raschiato il fondo delle riserve. Chi opera nel settore non ha alcuna idea di come e quando verrà organizzata la distribuzione degli aiuti, a livello nazionale ed europeo. E a complicare le cose è stato il cambio di governo, che ha portato al consueto periodo di impasse e riorganizzazione di tutte le attività dipendenti dal pubblico sul suolo italiano.

Questo momento di interregno da un sistema all’altro, è cascato proprio nel mezzo della peggior crisi alimentare della storia italiana recente. Abbiamo infatti 8 milioni e mezzo di persone che non possono permettersi un’alimentazione degna di questo nome. Secondo l’ultimo rapporto Istat, infatti, il 14,3% dei residenti in Italia non riesce a permettersi un pasto adeguato nell’arco di due giorni. Di questi 8 milioni e mezzo, sempre secondo Istat, circa 4,8 milioni vivono in una condizione di "povertà assoluta”, cioè hanno difficoltà a reperire il "paniere di sopravvivenza («beni e servizi essenziali, in modo da conseguire uno standard di vita minimamente accettabile» secondo la definizione dell’Istat). Affidarsi alle donazioni volontarie è diventato più difficile, proprio per l’abbassamento generale del tenore di vita, che induce le famiglie a donare meno e a conservare più cibo per sé, oltre che a risparmiare sulla stessa spesa.

Eppure c’è spazio anche per gli sprechi. Il Banco Alimentare calcola che l’equivalente di 12,3 miliardi (non milioni, ma: miliardi) di euro di cibo vengono sprecati ogni anno. Si parla anche di agricoltori che distruggono i loro raccolti in massa, se risultano anti-economici. Nel programma La Gabbia  su La7, il 4 giugno scorso, abbiamo visto un agricoltore all’opera, distruggere casse su casse di melanzane, perché anti-economiche. L’agricoltore dava tutta la colpa all’Ue e alle sue regole, rea di "permettere la concorrenza”, dunque di abbassare i prezzi (e quindi di rendere il cibo più accessibile anche ai meno abbienti...). Piuttosto che vendere sottocosto, quell’agricoltore preferiva distruggere tutto. Il Banco Alimentare serve proprio a raccogliere quel che non si vuol vendere: piuttosto che distruggere, meglio regalare agli affamati.

13/06/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana


Sei nuovi Santi il 23 novembre, Festa di Cristo Re
La Chiesa universale sarà presto arricchita di sei nuovi Santi: saranno canonizzati il prossimo 23 novembre nella Festa di Cristo Re dell’Universo. L’annuncio stamane al termine del Concistoro tenuto da Papa Francesco nel Palazzo Apostolico in Vaticano. Il servizio di Roberta Gisotti:

Sei i Beati presto Santi, cinque uomini e una donna, tra loro due indiani, Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore, della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo, e il sacerdote Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia, fondatore della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata, vissuti entrambi nell’800. Poi abbiamo tre seguaci di San Francesco, apostoli della carità in tempi lontani e contesti diversi. Amato Ronconi, terziario, nato intorno al 1226 fondatore dell’Ospedale dei Poveri Pellegrini in Saludecio, in Emilia Romagna ora Casa di Riposo Opera Pia a lui intitolata. Ludovico da Casoria, località campana, dove nacque nel 1814 al secolo Arcangelo Palmentieri, dell’Ordine dei Frati Minori, fondatore delle Suore Francescane Elisabettine, dette Bigie. E, Nicola Saggio da Longobardi, vissuto nel ‘600, nativo della Calabria, oblato professo dell’Ordine dei Minimi. Infine Giovanni Antonio Farina, noto come vescovo dei poveri a Vicenza, fondatore nel 19 secolo delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori.  

13/06/2014 fonte Radio Vaticana


Papa Francesco: i Mondiali siano festa di solidarietà tra i popoli






"Possa questa Coppa del Mondo svolgersi con tutta la serenità e la tranquillità, sempre nel reciproco rispetto, nella solidarietà e nella fraternità tra uomini e donne che si riconoscono membri di un’unica famiglia”.  Questo l’augurio di Papa Francesco in occasione della Coppa del Mondo di calcio che prende il via oggi in Brasile, in un videomessaggio trasmesso dalla Tv brasiliana "Rete Globo”. Il servizio di Roberto Piermarini:


Il Papa si augura  che "oltre ad una festa di sport, questa Coppa del mondo di calcio possa trasformarsi in una festa di solidarietà tra i popoli”. "Lo sport infatti è uno strumento – dice il Papa – per comunicare i valori che promuovono il bene della persona umana e aiutano a costruire una società più pacifica e fraterna. Pensiamo alla lealtà, alla perseveranza, all’amicizia , alla condivisione ed alla solidarietà. Quindi Papa Francesco indica tre lezioni della pratica sportiva, tre atteggiamenti essenziali in favore della pace: la necessità di "allenarsi”, il "fair play” ed il rispetto degli avversari. Se per vincere è necessario allenarsi, "possiamo vedere, in questa pratica sportiva, una metafora della nostra vita”.
"Nella vita è necessario lottare, ‘allenarsi’, impegnarsi per ottenere risultati importanti. Lo spirito sportivo ci rimanda in tal modo, un’immagine dei sacrifici necessari per crescere nelle virtù che costruiscono il carattere di una persona. Se per migliorare una persona  è necessario un "allenamento” intenso e continuo – afferma il Papa -  ancora più impegno dovrà essere investito per  arrivare all’incontro e alla pace tra individui e tra i popoli ‘migliorati’!”.
Importante anche il ‘fair play’ perché "il calcio può e deve essere una scuola per la formazione di una cultura dell’incontro, che porti armonia e pace tra i popoli”. "Per vincere -  afferma Francesco – bisogna superare l’individualismo, l’egoismo, tutte le forme di razzismo, di intolleranza e di strumentalizzazione della persona umana. Quindi, essere ‘individualisti’ nel calcio rappresenta un ostacolo al successo della squadra; ma se siamo ‘individualisti’ nella vita, ignorando le persone che ci circondano, ne riceve un pregiudizio l’intera società”.
Infine il Papa sottolinea che "il segreto della vittoria sul campo, ma anche nella vita, risiede nel saper rispettare il mio compagno di squadra, come pure il mio avversario. Nessuno vince da solo, né in campo, né nella vita! Che nessuno si isoli e si senta escluso! E, se è vero che al termine di questi Mondiali, solamente una squadra nazionale potrà alzare la coppa come vincitore, imparando le lezioni che lo sport ci insegna, tutti saremo vincitori, rafforzando i legami che ci uniscono”.
 
E con un tweet Papa Francesco ha augurato "a tutti uno splendido Mondiale di Calcio, giocato con spirito di vera fraternità”, a poche ore dal calcio di inizio della Coppa del mondo, con il match Brasile-Croazia. Cecilia Seppia ha chiesto un commento alle parole del Pontefice, nel videomessaggio, al collega della redazione brasiliana Silvonei Protz:
R. - Naturalmente il calcio per i brasiliani, ed anche per i latino americani, è un importante elemento di aggregazione. Il Papa conosce molto bene questa realtà, perché lui è un grande tifoso del San Lorenzo (squadra argentina ndr). Sono sicuro che guarderà il mondiale tifando per la sua Argentina. Ma il Papa fa un discorso non soltanto alla società del calcio, ma alla società in generale, ricordando anche, per un certo verso, che la pace deve essere al centro di tutto. Nel suo messaggio, il Papa mette l’accento sul fatto che dobbiamo superare il razzismo; il calcio deve essere una scuola di costruzione per una cultura dell’incontro che permetta la pace, l’armonia tra le persone. Credo che in questo Brasile ora in subbuglio anche con le manifestazioni, con gli scioperi, il Papa dà una linea, una direzione da seguire.
D. - Accennavi alle manifestazioni, agli scioperi che ci sono stati anche di protesta proprio per questo Mondiale. Il calcio può far bene al Brasile in questo momento?
R. - Credo che il calcio abbia sempre fatto bene ai brasiliani, perché era, è, momento di aggregazione anche quando ci sono queste partite -  parlo di Maracanã, di Morumbi, di questi grandi stadi in Brasile - perché si aspettava sempre durante tutta la settimana il momento di andare allo stadio. Il calcio è stato, per molto tempo, quasi un’anestesia per le rivendicazioni popolari. Questa volta è interessante guardare la situazione da una prospettiva esterna: il calcio che in Brasile è l’elemento che aggrega, sembra che in questo momento sia un elemento di disaggregazione; ma io non credo che sia così. Il fatto che il Brasile ospiti i Mondiali di calcio fa vedere che il Paese ha una storia enorme da percorrere, perché qui c’è ancora una diseguaglianza molto prepotente. Abbiamo fatto un enorme salto di qualità negli ultimi anni, ma c’è ancora tanto da fare, tanto da percorrere. Altro elemento principale sono le politiche che il governo fa verso la gente; è per questo che la gente in questo momento sta manifestando. Non sta manifestando contro il calcio in se stesso, ma contro gli sprechi che hanno fatto per montare un grande circo, un grande spettacolo, in quanto la gente ha ancora bisogno di essere concretamente servita da uno Stato.
D. - Il Papa ha voluto sottolineare tre lezioni della pratica sportiva che poi concorrono alla causa della pace: la necessità di allenarsi, il fair play e il rispetto degli avversari.
R. - Senz’altro, noi dobbiamo allenarci. L’allenamento di cui parla il Papa dobbiamo farlo  anche nel nostro quotidiano. Il giorno che ci fermiamo siamo finiti! Dobbiamo sempre migliorare! Uno che non si allena non raggiunge obiettivi, ma questo deve valere anche nella nostra vita quotidiana! Quando il Papa parla di fair play invece si riferisce a questa dimensione del rispetto verso l’altro e riconoscerlo. Quando parliamo di tutto questo, viene fuori la dimensione della pace.
D. - Quindi rispettare l’altro, evitare l’individualismo, che poi porta al razzismo all’intolleranza e, a tal proposito, evitare anche un atteggiamento che il Papa descrive usando una parola particolare in portoghese …
R. - Il Papa usa una parola molto interessante in portoghese: "fominha" che significa tutto per sé. In Brasile la usiamo per indicare quella persona che durante una partita di pallone non passa la palla, vuole fare tutto da solo. Il Papa dice: "Non si può risolvere tutto da soli, dipende dall’altro, giochiamo insieme”. Questa è la vera lezione che il Papa dà. Lo sport ci può aiutare anche in questa dimensione: dobbiamo dipendere dagli altri per risolvere. Non arriviamo al portiere, al goal, se non passando la palla.
D. - Ecco l’invito a tutte le squadre a rafforzare quindi i legami che uniscono... possiamo però fare a questo punto anche un auspicio per tua nazionale e per la nostra?
R. - Quando oggi ci sarà il primo tocco di pallone, ogni nazione si unirà: questa è una cosa fantastica! Credo sia questo il messaggio. Ogni persona diventa un tifoso non solamente di 11 giocatori che corrono dietro un pallone, ma di qualcosa che rappresenta molto di più di questo: un’unità nazionale, un ideale. Perciò forza Brasile! Forza Italia!

13/06/2014 fonte Radio vaticana


Iraq, i Jaidisti avanzano. Il vescovo di Mosul invoca la pace

di Alessandro Guarasci

Sembra non conoscere sosta l’avanzata dei ribelli legati ad Al Qaida in Iraq. Decine di americani - civili e contractor - sono stati evacuati nelle ultime ore dalla base militare irachena di Balad, uno dei maggiori centri di addestramento del Paese. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha assicurato che Obama prenderà decisioni in breve tempo. 
La Casa Bianca esclude nell’immediato l’invio di truppe sul campo, ma presto gli Usa potrebbero intervenire in altro modo. Obama afferma che Bagdad avrà bisogno di ulteriore assistenza americana. Dunque sono possibili azioni militari anche se non se ne conosce l’entità. Contatti sono in corso tra la Casa Bianca e i vertici iracheni.
E’ certo comunque che già dallo scorso anno, gli Stati Uniti stanno segretamente impiegando un ridotto numero di droni in Iraq per raccogliere informazioni di intelligence sugli insorti. E’ certo comunque che l’avanzata dei miliziani jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante continua in tutto il Paese. Circondata la raffineria di Baji, a nord di Baghdad, una delle più importanti del Paese. Gli estremisti minacciano di marciare anche sulla capitale Bagdad. Evacuata poi la base militare di Balad. Intanto migliaia di persone stanno fuggendo dalle zone soggette ai combattimenti.
Il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, il cardinale Sandri, segue con "preoccupazione l'aggravarsi della già delicata situazione in Iraq". In pericolo anche tanti Cristiani
Drammatica dunque la situazione a Mosul, dove i profughi sono mezzo milione. Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente il vescovo caldeo della città, mons. Emil Shimoun Nona:
R. – Quasi tutte le famiglie che sono fuggite dalla città sono senza niente. Abbiamo cercato di trovare posti nei paesi della Pianura di Ninive; ci sono famiglie nelle aule di catechismo, nelle sale delle Chiese, nelle case vecchie di questi paesi. Poi, ce ne sono altri nelle tende, vicino al Kurdistan. Perciò la situazione non va bene e se in questi giorni la situazione rimarrà così, questa gente avrà bisogno di aiuto, di aiuto urgente.
D. – La popolazione civile di questi paesi dove i profughi si sono rifugiati, come sta aiutando, come sta reagendo?
R. –Hanno cominciato ad aiutare questa gente con tutto quello che hanno ma non è possibile che questa gente aiuti per lungo tempo gli altri che sono venuti, perché la capacità di questa zona, in questo momento, non è un granché, perciò bisogna aiutarli in un altro modo.
D. – Cosa si potrebbe fare, cosa si dovrebbe fare?
R. – Prima di tutto un aiuto urgente di cibo, di acqua ed altre cose necessarie per vivere, soprattutto con questo clima che qui è abbastanza caldo.
D. – I jihadisti stanno continuando la loro avanzata. Da questo punto di vista com’è da voi la situazione, parlano di Chiese e conventi bruciati…
R. – Una chiesa della mia diocesi è stata saccheggiata, ieri e l’altro ieri, da parte di alcune persone. Non si sa chi siano queste persone, militanti, o ladri; non lo sappiamo esattamente. Quello che sappiamo è che i vicini della chiesa e le famiglie musulmane hanno cercato di difendere la chiesa. Ci sono riusciti abbastanza ma, ieri e l’altro ieri, alcuni ladri, o persone armate, sono entrati in Chiesa ed hanno rubato tutto quello che c’era. Un’altra chiesa è bruciata, ma non era esattamente una chiesa: era una struttura della Chiesa armena, e prima della caduta di Mosul c’era l’esercito in questa struttura.
D. – In questa situazione veramente di emergenza, in cui c’è bisogno di aiuto, come sta reagendo la popolazione musulmana? I civili musulmani, le famiglie musulmane danno anche loro un aiuto?
R. – Certo, certo! Ci sono famiglie che difendono le case dei cristiani, le chiese, ma sicuramente ce ne sono anche altri che non fanno tutto questo. In generale, però, i vicini delle chiese stanno reagendo in modo buono. La gente sente che non può fare niente, adesso con i militanti, o jihadisti: quella che parla è la lingua della forza, la lingua delle armi. È quella la lingua adesso.
D. – C’è un appello che lei vuole fare a chi ci sta ascoltando attraverso i microfoni della Radio vaticana?
R. – Prima di tutto noi vogliamo che la pace torni nella nostra città, in tutto l’Iraq, perché è molto importante che la gente viva in pace, in serenità. Tutto il popolo iracheno si è stancato di questa situazione e la nostra città di Mosul di più, perché da anni abbiamo questa situazione. Vogliamo vivere in pace, con dignità umana. Poi, la seconda cosa è che bisogna aiutare anche questa gente che adesso si trova fuori dalla città, tantissime famiglie musulmane, cristiane sono fuori dalla città e bisogna trovare il modo o di farle tornare nelle loro case, o di dare loro un aiuto.

13/06/2014 fonte. Radio vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 05/06/2014 San Bonifacio vescovo e martire


Senza l'opera missionaria di S. Bonifacio non sarebbe stata possibile l'organizzazione politica e sociale europea di Carlo Magno. Bonifacio o Winfrid sembra appartenesse a una nobile famiglia inglese del Devonshire, dove nacque nel 673 (o 680). Professò la regola monastica nell'abbazia di Exeter e di Nurslig, prima di dare inizio all'evangelizzazione delle popolazioni germaniche oltre il Reno. Il suo primo tentativo di raggiungere la Frisia andò a vuoto per l'ostilità tra il duca tedesco Radbod e Carlo Martello. Winfrid compì allora il pellegrinaggio a Roma per pregare sulle tombe dei martiri e avere la benedizione del papa. S. Gregorio II ne assecondò lo slancio missionario e Winfrid ripartì per la Germania. Sostò nella Turingia, quindi raggiunse la Frisia, appena assoggettata dai Franchi, e vi operò le prime conversioni. In tre anni percorse gran parte del territorio germanico.
Anche i Sassoni risposero con entusiasmo alla sua predicazione. Convocato a Roma, ebbe dal papa l'ordinazione episcopale e il nuovo nome di Bonifacio. Durante il viaggio di ritorno in Germania in un bosco di Hessen fece abbattere una gigantesca quercia alla quale le popolazioni pagane attribuivano magici poteri perché ritenuta sede di un dio. Quel gesto fu ritenuto una vera sfida alla divinità e i pagani accorsero per assistere alla vendetta del dio offeso. Bonifacio ne approfittò per recare loro il messaggio evangelico. Ai piedi della quercia abbattuta eresse la prima chiesa dedicata a S. Pietro.
Prima di organizzare la Chiesa sulla riva destra del Reno pensò alla fondazione, tra le regioni di Hessen e Turingia, di un'abbazia, che divenisse il centro propulsore della spiritualità e della cultura religiosa della Germania. Nacque così la celebre abbazia di Fulda, paragonabile per attività e prestigio alla benedettina Montecassino. Come sede arcivescovile scelse la città di Magonza, ma espresse il desiderio di essere sepolto a Fulda.
Già vecchio, eppur infaticabile, ripartì per la Frigia. Lo accompagnavano una cinquantina di monaci. Il 5 giugno 754 aveva dato l'appuntamento presso Dokkum a un gruppo di catecumeni. Era il giorno di Pentecoste; all'inizio della celebrazione della Messa i missionari vennero assaliti da un gruppo di Frisoni armati di spade. "Non temete - disse Bonifacio ai compagni - tutte le armi di questo mondo non possono uccidere la nostra anima". Quando la spada di un infedele si abbatté sul suo capo, cercò di ripararsi coprendosi con l'Evangeliario. Ma il fendente sfregiò il libro e mozzò il capo del martire.
Fu il fondatore dell'abbazia di Fulda (Germania), dove è sepolto.
La Chiesa lo venera come santo dal 1828.


Papa: l'unità nella Chiesa la fa lo Spirito Santo, non gli "uniformisti", gli "alternativisti" e i "vantaggisti"


"Tanti dicono di essere nella Chiesa", ma "sono con un piede dentro" e "l'altro ancora non è entrato". Come quei gruppi che vogliono "uniformità" o vogliono portarvi una propria ideologia o fare affari. "Per questi la Chiesa non è casa loro, non è propria. Affittano la Chiesa ad un certo punto". 


Città del Vaticano (AsiaNews) - A fare l'unità nella Chiesa, "l'unità nella diversità, nella libertà, nella generosità soltanto è lo Spirito Santo" e non quei gruppi che vogliono "uniformità" o vogliono portarvi una propria ideologia o fare affari. L'ha detto il Papa nella messa che ha celebrato stamattina a Casa santa Marta, mettendo in guardia contro coloro che ha definito gli "uniformisti", gli "alternativisti" e i "vantaggisti".

Il Papa, riferisce la Radio Vaticana, ha preso spunto dal Vangelo del giorno, là dove Gesù prega per la Chiesa e chiede al Padre che tra i suoi discepoli "non ci siano divisioni e liti". "Tanti - ha osservato - dicono di essere nella Chiesa", ma "sono con un piede dentro" e "l'altro ancora non è entrato". Si riservano, così, la "possibilità di essere in ambedue i posti", "dentro e fuori". "Per questa gente la Chiesa non è la loro casa, non la sentono come propria. Per loro è un affitto". Ci sono "alcuni gruppi che affittano la Chiesa, ma non la considerano la loro casa".

Il Papa ha enumerato tre gruppi di cristiani: nel primo ci sono "quelli che vogliono che tutti siano uguali nella Chiesa". "Martirizzando un po' la lingua italiana",  potremmo definirli gli "uniformisti". "L'uniformità. La rigidità. Sono rigidi! Non hanno quella libertà che dà lo Spirito Santo. E fanno confusione fra quello che Gesù ha predicato nel Vangelo con la loro dottrina, la loro dottrina di uguaglianza. E Gesù mai ha voluto che la sua Chiesa fosse così rigida. Mai. E questi, per tale atteggiamento, non entrano nella Chiesa. Si dicono cristiani, si dicono cattolici, ma il loro atteggiamento rigido li allontana dalla Chiesa".

Un altro gruppo è fatto di quelli che hanno sempre una propria idea, "che non vogliono che sia come quella della Chiesa, hanno un'alternativa". Sono gli "alternativisti". "Io entro nella Chiesa, ma con questa idea, con questa ideologia. E così la loro appartenenza alla Chiesa è parziale. Anche questi hanno un piede fuori della Chiesa. Anche per questi la Chiesa non è casa loro, non è propria. Affittano la Chiesa ad un certo punto. Al principio della predicazione evangelica ce n'erano! Pensiamo agli gnostici, che l'apostolo Giovanni bastona tanto forte, no? 'Siamo... sì, sì... siamo cattolici, ma con queste idee'. Un'alternativa. Non condividono quel sentire proprio della Chiesa".

E il terzo gruppo è di quelli che "si dicono cristiani, ma non entrano dal cuore nella Chiesa": sono i "vantaggisti", quelli che "cercano i vantaggi, e vanno alla Chiesa, ma per vantaggio personale, e finiscono facendo affari nella Chiesa". "Gli affaristi. Li conosciamo bene! Ma dal principio ce n'erano. Pensiamo a Simone il mago, pensiamo ad Anania e a Saffira. Questi approfittavano della Chiesa per il proprio profitto. E li abbiamo visti nelle comunità parrocchiali o diocesane, nelle congregazioni religiose, alcuni benefattori della Chiesa, tanti, eh! Si pavoneggiavano di essere proprio benefattori e alla fine, dietro il tavolo, facevano i loro affari. E questi, anche, non sentono la Chiesa come madre, come propria. E Gesù dice: 'No! La Chiesa non è rigida, una, sola: la Chiesa è libera!'".

Nella Chiesa "ci sono tanti carismi, c'è una grande diversità di persone e di doni dello Spirito!". Il Signore ci dice: "Se tu vuoi entrare nella Chiesa, che sia per amore", per dare "tutto il cuore e non per fare affari a tuo profitto". La Chiesa "non è una casa da affittare", la Chiesa "è una casa per vivere", "come madre propria". Questo non è facile, perché "le tentazioni sono tante". Ma a fare l'unità nella Chiesa, "l'unità nella diversità, nella libertà, nella generosità soltanto è lo Spirito Santo", "questo è il suo compito". Lo Spirito Santo "fa l'armonia nella Chiesa. L'unità nella Chiesa è armonia". Tutti, "siamo diversi, non siamo uguali, grazie a Dio", altrimenti "sarebbe un inferno!". E "tutti siamo chiamati alla docilità allo Spirito Santo". Proprio questa docilità è "la virtù che ci salverà dall'essere rigidi, dall'essere 'alternativisti' e dall'essere 'vantaggisti' o affaristi nella Chiesa: la docilità allo Spirito Santo". Ed è proprio "questa docilità che trasforma la Chiesa da una casa in affitto ad una casa propria". "Che il Signore  - è stata la sua conclusione - ci invii lo Spirito Santo e che faccia questa armonia nelle nostre comunità - comunità parrocchiali, diocesane, comunità dei movimenti - che sia lo Spirito a fare questa armonia, perché come diceva un Padre della Chiesa: Lo Spirito, Lui stesso è l'armonia". 

05/06/2014 fonte: Asia news

Non vogliamo più sentire il nome di Gesù Cristo». Nigeria. Boko Haram massacra 200 cristiani in tre giorni




Non vogliamo più sentire il nome di Gesù Cristo» in Nigeria. Questa frase gridata da un membro di Boko Haram a gennaio, secondo Portes Ouvertes, durante uno dei molteplici attacchi che hanno sconvolto il nord del paese nell’ultimo anno, riassume perfettamente l’ideologia mortale che ha guidato gli islamisti nelle stragi di questa settimana.
CRISTIANI MASSACRATI. Secondo l’Independent in totale i terroristi hanno ucciso almeno 200 persone, in maggioranza cristiani, negli attacchi di domenica e martedì ai villaggi di Attagara, Agapalwa e Aganjara nel nord della Nigeria. Domenica scorsa Boko Haram ha attaccato la chiesa di Attagara durante la Messa uccidendo circa 20 persone. Il giorno dopo, per vendetta, alcuni giovani del villaggio hanno cercato e ucciso una trentina di miliziani islamisti. Questi sono allora tornati nel villaggio e in quelli vicini per rappresaglia massacrando al grido di «Allahu Akbar» almeno 200 persone.
«UCCISI UNO A UNO». Come dichiarato alla Bbc da Peter Biye, parlamentare di Gwoza, distretto amministrativo dell’area dove sono avvenuti gli attacchi, martedì «i membri di Boko Haram sono arrivati nel villaggio di Attagara su 200 o 300 motociclette. Hanno riunito i membri del villaggio davanti alla chiesa. Erano travestiti da soldati e li hanno ingannati, affermando che erano lì per proteggerli e salvarli. Poi all’improvviso hanno aperto il fuoco e li hanno uccisi tutti, uno a uno, raggiungendo anche quelli che si erano rifugiati nella boscaglia».
«QUESTO SANGUE VI GIUDICHERÀ». Una donna del villaggio è riuscita a scappare con uno dei suoi figli, l’altro è stato sgozzato dai terroristi, e ha raccontato a Voice of the persecuted alcuni episodi del massacro. «Un anziano prima di essere trafitto e decapitato, ha detto loro: "Se non vi pentite dell’uccisione di tanti cristiani innocenti che credono in Gesù, il loro sangue vi giudicherà”». Un altro testimone riuscito a scappare ha dichiarato: «Com’è possibile che siano riusciti a passare dai check-point dei militari senza essere fermati o arrestati? C’è una base militare vicina al nostro villaggio, nessuno è venuto ad aiutarci. Eppure l’attacco è durato sei ore».
BANDIERE DI BOKO HARAM. Secondo Biye, in realtà, «fino a qualche mese fa quell’area era protetta dai militari, ma sono stati tutti trasferiti. Non so perché. Quei villaggi erano totalmente sguarniti e alla mercé dei terroristi». Tutte le case e la chiese del villaggio e di quelli vicini sono andate distrutte. Oggi non rimane più niente, tranne una cosa, come dichiarato ancora da Biye: «I terroristi di Boko Haram hanno piantato sul terreno dei villaggi la loro bandiera».

05/06/2014 fonte: Tempi.it


Africa, cristianesimo forgiato nel sangue

di Anna Bono

Sono rientrati in Italia la sera del 3 giugno padre Gianantonio Allegri e padre Gianpaolo Marta, i missionari vicentini fidei donum rapiti il 4 aprile scorso in Camerun insieme a una suora canadese, Gilberte Bussier, e liberati il 1° giugno. Erano stati sequestrati nella loro parrocchia di Tchéré della diocesi di Maroua-Makolo che si trova nella regione dell’Estremo Nord, al confine con la Nigeria.

Benché mai rivendicato, il rapimento si ritiene sia stato compiuto dai jihadisti nigeriani Boko Haram che in Camerun hanno creato diverse basi e rappresentano una crescente minaccia. Padre Allegri e padre Marta concentravano il loro impegno missionario in particolare sul miglioramento della rete idrica nella loro parrocchia e sulla lotta all’Aids. Erano ben voluti e apprezzati sia dalla popolazione che dalle autorità: può darsi che siano stati scelti proprio per questo da Boko Haram che combatte per sradicare il cristianesimo e qualsiasi influenza occidentale e affermare il dominio islamico in Nigeria e ovunque riesca a estendere il proprio raggio d’azione.

La bella notizia della loro liberazione giunge in un momento peraltro piuttosto difficile per i cristiani d’Africa che pure hanno tanto di che rallegrarsi, in particolar modo i cattolici, per i dati diffusi nei giorni scorsi dall’Annuario Pontificio: dati che, considerando l’arco di tempo dal 2008 al 2012, indicano l’Africa come il continente con il maggior incremento del clero, 24%, e delle religiose professe, 16,7% e nel complesso rilevano nel continente una crescita consistente di fedeli e religiosi, nel quadro positivo di un aumento mondiale dei cattolici del 10,2% che porta il loro numero globale da 1.115 a 1.229 milioni.

Ma è forse proprio per questo che i jihadisti hanno intensificato le loro azioni e hanno alzato il tiro, e per la più generale avanzata del cristianesimo che ormai in Africa è maggioritario in 31 paesi su 54 ed è la fede di oltre il 48,3% della popolazione, avendo sorpassato gli islamici che ne costituiscono il 40,4%.

Nel Nord del Mali, mai del tutto liberato dagli integralisti islamici che se ne erano impadroniti nel 2012, jihadisti e secessionisti tuareg hanno riconquistato uno dei capoluoghi, Kidal, e compiuto nuove stragi. Nella Somalia ufficialmente "pacificata”, dopo oltre 20 anni di guerra civile, gli attentati di al Shabaab, il movimento antigovernativo legato ad al Qaeda, si verificano di nuovo con frequenza crescente, persino nella capitale Mogadiscio dove il 24 maggio i terroristi sono riusciti ad attaccare il parlamento. Al Shabaab inoltre minaccia Kenya e Uganda per aver osato inviare truppe a sostegno del governo somalo. L’allarme riguarda prima di tutto chiese e altri edifici religiosi, già più volte colpiti in Kenya e adesso a rischio anche in Uganda, stando ai servizi di intelligence. «Le chiese sono state informate del pericolo – spiega il reverendo Mead Birungi intervistato il 22 maggio da World Watch Monitor – le forze di sicurezza tentano di proteggere i luoghi di culto, si insegna a sacerdoti e fedeli che aspetto hanno gli esplosivi affinché possano identificarli». «I kenyani non possono più frequentare i luoghi di culto senza paura – così il Cardinale John Njue, presidente della Conferenza episcopale del Kenya, ha commentato la situazione nel suo paese in un’altra intervista a World Watch Monitor – uno stato per anni considerato un’oasi di pace nella regione, è diventato campo d’azione dei terroristi».

Brutte notizie arrivano anche dal vicino Sudan. Meriam, la donna condannata a morte per apostasia perché pur essendo nata da padre islamico si professa cristiana, ha partorito una bambina il 27 maggio, in carcere. La legge prevede che per due anni l’esecuzione sia rinviata affinché possa allattare la figlia. Ma è stata anche condannata a 100 frustate per aver avuto rapporti sessuali illeciti dato che, essendo suo marito cristiano, il suo matrimonio non è considerato valido. I giudici avevano stabilito che la punizione le venisse inflitta dopo il parto e quindi adesso può essere ordinata in qualsiasi momento: è dunque una corsa contro il tempo quella dei suoi avvocati che tenteranno ogni grado di appello per salvarla. Intanto è giunta notizia di un’altra donna cristiana denunciata per apostasia. È successo il 2 aprile scorso. Faiza Abdalla, figlia di islamici convertiti al cristianesimo, si era recata negli uffici dell’anagrafe della sua città per ottenere un documento d’identità: alla sua dichiarazione di essere cristiana pur portando un nome musulmano è scattato l’arresto. L’8 aprile, inoltre, il suo matrimonio, anche nel suo caso con un cristiano, è stato annullato.

Ma è in Nigeria che la violenza jihadista infierisce nel modo più crudele, con frequenza ormai pressoché quotidiana: un crescendo iniziato dopo il rapimento delle studentesse di Chibok per cui il mondo ha twittato il proprio sdegno. Gli ultimi attentati di Boko Haram, il 3 giugno, hanno preso di mira almeno sei villaggi nello stato di Borno in cui vige lo stato d’emergenza da oltre un anno. Il più cruento si è verificato nel villaggio di Attagara dove i terroristi hanno radunato in una chiesa gli abitanti e poi hanno aperto il fuoco uccidendo molte persone, non meno di nove, secondo un primo rapporto.

Il rapimento delle studentesse ha indotto molti nigeriani a protestare pubblicamente per l’inerzia quando non la connivenza delle autorità che lasciano libertà d’azione ai terroristi. Quasi ogni giorno nella capitale Abuja si sono svolte nelle ultime settimane manifestazioni organizzate per chiedere al governo maggiore fermezza nel contrastare i jihadisti e più impegno nella ricerca delle allieve sequestrate. Per tutta risposta il 2 giugno la polizia ha deciso di proibire d’ora in poi le proteste con la motivazione che "pongono una seria minaccia alla sicurezza” perché dei soggetti pericolosi potrebbero unirsi ai dimostranti.

05/06/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Francesco: pietà non è compassione ma legame profondo con Dio





L’autentico significato della "pietà", dono dello Spirito Santo, che non è compassione, o "fingerci santi”, ma è il legame profondo con Dio che dà senso alla nostra vita, ci fa miti e gioiosi e ci rende davvero capaci di amare i fratelli. Questo il cuore della catechesi sviluppata da Papa Francesco all’udienza generale in una Piazza San Pietro assolata e gremita da circa 50 mila fedeli provenienti da tutto il mondo. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Un lungo giro tra i pellegrini iniziato ben prima delle 10.00 in Piazza San Pietro tra mani alzate, bandiere, abbracci con i bambini e con i malati: è il consueto saluto del Papa all’udienza di questo mercoledì, in cui ha ripreso la catechesi sui doni dello Spirito. Francesco si sofferma sulla pietà, dono, spiega, "tante volte frainteso o considerato in modo superficiale":
"Bisogna chiarire subito che questo dono non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, avere pietà del prossimo, ma indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati”.
Anche questo legame però, sottolinea il Papa, non è da intendersi "come un dovere o un’imposizione, bensì come una relazione vissuta col cuore”: è la nostra amicizia con Dio che ci riempie di gioia e quindi ci muove " quasi naturalmente” alla gratitudine e alla lode:
"Pietà, dunque, è sinonimo di autentico spirito religioso, di confidenza filiale con Dio, di quella capacità di pregarlo con amore e semplicità che è propria delle persone umili di cuore”.
E se la pietà ci fa crescere nella comunione con Dio ci aiuta anche, prosegue Papa Francesco, a riversare, in modo autentico questo amore su quanti incontriamo ogni giorno, "riconoscendoli come fratelli”. "E allora sì che saremo mossi da sentimenti di pietà” e non, altro fraintendimento possibile, di "pietismo”:
"Perché dico non di pietismo? Perché alcuni pensano che avere pietà è chiudere gli occhi, fare faccia di immaginetta, così, no? E anche fare finta di essere come un santo, no? Ma quello non è il dono della pietà”.
Pietà è dunque, secondo quanto descrive il Papa, essere realmente capaci di gioire o piangere, stare vicini o correggere, consolare o accogliere chi incontriamo ogni giorno. E forte è il rapporto della pietà con la mitezza, aggiunge parlando a braccio:
"Il dono della pietà che ci dà lo Spirito Santo ci fa miti, ci fa tranquilli, pazienti, in pace con Dio: al servizio con mitezza degli altri”.
"Chiediamo dunque al Signore”, è l’invocazione del Pontefice anche nei saluti in diverse lingue, ”che il dono del suo Spirito”, nell’avvicinarsi della Pentecoste, ci renda testimoni miti e gioiosi, del suo amore:
"Chiediamo al Signore che il dono del suo Spirito possa vincere il nostro timore, e le nostre incertezze, anche il nostro spirito inquieto, impaziente”.
Un pensiero speciale il Papa lo ha rivolto, alla fine dell’udienza, ai giovani polacchi riuniti al Santuario di Lednica affidandoli alla guida di San Giovanni Paolo II che lì, ha detto, "diciott’anni fa ha iniziato con voi il cammino: "ottenga per voi tutte le grazie necessarie affinché la vostra giovane vita sia piena e generosa”. Tra i pellegrini italiani, invece, il saluto particolare del Pontefice è andato ai partecipanti al pellegrinaggio Macerata -Loreto che inizerà sabato sera. Per loro la benedizione della fiaccola e poi un invito rivolto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli partecipanti al Convegno promosso dal Movimento dei Focolari, perché lo Spirito Santo, ha detto, abbia spazio nelle vostre vite e "vi conceda i doni della pietà e della fortezza".

05/06/2014 fonte: Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 27/05/2014 Sant' Agostino di Canterbury Vescovo



La Gran Bretagna, evangelizzata fin dai tempi apostolici (il primo missionario a sbarcarvi sarebbe stato, secondo la leggenda, Giuseppe di Arimatea), era ricaduta nell'idolatria in seguito all'invasione dei Sassoni nel quinto e nel sesto secolo. Quando il re del Kent, Etelberto, sposò la principessa cristiana Berta, figlia del re di Parigi, questa domandò che fosse eretta una chiesa e che alcuni sacerdoti cristiani vi celebrassero i santi riti. Appresa la notizia, il papa S. Gregorio Magno giudicò maturi i tempi per l'evangelizzazione dell'isola. La missione fu affidata al priore del monastero benedettino di S. Andrea sul Celio, Agostino, la cui dote precipua non doveva essere il coraggio, ma in compenso era tanto umile e docile.
Partito da Roma alla testa di quaranta monaci nel 597, fece tappa nell'isola di Lerino. Le notizie sul temperamento bellicoso dei Sassoni lo spaventarono al punto che se ne tornò a Roma a pregare il papa di mutargli programma. Per incoraggiarlo, Gregorio lo nominò abate e poco dopo, quasi ad invogliarlo al passo decisivo, appena giunto in Gallia, lo fece consacrare vescovo. Il viaggio procedette ugualmente a brevi tappe. Finalmente, con l'arrivo della primavera, presero il largo e raggiunsero l'isola britannica di Thenet, dove il re in persona, spintovi dalla buona consorte, andò ad incontrarli.
I missionari avanzavano verso il corteo regale in processione al canto delle litanie, secondo il rituale appena introdotto a Roma. Fu per tutti una felice sorpresa. Il re accompagnò i monaci fino alla residenza già fissata, a Canterbury, a mezza strada tra Londra e il mare, dove sorse la celebre abbazia che prenderà il nome di Agostino, cuore e sacrario del cristianesimo inglese. L'opera missionaria dei monaci ebbe un esito insperato, poiché lo stesso re domandò il battesimo, spingendo col suo esempio migliaia di sudditi ad abbracciare la religione cristiana.
A Roma la notizia venne accolta con gioia dal papa, che espresse la sua soddisfazione nelle lettere scritte ad Agostino e alla regina. Insieme con un gruppo di nuovi collaboratori, il santo pontefice inviò ad Agostino il pallio e la nomina ad arcivescovo primate d'Inghilterra, ma al tempo stesso lo ammoniva paternamente a non insuperbirsi per i successi ottenuti e per l'onore che l'alta carica gli conferiva. Seguendo le indicazioni del papa per la ripartizione in territori ecclesiastici, Agostino eresse altre due sedi vescovili, quella di Londra e quella di Rochester, consacrando vescovi Mellito e Giusto. Il santo missionario morì il 26 maggio del 604 e fu sepolto a Canterbury nella chiesa che porta il suo nome.


Il Papa al Cenacolo: da qui parte la “Chiesa in uscita” animata dallo Spirito

Si è concluso il viaggio apostolico di Papa Francesco in Terra Santa. Il Pontefice è partito poco prima delle 19.30 (ora italiana) dall'aeroporto di Tel Aviv alla volta di Ciampino. Ultimo atto della intensa visita del Papa è stata la Messa nella Sala del Cenacolo. Qui Gesù ha celebrato l’Ultima Cena con gli Apostoli, qui è apparso risorto in mezzo a loro, sempre qui è sceso lo Spirito Santo su Maria e i discepoli e qui è nata la Chiesa. Un luogo sempre conteso: affidato ai francescani, trasformato poi in moschea, oggi sotto il controllo dello Stato d’Israele. Al Cenacolo ha celebrato anche Giovanni Paolo II. Oggi non si parla più di restituzione ai francescani ma di possibile "uso liturgico” anche per i cristiani.  Questo non ha frenato, nei giorni scorsi, la protesta degli ebrei ultraortodossi che in questo luogo venerano quella che considerano la tomba di Davide e ne rivendicano il possesso. Francesco ha voluto celebrare con tutti gli Ordinari di Terra Santa ed il seguito papale. Da Gerusalemme, il nostro inviato Roberto Piermarini:


Al Cenacolo è nata la Chiesa, una ‘Chiesa in uscita’ che fa memoria di ciò che è accaduto in questo luogo, ha esordito Papa Francesco nell’omelia. Il Cenacolo, infatti, ci ricorda il servizio: Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli per dirci di servire il povero, il malato, l’escluso. Il Cenacolo ci ricorda l’Eucarestia, il sacrificio: sull’esempio di Gesù che si è offerto per noi al Padre, noi possiamo offrire a Dio la nostra vita, il nostro lavoro, le nostre gioie ed i nostri dolori.

Il Cenacolo – ha continuato Papa Francesco – ci ricorda l’amicizia: l’esperienza più bella del cristiano e dei sacerdoti è diventare amici del Signore Gesù. Il Cenacolo ci ricorda il congedo e la promessa che Gesù non ci abbandona mai. Il Cenacolo ci ricorda anche la meschinità, la curiosità e il tradimento. "E può essere ciascuno di noi – ha osservato – non solo e sempre gli altri, a rivedere questi atteggiamenti, quando guardiamo con sufficienza il fratello, lo giudichiamo; quando con i nostri peccati tradiamo Gesù”. Il Cenacolo, ha detto, "ci ricorda la condivisione, la fraternità, l’armonia, la pace tra noi":

"Quanto amore, quanto bene è scaturito dal Cenacolo! Quanta carità è uscita da qui, come un fiume dalla fonte, che all’inizio è un ruscello e poi si allarga e diventa grande… Tutti i santi hanno attinto da qui; il grande fiume della santità della Chiesa sempre prende origine da qui, sempre di nuovo, dal Cuore di Cristo, dall’Eucaristia, dal suo Santo Spirito”.

"Il Cenacolo - ha affermato ancora il Papa - ci ricorda la nascita della nuova famiglia, la Chiesa, costituita da Gesù risorto”. Una famiglia, ha soggiunto, che ha una Madre, la Vergine Maria. Le famiglie cristiane, ha detto, appartengono a questa grande famiglia e in essa trovano la forza per camminare e rinnovarsi, attraverso le fatiche e le prove della vita:

"Questo è l’orizzonte del Cenacolo: l’orizzonte del Risorto e della Chiesa. Da qui parte la Chiesa in uscita, animata dal soffio vitale dello Spirito. Raccolta in preghiera con la Madre di Gesù, essa sempre rivive l’attesa di una rinnovata effusione dello Spirito Santo: Scenda il tuo Spirito, Signore, e rinnovi la faccia della terra!”

Queste le ultime parole di Papa Francesco da Gerusalemme. Dal Cenacolo la Chiesa di Terra Santa ora è chiamata "ad uscire” per raccogliere il suo insegnamento, continuando a camminare sulle orme di Gesù.

27/05/2014 fonte: news.va

Francesco e Bartolomeo s'incontrano nella Basilica del Santo Sepolcro


La seconda giornata del Papa a Gerusalemme è culminata con la celebrazione ecumenica al Santo Sepolcro, preceduta da un incontro privato con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, nella delegazione apostolica. Nel 50.mo anniversario dello storico abbraccio tra Paolo VI ed il Patriarca Atenagora, per la prima volta nella storia della cristianità tutte le Chiese di Terra Santa hanno celebrato insieme: cattolici, greco-ortodossi, armeni, siriaci, copti, abissini ed altre confessioni cristiane. Il servizio di Roberta Gisotti:

"Facciamo appello ai cristiani, ai credenti di ogni tradizione religiosa e a tutti gli uomini di buona volontà, a riconoscere l’urgenza dell’ora presente, che ci chiama a cercare la riconciliazione e l’unità della famiglia umana, nel pieno rispetto delle legittime differenze, per il bene dell’umanità intera e delle generazioni future”. Cosi Francesco e Bartolomeo I nella Dichiarazione comune, firmata a sugellare il loro incontro privato "pienamente consapevoli di non avere raggiunto l’obiettivo della piena comunione”, ribadendo l’impegno "a camminare insieme verso l’unità” dei cristiani, ricercando pure "un autentico dialogo con l’Ebraismo, l’Islam e le altre tradizioni religiose”.
Francesco e Bartolomeo si sono impegnati a collaborare a "servizio all’umanità, specie in "difesa della dignità della persona umana in ogni fase della vita e la santità della famiglia basata sul matrimonio”, per promuovere la "pace” e il "bene comune” e rispondere "alle miserie che continuano ad affliggere il mondo”. Riconoscendo che "devono essere costantemente affrontati la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni”. "È nostro dovere - si legge nel testo - sforzarci di costruire insieme una società giusta ed umana, nella quale nessuno si senta escluso o emarginato”.
Quindi l’emozione di ritrovarsi insieme nel Santo Sepolcro, accolti dai tre Superiori delle comunità Greco-Ortodossa, Francescana ed Armena, che presiedono la Basilica. "E’ una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera”, ha detto Francesco:
"Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte”.
Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua:
"Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offerto sé stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla vita eterna. Le sue piaghe aperte sono il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia”.
"Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza":
"Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi 'i miei fratelli'”.
"Certo, non possiamo negare – ha ammesso Francesco - le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù” e "questo sacro luogo – ha aggiunto ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma”, ma le divergenze "non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino”:
"Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi”.
Poi l’auspicio rinnovato di trovare "una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti”.
Infine, il pensiero di Francesco è andato all’intera regione del Medio, "cosi spesso segnata da violenze e conflitti” e a tutti gli uomini e donne del Pianeta colpiti da guerre, povertà, fame, e ai cristiani perseguitati:
"Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non gli domandano se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani! Il sangue cristiano è lo stesso!”.
Le parole del Papa in sintonia con quelle del Patriarca Bartolomeo:
"Questa tomba - ha detto Bartolomeo I - irradia messaggi di coraggio, speranza e vita”. Il sepolcro vuoto indica la sconfitta sulla morte e sul male, non si abbia dunque paura della morte e del male, consapevoli che la storia non può essere programmata. "Qualsiasi sforzo dell’umanità contemporanea – ha sottolineato Bartolomeo - di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione”. Infine ci invita a respingere il timore forse più diffuso nella nostra era moderna, la paura dell’altro, del diverso, di chi ha un’altra fede. Bartolomeo ha quindi ricordato come l’incontro tra Paolo VI ed Atenagora, scacciando il timore che aveva tenuto divise per un millennio le due Chiese, "ha mutato la paura nell’amore. Questa è l’unica via affinché "tutti siano una cosa sola”.

27/05/2014 fonte: Radio Vaticana

Figli tolti alla famiglia e affidati a coppia gay

Una decisione della sezione che si occupa di diritto familiare dell’Alta Corte di giustizia inglese rischia di diventare una pietra miliare sulla strada dell’equiparazione della famiglia omosessuale a quella naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. 

Riepiloghiamo i fatti così come si possono apprendere dalle cronache locali (ne hanno parlato, tra gli altri, Bbc, The Independent e Daily Mail). Ad una coppia Rom di origine slovacca vengono sottratti i figli di due e quattro anni. La ragione di questa decisione risiede nel fatto che i genitori hanno non solo trascurato i due bambini, ma anche esagerato con le punizioni. Dalle testimonianze raccolte sono emersi episodi di percosse da parte del padre e sono state riscontrate condizioni di incuria, sporcizia e scarsa frequenza scolastica. Un degrado generale che ha dunque portato il Consiglio della Contea del Kent, che tra i suoi compiti ha anche quello di occuparsi degli interessi dei minori, a decidere per l’adozione dei due fratelli. 

Il Consiglio ha individuato in una coppia omosessuale, composta da due uomini, la "famiglia” a cui affidare i due bambini. Il ricorso avverso a questa scelta non si è fatto attendere e i due genitori si sono rivolti all’Alta Corte manifestando tutta la loro contrarietà. In particolare, come si evince non solo dai racconti degli organi di informazione, ma anche dalla sentenza stessa, la protesta della coppia è fondata su ragioni religiose (i due sono cattolici praticanti) e culturali (i genitori insistono molto sull’importanza delle loro origini). Innanzitutto va precisato che dalla sentenza emerge che la coppia ha da sempre respinto ogni osservazione circa il loro modo di fare i genitori, tanto da appellarsi anche alla Corte europea dei diritti umani. Corte che ha rigettato, nel dicembre del 2013, i ricorsi presentati separatamente da padre e madre. 

Ovviamente, a tutto ciò, si aggiunge la sorpresa per la scelta di una coppia gay per l’affidamento dei loro figli. Durante le audizioni, delle quali ampi stralci virgolettati sono riportati nella sentenza, i genitori dei due bambini hanno sottolineato che tale scelta è molto diversa da quella ragionevolmente prevedibile, soprattutto perché irrispettosa delle origini slovacche e della loro religione: «La Slovacchia non riconosce le unioni tra persone dello stesso sesso», hanno ricordato i due, e i bambini rischiano di crescere in una situazione conflittuale con quella fede cattolica che solo nell’unione sponsale tra uomo e donna riconosce il luogo naturalmente deputato alla trasmissione della vita e all’educazione dei figli.  

Nell’opporsi alla decisione, i genitori hanno dipinto uno scenario inquietante ma certamente non lontano dalla realtà dei fatti: «Questa è ingegneria sociale ed è uno sforzo cosciente e deliberato del Consiglio della Contea di Kent per trasformare i nostri figli da bambini slovacchi rom in bambini della classe media inglese». 

Questo il contesto in cui l’Alta Corte, nella persona del giudice James Munby, ha deciso di non accogliere il ricorso dei genitori, confermando così l’affidamento dei due fratelli alla coppia gay. Munby si è espresso nei seguenti termini: «Il fatto è che […] devo giudicare le questioni secondo la legge dell’Inghilterra e con riferimento alle norme di uomini e donne ragionevoli nella società inglese contemporanea. Le opinioni dei genitori, siano esse religiose, culturali, laiche o sociali, hanno diritto al rispetto, ma non possono essere determinanti».

L’esito di questa storia serve da lezione e ammonimento per una serie di ragioni, tra loro stesse intrecciate, che proviamo ad elencare in ordine sparso.

Primo: il riconoscimento del matrimonio omosessuale è il primo varco, impossibile da richiudere, per le adozioni di bambini da parte di coppie dello stesso sesso. E’ una ferita insanabile che mina direttamente il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre. La rivendicazione dei diritti che sarebbero negati alle coppie omosessuali – presunta lacuna giuridica che secondo la lobby omosessuale è colmabile solo col riconoscimento pubblico delle unioni tra persone dello stesso sesso – è solo propedeutica all’ottenimento del via libera ad adottare un figlio. Proprio l’Inghilterra di Elton John ne è l’esempio lampante.

Secondo: culturalmente, ormai, l’educazione che una coppia omosessuale può impartire ad un bambino è ritenuta uguale – se non addirittura migliore, come nel caso specifico – a quella di una coppia eterosessuale. Si ritiene quindi che, per un bambino, crescere con un padre e una madre, con due padri o con due madri sia indifferente. Il modello di famiglia omosessuale non ha più niente di diverso da quello di famiglia naturale.

Terzo: da ciò discende che la tutela del miglior interesse del bambino – che si suppone sia la bussola che orienta le decisione di un organo istituzionale – può coincidere con la sua adozione da parte di una coppia omosessuale. In questo caso, siamo in un certo senso già oltre il figlio ottenuto da fecondazione eterologa ed utero in affitto commissionato da lesbiche o gay. Si tratta dell’affidamento a due uomini di un bambino nato e cresciuto nella propria famiglia naturale. Per il suo bene.

Quarto: la legge dello Stato annulla la legge naturale. Se uno Stato sceglie di riconoscere nel proprio ordinamento le unioni tra persone dello stesso sesso, non esiste più la possibilità di opporsi in nome dell’ovvia considerazione che in natura un bambino nasce da un uomo e una donna e che quindi ha bisogno di un padre e di una madre. Occorre adeguarsi allo standard legislativo e le proprie convinzioni culturali e religiose, seppur fondate sulla natura delle cose, vengono derubricate a opinioni personali rispettabili ma non vincolanti. 

Quinto: da ciò deriva che lo Stato ha il diritto di invadere la sfera educativa propria dei genitori, arrogandosi il diritto di scegliere per il figlio qualcosa che non rispecchia la loro volontà – orientata al bene del bambino, seppur in un quadro familiare poco limpido – e spingendosi fino a quelli che giustamente i due genitori rom hanno definito esperimenti di «ingegneria sociale». In ossequio alla teoria del gender, babbo e mamma devono fare un passo indietro.  

Per tutto questo, la decisione dell’Alta Corte inglese rischia di costituire un precedente che non riguarda solo la questione inerente la propaganda Lgbt. La quale, col ddl anti-omofobia alle porte, resta comunque il pericolo più immediato per la famiglia naturale e la libertà di educazione e di opinione. 

27/05/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Cristiani dalla "fine del mondo" alla Terra Santa



La visita di Papa Francesco ha raccolto cristiani da tutto il Medio Oriente e da altre parti del mondo, anche dalla "fine del mondo", come Bergoglio definì l'Argentina. Durante la visita del Pontefice allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah, gli si avvicina un ragazzo vestito con il tricolore venezuelano, unica nota di colore in mezzo a un lago di vestiti neri. Quel ragazzo ha un nome lungo come un treno: Gustavo Adolfo Franco Picaza. E’ giunto in Israele per una circostanza insolita: il Ministero del Turismo israeliano aveva indetto un concorso di video sulla Terra Santa, da pubblicare sul social network Instagram e lui lo ha vinto; il problema è che Venezuela e Israele non hanno rapporti diplomatici, perché l’ex presidente Hugo Chavez li ha interrotti e il suo successore Maduro, che picchia sul tasto del populismo anti-occidentale, non ci pensa nemmeno a ripristinarli.

Per arrivare in Terra Santa ad incontrare il Papa, dunque, Picaza ha dovuto fare un viaggio lunghissimo via terra verso la Colombia, per ottenere i documenti necessari (sua madre è colombiana) e imbarcarsi su un volo per Tel Aviv. "Sono un cattolico praticante – ci spiega – per me è fondamentale venire qui, perché qui è nato e ha vissuto Gesù, qui Dio ha creato l’uomo, qui ha origine tutto”. Studente ventiduenne, di Maracaibo, è venuto per "rappresentare il mio Paese nella terra di Gesù. Soprattutto in un periodo così difficile per il mio Venezuela. E’ doppiamente importante pregare per la pace nel mio Paese. Vediamo sempre in televisione e leggiamo sui giornali che questa è una terra di guerra. ma qui la gente può vivere in pace e tranquillità, in una terra veramente benedetta da Dio. La guerra è nel mio Paese, piuttosto”. Della rivolta, in corso dallo scorso febbraio, ci dice che: "se anche si parla di un periodo di maggiore tranquillità, è solo perché è una bomba ad orologeria. La tensione scende per poi scoppiare di nuovo, perché questa rivolta è un sincero grido del popolo. Ormai nel nostro Paese manca tutto, medicine, cibo, beni di prima necessità. Si dice che sia una ribellione dei ‘ricchi’, ma protestano milioni di persone e fra questi i poveri sono maggioranza”. Spera che Papa Francesco arrivi personalmente in Venezuela, a negoziare una pace fra governo e opposizioni che è uno degli obiettivi diplomatici prioritari del Vaticano, "prego quotidianamente perché il Papa venga da noi”. Ci mostra il suo rosario: "è la mia arma preferita”, ci dice con sguardo determinato (e tutt’altro che inespressivo). "Lo prego tutti i giorni. Se vogliamo che il Venezuela esca dalla sua crisi, dobbiamo pregare il rosario tutti i giorni”.

Oltre a quelli che sono giunti dall’altra parte del mondo con viaggi rocamboleschi, ci sono anche dei cristiani che sono sempre vissuti qui, dall’alba del cristianesimo, eppure si sentono stranieri in casa propria. Jibril, uno studente che incontriamo a Gerusalemme, prima dell’incontro di Papa Francesco con il presidente Shimon Peres, si sente "onorato” per la visita del Santo Padre. Onorato e sollevato, finalmente, da una condizione di oppressione sociale continua. "Io personalmente sono sempre stato rispettato per la mia fede”, ci dice, mostrando con orgoglio un vistoso crocefisso che porta al collo, fuori dalla camicia, "tuttavia ci sono tanti miei amici che hanno subito aggressioni, insulti, discriminazioni. Soprattutto a Gerusalemme Est (la parte di città musulmana, ndr), ma qualche volta anche a Gerusalemme Ovest (ebraica, ndr). Il fatto è che molte volte sei spinto a doverti battere per la tua fede”. Di fatto ci dice la stessa cosa del coordinatore del Ymca che avevamo incontrato a Nazareth, usando le stesse parole, anche se non lo ha mai incontrato: "Mi sento arabo nei confronti delle autorità israeliane e cristiano di fronte ai musulmani”.

Incontriamo un barista cristiano, con una piccola riproduzione del volto di Cristo al collo, lavora nel bel mezzo di un quartiere interamente arabo, a schiacciante maggioranza musulmana. Alla domanda se si senta a suo agio in questa posizione ci risponde "sì”, in un primo momento, ma poi ci pensa bene e corregge con un "beh, non sempre”. Rotta la primissima inibizione si lascia andare a dire "a non tutti, qui, piace che siamo cristiani”. Comunque ammorbidisce con un "in ogni caso siamo già abbastanza fortunati. Almeno non viviamo in Egitto”.

Ormai minoranza in tutto il Medio Oriente, i cristiani sono vivi e hanno diritto di pregare così come di votare in Israele. Ma basta pensare alla vicina Siria per assistere al loro massacro quotidiano, all’Egitto dove oggi si continua a votare per la scelta del presidente e per la sorte dei cristiani, sospesi fra la vita e la morte da decenni. I cristiani mediorientali " … partecipano a pieno titolo alla vita sociale, politica e culturale del loro Paesi – come ricorda Papa Francesco nel suo discorso tenuto ieri alla residenza di Shimon Peres – A partire dalla loro identità, desiderano dare il loro apporto al bene comune e al lavoro di costruzione della pace, come cittadini a pieno diritto che, rifiutando ogni estremismo, si fanno artefici della riconciliazione e della concordia. La loro presenza e il rispetto dei loro diritti (così come il rispetto dei diritti di ogni religione e di ogni minoranza) sono garanzia di un sano pluralismo e prova di solidità dei valori democratici, del loro radicamento nella prassi e della concretezza di vita di uno Stato democratico”.

27/05/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 20/05/2014 San Bernardino da Siena sacerdote



Per ascoltare le prediche efficacissime di questo frate francescano di fine Medioevo, si radunavano folle di fedeli nelle piazze delle città, non potendoli contenere le chiese; e mancando allora mezzi tecnici di amplificazione della voce, venivano issati i palchi da cui parlava, studiando con banderuole la direzione del vento, per poterli così posizionare in modo favorevole all’ascolto dalle folle attente e silenziose.

Origini e formazione
San Bernardino nacque l’8 settembre 1380 a Massa Marittima (Grosseto) da Albertollo degli Albizzeschi e da Raniera degli Avveduti; il padre nobile senese era governatore della città fortificata posta sulle colline della Maremma.
A sei anni divenne orfano dei genitori, per cui crebbe allevato da parenti, prima dalla zia materna che lo tenne con sé fino agli undici anni, poi a Siena a casa dello zio paterno, ma fino all’età adulta furono soprattutto le donne della famiglia ad educarlo, come la cugina Tobia terziaria francescana e la zia Bartolomea terziaria domenicana.
Ricevette un’ottima educazione cristiana ma senza bigottismo, crebbe sano, con un carattere schietto e deciso, amante della libertà ma altrettanto conscio della propria responsabilità.
Studiò grammatica, retorica e lettura di Dante, dal 1396 al 1399 si applicò allo studio della Giurisprudenza nella Università di Siena, dove conseguì il dottorato in filosofia e diritto; non era propenso alla vita religiosa, tanto che alle letture bibliche preferiva la poesia profana.
Verso i 18 anni, pur seguitando a vivere come i coetanei, entrò nella Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, una compagnia di giovani flagellanti, che teneva riunioni a mezzanotte nei sotterranei del grande ospedale posto di fronte al celebre Duomo di Siena.
Aveva 20 anni quando Siena nel 1400 fu colpita dalla peste; e anche molti medici e infermieri dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, morirono contagiati, per cui il priore chiese pubblicamente aiuto.
Bernardino insieme ai compagni della Confraternita si offrì volontario, la sua opera nell’assistenza agli appestati durò per quattro mesi, fino all’inizio dell’inverno, quando la pestilenza cominciò a scemare.
Trascorsero poi altri quattro mesi, tra la vita e la morte, essendosi anch’egli contagiato; guarito assisté poi per un anno la zia Bartolomea diventata cieca e sorda.

La scelta Francescana
In quel periodo cominciò a pensare seriamente di scegliere per la sua vita un Ordine religioso, colpito anche dall’ispirata parola di s. Vincenzo Ferrer, domenicano, incontrato ad Alessandria.
Alla fine scelse di entrare nell’Ordine Francescano e liberatosi di quanto possedeva, l’8 settembre 1402 entrò come novizio nel Convento di San Francesco a Siena; per completare il noviziato, fu mandato sulle pendici meridionali del Monte Amiata, al convento sopra Seggiano, un villaggio di poche capanne intorno ad una chiesetta, detto il Colombaio.
Il convento apparteneva alla Regola dell’Osservanza, sorta in seno al francescanesimo 33 anni prima, osservando appunto assoluta povertà e austerità, prescritte dal fondatore san Francesco; e con la loro moderazione, che li distingueva dagli Spirituali più combattivi nei decenni precedenti, gli Osservanti si opponevano al rilassamento dei Conventuali, con discrezione e senza eccessi.
Frate Bernardino visse al Colombaio per tre anni, facendo la professione religiosa nel 1403 e diventando sacerdote nel 1404, celebrò la prima Messa e tenne la prima predica nella vicina Seggiano e come gli altri frati del piccolo convento, prese a girare scalzo per la questua nei dintorni. Nel 1405 fu nominato predicatore dal Vicario dell’Ordine e tornò a Siena. 

La sua formazione, studi, prime predicazioni
Dopo un po’, da Siena andò con qualche compagno nel piccolo romitorio di Sant’Onofrio sul colle della Capriola di fronte alla città; da tempo questo conventino era abitato da frati dell’Osservanza, qui fra’ Bernardino volle costruire un nuovo convento più grande, esso apparteneva all’Ospedale della Scala ed egli riuscì ad ottenerlo in dono, ma giacché i Frati Minori non potevano accettare donazioni, si impegnò a versare in cambio una libbra di cera all’anno.
Aveva circa 25 anni e restò alla Capriola per 12 anni, dedicandosi allo studio dei grandi dottori e teologi specie francescani; raccogliendo e studiando materiale ascetico, mistico e teologico.
In quel periodo, fu a contatto col mondo contadino ed artigiano delle cittadine dei dintorni, imparando a predicare per farsi comprendere da loro, con espressioni, immagini vivaci e aneddoti che colpissero l’attenzione di quella gente semplice, a cui affibbiava soprannomi nelle loro attività e stile popolano di vivere, per farli divertire; così la massaia disordinata era "madama Arrufola” e la giovane che ‘balestrava’ con occhiate languide i giovani dalla sua finestra, era "monna Finestraiola”.
Per una malattia alle corde vocali che per qualche anno lo colpì, rendendo la sua voce molto fioca, Bernardino da Siena, stava per chiedere di essere esonerato dalla predicazione. Ma inaspettatamente un giorno la voce ritornò non soltanto limpida, ma anche musicale e penetrante, ricca di modulazioni.
Sul colle della Capriola tornava spesso dopo i suoi lunghi viaggi di predicatore, per ritrovare li spirito di meditazione e per scrivere i "Sermoni latini”; formò molti discepoli fra i quali san Giacomo della Marca, san Giovanni da Capestrano, i beati Matteo da Agrigento, Michele Cercano, Bernardino da Feltre e Bernardino da l’Aquila.

Il grande predicatore popolare
Nel 1417 padre Bernardino da Siena fu nominato Vicario della provincia di Toscana e si trasferì a Fiesole, dando un forte impulso alla riforma in atto nell’Ordine Francescano.
Contemporaneamente iniziò la sua straordinaria predicazione per le città italiane, dove si verificava un grande afflusso di fedeli che faceva riempire le piazze; tutta la cittadinanza partecipava con le autorità in testa, e i fedeli affluivano anche dai paesi vicini per ascoltarlo.
Dal 1417 iniziò a Genova la sua prodigiosa predicazione apostolica, allargandola dopo i primi strepitosi successi, a tutta l’Italia del Nord e del Centro.
A Milano espose per la prima volta alla venerazione dei fedeli, la tavoletta con il trigramma; da Venezia a Belluno, a Ferrara, girando sempre a piedi, e per tutta la sua Toscana, dove ritornava spesso, predicò incessantemente; nel 1427 tenne nella sua Siena un ciclo di sermoni che ci sono pervenuti grazie alla fedele trascrizione di un ascoltatore, che li annotava a modo suo con velocità, senza perdere nemmeno una parola.
Da queste trascrizioni, si conosce il motivo dello straordinario successo che otteneva Bernardino; sceglieva argomenti che potevano interessare i fedeli di una città ed evitava le formulazioni astruse o troppo elaborate, tipiche dei predicatori scolastici dell’epoca. Per lui il "dire chiaro e breve” non andava disgiunto dal "dire bello”, e per farsi comprendere usava racconti, parabole, aneddoti; canzonando superstizioni, mode, vizi. 
Sapeva comprendere le debolezze umane, ma era intransigente con gli usurai, considerati da lui le creature più abbiette della terra. Le conversioni spesso clamorose, le riconciliazioni ai Sacramenti di peccatori incalliti, erano così numerosi, che spesso i sacerdoti erano insufficienti per le confessioni e per distribuire l’Eucaristia.
Quando le leggi che reggevano un Comune, una Signoria, una Repubblica, erano ingiuste e osservarle significava continuare l’ingiustizia, Bernardino da Siena, in questi casi dichiarava sciolti dal giuramento i pubblici ufficiali e invitava la città a darsi nuove leggi ispirate al vangelo; e le città facevano a gara per ascoltarlo e ne accettavano le direttive.

Il trigramma del Nome di Gesù
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico, la riassumeva nella devozione al Nome di Gesù e per questo inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle famiglie e delle varie corporazioni spesso in lotta tra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città per predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco (ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di "In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano, oppure di "Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato; il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti cioè i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede; l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H. 
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania: 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo: "Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.
Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: "Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù. 
Quindi la novità di s. Bernardino fu di offrire come oggetto di devozione le iniziali del nome di Gesù, attorniato da efficaci simbolismi, secondo il gusto dell’epoca, amante di stemmi, armi, simboli.
L’uso del trigramma, comunque gli procurò accuse di eresie e idolatria, specie dagli Agostiniani e Domenicani, e Bernardino da Siena subì ben tre processi, nel 1426, 1431, e 1438, dove il francescano poté dimostrare la sua limpida ortodossia, venendo ogni volta assolto con il favore speciale di papa Eugenio IV, che lo definì "il più illustre predicatore e il più irreprensibile maestro, fra tutti quelli che al presente evangelizzano i popoli in Italia e fuori”.

Riformatore dell’Ordine Francescano
Bernardino, che fin dal 1421 era Vicario dei Frati Osservanti di Toscana e Umbria, nel 1438 venne nominato dal Ministro Generale dell’Ordine Francescano, Vicario Generale di tutti i conventi dell’Osservanza in Italia.
Nella sua opera di riforma, portò il numero dei conventi da 20 a 200; proibì ai frati analfabeti o poco istruiti, di confessare e assolvere i penitenti; istituì nel convento di Monteripido presso Perugia, corsi di teologia scolastica e di diritto canonico; s’impegnò a fare rinascere lo spirito della Regola di s. Francesco, adattandola alle esigenze dei nuovi tempi.
Rifiutò per tre volte di essere vescovo di diocesi, che gli furono offerte.

Gli ultimi anni, la morte
Nel 1442, sentendosi oltremodo stanco, soffriva di renella, infiammazione ai reni, emorroidi e dissenteria, rassegnò le sue dimissioni dalla carica, che aveva accettato per spirito di servizio verso l’Ordine.
Nel fisico sembrava più vecchio dei suoi 62 anni, aveva perso tutti i denti, tranne uno e quindi le gote gli si erano incavate, ma quell’aspetto emaciato l’aveva già a 46 anni, quando posò per un quadro dal vivo, oggi conservato alla Pinacoteca di Siena.
Libero da responsabilità riprese a predicare, nonostante il cattivo stato di salute; i senesi gli chiesero di recarsi a Milano per rinsaldare l’alleanza con il duca Filippo Maria Visconti contro i fiorentini; da lì proseguì poi per il Veneto, predicando a Vicenza, Verona, Padova, Venezia, scendendo poi a Bologna e Firenze, nella natia Massa Marittima predicò nel 1444 per 40 giorni.
Ritornato a Siena si trattenne per poco tempo, perché voleva ancora compiere una missione di predicazione nel Regno di Napoli, dove non si era mai recato, con l’intenzione di predicare anche lungo il percorso; accompagnato da alcuni frati senesi, toccò il Trasimeno, Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Rieti, ma già in prossimità de L’Aquila, il suo fisico cedette allo sforzo e il 20 maggio 1444 fu portato in lettiga al convento di San Francesco, dentro la città, dove morì quel giorno stesso a 64 anni, posto sulla nuda terra come s. Francesco, dietro sua richiesta.
Dopo morto, il suo corpo esposto alla venerazione degli aquilani, grondò di sangue prodigiosamente e a tale fenomeno i rissosi abitanti in lotta fra loro, ritrovarono la via della pace.
I frati che l’accompagnavano, volevano riportare la salma a Siena, ma gli aquilani, accorsi in massa lo impedirono, concedendo solo gli indumenti indossati dal frate.
Nelle città dov’era vissuto, furono costruiti celebri oratori, chiese, mausolei, come quello di S. Bernardino nella omonima chiesa dell’Aquila, dove riposa.
Sei anni dopo la morte, il 24 maggio 1450, festa di Pentecoste, papa Niccolò V lo proclamò santo nella Basilica di S. Pietro a Roma. San Bernardino è compatrono di Siena, della nativa Massa Marittima, di Perugia e dell’Aquila. 
Una città in California porta il suo nome. È invocato contro le emorragie, la raucedine, le malattie polmonari. La sua festa si celebra il 20 maggio.


L'islamizzazione turca della Bosnia


La notizia dell’imminente apertura del Centro Islamico "Sultan Mehmed Fatih II” a Goražde, in Bosnia, porta nuovamente all’attenzione generale il fenomeno della moltiplicazione dei luoghi di culto per fedeli Musulmani costruiti con fondi esteri. In questo caso, come riporta il quotidiano Avaz, la struttura è stata realizzata grazie al contributo del TIKA, l’Agenzia di Cooperazione e Coordinamento Turca. Questo ente finanzia operazioni simili in varie parti del mondo, ma ha fra i propri obiettivi principali proprio il paese balcanico, come si può facilmente constatare leggendo la dichiarazione del Premier Erdogan che campeggia nella homepage del sito: "con TIKA noi saremo sempre al fianco dei nostri fratelli Bosniaci in Bosnia Herzegovina.” L’evento assume ancora maggiore importanza se collegato ai dati forniti dai principali quotidiani bosniaci nelle edizioni uscite il 7 maggio scorso, proclamato "Giorno della Moschea”. Secondo tali cifre, infatti, ad oggi sono stati rinnovati 452 moschee (quelle distrutte dal conflitto sarebbero 614) e 64 masjid, mentre ne sono stati edificati rispettivamente 367 e 172 nuovi. A questi numeri vanno aggiunti anche una decina di luoghi di culto in via di completamento e oltre un centinaio in attesa degli interventi necessari a renderli agibili ai fedeli. A tal proposito sono interessanti le parole di Fatima Šišić, direttrice del Centro per l’Architettura Islamica, che, intervistata dalla testata Oslobodjenje, ha affermato che tutto ciò è stato reso possibile dalle donazioni di privati cittadini, anche emigrati all’estero, e dai fondi concessi dalla Comunità islamica di Bosnia Herzegovina, dai paesi arabi e dalla Turchia.

Sebbene anche altre nazioni come l’Arabia Saudita abbiano portato avanti progetti simili e abbiano dimostrato di avere un grande interesse ad aumentare la propria influenza in Bosnia e nei paesi limitrofi, la Turchia sta giocando ora un ruolo di primissimo piano, dando prova di voler riaffermare la propria influenza sui territori balcanici appartenuti all’Impero Ottomano e abitati da popolazioni di fede Musulmana. Nel caso preso in esame, tale politica si fonda in parte sulla sapiente gestione di quel fenomeno che Alija Izetbegović ha chiamato "re-islamizzazione dei musulmani”, ossia la riscoperta della propria fede. Il conflitto etnico-religioso che ha dissanguato i Balcani negli anni ’90, infatti, ha riacceso il senso di appartenenza alle varie confessioni e, nel caso specifico dei bosgnacchi (i bosniaci musulmani), questo fenomeno è stato reso più evidente sia dall’influenza che l’estremismo portato dagli jihadisti ha avuto durante il conflitto del 1992-96, sia dalle grandi perdite civili patite durante la guerra.

L’altro elemento che favorisce l’influenza straniera è rappresentato dalla spaccatura interna al paese fra gruppi etnici, esacerbata dalla grave crisi economica e istituzionale che ha colpito lo Stato e che ha portato in piazza migliaia di persone, soprattutto nell’area croato-musulmana, per manifestare contro il governo e le amministrazioni locali. Considerata la scarsa credibilità di cui gode l’esecutivo di Sarajevo, risulta facile, per un paese forte ed organizzato come la Turchia, incrementare il proprio appeal presso la gente comune, soprattutto perché alle parole seguono i fatti. Le donazioni per la ricostruzione dei luoghi di culto sono accompagnate da finanziamenti per il recupero di edifici storici dall’alto valore simbolico o di interesse per la comunità musulmana di Bosnia, come ad esempio la casa natale dell’ex presidente Alija Izetbegović a Sarajevo, città che sul sito in lingua inglese della TIKA viene ancora chiamata con lo storico nome turco di Saraybosna.

La Turchia, inoltre, ha recentemente concesso un prestito di 100 milioni di euro al fine di favorire il ritorno dei profughi di guerra e rilanciare agricoltura e turismo, ma, soprattutto, ribadito che intende fare lobbying a livello internazionale per migliorare le condizioni dello stato amico. Come riporta il quotidiano Oslobodjenje, infatti, ieri a Sarajevo, durante un incontro ufficiale con il Presidente Bosniaco Bakir Izetbegović (figlio dell’ex leader Alija), il Capo di Stato Turco Abdullah Gül ha affermato che il futuro della Bosnia è nella NATO e nell’Unione Europea, aggiungendo che si augura che tutti rispettino la sovranità e l’integrità territoriale del paese. Nonostante i lunghi riferimenti allo storico rapporto di amicizia e vicinanza fra i due stati, sembra chiaro che il leader Turco abbia voluto soprattutto rassicurare la componente musulmana, target privilegiato della nuova politica estera di Ankara, scoraggiando le spinte separatiste provenienti da settori della Republika Srpska scontenti dell’attuale sistemazione.

Non c’è quindi da stupirsi se il giorno della vittoria di Erdogan alle elezioni di fine marzo ci siano state manifestazioni di giubilo in alcune città della Federazione croato-musulmana, ma anche in Kosovo e Macedonia, dove gruppi di cittadini festanti inneggiavano al leader turco. Alla luce di ciò risulta chiaro che l’Europa, dopo aver acconsentito allo smembramento della Jugoslavia, si trova ora a dover fronteggiare la nuova offensiva diplomatica Turca, che può contare non solo sull’appoggio e la simpatia di parte dei fedeli musulmani, ma anche sull’assenza di realtà statali forti che limitano il suo raggio d’azione.

20/05/2014   fonte: La nuova bussola quotidiana

Vita, famiglia, evangelizzazione

Il 19 maggio 2014 Papa Francesco ha aperto i lavori dell'Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, con un discorso dove non sono mancati cenni a temi di attualità - vita, famiglia, economia - ma che, come in altri incontri con vescovi, il Pontefice ha voluto dedicare soprattutto alla sfida dell'evangelizzazione. Ė normale che nelle ore successive all'intervento, a seconda delle preferenze, alcuni media si concentrino sull'appello alla difesa della vita e della famiglia e altri alla solidarietà con gli immigrati e i disoccupati. E tuttavia in qualche modo queste letture corrono il rischio di trascurare l'essenziale. 

Il Papa vede una società italiana che in gran parte è molto lontana dalla Chiesa. E vescovi che qualche volta rimangono nel «quieto vivere» o perfino scrutano le mosse del Pontefice leggendole, come fanno tanti giornalisti, in una logica di gruppi e di cordate. Così, però, non si rendono conto della situazione drammatica di un Paese scristianizzato e della pressante necessità di «uscire» per evangelizzarlo. Chi non coglie questo aspetto del discorso - a tratti accorato e perfino impressionante - del Pontefice finisce per capire poco del messaggio di Papa Francesco.

I buoni vescovi, ha detto il Papa, hanno tre caratteristiche. 

Primo: sono «pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto». Coltivano la fede come «memoria viva di un incontro». Conoscono e fuggono la tentazione del «quieto vivere», della pigrizia che prima rende tristi e poi spinge ad «accomodarsi nella tristezza che lascia insoddisfatti». Sono i vescovi che si fanno assorbire da interminabili riunioni e da piani pastorali, non inutili ma neppure essenziali. «I piani pastorali servono, ma la nostra vita spirituale va allenata al modello di Gesù. Spiritualità è ritorno all'essenziale, la sola cosa veramente necessaria anche quando le situazioni pastorali si fanno difficili»

Secondo: il buon vescovo si sente «figlio di Dio, oltre che pastore», è «disposto a soffrire per la Chiesa» con «un cuore spogliato da ogni interesse mondano, un cuore lontano da ogni mondanità». Dove entra la mondanità spirituale che, come ha spiegato tante volte il Papa, non è l'amore per le ricchezze ma il fare le opere buone solo per l'uomo e non per Dio, lì entrano le divisioni, «la gestione personalistica del tempo, le chiacchiere, le mezze verità, la litania delle lamentele, la durezza di chi giudica senza coinvolgersi. L'accecamento dell'invidia, le consorterie... Quanto è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso». Hanno bisogno di pastori che non siano ossessionati da se stessi e non si limitino a predicare «mezze verità» i «parroci, spesso sfiduciati dall'esiguità del "raccolto" rispetto all'impegno riversato». Con loro «non è tempo di fare il bilancio di entrate e uscite, ma di esercitare la pazienza, che è il volto maturo dell'amore».

Terzo tratto del buon vescovo: la capacità di incontrare e guidare i fedeli. «Siate interiormente liberi - ha esortato Papa Francesco -, attenti a imparare la lingua della gente, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini. Accompagnateli fino a riscaldare loro il cuore». Attenzione, però, il Pontefice invita ad accompagnare i fedeli italiani non con discorsi astratti ma intervenendo sui temi che davvero stanno loro a cuore: vita, famiglia, lavoro. «Testimoniate la centralità della famiglia - ha esortato - contro l'individualismo, promuovete la vita del concepito come quella dell'anziano». Siate vicini a chi è colpito dalla crisi economica, ai «precari, disoccupati, cassintegrati». Fate intendere ai fedeli la necessità cristiana di accogliere i migranti. Il disprezzo per la vita e per la famiglia e l'emarginazione di chi è lasciato indietro dalla crisi derivano entrambi da una cultura materialista che non sa accogliere i più deboli. 

Vale anche per la politica internazionale. Francesco chiede ai vescovi di aprirsi ai grandi drammi del nostro tempo, di cui il Papa sta per andare a dare testimonianza in Terrasanta.

 20/05/2014 fonte: La Nuova bussola quotidiana

Il Papa: com’è il nostro cuore, fisso nello Spirito o ballerino?



Il cristiano abbia un cuore fisso nello Spirito Santo, non un cuore ballerino che va da una parte all’altra. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha incentrato la sua omelia su San Paolo che, ha detto, fu capace di evangelizzare senza sosta perché il suo cuore riceveva fermezza dallo Spirito Santo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Com’è il nostro cuore? Papa Francesco ha svolto la sua omelia sul binomio "movimento-fermezza” nel cuore dei cristiani. Il Papa ha preso spunto dalla Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, dove possiamo ammirare l’impegno per l’evangelizzazione di San Paolo, che ha "cuore fermo ma in continuo movimento”. L’Apostolo delle Genti viene, infatti, da Icònio dove hanno tentato di ucciderlo, ma non si lamenta per questo. Va avanti ad evangelizzare nella zona della Licaònia e, nel nome del Signore, guarisce un paralitico. Succede così che i pagani, avendo visto questo miracolo, pensano che Paolo e Barnaba, che lo accompagna, siano degli dei scesi sulla terra, siano Zeus ed Hermes. Paolo, ha osservato il Pontefice, "ha fatto fatica per convincerli che loro erano uomini”. Queste, ha proseguito, "sono le vicende umane nelle quali Paolo viveva”:
"E noi ne abbiamo tante, tutti noi; noi siamo fra tante vicende, che ci muovono da una parte all’altra. Ma abbiamo chiesto la grazia di avere il cuore fisso, come lo aveva Paolo: per non lamentarsi di quella persecuzione andò a cercare in un’altra città; incominciare a predicare lì; guarire un malato; rendersene conto che quell’uomo aveva la fede sufficiente per essere guarito; poi, calmare questa gente entusiasta che voleva fargli un sacrificio; poi, proclamare che c’è un solo Dio, con il linguaggio culturale loro. Ma, una cosa dietro l’altra... E questo soltanto viene da un cuore fisso”.
"Dove aveva il cuore Paolo – è la domanda di Francesco – per fare tanti cambiamenti in poco tempo e venire incontro alle situazioni in un modo adeguato?” Nel Vangelo, ha affermato il Papa, Gesù ci dice che lo Spirito Santo, inviato dal Padre, "insegnerà ogni cosa” e "ricorderà tutto ciò” che Lui aveva detto. Il cuore di San Paolo, dunque, "è fisso nello Spirito Santo”, questo "dono che Gesù ci ha mandato”. E tutti noi, ha avvertito, "se vogliamo trovare fermezza nella nostra vita” dobbiamo "andare da Lui. Lui è nel nostro cuore, lo abbiamo ricevuto nel Battesimo”. Lo Spirito Santo, ha riaffermato, "ci dà forza, ci dà questa fermezza per andare avanti nella vita fra tante vicende”. E Gesù, ha soggiunto, ci dice "due cose” dello Spirito Santo: "Vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò” che ho detto. Ed è proprio quello che accade con San Paolo: "gli insegna e gli ricorda” il "messaggio di salvezza”. E’ lo Spirito Santo che dà fermezza al suo cuore:
"Con questo esempio, possiamo oggi chiederci: com’è il mio cuore? E’ un cuore che sembra un ballerino, che va da una parte all’altra, che sembra una farfalla, che oggi piace questo..., che va sempre in movimento; è un cuore che si spaventa delle vicende della vita, e si nasconde e ha paura di dare testimonianza di Gesù Cristo; è un cuore coraggioso o è un cuore che ha tanto timore e cerca sempre di nascondersi? Di che cosa ha cura il nostro cuore? Qual è il tesoro al quale il nostro cuore è attaccato? E’ un cuore fisso nelle creature, nei problemi che tutti abbiamo? E’ un cuore fisso negli dei di tutti i giorni o è un cuore fisso nello Spirito Santo?”
Il Papa ha affermato che ci farà bene domandarci "dov’è la fermezza del nostro cuore”. E anche "fare memoria di tante vicende che noi abbiamo ogni giorno: a casa, nel lavoro, con i figli, con la gente che abita con noi, con i compagni di lavoro, con tutti”:
"Io mi lascio portare da ognuna o vado a queste vicende col cuore fisso, che sa dove è? E l’unico che dà fermezza al nostro cuore è lo Spirito Santo. Ci farà bene pensare che noi abbiamo un bel dono, che ci ha lasciato Gesù, questo Spirito di fortezza, di consiglio, che ci aiuta ad andare avanti in mezzo, andare avanti fra le vicende di tutti i giorni. Facciamo questo esercizio, oggi, di domandarci com’è il nostro cuore: è fermo o no? E se è fermo, dove si ferma? Nelle cose o nello Spirito Santo? Ci farà bene!

20/05/2014 fonte Radio Vaticana

Assemblea Generale CEI. Papa Francesco apre i lavori


Sarà il Papa ad aprire la 66ma Assemblea dei Vescovi italiani, chiamati a discutere le proposte di emendamenti dello Statuto e del Regolmaneto della CEI, nonché gli "Orientamenti per l'annuncio e la catechesi in Italia". Nel corso dei lavori sarà dato spazio anche alla riflessione sul tema: "Educazione cristiana e missionarietà alla luce dell'Esortazione apostolica Evangelii gaudium". 
"E' un segno di discontinuità enorme - commenta Luca Diotallevi, docente di Sociologia all'Università Roma Tre e Vice Presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici italiani - ma segna anche la fatica di trovare una soluzione di equilibrio rispetto ai margini di autonomia che pure erano stati auspicati dal Vaticano per la Conferenza episcopale. "La sfida della catechesi è cruciale anche alla luce del fatto che la secolarizzazione oggi ha assunto nei confronti della Chiesa un atteggiamento più furbo. Se infatti in passato vi era una contestazione radicale, oggi c'è una sorta di ammiccamento agli aspetti devozionistici della vita di fede, quello che nella EG viene definito il consumismo spirituale. Ma così non passa il Vangelo. Se non  guardiamo le esigenze del Vangelo - ricorda Diotallevi - noi portiamo alla Chiesa e alla nostra vita cristiana un attacco enormemente più forte di quello procurato dai nemici della fede". Guardando al Convegno ecclesiale che si terrà a Firenze nel 2015 sul tema: "In Gesù Cristo, il nuovo Umanesimo", Diotallevi sottolinea che l'aspetto più importante da affrontare sarà l'apostolato dei laici: "Siamo pieni di sacrestani che fanno i mezzi preti. Bisogna dare slancio ai laici e al loro compito evangelizzatore in città". 

20/05/2014 fonte: Radio vaticana


IL SANTO DEL GIORNO 12/05/2014 San Pancrazio martire




San Pancrazio nacque verso la fine dell’anno 289 dopo Cristo presso Sinnada, cittadina della Frigia, provincia consolare dell’Asia Minore. I suoi ricchi genitori erano di origine romana: la madre Ciriada morì nel parto, mentre il padre Cleonia lo lasciò orfano all'età di otto anni, affidandolo però allo zio Dionisio perché ne curasse l’educazione e l’amministrazione dei beni. Entrambi, Pancrazio e Dionisio, si trasferirono a Roma per risiedere nella loro villa patrizia sul Monte Celio. Qui vennere a contatto con la comunità cristiana di Roma e chiesero di poter essere iniziati alla fede. La scoperta di Dio e di Cristo infiammò a tal punto il cuore del giovane e dello zio, che i due chiesero in breve tempo il Battesimo e l’Eucaristia. Scoppiò nel frattempo la feroce persecuzione di Diocleziano, era l’anno 303 d.C., ed il terrore dalle province dell’impero giunse sino a Roma, falciando inesorabilmente ogni persona che avesse negato l’incenso agli dèi romani o il riconoscimento della divinità dell’imperatore. Anche Pancrazio fu chiamato a sacrificare, per esprimere la sua fedeltà a Diocleziano, ma rifiutandosi fermamente fu allora condotto dinnanzi all’imperatore stesso per essere giudicato. Diocleziano, sorpreso "dall’avvenenza giovanile e bellezza di lui, adoperò ogni arte di promesse e minacce per fargli abbandonare la fede di Gesù Cristo” (da un manoscritto conservato nella Basilica di San Pancrazio). La costanza della fede di Pancrazio meravigliò l’imperatore e tutti i cortigiani presenti all’interrogatorio, suscitando allo stesso tempo lo sdegno dell’imperatore che non esitò ad ordinare la decapitazione dell’intrepido giovane. Condotto fuori Roma, sulla via Aurelia, mentre il sole al tramonto tingeva di purpureo quella sera del 12 maggio 304 e le tenebre scendevano fitte sul tempio di Giano, Pancrazio porse la testa al titubante carnefice, riconsegnando così la propria vita a Dio.
Consumatosi così il martirio del ragazzo, Ottavilla, illustre matrona romana, raccolse il capo ed il corpo, li unse con balsami, li avvolse in preziosi lini e li depose in un sepolcro nuovo, appositamente scavato nelle già esistenti Catacombe del suo predio. Sul luogo del martirio leggiamo ancora oggi: "Hic decollatus fuit Sanctus Pancratius” (Qui fu decollato San Pancrazio). In seguito il capo del martire fu posto nel prezioso reliquiario che ancor oggi si venera nella Basilicali San Pancrazio. I resti del corpo del piccolo martire, invece, sono conservano nell’urna posta sotto l’altare maggiore insieme alle reliquie di altri martiri.
La vicenda di San Pancrazio ha talvolta suscitato tra gli eruditi diverse contestazioni. In essa si riscontrano infatti anacronismi di rilievo ed altri difetti che rilevano innegabilmente il comune armamentario agiografico di cui si servivano i biografi per soddisfare la curiosità dei devoti di un santo. La critica demolitrice non è però andata molto oltre. E’ pur certo che le redazioni latine e greche delle Gesta di San Pancrazio arrivate sino a noi abbiano bisogno dello sfrondamento dalle molte alterazioni contenute, ma comunque al fondo di tali narrazioni si possono riscontrare alcuni elementi sicuramente attendibili. Non si potrebbe spiegare altrimenti come già sul finire del V secolo fosse sicuramente attestato un fervente culto verso un martire di cui non si sapeva molto più che il nome ed il luogo della sepoltura. Gli Acta narranti il martirio di San Pancrazio non sono affatto contemporanei ai fatti accaduti e, secondo gli studiosi, risalirebbero a circa due secoli dopo. Sembra infatti che vennero compilati definitivamente nel VI secolo, periodo che si rivelò di massimo fervore del culto tributato al martire ed in concomitanza con l’edificazione della grande basilica voluta da Papa Simmaco per tramandarne la memoria. Tale ritardo nello stendere le passiones è infatti così spiegato dal Grisar: "poiché le persecuzioni pagane spesso avevano distrutto precisamente gli scritti che trovavansi in possesso della Chiesa, gli atti genuini dei martiri, quali erano stati copiati dai protocolli giudiziari, e le altre narrazioni composte da cristiani contemporanei erano andate perdute in massima parte. Di molti martiri poi nella distretta delle ostilità pagane mai furono redatte narrazioni precise, mentre invece nell'età della Chiesa trionfante, specialmente dacché il pubblico culto dei coraggiosi testimoni della fede per due o tre secoli ebbe preso il più grande slancio e s’erano accresciute le curiosità dei pellegrini sulle circostanze della loro persona e morte, a poco a poco ogni martire dovette avere la sua passione”. Sorge inoltre anche un’altra difficoltà: la "Passio sancti Pancratii” è giunta sino a noi in diverse redazioni differenti tra loro, ma ciò non deve meravigliare, in quanto i codici sono dipendenti l’uno dall’altro, venivano trascritti a distanza di tempo e spesso il copista abbelliva a proprio gusto il testo su cui lavorava. Un incalcolabile numero di manoscritti contenenti la suddetta leggenda è custodito in numerose biblioteche d’Italia e d’Europa, motivo per cui risulterebbe impresa ardua se non impossibile il tentare un raffronto ed una classificazione dei codici originali.
Il Cardinale Baronio, autore nel XVI secolo della più grande storia della Chiesa, ricordò San Pancrazio nella sua monumentale opera, gli Annales Ecclesiastici: "Rursus etiam, quod spectat ad martyres Romae passos, sustulit haec persecutio Rufum virum nobilem, una cum omni familia sua, quarta kalend. Decembris; sed et nobilem specimen christianae constantiae duo pueri ediderunt, quorum prior maxime commendatur Pancratius quatuordecim annos natus; sed et alius quoque aetate minor Crescentius, qui sub Turpilio (seu Turpio) judice, via Salaria gladio passus est” (C. Baronio, Annales, III). Anche se essenziale, la citazione del martirio di Pancrazio è basata dal Baronio su fonti storiche antiche e degne di fede.
Dall’iconografia del santo, che sovente viene raffigurato come un giovane soldato, nasce un’altra curiosità. Bisogna chiarire innanzitutto come a quel tempo la carriera militare era certamente la più promettente per i giovani rampolli delle nobili e ricche famiglie come quella di Pancrazio, in un impero che della guerra aveva fatto la sua fortuna oltre che il mezzo per sottomettere il mondo. Non avendo però validi motivi per affermarlo, è preferibile ipotizzare che l’abito e la posa del combattente nelle quali egli viene posto siano motivati dall’etimologia del suo nome che significa in greco "lottatore”, che in questo caso farebbe riferimento alla lotta da lui combattuta per testimoniare la fede cristiana.
Il Martyrologium Romanum ancora oggi riporta in data 12 maggio la commemorazione "A Roma, al secondo miglio lungo la Via Aurelia, memoria di S. Pancrazio, che ancora adolescente fu ucciso per la fede di Cristo; presso il luogo della sua sepoltura papa Simmaco innalzò la celebre basilica, e papa Gregorio Magno non perse occasione per invitare il popolo ad imitare un simile esempio di verace amore a Cristo. In questa data si commemora la deposizione delle sue spoglie”. Il Messale Romano ed il Breviario, conformemente al calendario liturgico della Chiesa, riportano sempre in tale data la "memoria facoltativa” del santo martire.
San Pancrazio, patrono dei Giovani di Azione Cattolica, è stato indubbiamente uno dei santi più popolari non solo a Roma ed in Italia, ma anche all’estero. A lui sono stati dedicati chiese e monasteri: quello di Roma venne fondato da San Gregorio Magno e quello di Londra da Sant’Agostino di Canterbury, che da il nome anche ad una stazione della metropolitana londinese. Degno di nota è anche il santuario di San Pancrazio presso Pianezza, nella prima cintura torinese, legato ad un fatto miracoloso avvenuto il 12 maggio 1450 al contadino Antonio Casella. Questi, mentre falciava il prato tagliò inavvertitamente un piede alla moglie, venuta a portargli qualcosa da mangiare. I coniugi, angosciati, pregarono il Signore e furono confortati dall’apparizione di San Pancrazio che promise la pronta guarigione in cambio dell’erezione di un luogo di culto. Nacque così un pilone votivo che si ampliò sino a divenire il grande santuario ancora oggi meta di pellegrinaggi. Non bisogna però confondere il fanciullo martire romano venerato a Pianezza con un altro santo omonimo venerato in Piemonte, che nel grande dipinto del Santuario di Castelmagno (Cn) è raffigurato insieme ai santi Maurizio, Costanzo, Ponzio, Magno, Chiaffredo e Dalmazzo in abiti militari, quali presunti soldati della mitica Legione Tebea.


Papa Francesco: importunate i vostri sacerdoti e vescovi perché siano buoni pastori






Importunate i vostri pastori perché vi guidino bene, vi diano "il latte della dottrina e della grazia”. E’ l’esortazione rivolta ai fedeli da Papa Francesco, al Regina Caeli in Piazza San Pietro, dopo la Messa per l’ordinazione di 13 sacerdoti. Il Pontefice ha inoltre sottolineato che oggi molti si propongono come "pastori” delle nostre esistenze, ma solo Gesù è il vero Pastore che ci dona la vita in pienezza. Quindi, ha rivolto un saluto particolare alle mamme nel giorno a loro dedicato. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Tenerezza, amore e dono per avere la vita in abbondanza. E’ questo che troviamo nel rapporto che Gesù, il Buon Pastore di cui parla il Vangelo domenicale, ha con i suoi discepoli. E proprio questo rapporto, sottolinea Papa Francesco, è "il modello delle relazioni tra i cristiani e delle relazioni umane”:

"Molti anche oggi, come ai tempi di Gesù, si propongono come 'pastori' delle nostre esistenze; ma solo il Risorto è il vero Pastore, che ci dà la vita in abbondanza. Invito tutti ad avere fiducia nel Signore che ci guida. Ma non solo ci guida, ci accompagna, cammina con noi. Ascoltiamo con mente e cuore aperti la sua Parola, per alimentare la nostra fede, illuminare la nostra coscienza e seguire gli insegnamenti del Vangelo”.

Il Papa ha chiesto, dunque, ai fedeli di aiutare i vescovi e i sacerdoti "ad essere buoni pastori”. Francesco ha preso spunto da uno scritto di San Cesario d’Arles che paragona il Popolo di Dio ad un vitellino che ha fame e vuole il latte dalla mucca, dalla madre, che però sembra come trattenerlo:

"E cosa fa il vitellino? Bussa col suo naso alla mammella della mucca, perché venga il latte. E’ bella l’immagine! "Così voi – dice questo santo – dovete essere con i pastori: bussare sempre alla loro porta, al loro cuore, perché vi diano il latte della dottrina, il latte della grazia e il latte della guida”. Vi chiedo, per favore, di importunare i pastori, disturbare i pastori, a tutti noi pastori, perché noi diamo a voi il latte della grazia, della dottrina e della guida. Importunare!".

"Ad imitazione di Gesù – ha detto riprendendo la Evangelii Gaudium - ogni Pastore a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo", altre volte "starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro":

"Che tutti i Pastori siano così! Ma voi importunate i pastori, perché ci diano la guida della dottrina e della grazia”.

E nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, il Papa ha sottolineato che "la chiamata a seguire Gesù è nello stesso tempo entusiasmante e impegnativa”. Perché si realizzi, ha soggiunto, "è necessario sempre entrare in profonda amicizia con il Signore per poter vivere di Lui e per Lui”:

"Preghiamo per i giovani, forse qui in Piazza c’è qualcuno che sente questa voce del Signore che lo chiama al sacerdozio: preghiamo per lui se è qui, e per tutti i giovani che sono così”:

Al momento dei saluti ai pellegrini, giunti come sempre numerosissimi, il Papa ha rivolto un pensiero speciale ad una iniziativa di nuova evangelizzazione:

"Saluto le Comunità Neocatecumenali che in queste domeniche del tempo di Pasqua portano l’annuncio di Gesù risorto in 100 piazze di Roma e in tante città del mondo. Il Signore vi doni la gioia del Vangelo. E andate avanti voi, che siete bravi!”

Quindi ha salutato quanti - bambini e ragazzi - ricevono in questi giorni la Prima Comunione e la Cresima ed ha rivolto una preghiera particolare a tutte le mamme nella Giornata a loro dedicata:

"Vi invito a dedicare un bel ricordo e una preghiera a tutte le mamme. Salutiamo le mamme. Affidandole alla Mamma di Gesù, per le nostre mamme e per tutte le mamme, preghiamo la Madonna. (Recita Ave Maria) Un grande saluto alle mamme: un grande saluto!".






12/05/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il Papa ordina 13 sacerdoti: siate sempre misericordiosi, Gesù è venuto a perdonare non condannare







"Non stancatevi mai di essere misericordiosi”: così, Papa Francesco nella Messa di ordinazione di 13 nuovi presbiteri, nella Basilica di San Pietro. Tra questi: 6 italiani, 4 originari dell’America Latina, uno dal Pakistan, uno dalla Corea del Sud, uno dal Vietnam. Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Papa Francesco ha chiesto la "capacità di perdono” sottolineando che i sacerdoti non sono "padroni della dottrina” ma alla dottrina piuttosto devono essere fedeli. Francesco ha, quindi, espresso il suo dolore per quanti nella Confessione hanno sentito "che le porte delle chiese gli si chiudevano in faccia”. Il servizio di Fausta Speranza:

"Configurati a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote”. Così, Francesco fotografa la missione dei sacerdoti. Per poi raccomandare loro di conformarsi alla Misericordia di Dio:

"Qui voglio fermarmi e chiedervi, per l’amore di Gesù Cristo: non stancatevi mai di essere misericordiosi! Per favore! Abbiate quella capacità di perdono che ha avuto il Signore, che non è venuto a condannare, ma a perdonare! Abbiate misericordia, tanta! E se vi viene lo scrupolo di essere troppo 'perdonatori', pensate a quel santo prete del quale vi ho parlato, che andava davanti al tabernacolo e diceva: 'Signore, perdonami se ho perdonato troppo. Ma sei tu che mi hai dato il cattivo esempio!. E’ così…".

Poi, Papa Francesco torna sulla responsabilità della Confessione:

"E io vi dico, davvero: a me fa tanto dolore quanto trovo gente che non va più a confessarsi perché è stata bastonata, sgridata. Hanno sentito che le porte delle chiese gli si chiudevano in faccia! Per favore, non fate questo: misericordia, misericordia! Il buon pastore entra per la porta e la porta della misericordia sono le piaghe del Signore: se voi non entrate nel vostro ministero per le piaghe del Signore, non sarete buoni pastori”.

Predicatori del Vangelo, pastori del Popolo di Dio e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore. Lo ricorda mettendo l’accento sull’esercizio del ministero della sacra dottrina, per poi sottolineare:

"Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, che non è vostra e voi non siete padroni della dottrina! E’ la dottrina del Signore e voi dovete essere fedeli alla dottrina del Signore! Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa”.

Partecipi della missione di Cristo, che – sottolinea Francesco – è "unico Maestro”. Dispenserete a tutti quella Parola di Dio, - dice ancora - che voi stessi avete ricevuto con gioia, dalle vostre mamme, dalle vostre catechiste”. Anche qui una raccomandazione:

"Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato”.

E poi l’invito alla fedeltà alla Parola:

"Riconoscete ciò che fate, imitate ciò che celebrate”.

"Il Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il Popolo Santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale”. Lo ricorda Papa Francesco sottolineando che "non di meno fra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa il suo nome e l’ufficio sacerdotale a favore di tutti gli uomini continuassero la sua personale missione di Maestro, Sacerdote e Pastore”. Dunque prosegue: "Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro per attendere alle cose di Dio esercitate in letizia e in carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo”. Ancora un'esortazione: "unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi”:

"E pensate a quello che diceva Sant’Agostino dei pastori che cercavano di piacere a se stessi, che usavano le pecorelle del Signore come pasto e per vestirsi, per indossare la maestà di un ministero che non si sapeva se fosse di Dio. Infine, partecipando alla missione di Cristo, capo e pastore, in comunione filiale con il vostro vescovo, impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia, per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare ciò che era perduto”.





12/05/2014 fonte: Radio Vaticana 

Perché 3000 religiosi all'anno lasciano l'abito talare

di Lorenzo Bertocchi

Il 2015 sarà l'Anno della Vita Consacrata. L'Arcivescovo Rodriguez Carballo – frate minore, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica – ha sottolineato che questo appuntamento è stato pensato nel contesto delle celebrazioni per i 50 anni del Concilio Vaticano II. L'Anno della Vita Consacrata – disse Mons. Carballo nel novembre scorso - vuole "fare memoria” del "fecondo cammino di rinnovamento” della vita consacrata in questo periodo, riconoscendo "anche le debolezze e le infedeltà come esperienza della misericordia e dell’amore di Dio”.

Tra le debolezze che attraversano la vita religiosa sicuramente c'è la crisi delle vocazioni e, correlato al precedente, il fenomeno degli abbandoni. In merito agli abbandoni possiamo registrare i dati forniti dallo stesso Mons. Carballo in un intervento sull'Osservatore Romano dello scorso ottobre. Il dicastero presieduto dal porporato brasiliano Braz de Aviz nel periodo 2008/2012 ha visto ben 13.123 uomini e donne che hanno lasciato la vita religiosa, con una media annuale di 2.624 (2,54 ogni 1000 religiosi). Aggiungendo anche i casi trattati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede si raggiunge la cifra di circa 3.000 religiosi o religiose che ogni anno abbandonano la loro scelta di vita.

In un'indagine del 2005 del francescano Luis Oviedo, si rilevava che nei quindici anni precedenti erano stati prevalentemente i religiosi professi di voti temporanei ad abbandonare. Ma anche tra i professi di voti perpetui da meno di dieci anni il fenomeno era assai rilevante, specialmente in America Latina e in Europa Occidentale. Le motivazioni del fenomeno venivano raggruppate dallo studioso in tre categorie: problemi affettivi, conflitto con i superiori e crisi di fede. Più o meno gli stessi che anche Mons. Carballo rileva nel suo articolo sull'Osservatore Romano.

Oviedo interpretava la situazione cercando le cause nella secolarizzazione, che ha ridotto tutti gli indici di fedeltà e di impegni definitivi, ma anche «il venir meno del senso di "eccellenza oggettiva" [della vocazione religiosa], conseguente allo sviluppo teologico postconciliare, avrebbe intaccato le capacità di attrazione nei confronti dei potenziali candidati alla vita consacrata». Secondo quest'ultima prospettiva una minor sottolineatura della speciale consacrazione del religioso rispetto ad altre vocazioni, come ad esempio quella matrimoniale, avrebbe in un certo senso favorito l'abbandono. Infatti, sebbene ci sia una chiamata per tutti alla santità, non tutte le vie per raggiungerla sono uguali.

Mons. Carballo nel suo intervento sull'Osservatore Romano ha indicato, tra le altre cause del fenomeno, quello "dell'assenza di vita spirituale, preghiera personale, preghiera comunitaria, vita sacramentale — che conduce, molte volte, a puntare esclusivamente sulle attività di apostolato, per poter così andare avanti o per trovare dei sotterfugi.”

Da questo punto di vista probabilmente possono valere le considerazioni che lo stesso Oviedo faceva nel 2005, vale a dire la necessità, oltre a selezioni rigorose e periodi di formazione ben organizzati, di sottolineare proprio la speciale consacrazione del religioso che rappresenta un unicum nel panorama ecclesiale. Infatti, questa via di speciale consacrazione ha proprio nella vita contemplativa la sua specificità, una vita centrata sulla preghiera e sui sacramenti.

Un certo attivismo pastorale a scapito della vita sacramentale e spirituale, abbinato ad una crescente perdita di importanza dei valori propri della scelta religiosa, in particolare castità e obbedienza, sono certamente alla radice dei continui abbandoni. Per arginare il fenomeno vi sono diverse vie da percorrere, innanzitutto occorre mostrare la forte identità della scelta religiosa rispetto ad un mondo sempre più liquido. Un'identità che proprio per questo può aprirsi all'altro senza paure o inutili compromessi.

Un profondo sentire cum ecclesia quindi che non si fondi su motivazioni vaghe e storicistiche, ma sulla tradizione e sulla vita evangelica. In vista dell'Anno della Vita Consacrata il caso delle suore americane appartenenti all'Lcwr può fornire molti spunti di riflessione su come interpretare questo sentire cum ecclesia che sia fonte di bene all'interno e all'esterno della Chiesa Cattolica.

12/05/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Paolo VI, il Papa martire del Sessantotto

di Piero Gheddo

Il Concilio Vaticano II aveva suscitato tanti entusiasmi e speranze, secondo quanto diceva San Giovanni XXIII: "Il Concilio sarà una nuova Pentecoste per la Chiesa”. La storia, com’è noto, è poi andata in senso diverso. Quando finisce il Vaticano II (7 dicembre 1965), Paolo VI pubblica, col Motu proprio Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966), le norme per applicare le decisioni conciliari alla vita quotidiana dei fedeli e di diocesi, parrocchie, istituti religiosi. Ma già nascevano convegni teologici, riviste specializzate (ad esempio Concilium) e pubblicistica ecclesiale che iniziavano la "fuga in avanti” (o indietro?) non spiegando e invitando ad applicare i documenti del Concilio, ma ipotizzando cosa volevano realmente dire i Padri conciliari. Si scriveva che "lo spirito del Concilio” superava ampiamente i testi conciliari, troppo timidi e incompleti, per colpa soprattutto delle mitica "Curia romana”. Sorgevano "profeti” che annunziavano prossimo il "Concilio Vaticano III”, che avrebbe dovuto completare il Vaticano II, ipotizzando forme nuove di vita cristiana e sacerdotale.

Nell’autunno 1967, inizia in Italia e in Occidente il "Sessantotto”, un miscuglio di grandi ideali (la pace e la giustizia nel mondo), di utopie spesso assurde (l’uguaglianza assoluta fra gli uomini e fra uomo e donna, il disarmo totale) e di comportamenti spesso violenti, che manifestavano la profonda insoddisfazione per la nostra società occidentale. Era una protesta generalizzata di giovani, specialmente studenti, contro la società in cui vivevano, bloccata dai "poteri forti” e dai detentori del potere, i "baroni” delle cattedre, i "padroni” delle industrie e tutte le autorità. Lo spirito sessantottino si è infiltrato anche nella Chiesa cattolica. A molti sembrava un movimento provvidenziale per il bene della politica, della società e della Chiesa.

Nascevano comunità di credenti, con i loro sacerdoti, che vivevano "secondo lo spirito del Concilio”, ma non obbedivano al vescovo ed erano motivo di divisione e di scandalo, amplificato dai mass media. Diminuiva la pratica religiosa, non pochi sacerdoti abbandonavano il sacerdozio, per sperimentare "un modo nuovo di essere prete”. Erano tempi di grande confusione, dubbi, incertezze: iniziava il periodo di crisi della fede e della vita cristiana di cui siamo ancor oggi spettatori addolorati.

Una certa teologia disincarnata dalla realtà minava le fondamenta dell'ideale missionario, come inteso dal Vaticano II. Si proclamavano come verità proposte che avevano qualcosa di autentico, ma diventavano, assolutizzandole, nefaste per la missione alle genti. Ad esempio:

Le giovani Chiese debbono annunziare Cristo ai loro popoli, i missionari sono superflui; nasceva una campagna di stampa per il "moratorium” delle missioni in Africa (ritirare tutti i missionari stranieri), per lasciar libere le Chiese locali. I non cristiani sono anche in Italia, la missione alle genti è qui da noi. Manchiamo di sacerdoti in Italia, perché voi missionari andate a portare Cristo in altri continenti, quando lo stiamo perdendo noi italiani? Non è importante che i popoli si convertano a Cristo, purché prendano il messaggio di amore e di pace del Vangelo. Ogni religione ha i suoi valori e tutte portano a Dio, che senso ha il "proselitismo” missionario in popoli di altre religione? Basta conversioni. Facciamo che il cristiano sia un miglior cristiano, il musulmano un miglior musulmano, un buddhista un miglior buddhista…

Il Papa martire del 1900: Paolo VI

Paolo VI era il Papa del Concilio, aveva portato avanti con grande saggezza e chiuso bene, con voti quasi unanimi dei 2.500 Padre conciliari, un evento straordinario che apriva orizzonti nuovi alla Chiesa. Uomo colto, mite, umile, che aveva capito i tempi moderni, comunicava in modo comprensibile a tutti (si leggano le sue encicliche!) e con la sua prima enciclica Ecclesiae Sanctae (1964) indicava il dialogo col mondo (dare e ricevere) come metodo di annunzio del Vangelo nei tempi moderni. Eppure, all’inizio degli anni Settanta, dopo le contestazioni violente e sprezzanti (da parte di cattolici) seguite alla Humanae Vitae (1968), che l’avevano ferito nel vivo, di fronte al marasma di quei tempi era intimidito, si sentiva mancare le forze per reagire e riportare il gregge di Cristo a vivere secondo gli orientamenti dati dal Vaticano II. E anche la Chiesa italiana, dialogante e divisa, non aiutava certo Paolo VI. Era orientata verso "il senso religioso”, mentre la società e la cultura italiana erano arate, seminate e devastate dai prepotenti e spesso violenti metodi e ideologie sessantottini. Il messianismo della rivolta studentesca sembrava dare vigore ai fermenti post-conciliari, che interpretavano il Concilio come una rottura con la Tradizione ecclesiale e una rivoluzione totale della Chiesa e della vita cristiana.

Tanto più che non pochi intellettuali e teologi, associazioni e gruppi ecclesiali, seguivano la travolgente onda culturale che portava verso il laicismo, il relativismo, l’individualismo (i "diritti individuali” ma non i "doveri”), la lettura "scientifica” della società (cioè il marxismo). Nessuno più osava dire forte e chiaro che un "mondo nuovo” è possibile, ma solo a partire da Cristo. Paolo VI lo diceva, lo ripeteva, lo proclamava ad alta voce (si vedano i numeri 26, 28, 31 della Octogesima adveniens, 1971 sul socialismo), ma era ascoltato solo dai semplici credenti e da coloro che, nelle mischie dei talk show, erano definiti "papalini” in senso negativo.

La crisi dell’ideale missionario nell’Occidente cristiano è nata nella crisi di fede che squassava la Chiesa intera. Ha preso tutti alla sprovvista e ha diviso le forze missionarie (istituti missionari, riviste, animazione missionaria, ecc.). Un esempio significativo (ne ricordo tanti!). Nell'estate 1968, come già diverse volte in precedenza, ho partecipato alla Settimana di Studi missionari a Lovanio ("Liberté des Jeunes Eglises"), organizzata dall'indimenticabile amico gesuita padre Joseph Masson, docente di Missiologia della Gregoriana. Diverse voci non di missionari sul campo, ma di studiosi, teologi, missiologi mi ferivano, perché esprimevano forti dubbi sul mandare missionari europei in altri continenti; molto meglio, si diceva, lasciare che le giovani Chiese raggiungano una loro maturità e si organizzino secondo le loro idee e culture. Ho protestato contro questa ipotesi perché avevo seguito dal di dentro il Vaticano II e testimoniavo che la totalità dei vescovi delle missioni si erano espressi in modo radicalmente opposto, chiedendo nuovi missionari. Anzi, con l’indipendenza dei loro paesi, sentivano la necessità di avere più forti legami con la sede di Pietro e le Chiese cattoliche antiche. È solo un esempio della mentalità che si era infiltrata e diffusa nella Chiesa in quel tempo post-conciliare.

La crisi della "missio ad gentes”, e quindi dell'animazione missionaria (e delle riviste e libri missionari), si è manifestata anche nella chiusura delle tre "Settimane di studi missionari" che si tenevano a Milano dal 1960 (esperienza chiusa nel 1969), a Burgos (1970) e a Lovanio (1975), che venivano da una lunga tradizione (a Lovanio dagli anni venti), per i forti contrasti e divisioni fra i teologi e gli specialisti delle missioni.

12/05/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana


IL SANTO DEL GIORNO 06/05/2014 San Pietro Nolasco fondatore dei Mercedari



Il fondatore dei Mercedari nacque verso il 1182-1189 a Mas-Saintes-Puelles, nella Linguadoca, da una nobile famiglia. In quel periodo, nel sud della Francia imperversava l’eresia degli Albigesi e probabilmente per sottrarsi all’influsso di quella sètta, sui vent’anni dopo la morte dei genitori Pietro vendette i suoi beni e si trasferì a Barcellona. Allora circa la metà della penisola iberica era sotto il dominio degli arabi musulmani, che durante gli scontri armati catturavano i cristiani per farne degli schiavi. Il santo, trasformatosi in mercante per insinuarsi facilmente tra i maomettani, decise di dedicarsi al riscatto di quei poveri prigionieri. Prima di iniziare questa missione si recò in pellegrinaggio al celebre santuario mariano di Montserrat, in Catalogna, e dopo qualche tempo partì per Valencia, allora sotto dominio arabo, dove riuscì col suo denaro a liberare più di trecento schiavi. Esaurite le sue disponibilità finanziarie, riuscì a raccogliere attorno a sé, sensibilizzandoli al problema, altri giovani della nobiltà per chiedere offerte con cui riprendere e intensificare i riscatti. A confermarlo nella sua decisione contribuì un’apparizione della Vergine, la quale gli disse che suo Figlio desiderava la fondazione di un ordine religioso che si occupasse della redenzione degli schiavi. Col consenso del vescovo di Barcellona, il santo formò col gruppo dei suoi amici e discepoli una confraternita che, sotto la guida del domenicano san Raimondo di Peñafort e l’aiuto economico del re d’Aragona Giacomo I, si consolidò ricevendo nel 1228 l’approvazione orale di papa Onorio III. Il vescovo nella cattedrale di Barcellona vestì Pietro e i suoi dodici compagni dell’abito di lana bianca (in segno di omaggio alla purezza della Vergine Maria), mentre il re Giacomo I donò loro per distintivo lo scudo del suo regno, dando così all’Ordine un carattere militare, e l’ospedale di Santa Eulalia, attiguo alla reggia, che servì loro come primo convento e come casa di accoglienza degli schiavi riscattati e di assistenza ai poveri e ai malati. Nasceva così l’Ordine di Santa Maria della Mercede, i cui membri si sarebbero chiamati Mercedari. Ma poche volte, e soltanto con alcuni cavalieri, essi presero parte ad azioni di guerra contro i Mori, perché il fondatore mirava più alla salvezza delle anime che a fini politici. Ebbero invece l’incarico di presidiare vari castelli di confine per proteggere la popolazione dalle incursioni degli arabi.

I Mercedari adottarono la regola di S. Agostino, cui aggiunsero alcune semplici costituzioni. Nel frattempo Raimondo di Peñafort, che era stato chiamato presso la Curia romana, ottenne la solenne conferma dell’Ordine da parte di papa Gregorio IX con la bolla Devotionis Vestrae del 17 gennaio 1235. I laici sempre più numerosi che aiutavano il Nolasco nella raccolta delle elemosine furono poi inquadrati nella Confraternita e Terz’Ordine della Mercede. Il Fondatore aveva stabilito non solo che tutti i beni e le attività dei religiosi fossero destinati alla liberazione e alla rieducazione morale degli schiavi, ma che «tutti i membri dell’Ordine, come figli della vera obbedienza, fossero lietamente disposti in ogni tempo a dare, se necessario, la propria vita, come Cristo la dette per noi», e che ciascuno si obbligasse con il "voto di redenzione” a rimanere egli stesso schiavo per liberare coloro che correvano pericolo di perdere la fede. All’inizio i membri erano tutti laici, come era e rimase lo stesso Pietro, ma poi Clemente V decretò che il Maestro Generale dovesse essere sempre un sacerdote.

Nel 1244, in occasione del Capitolo generale che si teneva ogni anno per la festa della "Croce di maggio”, il santo chiese a Innocenzo IV di porre sotto la protezione di S. Pietro e sua personale l’Ordine e le Confraternite: il pontefice accolse la richiesta con la bolla Religiosam vitam che fu detta aurea perché portava il sigillo d’oro essendo stata emanata nel concilio di Lione, firmata dal papa e dai dodici cardinali presenti. Merito del santo non è solo quello di aver fondato l’Ordine, ma di avergli dato una base stabile e continuativa con un’adeguata organizzazione; tra l’altro stabilì che i cristiani liberati, prima di tornare in famiglia, accompagnassero i religiosi questuanti per testimoniare le sofferenze subite in prigionia; inoltre, volle che in ogni suo convento vi fosse un ospedale o un’infermeria per curare gli infermi, alloggiare i pellegrini, istruire e confermare nella fede i reduci dalla schiavitù. Nel 1245, durante un viaggio ad Algeri per un’altra serie di riscatti, avendo esaurito il denaro, egli si offrì come ostaggio per liberare atri prigionieri e poiché tardava ad arrivare il prezzo del suo riscatto, venne frustato a sangue dai musulmani, quindi caricato su una barca danneggiata in precedenza e abbandonato in mare. Per intervento soprannaturale riuscì a raggiungere sano e salvo la Spagna. Una sorte analoga era toccata, sempre in Algeria, a san Raimondo Nonnato, che era entrato nell’Ordine dei Mercedari nel 1224: catturato e tenuto per diversi mesi come ostaggio, era stato sottoposto a crudeli sevizie, e per impedirgli di predicare, i suoi aguzzini gli avevano serrato la bocca con un lucchetto dopo avergli perforato le labbra con un ferro rovente. Ma lui continuò ugualmente a fare coraggio agli schiavi esortandoli e perseverare nella fede.

Nel 1238, avendo assistito alla liberazione di Valencia, il Nolasco ricevette in dono da Giacomo I la collina del Puig dove edificò una chiesa e un convento e dieci anni dopo, quando i Mori furono scacciati da Siviglia, il santo ebbe in dono in quella città dal re Ferdinando III (a sua volta canonizzato) un convento e una moschea da trasformare in chiesa. Debilitato anche a causa dei molti viaggi intrapresi attraverso tutta la Spagna e il sud della Francia, rinunciò alla carica di Maestro generale e nominò suo successore Guglielmo de Bas. Il presagio della prossima fine lo ebbe in forma prodigiosa da S. Raimondo Nonnato, di cui era andato a visitare la tomba a Portel. Colpito dalla malaria nel 1249 a Barcellona, dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti circondato dai suoi religiosi, morì il 13 maggio di quello stesso anno. Fu sepolto nella chiesa del convento ma, per quante ricerche si facessero ripetutamente dal 1400 al 1800, anche nella cattedrale della città, le sue spoglie non vennero più trovate. Alla sua morte l’Ordine era già diffuso non soltanto in tutta la Spagna e in Francia, ma anche in America Latina e in Italia. Il suo culto, estesosi rapidamente insieme all’Ordine Mercedario, fu confermato con regolare processo dalla Congregazione dei Riti nel 1628 e successivamente esteso a tutta la Chiesa nel 1664. Messina e Palermo lo venerano come loro patrono.


Papa Francesco: i cristiani siano liberi da vanità, sete di potere e di soldi





Nella Chiesa ci sono persone che seguono Gesù per vanità, sete di potere o soldi; il Signore ci dia la grazia di seguirlo solo per amore: è la preghiera che ha fatto il Papa durante la Messa presieduta stamani a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Prendendo lo spunto dal Vangelo del giorno, in cui Gesù riprova la gente di cercarlo solo perché si era saziata dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, il Papa invita a porsi la domanda se seguiamo il Signore per amore o per qualche vantaggio. "Perché noi siamo tutti peccatori – ha osservato - e sempre c’è qualcosa di interessato che deve essere purificato nel seguire Gesù e dobbiamo lavorare interiormente per seguirlo per Lui, per amore”. "Gesù – afferma Papa Francesco - accenna a tre atteggiamenti che non sono buoni nel seguire Lui o nel cercare Dio. Il primo è la vanità”. In particolare, si riferisce a quei notabili, a quei "dirigenti" che fanno l’elemosina o digiunano per farsi vedere:

"Questi dirigenti volevano farsi vedere, a loro piaceva – per dire la parola giusta – piaceva pavoneggiarsi e si comportavano come veri pavoni! Erano così. E Gesù dice: ‘No, no: questo non va. Non va. La vanità non fa bene’. E alcune volte, noi facciamo cose cercando di farci vedere un po’, cercando la vanità. E’ pericolosa, la vanità, perché ci fa scivolare subito sull’orgoglio, la superbia e poi tutto e finito lì. E mi faccio la domanda: io, come seguo Gesù? Le cose buone che io faccio, le faccio di nascosto o mi piace farmi vedere?”. 

"E io anche penso a noi, a noi pastori” - ha detto il Papa – perché "un pastore che è vanitoso non fa bene al popolo di Dio”: può essere prete o vescovo, ma "non segue Gesù” se "gli piace la vanità”. "L’altra cosa che Gesù rimprovera a quelli che lo seguono – afferma - è il potere”: 

"Alcuni seguono Gesù, ma un po’, non del tutto consapevolmente, un po’ inconsciamente, ma cercano il potere, no? Il caso più chiaro è Giovanni e Giacomo, i figli di Zebedeo, che chiedevano a Gesù la grazia di essere primo ministro e vice-primo ministro, quando sarebbe venuto il Regno. E nella Chiesa ci sono arrampicatori! Ci sono tanti, che usano la Chiesa per … Ma se ti piace, vai a Nord e fai l’alpinismo: è più sano! Ma non venire in Chiesa ad arrampicarti! E Gesù rimprovera questi arrampicatori che cercano il potere”. 

"Soltanto quando viene lo Spirito Santo – ha osservato il Papa - i discepoli sono cambiati. Ma il peccato nella nostra vita cristiana rimane e ci farà bene farci la domanda: io, come seguo Gesù? Per Lui soltanto, anche fino alla Croce, o cerco il potere e uso la Chiesa un po’, la comunità cristiana, la parrocchia, la diocesi per avere un po’ di potere?”. "La terza cosa che ci allontana dalla rettitudine delle intenzioni - sottolinea - sono i soldi": 

"Quelli che seguono Gesù per i soldi, con i soldi, cercando di approfittare economicamente della parrocchia, della diocesi, della comunità cristiana, dell’ospedale, del collegio … Pensiamo alla prima comunità cristiana, che ha avuto questa tentazione: Simone, Anania e Saffira … Questa tentazione c’è stata dall’inizio, e abbiamo conosciuto tanti buoni cattolici, buoni cristiani, amici, benefattori della Chiesa, anche con onorificenze varie … tanti! Che poi si è scoperto che hanno fatto negozi un po’ bui: erano veri affaristi, e hanno fatto tanti soldi! Si presentavano come benefattori della Chiesa ma prendevano tanti soldi e non sempre soldi puliti”.

"Chiediamo al Signore la grazia – ha concluso il Papa - che ci dia lo Spirito Santo per andare dietro a Lui con rettitudine di intenzione: soltanto Lui. Senza vanità, senza voglia di potere e senza voglia dei soldi”.



06/05/2014 fonte:  Radio Vaticana 

Crocifissioni, oggi in Siria domani in Italia

di Valentina Colombo



Le crocifissioni a Raqqa, le cui atroci immagini sono rimbalzate in questi giorni su tutti i mezzi di comunicazione, trovano spiegazione nel versetto 33 della sura coranica La tavola imbandita, che recita: «La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso». 

La traduzione è di Hamza Roberto Piccardo, curatore dell’edizione italiana del Corano con la "Revisione e controllo dottrinale dell’Unione delle comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia” (Ucoii) pubblicata dalla Newton Compton. È sempre Piccardo ad illustrare nel commento a piè di pagina, alla nota 28, il contenuto del versetto: «Questo versetto indica la pena che la shari’a commina a coloro che in modo organizzato, cosciente e reiterato, compiono atti criminali contro la società islamica, genocidio o anche solo brigantaggio, rapina a mano armata, sequestro di persona a fine di riscatto. Il versetto prevede anche una graduazione della sanzione in base alla gravità della colpa commessa ed è comunque previsto (vedi vers. 34) che coloro i quali si pentono, si ravvedono e sono disposti a riparare al male compiuto possano essere perdonati dall’autorità (fermo restando il contenzioso con le vittime delle loro imprese che viene regolato in base alla normativa relativa all’omicidio e a quella delle lesioni volontarie)». 

Colpisce che siffatto commento si trovi, senza alcuna edulcorazione e senza alcuna contestualizzazione, in un Corano che è tra i più venduti in Italia, ma al contempo chiarisce anche che la crocifissione è una pena prevista dal diritto penale islamico sia per i credenti che per i non credenti. 

Non a caso al collo di uno dei due uomini condannati a Raqqa, entrambi musulmani, è stato appeso un cartello con la scritta: «Costui ha combattuto i musulmani e ha fatto scoppiare un ordigno [rudimentale] in questo luogo». Il reato commesso quindi è quello di essersi contrapposto alla società islamica, in questo caso allo Stato islamico. 

A Raqqa, denominata la "Kandahar siriana”, è in atto dal marzo 2013 una lotta per la conquista del potere tra i due principali raggruppamenti jihadisti – Jabhat al-Nusra e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Se nel marzo 2013 era stata Jabhat al-Nusra a cacciare le forze legate ad Assad, già nel maggio 2013 lo Stato islamico aveva preso il controllo della città instaurandovi la sede del "distretto di Raqqa” governato da un emiro. Da quel momento gran parte della popolazione cristiana, che rappresentava il 10% della popolazione, ha abbandonato la città.  Nel dicembre 2013 la Chiesa armena dei martiri è stata occupata e trasformata, dopo che al posto della croce sul tetto è stato issato il vessillo nero dei jihadisti, nella sede della predicazione del gruppo. 

Nel febbraio 2014 lo Stato Islamico di Siria e del Levante ha posto ai pochi cristiani rimasti delle regole che ricalcano il cosiddetto patto di Omar – citato anche nello Statuto di Hamas – in base al quale non solo i cristiani non devono costruire nuovi monasteri, chiese o conventi nelle città e nelle zone circostanti, non devono impedire ai loro parenti di convertirsi all’islam qualora lo desiderino, non devono vestirsi come i musulmani, non devono chiamarsi con nomi musulmani, non devono esporre il crocefisso né nessun loro libro sacro innanzi ai musulmani; ma devono versare la tassa di capitazione (la jizya) per ottenere la "protezione” dello Stato islamico. 

In questo contesto, in cui i cristiani sono ridotti di numero, ma soprattutto ridotti in semi-schiavitù,  le due recenti crocifissioni rientrano invece nella faida tra Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico. Non è infatti un caso che il 2 maggio Ayman al-Zawahiri abbia inviato un messaggio rivolto alle due fazioni sunnite jihadiste per invitarle a evitare i combattimenti e le uccisioni fratricide per concentrarsi contro i veri nemici, ovvero gli sciiti e il regime di Assad. 

Ebbene, tutto ciò conduce a una riflessione. Innanzitutto la crocifissione è, in base al versetto coranico citato, parte integrante del diritto penale islamico con sfumature a seconda della scuola giuridica. Le crocifissioni a Raqqa sono solo l’immagine più barbara di questa istituzione, praticata da bande sanguinarie che vogliono reinstaurare il califfato islamico. Tuttavia va rammentato che questa pratica è attualmente in uso in alcuni Stati islamici. 

In Iran l’articolo 195 del Codice penale che riguarda il mohareb, parola persiana che corrisponde all’arabo muharib, termine usato nel cartello di uno degli uomini crocifissi a Raqqa, recita: «L’esecuzione di un mohareb sarà eseguita come segue: a) il metodo usato per legarlo/a non uccide; b) lui/lei non deve restare crocefisso per più di tre giorni, ma se muore prima dei tre giorni può essere tolto/a dalla croce; c) se sopravvive ai tre giorni non deve essere ucciso; d) amputazione della mano destra e del piede sinistro va effettuata come per il reato di furto». 

Si comprende quindi che la crocifissione non è intesa come la crocifissione di Cristo con i chiodi volta a causare una morte più rapida, bensì come esposizione sulla pubblica piazza del reo che è destinato a una morte lenta e più atroce. In Arabia Saudita nel maggio 2013 cinque yemeniti, accusati di furto a mano armata, sono stati decapitati e poi i loro corpi crocifissi, ovvero, come è d’uso in Arabia Saudita, appesi ed esposti al pubblico per tre giorni. Quindi qui la crocifissione è solo un atto successivo alla condanna a morte. 

In Sudan l’articolo 168 del Codice penale prevede la crocifissione dopo la pena capitale non solo per il furto a mano armata, ma anche per il reato di apostasia. Ebbene, la conferma della islamicità della crocifissione per il reato di apostasia viene dalle parole di Yusuf al-Qaradawi, teologo di riferimento dei Fratelli musulmani e presidente del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca con sede a Dublino, che in un’intervista (clicca qui) ha dichiarato che l’islam è sopravvissuto solo grazie alla pena di morte prevista per l’apostasia e che citando il versetto 33 della sura La tavola imbandita ha detto che «secondo la narrazione di Abu Qulaba questo versetto si riferisce agli apostati» per proseguire affermando che numerosi detti di Maometto prevedono la pena di morte per chi abbandona l’islam.

La riflessione cui deve condurre l’aberrante visione delle crocifissioni in Siria è che non si tratta di un fenomeno relegato al jihadismo, ma che ancora oggi esistono stati che la praticano ufficialmente e, ultimo ma non meno importante, che vi sono predicatori islamici che non solo parlano dalle televisioni satellitari arabe e che quindi influenzano milioni di musulmani, ma che agiscono in Europa e che sono alla base di interpretazioni del testo coranico che finiscono nelle mani di curiosi, di credenti e soprattutto di convertiti che non hanno una conoscenza tale dell’arabo per potere leggere il testo in lingua originale. 

Le immagini delle crocifissioni a Raqqa devono ricordare alle istituzioni internazionali che sono il frutto di una interpretazione rigida e fossilizzata del testo coranico, un’interpretazione che ne rifiuta la contestualizzazione e la storicizzazione e che quindi pretende che regole stabilite nel VII secolo dopo Cristo siano ancora valide nel XXI secolo. Le crocifissioni di Raqqa sono paradigmatiche dell’esito di un’interpretazione istituzionalizzata in paesi come l’Iran, il Sudan e l’Arabia Saudita, ma i cui predicatori circolano attraverso la rete, attraverso le loro pubblicazioni e anche personalmente anche in Occidente. Non è forse un caso che migliaia di europei siano partiti a combattere il jihad in Siria, proprio tra le fila delle fazioni rivali che stanno crocifiggendo quelli che, secondo i loro parametri, sono «coloro che fanno la guerra ad Allah».

 06/05/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Mons. Tomasi: Santa Sede fortemente impegnata contro la tortura, no a confronto ideologico





La Santa Sede è impegnata a combattere la tortura "con l’intenzione primaria di difendere i diritti inviolabili della persona umana”. E’ quanto ribadito da mons. Silvano Maria Tomasi, intervenuto stamani a Ginevra al 52.mo Comitato Onu sulla Convenzione contro la tortura (CAT). Il presule ha tenuto a sottolineare che la Convezione si applica allo Stato della Città del Vaticano ed ha ribadito che è, dunque, fuorviante pensare che la Santa Sede abbia giurisdizione su ogni membro della Chiesa Cattolica. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

La Santa Sede "considera la Convenzione contro la tortura” uno strumento "valido” per "combattere atti che costituiscono una grave offesa alla dignità umana”. Mons. Silvano Maria Tomasi ha esordito così, ribadendo quanto la delegazione - da lui guidata - apprezzi la Convenzione, alla quale lo Stato vaticano ha aderito nel 2002. Quindi, ha messo in guardia da interpretazioni sbagliate sul raggio d’azione di questo strumento. Riferendosi alla Dichiarazione interpretativa fornita al momento dell’adesione, l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra ha evidenziato che la Convenzione si applica allo Stato della Città del Vaticano, quindi le affermazioni colloquiali che identificano la Santa Sede con la Chiesa sono "fuorvianti”. Va sottolineato, ha detto il presule, che la Santa Sede "non ha giurisdizione” su "ogni membro della Chiesa cattolica”. E dunque "le persone che vivono in un particolare Paese sono sottoposte alla giurisdizione delle legittime autorità di quel Paese”.

"Le autorità statali – ha proseguito – sono obbligate a proteggere e, quando necessario, perseguire le persone sotto la loro giurisdizione”. La Santa Sede, ha osservato, "esercita la stessa autorità su quanti vivono nella Città dello Stato Vaticano in accordo alle proprie leggi”. La Santa Sede – "rispettando i principi di autonomia e sovranità degli Stati” – insiste che l’autorità statale che "ha la legittima competenza agisce come soggetto responsabile della giustizia, riguardo ai crimini e agli abusi commessi da persone sotto la propria giurisdizione”. Ogni individuo, "a prescindere dall’affiliazione ad una istituzione cattolica”, ha detto ancora, "è soggetto all’autorità particolare dello Stato”. 

La Santa Sede, ha aggiunto, auspica che "nell’applicazione della Convenzione a tutte le nuove appropriate situazioni”, queste rimangano "nell’ambito della specifica area” della medesima Convenzione. E questo, viene rilevato, perché "l’introduzione di altri temi di cui la Convenzione non tratta” riduce "l’obiettivo originale della Convenzione” e "mette a rischio le situazioni di coloro che sono abusati e torturati”. Di qui il pericolo, ha rilevato mons. Tomasi, che il lavoro del Comitato non solo sia "inefficace, ma perfino controproducente”. L’arcivescovo Tomasi non ha, quindi, mancato di rammentare le numerose prese di posizione, ai più alti livelli, da parte della Chiesa contro la tortura e in particolare attraverso il Magistero dei Pontefici nel Secondo dopoguerra. La Santa Sede, ha affermato, ha promosso e continuerà a promuovere a "livello globale i valori e i diritti umani” che sono "necessari per relazioni amichevoli tra i popoli e la pace nel mondo”.

Al termine della sessione di lavori, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Ginevra mons. Silvano Maria Tomasi, che domani pomeriggio risponderà alle questioni poste dal Comitato:RealAudioMP3 

R. - L’incontro di questa mattina è stato molto aperto e abbastanza sereno. Adesso, stiamo preparando le risposte per domani dopo pranzo, in modo da chiarire da un punto di vista giuridico le responsabilità della Santa Sede sia nell’applicazione della Convenzione contro la Tortura, sia per quanto riguarda crimini commessi contro minorenni da parte di personale di Chiesa.

D. - Nel suo intervento introduttivo, lei ha sottolineato quanto la Santa Sede si sia impegnata - ovviamente non da adesso - contro la tortura…

R. - Io ho osservato che prima di tutto non bisogna fossilizzarsi sul passato ma bisogna tener conto delle misure prese negli ultimi dieci anni, sia dalla Santa Sede, sia dalle Conferenze episcopali per prevenire abusi sui minorenni e per aiutare le vittime. Secondo, ho detto anche che bisogna tener conto di una distinzione giuridica importante: quello che è responsabilità della Santa Sede verso lo Stato della Città del Vaticano per il quale ha firmato questa Convenzione contro la Tortura, e quello che è il ruolo morale della Santa Sede verso tutti coloro che si dicono cattolici. Sono due cose diverse: la giurisdizione legale e la responsabilità morale. Terzo punto è che noi affronteremo tutte le questioni nel miglior modo possibile in modo da creare un dialogo costruttivo e non un confronto basato su alcune asserzioni che alle volte le Ong mettono in forma molto polemica e che sono poi usate come informazioni accurate, anche se qualche volta non lo sono...

D. - C’è questo pericolo, lei stesso lo ravvisa nel suo intervento, che si vada ad allargare l’area di competenza della Convenzione…

R. - La Santa Sede, come ogni altro Stato che ha ratificato la Convenzione, è obbligata a seguire il testo della Convenzione ratificata. Le interpretazioni sono interpretazioni degli esperti che non hanno certamente la stessa obbligatorietà, ed alcune volte sono addirittura contraddette da altri esperti. Perciò, bisogna prendere con un po’ di attenzione e prudenza queste interpretazione ma soprattutto evitare che la burocrazia, con tutta la buona volontà, si sostituisca al processo democratico e decisionale degli Stati.





06/05/2014 Fonte: Radio Vaticana 

Brasile. I vescovi scrivono al Papa: hai "rubato" il cuore ai giovani della Gmg di Rio





I lavori della 52.ma Assemblea generale dei vescovi del Brasile (Cnbb) in Aparecida, con la partecipazioni di circa 350 vescovi continuano questo lunedì. I prelati riuniti ad Aparecida continuano ad approfondire la riflessione del tema centrale: "Comunità delle comunità: Una nuova parrocchia". La Commissione competente ha presentato una sintesi de testo, mostrando come le parrocchie, diocesi, Cnbb regionale, i movimenti pastorali della Chiesa, hanno discusso e hanno inviato i loro contributi alla Cnbb. Anche la Commissione episcopale per la Liturgia ha fatto una breve presentazione del lavoro di revisione del Messale Romano. Il tema principale di questo lunedì è la questione agraria. Questo argomento è stato discusso nei giorni scorsi sul testo "La Chiesa e la questione agraria nei primi anni del 21.mo secolo". Lo scorso fine settimana, i vescovi hanno partecipato al ritiro predicato dall'arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia), mons. Bruno Forte. Tema delle riflessioni "Camminare nella fede". Il ritiro si è concluso ieri alle ore 12.30.

L’episcopato brasiliano riunito ad Aparecida questo fine settimana ha inviato un messaggio al Papa Francesco, nel quale si afferma che i vescovi del Brasile si ritrovano ad Aparecida sotto il manto della Madre di Gesù, nella Casa di Maria, una casa che il Santo Padre conosce bene. Nel messaggio, i presuli sottolineano che "nonostante i tanti problemi che ogni fratello deve affrontare, la nostra Assemblea è segnata da un clima di speranza e di gioia. La nostra gioia è dovuta sia alla consapevolezza della presenza del Risorto in mezzo a noi, sia dalla certezza che siamo fratelli attenti alle storie e sfide che portiamo nei nostri cuori. Così, il peso delle responsabilità di ciascun è condiviso tra tutti".

Poi, l'apprezzamento dei vescovi brasiliani per l'occasione della presenza del Santo Padre, "tra di noi" durante la Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro, nel luglio scorso, e la testimonianza "di come il nostro Paese e in particolare i nostri giovani sono grati per questo. Ognuno si è sentito confortato dalla sua presenza in mezzo a noi, dalle sue parole e gesti. I nostri giovani ricordano con affetto quello che hanno visto, sentito e vissuto. Con la semplicità che li caratterizza, costatano come il Papa "abbia rubato il loro cuore”. Un grazie anche al Papa Francesco per la recente Canonizzazione di padre José de Anchieta, "l'Apostolo del Brasile", aggiungendo che "noi, gli apostoli di oggi, abbiamo molto da imparare da questo fratello che è venuto in Brasile, non in cerca d’oro o fama ma per portare a chi viveva qui quello che lui aveva di più caro: la fede in Gesù Cristo, il Salvatore".

Ancora, un ricordo dei presuli della Messa celebrata a Roma il 24 aprile, nella Chiesa di S. Ignazio, quando Papa Francesco con molti brasiliani ha reso grazie a Dio per questa canonizzazione, e l'annuncio di una celebrazione nel Santuario di Aparecida, questa domenica, anche in ringraziamento per la canonizzazione di Anchieta. In conclusione, nel messaggio dei vescovi brasiliani il ricordo del tema dell'Assemblea, "la Parrocchia - comunità di comunità”, e l'importanza dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium che ha illuminato i vescovi su questo tema. Infine, l’episcopato più grande del mondo chiede una benedizione per l'assemblea, le diocesi, parrocchie e le famiglie. "Nostra Signora Aparecida, Patrona del Brasile, interceda per il vostro ministero!" L’Assemblea si concluderà il 9 maggio prossimo. (A cura di Silvonei José Protz)




06/05/2014 fonte:  Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 28/04/2014 San Luigi Maria Grignon de Montfort



La formazione spirituale
Secondo dei diciotto figli di Jean-Baptiste (1647-1716), avvocato, e di Jeanne Robert de la Vizeule (1649-1718), Luigi Grignion nasce il 31 gennaio 1673 a Montfort-la-Cane, oggi Montfort-sur-Meu, in Bretagna, nella Francia nordoccidentale. La sua vita, breve secondo i normali criteri di valutazione — morirà a quarantatré anni —, s’iscrive quasi perfettamente entro i limiti cronologici (1680-1715) del periodo trattato dallo storico Paul Hazard (1878-1944) nella sua opera sulla crisi della coscienza europea, cioè l’epoca dei razionalisti e dei libertini, del deismo e del giansenismo, dell’attacco contro le credenze tradizionali, soprattutto in Francia. L’aver intuito l’esistenza di un’unità di fondo di queste correnti e tendenze è il grande merito di Montfort, che si dedicherà alla riconquista delle anime con ardente carità missionaria.
Egli riceve la prima educazione in una famiglia profondamente cristiana e manifesta molto presto attenzione alla vita interiore, vocazione all’apostolato e una tenera devozione alla Santa Vergine, espressa anche con l’aggiunta del nome di Maria a quello di Luigi in occasione della Cresima. Compie quindi gli studi umanistici e filosofici nel collegio San Tommaso Becket di Rennes, tenuto dai padri gesuiti, dove stringe amicizia con il futuro canonico Jean-Baptiste Blain (1674-1751), che ha lasciato una preziosa testimonianza di prima mano sulla sua vita, e con Claude-François Poullart des Places (1679-1709), più tardi fondatore della Congregazione dello Spirito Santo, e matura la vocazione sacerdotale.
Nell’autunno del 1692 si trasferisce a Parigi per studiare teologia alla Sorbona ed entra, grazie a una borsa di studio, nel seminario di Saint-Sulpice, vivaio del clero di Francia, distinguendosi per il rigore ascetico e per i gesti di carità, e alimentandosi alla grande scuola spirituale francese del secolo XVII, il cui inizio è fatto risalire al card. Pierre de Bérulle (1575-1629), principale artefice della Riforma cattolica in Francia. Il 5 giugno 1700, a ventisette anni, riceve l’ordinazione sacerdotale e comincia a dedicarsi al riscatto spirituale del popolo, rianimandone la fede e difendendone la pietà contro gli attacchi degli innovatori.
Nel novembre del 1701, nominato cappellano dell’ospedale di Poitiers dal vescovo diocesano, mons. Claude de La Poype de Vertrieu (1655-1732), si preoccupa di porre ordine, spirituale e materiale, in quella "povera Babilonia", stimolando riforme e dando esempi di grande abnegazione. In città conosce Marie-Louise Trichet (1684-1759), la futura beata suor Maria Luisa di Gesù, figlia del procuratore generale, con la quale fonderà le Figlie della Carità, che si dedicheranno all’istruzione dei fanciulli e all’assistenza negli ospedali. Tuttavia, un uragano furioso — scatenato dagli scettici e dai giansenisti, che mal ne sopportavano lo zelo missionario, la purezza morale e la profonda devozione mariana — si leva contro la sua predicazione fin dall’inizio. Le resistenze e le ostilità sono tali che dopo quattro anni deve lasciare l’incarico, nonostante l’affetto e la gratitudine dei malati, dimostrati anche in modo clamoroso.
Si trattiene a Poitiers ancora un anno, quindi, provando il desiderio di dedicarsi alla salvezza degl’infedeli, compie un pellegrinaggio a Roma, a piedi, per consigliarsi con il Vicario di Cristo. Papa Clemente XI (1700-1721), ricevendolo in udienza il 6 giugno 1706, lo dissuade da quel proposito, gli conferisce il titolo di Missionario Apostolico e gl’ingiunge di riprendere l’apostolato in Francia.

L’attività missionaria
Poiché la diocesi di Poitiers continua a essergli preclusa, Montfort si dedica alla predicazione nella nativa Bretagna e in Vandea, proseguendo la tradizione delle missioni al popolo, espressione del movimento missionario sorto agli inizi del secolo XVII e realizzato da personalità eminenti come san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), san Giovanni Eudes (1601-1680) e il gesuita beato Giuliano Maunoir (1606-1683).
Luigi Maria Grignion è l’ultimo di questi grandi missionari e, sebbene i suoi metodi innovassero solo aspetti secondari, immette nella loro applicazione un dinamismo creativo e un ardore apostolico eccezionali. Le sue missioni sono caratterizzate dalla predicazione del catechismo e da grandi manifestazioni pubbliche di culto, soprattutto da solenni processioni, che culminano nella rinnovazione da parte dei partecipanti delle promesse battesimali e nell’innalzamento, in luogo eminente, della croce della missione. Egli dà grande importanza a queste pratiche, sia per rendere visibili le principali verità della fede e per radicare gli effetti della sua ardente predicazione, sia per prendere una posizione chiara nei confronti degli innovatori, che attaccavano proprio queste manifestazioni in nome e sotto il pretesto di una religiosità più intima e più austera. Una parte di rilievo nella sua predicazione hanno anche i canti popolari, da lui composti in gran numero e utilizzati non solo per trasmettere il messaggio cristiano e per educare le menti, ma anche per scaldare i cuori dei semplici e per scuotere quelli più induriti.
Allo scopo di perpetuare la sua opera Montfort fonda la Compagnia di Maria, una congregazione di sacerdoti, detti monfortani, votati unicamente alle missioni al popolo. Nel 1708, a Nantes, fonda anche l’associazione laicale degli Amici della Croce, alla quale indirizzerà sei anni dopo la Lettera agli Amici della Croce — l’unico scritto dato alle stampe quando era ancora in vita —, in cui condensa il suo pensiero sul significato della Croce nella vita cristiana. Nella Croce egli vede la fonte di una superiore sapienza, la sapienza cristiana, che si è incarnata ed e stata crocifissa, che insegna all’uomo a preporre la fede alla ragione orgogliosa, la retta ragione ai sensi ribelli, la morale alla volontà sregolata, l’eterno al contingente e al transitorio. Analoghe considerazioni aveva svolto nel suo primo scritto, L’amore dell’eterna Sapienza, composto a Parigi fra la fine del 1703 e l’inizio del 1704, in cui oppone la Saggezza vera e profonda, quella consistente nell’unirsi a Cristo e alla sua Croce, alla saggezza superficiale e salottiera che cominciava a dominare la cultura francese laica e, in parte, quella cattolica.
Il successo delle sue iniziative è grande, ma grandi sono anche le ostilità incontrate e le prove affrontate. Così, per esempio, il vescovo di Saint-Malo, mons. Vincenzo Francesco Desmarets (1657-1739), che simpatizza per i giansenisti, in un primo tempo gli proibisce ogni predicazione, quindi, ritirato questo drastico ordine, gli limita comunque la possibilità d’azione. Ancor più dolorosa è la prova che lo aspetta nella diocesi di Nantes, il cui vescovo, mons. Egidio de Beauveau (1653-1717), nega la benedizione al Calvario di Pontchâteau, costruito in quindici mesi grazie al concorso di una moltitudine di persone di ogni sesso, età e condizione sociale, e distrutto poco dopo per ordine di re Luigi XIV di Borbone (1638-1715), sobillato da nemici di Montfort. Il Calvario, ricostruito anni dopo, sarà distrutto una seconda volta durante la Rivoluzione francese; oggi, nuovamente ricostruito, è un centro di pietà e una meta di pellegrinaggi.
Finalmente, quasi a divina ricompensa della carità e dell’umiltà dimostrate, Luigi Maria Grignion viene chiamato nelle diocesi di Luçon e di La Rochelle dai rispettivi vescovi, mons. Jean-François de Valdèries de Lescure (1644-1723) e mons. Etienne de Champflour (1647-1724), ferventi antigiansenisti, e vi predica durante gli ultimi cinque anni di vita. In quel periodo compone Il segreto ammirabile del Santo Rosario per ribattere alle obiezioni formulate contro tale forma di devozione, per spiegare i sacri misteri e per diffonderne ulteriormente la pratica.
Consumato dalle fatiche e dalle sofferenze, nonostante una tempra straordinariamente resistente, muore il 28 aprile 1716, al suo posto di combattimento, come un autentico soldato di Cristo, predicando una missione a Saint-Laurent-sur-Sèvre.

San Luigi Maria attraverso i secoli
La causa di beatificazione di Luigi Maria Grignion viene introdotta nel 1838, Papa Pio IX (1846-1878) ne proclama l’eroicità delle virtù il 29 settembre 1869, Papa Leone XIII (1878-1903) lo proclama beato il 22 gennaio 1888 e Papa Pio XII (1939-1958) lo eleva alla gloria degli altari il 20 luglio 1947.
Il più alto riconoscimento della dottrina spirituale di Grignion da Montfort, che molti vorrebbero fosse dichiarato Dottore della Chiesa, è venuto da Papa Giovanni Paolo II il quale, oltre a trarre il motto del suo pontificato, Totus tuus, proprio dagli scritti del santo, nell’enciclica Redemptoris Mater, del 25 marzo 1987, lo indica come testimone e come guida della spiritualità mariana. Inoltre, il 20 luglio 1996 ha stabilito che il suo nome fosse iscritto nel Calendario generale della Chiesa, proponendone quindi la venerazione a tutti i fedeli.
Tuttavia, per oltre un secolo dopo la morte, l’influenza del "buon padre di Montfort", come il santo era chiamato comunemente dai fedeli, si manifesta soprattutto grazie alle sue fondazioni, fra cui anche quella dei Fratelli dell’Istruzione cristiana di San Gabriele, riorganizzata dal sacerdote Gabriel Deshayes (1767-1841). Queste istituzioni, inizialmente poco consistenti e oggetto di violenti attacchi da parte di giansenisti e di razionalisti nonché di persecuzioni durante la Rivoluzione francese e a opera della massonica Terza Repubblica francese, avranno nel tempo un grande sviluppo, segno del fecondo lascito spirituale del loro fondatore.
In particolare, l’opera missionaria di Montfort e dei suoi successori porrà le basi spirituali della resistenza contro-rivoluzionaria delle genti della Bretagna e della Vandea, cioè delle regioni nelle quali egli poté svolgere liberamente il suo apostolato. I sacerdoti della Compagnia furono le guide spirituali di quei coraggiosi improvvisatisi soldati per Dio, per la Francia e per il re, e i canti composti da Luigi Maria Grignion si contrapposero a quelli rivoluzionari.
Il ritrovamento fortuito, nel 1842, del manoscritto del Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, sepolto per oltre un secolo "nel silenzio d’un cofano", secondo la profetica visione del suo autore, dà inizio alla diffusione delle opere e del pensiero monfortano in tutto il mondo. Nel Trattato Montfort raccomanda che i devoti si consacrino interamente a Gesù attraverso Maria nelle forme di un’amorosa schiavitù, cioè di una dedizione di mirabile radicalità, comprendente non solo i beni materiali dell’uomo ma anche il merito delle sue buone opere e preghiere. In cambio di questa consacrazione la Vergine agisce nell’interiorità della persona in modo meraviglioso, istituendo con lei un’unione ineffabile. L’opera, insieme a Il segreto di Maria — stampato integralmente soltanto nel 1898 ma pubblicato ormai in trecentocinquanta edizioni e in venticinque lingue — e con Le glorie di Maria, di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), rappresenta uno dei libri mariani più conosciuti e amati degli ultimi secoli, e fra quelli che più hanno alimentato la pietà cristiana.
Inoltre, gli scritti monfortani forniscono alla scuola di pensiero e d’azione della Contro-Rivoluzione cattolica del secolo XX, di cui è figura eminente il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), una teologia della storia in cui inserire l’ascesi sociale, cioè l’apostolato mirante alla restaurazione di una civiltà cristiana. Questa scuola condivide con il santo missionario della Vandea la speranza, alimentata dalla promessa di Fatima — "Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà" —, di una grande conversione e di un tempo storico di trionfo della Chiesa cattolica. La "vera devozione" prepara gli eroi che schiacceranno la Rivoluzione, i santi missionari dei "tempi ultimi" - il cui profilo morale è tracciato da Luigi Maria Grignion nella famosa Preghiera infuocata - che lotteranno per la realizzazione del regno di Maria.

 


Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono Santi. Papa Francesco: non hanno avuto paura di chinarsi sulle piaghe di Gesù




Due Papi Santi, due Papi concelebranti. In queste sei parole è racchiusa tutta la straordinarietà di una giornata storica per la Chiesa, una festa della fede e della speranza per l’umanità. Fin dalle prime ore dell’alba, una moltitudine di fedeli – almeno 800 mila persone – si è radunata in Piazza San Pietro, in via della Conciliazione, nelle zone adiacenti fin oltre Castel S. Angelo per la Messa di Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, presieduta da Papa Francesco. Oltre 800 i concelebranti, tra questi – evento senza precedenti – il Papa emerito Benedetto XVI, accolto da un lungo applauso al suo ingresso sul Sagrato. Nell’omelia, Francesco ha sottolineato che sono proprio i "santi che fanno crescere la Chiesa”. Quindi, nella Domenica intitolata da Papa Wojtyla alla Divina Misericordia, il vescovo di Roma ha affermato che i due nuovi Santi non hanno avuto paura di chinarsi sulle piaghe di Gesù, quelle ferite che sono "il segno permanente dell’amore di Dio per noi”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Santi! Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono Santi. L’invocazione che generazioni di fedeli hanno atteso di pronunciare, sussurrandola nel chiostro del proprio cuore, è diventata annuncio corale di gioia per la Chiesa e per il mondo intero. E’ questo annuncio, levato da Papa Francesco in Piazza San Pietro, che una moltitudine di fedeli è venuta ad ascoltare a Roma e che è risuonato come un’eco di piazza in piazza, di strada in strada, arrivando alle orecchie e ancor più al cuore del Popolo di Dio. E’ l’annuncio che la santità è possibile, la santità è necessaria perché la Chiesa continui a camminare nella storia testimoniando la gioia del Risorto. Una gioia luminosa che si poteva leggere sul volto delle persone, che hanno percorso lunghi tragitti, sopportato la stanchezza, sfidato il maltempo per ridire, ancora una volta, "grazie” ai loro pastori – Angelo e Karol – che ora possono pregare come Santi. 

Proprio con la Litania dei Santi, intonata dal Coro della Cappella Sistina, è iniziata la celebrazione in un clima di raccoglimento intenso, commosso, contraddistinto da un silenzio quasi irreale che ha accompagnato il rito di Canonizzazione. Rito suggestivo, in latino, che ha visto il cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Angelo Amato, rivolgere per tre volte al Santo Padre la petizione per l’iscrizione nell’Albo dei Santi di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Quindi, il momento atteso con trepidante emozione, la formula di Canonizzazione: 

"… Beatos Ioannem XXIII et Ioannem Paulum II Sanctos esse decernimus et definimus, ac Sanctorum Catalogo adscribimus…”

"Dichiariamo e definiamo Santi i Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e li iscriviamo nell'Albo dei Santi", le parole di Papa Francesco che, un istante dopo essere uscite dalle sue labbra sono entrate nella storia. I fedeli hanno come abbracciato l’Amen intonato dal Coro con un lungo applauso, alzando lo sguardo verso i grandi arazzi con l’immagine dei due Papi Santi, quasi in un rinnovato dialogo con quei Pastori che, in questa Piazza, hanno accarezzato bambini, abbracciato malati, stretto mani; che in questa Piazza tante volte hanno benedetto il proprio gregge e ora continuano a farlo dal cielo. Il rito della Canonizzazione ha vissuto quindi un altro momento toccante con la collocazione delle reliquie dei due nuovi Santi, accanto all’altare. Il reliquario di San Giovanni Paolo II è stato portato dalla miracolata Floribeth Mora Diaz, accompagnata dalla sua famiglia. Quello di San Giovanni XXIII dai quattro nipoti, dal sindaco di Sotto il Monte, e dal presidente della Fondazione dedicata a Papa Roncalli. 

E’ stata dunque la volta della lettura del Vangelo, in latino e in greco, a ribadire che nessuna lingua è estranea all’amore di Dio, così come nessuno era estraneo al cuore di Angelo Roncalli e a quello di Karol Wojtyla. Un Vangelo, quello nella Domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, che – ha detto il Papa all’inizio della sua omelia – è incentrato "sulle piaghe gloriose di Gesù risorto”. Quelle ferite che Tommaso ha voluto vedere, ha voluto toccare per credere. Le piaghe di Gesù, ha commentato Francesco, "sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede”. Per questo, ha detto, "nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi”. Quelle piaghe, ha ripreso, "sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà”: 

"San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia”. 

"Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie – ha detto Papa Francesco – ma non ne sono stati sopraffatti”: 

"Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria”.

"In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia – ha soggiunto – dimorava una speranza viva, insieme con una gioia indicibile e gloriosa”: 

"La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza”. 

Proprio "questa speranza e questa gioia – è stata la sua riflessione – si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme”. E’ una comunità, ha evidenziato, "in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità”. E questa, ha proseguito, "è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé”. San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II, ha affermato, "hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli”: 

"Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito Santo”. 

"In questo servizio al Popolo di Dio – ha soggiunto – San Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia”. 

"Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene”. 

"Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio – è stata l’invocazione di Papa Francesco – intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia”: 

"Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama”.



 



28/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il card. Comastri: Karol Wojtyla santo coraggioso che ha vissuto nell’obbedienza al Vangelo





"I santi non ci chiedono di applaudirli, ma di imitarli”. Questa esortazione di Giovanni Paolo II è risuonata, stamani in Piazza San Pietro, per bocca del cardinale Angelo Comastri nella Messa di ringraziamento per la Canonizzazione di Karol Wojtyla. Alla celebrazione hanno preso parte decine di migliaia di fedeli polacchi, guidati dal cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, che ha espresso gratitudine a quanti hanno permesso lo svolgimento del memorabile evento della Canonizzazione dei due Papi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

E’ tutto vero! All’indomani del giorno mai visto, decine di migliaia di pellegrini sono tornati in Piazza San Pietro come per "toccare” nuovamente con mano l’evento senza precedenti avvenuto 24 ore prima. I due Papi Santi, dagli arazzi, continuano a guardare sorridenti il Popolo di Dio. E il cielo è meno scuro, qualche raggio di sole riesce a farsi spazio tra le nuvole spazzate dal vento. 

Impossibile leggere nel cuore di chi si ritrova nella grande Piazza, ma certamente "gratitudine” è il sentimento che accomuna molti dei presenti. E gratitudine al Signore, per il dono della Santità che si rinnova nella vita della Chiesa, è proprio stato il cuore della Messa presieduta dal cardinale Angelo Comastri, davanti ad almeno 80 mila fedeli, tantissimi i polacchi che – prima di tornare a casa – ancora una volta hanno voluto ringraziare al pastore che li ha guidati per 26 anni da Roma e prima ancora da Cracovia. Proprio l’attuale arcivescovo della diocesi cracoviense, il "segretario di una vita” di Giovanni Paolo II, il cardinale Stanislaw Dziwisz, ha voluto ringraziare quanti si sono prodigati per le Canonizzazioni dei due Papi, a partire da Francesco e Benedetto XVI. E, tra gli applausi della folla, ha messo l’accento sull’amore di Karol Wojtyla per l’Italia, la sua "seconda patria”:

"A nome dei miei connazionali, ringrazio oggi l’Italia e tutti i suoi abitanti per aver accolto tanto cordialmente, anni fa, Karol Wojtyła, come vescovo e papa, arrivato a Roma 'da un paese lontano'. L’Italia è diventata per lui una seconda Patria. Oggi sicuramente Giovanni Paolo II la benedice dall’alto, come anche benedice la Polonia e il mondo intero. Nel suo cuore hanno trovato posto tutte le nazioni, le culture, le lingue”.

Durante la celebrazione, accompagnata dal coro di Cracovia, il cardinale Comastri - vicario del Papa per la Città del Vaticano - ha sottolineato la straordinaria testimonianza di San Giovanni Paolo II, "roccia nella fede”, difensore coraggioso della famiglia "progetto di Dio”, e della vita umana contro la cultura dello scarto e dell’egoismo. Papa che ha dato voce agli esclusi, che ha ridetto con la sua vita la bellezza del sacerdozio, che si è lasciato guidare da Maria sulla via della fede e che ha saputo parlare al cuore dei giovani come "un padre vero”, "un educatore leale”. Il cardinale Angelo Comastri è riandato, dunque, con la memoria all’8 aprile del 2005, giorno dei funerali di Karol Wojtyla, quando il vento dialogò con le pagine del Vangelo posato sulla bara del Papa santo:

"Tutti in quel momento ci chiedevamo: ‘Chi era Giovanni Paolo II? Perché l'abbiamo così tanto amato? La mano invisibile che sfogliava l'Evangeliario sembrava dire: ‘La risposta è nel Vangelo! La vita di Giovanni Paolo II è stata una continua obbedienza al Vangelo di Gesù: per questo – ci diceva il vento! – per questo lo avete amato! Avete riconosciuto nella sua vita il Vangelo di sempre: il Vangelo che ha dato luce e speranza a generazioni e generazioni di cristiani!’”.

"Oggi – ha detto – sappiamo che quel presentimento fu un'ispirazione, perché la Chiesa” attraverso Papa Francesco "ha riconosciuto la santità di Giovanni Paolo II”. E proprio a lui, al Santo che non ha avuto paura, il cardinale Comastri ha chiesto di pregare per la Chiesa che ha tanto amato, affinché non tema di spingersi "coraggiosamente nel sentiero della fedeltà eroica a Gesù”.




28/04/2014 fonte:  Radio Vaticana 

Mons. Beschi: Giovanni XXIII aveva il dono di rendere le persone migliori






Molti fedeli bergamaschi hanno partecipato stamani nella chiesa romana di San Carlo al Corso, dove Papa Roncalli era stato ordinato vescovo, alla celebrazione eucaristica di ringraziamento per la Canonizzazione di Giovanni XXIII. La Santa Messa è stata concelebrata da mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, e dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Giovanni XXIII è Santo. "La proclamazione di questo dono davanti alla Chiesa e al mondo – ha detto mons. Francesco Beschi – alimenta la speranza che scaturisce dal Vangelo e da coloro che lo testimoniano in modo luminoso”:

"Noi vogliamo raccogliere questo dono che è innanzitutto la consapevolezza della ricchezza, del tesoro di fede della terra in cui lui è nato. Un tesoro che, dobbiamo riconoscere, si è conservato anche se sentiamo tutto l’impegno di rinnovare, di alimentare questa fede. Un dono preziosissimo, poi, viene dai tratti di Papa Giovanni, quindi di questa sua capacità di incontrare il cuore di ogni persona: ogni persona si è riconosciuta incontrata da lui”. 

Papa Roncalli – ha aggiunto il vescovo di Bergamo – aveva il dono di far germogliare, nelle persone, i semi della fraternità e della solidarietà:

"Papa Giovanni aveva il dono di suscitare la parte migliore di ciascuna persona che avvertisse la sua parola, il suo gesto, il suo magistero. E poi, mi sembra assolutamente doveroso – nel senso che è un dovere morale – raccogliere appunto il rapporto tra questa grande intuizione spirituale di Papa Giovanni – docilità allo Spirito, come dice Papa Francesco – in relazione al Concilio. Quindi, parlare di Papa Giovanni vuol dire anche continuamente attingere di nuovo a questa grande esperienza di Chiesa che traccia la strada per il futuro”.

Durante l’omelia, mons. Beschi ha letto il messaggio che ieri ha consegnato a Papa Francesco, in risposta a quello che il Santo Padre aveva rivolto alla comunità bergamasca, esortata a custodire la memoria del terreno in cui è nata la santità di Papa Roncalli, ad accogliere il cambiamento e a camminare con convinzione lungo la strada tracciata dal Concilio. Si tratta – ha spiegato il vescovo di Bergamo – di un invito che richiede in risposta un’autentica testimonianza:

"L’invito è molteplice. Mi sembra di poter dire che la comunità bergamasca, anche nella storia attuale, sia disponibile a raccogliere questi inviti. Si tratta effettivamente di non lasciare questo fatto soltanto alla bellezza della celebrazione, ma di portarlo, poi, nella nostra vita quotidiana. E’ quello che mi auguro. Debbo dire che ci confido con grande convinzione”.

Il cardinale Dionigi Tettamanzi ha infine ricordato che la vocazione alla santità interpella ogni cristiano:

"Diciamo grazie al Signore per questa santità che è una ricchezza per la Chiesa e per l’umanità. Ma il vero problema è ciascuno di noi, che ha un disegno grandioso da parte di Dio: quello di renderci tutti santi. Cambierebbe la Chiesa, perché sarebbe più evangelica. Ma cambierebbe anche la nostra società, nel segno di una maggiore solidarietà e giustizia, con un’attenzione particolare a chi soffre”.




28/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il Papa ai giovani: una vita alla grande non è una vita per forza felice, Gesù è gioia vera






Essere ragazzi che non voltano le spalle a Gesù come il "giovane ricco". O, anche se lontani come il "figliol prodigo", hanno "il coraggio di ritornare” per sentire da Lui "l’abbraccio della misericordia”. Ed essere ragazze capaci di donare al mondo ciò che è più tipicamente femminile, tenerezza e pace, a imitazione della Madre di Gesù. Sono inviti che Papa Francesco rivolge ai giovani di Buenos Aires, in un videomessaggio inviato in occasione della loro Giornata regionale della gioventù, svoltasi sabato scorso nella capitale argentina. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

Il giovane ricco, quello furbo e il giovane morto. E le donne, maestre di tenerezza in una Chiesa che è "femminile” come loro, come Maria. Nel videomessaggio ai giovani argentini, sviluppato con una freschezza di linguaggio molto coinvolgente, Papa Francesco parte da alcuni esempi di giovani che nel Vangelo hanno incrociato la strada di Gesù e ne analizza il comportamento. Parlo di loro, spiega all’inizio ai ragazzi, "perché ‘fate chiasso’ ve l’ho già detto, di ‘non avere paura di niente’ ve l’ho già detto, di ‘essere liberi’ ve l’ho già detto ". Dunque, il discorso del Papa si impernia sul gioco di luci-ombre determinato dal confronto tra i "giovani Apostoli” di Gesù – alcuni di loro lo erano, dice – e altri, come ad esempio il "giovane ricco”, che con la sua "vita impeccabile” da "bravo ragazzo” rifiuta di donare i suoi averi ai poveri e di seguire il Maestro, perché "avvinghiato alla mondanità":

"Y se fue con su plata…
E quel ragazzo è andato via triste perché aveva un mucchio di soldi e non voleva rimetterci per Gesù. E se n’è andato con i suoi soldi e con la sua tristezza. I primi [cioè gli Apostoli - ndr] avevano la loro gioia, quella bella allegria che l’incontro con Gesù donava. Egli invece se n’è andato con la sua tristezza”.

Certo, riconosce Papa Francesco, anche gli Apostoli "cedettero” – "Pietro lo rinnegò, Giuda lo tradì, gli altri scapparono” – ma successivamente, sottolinea, "lottano per restare fedeli a quell’incontro, l’incontro con Gesù”. Non così il figliol prodigo della parabola, che Papa Francesco chiama il "giovane furbo” e che, sostiene, "ha voluto scrivere da solo la propria vita”, ha "voluto prendere a calci le regole della disciplina paterna”, "e se l’è spassata per bene” finché – lui, figlio del padrone – "che aveva una vita alla grande, ha conosciuto quello che mai aveva conosciuto prima: la fame”:

"Pero Dios es muy bueno. Dios aprovecha nuestros fracasos... 
Ma Dio è molto buono. Dio approfitta dei nostri fallimenti per parlarci al cuore. Dio non ha detto a questo giovane: ‘Sei un fallito, guarda cosa hai combinato!”’. Lo fa ragionare. Dice il Vangelo che il giovane ‘è rientrato in sé’: ‘Cosa me ne faccio di questa vita? La baldoria non mi è servita a nulla’. (...) Ed è tornato. La sua grande sorpresa – e gli prese un colpo – è stata che il padre lo stava aspettando da anni. (…) E questo grande peccatore, questo grande sperperatore di tutto il guadagno di suo padre, ha incontrato qualcosa che non aveva mai conosciuto: l’abbraccio di misericordia”.

Terzo esempio, il "giovane morto”, figlio unico di una madre vedova, che Gesù incontra uscendo dalla città di Naim, mentre il corteo funebre va a seppellirlo. In questo caso, nota Papa Francesco, "Gesù ebbe pietà della madre, non del ragazzo. Ma il ragazzo, grazie alla madre, ha ottenuto il miracolo ed è risorto”. Poi, il Papa si mette nei panni della ragazze che lo ascoltano e scherza sul fatto di aver preso esempi per "maschi”. E trova delle parole belle e delicate per parlare dell’essere donna in ottica cristiana, persone come Maria, capaci di portare tenerezza, pace, gioia:

"La mujer tiene una capacidad para dar vida... 
La donna ha una capacità di dare vita e di dare tenerezza che noi maschi non abbiamo. Voi siete donne di Chiesa. Della Chiesa o ‘dello’ Chiesa? No, non è ‘il’ Chiesa, è 'la' Chiesa. La Chiesa è femminile, è come Maria. E’ quello il vostro posto. Essere Chiesa, conformare la Chiesa, essere insieme a Gesù, dare tenerezza, accompagnare, far crescere. Che Maria, la Signora della carezza, la Signora della tenerezza, la Signora della Prontezza nel servire, vi indichi il cammino”.







28/04/2013 fonte : Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 21/04/2014 Sant'Alselmo d'Aosta



Il celeberrimo Sant'Anselmo è una tra le più grandi glorie del Piemonte e della Valle d'Aosta, essendo nato verso il 1033 ad Aosta da madre piemontese. I suoi genitori erano nobili e ricchi: sua madre Ermemberga era una perfetta madre di famiglia, mentre suo padre Gandolfo viveva immerso nei suoi impegni secolari. Anselmo sin dalla sua infanzia sognò di poter raggiungere Dio e nella sua semplicità ipotizzava che risiedesse sulla sommità delle montagne. Già avido di sapere, fu affidato ad un parente per un'accurata educazione, ma non essendo stato compreso dal brutale maestro cadde in una terribile crisi d'ipocondria. Per guarirlo occorsero tutto il tatto e l'amorevolezza della mamma, la quale finalmente lo affidò poi ai benedettini d'Aosta. All'età di quindici anni Anselmo iniziò a sentire il desiderio di farsi monaco, ma il padre non ne volle sapere preferendo farlo erede dei suoi averi. Le attrattive del mondo e le passioni prevalsero allora sul giovane, specialmente dopo la morte della madre. Il padre, che morì poi monaco, lo prese in tale avversione che Anselmo decise di abbandonare la famiglia e la patria in compagnia di un servo.
Dopo tre anni trascorsi tra la Borgogna e la Francia centrale, Anselmo si recò ad Avranches, in Normandia, ove venne a conoscenza dell'abbazia del Bec e della sua scuola, fondata nel 1034. Vi si recò per conoscere il priore, Lanfranco di Pavia, e restare presso di lui, come tanti altri chierici attratti dalla fama del suo sapere. I progressi nello studio furono tanto sorprendenti che lo stesso Lanfranco prese a prediligerlo ed addirittura a farsi coadiuvare da lui nell'insegnamento. In tale contesto Anselmo sentì rinascere in sé il desiderio di vestire l'abito monacale. Avrebbe però altri posti dove poter sfoggiare la sua sapienza senza dover competere con il maestro Lanfranco, ma non trovando valide alternative nel 1060 entrò nel seminario benedettino del Bec. Dopo soli tre anni di regolare osservanza meritò di succedere a Lanfranco nella carica di priore e di direttore della scuola, visto che quest'ultimo era stato destinato a governare l'abbazia di Saint'Etienne-de-Caen. Nonostante il moltiplicarsi delle responsabilità, Anselmo non trascurò di dedicarsi sempre più a Dio ed allo studio, preparandosi così a risolvere le più oscure questioni rimaste sino ad allora insolute. Non bastandogli le ore diurne per approfondire le Scritture ed i Padri della Chiesa, egli soleva trascorrere parte della notte in preghiera e correggendo manoscritti. Ci si può fare un'idea del suo insegnamento leggendo gli opuscoli ed i dialoghi da lui lasciati, alcuni dei quali sono veri e propri piccoli capolavori pedagogici e dogmatici.
Sant'Anselmo fu indubbiamente un grande speculativo, ma anche un grande direttore di anime. La fama del suo monastero si sparse ovunque ed attirò un'élite avida di scienza e di perfezione religiosa. Egli se ne occupava in prima persona con cura speciale. Molte delle sue 447 lettere mostrano l'arte che possedeva per guadagnare i cuori, adattandosi all'età di ciascuno e puntando sull'affabilità dei modi. Alla morte dell'abate Herluin, il 26 agosto 1078 i confratelli all'unanimità designarono Anselmo a succedergli. L'acutezza dell'intelligenza, la straordinaria dolcezza di carattere e la santità della vita gli meritarono un immenso ascendente tanto nel monastero quanto fuori. Intraprese relazioni con il maestro Lanfranco, nominato arcivescovo di Canterbury nel 1070, e collaborò all'organizzazione di alcuni monasteri inglesi: ciò gli permise inoltre di farsi conoscere dalla nobiltà del paese ed apprezzare dalla corte di Londra.
Nel 1076 Anselmo pubblicò il "Monologion” per soddisfare il desiderio dei monaci di meditare sull'essenza divina. Questa sua prima opera si rivelò un capolavoro per la densità e lucidità di pensiero circa l'esistenza di Dio, i suoi attributi e la Trinità. Ad essa seguì il "Proslogion”, più celebre della precedente per l'assai discusso argomento che escogitò a dimostrazione dell'esistenza dell'Essere supremo, in sostituzione dei lunghi e noiosi ragionamenti che aveva esposto nel "Monologion”. "Dio è l'essere di cui non si può pensare il maggiore; il concetto di tale essere è nella nostra mente, ma tale essere deve esistere anche nella realtà, fuori della nostra mente, perché, se esistesse solo nella mente, se ne potrebbe pensare un altro maggiore, uno, cioè, che esistesse non solo nella mente, ma anche nella realtà fuori di essa”.
La fama di Anselmo si diffuse ancora di più in tutta Europa. Era talmente venerato e amato in Inghilterra che il 6 marzo 1093, in seguito alle pressioni dei vescovi, dei signori e di tutto il popolo, fu eletto dal re Guglielmo II il Rosso arcivescovo di Canterbury, sede ormai vacante dalla morte di Lanfranco avvenuta nel 1089. La sua resistenza fu tenace ma inutile ed in riferimento alle difficoltà d'intesa tra il re e il primate affermò con i vescovi ed i nobili che l'accompagnavano: "Voi volete soggiogare insieme un toro non domo e una povera pecora. Il toro trascinerà la pecora tra i rovi e la farà a pezzi senza che sia servita a nulla. La vostra gioia si muterà in tristezza. Vedrete la chiesa di Canterbury ricadere nella vedovanza vivente il suo pastore. Nessuno di voi oserà resistere dopo di me e il re vi calpesterà a piacimento”.
La situazione della Chiesa inglese era effettivamente molto triste in quel periodo a causa della simonia, della decadenza dei costumi e della violazione della libertà religiosa da parte del re. Sant'Anselmo tentò di rimediare a tutto ciò, nella scia della riforma adottata da San Gregorio VII. Non destò quindi meraviglia se, nel 1095, scoppiò tra l'autorità secolare e quella religiosa un aspro conflitto circa il riconoscimento del pontefice Urbano II. Nulla convinse l'arcivescovo a recedere dal suo proposito e, dopo molte difficoltà, nel 1097 poté recarsi a Roma per consultare il papa stesso. Questi lo ricevette con grandi manifestazioni di stima e nel 1098 lo invitò al Concilio di Bari, convocato per ricondurre all'unità della Chiesa gli aderenti allo scisma consumatosi nel 1054 tra Oriente ed Occidente. Nelle questioni discusse Sant'Anselmo apparve come il teologo dei latini, confutando vittoriosamente le obiezioni degli avversari contro la processione dello Spirito Santo da parte di entrambe la altre persone della Santissima Trinità. Nel 1099 prese ancora parte al sinodo di Roma, in cui furono ribaditi i decreti contro la simonia, il concubinato dei chierici e la reinvestitura laica. Partì poi per Lione, ove fu però costretto a trattenersi poiché il re non lo autorizzava a tornare alla sua sede. In Italia aveva completato il suo grande trattato sui "Motivi dell'Incarnazione”, mentre a Lione ne ultimò un altro "Sulla nascita verginale di Cristo e il peccato originale”.
Nel 1110 Enrico Beauclerc successe al fratello Guglielmo sul trono inglese e, desiderando avere l'arcivescovo di Canterbury tra i suoi sostenitori, lo invitò a ritornare. Il nuovo sovrano non aveva però alcuna intenzione di rinunciare a spadroneggiare sulla Chiesa, motivo per cui nel 1103 Anselmo, inflessibile nella difesa dei suoi diritti, dovette una seconda volta andare in esilio a Roma. Dopo lunghe trattative con il nuovo papa Pasquale II, il sovrano rinunciò infine all'investitura dei feudi ecclesiastici, accontentandosi solo dell'omaggio. Nel 1106 il primate poté così ritornare nella sua sede e dedicare all'intenso lavoro pastorale gli ultimi anni della sua vita. Non potendo più camminare, si faceva quotidianamente trasportare in chiesa per assistere alla Messa. Sul letto di morte provò solo il rimpianto di non aver avuto tempo sufficiente per poter chiarire il problema dell'origine dell'anima. Sant'Anselmo morì il 21 aprile 1109 a Canterbury e fu sepolto nella celebre cattedrale. Il pontefice Alessandro III nel 1163 concesse all'arcivescovo Tommaso Becket, di procedere all'"elevazione” del corpo del suo predecessore, atto che a quel tempo corrispondeva a tutti gli effetti ad un'odierna canonizzazione. Sant'Anselmo d'Aosta fu infine annoverato tra i Dottori della Chiesa da Clemente XI l'8 febbraio 1720. Il Martyrologium ROmanum ed il calendario liturgico della Chiesa universale commemorano il santo nell'anniversario della nascita al cielo. Aosta, sua città natale, ha dedicato la strada principale del centro storico alla memoria del suo figlio più celebre.


Francesco nel messaggio Urbi et Orbi: “l’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”




"L’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”, "con questa gioiosa certezza nel cuore”, nel giorno di Pasqua, Papa Francesco ha invocato la fine di ogni guerra e ostilità nel mondo e consolazione per tutte le persone in sofferenza. La sua voce è risuonata dalla loggia centrale della Basilica vaticana, nel tradizionale messaggio "Urbi et Orbi”, rivolto dopo la Messa celebrata in piazza San Pietro, affollatissima di fedeli, che hanno riempito anche via della Conciliazione. Il servizio di Roberta Gisotti:

"Cristo è risorto, venite e vedete”: "è la Buona Notizia per eccellenza”, alla base della nostra fede e della nostra speranza”, ha ricordato Francesco.

"se Cristo non fosse risorto, il Cristianesimo perderebbe il suo valore; tutta la missione della Chiesa esaurirebbe la sua spinta, perché è da lì che è partita e che sempre riparte”.

E’ questo "il messaggio che i cristiani portano al mondo”:

"In Gesù, l’Amore ha vinto sull’odio, la misericordia sul peccato, il bene sul male, la verità sulla menzogna, la vita sulla morte”.

E dunque, "in ogni situazione umana segnata da fragilità, peccato e morte, la Buona Notizia non è soltanto una parola ma una testimonianza di amore gratuito e fedele:”

"è uscire da sé per andare incontro all’altro, è stare vicino a chi è ferito dalla vita, è condividere con chi manca del necessario, è rimanere accanto a chi è malato o vecchio o escluso…”

"Questa è la gioiosa certezza nel cuore” di ogni cristiano:

"l’Amore è più forte, l’Amore dona vita, l’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”.

Il Papa ha quindi invocato il Risorto:

"Aiutaci a cercarti affinché tutti possiamo incontrarti, sapere che abbiamo un Padre e non ci sentiamo orfani; che possiamo amarti e adorarti”.

Aiutaci - ha chiesto - a sconfiggere "la piaga della fame”, aggravata da "conflitti” e da "immensi sprechi di cui siamo spesso complici”; a "proteggere gli indifesi”, specie "bambini”, "donne”, "anziani”, a volte sfruttati e abbandonati; ad assistere i fratelli colpiti dall’epidemia Ebola in Guinea Conakry, Sierra Leona e Liberia o affetti da "tante altre malattie”, diffuse "anche per l’incuria e la povertà estrema”; consola - ha aggiunto - quanti sono lontani dai propri cari, "strappati” "ai loro affetti”, come i sacerdoti e laici sequestrati; conforta i migranti, che hanno lasciato le proprie terre per sperare in un futuro migliore, vivere con dignità e professare liberamente la fede.

"Ti preghiamo, Gesù glorioso, fa’ cessare ogni guerra, ogni ostilità grande o piccola, antica o recente!”.

Francesco non ha dimenticato i Paesi percorsi da conflitti e discordie, in particolare la Siria, perché quanti soffrono "possano ricevere i necessari aiuti umanitari”: 

"Le parti in causa non usino più la forza per seminare morte, soprattutto contro la popolazione inerme, ma abbiano l’audacia di negoziare la pace, ormai da troppo tempo attesa!". 

E ancora ha chiesto di confortare le vittime delle violenze fratricide in Iraq, di sostenere la ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi e perché si fermino gli scontri nel Centrafrica, gli attentati terroristici in Nigeria, le violenze in Sud Sudan, e perché gli animi "si volgano alla riconciliazione” in Venezuela. Poi un pensiero speciale all’Ucraina:

"perché tutte le parti interessate, sostenute dalla Comunità internazionale, intraprendano ogni sforzo per impedire la violenza e costruire, in uno spirito di unità e di dialogo, il futuro del Paese”.

Infine una preghiera per il mondo intero:

"Per tutti i popoli della Terra ti preghiamo, Signore: tu che hai vinto la morte, donaci la tua vita, donaci la tua pace!”.




21/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il volto di Gesù, mai tanto vivo e concreto

di Angelo Busetto

Mai come nei giorni della Pasqua il volto di Gesù appare tanto vivo e concreto. Non per nulla i pittori l’hanno così intensamente guardato e l’hanno dipinto sofferente e glorioso con tutti i toni e i colori della tavolozza. Non per nulla i santi l’hanno pregato, pianto, imitato in tutte gli aspetti della sua umana personalità. 

I giorni pasquali del  passaggio da vita a morte e da morte a vita, dimostrano in modo imponente e a volte violento che il cristianesimo non è una questione di idee o di schemi. Il cristianesimo nasce come presa di  posizione davanti alla persona di Cristo: accoglienza o rifiuto di Lui, amore o odio, indifferenza o passione verso di Lui. Cristo ci tratta da persone e provoca la reazione di tutto il nostro essere, anima e corpo, cervello e sentimenti, volontà ed emozioni. Siamo trascinati davanti a Lui con fatti e gesti, con parole e atteggiamenti; siamo presi ciascuno personalmente e tutti insieme. Così come siamo: sconvolti dal nostro male o delusi come Giuda, appassionati come Pietro e la Maddalena, dubbiosi come Tommaso, incerti come Nicodemo. Travolti dalla sorpresa della risurrezione come le donne e come Pietro e Giovanni al sepolcro; come Paolo, ancora tanti anni dopo.

Sulle rive della storia umana vengono a infrangersi onde di tutte le dimensioni, come assalti feroci o come lievi carezze. Lo abbracciamo o tentiamo di cancellarlo perfino dalla storia, lo imbrigliamo negli apparati legalistici o burocratici e ne spegniamo l’impeto nell’elenco degli scandali. Quasi lo nascondiamo e lo appiattiamo dietro i paludamenti della liturgia e ci difendiamo dal mistero che contiene; non ci bastano i gesti generosi della nostra carità; nemmeno i grandi ideali hanno tenuta, né si realizzano. 

Con cuore libero e umile, siamo chiamati a mettere i nostri passi dietro a Lui, come nella Via Crucis; ad accorgerci che Lui ci cammina accanto, come andando a Emmaus. Eccolo nel profondo dell’agitazione del nostro cuore; eccolo nella compagnia della Chiesa, di chi lo annuncia e lo testimonia. Eccolo nel Sacramento che ci attrae. 

Egli prende sul serio le nostre domande, il dramma e la tristezza della  vita; ma non li risolve per via di ragionamenti. Semplicemente si mette accanto a noi, si svela in un gesto e ci guarda – risorto e presente - come ha guardato la Maddalena, Pietro, Tommaso e tutti gli altri. Quando ci facciamo compagnia nella fede e nella preghiera,  le nostre difese cadono, il suo richiamo si fa concreto e non parolaio e il segno della sua presenza diventa chiaro. Ma restassimo soli; si spegnessero il clamore dei canti e l’eco della preghiera,  "da chi andremo, Signore?”. Tu solo – il Vivente - apri il nostro cuore al respiro della vita.

21/04/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Messaggio di Pasqua del patriarca Kirill: “Rinasca il legame tra i popoli fratelli di Russia e Ucraina”





"Una preghiera particolare per i popoli di Russia e Ucraina, affinché la pace trionfi nella mente e nei cuori di quanti sono fratelli e sorelle secondo il sangue e la fede, affinché si ricostituiscano i legami perduti e rinasca la necessaria collaborazione”. È quanto chiede, nel suo messaggio pasquale, il primate della Chiesa ortodossa russa, il patriarca di Mosca Kirill, rivolgendosi a tutti i credenti ortodossi della Russia e all'intero mondo cristiano, che quest'anno celebra insieme la Santa Pasqua il 20 aprile. Kirill ricorda quindi che "annunciando l’amore di Dio che sorpassa ogni conoscenza, il cristianesimo unisce le persone, oltrepassando le frontiere tra popoli, culture e stati, poiché la luce di Cristo illumina ogni uomo”. Ma per fare questo, il patriarca di Mosca esorta tutti a rinnovare lo spirito con l’annuncio della Pasqua e a condividere la gioia con i familiari e col prossimo, mentre la Chiesa Ortodossa è chiamata a "compiere con zelo la sua missione di salvezza” e a "promuovere l’unità spirituale dei popoli che vivono nei Paesi di giurisdizione spirituale del Patriarcato di Mosca”. "Di anno in anno – afferma poi il primate ortodosso russo - il lieto annuncio della Risurrezione ci porta il suo suono di vittoria e ci spinge a render gloria al Dio e Salvatore che con la sua morte ha schiacciato la morte e ci ha resi partecipi della vita eterna che verrà”. Kirill ricorda dunque che la Pasqua "non è una bella leggenda, né un assioma teologico, né l’obbligo di adempiere un’antica tradizione. La Pasqua – dice il patriarca - è il nucleo e la sostanza del cristianesimo; è la vittoria che Dio ci ha donato”. La Resurrezione di Cristo va quindi accolta "come il più grande miracolo della storia umana (…) un avvenimento che cambia la vita (…), poiché la Resurrezione di Cristo, la Salvezza del mondo compiuta dal Signore, è la più grande gioia che una persona può provare”. "Per quanto difficile possa essere la nostra esistenza – spiega ancora il patriarca di Mosca - per quanto le prove della vita ci possano sopraffare, per quanto dobbiamo sopportare offese dalle persone e torti dal mondo che ci circonda, tutto questo è niente in confronto con quella gioia spirituale e quella speranza nella salvezza eterna che ci dona Dio”. Per questo motivo "la Pasqua di Cristo significa il trionfo della vita, trionfo della vittoria sulla morte, che porta amore, pace, rigenerazione spirituale”. Celebrando la Pasqua – aggiunge Kirill – "il Signore Risorto rinnova la natura umana, rafforza nelle prove, dà forza per compiere buone opere”. (M.G.)





21/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Pasqua in Terra Santa. Il Patriarca Twal: ci sia pace per tutti i popoli





"Non dobbiamo vergognarci di testimoniare il Cristo risorto”. E’ il cuore del messaggio del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, per la Pasqua 2014, pronunciato nella Messa di risurrezione alla Basilica del Santo Sepolcro. Parole che risuonano forti nei luoghi di Gesù, che non conoscono ancora pace. Stamani, infatti, a Gerusalemme sono avvenuti scontri fra palestinesi e reparti della polizia israeliana nella spianata della Moschee. Malgrado le tensioni, la Messa pasquale, con la processione solenne, è stata affollata da fedeli e pellegrini. Il servizio di Ada Serra del Franciscan Media Center: 

E’ il patriarca stesso a proclamare il Vangelo davanti all’edicola, che conserva la tomba vuota del Cristo. Nell’omelia, mons. Fouad Twal ricorda i drammi che affliggono la Terra Santa: famiglie costrette a emigrare, città distrutte, chiese profanate, sacerdoti rapiti. Ciononostante, la risurrezione "ci dona una Luce che non dobbiamo tacere” afferma il patriarca: 

"Spero che la Chiesa universale si senta un po’ corresponsabile di questa pace, di questa comunità cristiana, di questa gioia”.

Alla celebrazione al Santo Sepolcro partecipano i cristiani di Terra Santa, ma anche tanti pellegrini arrivati a Gerusalemme per vivere la Settimana Santa nei luoghi e nei giorni in cui tutto è avvenuto. 

"Staying in Jerusalem…
Stare a Gerusalemme significa avere l’opportunità’ di uno sguardo più vicino su come Gesù’ ha vissuto la sua Passione”.

"Yo vengo de Extremadura…
Io vengo dall’Estremadura e lo sto vivendo come se fosse qui Gesù Cristo ed è stata per me un’esperienza emozionante”.

La Pasqua quest’anno cade in contemporanea per cattolici e ortodossi. A Gerusalemme, i riti si celebrano tutti nella basilica del Santo Sepolcro. La stessa che tra un mese ospiterà il grande incontro ecumenico con Papa Francesco, che ilo prossimo maggio visiterà Giordania, Territori palestinesi e Israele. Come ricorda ancora mons. Twal:

"Stiamo già preparando l’arrivo del Santo Padre, che è un uomo di pace, un uomo di serenità, un uomo di vicinanza a tutti quanti”.

Ascoltiamo ora il Patriarca latino di Gerusalemme approfondire, al microfono di Giada Aquilino, il significato della Pasqua in Terra Santa: 

R. – Come ogni Pasqua, è la Pasqua più bella del mondo e spero che ci farà fare un salto di qualità per avere più pace, più amore, più fedeltà al Signore. È una Pasqua, una Risurrezione, un passaggio da uno stato ad altro: speriamo che dopo ci sia più carità, più giustizia e più collaborazione da parte di tutti. Quest’anno poi, c’è un elemento in più, celebriamo tutti insieme: gli ebrei, che hanno la loro Pasqua, gli ortodossi e i cattolici. Questo era il desiderio del Signore, il suo ultimo testamento ed è il desiderio di tanti cristiani. Spero che, con l’arrivo del Santo Padre, questa volontà, questo desiderio di creare più comunione, più unità, più collaborazione sia sempre più grande nei cuori dei fedeli.

D. - L’invito della Pasqua è alla speranza senza limiti in Dio, che apre un cammino in mezzo alla nostra sofferenza. Qual è la sofferenza della Terra Santa?

R. - Le nostre sofferenze sono tante. Più di una volta ho chiamato questa Chiesa "La Chiesa del calvario”, a causa della situazione politica in atto, dell’occupazione militare israeliana che dura da 66 anni. Nonostante tutti gli interventi, gli incontri, le promesse, le risoluzioni, ci troviamo ancora in questa situazione politica, talmente difficile che influisce anche sulla situazione economica della gente: tanti si sono visti costretti ad emigrare, a lasciare la Terra Santa: tra questi, tanti giovani che hanno anche studiato. La definisco: "un’emorragia umana” senza fine. I nostri problemi sono tanti. Non possiamo dimenticare la situazione della Giordania, con un milione di rifugiati siriani tra famiglie, ragazzi, mamme, donne, bambini, anziani. La Chiesa insieme ad altri organismi umanitari fa di tutto per dare un aiuto, però la situazione rimane drammatica. Ma la nostra Chiesa è anche Chiesa della Risurrezione, della speranza, della gioia di vivere, di evangelizzare, di lavorare, di accogliere, di collaborare e di sperare sempre.

D. - In questa Quaresima, il Papa ha sottolineato come Cristo si sia fatto povero arricchendoci con la sua povertà. Qual è il messaggio pasquale della Terra Santa per tutti i cristiani?

R. - Vogliamo una pace per tutti; viviamo di povertà, di speranza, di gioia, di libertà. Siamo poveri in tutti i sensi! Abbiamo sempre fatto appello alla pace in Terra Santa, vogliamo la pace. Però non c’è una pace per un popolo senza che non ci sia anche per l’altro. Auguro la pace a tutti gli abitanti di Terra Santa che siano ebrei, musulmani o cristiani. Speriamo che il Signore con questa Risurrezione e con questa Pasqua ci dia quello che auguriamo: pace, serenità, calma per tutti e fiducia reciproca, che al momento manca.





21/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 15/04/2014 San Marone martire




Le più antiche notizie su San Marone le troviamo negli Acta SS. Nerei et Achillei e rinviano al tempo in cui a Roma sul trono imperiale sedeva Domiziano (81-96), della dinastia dei Flavi. Apparteneva alla famiglia dei Flavi anche Domitilla, giovanissima cugina dell'imperatore, "pecora nera" nella famiglia imperiale, perché cristiana. A Roma c'era già una comunità cristiana organizzatasi in seguito alla predicazione di San Pietro, martire nella persecuzione scatenata nel 64 da Nerone (54-68). Domitilla era orfana di padre e di madre. La allevava lo zio Flavio Clemente, zio anche dell'imperatore. Clemente l'aveva promessa sposa, già da bambina, ad Aureliano, di nobile famiglia senatoria, che con quel matrimonio avrebbe stretto vincoli di parentela con la famiglia imperiale, avrebbe messo le mani sul cospicuo patrimonio della fanciulla orfana e, chissà, avrebbe potuto aspirare a divenire imperatore dopo Domiziano, che già gli aveva conferito la carica di console. 
Marone, insieme ai suoi amici Eutiche e Vittorino, cristiani anch'essi, era ben inserito nell'ambito dei Flavi, almeno quel ramo della famiglia che si era convertito al Cristianesimo. Quando ormai Domitilla, poco più che una bambina, avrebbe dovuto sposarsi, alcuni, tra cui Marone, le consigliarono di non farlo, e Domitilla rifiutò di sposare Aureliano, che tanto contava su quel matrimonio e sul patrimonio della nobile orfana. Aureliano andò su tutte le furie e volle che Domitilla fosse punita, non perché aveva rifiutato di sposarlo, ma perché era cristiana. Domitilla era però una Flavia come Domiziano, l'imperatore suo cugino, che non poteva mettere a morte la cugina. Trovò un modo per cavarsi d'impaccio, pur rispettando le leggi persecutorie contro i cristiani: condannò Domitilla all'esilio sull'isola di Ponza. Ma è probabile che fosse un espediente concordato col console promesso sposo, perché la ragazza, allontanata dalla comunità cristiana di Roma e relegata su un'isola, ci ripensasse e consentisse alle nozze. 
Domitilla si recò a Ponza, ed essendo una nobile della famiglia imperiale, fu accompagnata nel quasi esilio o quasi villeggiatura, da un seguito al suo servizio, ancelle e servitori, fra cui Nereo e Achilleo, due cristiani, che finirono però martiri a Ponza stessa, per contrasti con aderenti alla setta religiosa fondata da Simon Mago, diffusasi dall'Oriente e ben radicata sull'isola. Nell'occidente dell'impero romano, col paganesimo in totale crisi di credibilità, col continuo afflusso dall'Oriente di militari, mercanti e schiavi, pullulavano ovunque svariate sette e movimenti religiosi di origine orientale. Accompagnarono Domitilla a Ponza, per curarne la formazione, anche i tre amici cristiani Marone, Eutiche e Vittorino, ai quali Aureliano raccomandò di convincere la ragazza a sposarlo. 
A Roma intanto il potere dell' imperatore Domiziano degenerò in violenta dittatura, finche nel 96 fu ucciso, vittima di una congiura ordita da senatori. Il potere imperiale fu preso da Nerva (96-98), un senatore che attenuò le persecuzioni contro i cristiani e fece rientrare dall'esilio i perseguitati per motivi religiosi. Anche Domitilla potè rientrare a Roma col suo seguito, ma Aureliano, l'aspirante sposo di Domitilla, riconquistò potere politico e con Nerva divenne ancora una volta console. Non avendo potuto piegare Domitilla al suo volere, si accanì contro Marone, Vittorino e Eutiche, responsabili ai suoi occhi dello scacco matrimoniale subito. Li condannò come cristiani ai lavori forzati, ognuno in un suo diverso possedimento. Marone fu inviato sulla Salaria, a 130 miglia da Roma, perche zappasse tutto il giorno su poderi che Aureliano possedeva nel Piceno, ma egli, nonostante fosse trattato come schiavo, godeva di prestigio e aumentava il numero dei cristiani. Nel frattempo era divenuto sàcerdote e compiva anche miracoli. 
Il quadro storico fin qui delineato può essere considerato attendibile, ma nel corso del Medioevo la figura del santo si colorò di elementi chiaramente leggendari, anche se "leggendario" non significa necessariamente "falso", perche ogni leggenda si forma per trasformazione o rielaborazione di un nucleo originario corrispondente a verità. Comunque, il culto del martire San Marone mise salde radici nelle città romane lungo il corso del Chienti e del Potenza: a Septempeda, oggi San Severino, fu venerato e ricordato anche per aver guarito dall'idropisia il "procurator" della città. A Tolentino il suo culto è testimoniato dal fatto che è protettore della città insieme a San Catervo. Identica situazione si ritrova ad Urbisaglia, ove San Marone è ancor oggi comprotettore della cittadina insieme a San Giorgio; questo, forse, ha fatto attribuire a San Marone il miracolo della principessa liberata dal drago, altrove attribuito sempre a San Giorgio: alla foce del Chienti, un drago sarebbe emerso dal mare per mangiarsi una principessa, in questo caso la figlia del re di Urbisaglia, probabile evocazione popolare dei locali re carolingi o sassoni. San Marone la salvò. 

Nell'anno 100 dopo Cristo San Marone morì martire in VaI di Chienti, nei pressi del santuario del dio Granno. 

Marone si fece araldo del vangelo sul territorio piceno attraversato da quel tratto della Salaria che, diramandosi dalla valle del Tronto, si addentrava nel Piceno costeggiando i Sibillini. Subì il martirio sul territorio dell'attuale Urbisaglia, ove sorgeva il santuario dedicato all'antico dio italico Granno, identificato poi col dio greco Apollo. 
All'interno del themenos o recinto sacro del tempio, sgorgavano sorgenti di acque calde, e i pagani credevano che il dio conferisse loro virtù curative; era quindi molto frequentato. Al santuario del dio Apollo-Granno inviò più volte donativi, per ottenere la guarigione, anche l'imperatore romano Caracalla (212-217), che una volta vi si recò anche in pellegrinaggio. Lo riferisce lo scrittore greco Dione Cassio. Le rovine del Palazzo di Carlo Magno in VaI di Chienti erano ancora visibili nel 1500. In quel secolo Andrea Dacci di Sant'Elpidio additava nella piana del Chienti i resti di un "Palazzo antico" che la tradizione riteneva "il Palazzo di Re Carlo". 
Nell'anno 100 dopo Cristo, a Roma Aureliano si convinse che per Marone non era sufficiente la condanna ai lavori forzati. Doveva morire. Il favore con cui le masse del Piceno accoglievano la predicazione del Cristianesimo comprometteva gli interessi di chi viveva dei proventi del culto del dio Grannus, e anche quelli personali del console Aureliano, che nel Piceno aveva possedimenti e quindi interessi da tutelare. A Roma dovettero anche giungere formali proteste e Aureliano inviò Turgio, un ex console suo amico, per far processare Marone. Avevano già tentato di linciarlo facendolo morire schiacciato da un grosso macigno ma, stando alla tradizione, non ci erano riusciti per la protezione di Dio. Turgio, in qualità di magistrato romano, fece applicare la legge, che per la condanna a morte di un cittadino romano prevedeva la decapitazione, e Marone fu decapitato. Gli antichi martirologi concludono il racconto del martirio con queste parole: il popolo cristiano prese il suo corpo e gli diede onorevole sepoltura. Era il 15 aprile dell'anno 100. 
I cristiani del Piceno poterono certamente dar sepoltura al corpo del martire, perche la legge romana, per il seppellimento dei morti prevedeva disposizioni da rispettare come sacre, emanate già nel periodo repubblicano di Roma, quando erano state redatte le leggi delle Dodici Tavole: Deorum Manium jura sancta sunto, i diritti degli dei Mani (dei defunti) siano rispettati come sacri.


Il Papa: il seminario non è un rifugio, guai ai pastori che pascolano se stessi e non il gregge





Non state diventando "funzionari di un’azienda”, ma "pastori ad immagine di Gesù”. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai seminaristi del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, fondato nel 1897 da Leone XIII e che forma i futuri sacerdoti della regione Lazio. Dal Papa, in un intervento più volte a braccio, anche un severo richiamo a quei pastori che "pascolano se stessi e non il gregge”. I seminaristi hanno partecipato all’udienza dopo un pellegrinaggio a piedi, definito dal Papa un "simbolo molto bello del cammino” da percorrere nell’amore di Cristo. Il servizio di Alessandro Gisotti:   

Trasformare i "progetti vocazionali in feconda realtà apostolica”. Papa Francesco ha sintetizzato così il compito del Leoniano, come di tutti i seminari ed ha messo l’accento sull’"atmosfera evangelica”, che "consente a quanti vi si immergono di assimilare giorno per giorno i sentimenti di Gesù Cristo, il suo amore per il Padre e per la Chiesa, la sua dedizione senza riserve al Popolo di Dio”. Ed ha indicato nella "preghiera, studio, fraternità e vita apostolica" i "quattro pilastri della formazione": 

"Voi, cari seminaristi, non vi state preparando a fare un mestiere, a diventare funzionari di un’azienda o di un organismo burocratico. Abbiamo tanti, tanti preti a metà cammino ... Un dolore, che non sono riusciti ad arrivare al cammino completo; hanno qualcosa dei funzionari, qualche dimensione burocratica e questo non fa bene alla Chiesa. Mi raccomando, state attenti a non cadere in questo! Voi state diventando pastori ad immagine di Gesù Buon Pastore, per essere come Lui e in persona di Lui in mezzo al suo gregge, per pascere le sue pecore”. 

"Di fronte a questa vocazione – ha detto – noi possiamo rispondere come la Vergine Maria all’angelo: ‘Come è possibile questo?’”. Diventare "buoni pastori” ad immagine di Gesù, ha osservato Francesco, "è una cosa troppo grande, e noi siamo tanto piccoli”, ma in realtà "non è opera nostra”, "è opera dello Spirito Santo, con la nostra collaborazione”: 

"Si tratta di offrire umilmente sé stessi, come creta da plasmare, perché il vasaio, che è Dio, la lavori con l’acqua e il fuoco, con la Parola e lo Spirito. Si tratta di entrare in quello che dice san Paolo: ‘Non vivo più io, ma Cristo vive in me’ (Gal 2,20). Solo così si può essere diaconi e presbiteri nella Chiesa, solo così si può pascere il popolo di Dio e guidarlo non sulle nostre vie, ma sulla via di Gesù, anzi, sulla Via che è Gesù”. 

E’ vero, ha detto il Papa, "che all’inizio, non sempre c’è una totale rettitudine di intenzioni”, aggiungendo che "è difficile che ci sia”:

"Tutti noi sempre abbiamo avuto queste piccole cose che non erano di rettitudine di intenzione, ma questo col tempo si risolve con la conversione di ogni giorno. Ma pensiamo agli apostoli! Pensate a Giacomo e Giovanni, che uno voleva diventare il primo ministro e l’altro il ministro dell’economia, perché era più importante. Gli apostoli ... pensavano un’altra cosa e il Signore con tanta pazienza ... ha fatto la correzione dell’intenzione e alla fine era tanta la loro rettitudine dell’intenzione che hanno dato la vita nella predicazione e nel martirio". 

Il Papa ha sottolineato così l’importanza di "meditare ogni giorno il Vangelo, per trasmetterlo con la vita e la predicazione”. E ancora, "sperimentare la misericordia di Dio nel sacramento della Riconciliazione, e questo non lasciarlo mai". "Confessarsi sempre!", ha esortato, e "così diventerete ministri generosi e misericordiosi perché sentirete la misericordia di Dio su di voi per diventare ministri generosi e misericordiosi”. Essere buoni pastori, ha detto, "significa cibarsi con fede e con amore dell’Eucaristia, per nutrire di essa il popolo cristiano”, "significa essere uomini di preghiera, per diventare voce di Cristo che loda il Padre e intercede continuamente per i fratelli”. Se voi "non siete disposti a seguire questa strada, con questi atteggiamenti e queste esperienze – ha ammonito il Papa – è meglio che abbiate il coraggio di cercare un’altra strada”: 

"Ci sono molti modi, nella Chiesa, di dare testimonianza cristiana e tante strade che portano alla santità anche. Nella sequela ministeriale di Gesù non c’è posto per la mediocrità, quella mediocrità che conduce sempre ad usare il santo popolo di Dio a proprio vantaggio. Guai ai cattivi Pastori che pascolano se stessi e non il gregge! – esclamavano i Profeti (cfr Ez 34,1-6), con quanta forza”. 

Agostino, ha detto il Papa, prende questa frase profetica nel suo De Pastoribus. "Guai ai cattivi pastori – ha ammonito il Papa – perché il seminario, diciamo la verità non è un rifugio per tante limitazioni che possiamo avere, un rifugio di mancanze psicologiche o un rifugio perché non ho il coraggio di andare avanti nella vita e cerco lì un posto che mi difenda”:

"No, non è quello. Se il vostro seminario fosse quello, diventerebbe un’ipoteca per la Chiesa! No, il seminario è proprio per andare avanti, avanti in questa strada e quando sentiamo i profeti dire ‘guai!’ che questo ‘guai!’ vi faccia riflettere seriamente sul vostro futuro. Pio XI una volta aveva detto che era meglio perdere una vocazione che rischiare con un candidato non sicuro. Era alpinista, conosceva queste cose”. 

Il Papa ha concluso il suo discorso affidando i seminaristi alla Vergine Maria. "I mistici russi – ha osservato – dicevano che nel momento delle turbolenze spirituali bisogna rifugiarsi sotto il manto della Santa Madre di Dio”. Uscire dunque, ma "coperti con il manto” di Maria.



15/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

''Guai ai sacerdoti mediocri!''

di Massimo Introvigne

Papa Francesco bastona troppo spesso i sacerdoti, insistendo sui loro difetti? A credere a qualche giornalista, molti preti hanno questa sensazione. Eppure il Papa insiste sempre sulla grandezza e la bellezza del sacerdozio. Ma mostra anche una familiarità priva di illusioni con la realtà concreta e le indagini sociologiche. È il Papa della Confessione, e in pubblico e in privato ha confidato quanto sia sconcertato dai dati secondo cui molti preti passano pochissimo tempo in confessionale ed essi stessi si confessano raramente. Il gran numero di sacerdoti che chiedono ogni anno la riduzione allo stato laicale non è poi certo un indizio di buona salute.

Il 14 aprile Papa Francesco ha ripetuto le sue preoccupazioni ai seminaristi del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, di fronte ai quali ha affermato che purtroppo nella Chiesa ci sono «pastori che pascolano se stessi e non il gregge». Un seminario, ha detto, funziona se «consente a quanti vi si immergono di assimilare giorno per giorno i sentimenti di Gesù Cristo, il suo amore per il Padre e per la Chiesa, la sua dedizione senza riserve al Popolo di Dio», tutte cose per cui è necessario anzitutto lo spirito di preghiera.

«Voi, cari seminaristi - ha detto il Papa - non vi state preparando a fare un mestiere, a diventare funzionari di un’azienda o di un organismo burocratico. Abbiamo tanti, tanti preti a metà cammino ... Un dolore, che non sono riusciti ad arrivare al cammino completo; hanno qualcosa dei funzionari, qualche dimensione burocratica e questo non fa bene alla Chiesa». Il sacerdozio è una realtà grandissima, «è una cosa troppo grande, e noi siamo tanto piccoli», eppure in tanti casi si diventa davvero buoni preti perché «non è opera nostra», «è opera dello Spirito Santo, con la nostra collaborazione». Il seminarista deve offrire la sua vita «come creta da plasmare, perché il vasaio, che è Dio, la lavori con l’acqua e il fuoco, con la Parola e lo Spirito. Si tratta di entrare in quello che dice san Paolo: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Solo così si può essere diaconi e presbiteri nella Chiesa, solo così si può pascere il popolo di Dio e guidarlo non sulle nostre vie, ma sulla via di Gesù, anzi, sulla Via che è Gesù».

Si entra sempre in seminario per una pluralità di motivi, che non devono neppure indurre agli scrupoli: «all’inizio, non sempre c’è una totale rettitudine di intenzioni», anzi «è difficile che ci sia», «ma questo col tempo si risolve con la conversione di ogni giorno. Ma pensiamo agli apostoli! Pensate a Giacomo e Giovanni, che uno voleva diventare il primo ministro e l’altro il ministro dell’economia, perché era più importante. Gli apostoli ... pensavano un’altra cosa e il Signore con tanta pazienza ... ha fatto la correzione dell’intenzione e alla fine era tanta la loro rettitudine dell’intenzione che hanno dato la vita nella predicazione e nel martirio».

Come sanno i nostri lettori, in ogni occasione Papa Francesco torna al suo tema prediletto, la Confessione. Così, invita anche i seminaristi a «sperimentare la misericordia di Dio nel sacramento della Riconciliazione, e questo non lasciarlo mai. Confessarsi sempre!», per prepararsi bene all'Eucarestia e diventare «uomini di preghiera».

Se voi «non siete disposti a seguire questa strada, con questi atteggiamenti e queste esperienze – ha detto il Papa – è meglio che abbiate il coraggio di cercare un’altra strada. Ci sono molti modi, nella Chiesa, di dare testimonianza cristiana e tante strade che portano alla santità, anche. Nella sequela ministeriale di Gesù non c’è posto per la mediocrità». Citando il «De pastoribus» di sant'Agostino (354-430) il Papa ha esclamato «Guai ai cattivi pastori!». «Perché il seminario - ha spiegato -  diciamo la verità non è un rifugio per tante limitazioni che possiamo avere, un rifugio di mancanze psicologiche o un rifugio perché non ho il coraggio di andare avanti nella vita e cerco lì un posto che mi difenda». No, non è quello. «Se il vostro seminario fosse quello, diventerebbe un’ipoteca per la Chiesa! No, il seminario è proprio per andare avanti, avanti in questa strada e quando sentiamo i profeti dire ‘guai!’ che questo ‘guai!’ vi faccia riflettere seriamente sul vostro futuro. Pio XI [1857-1939] una volta aveva detto che era meglio perdere una vocazione che rischiare con un candidato non sicuro. Era alpinista, conosceva queste cose».

C'è un modo, ha concluso il Pontefice, per evitare la mediocrità, mantenere e aumentare la devozione alla Madonna. «I mistici russi dicevano che nel momento delle turbolenze spirituali bisogna rifugiarsi sotto il manto della Santa Madre di Dio».


15/04/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Gerusalemme: iniziati i riti della Settimana Santa nell'attesa del viaggio di Papa Francesco a maggio




Circa 20mila fedeli hanno partecipato ieri a Gerusalemme alla processione della Domenica delle Palme. A guidare il tradizionale rito è stato il patriarca latino Fouad Twal: è stato un corteo festoso che si è snodato dal Santuario di Betfage fino alla Chiesa di Sant’Anna, presso l'ingresso della Città Vecchia. L’appuntamento di quest’anno è stato caratterizzato, in particolare, dall’attesa gioiosa del viaggio che il Papa compirà in Terra Santa nel prossimo maggio e dalla speranza del messaggio che porterà in questi luoghi spesso tormentati dai conflitti. Ascoltiamo in proposito padre Giovanni Claudio Bottini, dei Frati Minori, decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, al microfono di Gabriele Palasciano:

R. – Il Papa confermerà, secondo me, quel cammino che la Chiesa sta facendo in maniera decisa, soprattutto negli ultimi anni, richiamandosi anche alla profezia di Francesco: il cristianesimo, il cristiano, non è nemico di nessuno e la sua testimonianza è una testimonianza pacifica e che il dialogo è la strada della reciproca conoscenza, del reciproco rispetto, del reciproco aiuto. In questo cammino di dialogo cristiani e musulmani, nonché gli ebrei, possono contribuire al benessere di tutta l’umanità.

D. – Quali sono le attese della comunità cattolica?

R. – La comunità cattolica accoglierà, per quanto io posso dire, con entusiasmo la sua venuta. Aspetta certamente una parola di incoraggiamento - come l’hanno detta anche i Papi precedenti, soprattutto Benedetto XVI - a restare in questa Terra Santa e a portare il proprio contributo come cristiani, come cattolici, alla pace, alla giustizia in questa terra che appartiene alle tre grandi fedi come riferimento religioso, ma che appartiene come patrimonio prezioso a tutta l’umanità. 

D. – Quali sono le attese da parte della Custodia di Terra Santa e anche da parte dell’Ordine francescano al quale voi appartenete?

R. – Io penso che il Papa ci ridirà una parola di invito pressante e cordiale anzitutto ad essere noi stessi un messaggio: come francescani a vivere pacificamente in queste terre, in mezzo a popoli che non riescono sempre a dialogare e che a volte compiono addirittura gesti di reciproca inimicizia. Essendo una comunità internazionale, la Custodia di Terra Santa è già una presenza di pace, un modo di vivere diverso e di vivere in pace, proveniente da Paesi che spesso, fra di loro, hanno conflitti o hanno interessi contrastanti. Il secondo invito io penso che il Papa ce lo darà confermandoci nell’incarico che abbiamo di accogliere i pellegrini nei luoghi santi, avendo una particolare attenzione alle pietre vive, che sono i cristiani di Terra Santa, per i quali la Custodia – insieme al Patriarcato Latino e a tante altre istituzioni cattoliche – prestano servizi educativi, servizi assistenziali, presenza di sostegno attraverso l’apostolato nelle più svariate forme.



 
15/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il Patriarca Bartolomeo I sul prossimo incontro con Papa Francesco



"Oggi, forse ancor più di 50 anni fa, c’è un urgente bisogno di riconciliazione e questo rende il prossimo incontro con il nostro fratello Papa Francesco a Gerusalemme un evento di grande significato e aspettativa”. Così il patriarca ecumenico Bartolomeo I spiega in un’intervista esclusiva all'agenzia Sir le ragioni che hanno spinto i leader delle due Chiese a darsi appuntamento a Gerusalemme il 25 e il 26 maggio per commemorare i 50 anni dall‘incontro nella Città santa tra Paolo VI e il patriarca Athenagoras. Molte sono le questioni che richiedono oggi un’azione comune e un’unica voce da parte delle Chiese.

Le elenca nell’intervista il patriarca: "La sofferenza delle persone in ogni angolo del pianeta oggi; l’abuso della religione per scopi politici o di altro tipo; le difficoltà che i cristiani di tutto il mondo affrontano in particolare nelle aree dove la Chiesa cristiana, a prescindere dalle identità confessionali, è nata e cresciuta; le ingiustizie inflitte ai membri più deboli delle società contemporanee e l’allarmante crisi ecologica che minaccia l’integrità e la sopravvivenza stessa della creazione di Dio: tutto ciò chiede un’azione comune e la soluzione dei problemi ancora ci divide”. Per questo - incalza - c’è un urgente bisogno di riconciliazione.

"Siamo convinti - afferma il patriarca Bartolomeo I - che i leader delle Chiese devono intraprendere passi decisi per riconciliare la Cristianità divisa e rispondere ai bisogni urgenti del nostro tempo. Certamente Papa Francesco è un leader sincero e altruista, che ha a cuore la divisione della Chiesa come anche la sofferenza del nostro mondo”. Facendo un bilancio del cammino percorso in questi 50 anni di dialogo, il patriarca ammette: "Non ci sono dubbi che il cammino delle due Chiese negli ultimi 50 anni non sia stato facile. Ciò nonostante, lo spirito di amore fraterno e rispettoso ha fortunatamente preso il posto della vecchia polemica, alimentata da sospetti e giudizi”. Ed aggiunge: "C’è ancora molto da fare e il percorso sembra essere lungo. Questa strada, comunque, deve essere intrapresa nonostante le difficoltà; non c’è alternativa”. (R.P.)


15/04/2014 fonte:  Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 01/04/2014 Santa Maria Egiziaca



Cercare di riassumere la vita di Maria, che si presenta come una composizione di Sofronio, vescovo di Gerusalemme, attribuzione contro la quale non si è potuto portare alcun argomento decisivo, è farle perdere tutto il suo sapore, la qualità principale per cui questo racconto ha potuto avere qualche interesse; in effetti il suo carattere storico è quasi inesistente anche se, come si dirà piú oltre, è stato costruito intorno ad un iniziale nucleo reale: l'esistenza di una tomba di una santa solitaria palestinese, forse proprio di nome Maria.
Zosimo, ieromonaco di qualche laura palestinese, va, secondo l'abitudine, a trascorrere una parte della Quaresima nelle profondità del deserto. Credendo dapprima ad un'allucinazione si rende ben presto conto della realtà della sua visione: una forma femminile cui l'ardore del sole ha disseccato la pelle, senza altra veste che la sua capigliatura bianca come la lana. Vedendo in questo incontro la volontà della Provvidenza, Zosimo cerca di avvicinarla e vi riesce solo sulla riva di un torrente, ma la sua interlocutrice non consente ad iniziaré ia conversazione prima che il monaco le abbia lanciato il suo mantello per coprire la sua nudità. Dopo essersi reciprocamente benedetti si mettono a pregare e Zosimo vede Maria che levita nell'aria. Il monaco dubita allora di trovarsi di fronte ad una macchinazione diabolica, ma Maria lo tranquillizza chiamandolo per nome. Incitata da lui Maria comincia a raccontare la sua vita.
Egiziana di origine, a dodici anni era fuggita dalla casa paterna per condurre a suo agio ad Alessandria la vita di peccato che l'ardone dei suoi sensi reclamava. Per diciassette anni visse in questo stato. Un giorno, vedendo dei pellegrini che s'imbarcavano per Gerusalemme, spinta dalla curiorità ed in cerca di nuove avventure, si uní al gruppo, convinta che il suo fascino le avrebbe permesso facilmente di pagarsi il prezzo del viaggio. I suoi piaceri ebbero termine a Gerusalemme il giorno della festa della Croce: ella voleva infatti come gli altri, entrare nella basilica, ma ogni volta che tentava di varcarne la soglia una forza interiore glielo impediva.
A questo punto sentí il richiamo del Giordano.
Uscendo dalla città uno sconosciuto le diede tre pezzi d'argento che le sarebbero serviti. ad acquistare pani che dovevano essere il suo ultimo nutrimento terrestre duratole per almeno diciassette anni. Giunta a sera sulle rive del Giordano ed avendo scorto il santuario di S. Giovanni Battista, ella vi fece una visita per pregare e quindi si recò al fiume per purificarsi. In seguito ricevette la Comunione eucaristica e con questo viatico iniziò il suo lungo cammino nel deserto cammino che al momento dell'incontro con Zosimo durava già da quarantasette anni.
Giunta al termine del suo racconto autobiografico Maria pregò Zosimo di ritornare l'anno dopo, la sera del giovedí santo in un luogo che ella gli indicò sulle rive del Giordano, per portarle l'Eucarestia. Zosimo fu fedele all'appuntamento e Maria traversò miracolosamente il fiume per raggiungere il monaco. Dopo essersi comunicata ed avere rinnovato l'appuntamento per l'anno successivo nel luogo del primo incontro presso il torrente, Maria riprese la sua marcia nel deserto.
Tornando l'anno dopo sulla riva del torrente Zosimo si credette da principio solo, poi scorse a terra il corpo di Maria morta, rivestito ancora del vecchio mantello da lui datole due anni prima. Una scritta sulla terra gli rivelò alcuni aspetti del mistero: "padre Zosimo sotterra il corpo dell'umile Maria; restituisci alla terra ciò che è della terra, aggiungi polvere a polvere ed in nome di Dio prega per me; sono morta nel mese di pharmouti, secondo gli egiziani, che corrisponde all'aprile dei Romani, la notte della Passione del Salvatore, dopo aver partecipato al pasto mistico".
Zosimo capí che Maria era già morta da un anno, il giorno stesso in cui le aveva dato la s. Comunione. Si mise subito all'opera per seppellire il corpo di lei, ma non aveva altro utensile che un pezzo di legno; aveva appena cominciato a scavare che ebbe la sorpresa di trovarsi a lato un leone che si dimostrò subito in grande familiarità con lui e che in breve tempo, su richiesta del monaco, scavò una fossa sufficiente a deporre Maria. Dopo aver ricoperto di terra il corpo della santa, Zosimo ritornò al suo monastero, dove raccontò tutta la storia all'abbà Giovanni l'egumeno e ai suoi confratelli per loro edificazione.
Tutti sono concordi nel vedere in questa storia soltanto una pia leggenda, come ha scritto H. Delehave: "una creazione poetica, senza dubbio fra le piú belle di quante ci abbia lasciato l'antichità cristiana".
Questa creazione letteraria, tuttavia, non è tutta pura invenzione, essa non è che lo sviluppo di una tradizione palestinese che vide la luce intorno alla tomba di una solitaria locale esistita realmente. In effetti, nella Vita di Ciriaco, opera di Cirillo di Scitovoli, l'autore racconta di una sua passeggiata nel deserto in compagnia di un certo abbà Giovanni.
F. Delmas, dopo un accurato controllo tra la Vita di Maria opera di Sofronio e, contemporaneamente la Vita di Paolo di Tebe, scritta da s. Girolamo (in cui la parte di Zosimo è sostenuta da un Antonio), ed il racconto del monaco Giovanni nella l'ita di Ciriaco, cosí riassume le conclusioni del suo studio: "1) il quadro generale della vita di s. Maria Egiziaca mi sembra ricalcato sulla vita di s Paolo eremita. 2) la vita di s. Maria Egiziaca mi sembra non essere altro che uno sviluppo retorico della vita di Maria inserita negli Atti di s. Ciriaco".
Giovanni Mosco, cronologicamente posteriore a Cirillo, presenta uno svolgimento diverso della leggenda di Maria, ma malgrado le divergenze, le grandi linee dei due racconti sono abbastanza simili perché si possa concludere per l'unicità del fatto originario. al quale entrambi fanno riferimento. Sofronio, di cui abbiamo già sottolineata la dipendenza da Cirillo, ha anche preso in prestito qualche dettaglio da Giovanni Mosco, in particolare la localizzazione della scoperta di Maria nel deserto al di là del Giordano.
Non minore fu la popolarità di Maria in Occidente. 
.
Culto liturgico.
I sinassari bizantini venerano Maria al 1° aprile, qualcuno al 3 o al 4 dello stesso mese. Questa data è in relazione con il supposto giorno della morte di Maria, un giovedí santo nel mese di pharmouthi. A1 1° aprile Maria figura anche nel Typikon della laura di S. Saba. I calendari palestino-georgiani fanno di lei menzione il 1°, il 4 o il 6 dello stesso mese. Il Sinaiticus 34 (X sec.) la nomina per la terza volta il 2 dicembre. Qualche calendario siriaco la menziona ancora il 1° aprile. Il Sinassario Alessandrino di Michele, vescovo di Atr?b e Mal?g le dedica una lunga notizia proveniente dalla Vita di Sofronio al 6 barmudah e la traduzione geez di questo Sinassario ha conservato la stessa notizia al giorno corrispondente del 6 miyaziya. Il Calendario marmoreo di Napoli menziona Maria al 9 aprile. I primi martirologi occidentali medievali la ignorano e, a quanto sembra, Usuardo fu il primo ad introdurla al 2 aprile nel suo Martirologio con lo stesso breve elogio di s. Pelagia all'8 ottobre Pietro de' Natalibus le ha dedicato un lungo capitolo de] suo Catalogus.
Il 2 aprile divenne quindi la data tradizionale della commemoraziohe di Maria in Occidente.


Il Papa ai Salesiani: vicini ai poveri e responsabili nella gestione dei beni, giovani siano protagonisti nella Chiesa





"Lavoro e temperanza” guidarono l’opera di San Giovanni Bosco, volta a curare le anime, specie dei giovani. Lo ha ricordato il Papa, ricevendo ieri i partecipanti al 27.mo Capitolo generale dei Salesiani dedicato al tema "Testimoni della radicalità evangelica”, nell’anno bicentanario della nascita del fondatore. "Lo Spirito Santo vi aiuti a cogliere le attese e le sfide del nostro tempo” , ha auspicato Papa Francesco rivolto al neo-eletto rettor maggiore, don Angel Fernandez Artime, e al Consiglio generale, raccomandando a tutta la famiglia salesiana "trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni”, oltre che "una vita essenziale ad austera”. Il servizio di Roberta Gisotti:RealAudioMP3 

Se il motto di don Bosco era "Da mihi animas, cetera tolle” (Dammi le anime, prenditi il resto), il suo programma era rafforzato da altri due elementi – ha osservato il Papa – il lavoro e la temperanza. Dunque "lavorare per il bene delle anime”, superando "la tentazione della mondanità spirituale”, nella "temperanza”, che è il "senso della misura”, di "accontentarsi”, di "essere semplici”, che al figlio Giovanni aveva trasmesso la mamma:

"La povertà di Don Bosco e di mamma Margherita ispiri ad ogni salesiano e ad ogni vostra comunità una vita essenziale e austera, vicinanza ai poveri, trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni”.

L’esperienza di Don Bosco e il suo sistema ‘preventivo’ – ha proseguito Francesco – vi sostengano "per rispondere all’attuale emergenza educativa”, preparando i giovani "a lavorare nella società secondo lo spirito del Vangelo, come operatori di giustizia e di pace, e a vivere da protagonisti nella Chiesa":

"La presenza in mezzo a loro si distingua per quella tenerezza che Don Bosco ha chiamato amorevolezza, sperimentando anche nuovi linguaggi, ma ben sapendo che quello del cuore è il linguaggio fondamentale per avvicinarsi e diventare loro amici”.

E, "fondamentale qui - ha aggiunto il Papa - è la dimensione vocazionale”, che non venga "confusa con una scelta di volontariato”, evitando "visioni parziali, per non suscitare risposte vocazionali fragili e sorrette da motivazioni deboli”. Perché le vocazioni siano frutto di una buona pastorale giovanile, Papa Francesco ha chiesto anzitutto la preghiera, il coraggio della proposta, il coinvolgimento delle famiglie:

"La geografia vocazionale è cambiata e sta cambiando, e questo significa nuove esigenze per la formazione, l'accompagnamento e il discernimento”.

Attenzione particolare ha raccomandato il Papa per i giovani esclusi dal mondo del lavoro e schiavi di dipendenze "che derivano da una comune mancanza di amore vero”:

"Andare incontro ai giovani emarginati richiede coraggio, maturità umana e molta preghiera. Ci può essere il rischio di lasciarsi prendere dall'entusiasmo, inviando su tali frontiere persone di buona volontà, ma non adatte. Perciò è necessario un attento discernimento e un costante accompagnamento”.

Infine una riferimento alla vita di comunità, perché sia ispirata a "relazioni autentiche”, superando "tensioni”, il rischio dell’individualismo e della dispersione”, e sia fatta di "accoglienza, rispetto, aiuto reciproco, comprensione, cortesia, perdono e gioia”.



01/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Canonizzazione dei Papi: non c'è bisogno di biglietti, presentati gli eventi di preparazione




Si è tenuta ieri nella Sala Stampa vaticana una conferenza di presentazione del cammino di preparazione alla Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II del 27 aprile 2014. Sono intervenuti il cardinale vicario Agostino Vallini, padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, mons. Giulio Dellavite, segretario generale della Curia di Bergamo, e mons. Walter Insero, incaricato dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Una veglia di preghiera che, la notte prima delle Canonizzazioni, coinvolgerà le parrocchie di Roma e un incontro per i giovani a San Giovanni in Laterano, il 22 aprile, con i postulatori delle Cause dei Beati Roncalli e Wojtyla. Sono i due momenti forti che precederanno il grande evento del 27 aprile, "una vera festa della fede”, come ha sottolineato padre Federico Lombardi introducendo la conferenza stampa. E il cardinale Agostino Vallini ha proprio messo l’accento sulla dimensione autentica di questo grande evento:

"È essenzialmente un messaggio spirituale, perché è la festa della santità. Il rapporto che Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno avuto con la Chiesa di Roma, di cui loro erano vescovi, è un rapporto molto stretto, a cominciare dallo stile con il quale hanno esercitato questo loro ministero; uno stile di vicinanza, di accoglienza, premura verso le persone, vero l’uomo in quanto tale”.

Il cardinale Vallini ha quindi esortato a vivere con intensità questo tempo che ci avvicina al giorno delle Canonizzazioni:

"Le canonizzazioni sono una grazia di Dio, che il Signore ci fa mostrandoci come modelli di vita cristiana due uomini di fede. E allora, cerchiamo di percorrere questo sentiero, il sentiero di una spiritualità più intensa. Questo - direi - è il senso con il quale ci prepariamo a questo avvenimento”.

Dal canto suo, mons. Dellavite, della diocesi di Bergamo, ha sottolineato che la "chiesa madre” di Papa Roncalli si priverà di alcuni suoi beni per dare una testimonianza di carità in questo momento di grazia. Saranno realizzate delle iniziative caritative ad Haiti, in Albania e nella stessa Bergamo. I 900 sacerdoti bergamaschi doneranno, inoltre, uno stipendio per un fondo per le persone in difficoltà sul fronte del lavoro. E’ stata dunque la volta di don Walter Insero, della diocesi di Roma, che ha messo l’accento sulle iniziative di comunicazione che aiuteranno i fedeli, soprattutto i giovani, ad approfondire la testimonianza dei due Santi. Innanzitutto, un portale: www.2papisanti.org in diverse lingue ed un account twitter @2popesaints. Ma le canonizzazioni avranno anche una presenza su YouTube e Facebook. Nei prossimi giorni, sarà poi disponibile l’applicazione "Santo Subito” dedicata a Karol Wojtyla. Padre Lombardi ha così risposto alle domande dei giornalisti, precisando subito che – da parte vaticana – non ci sono previsioni sui numeri dei fedeli che parteciperanno alle Canonizzazioni, ma tutti sono invitati a partecipare. Padre Federico Lombardi ha così ribadito che non ci sarà bisogno di biglietti:

"… i fedeli senza biglietti; quindi la Piazza, Via della Conciliazione … Chi arriva assiste, partecipa, ma non si prevedono biglietti. Non chiedeteli alla Prefettura, perché non ci saranno”.
La celebrazione, ha aggiunto, avverrà sul sagrato, verrà preparata dalla recita cantata della coroncina della Divina Misericordia, con la lettura di testi dei due Papi: circa mille i concelebranti tra cardinali e vescovi, almeno 700 i sacerdoti che amministreranno la Comunione in Piazza San Pietro. Padre Lombardi ha quindi risposto su una possibile presenza del Papa emerito Benedetto XVI:

"È chiaro che c’è una certa attesa. Possiamo dare per normale che sia invitato, però manca ancora un mese. Bisogna vedere se poi lui si sente, se desidera essere presente in una circostanza così impegnativa. Quindi è una possibilità aperta, non c’è nessuna sicurezza e nessun impegno ad una distanza di tempo così grande”.
Gli arazzi, ha detto ancora il direttore della Sala Stampa, saranno quelli usati per le Beatificazioni. Il reliquario di Giovanni Paolo II sarà lo stesso della Beatificazione e ne verrà realizzato uno gemello per Giovanni XXIII. Alla celebrazione saranno presenti le due miracolate da Karol Wojtyla. Dopo la Messa si potranno venerare le tombe dei due nuovi Santi. Lunedì 28, poi, sempre in Piazza San Pietro, il cardinale Angelo Comastri celebrerà una Messa di ringraziamento per le canonizzazioni.



01/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

“Fuoco della misericordia”: iniziativa di preghiera in Polonia per Giovanni Paolo II





In preparazione alla canonizzazione di Giovanni Paolo II i polacchi si riuniranno in preghiera attorno al "Fuoco della misericordia”, iniziativa della fondazione "Opera del nuovo millennio”, presieduta dal card. Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia e per oltre 40 anni segretario particolare di Karol Wojtyla. Ieri – informa l’agenzia Sir – al santuario della Divina Misericordia di Lagiewniki sono state consegnate al Presidente polacco Bronislaw Komorowski e ai rappresentanti di varie autorità statali e della società le simboliche "scintille della misericordia” portate poi in varie chiese, case e uffici in tutto il Paese. Il segretario dell’episcopato polacco, mons. Wojciech Polak, presentando l’iniziativa ha auspicato che i fedeli vivano il periodo che porta alla canonizzazione dei Beati Wojtyla e Roncalli in maniera "creativa”. "Che sia un tempo – ha soggiunto – in cui ci prepariamo all’evento davvero importante esteriormente, ma che è soprattutto un grande evento di fede, e un incontro con la santità concretamente espressa nella vita e nel servizio di Giovanni Paolo II”. (A.G.)



01/04/2014 fonte: Radio Vaticana 

Svegliare il mondo con la gioia del Vangelo

La "Evangelii Gaudium” (la gioia del Vangelo), pubblicata il 24 novembre 2013 da Papa Francesco, è una "esortazione apostolica”, perché non è dedicata ad un tema unico (come in genere le encicliche), ma spazia su tutto il vastissimo panorama delle attività ecclesiali. Però è stata giustamente definita "il manifesto programmatico del papato”,  un proclama d’intenti all’inizio di un pontificato che speriamo abbastanza lungo in rapporto a quanto Papa Francesco si propone di realizzare. Per tentare di capire a fondo questo Papa argentino-italiano, che viene "dalla fine del mondo”, bisogna sempre aver presente l’obiettivo prioritario che Giorgio Mario Bergoglio si propone di raggiungere nei suoi anni di Vescovo di Roma. Cosa che non tutti i commentatori fanno; molti si fermano sui dettagli e non capiscono perché non sono sulla sua stessa lunghezza d’onda.

Un volume che può aiutare a capire è "Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo”, che padre Giuseppe Buono, pubblica con la LER (Libreria Editrice Redenzione di Marigliano, Napoli). Uscito a metà marzo il libro si è esaurito in pochi giorni ed esce ora in seconda edizione aggiornata e con la prefazione di mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto (Siracusa).

Padre Buono, sacerdote e missionario del Pime dal 1959, docente di missiologia e di bioetica e religioni, ha visitato molte missioni nei quattro continenti e, come fondatore del Movimento Giovanile delle Pontificie  Opere Missionarie e segretario della Pontificia Unione Missionaria, ha maturato una conoscenza e una passione per la missione alle genti che lo rende lettore e testimone credibile della Evangelii Gaudium. Nell’Introduzione egli spiega che ha scritto il libro come sussidio agli studenti di ecclesiologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, sez. San Tommaso, Napoli, per aiutarli ad una "lettura organica dei temi della missione, così come Papa Francesco li espone e che necessitano di ulteriori premesse teologiche e storiche e di approfondimenti che segnino profondamente la vita del cristiano”.

Ma il volume  è utile a tutti coloro che desiderano approfondire meglio la natura missionaria della Chiesa e il conseguente dovere missionario di ogni battezzato perché rilegge l’Esortazione apostolica da un’ottica non comune e oggi troppo spesso dimenticata e sottovalutata. Infatti, data la crisi di fede e di vita cristiana che ha colpito l’Occidente europeo, le  nostre Chiese locali sentono la forte tentazione di chiudersi in difesa dell’ovile e del gregge di Cristo, minacciati da tanti nemici. Non è facile capire Papa Francesco se non si parte dall’ottica di "Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo”, che non è solo il titolo del libro ma l’impegno prioritario che la Evangelii Gaudium propone a tutti i battezzati e credenti in Cristo: "Voglio una Chiesa tutta missionaria”.

Il libro di Padre Buono dimostra che la rivoluzione evangelica, di cui Papa Francesco è profeta e testimone, in pratica si traduce in questo movimento: uscire dall’ovile per andare verso le periferie dell’umanità, verso i più piccoli e poveri, verso gli estremi confini della terra. "Svegliate il mondo con la gioia del Vangelo” aiuta a leggere ed a capire a fondo la Evangelii Gaudium, cioè il pontificato di Papa Francesco. Il cammino della conversione a Cristo, alla quale l’Esortazione apostolica chiama la Chiesa e tutti i battezzati,  è come il cammino del missionario che va fra i non cristiani per annunziare Cristo e lo annunzia soprattutto con la carità e diventando non "come loro”, ma "uno di loro”, sempre amico di tutti con molta umiltà e sacrifici, fin che la gente dice: "Sei uno di noi”. Così nasce la Chiesa fra i popoli che non conoscono Cristo e così può rinascere fra un popolo come il nostro, cristiano da duemila anni, ma nel quale molti ormai non conoscono più Gesù Cristo. In quest’ottica, anche le novità di Papa Francesco acquistano significato e chiedono adesione e preghiere allo Spirito Santo, protagonista della missione

01/04/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 25/03/2014 Annunciazione del Signore



Per la festa dell’Annunciazione invito a leggere due brani del Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine Maria di San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716). Primo brano: i veri devoti della Santa Vergine "avranno una singolare devozione per il grande mistero dell'Incarnazione del Verbo, il 25 marzo, che è il mistero proprio di questa devozione, perché questa devozione è stata ispirata dallo Spirito Santo: 1) per onorare e imitare la dipendenza ineffabile che Dio Figlio ha voluto avere da Maria, per la gloria di Dio Padre e per la nostra salvezza, dipendenza che appare particolarmente in questo mistero in cui Gesù Cristo è prigioniero e schiavo nel seno della divina Maria e in cui dipende da lei in tutte le cose; 2) per ringraziare Dio delle grazie incomparabili che ha fatto a Maria e particolarmente di averla scelta come sua degnissima Madre, scelta che è stata fatta in questo mistero” (cap. VIII).
Secondo brano: "Poiché il tempo non mi permette di fermarmi a spiegare le eccellenze e le grandezze del mistero di Gesù vivente e regnante in Maria, o dell'Incarnazione del Verbo, mi limiterò a dire in poche parole che abbiamo qui il primo mistero di Gesù Cristo, il più nascosto, il più elevato e il meno conosciuto; che è in questo mistero che Gesù, d'accordo con Maria, nel suo seno, che è per questo chiamato dai santi «la sala dei segreti di Dio», ha scelto tutti gli eletti; che è in questo mistero che ha operato tutti i misteri della sua vita che sono seguiti, per l'accettazione che ne ha fatto: «Entrando nel mondo Cristo dice: Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,5.7); e, di conseguenza, che questo mistero è un compendio di tutti i misteri, che contiene la volontà e la grazia di tutti; infine, che questo mistero è il trono della misericordia, della liberalità e della gloria di Dio” (cap. VIII).
I due testi sono collegati tra loro. In primo luogo San Luigi Maria afferma che il mistero dell’Incarnazione è il primo mistero cui i veri devoti della Santa Vergine devono rivolgere la loro attenzione. In secondo luogo, sostiene che il mistero della vita segreta di Gesù in Maria è il mistero che contiene tutti gli altri misteri, il punto di partenza per tutte le meraviglie della sua vita.
Analizziamo il primo testo e quindi il secondo.
Il Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine secondo me è un testo profetico per quanto afferma sui misteri e sulla devozione a Nostra Signora. Annuncia verità profonde che saranno approfondite solo in un’epoca futura di fioritura della Chiesa e quindi della teologia, che lo stesso santo chiama "Regno di Maria”. Oggi il significato delle sue parole non può ancora essere pienamente compreso. Per esempio, chi oserà dire di aver capito l’affermazione secondo cui Gesù Cristo, Dio stesso, fu per un tempo "schiavo di Maria” quando viveva nel suo seno? Dopo l’Annunciazione e il sì di Maria, Nostro Signore si fece carne nel suo seno. Da allora ebbe perfetta conoscenza di sua Madre. Viveva in lei come in un monastero di clausura, in contatto esclusivo e in completa dipendenza umana dalla Madonna: la più perfetta dipendenza che si possa dare sulla Terra.
Il Verbo Incarnato, completamente consapevole fin dal primo momento della sua incarnazione, scelse di vivere all’interno di una creatura. Per sua scelta visse all’interno di questo tempio e di questo palazzo, in misteriosa relazione con Nostra Signora.
Dio manifesta la sua onnipotenza nell’Incarnazione. La manifesta anche mantenendo vergine la Madonna prima, durante e dopo il parto. L’Incarnazione è un evento così straordinario che Dio avrebbe potuto disporre perché Nostro Signore nascesse pochi giorni dopo il concepimento. Ma non lo fece. Il Signore scelse di vivere per nove mesi nel seno di Maria. Volle stabilire questa forma speciale di dipendenza da lei. Scelse di avere con lei questa profonda e misteriosa relazione dell’anima. San Luigi Maria dice che scelse di diventare suo "schiavo”: un’espressione centrale in tutta la teologia mariana del santo, che può lasciarci perplessi specialmente se la riferiamo a Gesù Cristo ma che per il santo è essenziale e che dobbiamo comprendere a fondo. Schiavo? Sì. Anzi, uno schiavo ha la sua vita, respira da solo, ha almeno libertà di movimento. Gesù volle farsi più che schiavo: accettò di dipendere interamente da Nostra Signora.
Che tipo di relazione fra le anime di Gesù e della Madonna si stabilì in quel periodo? Che tipo di unione? Di per sé, il mistero è impenetrabile. Ma, almeno per avere un punto di partenza, possiamo considerare che nel mistero dell’Incarnazione Nostro Signore assume interamente la natura umana. Vero Dio, diventa anche vero uomo. Ha un’anima e un corpo come li abbiamo noi. Nella sua umanità discende da Adamo ed Eva come noi. Ma nello stesso tempo la sua anima umana aveva – anzi ha – un’unione con Dio così stretta che Gesù Cristo è e resta una persona della Santissima Trinità. C’è una sola persona di Cristo, non due, anche dopo l’Incarnazione. Com’è possible tutto questo? È un mistero. I teologi si diffondono sulla nozione di unione ipostatica, ma non sciolgono veramente il mistero.
Considerando la sua natura divina e umana, come spiegare il grido di Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. In quel momento certamente Gesù continuava a essere Dio, eppure aveva scelto di soffrire nella sua umanità un abbandono e un isolamento totale. Si sentiva completamente abbandonato nella sua umanità mentre rimaneva unito a Dio Padre e allo Spirito Santo nella sua divinità. Di nuovo, non possiamo spiegare tutto: è un mistero.
L’unione di Nostro Signore con Maria quando era nel suo seno non è naturalmente l’unione ipostatica, eppure quest’ultima ci aiuta in via analogica a capire. Se nella sua umanità Gesù poteva sentirsi abbandonato sulla croce senza compromettere la sua divinità, poteva essere come dice San Luigi Maria "schiavo” di Nostra Signora nel suo seno – s’intende, anche qui nella sua umanità. Ma rimangono molti aspetti misteriosi, su cui penso che getterà luce una teologia nuovamente capace di fiorire nel Regno di Maria, per la maggior gloria di Dio e delle anime.
Anche nell’unione mistica di Nostra Signora con ciascuno dei suoi devoti, che San Luigi Maria chiama "schiavi”, ci sono punti non ancora interamente chiariti. Eppure si tratta di qualche cosa di molto più semplice dei divini misteri dell’unione di Maria con Gesù.Se sono misteri, nessuna spiegazione li esaurisce. Possiamo dire però che la contemplazione del mistero dell’Incarnazione ci aiuta a combattere due delle principali dottrine della Rivoluzione: il panteismo e il soggettivismo.
Secondo il panteismo, tutto è uno e tutto è buono; una cosa non si distingue essenzialmente da un’altra. Tutte le creature formano una sola grande persona cosmica e collettiva. Il soggettivismo afferma che ogni persona umana è assolutamente autonoma e non ha veramente bisogno di essere unita ad altre.
La Chiesa Cattolica condanna entrambi questi errori. Afferma che ogni persona è autonoma e distinta in quanto individuo, ma che l’apertura agli altri è costitutiva e necessaria. La teologia e la filosofia spiegano come per approfondire la nozione di persona ultimamente è necessario considerare la sua relazione con Dio.
Quando la relazione di Gesù Cristo con Nostra Signora nell’Incarnazione sarà meglio compresa, si comprenderà qualcosa di più anche le pagine più misteriose dell’"Apocalisse”. È del tutto lecito pregare e sperare che un giorno sorga una nuova alba in cui gli orizzonti della teologia possano espandersi e I legami fra molti misteri, per quanto umanamente possibili, possano chiarirsi.San Luigi Maria afferma che il mistero dell’Incarnazione contiene tutti gli altri. Sappiamo che ogni giorno di festa della Chiesa porta con sé una grazia speciale. Nella giornata di oggi la prima misteriosa unione di Nostro Signore con Nostra Signore viene a noi, per così dire, con un profumo speciale.
Dobbiamo affidarci con speciale forza alla Madonna in questo giorno di festa, e chiederLe la grazia di diventare i suoi umili soggetti e "schiavi”, come fece lo stesso Bambino Gesù quando viveva nel suo seno.


Il Papa: la salvezza è un dono da ricevere con cuore umile, come ha fatto Maria





Il Signore è in cammino con noi per ammorbidire il nostro cuore. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Nell’odierna Solennità dell’Annunciazione, il Papa ha dunque sottolineato che solo con un cuore umile come quello di Maria possiamo avvicinarci a Dio. La salvezza, ha poi osservato, non si compra e non si vende: si regala. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Dove porta la superbia del cuore? Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi su Adamo ed Eva che, cedendo alla seduzione di Satana, hanno creduto di essere come Dio. Quella "superbia sufficiente” fa sì che siano allontanati dal Paradiso. Ma il Signore non li lascia camminare da soli, fa loro una promessa di redenzione e cammina con loro. "Il Signore – ha detto ancora il Papa – accompagnò l’umanità in questo lungo cammino. Ha fatto un popolo. Era con loro”. E quel "cammino che è incominciato con una disobbedienza”, "finisce con una obbedienza”, con il sì di Maria all’Annuncio dell’angelo. "Il nodo che ha fatto Eva con la sua disobbedienza – ha detto richiamando Sant’Ireneo di Lione – lo ha sciolto Maria con la sua obbedienza”. E’ un cammino, ha soggiunto, "nel quale le meraviglie di Dio si moltiplicano”:

"Il Signore è in cammino con il suo popolo. E perché camminava con il suo popolo, con tanta tenerezza? Per ammorbidire il nostro cuore. Esplicitamente lo dice, Lui: ‘Io farò del tuo cuore di pietra un cuore di carne’. Ammorbidire il nostro cuore per ricevere quella promessa che aveva fatto nel Paradiso. Per un uomo è entrato il peccato, per un altro uomo viene la salvezza. E questo cammino tanto lungo aiutò tutti noi ad avere un cuore più umano, più vicino a Dio, non tanto superbo, non tanto sufficiente”.

E oggi, ha proseguito, la liturgia ci parla "di questa tappa nel cammino di restaurazione”, "ci parla di obbedienza, di docilità alla Parola di Dio”: 

"La salvezza non si compra, non si vende: si regala. E’ gratuita. Noi non possiamo salvarci da noi stessi: la salvezza è un regalo, totalmente gratuito. Non si compra con il sangue né di tori né di capre: non si può comprare. Soltanto, per entrare in noi questa salvezza chiede un cuore umile, un cuore docile, un cuore obbediente. Come quello di Maria. E, il modello di questo cammino di salvezza è lo stesso Dio, suo figlio, che non stimò un bene irrinunciabile essere uguale a Dio. Paolo lo dice”.

Il Papa ha messo l’accento sul "cammino dell’umiltà, dell’umiliazione”. Questo, ha detto, "significa semplicemente dire: io sono uomo, io sono donna e Tu sei Dio, e andare davanti, alla presenza di Dio”, "nella obbedienza, nella docilità del cuore”. E per questo, ha esortato nella Solennità dell’Annunciazione, "facciamo festa: la festa di questo cammino, da una madre a un’altra madre, da un padre a un altro padre”: 

"Oggi, possiamo abbracciare il Padre che, grazie al sangue del suo Figlio, si è fatto come uno di noi, ci salva. Questo Padre che ci aspetta tutti i giorni… Guardiamo l’icona di Eva e di Adamo, guardiamo l’icona di Maria e Gesù, guardiamo il cammino della Storia con Dio che camminava con il suo popolo. E diciamo: ‘Grazie. Grazie, Signore, perché oggi Tu dici a noi che ci hai regalato la salvezza’. Oggi è un giorno per rendere grazie al Signore”.



25/03/2014 fonte : Radio Vaticana 

C'è chi vuole "aggiornare" la dottrina sulla famiglia

di Matteo Matzuzzi


L'obiettivo dei prossimi due Sinodi sulla famiglia (ottobre 2014 e 2015) lo ha spiegato direttamente colui che del Sinodo è (dallo scorso settembre) segretario generale, il neocardinale Lorenzo Baldisseri. L'occasione era data dal Convegno internazionale su "Giovanni Paolo: il Papa della famiglia" organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in collaborazione con i Cavalieri di Colombo, che si è tenuto a Roma il 20 e 21 marzo. Intervenuto nell'ultima sessione riservata ai delegati delle conferenze episcopali europee, il cardinale Baldisseri ha poi rilasciato una breve intervista alla Radio Vaticana. Premesso che «l'iniziativa di trattare il tema della famiglia, quindi anche del matrimonio, è stato un momento importantissimo per la chiesa, stabilito da Papa Giovanni Paolo II», è venuto il tempo di andare oltre, dice sostanzialmente il porporato. In che modo? «Oggi naturalmente sono passati molti anni da quella famosa enciclica, la Familiaris Consortio (che in realtà è un'esortazione apostolica, ndr), e Papa Francesco ritiene che sia opportuno riprendere questo grande tema alla luce del Vangelo e in più, con i tempi mutati, dare uno sguardo che possa essere di attualizzazione della Dottrina della chiesa». E questo perché – ha aggiunto il segretario generale del Sinodo dei vescovi – «molti temi, molti problemi, molte situazioni sono mutate da quel tempo, per cui la chiesa deve essere capace di rispondere alle sfide».

La posizione, dunque, è chiara: attualizzare la dottrina e aggiornare la Familiaris Consortio perché non rispondente più a quelle problematiche "inedite" che si sono affermate nell'ultimo trentennio. Su tutte, la questione del genere e delle unioni tra persone dello stesso sesso. Una prospettiva, quella illustrata dal cardinale Baldisseri, che si pone sulla scia di quanto scritto e dichiarato nelle recenti e numerose interviste dal cardinale Walter Kasper, il teologo cui Francesco aveva chiesto di tenere la relazione concistoriale sulla famiglia, e che già a gennaio era stata fatta propria in un'intervista a un quotidiano tedesco dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, ascoltatissimo coordinatore del gruppo di otto porporati che studia la riforma della curia.

Ma il segretario generale del Sinodo va oltre, perché se Kasper ha ribadito che in discussione non c'è la dottrina, quanto piuttosto la prassi da adottare caso per caso a seconda delle circostanze concrete e particolari con cui ci si trova a dover fare i conti, Baldisseri parla di necessità di attualizzare la dottrina. Una prospettiva, questa, che era già stata respinta con forza dal cardinale Carlo Caffarra: «L’immagine quindi di una Familiaris Consortio che appartiene al passato, che non ha più nulla da dire al presente, è caricaturale. Oppure è una considerazione fatta da persone che non l’hanno letta», aveva detto una settimana fa al Foglio. Il problema, per Caffarra, non sta tanto nel parlare di adeguamento o accomodamento dell'insegnamento cristiano al tempo d'oggi, quanto nel ribadire che c'è una verità che deve fungere da bussola. Concetto che l'arcivescovo di Bologna ha ripetuto anche nell'intervento pronunciato al convegno su Giovanni Paolo II chiuso proprio da Baldisseri: «La nostra ragione è talmente indebolita che sentendo parlare di verità, pensa subito ad opinioni circa il matrimonio, ad una qualche teoria della famiglia. Opinioni alla quali si contrappongono altre opinioni; teorie contestate con altre teorie. E così è accaduto nel mondo di oggi. Il risultato non poteva che essere la convinzione che non esiste alcuna verità circa il matrimonio», ha detto il cardinale Caffarra.

Sul tema è intervenuto nuovamente anche il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Presente a Capua per presentare il sesto volume dell'opera omnia di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI e per ritirare il premio assegnatogli dall'associazione "Tu es Petrus", il porporato tedesco ha espresso ben più di una riserva quando sente «cardinali che vanno in giro parlando di tante cose». Il tema in oggetto era quello della concessione della comunione ai divorziati risposati e pur senza mai nominare Walter Kasper, Müller ha ricordato che seguire la prassi ortodossa e quindi autorizzare il riaccostamento sacramentale a chi ha dato vita a una seconda unione «significherebbe tradire la volontà e la parola del Signore» e proprio per questo «non possono essere riconosciute». Una chiusura netta, quella del prefetto già vescovo di Ratisbona, che si colloca sulla scia di quanto da egli stesso già dichiarato in altre circostanze, a partire dal lungo articolo pubblicato il 22 ottobre scorso sull'Osservatore Romano. In ballo c'è quel falso concetto di misericordia "slegato dalla verità" contro cui s'è scagliato anche il cardinale conservatore Raymond Leo Burke, intervenendo qualche giorno fa alla Catholic University of America di Washington. Sulla stessa linea, benché con maggiore prudenza, sembra essersi inserito anche il cardinale Sean O'Malley, arcivescovo di Boston che pure può vantare un solido e stretto rapporto di collaborazione con Francesco. Certo, ha detto O'Malley, «si cercherà di aiutare chi ha sperimentato il fallimento del matrimonio», ma «la Chiesa non muterà il suo insegnamento sull'indissolubilità del matrimonio». Già lo scorso febbraio, intervistato da John Allen per il Boston Globe, l'arcivescovo della capitale del Massachusetts si era mostrato refrattario a cambiamenti in materia: «Non vedo alcuna giustificazione teologica per mutare l'atteggiamento della Chiesa sulla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti».

25/03/2014 fonte : La nuova bussola quotidiana

Il Papa: cristiani e musulmani lavorino insieme alla pace e al bene comune





Lo sviluppo integrale delle persone e della società ha bisogno che i credenti in Cristo e i seguaci dell’islam sappiano "lavorare insieme alla pace e al bene comune”. Lo scrive Papa Francesco in occasione dell’ottavo incontro di preghiera islamo-cristiano organizzato nel pomeriggio di oggi nella località libanese di Jamhour. A promuoverlo, nella locale chiesa di Notre-Dame, è l'Associazione degli ex-allievi del Collegio dell’Università San Giuseppe e del Collegio di Jamhour. Il servizio di Alessandro De Carolis:

In Libano, il giorno dell'Annunciazione di Maria da quattro anni è festa nazionale. E da otto ai piedi della Vergine di Notre Dame di Jamhour si riuniscono insieme in preghiera cattolici e musulmani. Una esperienza che "rallegra” Papa Francesco, scrive il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, in un messaggio inviato a nome del Papa ai partecipanti all’incontro islamo-cattolico. "Il Papa – prosegue il messaggio – vi incoraggia, cristiani e musulmani, a lavorare insieme alla pace ed al bene comune, contribuendo così allo sviluppo integrale delle persone e all’edificazione della società”.

Del resto – ha spiegato padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, intervenuto oggi pomeriggio all’incontro – "il dialogo è una comunicazione biunivoca” e consiste "nel parlare ed ascoltare, nel dare e ricevere in vista di uno sviluppo e di un arricchimento reciproco”. Dialogare, ha proseguito, si fonda "sulla testimonianza della propria fede e su un’apertura alla religione dell’altro” e ciò non significa, ha sottolineato, "tradire la missione della Chiesa” né dare spazio a "un nuovo metodo di conversione al cristianesimo”, bensì si tratta di un dialogo interreligioso fondato su quattro basi: vita, opere, scambi teologici ed esperienze religiose. In sintonia con Papa Francesco, padre Ayuso ha poi messo in luce la comune devozione di cristiani e musulmani alla Vergine Maria, "menzionata più volte nel Corano”. Lei, ha detto, è un "modello di dialogo perché insegna a credere, a non fermarsi su certezze acquisite, ma ad aprirsi agli altri ed a rimanere disponibili”. E tale vincolo di devozione, ha osservato padre Ayuso, crea "sentimenti di amicizia” e può "incoraggiare la collaborazione, la solidarietà” tra le due comunità, insieme con il "riconoscimento reciproco come figli di un unico Dio, appartenenti alla medesima famiglia umana”.

Dunque, ha concluso il rappresentante vaticano, è "con stima che la Chiesa si rivolge ai credenti dell’islam” e al di là delle "differenze teologiche notevoli” tra le due religioni, proprio "la venerazione condivisa per Maria può costituire un terreno favorevole alla coabitazione tra le due comunità”.






25/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

Presentato l'Incontro mondiale delle famiglie del 2015 a Philadelphia





Occorre accompagnare la famiglia, oggi disprezzata e maltrattata, con una pastorale intelligente, coraggiosa e piena di amore così come indicato dal Papa. Lo ha detto il presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia mons. Vincenzo Paglia presentando questa mattina in Sala Stampa Vaticana l’ottavo Incontro mondiale delle famiglie, in programma dal 22 al 27 settembre 2015 a Philadelphia, negli Stati Uniti. Presenti anche l’arcivescovo mons. Charles Joseph Chaput. Ribadito l’invito alle istituzioni, religiose e civili, a lavorare insieme per assicurare un futuro migliore alle famiglie. Paolo Ondarza:RealAudioMP3 

L’auspicio di mons. Paglia è che a Philadelphia le campane annuncino una nuova primavera della famiglia: non sarà un incontro aperto al solo mondo cattolico perché la famiglia – spiega – è un tema universale, ecco perché saranno invitate le altre chiese, le altre religioni e tutti gli uomini di buona volontà: 

"La riflessione sulla famiglia possa tornare al centro dell’attenzione: della Chiesa, delle altre Chiese cristiane, delle grandi religioni mondiali come anche delle istituzioni".

Sulla stessa linea l’arcivescovo mons. Chaput. A Phildelphia – dice – la Chiesa si porrà in ascolto dell’umanità:

"We’ve really to do with reality…
Dobbiamo guardare alla realtà. Credo che ognuno di noi ha qualcuno in famiglia che ha divorziato e magari si è risposato, oppure vive un’unione omosessuale Non ci incentreremo su questi problemi, ma certamente vogliamo che ognuno abbia la possibilità di parlare”. 

Dall’arcivescovo di Philadelphia l’auspicio che il Papa possa partecipare all’Incontro mondiale, quindi mons. Chaput presenta la sua città: una delle più grandi degli Usa, icona cattolica, ma anche fotografia della Chiesa a livello mondiale, bisognosa di rinnovamento a seguito della crisi degli abusi sessuali dello scorso decennio: 

"We have the duty to help abuse victims and their families to heal…
Abbiamo il dovere di aiutare le vittime di abusi e le loro famiglie a guarire, e di proteggere i bambini e i giovani dai danni negli anni a venire”. 

Mons. Chaput ricorda con emozione la prossima canonizzazione di Giovanni Paolo II, Papa della famiglia e promotore di questi incontri mondiali. Quindi, sollecitato dai giornalisti, guarda con fiducia alla visita di Obama da Papa Francesco:

"We hope it will be a very fruitful meeting for the good of the world…
Speriamo sia un incontro proficuo per il bene del mondo. Ogni qual volta la Chiesa incontra la politica, è un momento importante per il dialogo, il dibattito e l’impegno per il bene comune delle persone”.



25/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 17/03/2014 San Patrizio Vescovo



San Patrizio è il patrono e l’apostolo dell’Isola Verde e la sua opera diede tanto frutto; infatti in Irlanda la predicazione del Vangelo non ha avuto nessun martire, sebbene i nativi fossero forti guerrieri e i suoi abitanti sono da sempre fierissimi cristiani.
Patrizio nacque nella Britannia Romana nel 385 ca. da genitori cristiani appartenenti alla società romanizzata della provincia.
Il padre Calpurnio era diacono della comunità di Bannhaven Taberniae, loro città d’origine e possedeva anche un podere nei dintorni.
Il giovane Patrizio trascorse la sua fanciullezza e l’adolescenza in serenità, ricevendo un’educazione abbastanza elevata; a 16 anni villeggiando nel podere del padre, venne fatto prigioniero insieme a migliaia di vittime dai pirati irlandesi e trasferito sulle coste nordiche dell’isola, qui fu venduto come schiavo.
Il padrone gli affidò il pascolo delle pecore; la vita grama, la libertà persa, il ritrovarsi in terra straniera fra gente che parlava una lingua che non capiva, la solitudine con le bestie, resero a Patrizio lo stare in questa terra verde e bellissima, molto spiacevole, per cui tentò ben due volte la fuga ma inutilmente.
Dopo sei anni di servitù, aveva man mano conosciuto i costumi dei suoi padroni, imparandone la lingua e così si rendeva conto che gli irlandesi non erano così rozzi come era sembrato all’inizio.
Avevano un organizzazione tribale che si rivelava qualcosa di nobile e i rapporti tra le famiglie e le tribù erano densi di rispetto reciproco.
Certo non erano cristiani e adoravano ancora gli idoli, ma cosa poteva fare lui che era ancora uno schiavo; quindi era sempre più convinto che doveva fuggire e il terzo tentativo questa volta riuscì.
Si imbarcò su una nave in partenza con il permesso del capitano e dopo tre giorni di navigazione sbarcò su una costa deserta della Gallia, era la primavera del 407, l’equipaggio e lui camminarono per 28 giorni durante i quali le scorte finirono, allora gli uomini che erano pagani, spinsero Patrizio a pregare il suo Dio per tutti loro; il giovane acconsentì e dopo un poco comparve un gruppo di maiali, con cui si sfamarono.
Qui i biografi non narrano come lasciò la Gallia e raggiunse i suoi; ritornato in famiglia Patrizio sognò che gli irlandesi lo chiamavano, interpretò ciò come una vocazione all’apostolato fra quelle tribù ancora pagane e avendo ricevuto esperienze mistiche, decise di farsi chierico e di convertire gl'irlandesi.
Si recò di nuovo in Gallia (Francia) presso il santo vescovo di Auxerre Germano, per continuare gli studi, terminati i quali fu ordinato diacono; la sua aspirazione era di recarsi in Irlanda ma i suoi superiori non erano convinti delle sue qualità perché poco colto.
Nel 431 in Irlanda fu mandato il vescovo Palladio da papa Celestino I, con l’incarico di organizzare una diocesi per quanti già convertiti al cristianesimo. 
Patrizio nel frattempo completati gli studi, si ritirò per un periodo nel famoso monastero di Lérins di fronte alla Provenza, per assimilare con tutta la sua volontà la vita monastica, convinto che con questo carisma poteva impiantare la Chiesa tra i popoli celti e scoti, come erano chiamati allora gli irlandesi.
Con lo stesso scopo si recò in Italia nelle isole di fronte alla Toscana, per visitare i piccoli monasteri e capire che metodo fosse usato dai monaci per convertire gli abitanti delle isole.
Non è certo che abbia incontrato il papa a Roma, comunque secondo recenti studi, Patrizio fu consacrato vescovo e nominato successore di Palladio intorno al 460, finora gli antichi testi dicevano nel 432, in tal caso Palladio primo vescovo d’Irlanda avrebbe operato un solo anno, invece è più probabile che sia arrivato nell’isola intorno al 432 e confuso dai cronisti con Patrizio, perché il cognome di Palladio o il suo secondo nome, era appunto Patrizio.
Il metodo di evangelizzazione fu adatto ed efficace, gli irlandesi (celti e scoti) erano raggruppati in un gran numero di tribù che formavano piccoli stati sovrani (tuatha), quindi occorreva il favore del re di ogni singolo territorio, per avere il permesso di predicare e la protezione nei viaggi missionari.
Per questo scopo Patrizio faceva molti doni ai personaggi della stirpe reale ed anche ai dignitari che l’accompagnavano. Il denaro era in buona parte suo, che attingeva dalla vendita dei poderi paterni che aveva ereditato, non chiedendo niente ai suoi fedeli convertiti per evitare rimproveri d’avarizia.
La conversione dei re e dei nobili a cui mirava per primo Patrizio, portava di conseguenza alla conversione dei sudditi. Introdusse in Irlanda il monachesimo che di recente era sorto in Occidente e un gran numero di giovani aderirono con entusiasmo facendo fiorire conventi di monaci e vergini.
Certo non tutto fu facile, le persone più anziane erano restie a lasciare il paganesimo e inoltre Patrizio e i suoi discepoli dovettero subire l’avversione dei druidi (casta sacerdotale pagana degli antichi popoli celtici, che praticavano i riti nelle foreste, anche con sacrifici umani), i quali lo perseguitarono tendendogli imboscate e una volta lo fecero prigioniero per 15 giorni.
Patrizio nella sua opera apostolica ed organizzativa della Chiesa, stabilì delle diocesi territoriali con vescovi dotati di piena giurisdizione, i territori diocesani in genere corrispondevano a quelli delle singole tribù.
Non essendoci città come nell’impero romano, Patrizio seguendo l’esempio di altri santi missionari dell’epoca, istituì nelle sue cattedrali Capitoli organizzati in modo monastico come centri pastorali della zona (Sinodo).
Predicò in modo itinerante per alcuni anni, sforzandosi di formare un clero locale, infatti le ordinazioni sacerdotali furono numerose e fra questi non pochi discepoli divennero vescovi.
Secondo gli "Annali d’Ulster” nel 444, Patrizio fondò la sua sede ad Armagh nella contea che oggi porta il suo nome; evangelizzò soprattutto il Nord e il Nord-Ovest dell’Irlanda, nel resto dell’Isola ebbe dal 439 l’aiuto di altri tre vescovi continentali, Secondino, Ausilio e Isernino, la cui venuta non è tanto chiaro se per aiuto a Patrizio o indipendentemente da lui e poi uniti nella collaborazione reciproca.
Benché il santo vescovo vivesse per carità di Cristo fra ‘stranieri e barbari’ da anni, in cuor suo si sentì sempre romano con il desiderio di rivedere la sua patria Britannia e quella spirituale la Gallia; ma la sua vocazione missionaria non gli permise mai di lasciare la Chiesa d’Irlanda che Dio gli aveva affidato, in quella che fu la terra della sua schiavitù.
Patrizio ebbe vita difficile con gli eretici pelagiani, che per ostacolare la sua opera ricorsero anche alla calunnia, egli per discolparsi scrisse una "Confessione” chiarendo che il suo lavoro missionario era volere di Dio e che la sua avversione al pelagianesimo scaturiva dall’assoluto valore teologico che egli attribuiva alla Grazia; dichiarandosi inoltre ‘peccatore rusticissimo’ ma convertito per grazia divina.
L’infaticabile apostolo concluse la sua vita nel 461 nell’Ulster a Down, che prenderà poi il nome di Downpatrick.
Durante il secolo VIII il santo vescovo fu riconosciuto come apostolo nazionale dell’Irlanda intera e la sua festa al 17 marzo, è ricordata per la prima volta nella ‘Vita’ di s. Geltrude di Nivelles del VII secolo.
Intorno al 650, s. Furseo portò alcune reliquie di s. Patrizio a Péronne in Francia da dove il culto si diffuse in varie regioni d’Europa; in tempi moderni il suo culto fu introdotto in America e in Australia dagli emigranti cattolici irlandesi.


Il Papa ai vescovi di Timor Est: c’è un mondo di “feriti”, scaldate i cuori col Vangelo





Siate "coscienza critica della nazione”, annunciate il Vangelo della misericordia e fate in modo che questo annuncio sia comprensibile nelle "lingue locali”. Sono i tre punti che Papa Francesco ha affidato all’impegno pastorale dei vescovi di Timor Est, ricevuti questa mattina in visita ad Limina. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Cinquecento anni di Vangelo sono una lunga storia di fede e, in un continente come l’Asia dove la Chiesa è generalmente fatta di comunità esigue, il 97% di battezzati che popola l’isola di Timor Est rappresenta in modo rotondo i "frutti” dei semi piantati secoli fa. Ma anche la piccola isola confinante con l’Indonesia non è impermeabile a quelle che Papa Francesco definisce "dolorose sorprese”, emerse negli ultimi anni nel tessuto della società timorense. Il processo di costruzione di una nazione "libera, solidale e giusta per tutti”, messo in moto dopo il sanguinoso conflitto alla fine degli anni Novanta, ha più volte indotto la Chiesa locale "a ricordare – constata il Papa – le basi necessarie di una società che intende essere degna dell’uomo e del suo destino trascendente”. Un’attenzione che non può in nessun modo calare e, rivolto ai vescovi, Papa Francesco si dice sul punto "certo che voi, con i sacerdoti, continuerete a svolgere la funzione di coscienza critica della nazione, mantenendo a tal fine la dovuta indipendenza dal potere politico in una collaborazione equidistante che lasci ad esso la responsabilità di occuparsi del bene comune della società e di promuoverlo”.

Sul versante interno alla Chiesa, il Papa invita a un "raddoppiato sforzo di evangelizzazione”, da esprimere – sottolinea – con la lingua della "misericordia”. Senza di essa, afferma Papa Francesco "noi oggi abbiamo poche possibilità d’inserirci in un mondo di ‘feriti’, che ha bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. È la realizzazione pratica della "rivoluzione della tenerezza”, invocata nell’Evangelii Gaudium. Ma chi evangelizza e come? Il Papa risponde a queste domande indicando la strada di una "solida formazione” per sacerdoti, religiosi e laici. E tuttavia, osserva, "non si pretende un’evangelizzazione realizzata solo da agenti qualificati”, perché, sostiene, "se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù”.

Altro punto fondamentale è "il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo”. "Se, nei vari contesti culturali di Timor Est – afferma Papa Francesco – la fede e l’evangelizzazione non sono capaci di dire Dio, di annunciare la vittoria di Cristo sul dramma della condizione umana, di aprire spazi per lo Spirito rinnovatore, è perché non sono sufficientemente vive nei fedeli cristiani, che hanno bisogno di un cammino di formazione e di maturazione”. Dunque, "tutto ciò comporta – nota il Papa – una serie di sfide per permettere una più facile comprensione della Parola di Dio e una migliore ricezione dei Sacramenti. Ma una sfida – spiega – non è una minaccia. La coscienza missionaria oggi presuppone che si possiedano il valore umile del dialogo e la convinzione ferma di presentare una proposta di pienezza umana nel nostro contesto culturale”. L’ultima riflessione è per i vescovi di Timor Est: "Siate uomini capaci di sostenere, con amore e pazienza, i passi di Dio nel suo popolo e valorizzate tutto ciò che lo mantiene unito, mettendo in guardia contro eventuali pericoli, ma soprattutto facendo crescere la speranza: che ci siano – è l’augurio di Papa Francesco – sole e luce nei cuori”.



17/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

E' nell'ostia la forza del matrimonio

di Maria Gloria Riva

Il dibattito accesosi attorno alla questione dei divorziati risposati e del loro non poter accostarsi all'Eucarestia, ha messo in evidenza - come ampiamente documentato da La Nuova BQ - che molti cattolici e anche importanti fette dell'episcopato non solo hanno perso il significato del valore sacramentale del matrimonio, e quindi il suo carattere di indissolubilità, ma anche quello dell'Eucarestia. La riduzione della Comunione a un diritto e la pratica ormai diffusa in Europa di accostarsi alla Comunione anche in stato di peccato grave e senza sentire il bisogno di confessarsi, ne sono una lampante dimostrazione. Per questo abbiamo pensato di proporre un itinerario che aiuti a recuperare il significato dell'Eucarestia, affidandolo a una firma ben nota ai nostri lettori che è anche suora adoratrice del Santissimo Sacramento. Suor Maria Gloria Riva ripercorrerà la storia di alcuni miracoli eucaristici per introdurci al Mistero, con tutte le sue implicazioni. Si comincia proprio dal rapporto tra Eucarestia e fedeltà matrimoniale e dal miracolo di Santarem.

L’Eucaristia è il sacramento della fedeltà. Nel rito del matrimonio, che i due sposi compiono quali ministri, la domanda che viene rivolta loro non è: «Sei tu innamorato o innamorata di…», bensì: «Vuoi tu la o il qui presente ecc..! » Il matrimonio cattolico esprime la volontà di unirsi e di stringere, grazie alla Presenza di Cristo, un’alleanza perenne che il Sacramento dell’Eucaristia certifica e rinsalda.

Lo testimonia un miracolo Eucaristico fra i meno noti, ma di grande interesse. Siamo a Santarem, in Portogallo, tra il 1246 e il 1247. La storia è una tra le molte. Una giovane sposa è tormentata dall’infedeltà del marito. Nell’estremo tentativo di riconquistare l’amore di lui, si rivolge a una fattucchiera. Sembrerebbe un gesto d’altri tempi mentre invece è, ahimè, triste realtà quotidiana anche nel supertecnologico anno 2014. La maga assicura la riuscita della pozione a patto che questa donna si procuri un’ostia consacrata. Il filtro d’amore allora sarebbe stato efficacissimo.

Pur conoscendo l’aspetto sacrilego del gesto, la sposa si recò nella sua parrocchia, dedicata a Santo Stefano, e si comunicò nascondendo però furtivamente l’Eucaristia in un fazzoletto.
Una volta uscita si diresse velocemente verso casa, ma alcune persone la fermarono chiedendole se si fosse ferita perché vistose gocce di sangue segnavano il suo cammino. La donna capì all’istante da dove venisse il sangue e col fiato in gola corse a casa, nascondendo rapidamente la particola - avvolta in un panno - dentro a un baule di cedro.

Tutto parve tornare alla normalità senonché, nella notte, dopo che il marito era rientrato dal lavoro, avevano cenato e si erano coricati, accadde qualcosa di misterioso. I due sposi furono svegliati da un bagliore di luce che proveniva dal baule della camera.

La giovane fu costretta allora a raccontare al marito l’accaduto e, aperto il baule, rimasero entrambi tutta la notte in adorazione di quell’ostia, sanguinante e luminosa.

La leggenda racconta che godettero anche della visione di angeli che adoravano con loro il Mistero. Vero o no, certo è che il mattino si sparse ovunque la notizia del miracolo e l’ostia per intervento del Parroco fu solennemente riportata in Chiesa. La sanguinazione della particola continuò per vari giorni sotto gli occhi di tutti.

I due sposi si riconciliarono e ritrovarono, grazie a quella Presenza efficace, l’unità e l’amore perduto. La fattucchiera di Santarem, suo malgrado, disse alla giovane donna una grande verità: davvero l’Eucaristia è un cibo potente capace di far tornare l’uomo alla fedeltà e all’amore originario. Di fatto i due sposi di Santarém risolsero il loro problema familiare grazie alla presenza viva e operante di Cristo che li riconciliò con Dio e fra di loro.

Oggi l’Eucaristia, come del resto i sacramenti in generale, vengono recepiti come un diritto da parte dei cristiani, mentre sono un dono da meritare. Sono un mezzo potente per rendere più certo e sicuro il cammino verso la santità. Per questo il problema della comunione ai divorziati tocca molteplici aspetti e non semplicemente quello dell’indissolubilità del matrimonio. Tocca, ad esempio, il problema fondamentale della fede e dell’educazione alla fede.

L’Eucaristia è un cibo che conserva l’anima -come il sale conserva il cibo -, nella condizione in cui lo trova. Se il cibo è guasto il sale aumenta il processo di putrefazione, così se l’anima è malata l’Eucaristia è sacrilega. La comunione sacrilega della donna di Santarem fece sanguinare il  cuore di Cristo, ma la luce di quel sangue versato anche per le infedeltà coniugali, ricompose il matrimonio educando i due alla verità del Mistero.

17/03/2014 fonte : La nuova bussola quotidiana

Ascoltare Dio per nutrire la propria fede: il richiamo del Papa nella parrocchia di Santa Maria dell'Orazione





Il primo compito di ogni cristiano è nutrire la propria fede. Questa la raccomandazione del Papa nella Messa celebrata domenica pomeriggio nella Chiesa di Santa Maria dell’Orazione di Setteville di Guidonia, parrocchia alla periferia nord-est della capitale, la quinta visitata da Papa Francesco in questo suo primo anno di Pontificato. Nel corso della visita il Pontefice ha incontrato anziani, disabili e le comunità neocatecumenali. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Si deve ascoltare Gesù per rendere più forte la fede, e guardare Gesù per preparare gli occhi alla bella visione del suo volto. Il Papa, nel giorno del Vangelo della Trasfigurazione, ricorda ai fedeli, assiepati nella parrocchia di Guidonia, il primo compito del cristiano:

"Quali sono i compiti del cristiano? Forse mi direte: andare a Messa le domeniche; fare digiuno e astinenza nella Settimana Santa; fare questo… Ma il primo compito del cristiano è ascoltare la Parola di Dio, ascoltare Gesù, perché Lui ci parla e Lui ci salva con la sua Parola. E anche Lui fa più robusta, più forte la nostra fede, con quella Parola. Ascoltare Gesù! 'Ma, Padre, io ascolto Gesù, lo ascolto tanto!”. "Sì? Cosa ascolti?'. 'Ma ascolto la radio, ascolto la televisione, ascolto le chiacchiere delle persone…'. Tante cose ascoltiamo noi durante la giornata, tante cose… Ma vi faccio una domanda: prendiamo un po’ di tempo, ogni giorno, per ascoltare Gesù, per ascoltare la Parola di Gesù?".

La parola di Gesù è il pasto più forte per l’anima, spiega il Papa, ed ecco quindi che, così come detto precedentemente all’Angelus, Francesco suggerisce come nutrire la fede ogni giorno: portando un Vangelo sempre con sé, come facevano i primi martiri, come faceva Santa Cecilia, dice. Leggere quotidianamente un brano del Vangelo permette di far entrare la parola di Gesù nel cuore e rende più forti nella fede:

"Vi suggerisco di avere un piccolo Vangelo, piccolino, da portare in tasca, nella borsa e quando abbiamo un po’ di tempo, forse nel bus…quando si può nel bus, perché tante volte nel bus siamo costretti a mantenere l’equilibrio e anche a difendere le tasche, no? Sempre… Ma quando tu sei seduto, qui o là, leggere anche durante la giornata, prendere il Vangelo e leggere due paroline. Il Vangelo sempre con noi!".

Il Papa passa poi alla seconda delle due grazie chieste nell’orazione: la grazia della purificazione degli occhi, degli occhi del nostro spirito, per prepararli alla vita eterna:

"Io sono invitato ad ascoltare Gesù e Gesù si manifesta e con la sua Trasfigurazione ci invita a guardarLo. E guardare Gesù purifica i nostri occhi e li prepara alla vita eterna, alla visione del Cielo. Forse i nostri occhi sono un po’ ammalati perché vediamo tante cose che non sono di Gesù, sono anche contro Gesù: cose mondane, cose che non fanno bene alla luce dell’anima. E così questa luce si spegne lentamente e senza saperlo finiamo nel buio interiore, nel buio spirituale, nel buio della fede: un buio perché non siamo abituati a guardare, immaginare le cose di Gesù".

Ascoltare Gesù e guardare Gesù, è l’insegnamento che si chiede al Padre, e a conclusione dell’omelia il Papa invita di nuovo a leggere il Vangelo, immaginando e guardando "come era Gesù e come faceva le cose”. E’ così che intelligenza e cuore procedono nel cammino della speranza.

In particolare, il Papa si è intrattenuto a lungo con le sei comunità neocatecumenali della parrocchia. "Mi piace molto la parola 'cammino' - ha detto loro - perchè il cristiano che non cammina si corrompe. Camminare, come Abramo. Quando riceve la parola del Signore e non sa dove deve andare... non ha un biglietto del treno. Va, si fida del Signore. A chi non cammina - ha osservato il Papa - succede come l’acqua stagnante, che si corrompe". Ha chi cammina poi, Papa Francesco ha indicato 'due pericoli' e una 'trappola'. Il primo pericolo: fermarsi lungo il cammino. Si giunge a una bella villa e si dice: "Io mi fermo qui”, sto comodo e mi basta questo. L’altro pericolo è quello di andare fuori strada: succede ogni volta che pecchiamo. La 'trappola' è il terzo rischio: si pensa di camminare, ma in realtà stiamo 'girovagando', facciamo turismo, ma non camminiamo. Non abbiamo una meta, non andiamo da nessuna parte. "Siamo in Quaresima: è importante il cammino, il cammino verso la Pasqua". Infine la raccomandazione del Papa: "Non abbiate paura. Andate avanti!".

A conclusione della visita, Papa Francesco si è affacciato dalla terrazza della parrocchia per un saluto ai numerosi fedeli raccolti nel piazzale antistante. Il Papa li ha ringraziati per l’entusiasmo, e a tutti loro ha chiesto di pregare per lui, affinché possa essere un buon vescovo e per evitare di fare cose sbagliate.




17/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

Un anno fa, la prima Messa pubblica di Papa Francesco nella parrocchia di Sant'Anna in Vaticano




Un anno fa la prima visita di Papa Francesco ad una parrocchia. Trascorsi quattro giorni dalla sua elezione, il Pontefice ha celebrato la sua prima Messa pubblica a Sant’Anna in Vaticano, saltando ogni protocollo e mettendo persino in difficoltà i servizi di sicurezza. Già allora Papa Francesco ha mostrato di volere il contatto con i fedeli, colpiti dalle sue parole semplici e confidenziali. Al microfono di Tiziana Campisi, il parroco di Sant’Anna, il padre agostiniano Bruno Silvestrini, ricorda cosa è successo il 17 marzo dello scorso anno: 

R. - L’arrivo del Santo Padre nella parrocchia è stata una grande novità: tutto il protocollo è saltato, ed è stato un momento di gioia, come l’incontro tra un padre con i suoi figli.

D. - La prima Messa celebrata da Papa Francesco in una parrocchia – la Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano – è stata un po’ un biglietto da visita al mondo ...

R. - Sì. Posso dire che è stato, innanzitutto, il primo biglietto delle due grandi realtà del Santo Padre. La vicinanza fisica alle persone, quindi il contatto, l’abbracciare, il lasciarsi abbracciare, addirittura lasciarsi baciare! Un gesto inconcepibile, perché il protocollo non prevedeva mai questo aspetto: si baciava la mano al Santo Padre, si veniva benedetti dal Santo Padre, ma mai si poteva posare le mani sulle spalle e addirittura baciare il Santo Padre sulle guancie. Il secondo messaggio è stato il messaggio della misericordia, della bontà, del Dio che ci accoglie così come siamo ed è sempre pronto a perdonare. Posso notare che questa tematica è entrata anche nell’Evangelii Gaudium al numero 3, dove il Santo Padre ripete: "Dio non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua Misericordia”.

D. - Quali tracce indelebili sono rimaste della visita di Papa Francesco nella parrocchia di Sant’Anna?

R. - Quando abbiamo incontrato il Santo Padre, ci chiedeva: "Ma tu chi sei? Che cosa fai?”. Tutti, in parrocchia, ci siamo fatti questa domanda negli incontri successivi, con la necessità di verificare per dare il meglio di noi stessi, aprirci alla Parola del Signore, aprirci all’incontro con Gesù per poi essere portatori di speranza – come ci dice il Papa – nell’incontro con le persone.

D. - In quell’occasione, quali parole le ha rivolto personalmente Papa Francesco?

R. - Più volte, prima dell’ingresso in chiesa, e subito dopo la celebrazione eucaristica, dopo aver terminato il mio discorso nella sagrestia, il Papa chiedeva sempre di pregare per lui. Non potrò mai dimenticare questa sua necessità. Mi chiedeva sempre: ”Preghi per me! Le chiedo questa grazia. Preghi per me!”.

D. - Che cosa è cambiato nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano dopo la visita di Papa Francesco?

R. - Ho avuto centinaia, migliaia di telefonate, di richieste via mail dove mi chiedevano di poter incontrare il Santo Padre, mi chiedevano quando il Papa celebrava la Messa ... Poi la numerosissima presenza di fedeli la domenica. Quando arrivano le celebrazioni delle 10 e delle 11 la chiesa è stracolma perché le persone vogliono andare all’Angelus. Quindi, in un numero molto più elevato di quello degli altri anni vengono alla Messa delle 10 o a quella delle 11. Poi al termine della celebrazione vanno tutti all’Angelus del Santo Padre. Dunque non è più un incontrare il Santo Padre per curiosità: ci siamo accorti che i cristiani, anche quelli lontani, stanno riscoprendo il dono grande della fede.

D. - La prima Messa celebrata in una parrocchia da Papa Francesco è stato un mostrare al mondo un po’ tutto quello che poi è successo durante quest’anno ...

R. - Devo dire che la visita del Santo Padre in questa parrocchia, a quattro giorni dalla sua elezione, ha dato inizio ad uno stile di Pontificato: quello del parlare in maniera semplice, e il sentire che il Santo Padre non è lontano, ma è vicino a tutti.




17/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 11/03/2014 Sant' Eulogio di Cordoba Sacerdote e martire

Sant’Eulogio non è che il più importante fra la folta schiera dei "Martiri di Cordoba”. Numerosissimi cristiani, infatti, testimoniarono la loro fede in Cristo con il supremo sacrificio dell’effusione del loro sangue presso Cordoba, importante città spagnola dell’Andalusia. Strappata ai Visigoti dagli Arabi nel 771, la città raggiunse il suo apogeo culturale nel X secolo, prima di essere riconquistata nel 1236 dal celebre sovrano San Ferdinando III di Castiglia.
Bisogna constatare, ad onor del vero, che i musulmani non si mostrarono sempre feroci persecutori dei cristiani, ai quali solitamente si limitavano ad imporre di non testimoniare pubblicamente la loro fede cristiana e soprattutto di versare periodicamente un cospicuo tributo: se ciò da un punto di vista puramente politico portava a provocare uno spirito d’indipendenza e di autonomia da parte della popolazione indigena, quest’ultima in quanto cristiana non poteva certo tollerare una sorta di ibernazione religiosa. Nacquero così sporadiche reazioni alla dominazione dei mori, che venivano facilmente soffocate con altrettanto sporadiche persecuzioni.
Fu proprio in tale contesto che si collocò il martirio di Eulogio, sacerdote, vescovo eletto di Toledo. Non potendo a qualunque costo accettare o tollerare la passività dei cristiani, egli scrisse e predicò apertamente contro il Corano. Imprigionato una prima volta, venne rilasciato dopo che egli aveva confortato e rianimato i suoi compagni di prigionia con un’efficace "Esortazione ai martiri”. Nominato vescovo di Toledo, non poté neppure essere consacrato e prendere possesso della sua sede: l’11 marzo 859 venne infatti decapitato, in esaudimento del suo grande desiderio.


Padre Lombardi: da Papa Francesco grande impulso per una Chiesa in cammino








Tanti i commenti, in questi giorni, in vista del primo anniversario di Pontificato di Papa Francesco che ricorrerà il 13 marzo prossimo. Un anno intensissimo, che ha suscitato una rinnovata attenzione alle questioni ecclesiali anche dei cosiddetti lontani. Ascoltiamo, in proposito, la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti: 

R. – La cosa principale di questo primo anno è certamente la grande attenzione, la grande attrazione della gente - dico la gente, per dire non solo i cattolici praticanti, ma tutte le persone di questo mondo – la grande attenzione per questo Papa, per il suo messaggio. E’ qualcosa che penso e spero sia radicato molto profondamente nel cuore delle persone, che si sono sentite toccate da una parola di amore, di attenzione, di misericordia, di vicinanza, di prossimità, in cui attraverso l’uomo, il Papa, è l’amore di Dio che arriva. Io ricorderei un certo numero di episodi, che sono rimasti per me particolarmente toccanti nel corso di quest’anno. Naturalmente la prima comparsa alla loggia della Basilica di San Pietro, con tutto quello che ricordiamo e che ha rappresentato, è indimenticabile. Poi, ricordo la lavanda dei piedi ai giovani nel carcere il Giovedì Santo, nel pomeriggio. Ricordo il viaggio a Lampedusa, con la sua grande intensità di vicinanza alle persone più dimenticate e abbandonate e a coloro che sono morti nel viaggio della speranza e del dolore verso un futuro migliore. Ricordo la Giornata mondiale della gioventù a Rio, il grande incontro della gioventù mondiale, in particolare latinoamericana, con il Papa nel loro continente. Ricordo Assisi. Ricordo il documento programmatico – diciamo così – l’Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, in cui abbiamo veramente il cuore del Papa articolato in un modo molto chiaro, molto ampio, come programma del suo Pontificato. E poi il Concistoro del mese di febbraio. Queste tappe ci dicono quanto sia stato intenso quest’anno e quanti aspetti siano stati toccati, quanti incontri siano avvenuti.

D. – Il Papa vuole una Chiesa in uscita, parla di riforme strutturali necessarie. Come sta cambiando la Chiesa?

R. – La Chiesa mi appare veramente come un popolo in cammino. Questa è la cosa più caratteristica: un senso di grande dinamismo. Il Papa ha dato un grande impulso e cammina con una Chiesa che cerca la volontà di Dio, che cerca la sua missione nel mondo di oggi per il bene di tutti, andando veramente verso le periferie, verso i confini del mondo. Il Papa ha parlato spesso dei pastori che sono davanti, dentro, dietro il gregge, per aiutarlo a camminare, a trovare la sua strada. Mi sembra che egli sia veramente così e invita anche tutta la Chiesa ad essere in cammino. C’è un senso forte di dinamismo, che si riscontra in particolare nell’itinerario sinodale, questo lungo cammino di un paio di anni, in cui la Chiesa riflette su un punto centrale dell’esperienza umana e cristiana, che è appunto la famiglia.

D. – Papa Francesco guarda molto ai lontani e scuote molto i vicini...

R. – Certamente, perché Dio guarda tutti. Quindi è riuscito a far capire che l’interesse di Dio, il suo sguardo, è per tutte le sue creature, per tutte le persone del mondo e nessuno è dimenticato. Questo è un punto estremamente importante e non l’ha inventato Papa Francesco evidentemente. E’ riuscito, però, a darne un senso molto forte e tantissime persone lo hanno capito. Manifestazioni di attenzione, quindi, che vengono da sedi, da organi di stampa non abituali, significano che il suo messaggio è arrivato. E naturalmente tutti dobbiamo essere in cammino, quindi anche le persone che magari si sentivano più tranquille o più stabili, stabilizzate nella loro condizione, si sentono coinvolte da questa grande missione. Anche questo ha certamente un aspetto positivo.

D. – Quali immagini significative del primo anno di Pontificato le vengono in mente?

R. – Mi vengono in mente soprattutto le udienze generali del mercoledì: il Papa che passa attraverso la gente, il Papa che saluta, sorride, incontra e in particolare che si sofferma con i malati. Questa sua scelta precisa, che i malati sono i primi che egli saluta dopo avere terminato la sua catechesi, scendendo dal sagrato e andando dove sono loro, mi sembra molto significativo. Ecco, chi soffre e chi è debole ha una priorità nel cuore del Papa e della Chiesa, perché ha una priorità nel Vangelo. 

D. – Che cosa significa essere il portavoce di Papa Francesco?

R. – Mi sembra che sia molto bello il fatto che il protagonista sia il Papa stesso, cioè chi parla e chi interessa la gente con le sue parole, chi colpisce con le sue formulazioni, è lui stesso, non ha bisogno di una particolare mediazione. Questa mi sembra un’esperienza molto positiva. E’ quello che ho sempre anche un po’ desiderato: che il Papa arrivi direttamente senza distanze, senza ostacoli al cuore delle persone con le sue parole. Il portavoce, chiamiamolo così, il direttore della Sala Stampa, dà delle informazioni che, però, sono più informazioni di contorno, di carattere organizzativo, di decisioni che vengono prese e sono anche importanti, ma quella che è la parola del Papa per la gente, per il mondo, per la Chiesa arriva direttamente a loro. Questo a me sembra molto bello e fondamentale.



11/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

Io, figlio di divorziati risposati, dico: negare la Comunione è vera misericordia

di Franco Rossi

Pubblichiamo la testimonianza di un uomo, figlio di divorziati risposati, che racconta di come l'impossibilità di accedere alla Comunone sia stata per sua madre la più grande misericordia che la Chiesa potesse concederle. Un'ulteriore prova che le spinte in corso in vista del Sinodo per rendere lecite le seconde nozze sono lontane dalla realtà quotidiana del popolo di Dio. Ovviamente la firma di questo articolo è uno pseudonimo, per garantire la privacy all'autore. 

Caro Direttore,

sono un figlio, ormai adulto, di genitori divorziati, che dopo la separazione hanno avuto altri legami. Le scrivo per testimoniare che il non ammettere questi fratelli e sorelle all’Eucaristia è un vero e proprio atto di misericordia, poiché ciò rammenta loro che si trovano in una situazione di peccato dalla quale devono uscire, e prepara il terreno per una conversione. È questo il caso dei miei genitori, in particolare di mia madre, e di molte altre coppie che ho avuto modo di conoscere.

Ma andiamo con ordine. Avevo quattro anni quando i miei genitori si separarono, dopo sei anni di matrimonio tempestoso. Cinque anni dopo fu loro concesso il divorzio.

Ad eccezione di un particolare di molti anni dopo, cui accennerò in seguito, non conosco molto della vita privata di mio padre - vivevo infatti con mia madre e i rapporti con lui erano molto superficiali - so solo che dopo la separazione ebbe altri legami.

Lo stesso avvenne con mia madre: ella si legò sentimentalmente a un uomo sposato e separato con figli già grandi, per una relazione che durò diversi anni, ma che non si sviluppò in una convivenza, se non per brevi momenti di vacanza nei mesi estivi. 

Avevo quindici anni quando mia madre conobbe un altro uomo, e avviò una relazione molto più seria e che divenne una convivenza more uxorio. Essi acquistarono una nuova casa, accesero un mutuo …  era un rapporto destinato a diventare, almeno nelle intenzioni, stabile.

Nonostante questo tipo di vita, mia madre non perse il contatto con il Signore, e mi educò cristianamente. Cercò perfino di far conoscere la fede al suo convivente, il quale, nato in una famiglia non religiosa, non era praticante.
a sua fortuna fu di incontrare quasi sempre sacerdoti che le facevano presente la sua situazione di peccato. Ella era cosciente di questo fatto, ma non aveva la forza di cambiare vita. In tutti questi anni, quindi, mia madre non poté ricevere l’assoluzione e accostarsi alla Comunione. Andavamo insieme a Messa tutte le domeniche, io facevo la Comunione, lei no, cosa della quale naturalmente soffriva molto. 

A parte rarissime eccezioni, nell’ambiente ecclesiale non fu mai condannata né giudicata, bensì sempre accolta con la massima carità e rispetto. La situazione familiare non provocò alcun problema neppure a me, frequentavo regolarmente l’oratorio, e a partire dagli anni del liceo, i gruppi giovanili cattolici.

La misericordia di sentirsi dire dai ministri di Dio la verità sulla sua vita di peccato preparò nel suo cuore il terreno fertile per il potente intervento di Dio, che si manifestò quando, verso la metà degli anni Ottanta, mia madre iniziò ad andare a Medjugorje. In questo luogo d’immensa grazia la Madonna la invitò, come del resto avevano fatto senza successo diversi sacerdoti in precedenza, a convertirsi e ad abbandonare la vita di peccato. Alle parole dei sacerdoti aveva opposto resistenza, all’invito della Madonna ella rispose con ‘sì’ incondizionato.

Tornata a casa, dopo qualche tempo ella disse al suo convivente che non voleva più vivere nel peccato, e decise di non avere più rapporti intimi con lui, così che poté di nuovo andare a fare la Comunione. Questo fu solo il primo passo, ella infatti comprese che doveva dare di più. Trascorse all’incirca un altro anno, e decise di separarsi dal convivente.

La vita nella grazia aprì gli orizzonti del suo cuore e della sua anima. Improvvisamente comprese di essere ancora sposata con mio padre, e pur non tornando a vivere con lui – egli non aveva fatto un cammino di conversione, e mia madre temeva che si manifestassero certe situazioni negative come ai tempi della vita matrimoniale – ricominciò a parlare normalmente anche con lui. E parlando a me, ella non si riferiva più a lui come ‘tuo padre’, bensì come ‘il papà’.

Sono grato a mia madre per questa sua conversione, poiché con questo che per lei fu indubbiamente un grande sacrificio - non è facile per nessuno vivere da soli – ha testimoniato anzitutto a me il grande valore della purezza e il fatto che il matrimonio è un sacramento, e quindi indissolubile.

Di mio padre, come già detto, non so molto, se non un significativo episodio di molti anni dopo. Un giorno mi confidò di essere innamorato e di avere una ‘fidanzata’, la quale, aggiunse, desiderava conoscermi. Io gli risposi che, per educazione e rispetto della persona, se mi fosse capitato di incontrarla l’avrei salutata e parlato con lei normalmente, aggiunsi tuttavia queste parole: «Papà, ricordati però che sei sposato, e non ti è lecito avere un’altra donna. Non m’importa nulla di ciò che hanno stabilito i tribunali della terra, davanti a Dio sei sposato con la mamma».

Un anno più tardi egli morì d’infarto, e mettendo in ordine il suo appartamento, non trovai alcuna traccia, scritta o di altro genere, che egli avesse una relazione in corso. È quindi assai probabile che quelle mie parole di un anno prima lo avessero colpito, e avesse deciso di interrompere la relazione. Anche in questo caso la grazia del Signore aveva agito, ed egli aveva troncato una situazione di peccato.

Avendo vissuto per molti anni nell’ambiente di persone che vanno a Medjugorje, ho conosciuto molte situazioni difficili con riferimento alla vita matrimoniale, e ho notato che il Cielo agisce sempre come nel caso di mia madre, cioè fa comprendere le situazioni di peccato e invita i peccatori a convertirsi e a cambiare vita. Vi sono stati casi di famiglie sull’orlo della rottura che hanno ritrovato l’armonia; coppie risposate civilmente che hanno intrapreso la procedura di dichiarazione di nullità di uno o di entrambi i matrimoni precedenti, per poi sposarsi in chiesa. Altre coppie sposate civilmente, che non potevano ottenere la nullità, hanno deciso di vivere il rapporto matrimoniale nella castità assoluta - avevano conosciuto l’Amore del Signore, e non volevano più peccare. Ho conosciuto conviventi che, rendendosi conto di vivere nel peccato, proprio come mia madre hanno deciso di separarsi.

In questo modo agisce il Cielo - con misericordia ammonisce il peccatore e lo invita a cambiare vita, poiché, come ha detto esplicitamente Gesù, il matrimonio è indissolubile. Tutto il resto, secondo me, è solo falsa misericordia.

 11/03/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

Francesco all’Angelus: non dialoghiamo con Satana ma difendiamoci con la Parola di Dio





Il tempo della Quaresima "occasione propizia” per "un cammino di conversione”: cosi il Papa domenica mattina all’Angelus, nella prima domenica di Quaresima, invitando tutti a rinunciare a Satana, alle sue opere e seduzioni, "sempre difesi dalla Parola di Dio”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Francesco, ispirato dal Vangelo ha ripercorso il duello tra Gesù e Satana, quando lo Spirito Santo sceso su di Lui dopo il battesimo nel Giordano, lo spinge ad affrontare apertamente il diavolo nel deserto prima di iniziare la sua missione pubblica. Il tentatore cerca di distogliere Gesù dalla via della Croce e fargli prendere "una strada facile, di successo e potenza, attraverso "le false speranze messianiche”: 

"Il benessere economico, indicato dalla possibilità di trasformare le pietre in pane; lo stile spettacolare e miracolistico, con l’idea di buttarsi giù dal punto più alto del tempio di Gerusalemme e farsi salvare dagli angeli; e infine la scorciatoia del potere e del dominio, in cambio di un atto di adorazione a Satana. Sono i tre gruppi di tentazioni. Anche noi li conosciamo bene".

Ma, "Gesù respinge decisamente tutte queste tentazioni e ribadisce la ferma volontà di seguire la via stabilita dal Padre, senza alcun compromesso col peccato e con la logica del mondo”:

"Notate bene come risponde Gesù: Lui non dialoga con Satana, come aveva fatto Eva nel Paradiso terrestre. Gesù sa bene che con Satana non si può dialogare, perché è tanto astuto. Per questo Gesù, invece di dialogare, come aveva fatto Eva, sceglie di rifugiarsi nella Parola di Dio e risponde con la forza di questa Parola. Ricordiamoci di questo nel momento della tentazione, delle nostre tentazioni: niente argomenti, con Satana, ma sempre difesi dalla Parola di Dio. E questo ci salverà".

"Nelle sue risposte a Satana, Gesù ricorda anzitutto che ‘non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio":

"E questo ci dà forza, ci sostiene nella lotta contro la mentalità mondana che abbassa l’uomo al livello dei bisogni primari, facendogli perdere la fame di ciò che è vero, buono e bello, la fame di Dio e del suo amore". 

Ricorda inoltre che sta scritto anche: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo, ..." 

"... perché la strada della fede passa anche attraverso il buio, il dubbio, e si nutre di pazienza e di attesa perseverante".

Ricorda infine che sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto..." 

" ...ossia, dobbiamo disfarci degli idoli, delle cose vane, e costruire la nostra vita sull’essenziale”.

Quindi l’invito del Papa a rinnovare le promesse del Battesimo: 

"Rinunciamo a Satana e a tutte le sue opere e seduzioni - perché lui è un seduttore - per camminare sui sentieri di Dio e giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito”.

Nei saluti finali dopo la recita dell’Angelus un invito alla solidarietà:

"Durante questa Quaresima, teniamo presente l’invito della Caritas internazionale nella sua campagna contro la fame nel mondo".

Infine una richiesta particolare:

"Domando da voi un ricordo nella preghiera per me e per i collaboratori della Curia Romana, che questa sera inizieremo la settimana di Esercizi spirituali. Grazie”.




11/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

Sinodo sulla famiglia: il card. Kasper spiega le sue proposte





Esce in questi giorni, nelle librerie italiane, il volume "Il Vangelo della famiglia” del cardinale Walter Kasper (Ed. Queriniana). Il libro contiene il testo integrale della Relazione introduttiva tenuta dal porporato tedesco al recente Concistoro straordinario sul tema della famiglia. Tra i temi più caldi, la questione dell’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione. Philippa Hitchen ha chiesto allo stesso cardinale Walter Kasper di parlarci di questo testo: 

R. – "Il Vangelo della famiglia" vuol dire che Dio vuole bene alla famiglia e che la famiglia è fondata da Dio dall’inizio della Creazione: è la più antica istituzione dell’umanità. Gesù Cristo ha fatto il suo primo miracolo durante le nozze di Cana: lui ha apprezzato la famiglia e l’ha elevata a Sacramento, e questo vuol dire che l’amore fra l’uomo e la donna è integrato nell’amore di Dio. Per questo è un Sacramento. Oggi dobbiamo di nuovo rafforzare questa realtà in un periodo in cui c’è una crisi della famiglia nelle attuali condizioni di crisi economica e delle condizioni di lavoro, e dobbiamo dare il nostro aiuto perché la grande maggioranza dei giovani vuole una famiglia, vuole un rapporto stabile, per tutta la vita. La felicità degli uomini dipende anche dalla vita familiare.

D. – Lei propone un approccio più tollerante verso le famiglie in difficoltà, senza negare la natura indissolubile del Sacramento del matrimonio: che cosa propone, esattamente?

R. – Io propongo una via al di là del rigorismo e del lassismo: è ovvio che la Chiesa non si può adottare soltanto allo "statu quo”, ma non di meno dobbiamo trovare una via di mezzo che era la via della morale tradizionale della Chiesa. Ricordo soprattutto Sant’Alfonso de’ Liguori, che voleva questa via tra i due estremi, e questa è quella che dobbiamo trovare anche oggi; è anche la via di San Tommaso d’Aquino nella sua "Summa Theologica”: quindi, mi trovo in buona compagnia, con la mia proposta. Non è contro la morale, non è contro la dottrina ma piuttosto a favore di un’applicazione realistica della dottrina alla situazione attuale della grande maggioranza degli uomini, e per contribuire alla felicità delle persone.

D. – Lei parla dell’abisso tra la dottrina attuale della Chiesa e la pratica di tanti cattolici. Alcuni danno la colpa a gruppi che promuovono una politica aggressiva contro il concetto tradizionale di famiglia …

R. – E’ ovvio che ci sono persone e gruppi che hanno un interesse politico contro la famiglia: questo è chiaro. Ma la Chiesa è sempre stata contestata, in tutta la sua storia. Ma non ci sono soltanto questi interessi ideologici e politici: ci sono anche problemi economici, problemi che riguardano le condizioni lavorative e che oggi sono molto gravi. Le condizioni di vita nella società sono cambiate molto e molti hanno difficoltà a realizzare il proprio progetto di felicità. La maggioranza dei giovani, però, vuole un rapporto stabile, una famiglia stabile, ma non ci riesce; e la Chiesa, a sua volta, deve aiutare le persone che si trovano in difficoltà.

D. – Lei fa il paragone con il modo in cui il Concilio Vaticano II ha portato una vera rivoluzione nei rapporti ecumenici e interreligiosi, senza negare il Magistero della Chiesa. Lei, quindi, è ottimista per il fatto che il Sinodo sulla famiglia porterà lo stesso tipo di rivoluzione?

R. – Io non parlerei di una rivoluzione, quanto piuttosto di un approfondimento e di uno sviluppo, perché la dottrina della Chiesa è un fiume che si sviluppa e così anche la dottrina sul matrimonio si è sviluppata. Così penso che questo attuale sia un passo simile a quello del Concilio, dove c’erano posizioni della Curia Romana contro l’ecumenismo e contro la libertà religiosa; il Concilio ha conservato la dottrina vincolante – e anche qui, io voglio conservare la dottrina vincolante – ma ha trovato una via per superare quelle questioni e ha trovato una via d’uscita. Ed è quella che anche noi dobbiamo trovare, oggi. E così, non si tratta di una novità, quanto di un rinnovamento della prassi della Chiesa, che è sempre necessario e possibile.

D. – La sua relazione ai cardinali dovere rimanere riservata e invece è uscita sulla stampa. E ha riacceso un dibattito …

R. – Ma sì, è necessario avere un dibattito, e in realtà lo aspettavo e l’avevo detto anche al Papa: all’inizio, ci sarà un dibattito. E il Papa ha detto: "Va bene. Vogliamo un dibattito. Non vogliamo una Chiesa che dorme, vogliamo una Chiesa vivace”. Questo è normale. Ma non era un documento segreto: un testo che è nelle mani di 150 persone non può essere segreto, sarebbe molto irrealistico e utopico. Quindi, io ho pensato di pubblicare il testo e mi è stato detto che ero libero di pubblicarlo. Ma quello che ha fatto un quotidiano italiano, cioè pubblicarlo senza autorizzazione, è contro la legge. Secondo me, in questo modo hanno sabotato la volontà del Papa. Loro vogliono chiudere la discussione, mentre il Papa vuole una discussione aperta nel Sinodo. Poi, dipenderà dal Sinodo e dal Papa, il risultato. Io ho fatto una proposta, come mi ha richiesto di fare il Papa, e si vedrà come procederà la discussione, nei prossimi due anni.



11/03/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 25/02/2014 San Luigi Versiglia Vescovo e martire





Fra i martiri canonizzati il 1° ottobre dell’anno giubilare del 2000, papa Giovanni Paolo II ha proclamato santi due membri della Famiglia Salesiana, monsignor Luigi Versiglia e padre Callisto Caravario, che insieme furono assassinati dalla furia dei briganti, che odiavano i missionari.
Luigi Versiglia nacque il 5 giugno 1873 a Oliva Gessi, in provincia di Pavia; a 12 anni venne mandato a Torino a studiare alla scuola di san Giovanni Bosco, il quale, in un fugace incontro nel 1887, gli disse: «Vieni a trovarmi ho qualcosa da dirti», ma don Bosco non potè più parlare con Luigi perché si ammalò e morì. Il giovane era legatissimo alla figura di don Bosco, tanto che, per rispondere alla chiamata vocazionale, decise a 16 anni di emettere i voti religiosi nella congregazione dei Salesiani.
Dopo aver completato gli studi superiori, frequentò la Facoltà di Filosofia all’Università Gregoriana di Roma e le ore libere le trascorreva fra i giovani. Venne ordinato sacerdote nel 1895 a soli 22 anni. L’anno dopo fu nominato direttore e maestro dei novizi nella Casa di Genzano di Roma, carica che tenne per dieci anni, durante i quali si distinse per le notevoli capacità formative sui futuri sacerdoti.
Fin dal principio la sua aspirazione era quella di raggiungere le missioni per portare Cristo ai popoli, aspirazione che si realizzò a 33 anni, diventando il responsabile dei primi Salesiani che nel 1906, con coraggio e fede indomita, partirono alla volta della lontanissima, per quei tempi molto più di oggi, nazione cinese.
Padre Versiglia si stabilì a Macao dove fondò la Casa Madre dei Salesiani, che divenne un attivo centro di apostolato e di fede per tutti i cattolici della città e dove il missionario si occupò con grande amore dei bambini soli. Nella città era da tutti conosciuto come il «padre degli orfani».
Aprì la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung, nel sud della Cina, della quale nel 1920 venne nominato e consacrato primo vescovo e Vicario Apostolico. Fu un vero pastore, completamente dedito ai fedeli e nonostante le molte difficoltà, in un tempo di gravi tensioni sociali e politiche, che culmineranno con la nascita della nuova Repubblica cinese, il Vescovo riuscì a dare una solida struttura alla diocesi, realizzando un seminario, alcune case di formazione, delle residenze, un orfanotrofio, scuole, casa di riposo per anziani e lavorando notevolmente nell’opera catechistica. Monsignor Versiglia fu un vero maestro, padre e pastore dall’enorme anima caritatevole, un punto di riferimento sia per i sacerdoti salesiani che per i cinesi, nel quale riconoscevano la dedizione totale e disinteressata.
Intanto la situazione politica in Cina era alquanto agitata: la nuova Repubblica Cinese, nata il 10 ottobre 1911, con il generale Chang Kai-shek, aveva riportato all’unità la Cina, sconfiggendo nel 1927 i signori della guerra che tiranneggiavano varie regioni. Ma la pesante infiltrazione comunista nella nazione e nell’esercito, sostenuta dall’Unione Sovietica di Stalin, aveva persuaso il generale ad appoggiarsi alla destra e a dichiarare fuori legge i comunisti (aprile 1927), avviando così una feroce guerra civile.
La provincia di Shiu-Chow di monsignor Luigi Vermiglia era territorio di fitto passaggio e di sosta dei vari gruppi combattenti, perciò divennero frequenti i furti e le violenze perpetrate anche ai danni di coloro che venivano definiti «diavoli bianchi», cioè i missionari, amati dalla gente più povera, che spesso trovava, proprio nelle Missioni, il rifugio da ladri, assassini e dai loro saccheggi. I più temibili erano i pirati e la soldataglia comunista, per la quale la distruzione del Cristianesimo era un dovere programmato. In questo contesto di terrore, le attività missionarie subirono un forte danno, soprattutto quando si trattava di spostasi nei vari e sparsi villaggi: le catechiste e le maestre non si mettevano in viaggio se non accompagnate dai missionari; d’altronde per il pericolo incombente sia sulle vie di terra che sui fiumi, il Vescovo Luigi Versiglia non aveva più potuto visitare i cristiani della missione di Lin-Chow (villaggio di 40 mila abitanti, devastato dalla guerra civile), composta da due piccole scuole e duecento fedeli, 
Tuttavia, verso la fine del gennaio 1930, il Vescovo, dopo molta attesa, decise di partire per non lasciare più solo il suo piccolo gregge, affidandosi unicamente alla volontà di Dio.

Papa Francesco: Gesù non ci lascia soli per la strada, seguirlo è avere una casa, la Chiesa





Seguire Gesù non è "un’idea” ma un "continuo rimanere a casa”, la Chiesa, dove Cristo riporta sempre chiunque, anche chi se ne è allontanato. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa di questa mattina, nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Un ragazzo preso da convulsioni che si rotola a terra schiumando, in un mezzo a una folla sconvolta e inerme. E suo padre che quasi si aggrappa a Gesù, implorandolo di liberare suo figlio dalla possessione diabolica. È il dramma con cui apre il Vangelo di oggi e che Papa Francesco considera punto per punto: il cicaleccio degli astanti, che discutono senza costrutto, Gesù che arriva e si informa, "il chiasso che viene meno”, il padre angosciato che emerge dalla folla e decide contro ogni speranza di sperare in Gesù. E Gesù, che mosso a pietà dalla fede cristallina di quel papà, scaccia lo spirito e poi si china con dolcezza sul giovane, che pare morto, aiutandolo a rialzarsi:

"Tutto quel disordine, quella discussione finisce in un gesto: Gesù che si abbassa, prende il bambino. Questi gesti di Gesù ci fanno pensare. Gesù quando guarisce, quando va tra la gente e guarisce una persona, mai la lascia sola. Non è un mago, uno stregone, un guaritore che va e guarisce e continua: ad ognuno lo fa tornare al suo posto, non lo lascia per strada. E sono gesti bellissimi del Signore”.

Ecco l’insegnamento, spiega Papa Francesco: "Gesù – afferma – sempre ci fa tornare a casa, mai ci lascia sulla strada da soli”. Il Vangelo, ricorda, è disseminato di questi gesti. La risurrezione di Lazzaro, la vita donata alla figlia di Giairo e quella al ragazzo di una mamma vedova. Ma anche la pecora smarrita riportata all’ovile o la moneta perduta e ritrovata dalla donna:

"Perché Gesù non è venuto dal Cielo solo, è Figlio di un popolo. Gesù è la promessa fatta a un popolo e la sua identità è anche appartenenza a quel popolo, che da Abramo cammina verso la promessa. E questi gesti di Gesù ci insegnano che ogni guarigione, ogni perdono sempre ci fanno tornare al nostro popolo, che è la Chiesa”.

Gesù perdona sempre e i suoi gesti – prosegue Papa Francesco – diventano anche "rivoluzionari”, o "inesplicabili”, quando il suo perdono raggiunge chi si è allontanato "troppo”, come il pubblicano Matteo o il suo collega Zaccheo. Inoltre, ripete Papa Francesco, Gesù sempre, "quando perdona, fa tornare a casa. E così non si può capire Gesù" senza il popolo di Dio. È "un’assurdità amare Cristo, senza la Chiesa, sentire Cristo ma non la Chiesa, seguire Cristo al margine della Chiesa”, ribadisce Papa Francesco citando e parafrasando una volta ancora Paolo VI. "Cristo e la Chiesa sono uniti”, e "ogni volta che Cristo chiama una persona, la porta alla Chiesa”. Per questo, soggiunge, "è bene” che un bambino "venga a battezzarsi nella Chiesa”, la "Chiesa madre”:

"E questi gesti di tanta tenerezza di Gesù ci fanno capire questo: che la nostra dottrina, diciamo così, o il nostro seguire Cristo, non è un’idea, è un continuo rimanere a casa. E se ognuno di noi ha la possibilità e la realtà di andarsene da casa per un peccato, uno sbaglio – Dio sa – la salvezza è tornare a casa, con Gesù nella Chiesa. Sono gesti di tenerezza. Uno a uno, il Signore ci chiama così, al suo popolo, dentro la sua famiglia, la nostra madre, la Santa Chiesa. Pensiamo a questi gesti di Gesù”.


25/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Altro che divorziati e risposati. In Africa, la famiglia ha ben altri problemi

di Anna Bono

Una bambina di 10 anni maritata a un uomo di 60 che per averla ha dato a suo padre 17 mucche, un secchio di farina di frumento, cinque litri di olio, due paia di pantaloni, un paio di scarpe usate e un cellulare senza batteria. Un’altra di 13 anni informata del proprio matrimonio soltanto tre giorni prima della cerimonia che la consegnerà in sposa a un estraneo di cui non conosce neanche il nome.

Al Concistoro a Roma i cardinali africani hanno portato le voci di una Chiesa impegnata ad affrancare l’istituzione famigliare dai vincoli della tradizione e a promuovere il rispetto della persona umana.

Le norme tribali riguardanti la famiglia – tuttora influenti e d’altra parte riconosciute da quasi tutte le costituzioni africane che ammettono i diritti consuetudinari proprio in materia di famiglia e di successione – contrastano con i precetti cristiani, violano i diritti umani universali creando situazioni domestiche spesso insostenibili. Le regole tradizionali relative alla costituzione stessa di ogni unità famigliare rendono difficile (e quel che più conta, non necessario) l’instaurarsi al suo interno di rapporti paritari, improntati a fiducia, confidenza, collaborazione.

La tradizione vuole, innanzi tutto, che i matrimoni siano combinati ed eventualmente imposti: proibito, del tutto impensabile, decidere liberamente con chi e quando sposarsi. In certe etnie africane i capifamiglia impongono ai figli i coniugi che ritengono convenienti senza tener conto della loro volontà e senza dar loro il tempo di frequentarli e conoscerli: questo tipo di matrimonio si dice forzato o imposto; in altre etnie il consenso dei figli è richiesto, almeno formalmente, ma a proporre l'unione sono comunque i genitori: si tratta allora di matrimonio combinato; altre etnie ammettono che i diretti interessati o almeno i maschi possano prendere l’iniziativa, ma le nozze non possono essere celebrate senza l’autorizzazione dei genitori che hanno facoltà di negarla con decisione indiscutibile e impedire l'unione. In tutti i casi nelle società tradizionali sono le famiglie, che a loro volta rappresentano gli interessi delle rispettive comunità, a discutere i termini dei contratti matrimoniali. Se non raggiungono un accordo, l'unione non è ammessa.

Una seconda istituzione, il prezzo della sposa, costituisce il fulcro del contratto matrimoniale per centinaia di tribù africane. Dove è praticata, l’uomo che intende prendere moglie deve corrispondere ai parenti della futura sposa, a risarcimento di quanto essi hanno speso per allevarla e della risorsa procreativa e produttiva che cedono, un certo ammontare di beni o denaro. Le trattative per stabilire entità e modalità di consegna del prezzo della sposa sono decisive ai fini della stipulazione del contratto nuziale: anche quando i genitori possono accettare la scelta coniugale dei figli, il matrimonio non si conclude se le famiglie dei due sposi non raggiungono un’intesa sul prezzo della sposa. La completa consegna dell’importo concordato (che può richiedere anni quando si tratta di cifre o beni ingenti), attribuisce alla famiglia che lo ha corrisposto una sorta di diritto di proprietà sulla donna per la quale ha pagato e quindi anche sui figli da lei generati dopo la stipulazione del contratto. Questi diritti permangono anche in caso di morte del marito. Dopo il periodo di lutto prescritto, le vedove sono obbligate a sposare un fratello o un cugino parallelo del defunto, avendo talvolta la facoltà di scegliere con chi unirsi: l’istituzione è nota come levirato.

Matrimonio combinato e prezzo della sposa, entrambi ancora molto praticati dagli Africani, violano la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne che prevedono il pieno e libero consenso degli sposi al matrimonio. Come è facile immaginare, hanno conseguenze negative sull’unione famigliare e gravi ripercussioni soprattutto sul destino delle donne: tanto più se, come succede spesso, a essere maritate secondo queste regole sono delle adolescenti o addirittura delle bambine.

L’istituzione del matrimonio infantile, di fatto sempre forzato e quasi esclusivamente riguardante minori di sesso femminile, in Africa è diffusa e persistente. Se a livello mondiale il 12% delle donne tra i 20 e i 24 anni si è sposato prima di aver compiuto 15 anni, in Africa la percentuale sale sensibilmente arrivando al 75% in Niger, al 72% in Ciad e al 63% in Guinea Conakry. Si tratta, non a caso, di tre stati a larga maggioranza islamica: l’islam infatti ammette il matrimonio delle donne persino a partire dall’età di nove anni.

Negli stati abitati in prevalenza da cristiani l’influenza della religione ha consentito passi avanti significativi: in Etiopia, ad esempio, tra il 2005 e il 2010, il tasso di matrimoni infantili è sceso del 20%, restando tuttavia superiore al 40%. Ma molto resta da fare. Più difficile, anche per i cristiani, è poi rinunciare al prezzo della sposa e lasciare i figli liberi di scegliere chi sposare. Si tratta di istituzioni fondamentali, abbandonarle significa scardinare l’intero sistema famigliare e sociale tradizionale, per millenni tramandato devotamente, di generazione in generazione, fedeli all’esempio di vita degli antenati fondatori. Si tratta di una rottura con il passato molto dolorosa e difficile per persone educate a conservare a oltranza le tradizioni e inoltre espone le famiglie all’ostracismo sociale con conseguenze che possono essere anche penosissime. Per questo diventa possibile soprattutto quando singoli individui e famiglie si staccano dal contesto comunitario o attenuano i legami con esso – ad esempio, quando emigrano nei centri urbani – oppure, meglio ancora, quando è un’intera comunità, raccolta attorno a una chiesa, a decidere di cambiare.

25/02/2014 fonte: la nuova bussola quotidiana

L'arcivescovo maggiore di Kiev, Shevchuk: iniziato processo di guarigione in Ucraina





Preghiera e digiuno per la pacificazione dell’Ucraina. Ad invocarli, la Conferenza episcopale ucraina di fronte alle violenze di queste settimane. "La preghiera e i sacrifici - affermano i vescovi in una nota - sono i nostri primi e più potenti strumenti. Esortiamo tutti a pregare costantemente per la misericordia di Dio, che - proseguono - può aiutare il nostro Paese sofferente”. I presuli incoraggiano inoltre i sacerdoti a organizzare veglie di preghiera nelle parrocchie e nelle comunità, affinché "odio e vendetta svaniscano” e lascino il posto all'"amore fraterno”, termini la guerra e prevalga la pace, "spariscano le tenebre e brilli il sole della misericordia di Dio”. Intanto, con gli ultimi avvenimenti in Ucraina, un primo passo del "processo di guarigione” è stato compiuto: se ne è detto convinto l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica nel Paese. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Anzitutto vorrei dire che adesso l’Ucraina è sotto shock, dopo avere visto decine di persone uccise a sangue freddo nel centro della città, della nostra capitale. L’Ucraina deve guarire queste ferite che abbiamo subito in questi giorni. Grazie a Dio è stato avviato un processo costituzionale, in un modo più o meno ragionevole. Il nostro Parlamento ha cominciato a servire il popolo. Abbiamo visto in questi giorni che il primo passo che ha fatto cessare il fuoco è stata la decisione di fermare quella che veniva definita "azione antiterroristica”, iniziata dal presidente Yanukovich. Grazie a questa decisione, l’Esercito ha iniziato ad abbandonare il quartiere presidenziale e così siamo riusciti a fermare lo spargimento di sangue. E’ l’inizio di un processo di guarigione. Vedremo, a livello politico e internazionale, come si potrà risolvere questa situazione.

D. – In questo momento è a rischio l’unità del Paese, secondo lei?

R. – Il potere precedente faceva di tutto per provocare gli scontri fra le varie parti del Paese. Si pensava, per salvare almeno una parte del potere, di dividere l’Ucraina, di creare una cosiddetta Repubblica dell’Ucraina dell’Est. In questo modo, non potendo salvare il potere in tutto il Paese, almeno sarebbe rimasto in una parte. Adesso, però, penso che questo progetto sia già fallito. La sovranità del nostro Paese, anche l’integrità territoriale, da nessuno sarà messa in dubbio.

D. – E come vive la Chiesa ucraina greco-cattolica questi momenti? Quali le speranze?

R. – Anzitutto, la nostra Chiesa è stata sempre con il suo popolo, soprattutto quando il nostro popolo soffriva. In questi giorni, la nostra Cattedrale a Kiev, ed anche le altre chiese cristiane, sono diventate ospedali ed anche sale operatorie. Al momento stiamo ospitando migliaia di feriti. E le chiese sono i centri di una straordinaria solidarietà. La gente aiuta, con tutti i mezzi che ha, per dare da mangiare alle persone che sono lì, per procurare le medicine. E’ veramente una mobilitazione della comunità, sia ecclesiale che civile nella città di Kiev e posso dire in tutta l’Ucraina. E la Chiesa sta sempre con il suo popolo, come sua madre, sua maestra.

D. – Più volte in questi ultimi giorni il Papa ha pregato per l’Ucraina...

R. – Ben tre volte ci ha incoraggiato ed ha manifestato la sua solidarietà al popolo ucraino. Le sue parole di preghiera e il suo appello a cessare il fuoco e risolvere in modo pacifico il conflitto sono stati molto sentiti in Ucraina. Quindi, tutti i cittadini ucraini, le varie Chiese e confessioni cristiane, sono veramente grati al Santo Padre in questo momento.





25/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il card. Capovilla: Francesco, come Papa Giovanni, vuole cardinali santi





I nuovi cardinali entrano nella Chiesa di Roma non in una Corte. E’ uno dei passaggi più forti dell’omelia di Papa Francesco nella Messa di ieri in San Pietro per i 19 nuovi porporati. Dal Pontefice anche un forte richiamo alla santità. Per una riflessione su queste parole del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il neo cardinale Loris Capovilla, 98 anni, già segretario particolare di Giovanni XXIII: 

R. – Vi saluto come prete romano e sono contento perché questo "nuovo” prete romano richiama la mia vocazione e quello che Papa Giovanni XXIII diceva non solo a me, ma a tutti i preti del mondo: "Il prete è quel giovane uomo che, chiamato dal vescovo, sale sulla predella dell’altare per l’imposizione delle mani apostoliche”. Sull’altare ci sono due oggetti tra i quali si colloca il nuovo prete: la divina rivelazione - ovvero il messale - e il calice, che riassume il nostro rapporto con Dio, il culto. Questa è stata la prima impressione. La mia seconda impressione sull’omelia del Santo Padre è che ci fa entrare nel clima della santità, infatti quest’anno sarà segnato – il 27 aprile – dall’inscrizione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II nell’albo dei Santi.

D. – Papa Francesco, in un passaggio della sua omelia, ha detto proprio: "Essere santi non è un lusso; è necessario per la salvezza del mondo. E’ questo che il Signore chiede a noi”…

R. – Ho pensato al capitolo quinto della Lumen Gentium, che si intitola: "Universale vocazione alla santità”. Non il prete, o il cardinale, o il vescovo, o il monaco ma tutti i cristiani – anzi tutti gli uomini e le donne che portano in fronte il "lume” di Dio – tutti siamo chiamati alla carità, alla bontà, al servizio, all’umiltà, al sacrificio. Questo è quello che deve splendere particolarmente nel mondo. Non per niente, Papa Benedetto XVI – a cui va tutta la nostra riverenza – ha detto che la stella polare del XXI secolo deve essere il Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes. Quindi, non la speranza di un accomodamento qualsiasi, ma la speranza di una comunità che cammina verso le ancora lontane frontiere della civiltà dell’amore. I discorsi di questi giorni, anzi di tutti i giorni, di Papa Francesco mi hanno ispirato questo.

D. – "Il cardinale – ha detto Papa Francesco ieri – entra nella Chiesa di Roma”, "non entra in una corte”. Anche questo è un passaggio molto forte del Papa: "Evitare abitudini e comportamenti di corte”...

R. – Io ho pensato a quello che Papa Giovanni mi ha insegnato. Mi diceva: "Ricordati Loris del presente – il mondo che tu vivi adesso – parla con pacatezza, con umiltà e con fiducia, non disperarti mai. Del passato, quando è possibile, parlane bene e ringrazia coloro che prima di te – uomini, donne, non solo sacerdoti e laici ma tutti insieme – per quello che hanno fatto e hanno compiuto, con i limiti che sono propri del tempo, dell’educazione e delle situazioni che variano. Dell’avvenire non fare pronostici, non spetta a te, non appartiene a te”. Inoltre, ho sentito così forti le ultime parole di Papa Giovanni, come testamento alla sua Chiesa cattolica, che ha amato immensamente: diceva che per fare il cristiano bisogna pensare in grande, guardare alto e lontano. Questo è il mio auspicio, è il sospiro del mio cuore. Io ho fatto molto poco nella mia vita, sento tutta la mia piccolezza. So di essere un piccolo uomo, però accanto a Gesù anch’io divento qualche cosa. Nel nome di Gesù posso cacciare il peccato, il male, il demonio. Nel nome di Gesù posso anch’io entrare nella casa del malato e dire "alzati e cammina”. Nel nome di Gesù posso anch’io bere, o aver bevuto, veleni o vivere in un ambiente scristianizzato e non venire ucciso, non venire inquinato perché sono disintossicato dalla preghiera, dalla vita sana, cristiana, generosa. Questo è il messaggio di Gesù. Gesù mi ha detto che nel suo nome, con il suo aiuto – io che sono un piccolo uomo di pochissima cultura, istruzione, esperienza – io, posso parlare tutte le lingue riassunte nella lingua dell’amore.





25/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 18/02/2014 Beato Giovanni da Fiesole (detto Beato Angelico o Fra Angelico) Domenicano


Questa soave e genialissima figura di Frate Predicatore fu un dono magnifico fatto da Dio all’Ordine. Guido o Guidolino, figlio di Pietro, nacque a Vicchio di Mugello in Toscana alla fine del XIV° secolo e fin da giovane fu pittore in Firenze. Quando sentì la vocazione, insieme al fratello Benedetto, si presentò al convento domenicano di Fiesole. Ordinato sacerdote assunse il nome di Fra Giovanni da Fiesole, ma subito dopo la sua morte fu usanza comune chiamarlo "Beato Angelico”. L’azione di santo e di artista del giovane si svolse mirabilmente nel clima di alta perfezione spirituale e intellettuale trovato nel chiostro. Le sante austerità, gli studi profondi, la perenne elevazione dell’anima a Dio, affinarono il suo spirito e gli aprirono orizzonti sconfinati. Così preparato, da buon Frate Predicatore, poté anch’egli dare agli altri il frutto della propria contemplazione e dar vita, col suo magico pennello, al più sacro dei poemi, narrando ai fratelli la divina storia della nostra salvezza. I suoi Crocifissi, le sue Madonne, i suoi Santi sono una predica che risuona nei secoli. Anima di una semplicità evangelica, seppe vivere col cuore in cielo, pur consacrandosi a un intenso lavoro. Sue sono molte pale d’altare a Fiesole (1425-1438) e le celle, i corridoi, l’aula capitolare e i chiostri del Convento di San Marco a Firenze (1439-1445). Recatosi a Roma, su invito di Papa Eugenio IV, dipinse nella Basilica di San Pietro e nei Palazzi Vaticani, e dal 1445 al 1449, per Papa Niccolò V la sua cappella privata e lo studio in Vaticano. Il Papa gli offrì la Sede Vescovile di Firenze, che energicamente rifiutò, persuadendo il Pontefice a nominare il confratello Sant’Antonino. Fu da Dio chiamato al premio eterno il 18 febbraio 1455 a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è ancora conservato nella attigua Basilica Domenicana. A suo onore, e per la promozione dell’arte sacra, Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 ha concesso il suo culto liturgico a tutto l’Ordine e il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.


Il Papa: è la pazienza del popolo di Dio nelle prove della vita che fa andare avanti la Chiesa





La pazienza del popolo di Dio che sopporta con fede le prove quotidiane della vita è ciò che fa andare avanti la Chiesa: è quanto ha affermato Papa Francesco lunedì mattina nella Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti: 

"La pazienza non è rassegnazione, è un’altra cosa”: il Papa commenta la Lettera di San Giacomo dove dice: "Considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove”. "Sembra un invito a fare il fachiro” – osserva – ma non è così. La pazienza, sopportare le prove, "le cose che noi non vogliamo”, fa "maturare la nostra vita. Chi non ha pazienza vuole tutto subito, tutto di fretta. Chi non conosce questa saggezza della pazienza – sottolinea Papa Francesco - è una persona capricciosa, come i bambini che sono capricciosi” e nessuna cosa va loro bene. "La persona che non ha pazienza – spiega - è una persona che non cresce, che rimane nei capricci del bambino, che non sa prendere la vita come viene: o questo o niente. Questa è una delle tentazioni: diventare capricciosi”. "Un’altra tentazione di quelli che non hanno pazienza – afferma il Papa - è l’onnipotenza” di volere subito una cosa, come accade ai farisei che chiedono a Gesù un segno dal cielo: "volevano uno spettacolo, un miracolo”:

"Confondono il modo di agire di Dio con il modo di agire di uno stregone. E Dio non agisce come uno stregone, Dio ha il suo modo di andare avanti. La pazienza di Dio. Anche Lui ha pazienza. Ogni volta che noi andiamo al sacramento della riconciliazione, cantiamo un inno alla pazienza di Dio! Ma il Signore come ci porta sulle sue spalle, con quanta pazienza, con quanta pazienza! La vita cristiana deve svolgersi su questa musica della pazienza, perché è stata proprio la musica dei nostri padri, del popolo di Dio, quelli che hanno creduto alla Parola di Dio, che hanno seguito il comandamento che il Signore aveva dato al nostro padre Abramo: ‘Cammina davanti a me e sii irreprensibile’”. 

Il popolo di Dio – afferma il Papa citando la Lettera agli Ebrei – "ha sofferto tanto, sono stati perseguitati, ammazzati”, ma ha avuto "la gioia di salutare da lontano le promesse” di Dio. "Questa è la pazienza” che "noi dobbiamo avere nelle prove: la pazienza di una persona adulta, la pazienza di Dio” che ci porta sulle sue spalle. E questa – ha proseguito - è "la pazienza del nostro popolo”: 

"Quanto paziente è il nostro popolo! Ancora adesso! Quando andiamo nelle parrocchie e troviamo quelle persone che soffrono, che hanno problemi, che hanno un figlio disabile o hanno una malattia, ma portano avanti con pazienza la vita. Non chiedono segni, come questi del Vangelo, che volevano un segno. Dicevano: ‘Dateci un segno!’. No, non chiedono, ma sanno leggere i segni dei tempi: sanno che quando germoglia il fico, viene la primavera; sanno distinguere quello. Invece, questi impazienti del Vangelo di oggi, che volevano un segno, non sapevano leggere i segni dei tempi, e per questo non hanno riconosciuto Gesù”. 

Il Papa conclude la sua omelia lodando la "gente del nostro popolo, gente che soffre, che soffre tante, tante cose, ma non perde il sorriso della fede, che ha la gioia della fede”:

"E questa gente, il nostro popolo, nelle nostre parrocchie, nelle nostre istituzioni - tanta gente – è quella che porta avanti la Chiesa, con la sua santità, di tutti i giorni, di ogni giorno. ‘Fratelli, considerate perfetta letizia, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza e la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti ed integri, senza mancare di nulla’ (Gc 1, 2-4). Che il Signore ci dia a tutti noi la pazienza, la pazienza gioiosa, la pazienza del lavoro, della pace, ci dia la pazienza di Dio, quella che Lui ha, e ci dia la pazienza del nostro popolo fedele, che è tanto esemplare”.



18/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Venezuela: nel Collegio don Bosco di Valencia uccisi un sacerdote di 80 anni ed un fratello laico







Nella città venezuelana di Valencia nel corso di un tentativo di furto sono stati uccisi un sacerdote salesiano, padre Jesús Plaza, 80 anni, e un fratello laico Luis Sánchez , 84 anni. Il tragico evento ha avuto luogo nel collegio dei salesiani Don Bosco della città, mentre le vittime riposavano. La versione dei fatti è stata data da una terza persona, anch'essa gravemente ferita e operata nella clinica "Guerra Mèndez", il padre David Marín, direttore del collegio (64 anni). Gli autori del delitto, eseguito secondo la stampa locale con assurda efferatezza durante la notte tra sabato e domenica, sono due minorenni: uno di 13 anni e l'altro di 15, che si sono introdotti nel collegio con l'intenzione di compiere un furto, aggredendo per primo il padre José Luis Salazar. Padre Plaza è morto in ospedale mentre i medici tentavano di fermare le emorragie causate da numerose coltellate. Invece il fratello salesiano Sánchez è morto sul colpo, nella sua abitazione. Lo scorso 14 febbraio la Conferenza episcopale del Venezuela, dopo la morte di tre giovani che protestavano contro il governo, aveva lanciato un appello alla pace, ribadendo la condanna della violenza. "Siamo tutti coinvolti — si legge nel documento dei vescovi — nel costruire il bene del Paese. E tutti dobbiamo risolvere i principali problemi, come l’insicurezza, e lavorare per tutto ciò che riguarda la qualità della vita". "Ciò che è accaduto è molto triste e va rifiutato": così il presidente dell'episcopato del Venezuela, mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumaná, in merito all'uccisione, mercoledì 12 febbraio, nel corso di manifestazioni contro il governo del Presidente Nicolás Maduro, di tre giovani che prendevano parte alla protesta. "Lo stato di violenza al quale siamo arrivati", ha aggiunto l'arcivescovo in dichiarazioni a 'Unión Radio', ci spinge a rinnovare, "ancora una volta, un appello serio, molto forte, alla riconciliazione e al reciproco riconoscimento. Senza queste condizioni non vi sarà dialogo e dunque neanche pace". Per il presule venezuelano "è il momento opportuno affinché tutti i venezuelani riflettano" e si mobilitino in favore della pace. "Il dialogo è una chiave che apre le porte, che abbassa le tensioni e consente di trovare accordi e convergenze tra tutti, e che certamente ci sono", ha precisato mons. Padrón. (A cura di Luis Badilla)




18/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Card. Ruini: pressioni e condizionamenti sociali sui credenti





"In questi anni i credenti subiscono una forte pressione ambientale, ossia socio-culturale, che presenta la concezione cristiana come ormai superata e insostenibile e che li fa sentire come dei sopravvissuti di un’epoca passata che non ritornerà. Perciò abbiamo bisogno di tempi e di spazi diversi, nei quali respirare un’altra atmosfera, quella della fede”: lo ha detto ieri a Roma, tenendo la prolusione ai lavori del convegno teologico-pastorale per gli 80 anni dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), il card. Camillo Ruini, che della stessa Orp è stato presidente quando era Vicario del Papa per la diocesi di Roma. Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha parlato di "un bisogno di tempi e di spazi diversi, nei quali respirare un’altra atmosfera, quella della fede e il pellegrinaggio è uno di questi spazi, un’esperienza breve ma intensa e proponibile a tante persone, anche tra coloro che non frequentano regolarmente la Chiesa”. "Tipico del pellegrinaggio - ha proseguito - è che può raccogliere e mettere insieme persone giovani e non praticanti con persone anziane e devote”. Tra i "segreti” di un buon pellegrinaggio ha in particolare sottolineato "la disponibilità delle guide non solo a parlare e predicare bene, ma anche ad ascoltare le persone, e ad ascoltare a lungo”. Oltre alla confessione, si è riferito alla "discussione in piccoli gruppi sulle problematiche odierne della pressione e dei condizionamenti che la società esercita oggi sui credenti”. Sempre riflettendo sulla natura del pellegrinaggio, il card. Ruini ha notato che "dentro al processo di secolarizzazione, sta crescendo un altro fenomeno: quello dell’individualismo religioso. Tante persone credono in Dio, e spesso anche in Gesù, e magari pregano, ma preferiscono farlo da soli senza sentirsi e collocarsi all’interno della comunità cristiana”. Cercando le cause dell’individualismo, ha indicato anche la "reazione a una certa invadenza clericale”, parlando di slogan quali "Cristo sì, Chiesa no”. Proprio di fronte a questa realtà, ha proseguito, "il pellegrinaggio può essere una felice occasione per far riscoprire, in maniera esperienziale, il senso di comunità di fede e di preghiera, che è poi l’essenza profonda della Chiesa, al di là degli aspetti profani, economici, politici e di potere, e degli scandali, veri o montati artificialmente, sui quali sempre insistono i media”. Secondo il cardinale, "il pellegrinaggio è una buona occasione per cercare di superare quella dicotomia o falsa alternativa che sembra talvolta separare preghiera personale e preghiera comunitaria”. "Le celebrazioni durante i pellegrinaggi - ha sottolineato - possono promuovere questa unità in maniera più agevole di quel che è possibile fare nelle normali messe domenicali celebrate nelle parrocchie”. Nella parte conclusiva della sua prolusione il card. Ruini ha toccato un tema molto sentito a livello culturale: l’odierna mancanza del "senso del peccato”. "Tocchiamo qui un nervo scoperto della cultura e della mentalità contemporanea, per la quale la coscienza o il senso del peccato sarebbe solo una patologia dalla quale curarsi e liberarsi”, ha detto. Secondo il cardinale, la riscoperta del "senso del peccato” che può avvenire coi pellegrinaggi, "rappresenta una ritrovata ragione di vita per molti, che magari sono stati a lungo lontani dalla Chiesa”. (R.P.)


18/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Cristiani ancora massacrati in Nigeria
di Anna Bono





Sabato 15 febbraio Boko Haram, il gruppo estremista islamico nato per imporre la legge coranica in Nigeria, ha compiuto una nuova strage di civili. Nell’attacco a due villaggi nello stato Nordorientale di Borno almeno 106 persone in gran parte cristiane sono state uccise: le vittime finora accertate sono 105 uomini e una donna anziana, morta tentando invano di proteggere un nipotino.

A Baga, un villaggio di pescatori sulle rive del lago Chad, un commando composto da un centinaio di miliziani ha aperto il fuoco sulla popolazione sparando in tutte le direzioni. Molte persone sono morte – ancora non si conosce il numero esatto – colpite dai proiettili o annegate nel lago nel quale si erano gettate per cercare scampo alla carneficina. Prima di andarsene, il commando ha razziato del pesce e altri generi alimentari e infine ha dato fuoco alle case. Baga era già stato devastato lo scorso aprile durante uno scontro armato tra Boko Haram e militari. Questi ultimi, poi, nei giorni successivi alla battaglia, sospettando gli abitanti di complicità con i terroristi e cercando di stanare quelli superstiti eventualmente nascosti nelle case, avevano dato fuoco a gran parte del villaggio uccidendo più di 200 persone nel corso dell’operazione.

L’altro attacco sabato scorso è stato sferrato contro Izghe, un villaggio abitato in prevalenza da cristiani. Lì i terroristi, secondo la testimonianza di alcuni superstiti, dapprima hanno radunato diversi uomini, li hanno circondati e uccisi. Poi hanno continuato la strage andando di casa in casa, per ore. Alcune delle vittime sono state abbattute a colpi di arma da fuoco. Tutte le altre sono state sgozzate: in tutto circa 90 persone.

Entrambi i villaggi sorgono in una regione in cui è in vigore lo stato di emergenza. Proprio per contrastare Boko Haram, dal maggio 2013 è in corso un’offensiva militare nel Borno e nei vicini stati di Yobe e Adamawa. Ma sia a Baga che a Izghe l’esercito non è intervenuto perché i militari hanno lasciato l’area dopo che la scorsa settimana nove di essi sono caduti vittime di un’imboscata.

Quelli di sabato sono gli attacchi più cruenti dall’inizio dell’anno, dopo quelli del 26 gennaio contro il villaggio di Waga Chakawa, nell’Adamawa, e quello di Kawuri, nel Borno, che hanno provocato in tutto 74 morti e decine di feriti.

Nel frattempo Boko Haram ha messo a segno altri due gravi attentati. Il 1° febbraio un gruppo di uomini a bordo di un’autovettura e di una moto sono penetrati in un casa, sfondandone l’ingresso, e ne hanno ucciso tutti gli abitanti: sette cristiani, una famiglia intera. È successo nel villaggio di Unguwar Kajit, nello stato di Kaduna, situato nel centro nord del paese. Dei giovani cristiani hanno quindi per rappresaglia bruciato alcune abitazioni di musulmani e tre moschee.

L’11 febbraio altre 39, forse 50 persone, tra cui tre bambini, sono morte a Konduga, una cittadina a 35 chilometri da Maiduguri, la capitale del Borno. I terroristi hanno raggiunto la località verso il tramonto e per ore hanno infierito sulla popolazione indisturbati, dopo che i militari e gli agenti di polizia presenti sul posto si erano dati alla fuga. Inoltre hanno raso al suolo e incendiato più di mille abitazioni, una moschea, una scuola, un ambulatorio medico e diversi altri edifici pubblici.

Il presidente Goodluck Jonathan, considerati gli scarsi risultati delle operazioni militari contro Boko Haram, il 16 gennaio ha sostituito i vertici delle forze armate e ha posto a capo del ministero della difesa un generale in pensione originario del Nord, Aliyu Mohammed Gusau. Ma finora, come dimostrano i continui episodi di violenza, l’avvicendamento non ha prodotto risultati. Per di più, nel momento in cui il paese si dovrebbe concentrare nella lotta ai terroristi, una profonda crisi politica indebolisce le istituzioni. Il partito di governo, il Peoples Democratic Party, PDP, ha infatti perso la maggioranza assoluta in parlamento per la defezione di decine di deputati e di senatori passati all’opposizione, a cui si aggiungono alcuni influenti governatori degli stati islamici del Nord. La crisi politica ha origine principalmente dal fatto che il presidente Jonathan, un cristiano originario del Sud, sembra intenzionato a ricandidarsi il prossimo anno, mettendo fine alla regola del PDP che finora ha alternato alla propria guida e quindi alla candidatura presidenziale un politico islamico del Nord e uno cristiano del Sud: un’eventualità che una parte del PDP e del paese non è disposta ad accettare. È in corso inoltre un rimpasto di governo che ha già portato alla sostituzione di quattro ministri, tra cui quello dell’Aviazione, Stella Ouduah, al centro di uno scandalo per corruzione: forse una mossa elettorale del presidente Jonathan per circondarsi in vista del voto di una compagine governativa gradita alla popolazione.

18/02/2014 fonte: La nuova bussola quotidiana

IL SANTO DEL GIORNO 11/02/2014 Nostra Signora di Lourdes



Ai piedi dei Pirenei, Lourdes accoglie ogni anno 5 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Qui un giorno Maria è apparsa all’umile veggente Bernadette Soubirous, incaricandola di un grande messaggio di speranza per l’umanità, sofferente nel corpo e nello spirito, che è l’eco della parola di Dio affidata alla Chiesa. 
Quella mattina era un giovedì grasso e a Lourdes faceva tanto freddo. In casa Soubirous non c’era più legna da ardere. Bernadette, che allora aveva 14 anni, era andata con la sorella Toinette e una compagna a cercar dei rami secchi nei dintorni del paese. 
Verso mezzogiorno le tre bambine giunsero vicino alla rupe di Massabielle, che formava, lungo il fiume Gave, una piccola grotta. Qui c’era "la tute aux cochons”, il riparo per i maiali, un angolo sotto la roccia dove l’acqua depositava sempre legna e detriti. Per poterli andare a raccogliere, bisognava però attraversare un canale d’acqua, che veniva da un mulino e si gettava nel fiume.
Toinette e l’amica calzavano gli zoccoli, senza calze. Se li tolsero, per entrare nell'acqua fredda. Bernadette invece, essendo molto delicata e soffrendo d'asma, portava le calze. Pregò l’amica di prenderla sulle spalle, ma quella si rifiutò, scendendo con Toinette verso il fiume.
Rimasta sola, Bernadette pensò di togliersi anche lei gli zoccoli e le calze, ma mentre si accingeva a far questo udì un gran rumore: alzò gli occhi e vide che la quercia abbarbicata al masso di pietra si agitava violentemente, per quanto non ci fosse nell’aria neanche un alito di vento. Poi la grotta fu piena di una nube d’oro, e una splendida Signora apparve sulla roccia.
La Signora aveva l’aspetto di una giovane di sedici o diciassette anni. Vestita di bianco, con una fascia azzurra che scendeva lungo l’abito, portava sulla testa un velo bianco che lasciava intravedere appena i capelli ricadendo all’indietro fino all’altezza della fascia. Dal braccio le pendeva un grande rosario dai grani bianchi, legati da una catenella d’oro, mentre sui piedi nudi brillavano due rose, anch’esse di un oro lucente.
Istintivamente, Bernadette s'inginocchiò, tirando fuori la coroncina del Rosario. La Signora la lasciò fare, unendosi alla sua preghiera con lo scorrere silenzioso fra le sue dita dei grani del Rosario. Alla fine di ogni posta, recitava ad alta voce insieme a Bernadette il Gloria Patri. Quando la piccola veggente ebbe terminato il Rosario, la bella Signora scomparve all’improvviso, ritirandosi nella nicchia, così come era venuta. 
Tre giorni dopo, il 14 Febbraio, Bernadette - che ha subito raccontato alla sorella e all’amica quanto le è accaduto, riferendo della cosa anche in casa – si sente chiamata interiormente verso la grotta di Massabielle, munita questa volta di una bottiglietta di acqua benedetta che getta prontamente sulla S. Vergine durante la nuova apparizione, perché, così le è stato detto, su queste cose non si sa mai e potrebbe anche essere il diavolo a farle un tiro mancino…
La Vergine sorride al gesto di Bernadette e non dice nulla. Il 18 febbraio, finalmente, la Signora parla. "Non vi prometto di farvi felice in questo mondo – le dice - , ma nell’altro. Volete farmi la cortesia di venire qui per quindici giorni?”. La Signora, quindi, confida a Bernadette tre segreti che la giovane deve tenere per sé e non rivelare mai a nessuno. 
Intanto la notizia delle apparizioni si diffonde in un baleno in tutta Lourdes e molti curiosi si recano con Bernadette in quella grotta dove lei dice di vedere "Aquéro” (quella là, nel dialetto di Lourdes). Bernadette, infatti, non conosce il francese, ma sa parlare solo il patois, il dialetto locale. E nel patois la bella Signora che le appare a Massabielle è "Aquéro”.
E intanto l’afflusso della gente alla grotta aumenta. Nell’apparizione del 24 febbraio la Madonna ripete per tre volte la parola "Penitenza”. Ed esorta: "Pregate per i peccatori”.
Il giorno seguente, la Signora dice a Bernadette di andare alla fonte a lavarsi e a bere. Ma non c’erano fonti in quel luogo, né sorgenti. La Signora allora indica un punto esatto. Bernadette vi si reca e poiché non vede l’acqua comincia a scavare con le sue mani, impiastricciandosi la faccia e mangiando fili d’erba... Tutti i presenti si burlano di lei. Ma, poco dopo, da quella piccola buca scavata nella terra dalle mani di Bernadette, cominciava a scorrere acqua in abbondanza. Un cieco si bagnò gli occhi con quell’acqua e riacquistò la vista all’istante. 
Da allora la sorgente non ha mai cessato di sgorgare. E’ l’acqua di Lourdes, che prodigiosamente guarisce ancora oggi ogni sorta di mali, spirituali e fisici, e senza minimamente diffondere il contagio delle migliaia di malati immersi nelle piscine. È anche il ricordo più caro che ogni pellegrino ama portare con sé, facendo ritorno a casa dalla cittadella di Maria. 
Ma un fatto ancora più eclatante doveva verificarsi, dopo il miracolo della sorgente, per avvalorare come soprannaturali le apparizioni di Massabielle. La Signora aveva chiesto a Bernadette che i sacerdoti si portassero lì in processione e che si costruisse una cappella. L’abate Peyramale, però, parroco di Lourdes, non ne voleva sapere e chiese perciò a Bernadette un segno irrefutabile: qual era il nome della bella Signora che le appariva alla grotta? 
Nell’apparizione del 25 marzo 1858, "Aquéro” rivelò finalmente il suo nome. Alla domanda di Bernadette, nel dialetto locale rispose: "Que soy era Immaculada Councepciou…” (Io sono l’Immacolata Concezione). Quattro anni prima, Papa Pio IX aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, cioè una verità della fede cattolica, ma questo Bernadette non poteva saperlo. Così, nel timore di dimenticare tale espressione per lei incomprensibile, la ragazza partì velocemente verso la casa dell’abate Peyramale, ripetendogli tutto d’un fiato la frase appena ascoltata. 
L’abate, sconvolto, non ha più dubbi. Da questo momento il cammino verso il riconoscimento ufficiale delle apparizioni può procedere speditamente, fino alla lettera pastorale firmata nel 1862 dal vescovo di Tarbes, che, dopo un’accurata inchiesta, consacrava per sempre Lourdes alla sua vocazione di santuario mariano internazionale.


O’Malley: «Da Francesco niente sacramenti ai divorziati risposati»

     

L’arcivescovo di Boston, tra i prelati Usa più vicini a Bergoglio: la Chiesa deve essere fedele al Vangelo e all'insegnamento di Cristo anche se a volte è molto difficile



 
Da Papa Francesco non bisogna aspettarsi i sacramenti ai divorziati risposati o svolte importanti in materia di contraccezione, gay e aborto: a un anno dalle dimissioni di Joseph Ratzinger, il suo successore sta ammorbidendo i toni, non le posizioni, e in questa chiave potrebbe affidare a una donna la guida di un nuovo dipartimento della Curia. A dare la linea sul Boston Globe è oggi il cardinale arcivescovo di Boston Sean O'Malley che parla con John Allen, uno dei più influenti vaticanisti americani.
 
 
O'Malley è, tra i prelati statunitensi, quello più vicino a Bergoglio, che lo ha inserito nel suo «G8», la commissione di otto saggi incaricati di riformare la burocrazia vaticana. Ad Allen, passato da una settimana al Boston Globe dal National Catholic Reporter con cui aveva lavorato per anni da dentro le Mura Leonine, il cardinale ha detto che chi si aspetta da Francesco importanti cambiamenti in materia di aborto, contraccezione e omosessualità probabilmente resterà deluso.
 
 
«La Chiesa deve essere fedele al Vangelo e all'insegnamento di Cristo», ha detto O'Malley: «A volte è molto difficile. Dobbiamo seguire quel che vuole Cristo e confidare che quel che ci chiede è la cosa migliore». Quanto ai sacramenti a divorziati e risposati che vorrebbero essere più vicini alla Chiesa, l'alto prelato ha detto di «non vedere alcuna ragione» per allentare le regole.
 
 
Le posizioni di O'Malley hanno un peso particolare: l'arcivescovo è l'unico americano che conosceva bene Bergoglio prima dell'elezione avendo spesso viaggiato in America Latina e parlando spagnolo correntemente. È anche l'unico americano nell'influente G-8, che nei prossimi giorni terrà la sua terza riunione sulla riforma della Curia. Uscendo dal terreno dottrinale, il cardinale ha segnalato la possibilità di svolte su due altri fronti importanti: donne nella Chiesa e annullamenti rotali.
 
 
Nel primo caso ha indicato che «è possibile» che Francesco nomini una donna alla testa di un importante dicastero vaticano come la ipotetica nuova Congregazione de Laici; nel secondo ha osservato che il sistema deve diventare di «più facile uso», ad esempio lasciando che le richieste siano risolte a livello nazionale senza dover far arrivare tutto a Roma.  

11/02/2014 fonte: Vatican Insider (Redazione Roma)


P. Lombardi: Benedetto XVI vive il tempo della preghiera, la sua rinuncia ha inciso nella storia della Chiesa





Ricorre oggi il primo anniversario dell'annuncio della rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI. Un gesto epocale che fu accolto con immensa sorpresa in tutto il mondo e non solo nella Chiesa. Al momento della rinuncia, del resto, molti osservatori ammisero che non si era preparati ad una decisione di tale portata. Per una riflessione sulla rinuncia di Papa Benedetto, un anno dopo, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana e della nostra emittente: 

R. – Erano secoli che non si aveva una rinuncia da parte di un Papa e quindi per la grandissima maggioranza delle persone si trattava di un gesto inusitato e sorprendente. In realtà, per chi accompagnava più da vicino Benedetto XVI, si era capito che aveva una riflessione su questo tema, e lo aveva detto già esplicitamente nella sua conversazione con Peter Seewald, qualche tempo prima – diverso tempo prima. E quindi, era un tema su cui egli pregava, rifletteva valutava, faceva un suo discernimento spirituale. E’ quello di cui ci ha dato poi atto e ci ha dato come un rapporto sintetico nel giorno della sua rinuncia, in quelle parole brevi ma densissime che spiegavano in modo assolutamente adeguato e chiaro i criteri in base a cui aveva preso la sua decisione. Quello che io dico – e ho detto già allora – è che mi sembrava un grande atto di governo, cioè una decisione presa liberamente che incide veramente nella situazione e nella Storia della Chiesa. In questo senso è un grande atto di governo, fatto con una grande profondità spirituale, una grande preparazione dal punto di vista della riflessione e della preghiera; un grande coraggio perché, effettivamente, trattandosi di una decisione inusitata, potevano esserci tutti i problemi o i dubbi sul "che cosa” avrebbe significato, come riflessi, come conseguenze per il futuro, come ricezione da parte del popolo di Dio o del pubblico. La chiarezza con cui Benedetto XVI si era preparato a questo gesto e, direi, la fede con cui si era preparato, gli ha dato la serenità e la forza necessaria per attuarla, andando con coraggio e con serenità, con una visione veramente di fede e di attesa del Signore che accompagna continuamente la sua Chiesa, incontro a questa situazione nuova che egli ha vissuto in prima persona, per diverse settimane, e poi la Chiesa ha vissuto con l’avvicendamento e l’elezione del nuovo Papa, come tutti sappiamo. Ecco: quindi, si è verificato in pieno questo senso di accompagnamento della Chiesa in cammino da parte dello Spirito del Signore.

D. – Proprio riguardo a questo ultimo passaggio: in molti, un anno fa, si chiedevano come sarebbe stata l’inedita convivenza tra due Papi. Oggi si vede che tante paure – forse più degli "esperti” che del popolo di Dio – erano esagerate …

R. – Sì … da questo punto di vista, a me sembrava assolutamente chiaro che non ci fosse da avere assolutamente nessun timore. Perché? Perché la questione è quella del fatto che il papato è un servizio e non è un potere. Se si vivono i problemi in chiave di potere, allora è chiaro che due persone possono avere difficoltà a convivere perché può essere difficile il fatto di rinunciare ad un potere e convivere con il successore. Ma se si vive tutto esclusivamente come servizio, allora una persona che ha compiuto il suo servizio davanti a Dio e in piena coscienza passa il testimone di questo servizio ad un’altra persone che con atteggiamento di servizio e di piena libertà di coscienza svolge questo compito, allora il problema non si pone assolutamente! C’è una solidarietà spirituale profonda fra i Servitori di Dio che cercano il bene del popolo di Dio nel servizio del Signore.

D. – Papa Benedetto si è congedato sottolineando che avrebbe continuato a servire la Chiesa con la preghiera: questo è un contributo realmente straordinario che ha dato, e sta dando ancora, vero?

R. – Sì … un piccolissimo ricordo personale: soprattutto nei primi tempi del Pontificato, ogni volta che c’era un’udienza e io passavo a salutare il Papa, come abituale mi dava un Rosario, perché succede spesso che si dia un’immagine, un Rosario, una medaglia … E ogni volta che il Papa mi dava un Rosario diceva: "Anche i preti devono ricordarsi di pregare”. Ecco, questo non l’ho mai dimenticato, perché manifestava così, in un modo molto semplice, la sua convinzione e la sua attenzione al posto della preghiera nella nostra vita, anche e in particolare nella vita di chi ha compiti di responsabilità nel servizio del Signore. Ecco, Benedetto XVI certamente è stato sempre un uomo di preghiera, in tutta la sua vita, e desiderava – probabilmente – avere un tempo in cui vivere questa dimensione della preghiera con più spazio, totalità e profondità. E questo è adesso il suo tempo.

D. – D’altro canto, la vita di preghiera di Papa Benedetto non manca di avere momenti di incontro, anche con Papa Francesco, come sappiamo. Cosa può dire su questa dimensione di vita nascosta, ma non isolata, di Joseph Ratzinger?

R. – Credo che sia giusto rendersi conto che vive in un modo discreto, senza una dimensione pubblica; ma questo non vuol dire che viva isolato, chiuso come in una clausura stretta. Svolge un’attività normale per una persona anziana – una persona anziana religiosa: quindi, una vita di preghiera, di riflessione, di lettura, di scrittura nel senso che risponde alla corrispondenza che riceve; di colloqui, di incontri con persone che gli sono vicine, che incontra volentieri, con cui ritiene utile avere un dialogo, che gli chiedono consiglio o vicinanza spirituale. Ecco, quindi: la vita di una persona ricca spiritualmente, di grande esperienza, in un rapporto discreto con gli altri … Quello che non c’è è la dimensione pubblica a cui eravamo abituati, essendo il Papa, e quindi era sempre sui teleschermi, davanti all’attenzione di tutto il mondo. Questo non c’è; ma per il resto, è una vita normale di rapporti. E tra questi rapporti, c’è il rapporto con il suo successore, il rapporto con Papa Francesco che, come sappiamo, ha dei momenti anche di incontro personale, di dialogo … uno è andato a casa dell’altro e viceversa. E poi ci sono le altre forme di contatto che possono essere il telefono o i messaggi che vengono mandati: una situazione di rapporto del tutto normale, direi, e di solidarietà. Mi pare che sia molto bello per noi, quando abbiamo quelle rare immagini dei due Papi insieme e che pregano insieme – il Papa attuale e il Papa emerito: è un segno molto bello e incoraggiante, della continuità del ministero petrino nel servizio della Chiesa.

D. – Da ultimo: padre Lombardi, lei ha seguito Benedetto XVI per tutti gli anni del suo Pontificato. Cosa Papa Benedetto le sta dando ora, personalmente, spiritualmente, dall’11 febbraio scorso?

R. – Ma, io sento molto la presenza di Papa Benedetto XVI, come una presenza spirituale forte che accompagna, che rasserena … Io penso alle grandi figure degli anziani della Storia della Chiesa e della Storia sacra; in particolare, tutti pensiamo – per esempio – a Simeone, che accoglie nel Tempio Gesù e che guarda con gioia anche al suo destino eterno e anche al futuro della comunità che continua a camminare su questa terra. Ecco, tutti noi sappiamo il grandissimo valore di avere con noi gli anziani, anziani ricchi di saggezza, ricchi di fede, sereni: sono veramente un grandissimo aiuto per chi è più giovane, per andare avanti guardando con fiducia e con speranza al futuro. Questo è per me – e credo per la Chiesa – Benedetto XVI: il Grande Anziano, saggio, diciamo pure: santo, che ci invita con serenità – perché è anche bello, quando lo si vede: dà veramente un’impressione di grande serenità spirituale. Ha conservato il suo sorriso che ci era abituale, nei momenti belli in cui lo incontravamo – e che ci invita quindi ad andare avanti nel cammino, con fiducia e con speranza.



11/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il Papa: vivere il mistero della presenza di Dio nella Messa, venire a Santa Marta non è tappa turistica





Riscoprire il senso del sacro, il mistero della presenza reale di Dio nella Messa: è l’invito di Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica presieduta lunedì mattina a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofani 

La prima Lettura del giorno parla di una teofania di Dio ai tempi del re Salomone. Il Signore scende come nube sul Tempio, che viene riempito della gloria di Dio. Il Signore – commenta il Papa – parla al suo Popolo in tanti modi: attraverso i profeti, i sacerdoti, la Sacra Scrittura. Ma con le teofanie parla in un’altra maniera, "diversa dalla Parola: è un’altra presenza, più vicina, senza mediazione, vicina. E’ la Sua presenza”. "Questo – spiega - succede nella celebrazione liturgica. La celebrazione liturgica non è un atto sociale, un buon atto sociale; non è una riunione dei credenti per pregare assieme. E’ un’altra cosa. Nella liturgia, Dio è presente”, ma è una presenza più vicina. Nella Messa, infatti, "la presenza del Signore è reale, proprio reale”:

"Quando noi celebriamo la Messa, noi non facciamo una rappresentazione dell’Ultima Cena: no, non è una rappresentazione. E’ un’altra cosa: è proprio l’Ultima Cena. E’ proprio vivere un’altra volta la Passione e la morte redentrice del Signore. E’ una teofania: il Signore si fa presente sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo. Noi sentiamo o diciamo: ‘Ma, io non posso, adesso, devo andare a Messa, devo andare a sentire Messa’. La Messa non si ‘sente’, si partecipa, e si partecipa in questa teofania, in questo mistero della presenza del Signore tra noi”. 

Il presepe, la Via Crucis, sono rappresentazioni – ha spiegato ancora Papa Francesco – la Messa, invece, "è una commemorazione reale, cioè è una teofania: Dio si avvicina ed è con noi, e noi partecipiamo al mistero della Redenzione”. Purtroppo – ha sottolineato – tante volte guardiamo l’orologio a Messa, "contiamo i minuti”: "non è l’atteggiamento proprio che ci chiede la liturgia: la liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo metterci lì, nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio”: 

"La liturgia è proprio entrare nel mistero di Dio, lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero. Per esempio, io sono sicuro che tutti voi venite qui per entrare nel mistero; però, forse qualcuno dice: ‘Ah, io devo andare a Messa a Santa Marta perché nella gita turistica di Roma c’è da andare a visitare il Papa a Santa Marta, tutte le mattine: è un posto turistico, no?’ (ride). Tutti voi venite qui, noi ci riuniamo qui per entrare nel mistero: è questa la liturgia. E’ il tempo di Dio, è lo spazio di Dio, è la nube di Dio che ci avvolge tutti”. 

Il Papa ricorda che, da bambino, durante la preparazione alla Prima Comunione, c’era un canto che indicava come l’altare fosse custodito dagli angeli per dare "il senso della gloria di Dio, dello spazio di Dio, del tempo di Dio”. E quando, durante le prove, si portavano le ostie, dicevano ai bambini: "Guardate che queste non sono quelle che voi riceverete: queste non valgono niente, perché ci sarà la consacrazione!”. Così, conclude il Papa, "celebrare la liturgia è avere questa disponibilità ad entrare nel mistero di Dio”, nel suo spazio, nel suo tempo, e affidarsi "a questo mistero”:

"Ci farà bene oggi chiedere al Signore che dia a tutti noi questo ‘senso del sacro’, questo senso che ci fa capire che una cosa è pregare a casa, pregare in chiesa, pregare il Rosario, pregare tante belle preghiere, fare la Via Crucis, tante cose belle, leggere la Bibbia … e un’altra cosa è la celebrazione eucaristica. Nella celebrazione entriamo nel mistero di Dio, in quella strada che noi non possiamo controllare: soltanto è Lui l’Unico, Lui la gloria, Lui è il potere, Lui è tutto. Chiediamo questa grazia: che il Signore ci insegni ad entrare nel mistero di Dio”.



11/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

Veglia di preghiera per la Siria a Roma. Mons. Marayati: "Crediamo ancora nella pace"

Si è pregato per la Siria domenica sera a Roma: nella parrocchia di Santa Maria in Portico in Campitelli, una veglia è stata presieduta dal vescovo ausiliare di Roma mons. Matteo Zuppi. I fedeli e religiosi presenti hanno pregato per la pace nel Paese mediorientale e la liberazione di tutti i rapiti, in particolare i due sacerdoti padre Michel Kayyal e padre Maher Mahfouz, il vescovo siro-ortodosso di Aleppo, Gregorios Youhanna Ibrahim, e il vescovo greco-ortodosso di Aleppo e Iskenderun, Bouloz Yaziji, le suore di Maalula e padre Paolo Dall’Oglio, gesuita romano. Per noi c’era Davide Maggiore: 

"Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati, beati i miti, perché avranno in eredità la terra… Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Il "discorso della montagna”, tratto dal Vangelo di Matteo, insieme ai canti della comunità di Taizé, ha accompagnato la meditazione di quanti si sono raccolti in preghiera. Questa la riflessione di mons. Matteo Zuppi: 

"Non c’è felicità e non c’è beatitudine senza lavorare per la pace, senza scegliere di stare dalla parte di chi è afflitto, di chi deve essere consolato, non c’è felicità chiudendosi nella bolla di sapone o diventando spettatori. Il rischio di fronte alle guerre e anche alla guerra in Siria è di essere distratti, di non vivere la tragedia di quel Paese. Lavorare per la pace vuol dire perlomeno fare nostra la domanda, il gemito di dolore, e intercedere per la Siria”.

Oltre all’intercessione per la Siria e per i popoli del Medio Oriente - perché abbandonino ogni divisione e costruiscano un futuro di giustizia e pace - a un anno dal sequestro dei due sacerdoti di Aleppo, si è chiesta la liberazione loro e di tutti gli ostaggi del conflitto siriano. Ancora mons. Zuppi:

"Molti di loro li conoscevamo, sono amici, persone che, come i due vescovi, in realtà cercavano di liberare altri. Ci aiutano a capire la tragedia di questo Paese che è interamente prigioniero della violenza e della guerra”.

Della situazione in Siria ha dato testimonianza mons. Boutros Marayati, l’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, che ha parlato di una città "martire”, i cui abitanti sono "senza acqua, senza luce, senza cibo, senza medicine né riscaldamento”:

"Ma noi ancora crediamo nella pace, ancora crediamo che Dio è con noi e non ci lascia mai. Crediamo nella forza della preghiera. Crediamo nei miracoli!”.

La preghiera dei religiosi e dei fedeli di Roma è una consolazione per il popolo sirano, ha proseguito l’arcivescovo:

"Dirò ai miei fedeli: non abbiate paura, non lasciate il Paese, credete nel Signore e il Signore ascolterà il grido di tutti coloro che vivono la guerra e aspettano la pace”.

Sul valore della preghiera si è soffermato anche mons. Zuppi, a partire dalla parabola evangelica della vedova insistente:

"Non può che essere così. Chi vuole giustizia e chi è colpito dalla sofferenza chiede con insistenza finché non ottiene. È quello che noi dobbiamo far nostro, ciò che il Signore ci insegna, cioè a essere insistenti. Per noi che siamo spesso molto più rapidi, ci stanchiamo subito, questa insistenza ci aiuta ad andare in profondità e scegliere davvero di pregare per la Siria”.



11/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 02/02/2014 Presentazione di Gesù al tempio


La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di "presentazione del Signore", che aveva in origine. L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza degli sfollati e dei perseguitati, quindi degli esuli.
L'incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio. Non stupisce quindi che alla festa odierna si sia dato un tempo tale risalto da indurre l'imperatore Giustiniano a decretare il 2 febbraio giorno festivo in tutto l'impero d'Oriente.
Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio I (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "candelora". La notizia data già da Beda il Venerabile, secondo la quale la processione sarebbe un contrapposto alla processione dei Lupercalia dei Romani, e una riparazione alle sfrenatezza che avvenivano in tale circostanza, non trova conferma nella storia.


Messa Vita consacrata. Il Papa: Gesù sia sempre al centro, no a chiusure e rigidità





Al centro della vita dei religiosi ci sia sempre Gesù. E’ quanto sottolineato, stamani, da Papa Francesco nella Messa in San Pietro per la 18.ma Giornata mondiale della Vita consacrata, in occasione della Festa della Presentazione del Signore. Il Papa ha affermato che, nella Chiesa, è fondamentale l’incontro tra osservanza e profezia, tra giovani e anziani, senza chiusure e rigidità. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Le candele benedette dal Papa, la processione nel cuore della Basilica petrina, mentre il coro canta "O luce radiosa, eterno splendore del Padre”. E’ iniziata in questo modo fortemente simbolico la Messa per la Giornata della Vita Consacrata. Nell’omelia, il Papa si è soffermato sull’immagine proposta dal Vangelo: la Presentazione di Gesù al Tempio. Un avvenimento, ha detto, che si può definire festa dell’"incontro tra Gesù e il suo popolo", ma anche incontro tra i giovani, Maria e Giuseppe con il loro neonato e gli anziani Simeone e Anna. I genitori di Gesù, ha osservato il Papa, "hanno la gioia di osservare i precetti di Dio”, "la gioia di camminare nella Legge del Signore!”:

"Sono due sposi novelli, hanno appena avuto il loro bambino e sono tutti animati dal desiderio di compiere quello che è prescritto. E questo non è un fatto esteriore, non è per sentirsi a posto, no! E’ un desiderio forte, profondo, pieno di gioia. E’ quello che dice il Salmo: ‘Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia… La tua legge è la mia delizia’”.

Gli anziani, dice invece San Luca, "erano guidati dallo Spirito Santo”. Di Simeone si narra che "era un uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione di Israele”. Di Anna, dice che era una "profetessa”, "ispirata da Dio”:

"Insomma, questi due anziani sono pieni di vita! Sono pieni di vita perché animati dallo Spirito Santo, docili alla sua azione, sensibili ai suoi richiami”.

Il Papa ha così approfondito il significato di questo incontro "tra i giovani pieni di gioia nell’osservare la Legge del Signore e gli anziani pieni di gioia per l’azione dello Spirito Santo”:

"E’ un singolare incontro tra osservanza e profezia, dove i giovani sono gli osservanti e gli anziani sono i profetici! Ma sembra al rovescio, no? Una cosa differente. In realtà, se riflettiamo bene, l’osservanza della Legge è animata dallo stesso Spirito, e la profezia si muove nella strada tracciata dalla Legge. Chi più di Maria è piena dello Spirito Santo? Chi più di lei è docile alla sua azione?”.

Proprio alla luce di questa scena evangelica, ha affermato, "guardiamo alla vita consacrata come ad un incontro con Cristo”:

"E’ Lui che viene a noi, portato da Maria e Giuseppe, e siamo noi che andiamo verso di Lui, guidati dallo Spirito Santo. Ma al centro c’è Lui. Lui muove tutto, Lui ci attira al Tempio, alla Chiesa, dove possiamo incontrarlo, riconoscerlo, accoglierlo, abbracciarlo”.

Gesù, ha detto il Papa, "ci viene incontro nella Chiesa attraverso il carisma fondazionale di un Istituto”, aggiungendo che "è bello pensare così” alla propria vocazione!:

"Il nostro incontro con Cristo ha preso la sua forma nella Chiesa mediante il carisma di un suo testimone, di una sua testimone. Questo sempre ci stupisce e ci fa rendere grazie. E anche nella vita consacrata si vive l’incontro tra i giovani e gli anziani, tra osservanza e profezia. Non vediamole come due realtà contrapposte!”.

"Lasciamo piuttosto che lo Spirito Santo le animi entrambe – ha esortato – e il segno di questo è la gioia: la gioia di osservare, di camminare in una regola di vita”. La gioia, ha soggiunto, "di essere guidati dallo Spirito, mai rigidi, mai chiusi, sempre aperti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che ci invita ad andar verso l’orizzonte”:

"Fa bene agli anziani comunicare la saggezza ai giovani; e fa bene ai giovani raccogliere questo patrimonio di esperienza e di saggezza e portarlo avanti, non per custodirlo in un museo. No, no, no! Per portarlo avanti con le sfide che la vita ci pone, ci dà. Portarlo avanti per il bene delle rispettive famiglie religiose e di tutta la Chiesa”.



02/02/2014 fonte: Radio Vaticana 

C'è anche una Chiesa che non sta in silenzio

di Matteo Matzuzzi

Incontrando giovedì scorso in Vaticano una delegazione della University of Notre Dame dell’Indiana (ne aveva già riferito Massimo Introvigne), il Papa si è soffermato sull’identità cattolica del campus: «Auspico che l’Università Notre Dame continui ad offrire la sua indispensabile ed inequivocabile testimonianza a questo aspetto della sua fondamentale identità cattolica, specialmente di fronte ai tentativi, da qualsiasi parte essi provengano, di diluirla. E questo è importante: l’identità propria, come è stata voluta dall’inizio. Difenderla, conservarla, farla andare avanti». 

Parole dirette sì all’università dell’Indiana, ma anche a tutti i campus che, da secoli cattolici nel nome, spesso approvano statuti che poco hanno a che fare con quanto prevede il Magistero romano. Rimanendo negli Stati Uniti, le battaglie tra abortisti e anti abortisti alla Loyola Marymount di Los Angeles e alla Georgetown di Washington sono solo due tra i più recenti e rilevanti esempi. 

Le parole del Papa vengono dunque spese in uno di quei "determinati contesti” di cui lo stesso Francesco parlò nell’intervista estiva alla Civiltà Cattolica, quando invitò a non insistere troppo su aborto, nozze omosessuali e contraccezione, se non – appunto – quando necessario. 

Qualche giorno fa, però, l’arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, ha respinto in un’intervista al quotidiano Boston Herald ogni accusa di ossessionare i fedeli con prediche dai pulpiti delle chiese tutte centrate su aborto e nozze omosessuali: «Un cattolico sentirà forse una volta all’anno un’omelia contro l’aborto. Ma se date un’occhiata al New York Times, in una settimana su quel giornale ci saranno almeno venti articoli su omosessualità, aborto e nozze gay. Chi è allora l’ossessionato?». Il punto, ha chiarito il porporato cappuccino membro della speciale consulta incaricata dal Pontefice di rifondare la Curia romana e di consigliarlo nel governo della Chiesa universale, è che «quando lo stato comincia a decidere chi è degno di vivere e chi no, a quel punto gli stessi diritti dell’uomo sono messi in pericolo».

La battaglia contro l’eutanasia non fa parte di quella triade, ma è comunque uno di quei princìpi su cui la Chiesa non ammette negoziazione. In Belgio è ormai prossimo all’approvazione da parte del Parlamento il disegno di legge che la legalizza anche per i minori, senza alcun limite d’età (il che fa del provvedimento il più "estremo” al mondo in tema di fine vita). Le condizioni per la concessione della cosiddetta "dolce morte” prevedono che il richiedente sia malato terminale, che la sofferenza patita sia insopportabile e che uno psichiatra attesti che il soggetto interessato sia consapevole di ciò cui sta andando incontro. 

Davanti a questa prospettiva, ha alzato la voce l’arcivescovo di Bruxelles, mons. André Léonard, che ha chiamato a raccolta i fedeli cattolici belgi. Convocate veglie di preghiera in tutto il Paese, cattedrali e piccole chiese aperte, sit-in, marce. Il tutto corredato da una giornata di digiuno. Giovedì prossimo, la veglia a Bruxelles sarà presieduta dall’arcivescovo in persona e avrà inizio alle ore 20.00. L’obiettivo, ha spiegato il presule, è di estendere ai santuari e alle altre chiese periferiche il programma che sarà attuato nella capitale e a Lovanio. Quella di Léonard è una vera chiamata a scendere in strada: «Bisogna avere il coraggio di dire ai nostri concittadini che non è troppo tardi, il momento è ora! Dobbiamo agitare le nostre coscienze e anche quelle dei nostri fratelli e sorelle. E’ giunto il momento di agire. Contiamo su di voi». 

E’ il segno che qualcosa si muove. In Spagna, dove il presidente uscente della locale conferenza episcopale, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela ha chiuso il Consiglio permanente di gennaio schierandosi a difesa del progetto di legge del ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón che limita la possibilità di abortire a pochi casi ben definiti. In Italia, dove merita attenzione la Nota pastorale dei vescovi del Triveneto in cui è ribadita all’unanimità ogni contrarietà al tentativo di accantonare le parole «padre e madre in luogo di altre meno discriminanti e allo stravolgimento del valore di famiglia naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna». 

Ma soprattutto qualcosa si muove in quei contesti che poco hanno da invidiare alle periferie esistenziali extraeuropee così tanto citate da Papa Francesco. Il Belgio è una delle vittime principali del laicismo esasperato e di cattolico, in quel paese ci sono ormai solamente le chiese intese come edifici di culto. Nella gran parte dei casi vuoti. Mons. Léonard, che in passato si è preso in faccia le torte delle attiviste di Femen senza reagire in alcun modo, ha l’obiettivo di far risvegliare la fede in quella terra. E i «criteri della fede – ha detto ieri Francesco al termine dei lavori della plenaria della congregazione per la Dottrina della fede ¬– devono sempre prevalere nelle parole e nella prassi della Chiesa». Prendersi cura dell’integrità della fede, ha aggiunto il Pontefice, «è un compito che serve a salvaguardare il diritto di tutto il Popolo di Dio a ricevere il deposito della fede nella sua purezza e nella sua integralità». Inoltre, «la verità esige la fedeltà, questa cresce sempre nella carità e nell’aiuto fraterno per chi è chiamato a maturare o chiarire le proprie convinzioni».

02/02/2014 fonte La nuova bussola quotidiana

I vescovi brasiliani scelgono la tratta di esseri umani come tema per la Campagna di Fraternità




Sarà dedicata alla tratta di esseri umani la prossima Campagna di Fraternità, la tradizionale iniziativa di solidarietà promossa dalla Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) durante il periodo della Quaresima. L’intento è quello di richiamare l’attenzione dei fedeli e dell’opinione pubblica su un argomento di particolare rilevanza sociale. La Campagna, giunta ormai alla sua 51.ma edizione, prenderà il via il 5 marzo, mercoledì delle Ceneri, con lo slogan "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal. 5,1). In calendario, una serie di iniziative di sensibilizzazione, formazione e preghiera per far comprendere meglio il fenomeno della tratta e per preparare "agenti pastorali”, in grado di aiutare le comunità impegnate in questa lotta. Il traffico di esseri umani e quello connesso della schiavitù sono una piaga ancora molto diffusa in Brasile, come conferma il numero delle retate condotte dalle autorità del Paese nel 2013. L’ultima è del 21 gennaio scorso, quando 34 persone sono state liberate nel corso di un’operazione condotta in cinque centri clandestini di produzione di carbone. Un caso che ha confermato le preoccupazioni dei vescovi sulla diffusione della schiavitù in tanti settori dell’economia brasiliana. Allora, commentando l’operazione, il presidente della Conferenza episcopale, mons. Raymundo Damasceno Assis, aveva ricordato che il traffico di esseri umani è un’attività favorita dalla miseria e dalle disuguaglianze sociali, di cui approfittano trafficanti senza scrupoli. Il presule aveva quindi richiamato lo Stato ad adottare "misure adeguate per sradicare la schiavitù, proteggere chi lotta contro questa piaga e punire in modo esemplare i responsabili”. E per contrastare il grave fenomeno, la Commissione episcopale per la Carità, la Giustizia e la Pace ha avviato lo scorso autunno un gruppo di lavoro specificamente dedicato a questo problema, che ha forti implicazioni anche a livello pastorale. Secondo la Ong "Walk Free Foundation”, nel solo Brasile sarebbero almeno 200 mila le persone ridotte in schiavitù. (L.Z)




02/02/2014 fonte Radio Vaticana

Giornata per la Vita. Il Papa: ogni figlio è un dono. Casini: i bimbi non nati, "periferie" del vivere





Accogliere, rispettare e servire la vita "specialmente quando è fragile". E' questa la sostanza dell'appello che Papa Francesco ha rivolto questa mattina al momento dell'Angelus, salutando in particolare i promotori della Giornata della Vita. I figli sono un "dono per la famiglia e la società", hanno ripetuto i vescovi nel Messaggio scritto in tale circostanza. Spunti sui quali si sofferma il presidente del Movimento per la vita, Carlo Casini, intervistato da Federico Piana.

R. – E’ talmente vera, questa frase, che i figli sono il nostro futuro, che se noi provassimo a immaginare che, per una sorta di maleficio o per una malattia incontrollabile, improvvisamente tutta l’umanità diventasse incapace di generare figli, tutto il senso della storia finirebbe e la nostra sarebbe l’ultima delle generazioni, non ci sarebbe futuro… Che senso avrebbe avuto tutta la fatica alle nostre spalle? Sarebbe l’equivalente di una guerra atomica capace di distruggere il genere umano in tutto il mondo. Quindi, veramente, la riflessione sui figli, sui bambini, è importantissima: guardare il futuro con gli occhi dei bambini, ricostruirlo pensando che senza di loro non c’è futuro.

D. – E proprio per questo, ora più che mai, bisogna combattere l’aborto uscendo anche in prima linea…

R. – I vescovi italiani l’hanno detto tante volte e anche i Papi, tutti, l’hanno detto tante volte. Bisogna ricominciare dagli ultimi, e gli ultimi – e più ultimi che più di così ultimi non si può essere – sono i bambini quando non sono più i bambini di tutti, cioè i bambini che incominciano ad esistere: quando stanno ancora nel seno della mamma – e ora, purtroppo, anche in una provetta di laboratorio. Persone che si trovano nelle periferie del vivere più di loro non ce ne sono.

D. – Però, i vescovi dicono questo: mancano politiche familiari adeguate…

R. – Sì, è così, certamente. E nella nostra esperienza – nei nostri Centri di aiuto alla vita che si occupano soprattutto di bambini quando ancora sono nel seno materno e sono a rischio di aborto – la componente di spinta economica verso l’aborto è molto forte: supera sostanzialmente il 50% dei casi. Questo è molto grave, perché in uno Stato che pretende di essere uno Stato sociale, cioè solidale, attento ai più piccoli, ai più deboli, è inaccettabile questa cosa. Però, c’è anche l’esperienza della capacità di coraggio che supera le difficoltà: anche le più grandi difficoltà possono essere superate se chi si trova in mezzo fa scattare la molla del coraggio e della speranza, e se chi sta intorno è capace di condividere i problemi.



02/02/2014 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 28/01/2014 San Tommaso D'Aquino sacerdote e dottore della chiesa
Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: "Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua "Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. 




Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli
Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi. 
Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come "oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta. 
Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore. 
A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore. 

Domenicano; incomprensioni della famiglia
Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi. 
Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi. 
I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata. 
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di "Dottore Angelico”. 
Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire. 

Studente a Colonia con s. Alberto Magno
Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica. 
Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano. 
A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi "il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza. 
Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: "Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”. 

Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla Cattedra di "baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen. 
Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia. 
Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere "maestro degli stranieri”. 
Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: "Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore. 
Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università. 
Già con il commento alle "Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
"Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002). 
A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato "Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani. 

Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici
All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264. 
Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della "Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato "Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici. 
Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento. 
Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso "Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con "Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento. 
Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo "Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani. 

La "Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo
A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una "Summa theologiae”, per "presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”. 
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della "processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del "movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù "che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire. 
Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi. 
Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò. 

Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli
Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche "De unitate intellectus”; "De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le "Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata "Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi. 
All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi. 
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio. 
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo "Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università. 
Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi. 

L’interruzione radicale del suo scrivere
Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli. 
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro. 
Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: "Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: "L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”. 
Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari. 

I doni mistici
La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire "Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: "Nient’altro che te, Signore”. 
Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il "bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore. 
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra. 
Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla. 

Sempre più ammalato; in viaggio per Lione
Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose. 
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta. 
Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo. 
Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato. 
Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: "le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia. 

La sua fine nell’abbazia di Fossanova
Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese. 
Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: "Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”. 
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi. 

Il suo insegnamento teologico
La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime "Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 "Questiones disputatae”, 12 "Quodlibera”, oltre 40 opuscoli. 
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati. 
Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico. 
Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham. 
L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il "Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio 1323. 

Il suo culto
Nel 1567 s. Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche. 
La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369. 
Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città. 
A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia. 


Giornata Memoria. Il Papa: non si ripetano più tali orrori, vergogna dell’umanità




Mai più l’orrore della Shoah, vergogna per l’umanità. E’ quanto scrive Papa Francesco, nella Giornata della Memoria, in una lettera al suo amico rabbino di Buenos Aires, Abraham Skorka. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Papa Francesco ha scelto la modalità più personale, quella della lettera ad un amico ebreo, per esprimere la sua vicinanza al popolo ebraico nella Giornata della Memoria. Una lettera, scritta di suo pugno in spagnolo, al rabbino Skorka, con il quale a Buenos Aires ha intessuto, negli anni, un’amicizia che va ben al di là del dialogo tra due leader religiosi. Nel documento indirizzato in occasione del Concerto "I violini della speranza” – evento organizzato per ricordare le vittime della Shoah – il Papa auspica che quanti ascolteranno questa musica struggente "possa immedesimarsi in quelle lacrime storiche, che oggi giungono a noi attraverso i violini, e senta il forte desiderio di impegnarsi perché mai più si ripetano tali orrori, che costituiscono una vergogna per l’umanità”. Il pubblico, afferma ancora il Papa, ascolterà musiche di Vivaldi, Beethoven e altri grandi compositori, "ma il cuore di ciascuno dei presenti – scrive – sentirà che dietro il suono della musica vive il suono silenzioso delle lacrime storiche, lacrime di quelle che lasciano traccia nell'anima e nel corpo dei popoli”. 




28/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

Rubata in Abruzzo l’ampolla del sangue di Giovanni Paolo II





Un furto sacrilego ha creato molta impressione in una comunità locale da sempre devota a Papa Wojtyla, che con la gente d'Abruzzo amava intrattenersi durante le sue numerose escursioni sul Gran Sasso. Degli sconosciuti hanno prelevato la notte tra sabato e domenica le sue reliquie, tra cui una rara ampolla del suo sangue, dalla chiesetta di San Pietro della Ienca, vicino L'Aquila. Indagano i carabinieri, e la Procura ha gia' aperto un fascicolo. Il furto - afferma all'agenzia Ansa Pasquale Corriere, ex consigliere comunale a L'Aquila e ora presidente dell'associazione culturale 'San Pietro alla Ienca', promotrice di varie iniziative attorno alle reliquie del Papa polacco che sara' canonizzato in aprile - ripropone la questione delle misure di sicurezza sulla chiesetta che, dopo un periodo di chiusura ai fedeli, di giorno è spesso aperta al culto. A scoprire il furto, ieri mattina, il parroco Jose' Obama. La speranza - aggiunge Corriere - è che i responsabili si pentano e restituiscano il maltolto, o che vengano presto individuati e arrestati. Le indagini dei Carabinieri, procedono serrate, con sopralluoghi dentro e fuori del santuario. La curia aquilana ha anche informato del furto la Santa Sede, che - fa sapere la curia - attende lo sviluppo delle indagini. Giovanni Paolo II si era recato molte volte in veste ufficiale, e altre - si dice - in segreto, nel piccolo santuario di montagna. Le reliquie erano state donate al santuario, proprio allora dedicato a Giovanni Paolo II in ricordo delle sue visite, nel 2011 dal card. Stanislaw Dziwisz. (R.P.)




28/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

Papa Francesco: grazie ai tanti sacerdoti santi che danno la loro vita nel silenzio




La Chiesa non si può capire come semplice organizzazione umana, la differenza la fa l'unzione che dona a vescovi e sacerdoti la forza dello Spirito per servire il popolo di Dio: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta lunedì mattina a Santa Marta. Il Pontefice ha ringraziato i tanti sacerdoti santi che danno la vita nell'anonimato del loro servizio quotidiano. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Commentando la prima lettura del giorno, che parla delle tribù d’Israele che ungono Davide come loro re, il Papa spiega il significato spirituale dell’unzione. "Senza questa unzione – ha affermato - Davide sarebbe stato soltanto il capo” di "un’azienda”, di una "società politica, che era il Regno d’Israele”, sarebbe stato un semplice "organizzatore politico”. Invece, "dopo l’unzione, lo Spirito del Signore” scende su Davide e rimane con lui. E la Scrittura dice: "Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore Dio degli eserciti era con lui”. "Questa – osserva Papa Francesco - è proprio la differenza dell’unzione”. L’unto è una persona scelta dal Signore. Così è nella Chiesa per i vescovi e i preti:

"I vescovi non sono eletti soltanto per portare avanti un’organizzazione, che si chiama Chiesa particolare, sono unti, hanno l’unzione e lo Spirito del Signore è con loro. Ma tutti i vescovi, tutti siamo peccatori, tutti! Ma siamo unti. Ma tutti vogliamo essere più santi ogni giorno, più fedeli a questa unzione. E quello che fa la Chiesa proprio, quello che dà l’unità alla Chiesa, è la persona del vescovo, in nome di Gesù Cristo, perché è unto, non perché è stato votato dalla maggioranza. Perché è unto. E in questa unzione una Chiesa particolare ha la sua forza. E per partecipazione anche i preti sono unti”. 

L’unzione – prosegue il Papa – avvicina i vescovi e i preti al Signore e dà loro la gioia e la forza "di portare avanti un popolo, di aiutare un popolo, di vivere al servizio di un popolo”. Dona la gioia di sentirsi "eletti dal Signore, guardati dal Signore, con quell’amore con cui il Signore ci guarda, tutti noi”. Così, "quando pensiamo ai vescovi e ai preti, dobbiamo pensarli così: unti”: 

"Al contrario non si capisce la Chiesa, ma non solo non si capisce, non si può spiegare come la Chiesa vada avanti soltanto con le forze umane. Questa diocesi va avanti perché ha un popolo santo, tante cose, e anche un unto che la porta, che l’aiuta a crescere. Questa parrocchia va avanti perché ha tante organizzazioni, tante cose, ma anche ha un prete, un unto che la porta avanti. E noi nella storia conosciamo una minima parte, ma quanti vescovi santi, quanti sacerdoti, quanti preti santi che hanno lasciato la loro vita al servizio della diocesi, della parrocchia; quanta gente ha ricevuto la forza della fede, la forza dell’amore, la speranza da questi parroci anonimi, che noi non conosciamo. Ce ne sono tanti!”. 

Sono tanti – dice Papa Francesco – "i parroci di campagna o parroci di città, che con la loro unzione hanno dato forza al popolo, hanno trasmesso la dottrina, hanno dato i sacramenti, cioè la santità”:

"’Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!’. ‘Eh sì, anche io l’ho letto, ma, dimmi, sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e di campagna, tanta carità che fanno, tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?’. Ah, no! Questa non è notizia. Eh, quello di sempre: fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce. Oggi pensando a questa unzione di Davide, ci farà bene pensare ai nostri vescovi e ai nostri preti coraggiosi, santi, buoni, fedeli e pregare per loro. Grazie a loro oggi noi siamo qui!”.



28/01/2014 fonte: Radio Vaticana

Vescovi austriaci in visita ad Limina. Card. Schönborn: usciamo dalle parrocchie per incontrare la vita degli altri





E’ iniziata ieri, e proseguirà fino a venerdì, la visita ad limina dei vescovi dell’Austria. Tanti i temi di attualità che interpellano la Chiesa di questo Paese nel cuore dell’Europa, con circa 8 milioni e mezzo di abitanti, che - battezzati all'89 per cento - si dichiarano cattolici al 63%, di cui solo il 9% frequenta la Messa, mentre cresce il numero degli atei. Tra le questioni che, negli ultimi anni, hanno sollevato preoccupazione vi è stata la cosiddetta "Iniziativa dei Parroci” (Pfarrer-Iniziative), lanciata nel 2006 per chiedere riforme alla Chiesa su temi dottrinali e pastorali. Un appello alla disobbedienza che era stato condannato da Benedetto XVI durante la Messa del Giovedì Santo nel 2012. Ma qual è oggi la situazione della Chiesa austriaca? Padre Bernd Hagenkord, responsabile del Programma tedesco della Radio Vaticana, lo ha chiesto al cardinale Christoph Schönborn, presidente della Conferenza episcopale austriaca: 

R. - Scrivere della Chiesa nei media e parlare della vita reale della Chiesa sono questioni decisamente differenti. Io l’ho sperimentato chiaramente nella vicenda dell’"Iniziativa dei parroci”. In tutto il mondo la percezione della Chiesa austriaca ruotava intorno a quell’unico tema: ‘l’invito alla disobbedienza’. Ogni qualvolta mi capitava di incontrare dei vescovi di diverse parti del mondo, mi dicevano sempre: "Poveri voi, che cosa spaventosa!”; al che io spiegavo che i preti che avevano aderito all’iniziativa erano soltanto una piccola percentuale e quasi tutti nel distretto di Promill. Quando lo dicevo c’era sempre grande sorpresa. Da ciò si comprende la differenza tra ciò che viene raccontato dai media e ciò che è invece la realtà della Chiesa. Lei mi domanda se la Chiesa in Austria sta vivendo una situazione positiva o negativa? E’ nel mezzo di un grande processo di cambiamento. 

D. - Lei ha portato con sé i risultati al Questionario in preparazione al prossimo Sinodo su Famiglia ed evangelizzazione? Sappiamo che in molte diocesi germanofone si manifesta una profonda discrepanza tra dottrina e fede vissuta... 

R. - E’ impossibile compiere un’analisi in così breve tempo. Per quanto riguarda l’Austria sono arrivate 30mila risposte, è un dato enorme ed è un buon segno, perché c’è un grande interesse al riguardo.

D. - Ma volendo fare una supposizione: la tendenza sarà simile, tra trasmissione della fede e prassi ci sarà un abisso...

R. - Posso tentare di dirla così: i desideri, le speranze e le aspettative coincidono più di quanto ci si aspetti con ciò che la Bibbia e la Chiesa affermano in materia di matrimonio e famiglia. Ciò che per molte persone resta il quadro di riferimento è una relazione riuscita, una famiglia riuscita, una società in cui le diverse generazioni siano unite nella famiglia. La realtà molto spesso non corrisponde a questa visione e creare un ponte tra ciò che si desidera e ciò che invece è, ciò che di fatto si riesce a fare, è naturalmente la grande sfida che si pone di fronte a tutti noi. La questione cruciale, che non soltanto pone Papa Francesco, ma che naturalmente è già nel Vangelo, è quella di far coincidere realtà e misericordia. La misericordia di Dio e degli uomini, nei confronti di ciò che solo talvolta riesce come si vorrebbe, o non riesce affatto, nei confronti di ciò che si è sperato e atteso e anche di ciò che è l’insegnamento e l’indirizzamento che Dio dà agli uomini. Riuscire a mettere insieme queste cose è un compito molto difficile e che peraltro non è affatto nuovo. Un Cancelliere austriaco ha detto una volta questa frase: ‘Imparate la storia!’. Rifletto spesso sul fatto che dimentichiamo, quanto poco scontato fosse il matrimonio prima. Noi ci comportiamo come se la convivenza tra le persone al di fuori del matrimonio, che per le giovani generazioni, e non solo per loro, è divenuta ampiamente scontata, non fosse una assoluta novità nella storia dell’umanità. Io credo che dovremmo prendere assolutamente sul serio le difficoltà attuali, ma allo stesso tempo non dobbiamo esasperarle drammaticamente.

D. - Lei ha fatto riferimento al cambiamento, e la sua stessa diocesi ha avviato la nascita di grandi distretti parrocchiali e una collaborazione grande tra laici e parroci. Ci sono già delle esperienze che potete condividere con la Chiesa universale?

R. - Sicuramente una è quella che le riforme sono necessarie quando si hanno strutture che in parte risalgono alla fine del 18.mo secolo e che sono fortemente segnate dall’aumento delle parrocchie avvenuto nel 19.mo secolo e nel dopoguerra. Una situazione che non corrisponde più alla realtà dell’oscillante numero dei cattolici, ma neppure alle differenti abitudini di vita. Le persone non vanno automaticamente nella loro parrocchia di appartenenza, e possiamo dire con certezza che moltissimi dei collaboratori dei parroci non vivono affatto nella parrocchia nella quale sono impegnati. Dall’altra parte si mostra anche un diverso modo di strutturarsi della parrocchia, un luogo dove le persone si ritrovano e dove trovano una comunità di fede vivace, non necessariamente nelle loro zone di appartenenza territoriale. Questo processo di rinnovamento è secondo noi soltanto all’inizio, e credo che lo stiamo affrontando coraggiosamente. 

D. Ci sono anche altri ambiti o temi che state affrontando?

R. Credo che la questione principale sia quella di comprendere come gli uomini possano trovare nuovamente nel Vangelo e in Cristo il loro desiderio di spiritualità, di appartenenza religiosa, di orientamento. Se noi ce ne occupiamo soltanto con le nostre strutture, allora facciamo ciò che Papa Francesco ha criticato fortemente come autoreferenzialità della Chiesa. La questione fondamentale è se a noi sta a cuore individuare gli uomini che sono in ricerca e trovare una strada che porti a Cristo. Se valuto molto obiettivamente che di tutta la popolazione viennese, che ammonta a 1,8 milioni di persone, solo il due per cento frequenta la Messa domenicale. Dove si svolge la vita di tutti gli altri? Cosa muove i loro cuori? Quali sono le loro speranze e preoccupazioni? Le loro paure? Preferiamo come comunità parrocchiale, come comunità cristiana, starcene bene e tranquilli dentro le nostre mura, o ci brucia la domanda se questi uomini conoscono Cristo? Questa è la questione che dovremmo sondare!


28/01/2014 fonte: Radio Vaticana






IL SANTO DEL GIORNO 20/01/2014 San Fabiano Papa e martire



L’hanno fatto Pontefice sebbene al momento fosse un semplice laico, di origine probabilmente non romana, anche se residente nell’Urbe. Succede a papa Antero, che ha governato la Chiesa per meno di due mesi; e ha la fortuna di vivere tempi tranquilli sotto gli imperatori Gordiano III (morto sui vent’anni) e Filippo, detto l’Arabo per le sue origini. Una parentesi pacifica, che vede anche feste solennissime per i mille anni della città di Roma, nel 248. 
Papa Fabiano tiene rapporti con i cristiani dell’Africa e dell’Oriente, e si dedica all’organizzazione ecclesiale nell’Urbe, dividendone il territorio in sette ripartizioni territoriali. Provvede inoltre a sistemare i cimiteri cristiani, e dà sepoltura a papa Ponziano, deportato in Sardegna ad metalla, cioè nelle miniere, e morto nel 235. Tutte opere da tempi di pace. 
Nel 249, però, Filippo l’Arabo viene ucciso presso Verona dalle truppe del suo rivale Decio, che prende il potere con un programma di rafforzamento interno dell’Impero, contro i pericoli d’invasione ad opera dei barbari, che lo minacciano da tante parti. Per lui, rafforzamento vuol dire anche ritorno all’antica religione romana, per pure ragioni politiche. Si decreta perciò che tutti i sudditi dell’Impero romano dovranno proclamare solennemente e pubblicamente la loro adesione al paganesimo tradizionale, compiendo pubblicamente un atto di culto, che consiste essenzialmente nell’immolazione di qualche animale. Fatto questo, ognuno riceverà il libello, una sorta di certificato attestante la sua qualità di buon seguace degli antichi culti. 
Chi non sacrifica in questa forma pubblica, diventa un fuorilegge, un nemico dello Stato. In Roma, tre commissioni chiamano via via tutti i cittadini alla scelta, che per i pagani costituisce un gesto semplice e naturale, mentre per i cristiani immolare un animale agli dèi di Roma significa rinnegare l’unico Dio di Gesù Cristo, respingere la sua legge. Come sempre, c’è una varietà di comportamenti: alcuni cedono in pieno, per paura o per interesse, compiendo l’atto di culto. Altri cercano scappatoie di ogni genere per avere il libello senza prestare il culto richiesto. E ci sono i cristiani convinti, che dicono un risoluto no, respingendo a viso aperto l’imposizione e affrontando la morte. 
Tra i primi a rifiutarsi di sacrificare agli dèi c’è papa Fabiano, che si spegne nel carcere Tullianum, ma non per morte violenta. Si ritiene, infatti, che l’abbiano lasciato morire di fame e di sfinimento in quella prigione. I cristiani lo hanno poi sepolto nel cimitero di San Callisto, lungo la Via Appia, onorandolo come martire, e l’iscrizione posta allora sul suo sepolcro è giunta fino a noi.


Il Papa: il nostro è il Dio delle sorprese, accogliamo la novità del Vangelo




La libertà cristiana sta nella "docilità alla Parola di Dio”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che dobbiamo essere sempre pronti ad accogliere la "novità” del Vangelo e le "sorprese di Dio”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

"La Parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti ed i pensieri del cuore”. Papa Francesco è partito da questa considerazione per svolgere la sua omelia. E ha subito sottolineato che per accogliere davvero la Parola di Dio dobbiamo avere un atteggiamento di "docilità”. "La Parola di Dio – ha osservato – è viva e perciò viene e dice quello che vuole dire: non quello che io aspetto che dica o quello che io spero che dica”. E’ una Parola "libera”. Ed è anche "sorpresa, perché il nostro Dio è il Dio delle sorprese”. E’ "novità”:

"Il Vangelo è novità. La Rivelazione è novità. Il nostro Dio è un Dio che sempre fa le cose nuove e chiede da noi questa docilità alla sua novità. Nel Vangelo, Gesù è chiaro in questo, è molto chiaro: vino nuovo in otri nuovi. Il vino lo porta Dio, ma dev’essere ricevuto con questa apertura alla novità. E questo si chiama docilità. Noi possiamo domandarci: io sono docile alla Parola di Dio o faccio sempre quello che io credo che sia la Parola di Dio? O faccio passare la Parola di Dio per un alambicco e alla fine è un’altra cosa rispetto a quello che Dio vuole fare?”. 

Se io faccio questo, ha soggiunto, "finisco come il pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, e lo strappo diventa peggiore”. E ha evidenziato che "quello di adeguarsi alla Parola di Dio per poter riceverla” è "tutto un atteggiamento ascetico”: 

"Quando io voglio prendere l’elettricità dalla fonte elettrica, se l’apparecchio che io ho non va, cerco un adattatore. Noi dobbiamo sempre cercare di adattarci, di adeguarci a questa novità della Parola di Dio, essere aperti alla novità. Saul, proprio l’eletto di Dio, unto di Dio, aveva dimenticato che Dio è sorpresa e novità. Aveva dimenticato, si era chiuso nei suoi pensieri, nei suoi schemi, e così ha ragionato umanamente”. 

Il Papa si è soffermato sulla Prima Lettura. Ha così rammentato che, al tempo di Saul, quando uno vinceva una battaglia prendeva il bottino e con parte di esso si compiva il sacrificio. "Questi animali tanto belli – afferma dunque Saul – saranno per il Signore”. Ma, ha rilevato il Papa, "ha ragionato con il suo pensiero, con il suo cuore, chiuso nelle abitudini”, mentre "il nostro Dio, non è un Dio delle abitudini: è un Dio delle sorprese”. Saul "non ha obbedito alla Parola di Dio, non è stato docile alla Parola di Dio”. E Samuele gli rimprovera proprio questo, "gli fa sentire che non ha obbedito, non è stato servo, è stato signore, lui. Si è impadronito della Parola di Dio”. "La ribellione, non obbedire alla Parola di Dio – ha affermato ancora il Papa – è peccato di divinazione”. Ed ha aggiunto: "L’ostinazione, la non docilità a fare quello che tu vuoi e non quello che vuole Dio, è peccato di idolatria”. E questo, ha proseguito, "ci fa pensare” su "cosa è la libertà cristiana, cosa è l’obbedienza cristiana”:

"La libertà cristiana e l’obbedienza cristiana sono docilità alla Parola di Dio, è avere quel coraggio di diventare otri nuovi, per questo vino nuovo che viene continuamente. Questo coraggio di discernere sempre: discernere, dico, non relativizzare. Discernere sempre cosa fa lo Spirito nel mio cuore, cosa vuole lo Spirito nel mio cuore, dove mi porta lo Spirito nel mio cuore. E obbedire. Discernere e obbedire. Chiediamo oggi la grazia della docilità alla Parola di Dio, a questa Parola che è viva ed efficace, che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.



20/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il grazie del Papa agli agenti di Pubblica sicurezza in Vaticano





Il grazie del Papa oggi agli uomini e alle donne dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, ricevuti oggi in udienza nella Sala Clementina. Già Ufficio speciale San Pietro, istituito nel 1945, l’Ispettorato si dedica alle attività che spettano all'autorità italiana per ciò che riguarda la protezione del Papa e di vigilanza ai palazzi della Santa Sede. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Un incontro tradizionale, il primo per Papa Francesco, che ha espresso gratitudine per il servizio svolto, specie in Piazza San Pietro...

"…con il freddo, con il caldo, con la pioggia, con il vento, sempre! E questo conta tanto! Tutti siamo consapevoli della necessità di operare sempre affinché sia tutelata la peculiarità di questo luogo singolare, preservandone il carattere di spazio sacro e universale”. 

"E per questo ci vuole – ha aggiunto il Papa – una vigilanza discreta ma attenta”:

"In effetti, in Piazza San Pietro la gente è serena, si muove tranquilla, gusta un senso di pace. E questo anche grazie a voi, che vigilate sull’ordine pubblico”.

Un impegno che si fa anche più gravoso durante i momenti di maggiore affollamento di fedeli:

"Il vostro lavoro richiede preparazione tecnica e professionale, congiunta a vigilanza attenta, a gentilezza e dedizione". 

Tutti sanno, ha detto il Papa "di poter contare sulla vostra cordiale assistenza”, cosi come è stato nei giorni del Conclave, "perché tutto si svolgesse con ordine e tranquillità”. Infine, l’augurio perché il periodo trascorso nel servizio presso il Vaticano si riveli "un’opportunità di crescere nella fede”: 

"È importante riscoprire il messaggio del Vangelo e accoglierlo in profondità nella propria coscienza e nel concreto della vita quotidiana, testimoniando con coraggio l’amore di Dio in ogni ambiente, anche in quello del lavoro”.



 20/01/2013 fonte: Radio Vaticana 

Apostolato del mare. Card. Vegliò: solidali con famiglie dei pescatori e chi è ostaggio di pirati





"Non possiamo ignorare la situazione penosa in cui molti pescatori e le loro famiglie stanno vivendo”. E un "pensiero speciale va ai marittimi ancora ostaggio dei pirati e delle loro famiglie in attesa”. Il cardinale Antonio Maria Vegliò mette questi due pensieri nel segno della solidarietà al centro del suo intervento col quale ha inaugurato stamattina a Roma l’Incontro annuale dei Coordinatori Regionali dell’Apostolato del Mare, che proseguirà fino venerdì prossimo. Nel suo intervento, il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti ha definito "urgente” l’adozione di "misure più significative per sviluppare approcci vecchi e nuovi alla cura pastorale rivolta al mondo dei pescatori”, chiedendo poi a cappellani e volontari di continuare ad essere, ove possibile, accanto a chi vive il dramma dei sequestri in mare e di mostrare ai loro familiari "il volto amorevole della Chiesa”.

A un anno dal Congresso dell’Apostolato del Mare, svoltosi in Vaticano, il cardinale Vegliò ha richiamato le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Stella Maris – "promuovere uno spirito ecumenico nel mondo marittimo (...) per incoraggiare e promuovere la cooperazione e il reciproco coordinamento dei progetti tra le Conferenze Episcopali e gli Ordinari locali" – calandole nello scenario attuale, quello di un settore che – ha notato – "sta rapidamente cambiando con l'apertura di nuove rotte marittime e la fusione delle aziende tesa a massimizzare l'efficienza e profitto”. Per far fronte a ciò, il porporato ha invitato a "rafforzare la solidarietà tra le nazioni” impegnate in questa specifica attività pastorale alla "condivisione di risorse” e allo "sviluppo di competenze nei vari settori dell'industria marittima, in particolare sulla pesca. "Con un dialogo paziente – ha affermato inoltre – si dovrà creare nelle Chiese nazionali e diocesane la consapevolezza e l’attenzione verso questo ministero molto specifico”, cosicché l’apostolato del mondo marittimo sia considerato "parte della sollecitudine pastorale ordinaria delle Chiese”. 

Da un punto di vista organizzativo, relativo all’Apostolato del mare, il dicastero dei Migranti ha suddiviso il mondo in nove regioni ed ha affidato la cura pastorale di ciascuna regione a un coordinatore. Le nove regioni del mondo sono: Nord America e Caraibi, America Latina, Africa Oceano Indiano, Africa Occidentale, Europa, Asia del Sud, Asia Orientale e del Sud, Stati Arabi del Golfo e Gibuti. (A cura di Alessandro De Carolis)



20/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

Mons. Bassetti: i migranti sono la carne di Cristo, vincere la "cultura dello scarto"





E’ iniziata ieri, con una Messa nella cattedrale di San Lorenzo, nella giornata mondiale dedicata ai migranti e ai rifugiati, la visita pastorale alla sua comunità dell’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Gualtiero Bassetti, che il Papa creerà cardinale nel prossimo concistoro del 22 febbraio. Nei prossimi mesi il porporato incontrerà persone e istituzioni, ha voluto però iniziare dagli immigrati, con una celebrazione eucaristica alla quale hanno preso parte gli stranieri presenti nell’arcidiocesi, cattolici e non. E’ il mondo dell’immigrazione una delle quattro "attenzioni di ambiente” di particolare interesse diocesano. Francesca Sabatinelli ha intervistato l’arcivescovo Gualtiero Bassetti:  

R. - L’Umbria è una regione molto accogliente; soltanto nella provincia di Perugia ci sono più di 70 mila immigrati e rifugiati. Quindi per noi è un problema pastorale aperto: non si tratta più di una pastorale straordinaria, ma di una pastorale ordinaria! A Perugia si parlano più di cento lingue anche per la presenza dell’Università degli stranieri che, grazie a Dio, ha ancora numerosi iscritti; si tratta veramente di entrare in quella che è la logica del Santo Padre. Quando ci ha parlato della cultura della mentalità dello scarto, ha detto una cosa terribile: "Lo scarto non è nemmeno alla fine un sottoprodotto o un sottouomo; lo scarto è ciò che butti via, ciò che non ti interessa, cioè che emargini completamente!”. La parola "scarto” usata dal Santo Padre è fortissima! Ed è vero! Perché se all’uomo non viene riconosciuta la sua dignità, l’integrazione non può essere un processo soltanto burocratico, ma deve essere e deve diventare un fenomeno normale, naturale se noi consideriamo il mondo come una grande famiglia.

D. - Uno dei suoi prossimi appuntamenti è quello con i ragazzi della seconda generazione. Purtroppo questi ragazzi, per una questione burocratica, pur essendo nati in Italia, e italiani a tutti gli effetti, non lo sono agli occhi dello Stato …

R. - È chiaro che è una palese ingiustizia, perché chi è nato in Italia è in regola! È veramente un fatto di ingiustizia che non sia considerato a tutti gli effetti cittadino italiano. Credo che questo sia un impegno che noi dobbiamo portare avanti come società, ma soprattutto come cristiani e come Chiesa in nome del Vangelo che annunciamo e della pari dignità di tutti gli uomini.

D. - Vorrei citare quanto di brutto il 2013 ha segnato per l’Italia: pensiamo al naufragio di Lampedusa e ai tanti morti che ci sono stati nei mesi scorsi; pensiamo ai morti a Prato, ma pensiamo anche al grande esempio che Lampedusa e i suoi cittadini offrono quotidianamente …

R. - Ci sono le contraddizioni di questo Paese che purtroppo non dipendono solo da questo Paese, perché per un’accoglienza anche così massiccia è necessario un contributo maggiore di tutta l’Europa, perché questi immigrati non possono essere soltanto accolti, ma poi devono esser integrati, devono poter trovare un’occupazione, un lavoro, una loro dignità. Certamente noi abbiamo visto chi ha dato, chi ha rischiato la vita per salvare qualche fratello immigrato. E questi sono gli esempi che veramente ci riscaldano il cuore. Questo è il cuore della nostra popolazione di fronte a chi ha bisogno. D’altra parte però, veder centinaia e centinaia di persone perire, vedere che il nostro Mar Mediterraneo ormai da tanti anni è diventato la tomba dei nostri fratelli africani, ci fa capire ancora di più il significato delle parole del Papa quando ha detto che questi sono pelle di Dio e carne di Dio, ancor più che fratelli: sono carne di Dio e le loro piaghe sono le piaghe di Gesù Cristo!




20/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

IL SANTO DEL GIORNO 13/01/2014 Sant' Ilario di Poitiers Vescovo e dottore della Chiesa


Questo Padre e Dottore della Chiesa nacque a Poitiers, nell'Aquitania, verso il 315, da una distinta famiglia pagana, che gli fece impartire una solida educazione letteraria e filosofica a base neoplatonica. S. Ilario stesso nel trattato De Trinitate l'espone come, agitato dal problema del nostro destino, non ne abbia trovato una risposta soddisfacente nella filosofia pagana, ma soltanto nel prologo del Vangelo di S. Giovanni, in cui è detto che il Verbo disceso dal cielo dona a coloro che lo ricevono il potere di diventare figli di Dio.
Ilario era adulto quando ricevette il battesimo, sposato e padre di una figlia, Abra. Non è improbabile che per la sua vita austera e ferventissima il vescovo della città lo abbia aggregato alla sua chiesa con qualche ordine sacro. È certo però che quando morì, Ilario gli successe nell'episcopato e si sforzò di praticare quanto scriverà più tardi: "La santità senza la scienza non può essere utile che a se stessa. Quando si insegna, occorre che la scienza fornisca un alimento alla parola e che la virtù serva di ornamento alla scienza" (De Trinitate, VIII, l). Attratto dalla fama di lui S. Martino, lasciata, la milizia, venne a mettersi alla scuola acconsentendo a lasciarsi ordinare esorcista.
"Il Santo pastore fu ben presto spinto dalle circostanze a lottare tanto strenuamente contro l'arianesimo da essere considerato l'Atanasio dell'Occidente". Molti vescovi non accettavano la dottrina di Nicea (325) della consustanzialità del Figlio di Dio con il Padre, preferendo insegnare che gli era soltanto simile. Costanzo, figlio di Costantino, pretendeva di fare accettare le loro idee da tutto l'impero, pena l'esilio. Per la difesa dell'ortodossia S. Ilario convocò forse a Parigi nel 355, un'assemblea che scomunicò Valente e Ursacio, ambiziosi vescovi di corte, persecutori di Atanasio, e Saturnino, primate di Arles. che aveva condiviso le loro violenze. Costui e i suoi complici, imbaldanziti dall'indifferenza con cui Giuliano, governatore della Gallia, trattava le dispute dei teologi, si riunirono a Béziers. Per ordine di Costanzo, Ilario dovette prendervi parte, ma avendo ricusato di aderire alla politica religiosa dell'imperatore, fu deportato nel 356 nella Frigia. I vescovi della Gallia, in maggioranza ortodossi, non vollero che un intruso s'impadronisse della sede di Poitiers. Durante il suo esilio S. Ilario poté, difatti, con lettere dirigere la sua chiesa.
Nell'Asia Minore non rimase ozioso. Approfittò del tempo per comporre il suo capolavoro, De Trinitate in 12 libri, per studiare a fondo i problemi dell'oriente con larghezza di vedute, e cercare di ricondurre gli erranti alla fede nicena. "Non ho considerato come un delitto, dirà più tardi, di aver avuto colloqui con loro, anzi, pur rifiutando loro la comunione, di entrare nelle loro case di preghiera e di sperare ciò che si doveva attendere da loro per il bene della pace, allorché aprivamo loro una via al riscatto dei loro errori mediante la penitenza, un ricorso a Cristo mediante l'abbandono dell'anticristo". (Adv. Costant. 2). La stessa sollecitudine per la conciliazione manifesterà nel De Synodis, libro scritto per informare i vescovi della Gallia riguardo alle varie professioni di fede degli orientali.
Il suo esilio durava da quattro anni, quando, nel 359, Costanzo convocò un concilio a Rimini per gli occidentali, e un altro a Seleucia, nell'Isauria, per gli orientali. Ilario vi fu accolto favorevolmente e poté esporre la fede nicena, ma la concordia non fu raggiunta per il malanimo di molti. Dopo il sinodo il santo si portò a Costantinopoli per ottenere da Costanzo il permesso di discutere pubblicamente con Saturnino che era stato la causa del suo esilio, e di comparire nel concilio che si teneva allora nella città imperiale per potervi difendere la fede ortodossa sull'autorità delle Sacre Scritture. Per tutta risposta Costanzo lo rimandò a Poitiers sobillato dagli ariani, i quali, per sbarazzarsi dello scomodo avversario, glielo avevano dipinto "come seminatore di discordia e perturbatore dell'oriente".
A Poitiers Ilario fu accolto in trionfo. Appena seppe del suo ritorno, S. Martino lo raggiunse dal suo ritiro nell'isola Gallinaria (Albenga), e sotto la direzione del suo maestro fondò a Ligugé il più antico monastero della Gallia onde neutralizzare in parte almeno i tristi effetti della eresia.
Ilario ogni tanto andava a visitare i cenobiti per seguire le loro regole e prendere parte ai loro canti. È risaputo che fu egli il primo compositore di inni dell'occidente nell'intento di contrapporsi all'attività poetica degli ariani.
La situazione politica intanto era notevolmente cambiata dal mese di maggio 360, quando i soldati di stanza a Parigi avevano gridato imperatore Giuliano. Ilario ne approfittò con decisione e moderazione per radunare sinodi provinciali, onde confermare nell'ortodossia i vescovi rimasti fedeli, e richiamarvi quelli che avevano sottoscritto per ignoranza o timore formule erronee o compromettenti, come quella del concilio di Rimini. La deposizione di Saturnino di Arles e di Paterno di Périgueux segnò la disfatta dell'arianesimo nell'occidente. La morte di Costanzo (+361) diede un colpo decisivo alla supremazia ariana in Oriente, perché i vescovi furono richiamati dall'esilio, e l'anno dopo S. Atanasio potè radunare ad Alessandria il celebre "concilio dei confessori" e adottare con successo la moderazione del vescovo di Poitiers.
S. Ilario insieme con S. Eusebio, vescovo di Vercelli, combatté pure per due anni l'arianesimo in Italia, e tentò di cacciare dalla sede di Milano, Aussenzio, che il concilio di Parigi del 361 aveva anatematizzato. Questi, nel 364, appellò all'imperatore Valentiniano, allegando i decreti del concilio di Rimini da lui fatti sottoscrivere da tanti vescovi, e accusando i suoi avversari di turbare la pace religiosa. Queste considerazioni impressionarono l'imperatore il quale mantenne Aussenzio nella sua sede, soddisfatto di una professione di fede equivoca che costui aveva fatto alla presenza di dieci vescovi e di alti funzionari. S. Ilario, ricevuto l'ordine di lasciare Milano, scrisse il suo Contra Auxentium per smascherare le ipocrite reticenze di lui e mantenere l'integrità della fede tra il popolo.
Ritiratesi nella sua diocesi, il santo poté dedicarsi ai suoi studi prediletti e al commento dei Salmi, finché lo colse la morte il 1-11-367. Le sue reliquie nel 1562 furono bruciate dagli ugonotti. Pio IX nel 1851 lo proclamò Dottore della Chiesa.


Papa Francesco: l'amore di Dio aggiusta le nostre storie storte




L’amore di Dio aggiusta i nostri sbagli, le nostre storie di peccatori, perché il Signore non ci abbandona mai, anche se noi non capiamo il suo amore: è quanto ha affermato il Papa celebrando stamane la Messa a Santa Marta in questo primo lunedì del Tempo ordinario. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Gesù chiama Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni: stanno pescando, ma lasciano subito le reti e lo seguono. Commentando il Vangelo del giorno, il Papa sottolinea che il Signore vuole preparare i suoi discepoli alla loro nuova missione. "E’ proprio di Dio, dell’amore di Dio” – afferma Papa Francesco – "preparare le strade … preparare le nostre vite, per ognuno di noi. Lui non ci fa cristiani per generazione spontanea: Lui prepara! Prepara la nostra strada, prepara la nostra vita, da tempo”:

"Sembra che Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni siano stati qui definitivamente eletti, sì sono stati eletti! Ma loro in questo momento non sono stati definitivamente fedeli! Dopo questa elezione hanno sbagliato, hanno fatto proposte non cristiane al Signore: hanno rinnegato il Signore! Pietro in grado superlativo, gli altri per timore: sono spaventati e sono andati vita. Hanno abbandonato il Signore. Il Signore prepara. E poi, dopo la Resurrezione, il Signore ha dovuto continuare questo cammino di preparazione fino al giorno di Pentecoste. E dopo Pentecoste anche, alcuni di questi - Pietro, per esempio ha sbagliato e Paolo ha dovuto correggerlo. Ma il Signore prepara”.

Così – prosegue il Papa - il Signore "ci prepara da tante generazioni”: 

"E quando le cose non vanno bene, Lui si immischia nella storia e arrangia la situazione e va avanti con noi. Ma pensiamo alla genealogia di Gesù Cristo, a quella lista: questo genera questo, questo genera questo, questo genera questo… In quella lista di storia ci sono peccatori e peccatrici. Ma come ha fatto il Signore? Si è immischiato, ha corretto la strada, ha regolato le cose. Pensiamo al grande Davide, un grande peccatore e poi un grande santo. Il Signore sa! Quando il Signore ci dice ‘Con amore eterno, Io ti ho amato’ si riferisce a questo. Da tante generazioni il Signore ha pensato a noi, a ognuno di noi!”.

"Mi piace pensare – afferma Papa Francesco - che il Signore abbia i sentimenti della coppia che è in attesa di un figlio: lo aspetta. Ci aspetta sempre in questa storia e poi ci accompagna durante la storia. Questo è l’amore eterno del Signore; eterno, ma concreto! Anche un amore artigianale, perché Lui va facendo la storia, va preparando la strada a ognuno di noi. E questo è l’amore di Dio” che "ci ama da sempre e mai ci abbandona! Preghiamo il Signore di conoscere questa tenerezza del suo cuore”. E questo – osserva - è "un atto di fede” e non è facile credere questo: 

"Perché il nostro razionalismo dice: ‘Ma come il Signore, con tante persone che ha, pensa a me? Ma ha preparato la strada a me!'. Con le nostre mamme, le nostre nonne, i nostri padri, i nostri nonni e bisnonni… Il Signore fa così. E’ questo il suo amore: concreto, eterno e anche artigianale. Preghiamo, chiedendo questa grazia di capire l’amore di Dio. Ma non si capisce mai! Si sente, si piange, ma capirlo di qua, non si capisce. Anche questo ci dice quanto grande è questo amore. Il Signore che ci prepara da tempo, cammina con noi, preparando gli altri. E’ sempre con noi! Chiediamo la grazia di capire col cuore questo grande amore”.


13/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

Il Papa annuncia la nomina di 19 nuovi cardinali, di cui 16 elettori



All’Angelus di ieri, nella Festa del Battesimo del Signore, Papa Francesco ha annunciato la nomina di 19 nuovi cardinali, di cui 16 elettori e 3 arcivescovi emeriti. I sedici cardinali elettori verranno creati dal Papa nel Concistoro del 22 febbraio prossimo, festa della Cattedra di San Pietro. Gli arcivescovi residenziali, futuri cardinali, appartengono a 12 nazioni. Complessivamente, i 19 nuovi porporati provengono da 15 Paesi. Questi, ha detto il Papa, "rappresentano il profondo rapporto ecclesiale fra la Chiesa di Roma e le altre Chiese sparse per il mondo”. Prima dell’importante annuncio, il Pontefice aveva sottolineato che con la nascita di Gesù "è iniziato il grande tempo della misericordia” sulla Terra. Il servizio di Alessandro Gisotti: RealAudioMP3 

I 16 futuri cardinali, annunciati all’Angelus da Papa Francesco, sono mons. Pietro Parolin, arcivescovo titolare di Acquapendente, segretario di Stato; mons. Lorenzo Baldisseri, Arcivescovo titolare di Diocleziana, segretario Generale del Sinodo dei Vescovi; mons. Gerhard Ludwig Műller, arcivescovo-vescovo emerito di Regensburg, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; mons. Beniamino Stella, arcivescovo titolare di Midila, Prefetto della Congregazione per il Clero; mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster (Gran Bretagna); mons. Leopoldo José Brenes Solórzano, arcivescovo di Managua (Nicaragua); mons. Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec (Canada); mons. Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio); mons. Orani João Tempesta, O.Cist., arcivescovo di Rio de Janeiro (Brasile); mons. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve (Italia); mons. Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Buenos Aires (Argentina); mons. Andrew Yeom Soo jung, arcivescovo di Seoul (Corea); mons. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., arcivescovo di Santiago del Cile (Cile); mons. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso); mons. Orlando B. Quevedo, O.M.I., arcivescovo di Cotabato (Filippine); mons. Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes (Haïti).

Insieme ad essi, ha detto il Papa, unirò ai membri del Collegio cardinalizio 3 arcivescovi emeriti, "che si sono distinti per il loro servizio alla Santa Sede e alla Chiesa". Si tratta di: Mons. Loris Francesco Capovilla, arcivescovo titolare di Mesembria, già segretario di Giovanni XXIII; mons. Fernando Sebastián Aguilar, C.M.F., arcivescovo emerito di Pamplona; mons. Kelvin Edward Felix, arcivescovo emerito di Castries, nelle Antille. Il Papa ha accompagnato questo annuncio con una preghiera:

"Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché rivestiti delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù Buon Pastore, possano aiutare più efficacemente il Vescovo di Roma nel suo servizio alla Chiesa universale”.

Prima dell’importante annuncio, il Papa aveva commentato il Vangelo domenicale soffermandosi sul passo in cui si narra che dopo il battesimo di Gesù da Giovanni nel Giordano, "si aprirono per lui i cieli”. Papa Francesco ha osservato che "se i cieli rimangono chiusi, il nostro orizzonte in questa vita terrena è buio, senza speranza”. Ma, ha commentato, proprio la nascita del Signore "ci ha dato la certezza che i cieli si sono squarciati”. E, così, nel giorno del battesimo di Cristo "contempliamo i cieli aperti”:

"La manifestazione del Figlio di Dio sulla terra segna l’inizio del grande tempo della misericordia, dopo che il peccato aveva chiuso i cieli, elevando come una barriera tra l’essere umano e il suo Creatore. Con la nascita di Gesù i cieli si aprono! Dio ci dà nel Cristo la garanzia di un amore indistruttibile”.

Ora possiamo dunque contemplare i cieli aperti, ha soggiunto, come hanno fatto i pastori di Betlemme e i Magi d’Oriente, come ha fatto il Battista e Santo Stefano, primo martire. Questo, ha ribadito il Papa, "è possibile anche per ognuno di noi, se ci lasciamo invadere dall’amore di Dio, che ci viene donato la prima volta nel Battesimo per mezzo dello Spirito Santo”.

"Gesù riceve l’approvazione del Padre celeste, che l’ha inviato proprio perché accetti di condividere la nostra condizione, la nostra povertà. Condividere è il vero modo di amare. Gesù non si dissocia da noi, ci considera fratelli e condivide con noi. E così ci rende figli, insieme con Lui, di Dio Padre. Questa è la rivelazione e la fonte del vero amore”.

"Non vi sembra – ha poi domandato il Papa – che nel nostro tempo ci sia bisogno di un supplemento di condivisione fraterna e di amore?”.

"Non vi sembra che abbiamo tutti bisogno di un supplemento di carità? Non quella che si accontenta dell’aiuto estemporaneo che non coinvolge, non mette in gioco, ma quella carità che condivide, che si fa carico del disagio e della sofferenza del fratello. Quale sapore acquista la vita, quando ci si lascia inondare dall’amore di Dio!”.



13/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

Pakistan. Giovani di tutte le religioni chiedono giustizia, pace e tolleranza




"Il Pakistan di oggi ha bisogno di un messaggio di pace, tolleranza, armonia. Anche se professiamo fedi diverse, siamo una sola nazione e possiamo lavorare e crescere insieme”: come spiega in un colloquio con l’agenzia Fides Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione "Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan, è questo il potente messaggio lanciato da migliaia di giovani, di tutte le religiosi, riunitisi ieri, in una manifestazione a Lahore, capitale del Punjab, organizzata dal Commissione "Giustizia e Pace”. Il corteo, composto da giovani musulmani, cristiani, indù e sikh, ha attraversato la città lanciando un messaggio alla politica e alla società: "Noi siamo il futuro del Paese, vogliamo costruire un futuro fatto di pace, giustizia, tolleranza, rispetto dell’inalienabile dignità di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, classe sociale”. Come Chaudhry racconta a Fides, la manifestazione rappresentava il culmine di un progetto portato avanti dalla Commissione nelle scuole del Punjab. "In primis ci siamo rivolti agli studenti delle minoranza religiose (cristiani, indù, sikh) interagendo con loro e lasciando emerge episodi di discriminazione che subiscono. In tal caso cerchiamo di insegnare loro ad affrontarli in maniera non violenta”. Il secondo passo è stato quello di incontrare e coinvolgere i giovani musulmani "per creare in tutti la consapevolezza che l’armonia e la pace sono un bene comune e una priorità per l’intera nazione”. Infine il corteo, dove i giovani di fedi diverse hanno camminato fianco a fianco, per simboleggiare l’anelito di pace presente nella gioventù pakistana. Come rileva Chaudhry, "è fondamentale avviare tale opera di coscientizzazione nelle scuole e nel percorso di istruzione dei giovani. L’intolleranza e l’odio spesso nascono sui banchi di scuola. E’ lasciando penetrare valori come pace e giustizia nella formazione del nuove generazioni che si gioca il futuro del Pakistan”. (R.P.)



13/01/2014 fonte: Radio Vaticana 

La gratitudine al Papa di mons. Bassetti. ''Mi sento piccolo, ma la Chiesa ha fiducia in me''




Inatteso è arrivato ieri l'annuncio del Papa all’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, mons. Gualtiero Bassetti. Grande la gioia di tutta la diocesi e dei frati francescani di Assisi. 160 anni fa l’ultimo vescovo perugino creato cardinale: era mons. Gioacchino Pecci divenuto poi papa Leone XIII, autore della Rerum Novarum. Al microfono di Paolo Ondarza, mons. Bassetti spiega come ha accolto la notizia: 

R. - Direi che l’ho accolta male perché stavo facendo le Cresime in una grande parrocchia. Alle 13:15 è finita la cresima quando sono andato in sacrestia per spogliarmi ed è arrivata una signora tutta trafelata: "Eminenza, Eminenza, il Papa l’ha fatta cardinale”! Siccome era qualche giorno che i giornali facevano le loro solite supposizioni ho detto: "Ma date retta ai giornali? Pensate alle cose serie! Abbiamo fatto la cresima, è disceso lo Spirito Santo! Basta con queste chiacchiere!" Poi sono salito in acchina per andare a pranzo alla casa del parroco. Ecco che arriva un’altra telefonata, ma dico: "basta!” Ero sicuro che non fosse vero anche perché non era arrivato nessun biglietto…

D. - La gente della sua diocesi ha accolto con grande festa questa notizia. Dopo 160 anni un altro vescovo perugino!

R. - La gente è fuori di sé dalla contentezza proprio perché rivedono il pontificato di papa Leone quando era il cardinal Pecci qui a Perugia: fu pastore veramente secondo il cuore del nostro Papa Francesco. Un pastore che si interessava dei problemi della gente. La Rerum Novarum l’ha scritta proprio con l'esperienza che aveva fatto come pastore. Sono pieno di gratitudine al Signore non per la mia persona che so veramente quanto poco valga, ma per la fiducia del Papa per poterlo aiutare più da vicino e soprattutto per l'affetto che il Papa ha dimostrato nei confronti della nostra piccola regione, in particolare di Perugia. Ha privilegiato anche i piccoli, non soltanto quelle che sono le sedi tradizionali, ma ha voluto chinarsi anche sui piccoli. L’entusiasmo che c'è a Perugia, ma anche a Firenze, perché io vengo da Firenze, è dovuto al fatto che vedono la vicinanza del Papa all'Umbria per il motivo del suo nome, per l’affetto a san Benedetto e san Francesco. E’ un momento veramente di grande entusiasmo!

D. - Questa notizia questo annuncio che cosa significa per la sua storia vocazionale, per la sua vita?

R. - Significa un ulteriore meraviglia, mi sento veramente piccolo e sento che nella Chiesa hanno sempre avuto la fiducia in me e mi hanno dato degli incarichi oltre le mie possibilità: così come uando fui nominato giovane vescovo di Massa Marittima, quando Giovanni Paolo II mi mandò ad Arezzo e Benedetto XVI mi mandò a Perugia... Io di fronte a queste nomine ho sempre sentito come qualche cosa che sottolineava la mia inadeguatezza e la fiducia della Chiesa del Signore nel poco che sono. E adesso sono ancora più confuso di fronte a questa responsabilità grande perchè un cardinale ha una responsabilità diretta nel governo della Chiesa.


13/01/2014 fonte: Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 08/01/2014 San Lorenzo Vescovo



Un figlio accattone non è un bel vedere per la nobile famiglia Zustinian o Giustiniani, ornamento della Serenissima. Lui, Lorenzo, arriva a mendicare fin sotto casa. I servi corrono a riempirgli la bisaccia, purché si tolga di lì. Lui accetta soltanto due pani, ringrazia e continua. Il suo scopo non è l’"opera buona” in sé. E’, addirittura, la rigenerazione della Chiesa attraverso la riforma personale di chierici e laici. L’umiliazione del mendicare ha valore di "vittoria sopra sé stessi", di avversione alle pompe prelatizie, di primo passo verso il rinnovamento attraverso la meditazione, la preghiera, lo studio, l’austerità. L’intraprendente e battagliera Venezia del Quattrocento è anche un fervido laboratorio di riforma cattolica, destinato a portare frutti preziosi. 
Lorenzo Giustiniani è diacono nel 1404, quando si unisce ad altri sacerdoti, accolti nel monastero di San Giorgio in Alga, per vivere in comune tra loro, riconosciuti poi come "Compagnia di canonici secolari”: sono i pionieri dello sforzo riformatore. Sacerdote nel 1407, due anni dopo è già priore della comunità di San Giorgio in Alga. 
Lorenzo ha scarse doti di oratore, ma "predica” con molta efficacia, da un lato, continuando a girare con saio e bisaccia; e, dall’altro, scrivendo instancabilmente. Scrive per i dotti e per gli ignoranti, trattati teologici e opuscoletti popolari, offrendo a tutti una guida alla riforma personale nel credere e nel praticare. Spinge i fedeli a recuperare il senso di comunione con tutta la Chiesa, anima la fiducia nella misericordia di Dio piuttosto che il timore per la sua giustizia. 
Nel 1433 arriva la nomina a vescovo, sebbene egli cerchi di evitarla, aiutato dai confratelli di San Giorgio in Alga: ma di lì viene anche papa Eugenio IV, Gabriele Condulmer, che conosce benissimo Lorenzo e non dà retta ai suoi pretesti: la stanchezza, il compito troppo difficile... 
Eccolo perciò vescovo "di Castello”, dal nome della sua residenza, che è un’isoletta lagunare fortificata, l’antica Olivolo. Nel 1451, poi, Niccolò V sopprime quello che resta del patriarcato di Grado, e dà a Lorenzo Giustiniani il titolo di patriarca di Venezia: il primo. 
Vengono i tempi duri della lotta contro i Turchi. Nel 1453 cade in mano loro Costantinopoli, e "a Venezia è tutto un pianto, non si sa che fare", come scrive un testimone. Lorenzo Giustiniani va avanti con rigore nell’opera di riforma, inimicandosi qualche volta il Senato, altre volte i preti, e affascinando i veneziani che già lo tengono per santo. 
Dopo la sua morte, essi ottengono che il suo corpo resti sepolto per sempre nella chiesa di San Pietro in Castello. Lo canonizzerà, nel 1690, papa Alessandro VIII (il veneziano Piero Ottoboni), ma la pubblicazione ufficiale si avrà soltanto con papa Benedetto XIII nel 1727.


Il Papa: mettere alla prova il nostro cuore per ascoltare Gesù, non i falsi profeti




Il cristiano sa vigilare sul suo cuore per distinguere ciò che viene da Dio e ciò che viene dai falsi profeti. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di martedì mattina a Casa Santa Marta, la prima dopo le festività natalizie. Il Papa ha ribadito che la via di Gesù è quella del servizio e dell’umiltà. Una via che tutti i cristiani sono chiamati a seguire. Il servizio di Alessandro Gisotti:
"Rimanete nel Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa esortazione dell’Apostolo Giovanni, contenuta nella Prima lettura. Un "consiglio di vita”, ha osservato, che Giovanni ripete in modo "quasi ossessivo”. L’Apostolo indica "uno degli atteggiamenti del cristiano che vuole rimanere nel Signore: conoscere cosa succede nel proprio cuore”. Per questo avverte di non prestare fede a ogni spirito, ma di mettere "alla prova gli spiriti”. E’ necessario, ha evidenziato il Papa, saper "discernere gli spiriti”, discernere se una cosa ci fa "rimanere nel Signore o ci allontana da Lui”. "Il nostro cuore – ha soggiunto – sempre ha desideri, ha voglie, ha pensieri”. Ma, si è chiesto, "questi sono del Signore o alcuni di questi ci allontanano dal Signore?” Ecco allora che l’Apostolo Giovanni ci esorta a "mettere alla prova” ciò che pensiamo e desideriamo:

"Se questo va nella linea del Signore, così andrai bene, ma se non va… Mettete alla prova gli spiriti per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Profeti o profezie o proposte: ‘Io ho voglia di far questo!’. Ma questo non ti porta al Signore, ti allontana da Lui. Per questo è necessaria la vigilanza. Il cristiano è un uomo o una donna che sa vigilare il suo cuore. E tante volte il nostro cuore, con tante cose che vanno e vengono, sembra un mercato rionale: di tutto, tu trovi di tutto lì... E no! Dobbiamo saggiare – questo è del Signore e questo non è – per rimanere nel Signore”.

Qual è, dunque, il criterio per capire se una cosa viene da Cristo oppure dall’anticristo? San Giovanni, ha affermato il Papa, ha un’idea chiara, "semplice”: "Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo, venuto nella carne, è di Dio. Ogni spirito che non riconosce Gesù non è di Dio: è lo spirito dell’anticristo”. Ma cosa significa, dunque, "riconoscere che il Verbo è venuto in carne?” Vuol dire, ha osservato il Pontefice, "riconoscere la strada di Gesù Cristo”, riconoscere che Lui, "essendo Dio, si è abbassato, si è umiliato” fino alla "morte di croce”:

"Quella è la strada di Gesù Cristo: l’abbassamento, l’umiltà, l’umiliazione pure. Se un pensiero, se un desiderio ti porta su quella strada di umiltà, di abbassamento, di servizio agli altri, è di Gesù. Ma se ti porta sulla strada della sufficienza, della vanità, dell’orgoglio, sulla strada di un pensiero astratto, non è di Gesù. Pensiamo alle tentazioni di Gesù nel deserto: tutte e tre le proposte che fa il demonio a Gesù sono proposte che volevano allontanarlo da questa strada, la strada del servizio, dell’umiltà, dell’umiliazione, della carità. Ma la carità fatta con la sua vita, no? Alle tre tentazioni Gesù dice di no: ‘No, questa non è la mia strada!’”.

Il Papa ha, quindi, invitato tutti a pensare proprio a cosa succede nel nostro cuore. A cosa pensiamo e sentiamo, a cosa vogliamo, a vagliare gli spiriti. "Io metto alla prova quello che penso, quello che voglio, quello che desidero – ha domandato – o prendo tutto?”:

"Tante volte, il nostro cuore è una strada, passano tutti lì… Mettere alla prova. E scelgo sempre le cose che vengono da Dio? So quale sono quelle che vengono da Dio? Conosco il vero criterio per discernere i miei pensieri, i miei desideri? Pensiamo questo e non dimentichiamo che il criterio è l’Incarnazione del Verbo. Il Verbo è venuto in carne: questo è Gesù Cristo! Gesù Cristo che si è fatto uomo, Dio fatto uomo, si è abbassato, si è umiliato per amore, per servire tutti noi. E l’Apostolo Giovanni ci conceda questa grazia di conoscere cosa succede nel nostro cuore e avere la saggezza di discernere quello che viene da Dio e quello che non viene da Dio”.



08/01/2014 fonte Radio Vaticana

Brasile. Il Papa alle Comunità di Base: siamo tutti chiamati a evangelizzare e dialogare col mondo




"L’evangelizzazione è un dovere di tutta la Chiesa, di tutto il Popolo di Dio”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio al 13.mo incontro nazionale delle Comunità ecclesiali di base brasiliane, al via ieri nella città di Juazeiro do Norte. Tema dell’incontro, che si chiuderà l’11 gennaio prossimo, è "Giustizia e profezia al servizio della vita”. Il Papa sottolinea che "tutti dobbiamo essere pellegrini, nelle zone rurali come nelle città, portando la gioia del Vangelo ad ogni uomo e ad ogni donna”.

Il Papa, che affida i partecipanti alla protezione della Madonna di Aparecida, sottolinea il ruolo che le Comunità di base hanno nella "fondamentale missione evangelizzatrice della Chiesa”. "Molte volte – afferma il Pontefice richiamando l’Evangelii Gaudium – apportano un nuovo fervore evangelizzatore e una capacità di dialogo con il mondo che rinnovano la Chiesa”. Al tempo stesso, avverte il Papa sempre riprendendo la sua prima Esortazione Apostolica, "è molto salutare” che le comunità di base "non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo, e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare”. Papa Francesco rivolge infine ai partecipanti all’evento l’esortazione di San Paolo ai Corinzi: "Guai a me se non predicassi il Vangelo”. (A cura di Alessandro Gisotti)



08/01/2014 fonte Radio Vaticana

Segreteria di Stato: titolo di "monsignore" concesso solo dopo i 65 anni di età






La Segreteria di Stato ha stabilito che d’ora in poi l’unico titolo onorifico di "monsignore” sarà quello di "Cappellano di sua Santità” e sarà attribuito a sacerdoti oltre i 65 anni di età e non più, come in passato, dai 35. Il titolo continuerà invece a essere usato, tra gli altri, per i vescovi e negli Uffici della Curia Romana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La missione, nella sua essenza e verità, e non l’alone di prestigio che ne deriva. Si può cogliere questo insegnamento, particolarmente caro a Papa Francesco, tra le righe della recente disposizione della Segreteria di Stato che, con una lettera circolare inviata alle nunziature, chiede di informare i singoli episcopati "che d’ora in poi nelle Diocesi l’unico ‘titolo ecclesiastico’ onorifico che verrà concesso (e a cui corrisponderà l’appellativo di ‘monsignore’) sarà quello di ‘Cappellano di Sua Santità’, e sarà attribuito solo a sacerdoti che abbiano compiuto il 65.mo anno di età”.

L’uso dell’appellativo, prosegue la direttiva, rimane invece "invariato” quando sia "connesso a certi uffici importanti”, come quello di vescovo o di vicario generale della diocesi. E nessuna variazione interesserà in merito anche in seno alla Curia Romana, sia per ciò che concerne i titoli sia circa l’uso dell’appellativo "monsignore”, "essendo connesso – si precisa – agli uffici affidati, al servizio svolto”. Tale norma, chiarisce la Segreteria di Stato, "non ha effetto retroattivo”, per cui chi abbia "ricevuto un titolo in precedenza lo conserva”. Inoltre, la disposizione non introduce novità nemmeno per ciò che riguarda le onorificenze pontificie per laici. 

"E’ stato giustamente osservato – si legge in chiusura della nota informativa – che già Paolo VI, nel 1968, aveva ridotto a tre (rispetto ai precedenti, più numerosi) i titoli ecclesiastici onorifici. La decisione di Papa Francesco si pone quindi nella stessa linea, come ulteriore semplificazione”.


08/01/2014 fonte Radio Vaticana




Il fumo di Satana nella Chiesa

di Mario Palmaro e Riccardo Cascioli

Quella che segue è una cosa un po' insolita, ma essendo l'argomento centrale per la vita della Chiesa e per il nostro lavoro, ve la proponiamo pur sapendo di chiedere un notevole impegno a chi vorrà arrivare fino in fondo. Mario Palmaro, firma ben nota ai lettori de La Nuova BQ, mi ha scritto una lunghissima lettera per esprimere pubblicamente la propria indignazione per la deriva che sta prendendo la Chiesa, soprattutto di fronte all'offensiva omosessualista che sta interessando tutto il mondo. Alla lettera segue una mia risposta, che non vuol chiudere il discorso, ma aprirlo anche ad altri contributi. Palmaro, insieme al suo amico e collega Alessandro Gnocchi, nei mesi scorsi è stato al centro di polemiche per una serie di articoli scritti su Il Foglio, in cui criticava duramente papa Francesco. Lo stesso Papa gli ha poi telefonato a casa per chiedergli notizie della sua salute, avendo saputo che Palmaro è stato colpito da una gravissima malattia. Colgo perciò questa occasione per chiedere a tutti i lettori di pregare per lui.

Caro direttore, 

ho letto il tuo editoriale del 3 gennaio – "Renzi, se questo è il nuovo che avanza” – e non posso che condividere la tua analisi sulla figura del nuovo segretario del Pd, sulla sua furbizia disinvolta, sul suo trasformismo, sulle contraddizioni inevitabili tra il suo dirsi cattolico e il promuovere cose che contrastano non solo con il catechismo ma con la legge naturale. Aggiungo i miei complimenti per quello che fai da tempo con la Bussola su questa frontiera dell’offensiva omosessualista e non voglio rimproverarti nulla.

Però avverto la necessità di scrivere a te e ai lettori ciò che penso. In tutta sincerità: ma il nostro problema è davvero Matteo Renzi? Cioè: noi davvero potevamo aspettarci che uno diventa segretario del Partito democratico, e poi si mette a difendere la famiglia naturale, la vita nascente, a combattere la fecondazione artificiale  e l’aborto, a contrastare l’eutanasia? Ma, scusate lo avete presente l’elettorato del Pd, cattolici da consiglio pastorale, suore e parroci compresi? Secondo voi, quell’elettorato che cosa vuole da Renzi? Ma è ovvio: i matrimoni gay e le adozioni lesbicamente democratiche. Ma, scusate, avete mai ascoltato in pausa pranzo l’impiegato medio che vota a sinistra? Secondo voi, vuole la difesa del matrimonio naturale o vuole le case popolari per i nostri fratelli omosessuali, così orribilmente discriminati? Smettiamola di credere che il problema siano Niki Vendola o i comunisti estremisti brutti e cattivi, e che l’importante è essere moderati: qui i punti di riferimento dell’uomo medio sono Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, le coop e Gino Strada, Enzo Bianchi ed Eugenio Scalfari. Renzi mette dentro nel suo frullatore questi ingredienti essenziali del suo elettorato, miscelandoli con dosi omeopatiche di don Ciotti e don Gallo, e il risultato è il beverone perfetto che tiene insieme la parrocchietta democratica e l’Arcigay. Aspettarsi qualche cosa di diverso da lui sarebbe stupido. 

Lo scandalo, scusate, è un altro. Di fronte a Renzi che fa il Segretario del Pd e strizza l’occhio ai gay, lo scandalo è ascoltare gli esponenti del Nuovo Centro Destra che dicono: "Le unioni civili non sono delle priorità del governo”. Capite bene? Non è che l’NCD salta come una molla e intima: noi queste unioni non le voteremo mai. No: dice che non sono una priorità. Uno incontra Hitler che dice: voglio costruire le camere a gas, e che cosa gli risponde: "Adolf, ma questa non  è una priorità”. Facciamole, facciamole pure, ma con calma. Ho visto al Tg1 il cattolico ministro Lupi che spiegava la faccenda. Volto imbarazzatissimo, l’occhio terrorizzato di uno che pensa (ma posso sbagliarmi): mannaggia, mi tocca parlare di principi non negoziabili e di gay, adesso mi faranno fare la stessa fine di Pietro Barilla, mi toccherà lasciare il mio ministero così strategico e così importante, con il quale posso fare tanto bene al mio Paese. E al mio movimento. Ed eccolo rifugiarsi, Lupi come tutti gli altri cuor di leone del partito di Angiolino e della Roccella, nella famosa faccenda delle priorità: no, le unioni civili non sono una priorità. Palla in calcio d’angolo, poi dopo vediamo. Ovviamente poi c’è il peggio: allo stesso Tg1 c’era Scelta Civica che intimava: dobbiamo difendere i diritti delle persone omosessuali. Scelta civica… credo si tratti di quello stesso partito che fu costruito a furor di Todi 1 e Todi 2, e che i vescovi italiani avevano eretto a nuovo baluardo dei valori non negoziabili dietro la cattolicissima leadership di Mario Monti. Poi c’è il peggio del peggio, e nello stesso Tg c’era una tizia di Forza Italia che trionfante annunciava che loro avrebbero miscelarlo le loro proposte sui diritti dei gay con quelle di Renzi. Ho udito qualche rudimentale rullo di tamburo contro le unioni civili dalle parti della Lega di Salvini, flebilmente da Fratelli d’Italia. Punto.

No, caro direttore, il mio problema non è Matteo Renzi. Il mio problema è la Chiesa cattolica. Il problema è che in questa vicenda, in questo scatenamento planetario della lobby gay, la Chiesa tace. Tace dal Papa fino all’ultimo cappellano di periferia. E se parla, il giorno dopo Padre Lombardi deve rettificare, precisare, chiarire, distinguere. Prego astenersi dal rispolverare lettere e dichiarazioni fatte dal Cardinale Mario Jeorge Bergoglio dieci anni fa: se io oggi scopro mio figlio che si droga, cosa gli dico: "vai a rileggerti la dichiarazione congiunta fatta da me e da tua madre sei anni fa in cui ti dicevamo di non drogarti”? O lo prendo di petto e cerco di scuoterlo, qui e ora, meglio che posso? 

Caro direttore, in questa battaglia, dov’è la conferenza episcopale, dove son i vescovi? Silenzio assordante. Anzi, no:  monsignor Domenico Mogavero - niente meno che canonista, vescovo di Mazara del Vallo ed ex sottosegretario della Cei – ha parlato, eccome se ha parlato: "La legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi: senza creare omologazioni tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto”. Per Mogavero, "lo Stato può e deve tutelare il patto che due conviventi hanno stretto fra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali – osserva – il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi, se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche, come se si trattasse di una persona estranea”.Conclude il vescovo: "Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’affitto, in virtù della centralità della persona. E’ insostenibile – sottolinea Mogavero – che per la legge il convivente sia un signor Nessuno”. E per la Chiesa, sul cui tema è stata già invitata a riflettere da papa Francesco, in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia, "senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili”. Amen.

Capisci, caro direttore? Fra poco prenderanno mio figlio di sette anni e a scuola lo metteranno a giocare con i preservativi e i suoi genitali, e la Chiesa di che cosa mi parla? Dei barconi che affondano a Lampedusa, di Gesù che era un profugo, di un oscuro gesuita del ‘600 appena beatificato. No, il mio problema non è Matteo Renzi. Caro direttore, dov’è in questa battaglia l’arcivescovo di Milano Angelo Scola? Fra poco ci impediranno di dire e di scrivere che l’omosessualità è contro natura, e Scola mi parla del meticciato e della necessità di comprendere e valorizzare la cultura Rom. E’ sempre l’arcivescovo di Milano che qualche settimana fa ha invitato nel nostro duomo l’arcivescovo di Vienna Schonboern: siccome in Austria la Chiesa sta scomparendo, gli hanno chiesto di venire a spiegare ai preti della nostra diocesi come si ottiene tale risultato, qual è il segreto. Del tipo: questo allenatore ha portato la sua squadra alla retrocessione, noi lo mettiamo in cattedra a Coverciano. E guarda la coincidenza, fra le altre cose: Schonboern – che veste il saio che fu di San Domenco e di Tommaso d’Aquino - è venuto a spiegare ai preti ambrosiani che lui è personalmente intervenuto per proteggere la nomina in un consiglio parrocchiale di due conviventi omosessuali. Li ha incontrati e, dice Shonboern, "ho visto due giovani puri, anche se la loro convivenza non è ciò che l’ordine della creazione ha previsto”. Ecco, caro direttore, questa è la purezza secondo un principe della Chiesa all’alba del 2014. E il mio problema dovrebbe essere Matteo Renzi e il Pd? Prenderanno mio figlio di sette anni e gli faranno il lavaggio del cervello per fargli intendere che l’omosessualità è normale, e intanto il mio arcivescovo invita in duomo un vescovo che mi insegna che due gay conviventi sono esempi di purezza?

E vado a finire. Matteo Renzi che promuove le unioni civili è il prodotto fisiologico di un Papa che mentre viaggia in aereo si fa intervistare dai giornalisti e dichiara: "Chi sono io per giudicare” eccetera eccetera. Ovviamente, lo so anche io che non c’è perfetta identità fra le due questioni, che il Papa é contrario a queste cose e che certamente ne soffre, e che è animato da buone intenzioni. Però i fatti sono fatti. A fronte di quella frasetta epocale in bocca a un papa – "chi sono per giudicare”  - ovviamente si possono scrivere vagonate di articoli correttivi e riparatori, cosa che le truppe infaticabili di normalisti hanno fatto e stanno facendo da mesi per spiegare che va tutto ben madama la marchesa. Ma tu ed io sappiamo bene, e lo sa chiunque conosca i meccanismi della comunicazione, che quel "chi sono io per giudicare” è una pietra tombale su qualunque combattimento politico e giuridico nel campo del riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Se fossimo nel rugby, ti direi che ha guadagnato in pochi secondi più metri a favore della lobby gay quella frasetta di Papa Francesco, che in decenni di lavoro tutto il movimento omosessualista mondiale. Ti dico anche che vescovi come Mogavero, all’ombra di quella frasetta sul "chi sono io per giudicare” possono costruire impunemente castelli di dissoluzione, e a noi tocca solo tacere.

Intendiamoci: sarebbe da stolti imputare al Papa o alla Chiesa la colpa che gli stati di tutto il mondo stiano normalizzando l’omosessualità: questa marea montante è inarrestabile, non si può fermarla. La ragione è semplice: Londra e Parigi, New York e Roma, Bruxelles e Berlino sono diventate una gigantesca Sodoma e Gomorra. Il punto però è se questo noi lo vogliamo dire e lo vogliamo contrastare e lo vogliamo denunciare, oppure se vogliamo fare i furbi e nasconderci dietro il "chi sono io per giudicare”. Il punto è se anche Sodoma e Gomorra planetari debbano essere trattati con il linguaggio della misericordia e della comprensione. Ma allora, mi chiedo, perché non riservare la stessa misericordia anche ai trafficanti di armi chimiche, agli schiavisti, agli speculatori finanziari? Sono poveri peccatori anche loro? O no? O devo chiedere a Schonboern di incontrarli a pranzo e di valutare la loro purezza? Caro direttore, la situazione ormai è chiarissima: qualsiasi politico cattolico o intellettuale o giornalista che anche volesse combattere sulla frontiera omosessualista, si troverà infilzato nella schiena dalla mistica della misericordia e del perdono. Siamo tutti totalmente delegittimati, e qualsiasi vescovo, prete, teologo, direttore di settimanale diocesano, politico cattolico-democratico può chiuderci la bocca con quel "chi sono io per giudicare”. Verrebbe impallinato da un Mogavero qualsiasi come un fagiano da allevamento in una battuta di caccia.

Caro direttore, il nostro problema non è Matteo Renzi. Il nostro, il mio problema è che l’altro giorno il Santo Padre ha detto che il Vangelo "non si annuncia a colpi di  bastonate dottrinali, ma con dolcezza.” Anche qui, prego astenersi normalisti e perditempo: lo so anche io che effettivamente il Vangelo si annuncia così -  a parte il fatto che Giovanni il Battista aveva metodi suoi piuttosto bruschi, e nostro Signore lo definisce "il più grande fra i nati di donna” – ma tu sai benissimo che con quella frasetta siamo, tu ed io, tutti infilzati come baccalà. Tu ed io che ci siamo battuti e ci battiamo contro l’aborto legale, contro il divorzio, contro la fivet, contro l’eutanasia, contro le unioni gay, e contro i politici furbi come Matteo Renzi che quella roba la promuovono e la diffondono. Ecco, tu ed io siamo, irrimediabilmente, dei randellatori di dottrina, della gente senza carità, degli eticisti, degli "iteologi” dice qualche giornalista di cielle. E fenomeni come La Bussola e come Il Timone sono esemplari anacronistici di questa mancanza di carità, di questo rigore morale impresentabile. E non basteranno gli sforzi quotidiani e titanici dei normalisti per sottrarre queste testate alla delegittimazione da parte del cattolicesimo ufficiale, perché tutti gli esercizi di equilibrismo e di tenuta dei piedi in due staffe  si concludono sempre, prima o poi, con un tragico volo nel vuoto.

Penso anche che il problema – scusa il fatto personale - non siano Gnocchi e Palmaro, brutti sporchi e cattivi, che sul Foglio hanno scritto quello che hanno scritto: io lo riscriverei una, dieci, cento mille volte, perché purtroppo tutto si sta compiendo nel modo peggiore, molto peggiore di quanto noi stessi potessimo prefigurare.

Ecco, caro direttore, perché il mio problema, e il problema tuo, dei cattolici e della gente semplice, non è Matteo Renzi. Il problema è nostra Madre la Chiesa, che ha deciso di mollarci nella giungla del Vietnam: gli elicotteri sono ripartiti e noi siamo rimasti giù, a farci infilzare uno dopo l’altro dai vietcong relativisti. Per me, non mi lamento, per le ragioni che sai. E poi perché preferisco mille volte essere rimasto qui, ad aspettare i vietcong, piuttosto che salire su quegli elicotteri. Magari con la promessa in contropartita di uno strapuntino in qualche consulta clericale tipo Scienza e Vita, o con l’illusione di tessere la tela dentro nel palazzo del potere ufficiale insieme a tutti gli altri movimenti ecclesiali. O con la pazza idea – scritta nero su bianco - che, sì, Gnocchi e Palmaro magari c’hanno ragione ma non dovevano dirlo, perché certe verità non vanno dette, anzi vanno addirittura negate pubblicamente per confondere il nemico.

No, io non mi lamento per me. Mi rimane però il problema di quel mio figlio di sette anni e di altri tre già più grandi, ai quali io non voglio e non posso dare come risposta i barconi che affondano a Lampedusa, i gay esempio di purezza del cardinale Shonboern, il meticciato e l’elogio della cultura rom del cardinale Scola, il disprezzo per le randellate dottrinali secondo Papa Francesco, Mogavero che fa l’elogio delle unioni civili. A questi figli non posso contare la favola che il problema si chiama Matteo Renzi. Che per lui, fra l’altro, bastano dieci minuti ben fatti di Crozza.

Caro direttore, caro Riccardo, perché mai ti scrivo tutte queste cose? Perché questa notte non ci ho dormito. E perché io voglio capire – e lo chiedo ai lettori della Bussola - che cosa deve ancora accadere in questa Chiesa perché i cattolici si alzino, una buona volta, in piedi. Si alzino in piedi e si mettano a gridare dai tetti tutta la loro indignazione. Attenzione: io mi rivolgo ai singoli cattolici. Non alle associazioni, alle conventicole, ai movimenti, alle sette che da anni stanno cercando di amministrare conto terzi i cervelli dei fedeli, dettando la linea agli adepti. Che mi sembrano messi tutti sotto tutela come dei minus habens, eterodiretti da figure più o meno carismatiche e più o meno affidabili. No, no: qui io faccio appello alle coscienze dei singoli, al loro cuore, alla loro fede, alla loro virilità. Prima che sia troppo tardi.

Questo ti dovevo, carissimo Riccardo. Questo dovevo a tutti quelli che mi conoscono e hanno ancora un po’ di stima per me e per quello che ho rappresentato, chiedendoti scusa per aver abusato della pazienza tua e dei lettori.

Mario Palmaro

 

Caro Mario,

ti ringrazio di questa lettera, che pubblico volentieri malgrado tu avessi qualche dubbio, anzitutto perché sei un amico che stimo e, secondo, perché mi permette di fare chiarezza sulle questioni di fondo che poni e che sono centrali anche per la missione de La Nuova BQ.

Preciso subito due aspetti per me secondari, per poi passare al nodo della questione. Primo: non ho mai detto che noi abbiamo un problema Renzi, al massimo Renzi sarà un problema per chi lo vota. Se ho scritto di Renzi è per due motivi: siamo un quotidiano e seguiamo le notizie giorno per giorno, non c’è dubbio che in questi giorni le proposte politiche del leader Pd siano la principale notizia politica; inoltre molti cattolici sono affascinati da questa figura emergente, ed era bene puntualizzare che per quello che ci sta a cuore non c’è proprio nulla di nuovo nel suo programma, rispetto ai classici temi della sinistra. E, come già detto chiaramente, i princìpi non negoziabili sono parte del Magistero della Chiesa e non sono soggetti a mode pastorali.

Seconda questione: non credo sia corretto fare di ogni erba un fascio per quel che riguarda sia i politici sia i vescovi. Se la legge sull’omofobia è stata frenata è anche perché alcuni deputati e senatori del centro-destra si sono spesi senza riserve. Questo mi sembra giusto riconoscerlo, così come si nota che tanti politici che ci tengono a definirsi cattolici lavorano per il "nemico”. Inoltre sulle proposte di Renzi c’è anche chi dal Nuovo Centro Destra ha detto parole chiare. Poi vedremo a conti fatti a cosa sarà stata data la priorità. Anche il panorama dei vescovi non è tutto uguale: senza fare nomi, sappiamo che alcuni vescovi italiani in questi giorni hanno detto parole chiare su unioni civili e unioni tra persone dello stesso sesso, anche se la stragrande maggioranza di loro ignora la questione e diversi altri esprimono posizioni in aperto contrasto col Magistero, come del resto ieri non abbiamo mancato di rilevare. 

Parlando di vescovi, entriamo però subito nella vera questione che la tua lettera pone, ovvero la Chiesa. Una Chiesa ormai in ritirata davanti all’ideologia mondana, di cui questa ondata omosessualista è l’aspetto oggi più eclatante e invasivo; una Chiesa che parla di altro mentre si sta distruggendo l’uomo nella sua essenza, l’essere fatto a immagine e somiglianza di Dio. Il vero nemico è dentro, tu dici, la Chiesa trema alle fondamenta; e tale pensiero diventa insopportabile pensando al futuro dei tuoi figli.

Ci sono molte cose vere in ciò che dici, caro Mario, e sai che anche La Bussola non è tenera con certi personaggi e certe idee. Ma credo anche che alla tua descrizione manchi una parte, quella più importante. Ovvero la certezza che a guidare la Chiesa è Cristo, che la Chiesa non è opera di uomini anche se l’opera degli uomini è indispensabile. Solo questa certezza ci rende liberi e lieti pur davanti ai problemi enormi che ci sovrastano, solo questa convinzione vissuta ci dà la forza di sostenere una battaglia impari dove il fuoco amico è diventato più pericoloso di quello nemico.

Del resto che nella Chiesa le cose vadano a rovescio non lo scopriamo certo noi. Ad affermarlo con molta chiarezza fu Paolo VI in quella famosa omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo del 1972: «Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio… Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». E qualche anno dopo - settembre 1977, pochi mesi prima di morire – al suo amico Jean Guitton aggiungeva: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico». 

Ma Paolo VI non finisce qui, in questa descrizione scoraggiante. Nel prevedere che questo «pensiero non cattolico» nella Chiesa diventi maggioritario, aggiunge però: «Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».

Il pensiero della Chiesa è quello del Magistero, è quello del Catechismo, non importa quanti continueranno a seguirlo. A noi è chiesto soltanto questo. Non importa se gli elicotteri sono partiti e ci hanno lasciati lì in balia dei vietcong, noi sappiamo solo che dobbiamo fare bene il lavoro a cui siamo stati chiamati perché è a Lui che alla fine – prima o dopo – dovremo rendere conto. Come diceva Benedetto XVI nell’enciclica Spe Salvi il pensiero del Giudizio Finale dovrebbe sempre accompagnarci, non per metterci paura ma per sostenerci e consolarci. 

Non esiste un popolo cattolico chiamato a ribellarsi contro i suoi governanti indegni – e dopo la ribellione cosa si fa? –, esiste una sola Chiesa fatta di peccatori e traditori ma resa santa dalla guida di Cristo, e dove tutti - dal Papa all'ultimo dei battezzati - sono chiamati alla conversione.

E la Chiesa è tale in quanto unita intorno al Papa. Certo, si può anche sentire di non avere quella sintonia con il Pontefice che sarebbe auspicabile; certo, le scelte pastorali possono anche essere discusse, e si può mostrare perplessità davanti a indirizzi e nomine. Ma sempre avendo ben presente che il Papa non è il presidente della Repubblica, rappresenta Cristo ed è per questo che lo seguiamo. L’unità della Chiesa è il bene supremo, e l’unità si fa intorno al Papa, che è infallibile nel definire la verità rivelata: «Il Papa non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio», diceva il Catechismo di San Pio X, e questo è anzitutto quello che conta. La storia della Chiesa ci insegna che nei secoli sono stati in tanti ad avere ragione contro la mondanità di vescovi e papi (certi atteggiamenti non sono nati oggi), ma chi ha privilegiato le proprie ragioni rispetto all’unità ha solo provocato disastri, si è perso e ha fatto perdere molti altri. Chi invece si è sacrificato per l’unità della Chiesa, ha trovato poi valorizzate anche le sue ragioni.

Nelle prossime settimane avremo modo di tornare su alcuni aspetti dell’attuale pontificato, però è anzitutto importante evitare di giudicarlo dagli articoli di Repubblica, Corriere, Avvenire e così via. Lo so anch’io che quello che passa nell’opinione pubblica sono i titoli dei giornali mentre i discorsi, le omelie, i documenti non li legge nessuno (o quasi), però credo che il nostro sforzo sia anzitutto quello di presentare con chiarezza i contenuti veri dei suoi interventi. E’ quello che La Nuova BQ cera di fare sistematicamente. Poi si potrà discutere di un passaggio o di una affermazione, si potrò anche esprimere perplessità su certi contenuti, ma almeno che sia su ciò che il Papa ha veramente detto e non su quello che altri decidono di fargli dire. 

 

Caro Mario, 
possiamo ben convenire sul fatto che la situazione della Chiesa è drammatica e le cose volgono al peggio, ma la certezza di cui sopra fa sì che l’arma principale per "reagire” non sia quella della pubblica indignazione, quanto quella della preghiera e della penitenza. Come disse Benedetto XVI nel famoso discorso al mondo della cultura francese nel 2008, parlando dell’esperienza del monachesimo benedettino, «nella confusione dei tempi» l’unico obiettivo deve essere «quaerere Deum, cercare Dio». Tutto il resto ci verrà dato di conseguenza.



08/01/2014 fonte La Nuova bussola quotidiana 

 

IL SANTO DEL GIORNO 01/01/2014 Maria SS. Madre di Dio

La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l'uso pagano delle "strenae" (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il "Natale Sanctae Mariae" cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori. 
La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato "in octava Domini": in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch'essa alla festa che inaugurava l'anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 1* gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l'11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio.
Nestorio aveva osato dichiarare: "Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi"; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: "Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna". Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria.
E’ da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: "Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"" (Lc 11,27s).
In realtà, "Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56).


Roma chiamata ad essere più solidale verso i poveri, gli infelici ed i sofferenti. Così il Papa durante i Vespri per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e il Te Deum




Un anno che è passato non ci porta ad una realtà che finisce ma ad una realtà che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza e di felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia. Così il Papa durante i Vespri per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e il Te Deum nella Basilica Vaticana, terminati con la visita al presepe allestito in Piazza San Pietro. Il Pontefice, nell’omelia, si è concentrato poi su Roma, una città di una bellezza unica, ma in cui ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza non solo delle autorità, ma di ogni cittadino. Il servizio di Salvatore Sabatino: 

Papa Francesco apre la sua ultima omelia dell’anno partendo dall’apostolo Giovani, il quale definisce il tempo presente in modo preciso: «È giunta l’ultima ora». Questa affermazione, dice il Papa, – che ricorre nella Messa del 31 dicembre – sta a significare che con la venuta di Dio nella storia siamo già nei tempi "ultimi”, dopo i quali il passaggio finale sarà la seconda e definitiva venuta di Cristo. 

"Con Gesù è venuta la 'pienezza' del tempo, pienezza di significato e pienezza di salvezza. E non ci sarà più una nuova rivelazione, ma la manifestazione piena di ciò che Gesù ha già rivelato". 

La visione biblica e cristiana del tempo e della storia, aggiunge il Papa, non è ciclica, ma lineare: è un cammino che va verso un compimento. 

"Un anno che è passato, quindi, non ci porta ad una realtà che finisce ma ad una realtà che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza, una meta di felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia".

E mentre giunge al termine il 2013, Papa Francesco invita i fedeli a raccogliere, come in una cesta, i giorni, le settimane, i mesi che abbiamo vissuto, per offrire tutto al Signore. Domandiamoci, dice, come abbiamo vissuto il tempo che Lui ci ha donato? 

"Lo abbiamo usato soprattutto per noi stessi, per i nostri interessi, o abbiamo saputo spenderlo anche per gli altri? Quanto tempo abbiamo riservato per 'stare con Dio', nella preghiera, nel silenzio, nell'adorazione?..." 

Si concentra sulla città di Roma, poi, Papa Francesco, domandandosi, cosa è successo quest’anno, che cosa sta succedendo, e che cosa succederà. La qualità della vita – dice - dipende da tutti noi, ed ognuno di noi contribuisce a renderla vivibile, ordinata, accogliente. Il volto di una città, aggiunge il Pontefice, è come un mosaico le cui tessere sono tutti coloro che vi abitano. Certo, chi è investito di autorità ha maggiore responsabilità, ma ciascuno è corresponsabile, nel bene e nel male.

"Roma è una città di una bellezza unica. Il suo patrimonio spirituale e culturale è straordinario. Eppure, anche a Roma ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza di ogni cittadino. A Roma forse sentiamo più forte questo contrasto tra l’ambiente maestoso e carico di bellezza artistica, e il disagio sociale di chi fa più fatica".

Roma, una città di contrasti, insomma, piena di turisti, ma anche piena di rifugiati; piena di gente che lavora, ma anche di persone che non trovano lavoro o svolgono lavori sottopagati e a volte indegni. 

"Tutti, però, hanno il diritto ad essere trattati con lo stesso atteggiamento di accoglienza e di equità, perché ognuno è portatore di dignità umana".

Roma, dice Papa Francesco, avrà un volto ancora più bello se sarà ancora più ricca di umanità, ospitale, accogliente; se tutti noi saremo attenti e generosi verso chi è in difficoltà; se sapremo collaborare con spirito costruttivo e solidale, per il bene di tutti. 

"La Roma dell’anno nuovo sarà migliore se non ci saranno persone che la guardano 'da lontano', in cartolina, che guardano la sua vita solo 'dal balcone', senza coinvolgersi in tanti problemi umani, problemi di uomini e donne che, alla fine… e dal principio, lo vogliamo o no, sono nostri fratelli".

In questa prospettiva – conclude il Papa - la Chiesa di Roma si sente impegnata a dare il proprio contributo alla vita e al futuro della Città: ad animarla con il lievito del  Vangelo, ad essere segno e strumento della misericordia di Dio.



01/01/2014 fonte Radio Vaticana

Papa Francesco presiederà la celebrazione eucaristica nel giorno della 47.ma Giornata Mondiale della pace 2014




Nella Basilica Vaticana, alle 10 di domani, Papa Francesco presiederà la celebrazione eucaristica nel giorno della 47.ma Giornata Mondiale della pace 2014, evento al quale ha dedicato un Messaggio sul tema "Fraternità, fondamento e via per la pace”. Alessandro De Carolis ne ricorda i passaggi salienti in questo servizio: 

Nella storia di Caino e Abele c’è scritto il futuro del mondo: Dio li crea fratelli, ma uno dei due spezza nel sangue questo legame. Papa Francesco prende questo esempio per spiegare la vocazione "essenziale” dell’uomo alla "fraternità”. Vocazione, scrive nel Messaggio per il primo gennaio 2014, che l’umanità porta "inscritta in sé” insieme anche alla possibilità "drammatica del suo tradimento”. Il problema, argomenta il Papa, sta nel fatto che "una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere”. La radice della fraternità, afferma, "è contenuta nella paternità di Dio”, una "paternità generatrice di fraternità” che trasforma la nostra esistenza, senza la quale "diventa impossibile la costruzione di una società giusta”. Oggi, scrive Papa Francesco, questa vocazione alla fraternità è spesso contrastata dalla "globalizzazione dell’indifferenza” che "ci fa lentamente abituare alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi”. E a farne le spese è proprio la pace, un bene "indivisibile”: "O è bene di tutti – osserva il Papa – o non lo è di nessuno”. 

La fraternità, inoltre, ha importanti ricadute sociali perché – afferma il Papa – è anche la via maestra anche per sconfiggere la povertà. L’auspicio allora è che i governi creino "politiche efficaci”, che promuovano "il principio della fraternità” e consentano alle persone di "accedere ai capitali” e alle risorse. L’uomo, ribadisce con fiducia Papa Francesco, "è capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale”. Di qui, la denuncia contro la corruzione e il crimine organizzato e l’appello alla trasparenza e alla responsabilità della politica, valori che generano anch’essi "pace sociale”. Quest’ultima, considera il Papa, oggi è minata troppe volte dallo sfruttamento del lavoro, dall’"abominio del traffico di esseri umani”, dagli "abusi contro i minori”, come pure dalla disumanità che si vive in tante carceri, "dove il detenuto – osserva con dolore – è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo”. Non manca nel Messaggio un richiamo alla custodia della natura, tutt’altro che impossibile se l’uomo rifiuta – scrive – un approccio dettato "dall’avidità, dalla superbia del dominare” in favore di una visione che considera la natura "un dono gratuito” da "mettere a servizio dei fratelli”. 

E la pace ha poi un estremo bisogno che si ricompongano le cause che fomentano le guerre. Papa Francesco inserisce nel suo Messaggio l’invito pressante a rinunciare alle armi – "finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione”, osserva, "si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità” – e a prediligere il dialogo, il perdono, la riconciliazione, "per ricostruire – auspica – la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi”. "Riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la mano!”.


01/01/2014 fonte Radio Vaticana

Il Papa ricorda le vittime di una tragedia del 2004 in Argentina: la tenerezza cura le ferite




Papa Francesco ricorda in una lettera le 194 persone perite nove anni fa nell’incendio di una discoteca a Buenos Aires. Era il 30 dicembre 2004, quando le fiamme divamparono nel locale "Cromañón” della capitale argentina, causando la tragedia. In uno scritto, indirizzato a mons. Jorge Lozano, vescovo di Gualeguaychú e presidente della Commissione episcopale della Pastorale sociale, il Pontefice esprime il suo ricordo per le giovani vittime e la paterna vicinanza ai genitori e ai familiari. "Le ferite fanno ancora più male quando non vengono trattate con tenerezza – scrive il Santo Padre – Guardando il Bambino Gesù, che è tutta tenerezza, chiedo per loro questo atteggiamento: sapere trattare con cura e tenerezza le ferite. Solo una tenera carezza, dal nostro cuore, in silenzio, con rispetto, può dare sollievo”. Infine, il Papa invoca il Signore, affinché avvicini ciascuno con la sua calda consolazione di Padre e insegni a tutti a non restare soli e a continuare a cercare la compagnia dei fratelli. La lettera di Papa Francesco è stata letta ieri nella cattedrale di Buenos Aires da mons. Lozano, durante la Messa celebrata dall’arcivescovo, mons. Poli.


01/01/2014 fonte Radio Vaticana







Camerun: liberato il sacerdote francese rapito nel nord del Paese




E’ tornato libero padre Georges Vandenbeusch, rapito lo scorso 14 novembre nella sua parrocchia di Nguetchewe, all’estremo nord del Paese, a soli 30 km dal poroso confine con la Nigeria. Lo hanno annunciato il Presidente francese François Hollande e il Quai d’Orsay, precisando che il prete è stato rilasciato la notte scorsa e che le sue condizioni di salute sono "buone”. La Santa Sede ha espresso la sua soddisfazione per il rilascio del sacerdote francese. In particolare padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, ha invitato a pregare per tutte le altre persone tenute ingiustamente in ostaggio in tutto il mondo. Per ora le circostanze precise della liberazione di padre Georges così come l’identità dei suoi rapitori non sono state ancora chiarite dalle fonti ufficiali. In giornata - riferisce l'agenzia Misna - il ministro degli Esteri Laurent Fabius arriverà a Yaoundé per accogliere il prete francese e riportarlo a Parigi "quanto prima” ha precisato Hollande. Immediata la razione della Chiesa francese. In proposito Helene Destombes ha raccolta la testimonianza di padre Jean Forgeat, responsabile dei sacerdoti francesi Fidei Donum:  

C’est un immense soulagement, une immense joie …
È un immenso sollievo, una gioia immensa. È veramente grazie a Dio perché molte persone hanno pregato per questa liberazione. Abbiamo sperato tanto, io personalmente ho sperato tanto che potesse avvenire per Natale. Il Natale è passato, ma questo è comunque un bellissimo regalo. Un regalo immenso di buon anno che ci è stato donato alla fine di questo 2013, che è stato e che ancora è segnato da eventi dolorosi, da prove dai quali molti sono colpiti, in particolare sul continente africano, ma non solo. Ebbene, voglio dire che in mezzo a tutte queste prove c’è comunque questo bagliore, questa luce: è la luce del Natale che continua a splendere attraverso questa notizia! E questo è formidabile!

Padre Georges Vandenbeusch era stato portato via di notte da una decina di persone pesantemente armate che lo avrebbero subito trasferito nella vicina Nigeria. Successivamente i presunti rapitori di padre Georges si sono presentati come esponenti di Boko Haram, il gruppo armato islamista nigeriano. Anche gli elementi di prova raccolti dalle autorità camerunensi e francesi ritenevano che l’atto portasse "molto probabilmente” la firma di Boko Haram. Ufficialmente nessun riscatto è mai stato chiesto mentre le trattative sono state portate avanti nella "massima discrezione” riferisce il quotidiano locale ‘Journal du Cameroun’. Il comunicato diffuso dall’Eliseo ringrazia il presidente Paul Biya per il "suo impegno personale” ma anche le autorità del Camerun e della Nigeria per il "loro lavoro incessante” che ha portato alla liberazione del prete. Padre Georges, 42 anni, di nazionalità francese, aveva deciso di rimanere a Nguetchewe, vicino a Koza, nonostante il Quai d’Orsay avesse decretato da tempo la zona "formalmente sconsigliata a causa del rischio terroristico e del pericolo di rapimento”. Lo scorso febbraio nella stessa regione Boko Haram aveva rapito sette cittadini francesi della stessa famiglia, liberati due mesi dopo nella confinante Nigeria. In una lettera pubblicata lo scorso settembre sul blog della parrocchia Saint Jean Baptiste de Sceaux (Hauts de Seine, periferia di Parigi), della quale dipendeva, padre Georges consegnava una testimonianza forte del suo quotidiano "nel secondo anno trascorso in Camerun”. Un testo che faceva riferimento alle "gravi ripercussioni sociali ed economiche dei combattimenti nella confinante Nigeria, dove l’esercito bombarda i rifugi di Boko Haram”. Uno scenario che spinge migliaia di nigeriani a trovare rifugio dall’altra parte della frontiera, proprio nella parrocchia di Nguetchewe, dove il prete prestava assistenza a circa 10.000 persone. Il sacerdote denunciava "un potenziale di tensioni su base religiosa” nella regione ma anche il fatto che "la maggior parte dei rifugiati nigeriani sono cristiani, nel loro Paese di origine costretti alla conversione, alla morte o alla fuga”.

01/01/2014 fonte Radio Vaticana 






IL SANTO DEL GIORNO 29/05/2013 Santa Urszula (Orsola) Ledochowska Religiosa


La beata Giulia Ledóchowska, questo il suo nome da laica, appartiene ad una famiglia benedetta da Dio in quanto è sorella di un’altra beata Maria Teresa Ledóchowska e del 26° preposito generale della Compagnia di Gesù, Wladimiro Ledóchowski, nacque il 17 aprile 1865 da una nobile famiglia polacca residente nell’Austria Inferiore. 
Dopo aver frequentato la scuole di formazione a Sankt Polten, seguì i suoi genitori che si erano trasferiti nella tenuta di Lipnica Murowana nei pressi di Cracovia, comprata dal padre. A 21 anni entrò nel convento delle Orsoline di Cracovia, pronunciando i voti nell’aprile 1899. 
Attiva educatrice ed insegnante, istituì un pensionato per signorine, promovendo tra le studentesse l’Associazione delle Figlie di Maria, fu anche superiora del suo convento per circa quattro anni dal 1904 al 1907. Fu chiamata dal parroco della chiesa di S. Caterina a Pietroburgo che le affidò la direzione di un internato di studentesse polacche in esilio, per far ciò dovette indossare abiti civili per sua sicurezza; nel 1909 fondò anche una casa delle Orsoline a Sortavale in Finlandia dove sperimentò un pensionato e una scuola all’aria aperta per ragazze cagionevoli di salute, sul modello inglese, nel contempo fondò nella stessa Pietroburgo una casa delle Orsoline. 
La sua cittadinanza e origine austriaca la fece diventare oggetto di persecuzione da parte della polizia russa, durante la Prima guerra mondiale e quindi nel 1914 si rifugiò in Svezia a Stoccolma dove fondò anche qui un pensionato ed una scuola; animata da grande senso di apostolato fondò per i cattolici svedesi il giornale Solglimstar che ancora si pubblica sotto altra dicitura. Proseguì la sua opera con lo spostarsi in Danimarca ad Aalborg nel 1917 per l’assistenza dei profughi polacchi, dove rimase fino al 1919, quando poté rientrare in Polonia nel suo convento di origine. 
Nel 1920 ubbidendo ad un suo anelito interiore si distaccò dalla sua congregazione, per fondarne un’altra denominata Orsoline del S. Cuore Agonizzante con il compito dell’assistenza delle giovani non abbienti e per la cura di poveri, vecchi, bambini. 
In Polonia vengono dette ‘Orsoline grigie’ e in Italia le ‘Suore polacche’; la Congregazione ebbe l’approvazione definitiva nel 1930 e si sviluppò velocemente cosicché alla morte della madre, il cui nome era diventato Orsola in polacco Urszula, si contavano già 35 case con oltre 1000 suore; ha lasciato vari scritti per meditazioni tutti in polacco, alcuni tradotti anche in italiano e francese. 
Morì a Roma il 29 maggio 1939. Beatificata da papa Giovanni Paolo II il 20 giugno 1983 a Poznan in Polonia.
E' stata canonizzata da Papa Giovanni Paolo secondo a Roma il 18 maggio 2003.


Udienza generale. Il Papa: la Chiesa sia ricca di famiglie che portano il calore di Dio





Dio è sempre pronto al perdono, perché il suo "progetto” è fare dell’umanità e della Chiesa "un’unica famiglia”. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’udienza generale celebrata in Piazza San Pietro di fronte a oltre 90 mila persone, con la quale ha inaugurato un nuoco ciclo di catechesi sul mistero della Chiesa. Un’udienza caratterizzata a tratti da una pioggia intensa, sopportata dal Papa sulla jeep scoperta senza alcun riparo. Al termine dell’udienza, il Pontefice ha invitato i fedeli alla Messa solenne del Corpus Domini, che presiederà domani sera in San Giovanni in Laterano. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La figura bianca di Papa Francesco sulla jeep, che saluta e prende i saluti, regala e riprende lo zucchetto, e soprattutto prende tutta la pioggia senza un ombrello sulla testa e senza nessuna fretta di ripararsi, nessuno probabilmente l’aveva mai vista. La vede, stupito, il resto del mondo alla tv e soprattutto la vedono i 90 mila che affollano Piazza San Pietro, assembrati come una testuggine romana sotto gli ombrelli e che per prima cosa si sentono dire, loro, dal Papa:

"Avete mostrato coraggio sotto la pioggia. Siete bravi, eh?”.

Il Papa fradicio di pioggia che non pensa a sé ma a chi è venuto ad ascoltarlo, che guadagna la tettoia senza un cenno d’impazienza e senza che l’acqua che lo bersaglia spenga il suo sorriso pieno di calore, diventa d’istinto la personificazione di quel Padre buono di cui, poco dopo, parlerà durante la catechesi. Il tema del giorno è semplice e chiaro: spiegare come la Chiesa sia "famiglia di Dio”. La riflessione di Papa Francesco si snoda fino al punto in cui afferma – con la consueta, amabile sincerità – che anche in chi compone la Chiesa, Pastori e fedeli, si annidano miserie piccole e grandi:

"Ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo”.

La gente pensa e soprattutto vede il Pastore lievemente scarmigliato rassicurare sulla bontà di Dio, come il padre della parabola che non rimprovera, anzi abbraccia il figlio che è tornato da lui. Perché il progetto di Dio, spiega Papa Francesco…

"… è fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio”. 

In questo "grande disegno”, prosegue Papa Francesco, "trova la sua radice la Chiesa, che non è – afferma – un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone”, ma come tante ricordato da Benedetto XVI, un’opera di Dio che nasce "da questo disegno di amore” e "si realizza progressivamente nella storia”:

"La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati (…) Ancora oggi qualcuno dice: ‘Cristo sì, la Chiesa no’. Come quelli che dicono ‘io credo in Dio ma non nei preti’. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio (…) Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio”.

Il tema della Chiesa come famiglia ha suggerito preghiere e auspici a Papa Francesco, durante la sintesi della catechesi in altre lingue. Ai giovani polacchi ha indicato Dio come "modello di ogni paternità” soggiungendo: "La paternità è un dono di Dio e una grande responsabilità per dare una nuova vita, la quale è un’irripetibile immagine di Dio. Non abbiate paura di essere genitori”. Con i fedeli francesi, il messaggio del Papa è diretto alla realtà della Chiesa nel suo insieme ed è uno sprone a sentirvisi figli, ma anche custodi:

"Amate la Chiesa come l’ha amata Gesù che ha donato ad essa la sua vita e le ha comunicato tutto il suo amore. Non esitate a difenderla, a spendervi per essa, a mettervi al suo servizio, a renderla più fraterna e più accogliente”.

L’ultimo invito è rivolto ai fedeli di Roma e a tutti i pellegrini e riguarda la festa del Corpus Domini, che domani alle 19 vedrà Papa Francesco sull’altare della Basilica di San Giovanni in Laterano per la Messa solenne e poi alla guida della processione fino a Santa Maria Maggiore. Si tratta, conclude il Papa, di "atto di profonda fede verso l’Eucaristia che costituisce il più prezioso tesoro della Chiesa e dell'umanità”.

Tanti i fedeli, accorsi a Piazza San Pietro nonostante la pioggia. A colpire la loro attenzione le parole di Papa Francesco in particolare sulla Chiesa come famiglia. Al microfono di Benedetta Capelli ascoltiamo alcune testimonianze: 

R. – Chi ama la Chiesa ama Cristo. Per me, il Papa ha detto delle parole veramente giuste: si è Chiesa quando si ama Cristo, quando si ama Colui che sta accanto a noi. Amare gli umili, amare i popoli, amare i poveri: dove c’è questo amore, c’è la Chiesa e c’è Cristo. 

R. – Noi abbiamo l’esempio del Papa che riesce a far passare certi messaggi e la gente se lo segue vuol dire che è assetata di questo. Ha bisogno di chi gli ricorda l’importanza di questi valori. Noi siamo qui per testimoniare che gli vogliamo bene. Abbiamo portato i bambini della scuola, perché già dai bambini deve esserci questo amore per il Papa: i bambini e le famiglie.

R. – Lui ha puntato sempre sulla famiglia e poi sulla misericordia di Dio. Questo penso sia la cosa più grande, più bella per tutti noi, perché tutti siamo figli e di conseguenza il Papa ci fa toccare questa misericordia.

R. – Nella Chiesa di Dio siamo tutti fratelli e quindi figli dello stesso Padre, per cui come in una famiglia circola l’amore fraterno e paterno, così deve essere nella Chiesa: far vedere come la tolleranza, l’accoglienza, la socializzazione sono tutti aspetti che poi portano a volersi bene.

R. – Ciò che mi ha colpito nelle parole di Papa Francesco è quando ha parlato della misericordia, del perdono e del rapporto tra la Chiesa e Cristo: non è possibile parlare soltanto di Cristo senza parlare della Chiesa, perché Cristo è il centro della nostra fede. Per cui, per un cristiano non è possibile scindere queste due realtà.

D. – E’ molto difficile, vista la sua esperienza di pastore, far capire e far passare questo messaggio?

R. – E’ molto difficile, soprattutto nelle nuove generazioni, far capire questo rapporto tra Chiesa e Cristo: molti pensano e dicono di accettare Gesù Cristo e non accettano la Chiesa. Però, secondo me chi non accetta la Chiesa, non accetta neanche Gesù Cristo. È la Chiesa con i suoi limiti che porta a Gesù.




29/05/2013 fonte  Radio Vaticana 

Omelie del Papa a Santa Marta: nota di padre Lombardi in risposta ad alcune domande




Il grandissimo interesse suscitato dalle brevi omelie del Papa nel corso delle Messe celebrate al mattino nella cappella della Casa Santa Marta fa sì che si sia posta e si continui a porre spesso, da diverse parti, la domanda sulla possibilità di accedere a tale celebrazione o a tale omelia in modo completo e non solo tramite le sintesi pubblicate ogni giorno da Radio Vaticana e Osservatore Romano.

La domanda è comprensibile ed è stata più volte presa in considerazione e fatta oggetto di una riflessione approfondita, e merita una risposta chiara. Anzitutto, è necessario tener conto del carattere che il Santo Padre stesso attribuisce alla celebrazione mattutina della Messa a Santa Marta.
Si tratta di una Messa con la presenza di un gruppo non piccolo di fedeli (in genere oltre cinquanta persone), ma a cui il Papa intende conservare un carattere di familiarità. Per questo, nonostante le richieste pervenute, egli ha esplicitamente desiderato che non venga trasmessa in diretta video o audio.

Quanto alle omelie, non sono pronunciate sulla base di un testo scritto, ma spontaneamente, in lingua italiana, lingua che il Papa possiede molto bene, ma non è la sua lingua materna. Una pubblicazione "integrale” comporterebbe quindi necessariamente una trascrizione e una ristesura del testo in vari punti, dato che la forma scritta è differente da quella orale, che in questo caso è la forma originaria scelta intenzionalmente dal Santo Padre. Insomma, occorrerebbe una revisione del Santo Padre stesso, ma il risultato sarebbe chiaramente "un’altra cosa”, che non è quella che il Santo Padre intende fare ogni mattina.

Dopo attenta riflessione si è quindi considerato che il modo migliore per rendere accessibile a un largo pubblico la ricchezza delle omelie del Papa senza alterarne la natura è quello di pubblicarne un’ampia sintesi, ricca anche di frasi originali virgolettate che riflettano il sapore genuino delle espressioni del Papa. E’ quanto s’impegna a fare l’Osservatore Romano ogni giorno, mentre la Radio Vaticana, in base alla sua natura caratteristica, offre una sintesi più breve, ma corredata anche da alcuni brani dell’audio originale registrato, e il Ctv offre una videoclip corrispondente a uno degli inserti audio pubblicati dalla Radio Vaticana.

Bisogna insistere sul fatto che, nell’insieme dell’attività del Papa, va conservata con cura la differenza fra le diverse situazioni e celebrazioni, come pure il diverso livello di impegno dei suoi pronunciamenti. Così, in occasione delle celebrazioni o attività pubbliche del Papa, trasmesse in diretta televisiva e radiofonica, le omelie o i discorsi vengono trascritti e pubblicati integralmente. In occasione di celebrazioni più familiari e private occorre rispettare il carattere specifico della situazione, della spontaneità e della familiarità delle espressioni del Santo Padre. La soluzione prescelta rispetta quindi anzitutto la volontà del Papa e la natura della celebrazione mattutina, e allo stesso tempo permette a un largo pubblico di accedere ai messaggi principali che il Santo Padre offre ai fedeli anche in tale circostanza.


29/05/2013 fonte Radio Vaticana 

Mons. Chullikat all’Onu: mancanza di cibo e acqua potabile per tutti è uno scandalo





Garantire a tutti sicurezza alimentare, acqua, servizi igienici e sanitari "è non solo un necessità evidente ma è anche un imperativo morale”: lo ha ribadito l’arcivescovo Francis Chullikat, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in due interventi nell’ambito del Gruppo di lavoro sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, fissati dall’Onu, da raggiungere entro il 2015. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Ci sono più vittime per fame e malnutrizione ogni anno che per malattie come Aids, malaria e tubercolosi messe insieme. "Quasi un miliardo di esseri umani nostri fratelli” vanno "a letto affamati ogni giorno”. Uno "scandalo”, ha denunciato l’arcivescovo Chullikat, puntando il dito contro "una crisi morale e umanitaria”, aggravata da politiche e pratiche finanziarie speculative sulle derrate alimentari, da conflitti armati, da risorse alimentari sprecate o dirottate dal consumo alla produzione di energia, e dall’incapacità di fornire l’accesso ai mercati ai produttori dei Paesi in via di sviluppo. E’ davvero uno "spettacolo grottesco” – ha osservato il rappresentante vaticano – assistere alla distruzione di prodotti alimentari per preservare prezzi più alti di mercato ai produttori, anzitutto del Paesi sviluppati. Una "pratica riprovevole”, che privilegia il profitto economico sulla pelle di quelli che muoiono di fame. "Non è distruggendo il sostentamento necessario alla sopravvivenza dei poveri – ha ammonito il presule – che possiamo immaginare di costruire un mondo più prospero e ricco”. 

Altro tema dolente affrontato da mons. Chullikat è quello dell’acqua potabile e dei servizi igienici che pure devono essere garantiti a tutti, quale "diritto umano universale”, mentre oggi – ha ricordato l’osservatore permanente della Santa Sede – oltre 800 milioni di persone non hanno accesso a risorse idriche e altri milioni sono senza rifornimenti sicuri e sostenibili. E se l’acqua "non è una risorsa illimitata”, "il suo uso razionale e solidale richiede la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà”. Da qui, anche l’urgenza di creare "autorità competenti a livello regionale e transnazionale per la gestione congiunta, integrata, equa” delle risorse comuni come l’acqua. Ed anche per identificare le responsabilità personali, legali e finanziarie di chi impedisce ed ostacola l’accesso all’acqua potabile per tutti.


29/05/2013 fonte  Radio Vaticana 

Mons. Bertolone: il grido di Papa Francesco ai mafiosi, messaggio meraviglioso




Risuonano con forza ancora oggi le forti parole pronunciate ieri all’Angelus da Papa Francesco che, ricordando la Beatificazione di don Pino Puglisi, ha elevato la sua preghiera perché "i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio”. Su queste parole, Fabio Colagrande ha raccolto il commento di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della Causa di Beatificazione di don Puglisi:   

R. – Innanzitutto le reputo il suggello di un cammino ecclesiale iniziato negli anni Ottanta e che ha avuto il suo momento più alto con il grido di Giovanni Paolo II, vent’anni fa, nella Valle dei Templi, nel mese di maggio, il 9 maggio 1993 per l’esattezza. Questo pensiero, pur nella sua brevità di Papa Francesco, chiude – se così possiamo dire – questo iter in occasione della Beatificazione di Puglisi. Quindi un messaggio meraviglioso, di forza, che deve entrare nella mente – mi permetto di dire – non solo dei palermitani e dei siciliani, ma di tutti i buoni credenti, perché la malavita, che si chiami mafia o con un altro nome, l’abbiamo un po’ in tutto il mondo. Segna la inconciliabilità assoluta tra Vangelo e qualsiasi altra forma di violenza e di sopraffazione. Un bel messaggio quello del Papa, che va a chiudere la bellissima celebrazione avvenuta a Palermo, sabato scorso, dinanzi a 100 mila persone; un bel segno di un popolo nuovo, che desidera liberarsi da questa malapianta, da questo cancro, che è ad ora il dio del potere e il dio del denaro. 

D. – Ha colpito molto l’invito di Papa Francesco a pregare perché i mafiosi e le mafiose si convertano a Dio…

R. – Mi permetto di dire che nella parola "convertitevi” ci deve essere il pentimento sincero sia a livello religioso, sia a livello civile. Deve essere incluso anche il concetto di riparazione per il male fatto. La vera conversione diventa liberante, diventa rigenerante: possiamo avere un uomo nuovo. Questa è la forza del cristianesimo, la forza del Vangelo. Per cui in quella parola "convertitevi” c’è il desiderio di resurrezione: più che una condanna è un invito a vivere santamente come vuole il Signore. La grandissima presenza al Foro Italico di Palermo, ma sicuramente anche dinanzi ai televisori milioni di persone hanno potuto assistere alla celebrazione, è il segno che questo piccolo grande uomo, questo umile uomo, con la sua semplicità, con la sua umiltà, il suo senso ecclesiale, fatto di ubbidienza e fatto di povertà, fatto di dolcezza e fatto di mitezza, ha seguito Cristo fino in fondo. Quindi diventa un’immagine trasparente, vivente per gli uomini di oggi, perché è collegato alla Croce di Cristo. Come il chicco di grano: se non muore non porta frutto. 


27/05/2013 fonte Radio Vaticana




Angelus. Il Papa: i mafiosi si convertano a Dio, non possono rendere schiavi donne e bambini




"I mafiosi e le mafiose si convertano a Dio”. Questa preghiera di Papa Francesco, salutata da salve di applausi, ha caratterizzato l’Angelus di questa domenica in Piazza San Pietro. Ricordando la Beatificazione di don Pino Puglisi, il Papa ha stigmatizzato lo sfruttamento delle mafie ai danni di milioni di vittime, esclamando: "Non possono fare di noi fratelli schiavi”. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Sullo sfondo non si staglia la Valle dei Templi di Agrigento ma le architetture vaticane, eppure 20 anni sembrano cancellati d’un colpo quando, con voce forse meno tonante ma non meno addolorata, Papa Francesco riecheggia le storiche parole di Giovanni Paolo II nel 1993. Ma prima di approdare all’analogo auspicio di conversione, la denuncia di Papa Francesco si allarga a tutti quei contesti dove il crimine la fa da padrone con soprusi e violenze:

"Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo. Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio”.

A innescare questo crescendo spontaneo è stato pochi istanti prima, appena dopo la preghiera dell’Angelus, il ricordo di don Pino Puglisi, beatificato in quella Palermo nella quale il 15 settembre di 20 anni fa la mafia lo assassinò. Un uomo, afferma il Papa, la cui vita e la cui morte sono ancora oggi un monito per chi pensava di strappare con lui anche ciò che aveva seminato: 

"Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto”.

Gli applausi della folla, enorme anche questa domenica, sono una scia sonora che prolunga l’eco delle parole del Pontefice nel Colonnato della Piazza. Ma lo stile comunicativo del Papa ha nel frattempo regalato altri efficaci spunti di riflessione, più eminentemente spirituali. Parlando della Trinità, come due ore prima con i bambini di una parrocchia romana – e affermando come questo mistero significhi qualcosa di concreto e non che Dio sia "qualcosa di vago” – Papa Francesco ritrova una espressione che da qualche settimana ha fatto il giro del mondo:

"Il nostro Dio non è un Dio 'spray', è concreto, non è un astratto, ma ha un nome: ‘Dio è amore’. Non è un amore sentimentale, emotivo, ma l’amore del Padre che è all’origine di ogni vita, l’amore del Figlio che muore sulla croce e risorge, l’amore dello Spirito che rinnova l’uomo e il mondo. Pensare che Dio è amore ci fa tanto bene, perché ci insegna ad amare, a donarci agli altri come Gesù si è donato a noi, e cammina con noi”. 

E per rafforzare il concetto di un amore che non è mai volato alto sul destino dell’umanità, ma al contrario si è strettamente intrecciato con le vicende della storia di ogni epoca, Papa Francesco prosegue:

"La Santissima Trinità non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall’alto di una cattedra, ma camminando con l’umanità (...) Dio ha camminato con il suo popolo nella storia del popolo d’Israele e Gesù ha camminato sempre con noi e ci ha promesso lo Spirito Santo che è fuoco, che ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, che dentro di noi ci guida, ci dà delle buone idee e delle buone ispirazioni.

La considerazione finale è per Maria, colei – afferma Papa Francesco – che grazie a Cristo "è già nella gloria della Trinità” e, allo stesso tempo, una Madre vicinissima ai suoi figli:

"E’ la Madre della speranza, nel nostro cammino, nella nostra strada, Lei è la Madre della speranza. E’ la Madre anche che ci consola, la Madre della consolazione e la Madre che ci accompagna nel cammino. Adesso preghiamo la Madonna tutti insieme, a nostra Madre che ci accompagna nel cammino”.

Al termine della recita dell’Angelus, dopo aver affidato all’intercessione del Beato Puglisi – e di San Filippo Neri, altro grande formatore dei giovani che la Chiesa celebra il 26 maggio – il lavoro dell’"Associazione Nazionale San Paolo degli Oratori e dei Circoli Giovanili”, e ancora aver salutato l’Associazione italiana sclerosi multipla, Papa Francesco ha riservato attenzione particolare a uno tra i molti gruppi presenti in Piazza San Pietro:

"Saluto il gruppo di cattolici cinesi qui presenti, che si sono riuniti a Roma per pregare per la Chiesa in Cina, invocando l’intercessione di Maria Ausiliatrice”.



27/05/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 20/05/2013 San Bernardino da Siena sacerdote




Per ascoltare le prediche efficacissime di questo frate francescano di fine Medioevo, si radunavano folle di fedeli nelle piazze delle città, non potendoli contenere le chiese; e mancando allora mezzi tecnici di amplificazione della voce, venivano issati i palchi da cui parlava, studiando con banderuole la direzione del vento, per poterli così posizionare in modo favorevole all’ascolto dalle folle attente e silenziose.

Origini e formazione
San Bernardino nacque l’8 settembre 1380 a Massa Marittima (Grosseto) da Albertollo degli Albizzeschi e da Raniera degli Avveduti; il padre nobile senese era governatore della città fortificata posta sulle colline della Maremma.
A sei anni divenne orfano dei genitori, per cui crebbe allevato da parenti, prima dalla zia materna che lo tenne con sé fino agli undici anni, poi a Siena a casa dello zio paterno, ma fino all’età adulta furono soprattutto le donne della famiglia ad educarlo, come la cugina Tobia terziaria francescana e la zia Bartolomea terziaria domenicana.
Ricevette un’ottima educazione cristiana ma senza bigottismo, crebbe sano, con un carattere schietto e deciso, amante della libertà ma altrettanto conscio della propria responsabilità.
Studiò grammatica, retorica e lettura di Dante, dal 1396 al 1399 si applicò allo studio della Giurisprudenza nella Università di Siena, dove conseguì il dottorato in filosofia e diritto; non era propenso alla vita religiosa, tanto che alle letture bibliche preferiva la poesia profana.
Verso i 18 anni, pur seguitando a vivere come i coetanei, entrò nella Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Scala, una compagnia di giovani flagellanti, che teneva riunioni a mezzanotte nei sotterranei del grande ospedale posto di fronte al celebre Duomo di Siena.
Aveva 20 anni quando Siena nel 1400 fu colpita dalla peste; e anche molti medici e infermieri dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, morirono contagiati, per cui il priore chiese pubblicamente aiuto.
Bernardino insieme ai compagni della Confraternita si offrì volontario, la sua opera nell’assistenza agli appestati durò per quattro mesi, fino all’inizio dell’inverno, quando la pestilenza cominciò a scemare.
Trascorsero poi altri quattro mesi, tra la vita e la morte, essendosi anch’egli contagiato; guarito assisté poi per un anno la zia Bartolomea diventata cieca e sorda.

La scelta Francescana
In quel periodo cominciò a pensare seriamente di scegliere per la sua vita un Ordine religioso, colpito anche dall’ispirata parola di s. Vincenzo Ferrer, domenicano, incontrato ad Alessandria.
Alla fine scelse di entrare nell’Ordine Francescano e liberatosi di quanto possedeva, l’8 settembre 1402 entrò come novizio nel Convento di San Francesco a Siena; per completare il noviziato, fu mandato sulle pendici meridionali del Monte Amiata, al convento sopra Seggiano, un villaggio di poche capanne intorno ad una chiesetta, detto il Colombaio.
Il convento apparteneva alla Regola dell’Osservanza, sorta in seno al francescanesimo 33 anni prima, osservando appunto assoluta povertà e austerità, prescritte dal fondatore san Francesco; e con la loro moderazione, che li distingueva dagli Spirituali più combattivi nei decenni precedenti, gli Osservanti si opponevano al rilassamento dei Conventuali, con discrezione e senza eccessi.
Frate Bernardino visse al Colombaio per tre anni, facendo la professione religiosa nel 1403 e diventando sacerdote nel 1404, celebrò la prima Messa e tenne la prima predica nella vicina Seggiano e come gli altri frati del piccolo convento, prese a girare scalzo per la questua nei dintorni. Nel 1405 fu nominato predicatore dal Vicario dell’Ordine e tornò a Siena. 

La sua formazione, studi, prime predicazioni
Dopo un po’, da Siena andò con qualche compagno nel piccolo romitorio di Sant’Onofrio sul colle della Capriola di fronte alla città; da tempo questo conventino era abitato da frati dell’Osservanza, qui fra’ Bernardino volle costruire un nuovo convento più grande, esso apparteneva all’Ospedale della Scala ed egli riuscì ad ottenerlo in dono, ma giacché i Frati Minori non potevano accettare donazioni, si impegnò a versare in cambio una libbra di cera all’anno.
Aveva circa 25 anni e restò alla Capriola per 12 anni, dedicandosi allo studio dei grandi dottori e teologi specie francescani; raccogliendo e studiando materiale ascetico, mistico e teologico.
In quel periodo, fu a contatto col mondo contadino ed artigiano delle cittadine dei dintorni, imparando a predicare per farsi comprendere da loro, con espressioni, immagini vivaci e aneddoti che colpissero l’attenzione di quella gente semplice, a cui affibbiava soprannomi nelle loro attività e stile popolano di vivere, per farli divertire; così la massaia disordinata era "madama Arrufola” e la giovane che ‘balestrava’ con occhiate languide i giovani dalla sua finestra, era "monna Finestraiola”.
Per una malattia alle corde vocali che per qualche anno lo colpì, rendendo la sua voce molto fioca, Bernardino da Siena, stava per chiedere di essere esonerato dalla predicazione. Ma inaspettatamente un giorno la voce ritornò non soltanto limpida, ma anche musicale e penetrante, ricca di modulazioni.
Sul colle della Capriola tornava spesso dopo i suoi lunghi viaggi di predicatore, per ritrovare li spirito di meditazione e per scrivere i "Sermoni latini”; formò molti discepoli fra i quali san Giacomo della Marca, san Giovanni da Capestrano, i beati Matteo da Agrigento, Michele Cercano, Bernardino da Feltre e Bernardino da l’Aquila.

Il grande predicatore popolare
Nel 1417 padre Bernardino da Siena fu nominato Vicario della provincia di Toscana e si trasferì a Fiesole, dando un forte impulso alla riforma in atto nell’Ordine Francescano.
Contemporaneamente iniziò la sua straordinaria predicazione per le città italiane, dove si verificava un grande afflusso di fedeli che faceva riempire le piazze; tutta la cittadinanza partecipava con le autorità in testa, e i fedeli affluivano anche dai paesi vicini per ascoltarlo.
Dal 1417 iniziò a Genova la sua prodigiosa predicazione apostolica, allargandola dopo i primi strepitosi successi, a tutta l’Italia del Nord e del Centro.
A Milano espose per la prima volta alla venerazione dei fedeli, la tavoletta con il trigramma; da Venezia a Belluno, a Ferrara, girando sempre a piedi, e per tutta la sua Toscana, dove ritornava spesso, predicò incessantemente; nel 1427 tenne nella sua Siena un ciclo di sermoni che ci sono pervenuti grazie alla fedele trascrizione di un ascoltatore, che li annotava a modo suo con velocità, senza perdere nemmeno una parola.
Da queste trascrizioni, si conosce il motivo dello straordinario successo che otteneva Bernardino; sceglieva argomenti che potevano interessare i fedeli di una città ed evitava le formulazioni astruse o troppo elaborate, tipiche dei predicatori scolastici dell’epoca. Per lui il "dire chiaro e breve” non andava disgiunto dal "dire bello”, e per farsi comprendere usava racconti, parabole, aneddoti; canzonando superstizioni, mode, vizi. 
Sapeva comprendere le debolezze umane, ma era intransigente con gli usurai, considerati da lui le creature più abbiette della terra. Le conversioni spesso clamorose, le riconciliazioni ai Sacramenti di peccatori incalliti, erano così numerosi, che spesso i sacerdoti erano insufficienti per le confessioni e per distribuire l’Eucaristia.
Quando le leggi che reggevano un Comune, una Signoria, una Repubblica, erano ingiuste e osservarle significava continuare l’ingiustizia, Bernardino da Siena, in questi casi dichiarava sciolti dal giuramento i pubblici ufficiali e invitava la città a darsi nuove leggi ispirate al vangelo; e le città facevano a gara per ascoltarlo e ne accettavano le direttive.

Il trigramma del Nome di Gesù
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico, la riassumeva nella devozione al Nome di Gesù e per questo inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle famiglie e delle varie corporazioni spesso in lotta tra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città per predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco (ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di "In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano, oppure di "Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato; il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti cioè i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede; l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H. 
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania: 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo: "Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.
Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: "Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù. 
Quindi la novità di s. Bernardino fu di offrire come oggetto di devozione le iniziali del nome di Gesù, attorniato da efficaci simbolismi, secondo il gusto dell’epoca, amante di stemmi, armi, simboli.
L’uso del trigramma, comunque gli procurò accuse di eresie e idolatria, specie dagli Agostiniani e Domenicani, e Bernardino da Siena subì ben tre processi, nel 1426, 1431, e 1438, dove il francescano poté dimostrare la sua limpida ortodossia, venendo ogni volta assolto con il favore speciale di papa Eugenio IV, che lo definì "il più illustre predicatore e il più irreprensibile maestro, fra tutti quelli che al presente evangelizzano i popoli in Italia e fuori”.

Riformatore dell’Ordine Francescano
Bernardino, che fin dal 1421 era Vicario dei Frati Osservanti di Toscana e Umbria, nel 1438 venne nominato dal Ministro Generale dell’Ordine Francescano, Vicario Generale di tutti i conventi dell’Osservanza in Italia.
Nella sua opera di riforma, portò il numero dei conventi da 20 a 200; proibì ai frati analfabeti o poco istruiti, di confessare e assolvere i penitenti; istituì nel convento di Monteripido presso Perugia, corsi di teologia scolastica e di diritto canonico; s’impegnò a fare rinascere lo spirito della Regola di s. Francesco, adattandola alle esigenze dei nuovi tempi.
Rifiutò per tre volte di essere vescovo di diocesi, che gli furono offerte.

Gli ultimi anni, la morte
Nel 1442, sentendosi oltremodo stanco, soffriva di renella, infiammazione ai reni, emorroidi e dissenteria, rassegnò le sue dimissioni dalla carica, che aveva accettato per spirito di servizio verso l’Ordine.
Nel fisico sembrava più vecchio dei suoi 62 anni, aveva perso tutti i denti, tranne uno e quindi le gote gli si erano incavate, ma quell’aspetto emaciato l’aveva già a 46 anni, quando posò per un quadro dal vivo, oggi conservato alla Pinacoteca di Siena.
Libero da responsabilità riprese a predicare, nonostante il cattivo stato di salute; i senesi gli chiesero di recarsi a Milano per rinsaldare l’alleanza con il duca Filippo Maria Visconti contro i fiorentini; da lì proseguì poi per il Veneto, predicando a Vicenza, Verona, Padova, Venezia, scendendo poi a Bologna e Firenze, nella natia Massa Marittima predicò nel 1444 per 40 giorni.
Ritornato a Siena si trattenne per poco tempo, perché voleva ancora compiere una missione di predicazione nel Regno di Napoli, dove non si era mai recato, con l’intenzione di predicare anche lungo il percorso; accompagnato da alcuni frati senesi, toccò il Trasimeno, Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Rieti, ma già in prossimità de L’Aquila, il suo fisico cedette allo sforzo e il 20 maggio 1444 fu portato in lettiga al convento di San Francesco, dentro la città, dove morì quel giorno stesso a 64 anni, posto sulla nuda terra come s. Francesco, dietro sua richiesta.
Dopo morto, il suo corpo esposto alla venerazione degli aquilani, grondò di sangue prodigiosamente e a tale fenomeno i rissosi abitanti in lotta fra loro, ritrovarono la via della pace.
I frati che l’accompagnavano, volevano riportare la salma a Siena, ma gli aquilani, accorsi in massa lo impedirono, concedendo solo gli indumenti indossati dal frate, oggi conservati nel convento della Capriola a Siena.
Nelle città dov’era vissuto, furono costruiti celebri oratori, chiese, mausolei, come quello di S. Bernardino nella omonima chiesa dell’Aquila, dove riposa.
Sei anni dopo la morte, il 24 maggio 1450, festa di Pentecoste, papa Niccolò V lo proclamò santo nella Basilica di S. Pietro a Roma. San Bernardino è compatrono di Siena, della nativa Massa Marittima, di Perugia e dell’Aquila. 
Una città in California porta il suo nome. È invocato contro le emorragie, la raucedine, le malattie polmonari. La sua festa si celebra il 20 maggio.


Papa Francesco: la preghiera umile, forte e coraggiosa compie miracoli



Una preghiera coraggiosa, umile e forte, compie miracoli: è quanto ha affermato il Papa stamani nella Messa presieduta a Santa Marta. Erano presenti alcuni dipendenti della Radio Vaticana accompagnati dal direttore della nostra emittente, padre Federico Lombardi. Il servizio di Sergio Centofanti: 

La liturgia del giorno presenta il brano del Vangelo in cui i discepoli non riescono a guarire un fanciullo; deve intervenire Gesù stesso che si lamenta dell’incredulità dei presenti; e al padre di quel ragazzo che chiede aiuto risponde che "tutto è possibile per chi crede”. Papa Francesco osserva che spesso anche quanti vogliono bene a Gesù non rischiano troppo nella loro fede e non si affidano completamente a Lui:

"Ma perché, questa incredulità? Credo che è proprio il cuore che non si apre, il cuore chiuso, il cuore che vuole avere tutto sotto controllo”.

E’ un cuore, dunque, che "non si apre” e non "dà il controllo delle cose a Gesù” – spiega il Papa – e quando i discepoli gli domandano perché non hanno potuto guarire il giovane, il Signore risponde che quella "specie di demoni non si può scacciare in alcun modo se non con la preghiera”. "Tutti noi – sottolinea - abbiamo un pezzo di incredulità, dentro”. E’ necessaria "una preghiera forte, e questa preghiera umile e forte fa che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un miracolo, per chiedere un’azione straordinaria – prosegue - dev’essere una preghiera coinvolta, che ci coinvolga tutti”. E a questo proposito racconta un episodio accaduto in Argentina: una bimba di 7 anni si ammala e i medici le danno poche ore di vita. Il papà, un elettricista, "uomo di fede”, è "diventato come pazzo – racconta il Pontefice - e in quella pazzia” ha preso un autobus per andare al Santuario mariano di Lujan, lontano 70 km:

"E’ arrivato dopo le 9 di sera, quando era tutto chiuso. E lui ha incominciato a pregare la Madonna, con le mani sulla cancellata di ferro. E pregava, e pregava, e piangeva, e pregava … e così, così è rimasto tutta la notte. Ma quest’uomo lottava: lottava con Dio, lottava proprio con Dio per fare la guarigione della sua fanciulla. Poi, dopo le 6 del mattino, è andato al terminal, ha preso il bus ed è arrivato a casa, all’ospedale alle 9, più o meno. E ha trovato la moglie piangente. E ha pensato al peggio. ‘Ma cosa succede? Non capisco, non capisco! Cosa è successo?’. ‘Mah, sono venuti i dottori e mi hanno detto che la febbre se n’è andata, che respira bene, che non c’è niente! La lasceranno due giorni in più, ma non capiscono che cosa è successo!’. Questo succede ancora, eh?, i miracoli ci sono!”.

Ma è necessario pregare col cuore, conclude il Papa:

"Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo; non quelle preghiere per cortesia, ‘Ah, io pregherò per te’: dico un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No: preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città, come quella di Mosé che aveva le mani in alto e si stancava, pregando il Signore; come quella di tante persone, di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega. La preghiera fa miracoli, ma dobbiamo credere! Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera … e dirgli oggi, tutta la giornata: ‘Credo, Signore, aiuta la mia incredulità’ ... e quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, tutti i rifugiati, tutti questi drammi che ci sono adesso, pregare, ma con il cuore il Signore: ‘Fallo!’, ma dirgli: ‘Credo, Signore. Aiuta la mia incredulità’ che anche viene nella mia preghiera. Facciamo questo, oggi”.


20/05/2013 fonte  Radio Vaticana 

Il Papa ai vescovi siciliani ripete: "Abbiate l'odore delle vostre pecore"




Il Papa ha ricevuto oggi i vescovi della Conferenza episcopale della Sicilia, in visita "ad Limina". Tra di loro c’era anche mons. Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Siracusa. Sergio Centofanti gli ha chiesto un suo commento sull’incontro col Pontefice: 

R. - Le posso dire che ho un cuore veramente pieno di gioia, perché è stato un incontro molto arricchente. Il Papa ci ha ascoltato con tanta attenzione. Ognuno di noi ha riferito riguardo alle proprie diocesi. Questo incontro comunitario ci ha aiutato proprio a costruire un discorso d’insieme, a mostrare un’immagine della nostra Sicilia più reale, più obiettiva, proprio perché ognuno ha messo la sua parte. Il Papa ci ha raccomandato di stare molto vicini alla nostra gente. Ha ripetuto quella frase: "Abbiate l’odore delle vostre pecore”… Abbiamo detto che alcuni di noi stanno compiendo la visita pastorale e lui ci ha raccomandato proprio questa vicinanza. Ci ha posto anche delle domande sulla famiglia: come vive, quale problematiche ci sono e quali difficoltà sta affrontando. Ovviamente noi abbiamo riferito quella che è la situazione della famiglia nella nostra Sicilia: ancora resiste, ma ovviamente le nuove difficoltà si vanno evidenziando. 

D. - Avete affrontato anche problemi come la crisi, la disoccupazione …

R. - Certo, tutti noi abbiamo raccontato anzitutto delle difficoltà economiche, che sono un po’ generalizzate dalle nostre parti e per cui molte famiglie trovano difficoltà serie e obiettive. Le difficoltà economiche ritardano anche, per molti, la formazione della famiglia. Questi problemi li abbiamo presentati al Santo Padre… 

D. – Col Papa avete parlato anche della piaga della criminalità organizzata …

R. - Ma guardi, noi non abbiamo nascosto che ci sono anche queste difficoltà tra la nostra gente, perché ovviamente c’è la mentalità malavitosa: c’è ed è diffusa. Questo glielo abbiamo detto al Papa. Ma insieme a questo, però, abbiamo anche raccontano le cose belle che ci sono. Per esempio, la Chiesa qui ancora ha una sua presenza. Io sto facendo la visita pastorale e vedo come sono accolto, anche dalle istituzioni civili. Quindi, c’è un’attenzione per la Chiesa che non possiamo nascondere. Siamo noi che dobbiamo dare una testimonianza più chiara e più evangelica. Questo il Papa lo ha sottolineato, ce lo ha detto anche.



20/05/2'13 fonte Radio Vaticana 

Pakistan: la Pentecoste tra i cristiani "uniti nella diversità"




Il soffio dello Spirito Santo opera per l’unità dei cristiani in Pakistan. Una veglia ecumenica ha segnato la celebrazione della Pentecoste per le diverse comunità cristiane di Lahore, capitale del Punjab, che si sono ritrovate per un incontro di preghiera e riflessione, con lo scopo di rafforzare lo spirito di comunione e condivisione. Alla veglia - riferisce l'agenzia Fides - tenutasi alla vigilia di Pentecoste nella chiesa di san Giuseppe a Lahore, e organizzata dal "Comitato di Unità Ecumenica”, hanno preso parte centinaia di fedeli e i rappresentanti delle quattro principali comunità cristiane in Pakistan: mons. Sebastian F. Shaw, amministratore apostolico di Lahore (Chiesa cattolica); i vescovi Samuel Robert Azaria e Irfan Jamil ("Chiesa del Pakistan”, anglicana); il rev Salamat Masih (Esercito della Salvezza) il rev. Arif M. Siraj (Chiesa presbiteriana). "La fede dei primi cristiani era basata sulla loro esperienza personale: avevano visto il Signore, lo avevano sentito, lo avevano toccato e lo mostravano ai fedeli attraverso la fraternità, la condivisione del pane e la testimonianza”, ha ricordato il vescovo Irfan Jamil. "Abbiamo bisogno di riscoprire la fraternità come quella della Chiesa primitiva, che era radicata nella fede”. Il vescovo ha messo l’accento anche sull’evangelizzazione, chiedendo ai fedeli di condividere l’annuncio: "Cristo è risorto dai morti e noi siamo suoi testimoni”. Mons. Sebastian Shaw, incoraggiando le iniziative e gli sforzi ecumenici, ha rimarcato che la solidarietà fra i cristiani si vede nelle difficoltà, ma anche nei programmi sociali che "stimolano ad avvicinarsi gli uni agli altri”. Il rev. Arif Siraj, il moderatore della Chiesa presbiteriana in Pakistan, ha sottolineato "l’urgenza e la bellezza dell’unità, che è dono dello Spirito Santo”. "Ringraziamo il Signore per il dono del suo Santo Spirito, nella Pentecoste: lo Spirito è con noi sempre. L'unità tra le Chiese deve essere visibile. In un paese islamico come il Pakistan siamo chiamati a essere testimoni di Cristo”, ha concluso il vescovo Samuel Robert Azaria. I cristiani in Pakistan sono, complessivamente, il 3% della popolazione, che conta circa 180 milioni di abitanti. (R.P.)



20/05/2013 fonte Radio vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 16/05/2013 Sant'Ubaldo di Gubbio vescovo


Davvero non gli piacciono, questi canonici della cattedrale di San Mariano, in Gubbio: preghiera poca, penitenza meno ancora. Lo ospitano mentre pensa al sacerdozio, ma lì tira un’aria che può guastargli la vocazione. Così Ubaldo ritorna alla collegiata di San Secondo, dove è stato già da ragazzo per i primi studi. (Nato in una famiglia di origine tedesca, ha perduto i genitori da bambino, e uno zio si è preso cura di lui). Per un breve periodo ha studiato a Fano, e poi è tornato stabilmente a Gubbio, che all’epoca è una città-stato tra le più potenti dell’Umbria.
Nella collegiata di San Secondolo scopre Giovanni da Lodi, già monaco per quarant’anni a Fonte Avellana (Marche), poi vescovo di Gubbio per un anno solo, l’ultimo della sua vita. Prende Ubaldo come collaboratore e lo rimanda proprio a San Mariano, perché metta in riga quei canonici bontemponi, anche se non è ancora prete. E lui ci riesce, col tempo e per gradi. Quei canonici, li raddrizza con le sue doti di persuasore e con la forza dell’esempio, al punto che sono poi loro a rieleggerlo priore per un decennio (e intanto è stato ordinato sacerdote). Intorno al 1125, però, un incendio distrugge molte case di Gubbio e la stessa cattedrale, sicché i canonici devono disperdersi presso altre chiese. Non c’è più comunità: scoraggiato, Ubaldo pensa di farsi eremita, ma poi torna in città, lavora a ricostruire.Un anno dopo gli arriva la sorpresa: a Perugia è morto il vescovo, e al suo posto i perugini vogliono mettere lui. Reagisce fuggendo, arriva a Roma e supplica papa Onorio II di lasciarlo semplice prete. Per quella volta il Pontefice lo accontenta. Ma quando a Gubbio muore il vescovo, non sente più ragioni e nomina lui a succedergli. Ora, altro che i canonici di SanMariano: le aspre divisioni tra le famiglie importanti accompagnano (e peggiorano) gli scontri nel clero, gli atti di indisciplina. Si arriva anche alle offese personali, fisiche, contro il vescovo. Lui risponde con la fiduciosa inalterabilità: mai impaurito, mai infuriato. E quando nelle liti cittadine si pone mano alle armi, è pronto a mettere in gioco persino la vita per fermarle.
Nel 1154 Gubbio è attaccata da una coalizione di città umbre capeggiate da Perugia, ne esce vittoriosa, e se ne dà merito alle preghiere del vescovo. Nel 1155 l’esercito di Federico Barbarossa dà fuoco a Spoleto e poi assedia Gubbio: Ubaldo corre dall’imperatore, si parlano, e l’assedio viene sciolto, la città è salva. In tutte queste crisi, Ubaldo chiama i cittadini alla preghiera, li fa sentire una cosa sola, li rassicura, evita il panico. Una strategia della fiducia che fa di lui una sorta di baluardo per la città. E in morte gli si attribuiscono profezie, miracoli, lo si proclama patrono, e già nel 1192 il papa Celestino III lo canonizza. Il corpo, dapprima sepolto in cattedrale, nel 1194 viene trasferito in una chiesa sul monte Ingino.
Ogni anno Gubbio festeggia Ubaldo con solenni riti religiosi e con una manifestazione all’aperto che unisce fede, gioia e fantasia: la notissima "corsa dei ceri”, che sono tre "macchine” di legno con i loro portatori in costume, trascorrenti nelle vie cittadine a passo di corsa, per salire poi sul monte Ingino, il luogo che custodisce i resti del patrono.


Il Papa: l’etica dà fastidio a chi adora il denaro, non condividere i beni con i poveri è derubarli



I pochi ricchi diventano sempre più ricchi mentre la maggioranza si indebolisce: è la denuncia di Papa Francesco nel discorso agli ambasciatori non residenti presso la Santa Sede, di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, il Gran Ducato di Lussemburgo e il Botswana, incontrati stamane. Papa Francesco denuncia quelle che definisce "le deformità dell’economia e della finanza”. Parla di crisi antropologica all’origine della crisi, di solidarietà e etica dimenticate. Il servizio di Fausta Speranza: 

L’uomo ridotto a una sola esigenza: il consumo. E’ una delle "deformità” della società attuale denunciate da Papa Francesco:

"L’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato una cultura dello scarto”. 

Ricorda che il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. E denuncia chiaramente: le "ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”. Denuncia "la corruzione tentacolare”, "l’evasione fiscale egoista”. Denuncia "l’indebitamento e il credito che – afferma – allontanano i Paesi dalla loro economia reale e i cittadini dal loro potere d’acquisto reale”. Papa Francesco parla di "volontà di potenza e di possesso diventata senza limiti". 

"E’ l’adorazione dell’antico vitello d’oro che ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto, né scopo realmente umano”. 

E’ "la negazione del primato dell’uomo”, avverte. "Il denaro deve servire e non governare”, ammonisce. Chiede "un coraggioso cambiamento dei dirigenti politici”, ricordando che mancano la solidarietà e la prospettiva del bene comune:

"Dietro questo atteggiamento si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio. Proprio come la solidarietà, l’etica dà fastidio! È considerata controproducente; come troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere; come una minaccia, perché rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona”. 

E questo perché – spiega Papa Francesco – manca l’etica: 

"Perché l’etica conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato. Dio è considerato da questi finanzieri, economisti e politici, come non gestibile - Dio non gestibile! - addirittura pericoloso perché chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù”.

E Papa Francesco vuole sottolineare: "Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo”. La Chiesa – ribadisce – "lavora sempre per lo sviluppo integrale di ogni persona". E aggiunge: 

"L’etica – un’etica non ideologica naturalmente – permette, a mio parere, di creare un equilibrio e un ordine sociale più umani. In questo senso, incoraggio gli esperti di finanza e i governanti dei vostri Paesi a considerare le parole di san Giovanni Crisostomo: Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro”. 

Dunque ancora un incoraggiamento concreto: 

"La Chiesa incoraggia i governanti ad essere veramente al servizio del bene comune delle loro popolazioni. Esorta i dirigenti delle realtà finanziarie a prendere in considerazione l’etica e la solidarietà. E perché non potrebbero rivolgersi a Dio per ispirare i propri disegni?”

L’obiettivo - chiarisce - è "una nuova mentalità politica ed economica che contribuirà a trasformare la dicotomia assoluta tra la sfera economica e quella sociale in una sana convivenza”.



16/05/2013 fonte Radio Vaticana 

Il Papa: alla Chiesa serve il fervore apostolico, non i cristiani da salotto
      




La Chiesa ha tanto bisogno del fervore apostolico che ci spinge avanti nell’annuncio di Gesù. E’ quanto sottolineato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre messo in guardia dall’essere "cristiani da salotto” senza il coraggio anche di "dare fastidio alle cose troppo tranquille”. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Peter Turkson e mons. Mario Toso, presidente e segretario di "Giustizia e Pace”, ha preso parte un gruppo di dipendenti del dicastero e della Radio Vaticana. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Tutta la vita di Paolo è stata "una battaglia campale”, una "vita con tante prove”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sull’Apostolo delle Genti, che, ha detto, passa la sua vita di "persecuzione in persecuzione”, ma non si scoraggia. Il destino di Paolo, ha sottolineato, "è un destino con tante croci, ma lui va avanti; lui guarda il Signore e va avanti”:

"Paolo dà fastidio: è un uomo che con la sua predica, con il suo lavoro, con il suo atteggiamento dà fastidio, perché proprio annunzia Gesù Cristo e l’annunzio di Gesù Cristo alle nostre comodità, tante volte alle nostre strutture comode - anche cristiane, no? - dà fastidio. Il Signore sempre vuole che noi andiamo più avanti, più avanti, più avanti… Che noi non ci rifugiamo in una vita tranquilla o nelle strutture caduche, queste cose, no? Il Signore… E Paolo, predicando il Signore, dava fastidio. Ma lui andava avanti, perché lui aveva in sé quell’atteggiamento tanto cristiano che è lo zelo apostolico. Aveva proprio il fervore apostolico. Non era un uomo di compromesso. No! La verità: avanti! L’annunzio di Gesù Cristo: avanti!”

Certo, ha osservato Papa Francesco, San Paolo era un "uomo focoso”. Ma qui non si tratta solo del suo temperamento. E’ il Signore che "si immischia in questo”, in questa battaglia campale. Anzi, ha continuato, è proprio il Signore che lo spinge "ad andare avanti”, a dare testimonianza anche a Roma:

"Fra parentesi, a me piace che il Signore si preoccupi di questa diocesi, fin da quel tempo… Siamo privilegiati! E Lo zelo apostolico non è un entusiasmo per avere il potere, per avere qualcosa. E’ qualcosa che viene da dentro, che lo stesso Signore lo vuole da noi: cristiano con zelo apostolico. E da dove viene questo zelo apostolico? Viene dalla conoscenza di Gesù Cristo. Paolo ha trovato Gesù Cristo, ha incontrato Gesù Cristo, ma non con una conoscenza intellettuale, scientifica - quello è importante, perché ci aiuta - ma con quella conoscenza prima, quella del cuore, dell’incontro personale”.

Ecco cosa spinge Paolo ad andare avanti, "ad annunziare Gesù sempre”. E ha aggiunto: "E’ sempre nei guai, ma nei guai non per i guai, ma per Gesù”, annunciando Gesù "le conseguenze sono queste”. Il fervore apostolico, ha sottolineato, si capisce solo "in un’atmosfera d’amore”. Lo zelo apostolico, ha detto ancora, "ha qualcosa di pazzia, ma di pazzia spirituale, di sana pazzia”. E Paolo "aveva questa sana pazzia”. Il Papa ha dunque invitato tutti i fedeli a chiedere allo Spirito Santo che faccia crescere in noi lo zelo apostolico che non deve appartenere solo ai missionari. D'altro canto, ha avvertito, anche nella Chiesa ci sono "cristiani tiepidi”, che "non sentono di andare avanti”:

"Anche ci sono i cristiani da salotto, no? Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annunzio e il fervore apostolico. Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore. Avanti, come dice il Signore a Paolo: ‘Coraggio’”!


 
16/05/2013 fonte Radio Vaticana 

Attesa per l'incontro del Papa con movimenti e nuove comunità. Interviste a Miano e don Carron




Sabato e Domenica prossime oltre 120 mila persone sono attese in piazza San Pietro per la Giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e aggregazioni laicali. "Io credo, aumenta in noi la fede” è il titolo dell’iniziativa che nasce nell’ambito dell’Anno della Fede e su proposta del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Momenti culminanti la Veglia di Pentecoste, il Sabato, e il giorno successivo la Messa, presiedute da Papa Francesco. Tra i partecipanti anche l’Azione cattolica italiana. Debora Donnini ha chiesto al presidente, Franco Miano, come si stanno preparando a questo incontro: 

R. – Ci stiamo preparando nello spirito dell’Anno della Fede, che è lo spirito di mettersi in cammino e, in questo caso, quello spirito che ci porta all’incontro con Papa Francesco, particolarmente atteso, data la novità di questa figura bella, che ci sta richiamando alle cose essenziali. Questo mi sembra il sentimento principale. C’è tanta gioia di riprendere in mano ciò che conta di più per la fede e per la vita insieme. La famiglia della grande comunità, che è la Chiesa, è tutta rappresentata intorno al Papa. In questo senso, quindi, è un momento veramente bello di comunione.

D. – E’ importante il legame con la Pentecoste, con lo Spirito Santo, che suscita carismi, suscita anche testimonianze di fede molto forti...

R. – Noi pensiamo che lo Spirito guidi la Chiesa e, quindi, la Pentecoste è una giornata decisiva. L’esperienza dell’Azione Cattolica è un’esperienza che si fonda su un dono fondamentale, che è quello di essere con la Chiesa nella vita quotidiana delle nostre parrocchie, dei nostri Paesi, delle nostre città. Ci sentiamo, dunque, anche noi, come tutti, impegnati a vivere questa testimonianza di impegno laicale, con forte attenzione alla dimensione educativa, a partire dalla realtà concreta, da quella semplice dei luoghi dove il Signore ci chiama a vivere e a testimoniare la nostra fede. 

A partecipare all'evento anche Comunione e Liberazione. Con quali sentimenti i membri del movimento si stanno preparando all’incontro? Debora Donnini lo ha chiesto a don Julian Carron, presidente della "Fraternità di Comunione e Liberazione": 

R. – Ci stiamo preparando attraverso il desiderio di andare dal Papa per essere sostenuti nella fede in questo anno in cui il tema è proprio la fede.

D. – Nel ’98, c’era stato un momento molto importante, sempre nella Pentecoste, di incontro dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali con Giovanni Paolo II. Ci può essere in qualche modo un legame, un filo conduttore fra questi due momenti?

R. – A me sembra di sì. Nella diversità della loro natura, in fondo, si tratta di un incontro dei movimenti e delle realtà ecclesiali con il Papa. Quest’anno ha la peculiarità di essere nell’Anno della Fede, che è come aggiungere una consapevolezza più acuta di cosa voglia dire per la fede cattolica il legame con Pietro.

D. – Nella Pentecoste il grande "protagonista” è lo Spirito Santo. C’è, quindi, un legame molto forte tra lo Spirito Santo, i movimenti e le nuove realtà ecclesiali?

R. – Assolutamente sì, perché i movimenti e le realtà ecclesiali sono frutto della potenza dello Spirito. Il carisma è un dono dello Spirito Santo, dato alla Chiesa per il suo rinnovamento costante. Andiamo anche a chiedere allo Spirito Santo che le nostre vite possano essere rigenerate dalla nostra costante caduta umana, normale. Per questo, come in una sorta di pellegrinaggio, andiamo a chiedere questa grazia allo Spirito Santo, insieme a tutte le altre realtà ecclesiali, con il Papa.

D. – Oggi il Papa nella Messa a Santa Marta ha detto che è importante che ci siano cristiani con zelo apostolico, non "cristiani da salotto", senza il coraggio di dare fastidio alle cose troppe tranquille. Questo per Comunione e Liberazione cosa significa, anche in vista di questo incontro, della Pentecoste, dello Spirito Santo?

R. – Questo significa prima di tutto lasciarci rinnovare dalla potenza dello Spirito, perché noi possiamo portare questa diversità, possiamo veramente disturbare o perturbare l’ambiente in cui siamo, nella misura in cui ci siamo lasciati perturbare dalla potenza di Dio. Per poter rispondere a questo appello di Papa Francesco, dobbiamo noi essere diversi, perché questa creatura nuova, che Cristo è venuto a generare, possa mettere nella realtà questa diversità.



16/05/2013 fonte Radio Vaticana

Il 16 maggio 1954 moriva Vladimir Ghika, presto Beato a Bucarest





Ricorre oggi l’anniversario della scomparsa di Vladimir Ghika, il sacerdote romeno vissuto da santo e morto da martire, spentosi nel 1954 nel carcere politico di Jilava, vicino Bucarest, dove sarà Beatificato il prossimo 31 agosto. La sua storia nel servizio di Roberta Gisotti: 

Aveva 80 anni Vladimir Ghika quando è morto in carcere, accusato di spionaggio nell’interesse del Vaticano, condannato dal regime comunista a tre anni di prigionia per alto tradimento. "Da principe a mendicante di amore per Cristo”, così Anca Martinas, collega della Radio Vaticana che ne ha curato la biografia, riassume la vita di quest’uomo ecclettico, nato nel 1873 a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, dove il padre era ambasciatore della Romania. Il giovane Vladimir, di religione ortodossa, nipote dell’ultimo principe della Moldavia, destinato alla carriera diplomatica, compie i suoi studi in Francia, a Tolosa, poi a Parigi dove segue corsi di medicina, botanica, arte, lettere, filosofia, storia e diritto. Approda quindi a Roma, dove consegue il dottorato in teologia nel Collegio San Tommaso, futura Università Pontificia Angelicum, maturando nel 1902 la decisione di entrare nella Chiesa cattolica, sempre impegnandosi nel suo apostolato laico e sacerdotale per l’unità dei cristiani. 

Rinuncia ad ogni agio e privilegio per vivere nella carità da povero con i poveri. Inizia il suo peregrinare per il mondo, arriva a parlare 22 lingue, mite nella parola tenace nella preghiera, accanto soprattutto ai giovani e ancor più ai lontani da Dio, la più grande povertà, malattia e calamità che possa capitare nella vita di una persona. A 50 anni Vladimir è sacerdote, una decisione rimandata per non arrecare dolore alla mamma che mai aveva accettato la sua scelta di diventare cattolico. Rientrato nel 1939 nel suo Paese natale, vi resterà fino alla morte, coinvolto prima negli eventi bellici e poi nelle tristi vicende del regime comunista, torturato e vessato in carcere, rende l’anima a Dio il 16 maggio 1954. La sorte volle che intorno a lui, nell’infermeria del carcere, vi fossero un prete ortodosso, un pastore protestante, un giovane ebreo e un imam tartaro, a coronare il suo desiderio di un solo gregge ed un solo pastore.


16/05/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 14/05/2013 San Mattia Apostolo



Mattia, abbreviazione del nome ebraico Mattatia, che significa dono di Jahvè, fu eletto al posto di Giuda, il traditore, per completare il numero simbolico dei dodici apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d'Israele. Secondo gli Atti apocrifi, egli sarebbe nato a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Una cosa è certa, perché affermata da S. Pietro (Atti, 1,21), che Mattia fu uno di quegli uomini che accompagnarono gli apostoli per tutti il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all'Ascensione al cielo. Non è improbabile che facesse parte dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, come agnelli fra i lupi, a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dov'egli stava per andare. S. Mattia conosceva certamente il più antipatico degli apostoli, Giuda, nativo di Kariot, quello che nella lista dei Dodici è sempre messo all'ultimo posto e designato con l'espressione "colui che tradì il Signore". Durante le peregrinazioni apostoliche, Gesù e i discepoli ricevevano doni e offerte dalle folle entusiaste e riconoscenti per i malati che guarivano. S'impose perciò la necessità di affidare a qualcuno di loro l'incombenza di economo. Fu scelto Giuda, ma ci dice San Giovanni che non fu onesto nel suo ufficio.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù fu invitato a Betania, con gli apostoli e l'amico Lazzaro risuscitato dai morti, ad un banchetto in casa di Simone, il lebbroso. Mentre Marta serviva, Maria, sua sorella, prese una libbra d'unguento di nardo genuino, di molto valore, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli.
Allora Giuda Iscariota protestò: "Perché quest'unguento non è stato venduto per più di 300 denari e non è stato dato ai poveri?". Ma, commenta ironicamente S. Giovanni l'evangelista, "disse questo non perché si preoccupasse dei poveri, ma perché era ladro, e avendo la borsa portava via quello che vi si metteva" (Giov 12,1-11). Aveva paura di morire di fame? Temeva forse, avaro com'era, una vecchiaia triste e solitaria? Quando seppe che i capi del Sinedrio cercavano il modo di catturare Gesù per condannarlo a morte, ingordo di denaro, andò dai sommi sacerdoti e promise loro di tradirlo per trenta monete d'argento, il compenso fissato dalla legge per l'uccisione accidentale di uno schiavo (Es. 21,32).
Durante l'ultima cena, Gesù fece più volte allusione al suo traditore, anzi lo designò apertamente (Mt 26,25), Dopo la cena, quando il Signore si ritirò a pregare al di là del torrente Cedron, il perfido Giuda giunse a capo di sgherri armati di spade e bastoni e, secondo il segnale loro dato, glielo consegnò nelle mani baciandolo. Il rimorso però non tardò ad attanagliargli l'animo. L'apostolo, infedele alla sua missione, quando seppe che il sinedrio aveva condannato il suo Maestro, che lo aveva sempre trattato con bontà anche nell'ora buia del tradimento, riportò i trenta denari, che gli scottavano in mano, ai sommi sacerdoti e agli anziani, gemendo; "Ho peccato, tradendo sangue innocente!". Ed egli, gettati i denari d'argento nel tempio, fuggì e, in preda alla disperazione alla quale non seppe reagire, andò ad impiccarsi (Mt 27,3-5).
Gesù nell'ultima cena, dopo lo smascheramento di chi lo tradiva, aveva esclamato: "Guai a quell'uomo per opera del quale il Figlio dell'uomo è tradito: era meglio per lui che non fosse mai nato!" (Mt 26,24). Dopo l'Ascensione di Gesù al cielo, gli apostoli ritornarono a Gerusalemme, nel cenacolo. Di comune accordo essi erano perseveranti nell'orazione con alcune donne, con Maria, la Madre di Gesù, e con i cugini di lui. Mentre attendevano "la promessa del Padre", cioè lo Spirito Santo, Pietro, alzatesi in mezzo ai fratelli (c'era una folla di circa 120 persone), prese a dire: "Era necessario che si adempisse la Scrittura che lo Spirito Santo, per bocca di David, aveva predetto nei riguardi di Giuda, il quale si fece guida a coloro che catturarono Gesù; poiché egli era annoverato tra noi ed ebbe la sorte di partecipare a questo ministero. Costui, inoltre, con la mercede del suo delitto, acquistò un campo; caduto a capofitto, gli scoppiò il ventre e si sparsero tutte le sue viscere. Il fatto divenne noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, tanto che quel campo, nel loro idioma, fu chiamato Aceldama, cioè campo del sangue. Infatti nel libro dei Salmi sta scritto: "Divenga deserta la sua dimora, e non vi sia chi l'abiti!". E ancora: "Prenda un altro il suo ufficio". E' dunque necessario che uno degli uomini che ci furono compagni per tutto il tempo che il Signore Gesù trascorse tra noi, a partire dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui fu assunto di mezzo a noi, divenga, insieme con noi, testimone della sua risurrezione" (Atti 1, 16-22).
Ne presentarono due: Giuseppe, di cognome Barsabba, il quale era soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: "O Signore, tu che conosci i cuori di tutti, indicaci quale di questi due hai scelto per assumere l'ufficio di questo ministero e di questo apostolato, dal quale Giuda perfidamente si partì per andarsene al proprio luogo". Poi tirarono la sorte, e la sorte cadde su Mattia, e venne annoverato con gli undici apostoli.
Quando giunse il giorno della Pentecoste, stavano tutti insieme nello stesso luogo. A un tratto, ci fu dal ciclo un fragore, come di vento impetuoso, e pervase tutta la casa dove essi si trovavano. E videro delle lingue che sembravano come di fuoco, dividersi e posarsi sopra ciascuno di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo il modo in cui lo Spirito concedeva loro di esprimersi. Ora in Gerusalemme dimoravano pii Giudei di ogni nazione che è sotto il cielo. Udito quel fragore, si radunò una gran folla che rimase sbalordita, perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua" (Atti c. 1).
Allora Pietro, insieme con gli undici, si fece avanti, alzò la voce e spiegò che quell'evento era stato predetto dal profeta Gioele e che Gesù, risuscitato dai morti, era stato costituito da Dio "Signore e Messia". Molti presenti, sentendosi il cuore compunto, chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Fratelli, che cosa dobbiamo fare?". E Pietro disse loro; "Convertitevi e ognuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo".
Quelli dunque che accettarono la sua esortazione si fecero battezzare, e, in quel luogo, circa tremila persone si associarono alla Chiesa. Ed erano sempre assidui alle istruzioni degli apostoli, alle riunioni comuni, allo spezzamento del pane e alle orazioni. Il timore si era impadronito di ogni anima, poiché per mezzo degli apostoli avvenivano molti segni e prodigi. E tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. Anzi vendevano le proprietà e i beni, e ne distribuivano fra tutti il ricavato, in proporzione al bisogno di ciascuno. E frequentavano insieme e assiduamente il tempio ogni giorno; spezzavano il pane di casa in casa; mangiavano insieme con giocondità e semplicità di cuore, lodando Iddio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore, poi, associava alla Chiesa quelli che di giorno in giorno venivano salvati. (Ivi, c. 2).
La moltitudine dei credenti era di un sol cuore e di un'anima sola. Infatti tra loro non c'era alcun indigente, poiché tutti i padroni di campi o di case, man mano che li vendevano, portavano il ricavato delle cose vendute e lo mettevano a disposizione degli apostoli: poi veniva distribuito a ciascuno secondo la necessità che uno ne aveva.
E gli apostoli, frattanto, con grande energia rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e, verso tutti loro, c'era una gran simpatia. Sicché la moltitudine di uomini e donne credenti nel Signore andava aumentando sempre più. (Ivi, cc. 4 e 5).
Si mosse allora il sommo sacerdote con tutti i suoi seguaci. Al colmo della gelosia afferrarono gli apostoli e li misero nella prigione popolare. Un angelo li mette in libertà? Essi li fanno arrestare dal prefetto del tempio, dove stanno imperterriti a istruire il popolo, intimano loro, dopo averli fatti fustigare, di non parlare affatto nel nome di Gesù. Essi se ne vanno via dal sinedrio giulivi per essere stati ritenuti degni di subire oltraggi a causa di quel nome. E ogni giorno, nel tempio e per le case, continuano a insegnare e ad annunziare senza posa la buona novella del Messia Gesù, (Ivi, cap. 5) fino a tanto che il martirio di S. Stefano prima, e l'imprigionamento di S. Pietro poi, li costringe provvidenzialmente a disperdersi per il mondo allora conosciuto per fare discepole del Martire del Golgota tutte le nazioni.
Le notizie posteriori riguardanti S. Mattia sono contraddittorie. Tutte però concordano nel dirlo martire. Le sue reliquie, vere o presunte, sono venerate a Roma nella basilica di S. Maria Maggiore.


Il Papa: non isoliamoci nell’egoismo, chi dona la vita per amore non è mai solo




Abbiamo bisogno di un "cuore largo" che sia capace di amare. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia dall’atteggiamento dell’egoismo che, come accade con Giuda, porta all’isolamento della propria coscienza e infine al tradimento di Gesù. Alla Messa, concelebrata dall’arcivescovo di Medellín, Ricardo Antonio Tobón Restrepo, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani e alcuni alunni del Pontificio Collegio portoghese. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Se vogliamo davvero seguire Gesù, dobbiamo "vivere la vita come un dono” da dare agli altri, "non come un tesoro da conservare”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che, nella sua omelia, si è soffermato sulla contrapposizione tra la strada dell'amore e quella dell'egoismo. Gesù, ha affermato, ci dice oggi una parola forte: "Nessuno ha un amore più forte di questo: dare la sua vita”. Ma la liturgia odierna, ha osservato, ci mostra anche un’altra persona: Giuda, "che aveva proprio l’atteggiamento contrario”. E questo, ha spiegato, perché Giuda "mai ha capito cosa sia un dono":

"Pensiamo a quel momento della Maddalena, quando lava i piedi di Gesù con il nardo, tanto costoso: è un momento religioso, un momento di gratitudine, un momento di amore. E lui, si distacca e fa la critica amara: ‘Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!’. Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi”.

Giuda, ha osservato Papa Francesco, era "staccato, nella sua solitudine” e questo atteggiamento dell’egoismo è cresciuto "fino al tradimento di Gesù”. Chi ama, ha aggiunto, "dà la vita come dono”; l’egoista invece "cura la sua vita, cresce in questo egoismo e diventa un traditore, ma sempre solo”. Chi, invece, "dà la vita per amore, mai è solo: sempre è in comunità, è in famiglia”. Del resto, ha avvertito il Papa, colui che "isola la sua coscienza nell’egoismo” alla fine "la perde”. E così è finito Giuda che, ha detto, "era un idolatra, attaccato ai soldi”:

"E questa idolatria lo ha portato a isolarsi dalla comunità degli altri. Questo è il dramma della coscienza isolata: quando un cristiano incomincia ad isolarsi, anche isola la sua coscienza dal senso comunitario, dal senso della Chiesa, da quell’amore che Gesù ci dà. Invece, quel cristiano che dona la sua vita, che la 'perde', come dice Gesù, la trova, la ritrova, in pienezza. E quello, come Giuda, che vuole conservarla per se stesso, la perde alla fine. Giovanni ci dice che ‘in quel momento Satana entrò nel cuore di Giuda’. E, dobbiamo dirlo: Satana è un cattivo pagatore. Sempre ci truffa: sempre!”.

Gesù invece ama sempre e sempre si dona. E questo suo dono dell’amore, ha detto Papa Francesco, ci spinge ad amare "per dare frutto. E il frutto rimane”. Quindi, ha concluso l’omelia con un’invocazione allo Spirito Santo:

"In questi giorni di attesa della festa dello Spirito Santo, chiediamo: Vieni, Spirito Santo, vieni e dammi questo cuore largo, questo cuore che sia capace di amare con umiltà, con mitezza ma sempre questo cuore largo che sia capace di amare. E chiediamogli questa grazia, allo Spirito Santo. E che ci liberi sempre dall’altra strada, quella dell’egoismo, che alla fine finisce male. Chiediamo questa grazia”.



14/05/2013 fonte Radio Vaticana

Il Pontificato di Papa Francesco consacrato alla Vergine di Fatima




Il cardinale patriarca di Lisbona, José Policarpo, ha consacrato ieri a Fatima il Pontificato di Papa Francesco alla Vergine Maria, secondo quanto richiesto dallo stesso Pontefice. Lo riferisce l’agenzia cattolica portoghese Ecclesia. All’avvenimento, nel 96.mo anniversario delle apparizioni della Madonna ai tre pastorelli, hanno preso parte quasi 300 mila fedeli. In un messaggio letto, nell’occasione, dal vescovo di Leiria-Fatima, mons. Antonio Marto, Papa Francesco ha espresso "la sua gratitudine per l’iniziativa e il suo profondo riconoscimento per l’esaudimento del suo desiderio”. Il Papa si è unito in preghiera ai pellegrini di Fatima, "impartendo di tutto cuore la sua benedizione apostolica”. (A.G.)



14/05/2013 fonte Radio Vaticana

L'arcivescovo di Rio consacra la Gmg alla Madonna di Fatima




L'arcivescovo di Rio de Janeiro, mons. Orani João Tempesta, ha consacrato la prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dal 23 al 28 luglio a Rio de Janeiro, alla Madonna di Fatima. La consacrazione è avvenuta ieri a Fatima, in Portogallo, nel giorno in cui viene ricordata la Vergine di Fatima. Nell'atto di consacrazione, il presule ha raccomandato all'intercessione di Maria tutti i giovani, particolarmente quelli che soffrono, quanti sono vittime di violenza e abbandono e ancora per i disoccupati e gli emarginati. Nel luogo dove la Madonna è apparsa ai tre pastorelli, la "Cova da Iria", l'arcivescovo ha anche chiesto l'intercessione per il Comitato organizzatore e per i volontari che già lavorano per la Gmg di Rio. "Supplichiamo che la Giornata Mondiale della Gioventù possa essere una straordinaria esperienza d'incontro dei giovani con Gesù - ha detto mons. Tempesta -. Che questo incontro possa anche far crescere l'amore dei giovani per Cristo per plasmare veri discepoli e missionari in una società che sta cambiando". (R.B.)


14/05/2013 fonte Radio Vaticana 

20.mo del Catechismo: "Nato dalla Vergine Maria"




"Maria è veramente Madre di Dio": è quanto ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica, nelle pagine dedicate alla Vergine Maria. Proprio sul Mistero della maternità e verginità di Maria si concentra la 26.ma puntata del ciclo di riflessioni del gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, ideato a 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo: 

Professiamo che la seconda persona della Trinità si è fatta uomo. Il Figlio eterno del Padre si è incarnato essendo concepito nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. In questo contesto il Catechismo fa notare che "ciò che la fede crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a Cristo” (n. 487). Se dunque la Chiesa professa che Gesù Cristo è una persona divina con due nature: divina e umana, allora – di conseguenza – professa anche che "Maria è veramente Madre di Dio (Theotokos)” (CCC, 495). Ovviamente parliamo della Madre di Dio in quanto Dio si fece uomo in un momento concreto della storia.

La Chiesa celebra Maria anche come la "sempre Vergine”, cioè professa la verginità reale e perpetua di Maria. Il Catechismo spiega che il concepimento verginale sia "il segno che si tratta veramente del Figlio di Dio” (n. 496). Poi, la maternità verginale di Maria "manifesta l’iniziativa assoluta di Dio nell’Incarnazione” (n. 503). La verginità indica anche la nostra nuova nascita per la vita eterna che non proviene "da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio” (Gv 1,13) (cfr. CCC, 505). 

L’Angelo saluta Maria come "piena di grazia”. Nel corso dei secoli la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo verso la verità tutta intera, ha preso coscienza che questo essere colmata pienamente di grazia significhi anche l’immacolata concezione di Maria. La Madre di Dio – in vista dei meriti del suo Figlio – "è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale” (CCC,491). 

In questo modo Dio ha scelto Maria perché diventi la Madre di suo Figlio. Maria però non è stata programmata come se non avesse la scelta. Ella ha dato, infatti, una sua libera risposta "Io sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,37-38).

14/05/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 11/05/2013 Sant'Ignazio da Laconi, frate cappuccino



La testimonianza più bella e certamente rispecchiante la realtà, ci viene dal contemporaneo pastore protestante Giuseppe Fues, cappellano del reggimento di fanteria tedesco "von Ziethen”, al servizio del re di Sardegna e di stanza a Cagliari, il quale nel 1773 scriveva ad un suo amico in Germania: "Noi vediamo tutti i giorni mendicare attorno per la città un santo vivente, il quale è un frate laico dei cappuccini e si è acquistato con parecchi miracoli la venerazione dei suoi compatrioti”.
Il frate era Ignazio da Laconi, che ancora in vita veniva chiamato "padre santo” e che la scrittrice e premio Nobel Grazia Deledda, definì "L’uomo più ricordato del Settecento sardo”.
Nacque a Laconi (Nuoro) il 17 novembre 1701, secondo dei nove figli di Mattia Peis Cadello e di Anna Maria Sanna Casu, genitori poveri ma ricchi di fede; al battesimo gli fu imposto il nome di Vincenzo.
Crebbe timorato di Dio e ancora adolescente già praticava digiuni e mortificazioni; non frequentò scuole e non imparò mai a scrivere, ma andava ogni giorno a Messa e faceva il chierichetto; di poche parole parlava appena il dialetto sardo.
A diciotto anni si ammalò gravemente e fece voto di entrare fra i cappuccini se fosse guarito; ma una volta risanato non mantenne il voto; due anni dopo il suo cavallo si mise a correre sfrenatamente senza controllo ai bordi di un precipizio, improvvisamente si bloccò e Vincenzo fu salvo per la seconda volta, allora ricordò la promessa fatta.
Aveva 20 anni quando il 3 novembre 1721, Vincenzo Peis Cadello si presentò al convento dei cappuccini di Buoncammino a Cagliari, non fu accettato subito, visto il suo gracile fisico, ma poi con la mediazione del marchese di Laconi Gabriele Aymerich, poté entrarvi e indossare l’abito dei Cappuccini il 10 novembre 1721, prendendo il nome di fra’ Ignazio da Laconi. 
Dopo il prescritto anno di Noviziato, fu trasferito nel convento di Iglesias, dove fu dispensiere e nel contempo addetto alla questua nelle campagne del Sulcis.
Per quindici anni visse tra i conventi sardi di Domusnovas, Sanluri, Oristano e Quartu, poi fu richiamato al convento di Buoncammino di Cagliari e destinato al lanificio del convento, dove si confezionava il tessuto per i religiosi.
Nel 1741 a 40 anni venne impiegato come questuante nella città di Cagliari, considerato un compito di grande importanza e responsabilità.
Cagliari fu per 40 anni il campo del suo apostolato, svolto con efficacia e con tanto amore tra i poveri ed i peccatori; il cappuccino questuante è stato nei secoli, la figura umile e grande nello stesso tempo, che portava la realtà del chiuso dei conventi in mezzo alla gente, facendone sentire la presenza nella società borghese e popolare di allora.
Si chiedeva l’offerta per i bisogni del convento e per i poveri e spessissimo il questuante avendo instaurato un periodico contatto con le persone e con le famiglie, portava l’atteso consiglio, la Parola di Dio e interveniva con la preghiera e con la persuasione a districare situazioni scabrose.
Così fu l’opera di un altro grande santo questuante francescano, Egidio Maria di S. Giuseppe (1729-1812) che operò nella città di Napoli, quasi contemporaneamente ad Ignazio da Laconi.
Frate Ignazio fu venerato da tutti per lo splendore delle sue virtù e per i molti miracoli da lui operati; per la sua attenzione verso le necessità materiali dei poveri che indirizzava al convento, ma anche per quelle spirituali, la sua bontà fu strumento di riconciliazione e di conversione per molti peccatori.
Nel 1779 frate Ignazio divenuto cieco, venne dispensato dalla questua, ma per sua volontà volle continuare a partecipare alla vita comune dei frati, sottostando a tutte le regole e pratiche disciplinari, fino alla santa morte avvenuta a Cagliari l’11 maggio 1781 all’età di 80 anni; per due giorni una folla impressionante di popolo e persone importanti, sfilò davanti al feretro del cappuccino per rendergli omaggio.
In vita era stato dotato di evidenti carismi e la fama della sua santità era molto diffusa, dopo la morte aumentò ancora anche per i frequenti miracoli che si verificavano per la sua intercessione; pertanto nel 1844 l’arcivescovo di Cagliari diede inizio alla causa di beatificazione.
Pio IX il 26 maggio 1869 lo dichiarò ‘venerabile’; fu beatificato da Pio XII il 16 giugno 1940 e proclamato santo dallo stesso pontefice il 21 ottobre 1951.
Alla cerimonia di canonizzazione a Roma, era presente un altro grande questuante cappuccino dello stesso convento di Cagliari, fra’ Nicola da Gesturi (1882-1958) che sarà proclamato beato il 3 ottobre 1999 da papa Giovanni Paolo II.
L’umile frate sardo, mendicante e illetterato, s. Ignazio da Laconi, viene celebrato l’11 maggio e in Sardegna è considerato come patrono degli studenti.


Papa Francesco: la vera preghiera ci fa uscire da noi stessi aprendoci ai bisogni degli altri




La vera preghiera ci fa uscire da noi stessi e ci apre al Padre e ai fratelli più bisognosi: lo ha detto stamani Papa Francesco durante la Messa presieduta a Casa Santa Marta. Erano presenti alcuni agenti della Gendarmeria Vaticana e un gruppo di giornalisti argentini con le loro famiglie. Il servizio di Sergio Centofanti:   

L’omelia del Papa si è concentrata sul Vangelo del giorno, laddove Gesù dice: "Se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà”. "C’è qualcosa di nuovo, qui – spiega il Pontefice - qualcosa che cambia: è una novità nella preghiera. Il Padre ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù”. Il Signore ascende al Padre, entra "nel Santuario del cielo”, apre le porte e le lascia aperte perché "Lui stesso è la porta” e "intercede per noi”, "fino alla fine del mondo”, come un sacerdote:

"Lui prega per noi davanti al Padre. A me è sempre piaciuto, questo. Gesù, nella sua resurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti. Ma Lui ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre: ‘Ma … guarda … questo Ti chiede nel nome mio, guarda!’. Questa è la novità che Gesù ci dice. Ci dice questa novità: avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe. Lui è il sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe. E questo ci da fiducia, eh?, ci da il coraggio di pregare”.

Tante volte ci annoiamo nella preghiera – osserva il Papa, che aggiunge: la preghiera non è chiedere questo o quello, ma è "l’intercessione di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe”:

"La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi”. 

Ma come "possiamo riconoscere le piaghe di Gesù in cielo?” – si chiede il Papa – "Dov’è la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione? C’è un altro esodo da noi stessi verso le piaghe dei nostri fratelli: dei nostri fratelli e delle nostre sorelle bisognosi”:

"Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”. 

"Questo è il nuovo modo di pregare: – conclude il Papa - con la fiducia, il coraggio che ci dà sapere che Gesù è davanti al Padre facendogli vedere le sue piaghe, ma anche con l’umiltà di quelli che vanno a conoscere, a trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi” che "portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù”.


11/05/2013 fonte Radio Vaticana





La missione delle Suore Poverelle riaccende la speranza degli orfani in Malawi






Nel Malawi flagellato da Aids e malattie, un centro gestito da religiose assiste gli orfani e i bambini disabili, i più fragili in assoluto. Il servizio di Chiara Merico: 

Perdere i genitori o nascere con una disabilità, fisica o mentale, per un bambino del Malawi può significare la morte. In questo poverissimo Paese africano, decine di migliaia di bambini restano orfani poco dopo la nascita, altri invece – affetti da gravi problemi di salute – non possono contare sull’aiuto dei familiari. A loro è dedicato il Centro di Kankao, a pochi chilometri da Balaka; la struttura gestita dalle Suore Poverelle, accoglie una trentina di orfani da 0 a 3 anni e altrettanti bimbi e ragazzi con gravissime disabilità. Quando i cancelli del Centro si aprono, l’impressione è fortissima: decine di bimbi con gravi patologie si fanno incontro ai visitatori come possono, cercando la loro attenzione con ogni mezzo. Al Centro praticano fisioterapia grazie ai macchinari arrivati dall’Italia e hanno la possibilità di frequentare la scuola, poco distante. Un altro edificio ospita invece i bambini orfani: alcuni hanno appena poche settimane di vita, altri sono sieropositivi dalla nascita, ma tutti vengono accuditi con amore dalle educatrici. Resteranno al Centro di Kankao fino ai tre anni e dopo torneranno al villaggio di origine, dove verranno affidati ai parenti. Per alcuni, invece, il futuro sarà in un altro Paese, grazie alle adozioni interaizonali. Per tutti, la strada verso una vita migliore passa dal Centro delle Poverelle di Kankao.



10/05/2013 fonte Radio Vaticana

Il Patriarca Tawadros: molto bello l'incontro col Papa, fa bene alle nostre Chiese




Al termine dell’udienza con Papa Francesco, il Patriarca Tawadros II ha parlato dell'incontro col Pontefice al microfono di Philippa Hitchen:

R. – It has been a fantastic meeting, and I feel that I have taken a special…
E’ stato un incontro fantastico. Ho avuto la sensazione di un incontro particolarmente gradevole con Papa Francesco e questo è bene per i rapporti tra le due Chiese.

D. – L’ha invitato in Egitto?

R. – Yes, yes…
Sì, certo …

D. – E qual è stata la sua risposta?

R. – He accepted this invitation to visit Egypt…
Ha accettato l’invito a visitare l’Egitto e stabilirà il momento opportuno.

D. – Come descriverebbe le relazioni tra le diverse Chiese cristiane in Egitto? E’ recente l’istituzione, da parte sua, di un Consiglio: è un’evoluzione molto importante, no?

R. – The Coptic Church is member in the Middle East Council of Churches…
La Chiesa copta è membro del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, nel Consiglio delle Chiese di tutta l’Africa, ma non c’è un Consiglio delle Chiese in Egitto. Per questo, dopo lunga discussione tra le diverse Chiese, abbiamo istituito questo Consiglio nello scorso febbraio. Di questo Consiglio fanno parte cinque membri. Fra noi ci sono buoni rapporti, ci sono tante visite reciproche, incontri, lezioni e saranno realizzate anche tante attività nel prossimo futuro.

D. – Quanto è importante questa collaborazione più stretta tra le Chiese cristiane, alla luce delle grandi difficoltà affrontate da voi e da altre Chiese oggi in Egitto?

R. – This Council makes one voice for all Christians…
Questo Consiglio dà vita a un’unica voce per tutti i cristiani e questa voce si sentirà non soltanto in Egitto, ma in tutto il Medio Oriente. Questo per noi è molto importante: lavorare insieme in campi d’azione diversi. Questo è importante per i nostri popoli, ovunque essi siano.


10/05/2013 fonte Radio Vaticana

Siria. Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace





Questo sabato, 11 maggio 2013, viene celebrata la Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace in Siria. È la prima volta che tutte le comunità cristiane presenti nel Paese martoriato dalla guerra si mobilitano insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi. La Giornata è stata battezzata "la preghiera del cuore spezzato” e vi aderiranno Chiese di diverse denominazioni. "Dovremo limitarci a riunioni locali attraverso tutto il Paese, nelle case, nei luoghi d’incontro e nelle chiese – scrivono i cristiani di Siria – perché è troppo rischioso spostarsi nelle zone di combattimento. Tutte le confessioni saranno rappresentate”. Anche il Patriarca della Chiesa greco cattolica melchita, Gregorios III Laham, ha lanciato un appello per la "partecipazione alla preghiera di domani": la pace in Libano, in Siria e in Terra Santa, ha detto "è un requisito per la pace regionale e mondiale, che realizza la convivenza e la possibilità di vivere insieme”. Nel frattempo, questo venerdì, 10 maggio, nella Basilica di Santa Maria in Cosmedin è stata celebrata una Messa solenne per il rilascio di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Paul Yazigi, i due vescovi ortodossi rapiti in Siria il 22 aprile scorso. Lo racconta ad AsiaNews padre Mtanoius Hadad, apocrisario patriarcale di Gregorios III Laham: "I cristiani in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere – spiega – ma un elemento costitutivo del popolo siriano”. Presenti alla Messa della comunità greco-melchita di Roma, anche mons. Ilarion Capucci, vescovo emerito di Gerusalemme per i melchiti, e mons. Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma per il centro storico. Secondo i promotori, la celebrazione eucaristica vuole anche sensibilizzare l'opinione pubblica su un conflitto ormai fuori controllo in un Paese in cui sunniti, sciiti, cristiani e drusi hanno sempre vissuto insieme. Una convivenza che dura da 13 secoli, in Siria, dove sono sorte le prime comunità cristiane. (A cura di Roberta Barbi)



10/05/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 08/05/2013 Madonna del Rosario di Pompei


La Madonna del Rosario ha un culto molto antico, risale all’epoca dell’istituzione dei domenicani (XIII secolo), i quali ne furono i maggiori propagatori. La devozione della recita del rosario, chiamato anche salterio, ebbe larga diffusione per la facilità con cui si poteva pregare; fu chiamato il vangelo dei poveri, che in massima parte non sapevano leggere, perché faceva in modo di poter pregare e nello stesso tempo meditare i misteri cristiani senza la necessità di leggere su un testo. 
I misteri contemplati nella recita del rosario sono quindici, cinque gaudiosi, cinque dolorosi, cinque gloriosi. A questi nel 2002 Papa Giovanni Paolo II ha aggiunto i cinque misteri della Luce, che fanno meditare su alcuni momenti particolarmente significativi della vita pubblica di Gesù Cristo.
Alla protezione della Vergine del S. Rosario, fu attribuita la vittoria della flotta cristiana sui turchi musulmani, avvenuta a Lepanto nel 1571. A seguito di ciò il papa s. Pio V (1504-1572), istituì dal 1572 la festa del S. Rosario, alla prima domenica di ottobre, che poi dal 1913 è stata spostata al 7 ottobre. 
Il culto per il s. Rosario ebbe un’ulteriore diffusione dopo le apparizioni di Lourdes del 1858, dove la Vergine raccomandò la pratica di questa devozione. La Madonna del Rosario, ebbe nei secoli una vasta gamma di raffigurazioni artistiche, quadri, affreschi, statue, di solito seduta in trono con il Bambino in braccio, in atto di mostrare o dare la corona del rosario; la più conosciuta è quella in cui la corona viene data a s. Caterina da Siena e a s. Domenico di Guzman, inginocchiati ai lati del trono. 
Ed è uno di questi quadri che ha dato vita alla devozione tutta mariana di Pompei; a questo punto bisogna parlare dell’iniziatore di questo culto, il beato Bartolo Longo. 
L’avvocato Bartolo Longo nacque a Latiano (Brindisi) il 10 febbraio 1841, di temperamento esuberante, da giovane si dedicò al ballo, alla scherma e alla musica; intraprese gli studi superiori in forma privata a Lecce; dopo l’Unità d’Italia, nel 1863, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza nell’Università di Napoli. 
Fu conquistato dallo spirito anticlericale che in quegli anni dominava nell’Ateneo napoletano, al punto da partecipare a manifestazioni contro il clero e il papa. Dubbioso sulla religione, si lasciò attrarre dallo spiritismo, allora molto praticato a Napoli, fino a diventarne un celebrante dei riti. 
In seguito, ebbe contatti con il dotto domenicano padre Radente, che con i suoi consigli e la sua dottrina, lo ricondusse alla fede cattolica e alle pratiche religiose. 
Intanto il 12 dicembre 1864 si era laureato in Diritto, ritornò al paese natío e prese a dedicarsi ad una vita piena di carità e opere assistenziali; rinunziò al matrimonio, ricordando le parole del venerabile Emanuele Ribera redentorista: "Il Signore vuole da te grandi cose, sei destinato a compiere un’alta missione”. 
Superati gli indugi, abbandonò la professione di avvocato, facendo voto di castità e ritornò a Napoli per dedicarsi in un campo più vasto alle opere di beneficenza; qui incontrò il beato padre Ludovico da Casoria e la beata Caterina Volpicelli, due figure eminenti della santità cattolica dell’800 napoletano, i quali lo consigliarono e indirizzarono ad una santa amicizia con la contessa Marianna De Fusco. 
Da qui, il beato Bartolo Longo ebbe una svolta decisiva per la sua vita; divenne compagno inseparabile nelle opere caritatevoli, della contessa che era vedova, inoltre divenne istitutore dei suoi figli e amministratore dei beni. La loro convivenza diede adito a parecchi pettegolezzi, pur avendo il beneplacito dell’arcivescovo di Napoli cardinale Sanfelice; alla fine decisero di sposarsi nell’aprile 1885, con il proposito però di vivere come buoni amici, in amore fraterno, come avevano fatto fino allora. 
La contessa De Fusco era proprietaria di terreni ed abitazioni nel territorio di Pompei e Bartolo Longo come amministratore si recava spesso nella Valle; vedendo l’ignoranza religiosa in cui vivevano i contadini sparsi nelle campagne, prese ad insegnare loro il catechismo, a pregare e specialmente a recitare il rosario. 
Una pia suora Maria Concetta de Litala, gli donò una vecchia tela raffigurante la Madonna del Rosario, molto rovinata; restauratala alla meglio, Bartolo Longo decise di portarla nella Valle di Pompei e lui stesso racconta, che nel tratto finale, poggiò il quadro per trasportarlo, su un carro, che faceva la spola dalla periferia della città alla campagna, trasportando letame, che allora veniva usato come concime nei campi. 
Il 13 febbraio 1876, il quadro venne esposto nella piccola chiesetta parrocchiale, da quel giorno la Madonna elargì con abbondanza grazie e miracoli; la folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rendeva necessario costruire una chiesa più grande. 
Bartolo Longo su consiglio anche del vescovo di Nola, Formisano che era l’Ordinario del luogo, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del tempio che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi verrà anche incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose, benedetto da papa Leone XIII. 
La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente dalle tante Associazioni del Rosario, sparse in tutta Italia, in breve divenne centro di grande spiritualità come lo è tuttora, fu elevata al grado di Santuario, centro del sacramento della confessione di milioni di fedeli, che si accostano alla Santa Comunione tutto l’anno. 
Il beato Bartolo Longo istituì per le opere sociali, un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate; ancora fondò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerli i Fratelli delle Scuole Cristiane. 
Fondò nel 1884 il periodico "Il Rosario e la Nuova Pompei” che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un’avvenire ai suoi orfanelli; altre opere annesse sono asili, scuole, ospizi per anziani, ospedale, laboratori, casa del pellegrino. 
Il santuario fu ampliato nel 1933-39, con la costruzione di un massiccio campanile alto 80 metri, un poco isolato dal tempio, Nel 1893 Bartolo Longo offrì a papa Leone XIII la proprietà del santuario con tutte le opere pompeiane, qualche anno più tardi rinunziò anche all’amministrazione che il papa gli aveva lasciato; l’interno è a croce latina, tutta lavorata in marmo, ori, mosaici dorati, quadri ottocenteschi, con immensa cripta, il trono circondato da colonne, sulla crociera vi è l’enorme cupola di 57 metri tutta affrescata. 
Il fondatore, morì il 5 ottobre del 1926 e come da suo desiderio fu sepolto nella cripta, in cui riposa anche la contessa De Fusco. 
Aveva trovato una zona paludosa e malsana, a causa dello straripamento del vicino fiume Sarno, abbandonata praticamente dal 1659. Alla sua morte lasciò una città ripopolata, salubre, tutta ruotante attorno al Santuario e alle sue numerose opere, a cui poi si affiancò il turismo per i ritrovati scavi della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio. 
È sua l’iniziativa della supplica, da lui compilata, alla Madonna del Rosario di Pompei che si recita solennemente e con gran concorso di fedeli, l’8 maggio e la prima domenica di ottobre. 
Bartolo Longo è stato beatificato il 26 ottobre 1980 da papa Giovanni Paolo II. Il santuario è basilica pontificia e come Loreto è sede di un vescovo (prelatura) con giurisdizione su Pompei.


Lo Spirito ci insegna che Dio ama tutti come un vero “papà”






Una catechesi sullo Spirito Santo per spiegare che è Lui che insegna ad amare Dio e il prossimo con il cuore di Gesù. È quanto Papa Francesco ha ricordato all’udienza generale di questa mattina, presieduta in Piazza San Pietro davanti a 100 mila persone. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis: 

Sapere che Dio ci ama con la tenerezza di un papà. Basta questa certezza per una vita cristiana piena. Ma come si può "sapere” una cosa di questa portata? Mettendosi in ascolto dello Spirito Santo. Perché è solo Lui a dirci – ha affermato Papa Francesco – "che siamo amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù”:

"Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dio ti ama: ci dice questo! Dio Ti ama, ti vuole bene. E noi amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù? (…) Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo. Lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore, che sempre Lui ci aspetta, che Lui è il Padre e ci ama come vero papà; ci ama veramente. E questo soltanto lo dice lo Spirito Santo al cuore. Sentiamo lo Spirito Santo, ascoltiamo lo Spirito Santo e andiamo avanti per questa strada dell’amore, della misericordia, del perdono”.

L’applauso a distesa dei 100 mila che occupano in lungo e largo Piazza San Pietro suggella il crescendo conclusivo del Papa, che aveva aperto la catechesi puntando l’attenzione sul versetto del "Credo” che afferma che lo Spirito "è Signore e dà la vita”. Vita, ha osservato Papa Francesco, che "l’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi” ha sempre voluto giusta, buona e non minacciata dalla morte:

"L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza, di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori”.

Lo Spirito è dunque l’elemento vitale per la fede di un cristiano, così come l’acqua lo è per il suo organismo. Duemila anni fa alla Samaritana, duemila anni dopo alla sua Chiesa, la promessa di Cristo di donare l’"acqua viva” dello Spirito Santo resta la stessa perché, ha ripetuto Papa Francesco, "la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio”:

"Questo è il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri, vicini e lontani, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù da rispettare e da amare".

Le successive catechesi in sintesi traducono questi concetti nelle lingue di provenienza dei gruppi di fedeli in arrivo da tutti i continenti. Fra loro, prima e dopo l’udienza generale, Papa Francesco si sofferma come ormai sua abitudine a lungo, con sorrisi e abbracci che diventano più intensi quando davanti a lui compare un anziano, un bambino, un malato, un disabile. "La visita alle tombe degli Apostoli – augura a tutti – rafforzi in tutti la fede in Cristo”, "sempre vivo e presente tra noi”.



08/05/2013 fonte Radio Vaticana 

Papa Francesco alle superiori maggiori: siate gioiose e materne


Siate gioiose, perché è bello seguire Gesù”: così Papa Francesco alle superiori generali di tutto il mondo - oltre 800 di 75 Paesi in rappresentanza di circa 700 mila religiose - ricevute stamane nell’Aula Paolo VI, in chiusura della loro Assemblea plenaria, conclusasi ieri a Roma sul tema "Il servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

"Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza, intuizione di madre!”. 

"Grazie”.

La gratitudine del Papa alle superiori generali per la loro "opera non sempre facile”, ha sottolineato:

"È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un "esodo” da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire con san Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’”

Esodo che "porta ad un cammino di adorazione al Signore e di servizio al Signore nei fratelli e nelle sorelle”, "anzitutto attraverso i tre cardini della vostra esistenza”, "obbedienza”, "povertà”, "castità”: 

"L’obbedienza come ascolto della volontà di Dio, nella mozione interiore dello Spirito Santo autenticata dalla Chiesa, accettando che l’obbedienza passi anche attraverso le mediazioni umane”.

"Rapporto autorità-obbedienza – ha spiegato il Papa – che si colloca nel contesto più ampio del ministero della Chiesa e ne costituisce una particolare attuazione della su funzione mediatrice”:

"La povertà come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio. Povertà come indicazione a tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, non sono i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la potenza, la grazia del Signore, che opera attraverso la nostra debolezza".

Povertà che insegna "solidarietà”, "condivisione, "carità”, che "si esprime anche in sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia – ha ammonito il Papa – dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita”:

"Povertà che si impara con gli umili, i poveri, gli ammalati e tutti quelli che sono nelle periferie esistenziali della vita. La povertà teorica non ci serve, non ci serve, quella si impara toccando la carne di Cristo povero negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini…”

"E poi la castità come carisma prezioso, che allarga la libertà del dono a Dio e agli altri, con la tenerezza, la misericordia, la vicinanza di Cristo”:

"Ma, per favore, una castità ‘feconda’, una castità che genera figli spirituali nella Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non "zitella”! Scusatemi, parlo un po’…”

"Siate madri – ha esortato – come figura di Maria Madre e della Chiesa Madre”:

"Non si può capire Maria senza la sua maternità; non si può capire la Chiesa senza la sua maternalità. E voi siete icona di Maria e della Chiesa”.

Riguardo i concetti di autorità e servizio al centro della plenaria delle superiori maggiori, il Papa ha ricordato che "per l’uomo spesso autorità è sinonimo di possesso, di dominio, di successo” ma, "per Dio autorità è sempre sinonimo di servizio, di umiltà, di amore”:

"Pensiamo al danno, pensiamo al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che 'usano' il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma questi fanno un danno grande alla Chiesa!"

Infine, Francesco ha invitato le consacrate a vivere il loro carisma nell’ecclesialità, a "sentire" sempre con la Chiesa, perché annuncio e testimonianza del Vangelo "non sono mai un atto isolato o di gruppo”:

"Un ‘sentire’ con la Chiesa, che ci ha generato nel Battesimo; un ‘sentire’ con la Chiesa che trova una sua espressione filiale nella fedeltà al Magistero, nella comunione con i Pastori e il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, segno visibile dell’unità”.

Assurdo "pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa, di seguire Gesù fuori dalla Chiesa, di amare Gesù sena amare la Chiesa”:

"Insomma centralità di Cristo e del suo Vangelo, autorità come servizio di amore, ‘sentire’ in e con la Madre Chiesa”



08/05/2013 fonte Radio Vaticana

Colombia: assassinato un altro sacerdote. Oggi i funerali



Un altro sacerdote è stato ucciso in Colombia. Si tratta del padre José Antonio Bayona Valle, di 48 anni, sacerdote diocesano dell'arcidiocesi di Barranquilla (Colombia) ucciso lunedì sera con 18 coltellate. Il sacerdote - riferisce l'agenzia Fides - è stato trovato su un sentiero nella zona del villaggio di Juan Mina. L'arcidiocesi di Barranquilla ha riferito a Fides che il sacerdote era stato ordinato il 20 dicembre 1998 e ha lavorato come parroco della parrocchia di Cristo Re nel sud-ovest di Barranquilla nel quartiere chiamato Lipaya. "Denunciamo questo crimine che mostra chiaramente, ancora una volta, la difficile situazione che vive la nostra società, lontano dall'esperienza reale di comunione e di fraternità, con una violenza diffusa che provoca un numero allarmante di vittime nel Paese - afferma a Fides l'arcidiocesi di Barranquilla - e ripudiamo con veemenza questo atto atroce che ha tolto la vita di padre Josè Antonio, causando un dolore profondo all'interno della Chiesa e nelle comunità in cui ha lavorato come ministro del Signore. L'arcidiocesi di Barranquilla rinnova l'impegno per la pace ed annuncia con più forza la convocazione della Marcia per la Vita in programma per domenica 19 maggio, alle 15.00 a Barranquilla e in tutti i Comuni della zona, ricordando che l'obiettivo principale è manifestare il rifiuto di ogni forma di violenza che minaccia la vita umana". I funerali del sacerdote saranno celebrati oggi, 8 maggio alle ore 9.00 presso la cattedrale metropolitana María Reina, presieduta dall'arcivescovo di Barranquilla, mons. Jairo Jaramillo Monsalve e concelebrata dal presbiterio arcivescovile. La comunità cattolica è molto colpita da questo ennesimo omidicio contro un ministro di Dio e le autorità sono già al lavoro per per individuare gli autori del brutale assassinio. In Colombia nel 2012 è stato ucciso un sacerdote; nel 2011 sono stati uccisi 6 sacerdoti e 1 laico; nel 2010 hanno trovato la morte 3 sacerdoti ed un religioso; nel 2009 sono morti violentemente 5 sacerdoti ed 1 laico. Nel 2013 sono ormai 4 i sacerdoti colombiani uccisi. (R.P.)



08/05/2013 fonte Radio Vaticana

Silenzio sul sequestro dei prelati ortodossi. Vescovo di Aleppo: Brancoliamo nel buio


Per mons. Jeanbart il gesto resta inspiegabile. L'unico dato certo è che nessuno sa dove siano mons. Yohanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji. Denaro, viveri, scuola e conforto spirituale per la popolazione di Aleppo martoriata da guerra, fame e disperazione. Mosca e Washington ricercano la via del dialogo fra ribelli e regime.


Aleppo (AsiaNews) - C'è solo il silenzio sul sequestro dei vescovi ortodossi rapiti il 22 aprile scorso nella periferia di Aleppo. Da settimane il patriarcato greco-ortodosso sta cercando di stabilire contatti per iniziare una possibile trattativa e comprendere le ragioni di questo gesto, che resta inspiegabile. Intervistato da AsiaNews, mons. Jeanclement Jeanbart, arcivescovo greco-melchita di Aleppo, sottolinea che "si brancola nel buio", "la situazione - spiega - è molto delicata, per ragioni di sicurezza il patriarcato ortodosso mantiene il silenzio ed evita di fomentare false notizie". Per il prelato l'unico elemento certo è che nessuno sa dove siano mons. Yohanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji e i due sacerdoti rapiti in febbraio. "I cattolici - continua - sono vicini ai loro fratelli ortodossi, con la preghiera e con la costante presenza fisica e morale".

Mons. Jeanbart esprime tutto il suo dolore per un Paese, una popolazione e una città come Aleppo distrutta e martoriata dalla guerra, dalla fame, dalla disperazione. "L'intera città soffre - racconta - la popolazione è stanca e afflitta". Il vescovo spiega che le famiglie faticano a trovare viveri, carburante e anche gli altri beni più elementari scarseggiano. La Chiesa tenta di aiutare tutti senza distinzioni. Grazie alle donazioni, la comunità greco-melchita ha dato il via a un programma per sostenere i nuclei familiari più poveri, con sussidi pari al 50% dello stipendio medio di un operaio. A ciò si aggiunge la distribuzione quotidiana di viveri, assistenza medica e la scuola gratuita per i bambini. 

Per il prelato "sacerdoti, vescovi e religiosi hanno il compito di dare speranza alla gente e con aiuti materiali e attraverso parole di conforto". "La popolazione è consapevole che la Chiesa non li illude con false promesse".  

E da oggi, l'intero Paese è isolato anche per quanto riguarda le comunicazioni internet, l'unico ponte che insieme ai cellulari permetteva un contatto con l'esterno. Ancora da decifrare le casue del black-out. 

Intanto, Stati Uniti e Russia rilanciano la via dialogo fra ribelli e regime e l'ipotesi di un cessate il fuoco, riprendendo il principale del piano di Kofi Annan del giugno 2012. In visita in Russia, John Kerry, segretario di Stato Usa, ha avuto diversi colloqui sul tema con il presidente Vladimir Putin e la sua controparte Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo. Mosca e Washington lavoreranno insieme per  convincere sia il governo siriano e l'opposizione a fermare le violenze e a creare un governo di transizione, che potrebbe includere anche funzionari del regime. (S.C.)


08/05/2013 fonte Asia News


IL SANTO DEL GIORNO 06/05/2013 Beata Anna Rosa Gattorno






Nacque a Genova, il 14 ottobre 1831, da una famiglia di agiate condizioni economiche, di buon nome sociale e di profonda formazione cristiana. Fu battezzata lo stesso giorno, nella parrocchia di S. Donato, con i nomi di Rosa Maria Benedetta. 
Nel padre Francesco e nella madre Adelaide Campanella, come gli altri loro cinque figli, trovò i primi essenziali formatori della sua vita morale e cristiana. A dodici anni ricevette la Cresima in S.Maria delle Vigne, dall'arcivescovo card. Placido Tadini. 
Giovinetta, le fu impartita l'istruzione in casa, come era d'uso nelle famiglie fortunate del tempo. Di carattere sereno, amabile, aperto alla pietà e alla carità, e tuttavia fermo, seppe reagire altresì alla conflittualità del clima politico e anticlericale dell'epoca, che non risparmiò nemmeno alcuni componenti della famiglia Gattorno. 
A 21 anni (5 novembre 1852), sposò il cugino Gerolamo Custo, e si trasferì a Marsiglia. Un imprevisto dissesto finanziario turbò ben presto la felicità della novella famiglia, costretta a far ritorno a Genova nel segno della povertà. Disgrazie ancor più gravi incombevano: la primogenita Carlotta, colpita da un improvviso malore, rimase sordomuta per sempre; il tentativo di Gerolamo di far fortuna all'estero si concluse con un ritorno, aggravato da ferale malattia; la gioia degli altri due figli fu profondamente turbata dalla scomparsa del marito, che la lasciò vedova a meno di sei anni dalle nozze (9 marzo 1858) e, dopo qualche mese, dalla perdita dell'ultimo figlioletto. 
L'incalzare di tante tristi vicende segnò, nella sua vita, un cambiamento radicale che lei chiamerà la sua "conversione" all'offerta totale di sé al Signore, al suo amore e all'amore del prossimo. Purificata dalle prove, e resa forte nello spirito, comprese il vero senso del dolore, e si radicò nella certezza della sua nuova vocazione. 
Sotto la guida del confessore don Giuseppe Firpo, emise i voti privati perpetui di castità e di obbedienza nella festa dell'Immacolata 1858; in seguito anche di povertà (1861), nello spirito del Poverello di Assisi, quale terziaria francescana.
Nel 1862 ricevette il dono delle stimmate occulte, percepito più intensamente nei giorni di venerdì. 
Già sposa fedele e madre esemplare, senza nulla sottrarre ai suoi figli – sempre teneramente amati e seguiti – in una maggiore disponibilità imparò a condividire le sofferenze degli altri, prodigandosi in apostolica carità: "mi dedicai con più fervore alle opere pie e a frequentare gli ospedali e i poveri infermi a domicilio, soccorrendoli con sovvenirli quanto potevo e servirli in tutto".
Le Associazioni cattoliche in Genova se la contesero, così che pur amando il silenzio e il nascondimento, fu notato da tutti il carattere genuinamente evangelico del suo tenore di vita. 
Nel timore d'essere costretta ad abbandonare i figli, prega, fa penitenza, chiede consiglio. S. Francesco da Camporosso, cappuccino laico, pur mostrandosi trepidante per le gravi tribolazioni che le si profilano, la sostiene, incoraggiandola; similmente il Confessore e l'Arcivescovo di Genova. 
Avvertendo però sempre più insistenti i suoi doveri di madre, volle l'autorevole conferma dalla parola stessa di Pio IX, nella segreta speranza di essere sollevata. Il Pontefice, nell'udienza del 3 gennaio 1866, le ingiunse invece di iniziare subito la fondazione. Accettò dunque di compiere la volontà del Signore.
Superate inoltre le resistenze dei parenti e abbandonate le opere di Genova, non senza dispiacere del suo Vescovo, diede inizio a Piacenza, alla nuova famiglia religiosa, che denominò definitivamente "Figlie di S.Anna, madre di Maria Immacolata" (8 dicembre 1866). Vestì l'abito religioso il 26 luglio 1867, e l'8 aprile 1870 emise la professione religiosa insieme a 12 Consorelle. 
Nello sviluppo dell'Istituto fu collaborata dal P. Giovanni Battista Tornatore, dei Preti della Missione, il quale, espressamente richiestone, scrisse le Regole e fu poi ritenuto Confondatore dell'Istituto. 
Affidata totalmente alla Provvidenza divina, e animata fin dal principio da un coraggioso slancio di carità, Rosa Gattorno diede inizio alla costruzione dell'Opera di Dio, come l'aveva chiamata il Papa, e come la chiamerà sempre anche lei eletta a cooperarvi, in spirito di dedizione materna, attenta e sollecita verso ogni forma di sofferenza e miseria morale o materiale, con l'unico intento di servire Gesù nelle sue membra doloranti e ferite, e di "evangelizzare innanzitutto con la vita".
Nacquero varie opere di servizio ai poveri e agli infermi di qualsiasi malattia, alle persone sole, anziane, abbandonate, ai piccoli e agli indifesi, alle adolescenti e alle giovani "a rischio", cui provvedeva a far impartire un'istruzione adeguata, e al successivo inserimento nel mondo del lavoro. A queste forme si aggiunse ben presto l'apertura di scuole popolari per l'istruzione ai figli dei poveri, e altre opere di promozione umano-evangelica, secondo i bisogni più urgenti del tempo, con una fattiva presenza nella realtà ecclesiale e civile: "Serve dei poveri e ministre di misericordia" chiamava le sue figlie; e le esortava ad accogliere come segno di predilezione del Signore il servizio ai fratelli, compiendolo con amore e umiltà: "Siate umili …, pensate che siete le ultime e le più miserabili di tutte le creature che prestano alla Chiesa il loro servizio …, e hanno la grazia di farne parte".
A meno di 10 anni dalla fondazione, l'Istituto ottenne il Decreto di Lode (1876) e l'approvazione definitiva, nel 1879. Per le Regole, si dovette attendere fino al 26 luglio 1892. 
Molto stimata e apprezzata da tutti, collaborò a Piacenza anche con il vescovo, mons. Scalabrini, ora beato, soprattutto nell'Opera a favore delle Sordomute, da lui fondata. 
Nel 1878, inviava già le prime Figlie di S.Anna in Bolivia, poi in Brasile, Cile, Perù, Eritrea, Francia, Spagna. A Roma, dove aveva iniziato l'opera sua dal 1873, organizzò scuole maschili e femminili per i poveri, asili nido, assistenza ai neonati figli delle operaie della Manifattura dei tabacchi, case per ex prostitute, donne di servizio, infermiere a domicilio ecc. Ivi sorse la Casa generalizia, con l'annessa chiesa. 
In tutto, alla sua morte, 368 Case nelle quali svolgevano la loro missione 3500 Suore. 
Così visse fino al febbraio del 1900, quando colpita da una grave influenza, si peggiorò rapidamente: il suo fisico, messo a dura prova da penitenze, frequenti estenuanti viaggi, fitta corrispondenza epistolare, preoccupazioni e grandi dispiaceri, non resse più. Il 4 maggio ricevette il Sacramento degli infermi, e due giorni dopo, il 6 maggio, alle ore 9, compiuto il suo pellegrinaggio terreno, si spense santamente nella Casa generalizia. 
La fama di santità che già l'aveva circondata in vita, esplose in occasione della sua morte e crebbe, ininterrottamente, in tutte le parti del mondo. 
Espressione di un singolare disegno di Dio, nella sua triplice esperienza di sposa e madre, vedova, e poi religiosa-Fondatrice, Rosa Gattorno ha ben onorato la dignità e il "genio della donna" nella sua missione al servizio della umanità e della diffusione del Regno. Pur sempre fedele alla chiamata di Dio, e autentica maestra di vita cristiana ed ecclesiale, rimase soprattutto essenzialmente madre: dei suoi figli, che costantemente seguì; delle Suore, che profondamente amò; e dei bisognosi, dei sofferenti e degli infelici, nel cui volto contemplò quello stesso di Cristo, povero, piagato, crocifisso. 
Il suo carisma si è diffuso nella Chiesa col sorgere di altre forme di vita evangelica: Suore di vita contemplativa; Associazione religiosa Sacerdotale; Istituto secolare e Movimento ecclesiale di laici, attivamente operante nella Chiesa in quasi tutte le parti del mondo.


_______________________

l Papa: lo Spirito Santo, nostro compagno di strada e amico, senza di Lui non possiamo conoscere Gesù





Lo Spirito Santo è nostro amico e compagno di strada e ci dice dove è Gesù: così, in sintesi, Papa Francesco nell’omelia della Messa presieduta lunedì mattina nella Domus Sanctae Marthae, in Vaticano. Ribadita l’importanza dell’esame di coscienza per la vita di ogni cristiano. Erano presenti alcuni dipendenti della Fabbrica di San Pietro, accompagnati dal cardinale presidente Angelo Comastri e da mons. Pablo Colino, prefetto della Cappella musicale, che hanno concelebrato con il Santo Padre. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Un’omelia tutta centrata sullo Spirito Santo che è "proprio Dio, la Persona Dio, che dà testimonianza di Gesù Cristo in noi”. Il Papa ha indicato la protezione dello Spirito Santo che "Gesù chiama Paraclito”, "cioè quello che ci difende”, che "sempre è affianco a noi per sostenerci”:

"La vita cristiana non si può capire senza la presenza dello Spirito Santo: non sarebbe cristiana. Sarebbe una vita religiosa, pagana, pietosa, che crede in Dio, ma senza la vitalità che Gesù vuole per i suoi discepoli. E quello che dà la vitalità è lo Spirito Santo, presente”.

Lo Spirito "dà testimonianza” di Gesù - sottolinea il Papa - "affinché noi possiamo darla agli altri”:

"Nella prima lettura c’è una cosa bella: quella donna che ascoltava Paolo, che si chiamava Lidia. Si dice di lei che il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Questo fa lo Spirito Santo: ci apre il cuore per conoscere Gesù. Senza di Lui non possiamo conoscere Gesù. Ci prepara all’incontro con Gesù. Ci fa andare per la strada di Gesù. Lo Spirito Santo agisce in noi durante tutta la giornata, durante tutta la nostra vita, come testimone che ci dice dove è Gesù”.

Il Papa ha esortato più volte alla preghiera, quale via per avere, in "ogni momento”, la grazia della "fecondità della Pasqua”. Una ricchezza possibile – ha detto – grazie allo Spirito Santo. Quindi ha guardato "all’esame di coscienza”, "che i cristiani fanno sulla giornata che hanno vissuto”, un "esercizio” che "ci fa bene - ha affermato - perché è prendere proprio coscienza di quello che nel nostro cuore ha fatto il Signore”:

"Chiediamo la grazia di abituarci alla presenza di questo compagno di strada, lo Spirito Santo, di questo testimone di Gesù che ci dice dove è Gesù, come trovare Gesù, cosa ci dice Gesù. Avere una certa familiarità: è un amico. Gesù l’ha detto: ‘No, non ti lascio solo, ti lascio Questo’. Gesù ce lo lascia come amico. Abbiamo l’abitudine di domandarci, prima che finisca la giornata: ‘Cosa ha fatto oggi lo Spirito Santo in me? Quale testimonianza mi ha dato? Come mi ha parlato? Cosa mi ha suggerito?’. Perché è una presenza divina che ci aiuta ad andare avanti nella nostra vita di cristiani. Chiediamo questa grazia, oggi. E questo farà che, come lo abbiamo chiesto nella preghiera, che in ogni momento abbiamo presente la fecondità della Pasqua. Così sia”.



06/05/2013 fonte Radio Vaticana

Papa Francesco alle Guardie Svizzere: siate forti, animati dall’amore e sostenuti dalla fede





Il grazie di Papa Francesco alle Guardie Svizzere, ricevute ieri mattina con i loro familiari, in occasione della Festa odierna del Corpo pontificio, sorto nel 1506, sotto il pontificato di Giulio II. Presente all’incontro nella Sala Clementina, Ueli Maurer, presidente della Confederazione elvetica. La Giornata, iniziata con una Messa nella Basilica di San Pietro, presieduta dal cardinale Bertone segretario di Stato, è proseguita con la commemorazione dei Caduti nel Piazzale dei Protomartiri Romani. Ieri pomeriggio alle 17 il giuramento di 35 nuove reclute, nel Cortile San Damaso, alla presenza di mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Il servizio di Roberta Gisotti:  

In questo giorno la Guardia Svizzera Pontificia ricorda il sacrificio di 147 soldati caduti nel ‘Sacco di Roma’ il 6 maggio del 1547 nell’atto di difendere Clemente VII dall’assalto dei Lanzichenecchi. Giorno di una memoria, a servizio dei successori di Pietro, che si rinnova da 507 anni. "Oggi non siete chiamati a questo gesto eroico, – ha detto il Papa - ma ad un'altra forma di sacrificio anch’essa impegnativa”:

"A mettere le vostre energie giovanili al servizio della Chiesa e del Papa. E per fare questo bisogna essere forti, animati dall’amore e sostenuti dalla fede in Cristo".

Da qui il "grazie più sincero” di Papa Francesco:

"Ogni giorno posso sperimentare personalmente la dedizione, la professionalità e l’amore con cui svolgete la vostra attività. E di questo vi ringrazio!”.

Una festa che quest’anno si inserisce nell’Anno della Fede:

"Ricordatelo bene: la fede che Dio vi ha dato nel giorno del Battesimo è il tesoro più prezioso che avete! E anche la vostra missione al servizio del Papa e della Chiesa trova lì la sua sorgente".

Poi l’invito a testimoniare nel servizio "gentilezza”, cosi importante per tante persone che passano dalla Città del Vaticano, per chi ci lavora ed anche per me, ha sottolineato il Papa. Quindi una raccomandazione:

"Sappiate essere attenti gli uni agli altri, ad accorgervi quando qualcuno di voi può avere un momento di difficoltà. Siate pronti ad ascoltarlo, a stargli vicino”.

Infine, un pensiero affettuoso:

"Care Guardie Svizzere, non dimenticate che il Signore cammina con voi: questo è un pensiero buono che fa bene all’anima”.

Guardie Svizzere che oggi, con rinnovato entusiasmo, servono Papa Francesco, come spiega il comandante del Corpo, il colonnello Daniel Anrig:

"Il fatto è che lui si muove andando verso la gente e questo all’inizio è stato qualcosa di nuovo. Il nostro compito – che ha oltre 500 anni – è quello di prestare servizio nelle residenze. È stato sempre così. Adesso dobbiamo stare anche alla Domus Sanctae Marthae. All’inizio, certo, abbiamo incontrato nuove circostanze, però è chiaro che resta un bel servizio".

Sono 110 oggi le Guardie Svizzere, nel delicato compito di difendere la persona del Papa. Ma dietro il loro impegno e sacrificio c'è quello delle donne, le loro mamme, nonne, fidanzate, mogli, a cui il cardinale Bertone ha voluto rendere omaggio nella Messa, celebrata stamane in San Pietro, ricordando la figura di Lidia, citata dall’apostolo Paolo a Filippi, donna dal "cuore aperto e generoso”:

"Sì, possiamo dire, senza esagerare, che nella storia della Guardia Svizzera Pontificia, come nella storia dell’evangelizzazione del continente europeo, c’è anche il ruolo indispensabile di tante 'Lidia!'. Sono le numerose donne che, con una discrezione pari alla loro efficienza, hanno segnato il servizio reso dalle Guardie, dagli inizi e fino a oggi!”.



06/05/2013 fonte Radio Vaticana

Guatemala: dopo gli scontri sulle miniere la Chiesa chiede di fermare la violenza

      

Un appello a mantenere la calma e l'unità dinanzi agli ultimi episodi di violenza è stato rivolto alla popolazione da mons. Julio Cabrera Ovalle, vescovo di Jalapa. Mons. Cabrera ricorda inoltre alle autorità che hanno il compito e la responsabilità di sradicare la violenza dei gruppi criminali presenti nella zona. Il testo sottolinea, però che l'azione del governo in questo compito, deve essere svolta "senza calpestare i diritti delle comunità e senza intimidire i leader sociali e religiosi che promuovono manifestazioni pacifiche seguendo le prescrizioni della legge". La diocesi guatemalteca di Jalapa aveva già espresso la propria preoccupazione per i provvedimenti adottati nei confronti della comunità indigena di Xinca di Santa Maria Xalapan, a Jalapa, quando il 2 maggio le forze militari hanno occupato quattro villaggi nel sud-est del Guatemala, imponendo lo "stato di emergenza" Questa misura è stata imposta dal governo dopo gli scontri tra la polizia e gli oppositori del progetto minerario assegnato a una società canadese, l'ultimo di una serie di conflitti sull'estrazione delle risorse naturali, scoppiati di recente. Negli scontri sono morte due persone e molte altre sono rimaste ferite. Il presidente Otto Pérez ha annunciato che il provvedimento durerà 30 giorni ed è necessario per ripristinare l'ordine e la calma, mentre i leader delle comunità e la Chiesa cattolica, come si afferma nel comunicato della diocesi di Jalapa, ribattono che "all'origine del conflitto sociale della zona, vi sono i progetti minerari e la scarsa o nulla informazione su di essi data alla popolazione. Siamo sicuri che se il governo avesse dato ascolto alle richieste della gente non si sarebbe sviluppata la pressione sociale che ha portato all'attuale situazione. Sembra che si proteggono gli interessi delle società minerarie contro gli interessi della popolazione". (R.P.)




06/05/2013 fonte Radio vaticana

Il Papa ai vescovi del Piemonte: mostrate la misericordia di Dio alle famiglie in difficoltà




Ieri mattina il Papa ha ricevuto i vescovi della Conferenza episcopale del Piemonte, in visita "ad Limina”. I presuli erano guidati da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. Sergio Centofanti lo ha intervistato:   

R. – E’ stato un incontro sereno, costruttivo, direi di un padre con i suoi figli, per conoscere un po’ la situazione della nostra Regione, a partire dai problemi ma anche dalle prospettive positive che ci sono. Un incontro ricco di umanità, di fraternità in cui il Papa ci ha ascoltati, ha dialogato con ciascuno di noi, insieme, affrontando diverse problematiche. In particolare, ci ha dato speranza, ci ha incoraggiati a seguire con affetto e amore i sacerdoti - il problema delle vocazioni è un problema sempre molto acuto, anche da noi - soprattutto i sacerdoti anziani e malati, mostrando la nostra paternità, la nostra vicinanza, e quelli più giovani che si trovano ad affrontare una situazione a volte un po’ complessa e difficile, nel passaggio dal Seminario alla loro vita. Poi, il problema delle famiglie, che gli stanno molto a cuore: tutte le famiglie, quelle che stanno abbastanza bene dal punto di vista spirituale o sociale, ma soprattutto quelle in difficoltà, sia sul piano morale sia anche sul piano sociale. Abbiamo notato quanta eco ed attenzione ha verso la famiglia e come sia vicino a queste situazioni, e ci invita ad essere, anche lì, padri e amici di ogni famiglia, accogliendo, cercando di dare risposte anche appropriate ai bisogni che la famiglia ha. E poi, certamente il problema dei giovani, che è anche la sfida più grande della Chiesa, su cui però dobbiamo poter contare con speranza, con fiducia, spronandoli a uscire da se stessi, ad essere protagonisti anche negli ambienti di vita – università, scuola … a dare molta fiducia ai giovani …

D. – Il Papa vi ha parlato anche della crisi attuale, della povertà …

R. – Sì. Abbiamo parlato di questo, anche perché è una questione che ci sta molto a cuore: il Piemonte soffre moltissimo, in questo momento. Abbiamo tanti disoccupati, abbiamo situazioni anche molto dure dal punto di vista dei nuovi poveri. Lui si è mostrato molto sensibile: ci ha invitato a fare della nostra Chiesa un esempio anche sotto questo profilo perché ha ricordato anche i nostri Santi, giustamente, i cosiddetti santi sociali – don Bosco, il Murialdo, il Cottolengo – che hanno dato grande impulso anche all’impegno dei cristiani nell’ambito della società, soprattutto per aiutare chi soffre, chi è più povero, chi è ultimo ad avere la dignità, ad avere la giustizia e la solidarietà di cui ha bisogno. Insomma, è stato un incontro veramente molto ricco di tanti spunti che adesso noi, come Conferenza episcopale, riprenderemo perché vogliamo veramente dare un’adeguata risposta a queste indicazioni e a questi suggerimenti che ci ha dato il Papa. Quindi, lo ringraziamo sentitamente e speriamo che venga anche a trovarci: l’abbiamo anche invitato! Credo che tutte le Conferenze avranno fatto così, però il Piemonte, forse, può darsi che sia una Regione che gli sia cara in quanto richiama un po’ anche la sua famiglia: ci sono diversi parenti del Papa anche a Torino … Ma al di là di questo, è stato un momento ricchissimo che ci ha dato tanta gioia e tanta speranza nel cuore.

D. – Cosa l’ha colpita in particolare di questo incontro?

R. – Mi ha colpito molto la semplicità e il tratto familiare, però, nello stesso tempo, l’acutezza e la profondità delle cose che il Papa ci ha detto. Soprattutto, ci ha affidato questo grande impegno di essere verso i sacerdoti, verso le nostre comunità, padri, vescovi e amici nello stesso tempo, sull’esempio di Gesù Cristo e sull’esempio dei nostri santi, per mostrare ogni giorno quanto la misericordia, l’amore di Gesù, il cuore del Signore, veramente, sia vicino alla nostra gente.



06/05/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 04/05/2013 San Floriano di Lorch martire




La più antica notizia di lui si trova in un atto di donazione del sec. VIII, con il quale il presbitero Reginolfo offriva ad una chiesa alcune possessioni site "in loco nuncupante ad Puoche ubi preciosus martyr Florianus corpore requiescit". Verso la metà dello stesso secolo fu composta una passio, che ricalca quella di s. Ireneo vescovo di Sirmio, ma che ha delle particolarità proprie; poco dopo il suo nome fu inserito nei codd. del Martirologio Geronimiano (seconda redazione della fine del sec. VIII) e nel Martirologio di Lione. Attraverso quindi i martirologi storici la sua festa è passata anche nel Romano, in cui è ricordata il 4 maggio, data tradizionale della sua morte.
Secondo il racconto della passio, Floriano era un veterano dell'esercito romano che viveva a Mantem presso Krems. Avendo saputo che Aquilino, preside del Norico Ripense, durante la persecuzione di Diocleziano, aveva arrestato a Lorch quaranta cristiani, desiderando di condividerne la sorte si recò in quella città. Prima di entrarvi, però, si imbatté in alcuni soldati, ai quali manifestò di essere cristiano; fu perciò arrestato e condotto dal preside, il quale non riuscendo a farlo sacrificare agli dei, lo fece flagellare e quindi lo condannò ad essere gettato nel fiume Enns con una pietra al collo: la sentenza fu eseguita il 4 maggio 304. Il corpo del martire fu, in seguito, ritrovato e seppellito da una certa Valeria.
Sul sepolcro fu costruita una chiesa che, affidata dapprima ai Benedettini, passò poi ai Canonici Regolari Lateranensi ed è ora il centro di una fiorente Congregazione. Nel 1183 alcune reliquie di Floriano furono portate dal vescovo Egidio di Modena a Cracovia dove il duca Casimiro di Polonia edificò in onore del martire una splendida basilica. Il suo culto è molto popolare in Austria e in Baviera ed egli è invocato contro le inondazioni e gli incendi.


Il Papa: siate miti e umili per vincere l'odio del mondo




Rimaniamo sempre miti e umili per sconfiggere le lusinghe e l'odio del mondo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani nella Casa Santa Marta. Nell’omelia, il Papa ha ribadito che la strada dei cristiani è la strada di Gesù e per questo non dobbiamo avere paura di essere perseguitati. Alla Messa - concelebrata da mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i Vescovi – ha preso parte un gruppo di Guardie Svizzere Pontificie alle quali il Papa ha dedicato un saluto di affetto e gratitudine. "La Chiesa – ha detto – vi vuole tanto bene” e "anche io”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Sono l’umiltà e la mitezza le armi che abbiamo per difenderci dall'odio del mondo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha incentrato la sua omelia sulla lotta tra l’amore di Cristo e l’odio del principe del mondo. Il Signore, ha ricordato, ci dice di non spaventarci perché il mondo ci odierà come ha odiato Lui:

"La strada dei cristiani è la strada di Gesù. Se noi vogliamo essere seguaci di Gesù, non c’è un’altra strada: quella che Lui ha segnato. E una delle conseguenze di questo è l’odio, è l’odio del mondo, e anche del principe di questo mondo. Il mondo amerebbe ciò che è suo. ‘Vi ho scelti io, dal mondo’: è stato Lui proprio che ci ha riscattato dal mondo, ci ha scelti: pura grazia! Con la sua morte, con la sua resurrezione, ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: siamo salvati. E quel principe che non vuole, che non vuole che noi siamo stati salvati, odia”.

Ecco allora che l’odio e la persecuzione dai primi tempi della Chiesa arrivano fino ad oggi. Ci sono "tante comunità cristiane perseguitate nel mondo – ha constatato con amarezza il Papa – in questo tempo più che nei primi tempi: oggi, adesso, in questo giorno e in questa ora”. Perché questo, si chiede ancora il Papa? Perché "lo spirito del mondo odia”. E da questo deriva un ammonimento sempre attuale:

"Con il principe di questo mondo non si può dialogare: e questo sia chiaro! Oggi il dialogo è necessario fra noi, è necessario per la pace. Il dialogo è un’abitudine, è proprio un atteggiamento che noi dobbiamo avere tra noi per sentirci, capirci … ma quello deve mantenere sempre. Il dialogo nasce dalla carità, dall’amore. Ma con quel principe non si può dialogare: soltanto rispondere con la Parola di Dio che ci difende, perché il mondo ci odia. E come ha fatto con Gesù, farà con noi. ‘Ma, guarda, fai questo, una piccola truffa … non c’è niente, è piccola …’, e incomincia a portarci su una strada un po’ non giusta. Questa è una pia bugia: ‘Fallo, fallo, fallo: non c’è problema’, e incomincia da poco, sempre, no? E: ‘Ma … tu sei bravo, tu sei bravo: puoi farlo’. E’ lusinghiero, e con le lusinghe ci ammorbidisce. Fa così. E poi, noi cadiamo nella trappola”.

Il Signore, ha proseguito Papa Francesco, ci chiede di rimanere pecorelle, perché se uno lascia di essere pecorella, allora non si ha "un pastore che ti difenda e cadi nelle mani di questi lupi”:

"Voi potete fare la domanda: ‘Padre, qual è l’arma per difendersi da queste seduzioni, da questi fuochi d’artificio che fa il principe di questo mondo?, da queste lusinghe?’. L’arma è la stessa arma di Gesù: la Parola di Dio - non dialogare - ma sempre la Parola di Dio e poi l’umiltà e la mitezza. Pensiamo a Gesù, quando gli danno quello schiaffo: che umiltà, che mitezza! Poteva insultarlo, no? Soltanto una domanda, mite e umile. Pensiamo a Gesù nella sua Passione. Il suo Profeta dice: ‘Come una pecora che va al mattatoio’. Non grida, niente: l’umiltà. Umiltà e mitezza. Queste sono le armi che il principe del mondo e lo spirito del mondo non tollera, perché le sue proposte sono proposte di potere mondano, proposte di vanità, proposte di ricchezze male acquisite, sono proposte così”.

Oggi, ha proseguito, "Gesù ci fa pensare a quest’odio che ha il mondo contro di noi, contro i seguaci di Gesù”. Ci odia, ha riaffermato, "perché Lui ci ha salvati, ci ha riscattati”. E pensiamo alle "armi per difenderci”, ha aggiunto: rimanere sempre pecorelle, "perché così abbiamo un pastore, ed essendo pecorelle siamo miti e umili”. Infine, l’invocazione alla Madonna affinché "ci aiuti a diventare umili e miti nella strada di Gesù”.


04/05/2013 fonte Radio Vaticana

Il card. Abril y Castelló: il Papa a Santa Maria Maggiore per porre il Pontificato ai piedi della Madonna





"Chiediamo alla Vergine Maria che ci insegni a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno, e a dare più spazio al Signore”: questo il nuovo tweet lanciato stamani dal Papa, che questa sera alle 18.00, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, presiederà la preghiera del Santo Rosario nel primo sabato del mese. Ascoltiamo, in proposito, il cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, al microfono di Sergio Centofanti: 

R. - Il Santo Padre ha invitato i fedeli a recitare la preghiera del Santo Rosario pregando per tutte le intenzioni della Chiesa, a recitarlo anche in famiglia - come ha in detto in questi giorni - in maniera tale da consolidare l’unità della famiglia e far sì che il bene spirituale sia anche bene sociale e familiare, bene di convivenza.

D. - Il Papa è già venuto a Santa Maria Maggiore il 14 marzo scorso per ringraziare la Madonna all’indomani della sua elezione. Lei che ricordo ha?

R. - Ha voluto recarsi in visita alla Basilica non soltanto per un ringraziamento alla Madonna ma - come mi disse personalmente – per fare un atto di affidamento, per porre ai piedi della Madonna il suo Pontificato. È venuto per chiedere la protezione e l’aiuto della Madonna, lui che è un Papa molto mariano. Ho avuto modo di conoscerlo bene quando ero nunzio in Argentina. So che andava molto spesso a visitare il Santuario nazionale della Madonna di Luján e non era la prima volta che visitava la Salus populi romani. Ma trovandosi a Roma, ha voluto recarsi al Santuario. Questa visita, a noi personalmente, ci ha dato una grande gioia soddisfazione, e ci ha dato modo di poter unirci al Santo Padre ad appena poche ore dalla sua elezione. Ed è stato molto significativo e molto bello.

D. - Che cosa chiedere a Maria in questo tempo difficile?

R. - Credo che bisogna chiedere molto, attraverso la sua intercessione, affinché ogni giorno aiuti la Chiesa a poter vivere in maniera più viva e più responsabile l’esigenza della vita cristiana di consolidare la fede. Siamo nell’Anno della Fede e pertanto è importante consolidare questa fede nel popolo cristiano seguendo le direttive che furono già tracciate in maniera molto chiara durante il tempo delle discussioni e nelle decisioni del Concilio Vaticano II. Rimane ancora molto da mettere in pratica, ha detto il Santo Padre. Credo quindi che questo consolidamento della fede sia importante, in maniera tale che vivendo all’interno della Chiesa in profondità, in maniera responsabile e convinta la propria fede, saremo capaci di dare anche la testimonianza a tutto il mondo dei valori che la Chiesa porta, valori profondi che il cristianesimo propone e su cui, se anche le nostre società si fondassero, credo, potremmo risolvere molti dei problemi che purtroppo oggi stiamo lamentando.

D. - Come vivere il Rosario come una preghiera vera ed autentica e non una preghiera ripetitiva?

R. - Questo è un problema che si è sempre presentato. Bisogna tener presente che il Rosario – e questo è molto importante - non è soltanto l’enunciazione di un Mistero. E’ vero, il Padre Nostro, l’Ave Maria si ripetono… ma è un momento di meditazione di questi misteri centrali della nostra fede che vengono contemplati nel Rosario. Fare un po’ di meditazione insieme alla Madonna chiedendo la sua protezione ed il suo aiuto per noi e per tutta la Chiesa. Se si recita questo Rosario un po’ meditato, questo ci porta un po’ più in profondità verso la parte essenziale della nostra fede, verso l’amore per la Chiesa e all’apertura dei bisogni della Chiesa, non soltanto per pregare per noi ma anche per tutti gli altri in spirito ecclesiale.



04/05/2013 fonte Radio Vaticana

Proclamata Beata "Nhá Chica", schiava brasiliana del 1800

      



Viene Beatificata oggi a Baependi, in Brasile (alle 20.00, ora italiana), Francisca de Paula De Jesus, detta "Nhá Chica", ovvero "Zia Francesca”, schiava vissuta nel 1800. A presiedere il rito, in rappresentanza del Santo Padre, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Sergio Centofanti:   

Tutta la vita della Beata "Zia Chica” è un cammino verso la libertà: cresce senza cognome, non ne ha diritto, perché figlia naturale di una schiava. Il padre era forse il padrone della fattoria in cui la madre lavorava. Totalmente analfabeta, impara dalla mamma una sola cosa: il Rosario. Resta orfana ancora adolescente. La mamma le lascia come eredità non soldi o averi, che non ha, ma un’esortazione: quella di amare Gesù e Maria e di avere carità verso tutti. A questo invito resta fedele tutta la vita, e – una volta affrancata dalla schiavitù - nonostante le tante proposte di matrimonio, sceglie di non sposarsi, anche se resta laica: organizza ogni giorno incontri di preghiera nella sua povera casa, che diventa ben presto un luogo di pellegrinaggio per poveri e ricchi che giungono da ogni parte del Brasile in cerca di conforto spirituale. Lei, nelle mani ha sempre la sua catena: la coroncina del Rosario. Più si lega a Dio, più si scopre davvero libera. Poi, all’improvviso, "Zia Chica” diventa ricca per la morte del fratello, che le lascia un’immensa fortuna. Ma molto presto ridiventa povera perché distribuisce tutto ai più bisognosi. L’unica cosa che tiene per sé è una somma di denaro per far costruire una Cappellina dedicata all’Immacolata Concezione. Muore ultraottantenne, nel 1895: viene sepolta nella Cappella da lei intitolata a Maria. Qui, ancora oggi, in tanti vengono per ritrovare la vera libertà di spirito grazie all’esempio e all’intercessione della schiava Francisca.

Sulla Beatificazione di "Nhá Chica”, Roberto Piermarini ha intervistato il cardinale Angelo Amato: 

R. - Anzitutto diciamo che è un grande dono che Papa Francesco fa alla chiesa brasiliana. Il Santo Padre, primo papa latinoamericano, conosce bene la bontà del popolo brasiliano, il suo spirito religioso, l'amore a Gesù e al suo Vangelo di vita e di gioia, la devozione alla Beata Vergine Maria, l'attaccamento filiale alla Chiesa, l'amore al Papa, ai vescovi ai sacerdoti, la venerazione per gli anziani, la disponibilità all'accoglienza della vita come inestimabile dono di Dio, la carità verso i poveri, il suo senso di uguaglianza e di fraternità, il rispetto per la natura. Questa ricchezza di valori umani e spirituali rende il Brasile una terra benedetta da Dio e una dimora degna di ogni persona umana. La Beata Nhá Chica ha vissuto in pieno questi valori, lasciandoli in eredità a tutti i brasiliani, ma anche a tutta la Chiesa.

D. - Ci può delineare un breve ritratto di questa Beata laica brasiliana?

R. - Ce lo consegna Papa Francesco, che, nella sua lettera di beatificazione dice che Nhá Chica era una donna di preghiera assidua e una testimone fedele della misericordia di Cristo verso i bisognosi nel corpo e nello spirito. Unanimemente i testimoni affermano che Nhá Chica pregava molto e che aveva sempre il Rosario in mano. Adoratrice instancabile del SS. Sacramento e contemplatrice della Passione di Gesù, aveva una profonda devozione alla Madonna, che chiamava Minha Sinhà (mia Signora). La Salve Regina era la sua preghiera preferita.

D. – Qual era la principale caratteristica della nuova Beata?

R. - La nostra Beata era umile. Non attribuiva niente alla sua persona, ma tutto a Dio e alla Madonna. Le richieste dei fedeli le deponeva davanti alla Beata Vergine. Quando una persona veniva a ringraziarla per una grazia ricevuta, ella diceva: «Io prego la Madonna, che mi ascolta e mi risponde». È sempre stata consistente e persistente la fama di santità della nostra Beata, che era chiamata la Santina di Baependi (a Santinha de Paependi). La sua beatificazione è una lezione di vita cristiana autentica.


04/05/2013 fonte Radio Vaticana

Siria: cristiani addolorati e preoccupati per la sorte dei vescovi rapiti



"Tutta la comunità cristiana di Aleppo è addolorata e preoccupata" per la sorte di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji, i due vescovi ortodossi rapiti lo scorso 22 aprile nella provincia di Aleppo al confine con la Turchia. Lo afferma all'agenzia AsiaNews mons. Jean Clement Jeanbart, vescovo della Chiesa greco-melchita. "Cerchiamo di incoraggiare e dare speranza ai nostri fedeli - racconta - che sono confusi dalle notizie contrastanti riguardo alla situazione dei due prelati". Secondo mons. Jeanbart il sequestro e le sue dinamiche restano un mistero difficile da districare, dopo la falsa notizia della loro liberazione, data pochi giorni dopo il rapimento. Voci non confermate parlerebbero di un loro rilascio imminente, ma per il vescovo non si sa più a chi credere: "La nostra speranza è che possano ritornare fra le loro comunità nei prossimi giorni per festeggiare la Pasqua ortodossa. In tutte le chiese, cattoliche e ortodosse, si prega ogni giorno per il loro ritorno e per la loro salvezza". Dopo gli appelli di papa Francesco, si moltiplicano le richieste per il rilascio da parte dei leader religiosi cristiani e musulmani. Il patriarca cattolico maronita libanese Beshara Rai, impegnato in una visita in Brasile, ha affermato che "la comunità internazionale deve impegnarsi per la liberazione dei due vescovi", sottolineando che "nel Paese arabo sono in corso crimini contro l'umanità". Quattro giorni fa, sempre dal Brasile, il card. Rai aveva sottolineato che "i due vescovi non hanno nulla a che vedere con la crisi siriana" e per questo "vanno rilasciati, in nome dell'umanità". E all'agenzia Fides il metropolita siro-ortodosso Jean Kawak, incaricato dell'Ufficio patriarcale a Damasco invoca l'intervento della Turchia per la liberazione dei due vescovi di Aleppo rapiti. "Tutto il nord della Siria ora è in qualche modo sotto il controllo turco - afferma - quindi è fondamentale parlare con loro. Ogni iniziativa diplomatica e umanitaria dovrebbe puntare in quella direzione, coinvolgendo anche i governanti turchi”. Il metropolita Kawak riferisce che "non ci sono novità sulla sorte dei rapiti e sulla identità certa del gruppo dei sequestratori. C'è chi assicura che i due vescovi stanno ancora bene e che si è riusciti a far arrivare a Mar Gregorios le medicine di cui ha bisogno ogni giorno. Ma sono voci che provengono in maniera indiretta da fonti diverse, e che è impossibile verificare. (R.P.)



04/05/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 30/04/2013 San Pio V Papa



Tra le più grandi glorie del Piemonte rifulge il grande pontefice San Pio V, al secolo Antonio Michele Ghisleri, nativo di Bosco Marengo (Alessandria) ove vide la luce il 27 gennaio 1504 da una nobile famiglia. Per sopravvivere fece il pastore, finché all’età di quattordici anni entrò tra i Domenicani di Voghera. Nel 1519 professò i voti solenni a Vigevano, poi completò gli studi presso l’università di Bologna e nel 1528 ricevette l’ordinazione presbiterale a Genova. Per ben sedici anni insegnò filosofia e teologia e successivamente fu priore nei conventi di Vigevano e di Alba, rigorosissimo con sé stesso e con i confratelli nell’osservanza religiosa. Nominato poi inquisitore a Como, spiegò ogni sua forza per arrestare le dottrine protestanti che segretamente venivano introdotte in Lombardia. Il suo intelligente vigore non tardò ad attirare l’attenzione del cardinale Giampietro Carata, che ottenne la sua nomina a commissario generale del Sant’Uffizio. Quando egli divenne papa col nome di Paolo IV, elesse il Ghisleri prima vescovo di Sutri e Nepi, ed in seguito cardinale nel 1557, con l’incarico di inquisitore generale di tutta la cristianità.
Dopo l’elezione di Pio IV, nel 1560 il Cardinal Ghisleri fu nominato vescovo di Mondovì, ma ben presto dovette far ritorno a Roma per occuparsi di otto vescovi francesi accusati di eresia. Non ebbe rapporti assai cordiali con il nuovo papa, del quale disapprovava con rude indipendenza l’indirizzo mondano e nepotista. Alla sua morte, proprio Ghisleri fu chiamato a succedergli, per suggerimento di San Carlo Borromeo, nipote del papa defunto. Il giorno dell’incoronazione, anziché far gettare monete al popolo come consuetudine, in novello Pio V preferì soccorrere a domicilio molti bisognosi della città di Roma. Anche da papa continuò a vestire il bianco saio domenicano, a riposare sopra un pagliericcio, a cibarsi di legumi e frutta, dedicando l’intera sua giornata al lavoro e alla preghiera.
Poi V godette subito dell’ammirazione e del rispetto di tutti per la pietà, l’austerità e l’amore per la giustizia. Ritenendo opportuna i cardinali la presenza di un nipote del papa nel collegio dei Principi della Chiesa, convinsero il pontefice a conferire la porpora al domenicano Michele Bonelli, figlio di sua sorella, affinché lo aiutasse nel disbrigo degli affari. A un figlio di suo fratello concesse l’ingresso nella milizia pontificia, ma lo cacciò dal territorio dello Stato non appena seppe che coltivava illeciti amori. Colpì inoltre senza pietà gli abusi della corte pontificia, dimezzando le inutili bocche da sfamare e nominando un’apposita commissione per vigilare sulla cultura ed i costumi del clero, che a quel tempo lasciavano molto a desiderare. Nell’attuazione delle disposizioni impartite dal Concilio di Trento fu coadiuvato da Monsignor Niccolò Ornamelo, già braccio destro di San Carlo a Milano. Ai sacerdoti vennero interdetti la simonia, gli spettacoli, i giochi, i banchetti pubblici e l’accesso alle taverne. Ai vescovi fu imposto un previo esame di accertamento circa la loro idoneità, la residenza, pena la privazione del loro titolo, la fondazione dei seminari e l’erezione delle cosiddette Confraternite di catechismo.
Nella curia Pio V organizzò la Penitenzieria, creò la Congregazione dell’Indice per l’esame dei libri contrari alla fede, intervenne personalmente alle sessioni del Tribunale dell’Inquisizione e talvolta concesse udienza al popolo per ben dieci ore consecutive. Le sue maggiori attenzioni erano rivolte ai poveri che ascoltava pazientemente e confortava anche con aiuti pecuniari. Il papa era compiaciuto di poter partecipare alle manifestazioni pubbliche della fede nonostante le torture della calcolosi, di far visita agli ospedali, di curare egli stesso i malati e di esortarli alla rassegnazione. Suggerì ai Fatebenefratelli di aprire un nuovo ospizio a Roma. Durante la carestia del 1566 e le epidemie che seguirono, fece distribuire ai bisognosi somme considerevoli ed organizzare i servizi sanitari. Al fine di reperire le ingenti somme necessarie, provvedette a sopprimere qualsiasi spesa superflua, addirittura facendo adattare alla sua statura gli abiti dei suoi predecessori. Con una simile austerità di vita il papa riuscì nonostante tutto ad imporsi sugli avversari e ad indurre gli altri prelati e dignitari della curia romana ad un maggiore spirito di devozione e penitenza.
Per l’uniformità dell’insegnamento, secondo le indicazioni del Concilio Tridentino, che aveva richiesto fosse redatto un testo chiaro e completo della dottrina cristiana, Pio V ne affidò la redazione a tre domenicani e lo pubblicò nel 1566. L’anno seguente proclamò San Tommaso d’Aquino "Dottore della Chiesa”, obbligando le Università allo studio della Somma Teologica e facendo stampare nel 1570 un’edizione completa e accurata di tutte le opere teologiche del santo. In campo liturgico si deve alla lungimiranza di questo pontefice la pubblicazione del nuovo Breviario e del nuovo Messale, cioè il celebre rito della Messa ancor oggi conosciuto proprio con il nome di San Pio V. In ambito musicale inoltre nominò il Palestrina maestro della cappella pontificia. Suo merito fu anche quello di promuovere l’attività missionaria con l’invio di religiosi nelle "Indie orientali e occidentali” ed un pressante invito agli spagnoli a non scandalizzare gli indigeni nelle loro colonie.
Al fine di contrastare l’immoralità dilagante fra il popolo romano, il pontefice punì l’accattonaggio e la bestemmia, vietò il combattimento di tori ed i festeggiamenti carnevaleschi, espulse da Roma parecchie cortigiane. Per sottrarre i cattolici alle usure degli ebrei favorì i cosiddetti Monti di Pietà, relegando gli ebrei in appositi quartieri della città. Pur non avendo una particolare attitudine per l’amministrazione dello stato, non trascurò il benessere dei suoi sudditi costruendo nuove strade ed acquedotti, favorendo l’agricoltura con bonifiche, adeguando le fortezze di difesa e curando assai gli ospedali. Contemporaneamente al lavoro di pubblica amministrazione, Pio V agiva con grande energia sul fronte della difesa della purezza della fede: sotto il suo pontificio infatti Antonio Paleario e Pietro Carnesecchi, già protonotari apostolici, subirono l’estremo supplizio per aver aderito al protestantesimo e gli Umiliati furono soppressi, poiché a Milano avversavano le riforme operate dal Borromeo. Inoltre scomunicò e "depose” la regina Elisabetta I d’Inghilterra, rea della morte della cugina Maria Stuart e di aver così aggravato l’oppressione dei cattolici inglesi. Inviò in Germania come legato pontificio Gian Francesco Commendone, tentando di impedire che l’imperatore Massimiliano II potesse sottrarsi alla giurisdizione della Santa Sede. Inviò in Francia proprie milizie contro gli Ugonotti tollerati dalla regina Caterina de’ Medici. Il re spagnolo Filippo II fu esortato da Pio V a reprimere il fanatismo anabattista nei Paesi Bassi. Michele Baio, professore all’Università di Lovanio e precursore del giansenismo, meritò la condanna delle proprie tesi eretiche. San Pietro Canisio, su incarico papale, confutò le Centurie di Magdeburgo, prima tendenziosa storia ecclesiastica redatta dai protestanti.
Ma l’episodio più celebre della vita di questo grande pontefice, unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro in duemila anni di cristianesimo, è sicuramente il suo intervento in favore della battaglia di Lepanto. Per stornare infatti la perpetua minaccia che i Turchi costituivano contro il mondo cristiano, il santo papa s’impegnò tenacemente per organizzare un lega di principi, in particolare dopo la presa di Famagosta eroicamente difesa dal veneziano Marcantonio Bragadin nel 1571 che, dopo la resa, fu scuoiato vivo. Alle flotte pontificie si unirono quelle spagnole e veneziane, sotto il supremo comando di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V. Il fatale scontro con i Turchi, allora all’apogeo della loro potenza, avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto, durò da mezzodì sino alle cinque pomeridiane e terminò con la vittoria dei cristiani. Alla stessa ora Pio V, preso da altri impegni, improvvisamente si affacciò alla finestra, rimase alcuni istanti in estasi con lo sguardo rivolto ad oriente, ed infine esclamò: "Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta veneziana ha riportato vittoria”. A ricordo del felice avvenimento che cambiò il corso della storia, fu introdotta la festa liturgica del Santo Rosario, al 7 ottobre, preghiera alla quale sarebbe stata attribuita dal papa la vittoria. Il senato veneto infatti fece dipingere la scena della battaglia nella sala delle adunanze con la scritta: "Non la forza, non le armi, non i comandanti, ma il Rosario di Maria ci ha resi vittoriosi!”.
Pio V era però ormai spossato da una malattia, l’ipertrofia prostatica, di cui per pudicizia preferì non essere operato. Radunati i cardinali attorno al suo letto di morte, rivolse loro alcune raccomandazioni: "Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l’onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità”. Spirò così il 1° maggio 1572. La sua salma riposa ancora oggi nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Papa Clemente X beatificò il suo predecessore cent’anni dopo, il 27 aprile 1672, e solo Clemente XI lo canonizzò poi il 22 maggio 1712.


Il Papa riceve Shimon Peres: pace in Terra Santa e Siria. Papa Francesco invitato in Israele




"Decisioni coraggiose e disponibilità da ambedue le parti” per portare il conflitto israelo-palestinese sulla strada della pace. E un invito rivolto al Papa a visitare la Terra Santa. Sono alcuni dei punti principali emersi durante l’incontro che questa mattina Papa Francesco ha avuto in Vaticano con il presidente dello Stato d’Israele, Shimon Peres, il quale si è successivamente intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e con il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti.

Per ciò che riguarda la situazione sociopolitica del Medio Oriente, "dove – si legge nel comunicato ufficiale – perdurano non poche realtà conflittuali”, si "è auspicata una pronta ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi” affinché, "con il sostegno della comunità internazionale, si possa raggiungere un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni dei due Popoli e così contribuire risolutamente alla pace e alla stabilità della Regione”. Non è mancato, poi, un riferimento – prosegue la nota – all’importante questione della Città di Gerusalemme” e inoltre "si è manifestata particolare preoccupazione per il conflitto che affligge la Siria per il quale si è a si è auspicato una soluzione politica, che privilegi la logica della riconciliazione e del dialogo”.

Infine, conclude il comunicato, "sono state affrontate anche alcune questioni riguardanti i rapporti tra lo Stato d’Israele e la Santa Sede e tra le Autorità statali e le comunità cattoliche locali. Sono stati apprezzati infine i notevoli progressi fatti dalla Commissione bilaterale di lavoro, impegnata nell’elaborazione di un Accordo su questioni di comune interesse, per il quale si auspica una pronta conclusione”. Il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha confermato l’invito rivolto dal presidente Peres a Papa Francesco perché possa al più presto venire in visita in Israele.

E sull’incontro Susy Hodges lo ha chiesto all’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Lewy Mordechay   



R. – The meeting was conducted...
L’incontro è avvenuto in un’atmosfera molto amichevole e positiva. Hanno discusso una varietà di questioni di comune interesse.

D. – Lei vede alcun segno, o Israele vede alcun segno, che ci possa essere una ripresa non troppo lontana di un processo di pace a lungo bloccato tra Israele e i palestinesi?

R. – The issue was raised...
La questione è stata sollevata e noi speriamo davvero che si riprendano i negoziati di pace. Non c’è niente che gli israeliani vogliano di più che la pace. La pace con i nostri vicini palestinesi è uno dei nostri obiettivi principali. Ma l’unico modo per raggiungere la pace per la leadership palestinese, per l’Autorità palestinese, è venire al tavolo dei negoziati. Questo è stato il principale ostacolo alla pace negli ultimi quattro anni. Senza la leadership palestinese al tavolo dei negoziati, non c’è modo che si possa raggiungere la pace.

D. – E per quanto riguarda il conflitto siriano? So che si è discusso anche di questo. Israele e la Santa Sede cosa dicono di questo conflitto e come può essere risolto? Ci sono stati naturalmente molti appelli da parte di Papa Francesco...

R. – The crisis in Syria is first and foremost...
La crisi in Siria è prima di tutto una crisi umanitaria. E’ tragico vedere la sofferenza umana e vedere un brutale dittatore massacrare il suo popolo. Un altro punto è anche la preoccupazione che tutti hanno, che la comunità internazionale ha, nei confronti delle armi chimiche in Siria e la possibilità che queste armi possano cadere nelle mani sbagliate. 

D. – La Santa Sede e lo Stato d’Israele sono state impegnate in un lungo dibattito bilaterale per risolvere varie questioni economiche e di imposte, soprattutto quelle riguardanti le proprietà della Chiesa in Israele. Essendo ormai passati 14 anni dalle negoziazioni, lei vede qualche motivo per credere che la questione in sospeso sarà alla fine risolta?

R. – Yes, certainly. There is a reason for optimism...
Sì, certamente. C’è motivo di essere ottimisti al riguardo. Le negoziazioni che riguardano un accordo finanziario sono vicine alla conclusione. Abbiamo risolto recentemente alcune questioni in sospeso. C’è ancora della strada da fare e ci sono alcune questioni che devono essere risolte. Il prossimo giugno a Roma la Commissione bilaterale permanente di lavoro s’incontrerà di nuovo durante la Plenaria e spero che si faranno progressi significativi. Ma c’è motivo per essere ottimisti.




30/04/2013 fonte Radio Vaticana

Il 2 maggio Benedetto XVI tornerà in Vaticano









Dopodomani, 2 maggio, il Papa emerito Benedetto XVI tornerà in Vaticano e prenderà dimora, come già annunciato, nel convento Mater Ecclesiae. Il rientro del Papa emerito avverrà in elicottero intorno alle 16.30-17, con partenza dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, dove Benedetto XVI ha risieduto negli ultimi due mesi. A confermare la notizia ai media è stato il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. Ai giornalisti che chiedevano notizie sulla salute di Benedetto XVI, padre Lombardi ha replicato: ''E' un uomo anziano, indebolito dall'età, ma non ha nessuna malattia''.



30/04/2013 fonte Radio Vaticana

Papa Francesco: tutti devono pregare per la Chiesa. Una Chiesa "mondana" non porta il Vangelo



"Quando la Chiesa diventa mondana” diventa una "Chiesa debole”. Così si è espresso in sintesi oggi Papa Francesco, durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Il Papa ha indicato nella preghiera la via di custodia e affidamento al Signore per "gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi”, per tutta la Chiesa. "Che il Signore ci faccia forti – ha rimarcato – per non perdere la fede, non perdere la speranza”. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

E’ l’affidamento della Chiesa al Signore che il Papa oggi ha sottolineato con forza, esortando tutti alla preghiera nello stretto legame con l’azione salvifica di Cristo:

"Si può custodire la Chiesa, si può curare la Chiesa e noi dobbiamo farlo con il nostro lavoro, ma il più importante è quello che fa il Signore: è l’Unico che può guardare in faccia il maligno e vincerlo. Viene il ìprincipe del mondo', contro di me non può nulla: se vogliamo che il principe di questo mondo non prenda la Chiesa nelle sue mani, dobbiamo affidarla all’Unico che può vincere il principe di questo mondo. E qui la domanda: noi preghiamo per la Chiesa, ma per tutta la Chiesa? Per i nostri fratelli che non conosciamo, dappertutto nel mondo? E’ la Chiesa del Signore e noi nella nostra preghiera diciamo al Signore: Signore, guarda la tua Chiesa… E’ tua. La tua Chiesa sono i nostri fratelli. Questa è una preghiera che noi dobbiamo fare dal cuore, sempre di più".

Poi, Papa Francesco ha rimarcato che "è facile pregare per chiedere una grazia al Signore”, "per ringraziare” o quando "abbiamo bisogno di qualcosa”. Ma fondamentale, ha spiegato, è pregare il Signore per tutti, per coloro che hanno "ricevuto lo stesso Battesimo” dicendo "Sono i tuoi, sono i nostri, custodiscili”:

"Affidare la Chiesa al Signore è una preghiera che fa crescere la Chiesa. E’ anche un atto di fede. Noi non possiamo nulla, noi siamo poveri servitori – tutti – della Chiesa: ma è Lui che può portarla avanti e custodirla e farla crescere, farla santa, difenderla, difenderla dal principe di questo mondo e da quello che vuole che la Chiesa diventi, ovvero più e più mondana. Questo è il pericolo più grande! Quando la Chiesa diventa mondana, quando ha dentro di sé lo spirito del mondo, quando ha quella pace che non è quella del Signore – quella pace di quando Gesù dice 'Vi lascio la pace, vi do la mia pace', non come la dà il mondo – quando ha quella pace mondana, la Chiesa è una Chiesa debole, una Chiesa che sarà vinta e incapace di portare proprio il Vangelo, il messaggio della Croce, lo scandalo della Croce… Non può portarlo avanti se è mondana". 

Papa Francesco è tornato più volte sull’importanza della preghiera per affidare "la Chiesa al Signore”, via per la "pace che solo lui può dare”:

"Affidare la Chiesa al Signore, affidare gli anziani, gli ammalati, i bambini, i ragazzi… 'Custodisci Signore la tua Chiesa': è tua! Con questo atteggiamento Lui ci darà, in mezzo alle tribolazioni, quella pace che soltanto Lui può dare. Questa pace che il mondo non può dare, quella pace che non si compra, quella pace che è un vero dono della presenza di Gesù in mezzo alla sua Chiesa. Affidare la Chiesa che è in tribolazione: ci sono grandi tribolazioni, la persecuzione… ci sono. Ma ci sono anche le piccole tribolazioni: le piccole tribolazioni della malattia o dei problemi di famiglia… Affidare tutto questo al Signore: custodisci la tua Chiesa nella tribolazione, perché non perda la fede, perché non perda la speranza". 

"Che il Signore ci faccia forti per non perdere la fede, non perdere la speranza”, ha detto il Papa, rimarcando che questa deve sempre essere la richiesta del cuore al "Signore”. "Fare questa preghiera di affidamento per la Chiesa – ha concluso – ci farà bene e farà bene alla Chiesa. Darà grande pace a noi e grande pace alla Chiesa, non ci toglierà delle tribolazioni, ma ci farà forti nelle tribolazioni”.


30/04/2013 fonte Radio Vaticana

Incontro a Londra dei vescovi europei sul dialogo con l'islam





"Il dialogo concreto tra persone di diverse religioni è possibile e necessario”, lo afferma mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), alla vigilia del 3° Incontro dei vescovi e delegati per le relazioni con i musulmani in Europa che si apre domani a Londra. Vi prenderanno parte delegati di 20 Conferenze episcopali, accompagnati dal presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il card. Jean-Louis Tauran e diversi esperti dell’Islam. All’incontro si cercherà di fare il punto sulla esperienza del continente europeo nel dialogo interreligioso, specie con i musulmani, che - si legge in un comunicato diffuso dal Ccee, "ha una lunga tradizione”. In particolare si guarderà "alle nuove generazioni che faticano a destreggiarsi tra tendenze relativistiche o sincretistiche, tra fondamentalismo o chiusure difensive. Che valore dare allora al dialogo interreligioso? e a che condizioni esso è possibile?”. La risposta sarà sicuramente all’insegna della speranza perché - spiega mons. Duarte - "il dialogo esistenziale che vicini di casa, colleghi di lavoro, compagni di classe hanno in tutta l’Europa, costituisce una reale rete di rapporti e spesso anche di amicizia. Le persone, infatti, non vivono da sole, ma nel contesto di famiglie, comunità e associazioni. L’incontro tra cristiani e musulmani in Europa è anche possibile a questo livello”. Ed aggiunge: "È infatti nel contesto di un rapporto sincero e reale che si trova la possibilità, e per noi cristiani il mandato divino, di testimoniare la propria fede”. Riguardo alle giovani generazioni, mons. Duarte dice: "Si sente, che spesso i giovani sono in ricerca della propria identità. Da qui, la sfida della Chiesa nell’aiutare i giovani cristiani a conoscere innanzitutto se stessi e le 'regole’ del vero dialogo. Infatti, il dialogo è un processo complesso, che richiede disponibilità all’ascolto, a conoscere profondamente la religione dell’altro ma anche una chiara identità religiosa. Solo in questo mondo il dialogo risulterà un esperienza arricchente per tutti e sarà anche un’occasione per vivere insieme e testimoniare la propria fede”. L’incontro, guidato per il Ccee dal card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, si svolgerà presso la Fondazione reale di Santa Caterina. Sarà presente anche il presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e del Galles, mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster. (R.P.)



30/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 29/04/2013 Santa Caterina da Siena




Quando si pensa a santa Caterina da Siena vengono in mente tre aspetti di questa mistica nella quale sono stati stravolti i piani naturali: la sua totale appartenenza a Cristo, la sapienza infusa, il suo coraggio. I due simboli che caratterizzano l’iconografia cateriniana sono il libro e il giglio, che rappresentano rispettivamente la dottrina e la purezza. L’insistenza dell’iconografia antica sui simboli dottrinali e soprattutto il capolavoro de Il Dialogo della Divina Provvidenza (ovvero Libro della Divina Dottrina), l’eccezionale Epistolario e la raccolta delle Preghiere sono stati decisivi per la proclamazione a Dottore della Chiesa di santa Caterina, avvenuta il 4 ottobre 1970 per volere di Paolo VI (1897-1978), sette giorni dopo quella di santa Teresa d’ Avila (1515–1582).
Caterina (dal greco: donna pura) vive in un momento storico e in una terra, la Toscana, di intraprendente ricchezza spirituale e culturale, la cui scena artistica e letteraria era stata riempita da figure come Giotto (1267–1337) e  Dante (1265–1321), ma, contemporaneamente, dilaniata da tensioni e lotte fratricide di carattere politico, dove occupavano spazio preponderante le discordie fra guelfi e ghibellini. 

La vita

Nasce a Siena nel rione di Fontebranda (oggi Nobile Contrada dell'Oca) il 25 marzo 1347: è la ventiquattresima figlia delle venticinque creature che Jacopo Benincasa, tintore, e Lapa di Puccio de’ Piacenti hanno messo al mondo. Giovanna è la sorella gemella, ma morirà neonata. La famiglia Benincasa, un patronimico, non ancora un cognome, appartiene alla piccola borghesia. Ha solo sei anni quando le appare Gesù vestito maestosamente, da Sommo Pontefice, con tre corone sul capo ed un manto rosso, accanto al quale stanno san Pietro, san Giovanni e san Paolo. Il Papa si trovava, a quel tempo, ad Avignone e la cristianità era minacciata dai movimenti ereticali.
Già a sette anni fece voto di verginità. Preghiere, penitenze e digiuni costellano ormai le sue giornate, dove non c’è più spazio per il gioco. Della precocissima vocazione parla il suo primo biografo, il beato Raimondo da Capua (1330-1399), nella Legeda Maior, confessore di santa Caterina e che divenne superiore generale dell’ordine domenicano; in queste pagine troviamo come la mistica senese abbia intrapreso, fin da bambina, la via della perfezione cristiana: riduce cibo e sonno; abolisce la carne; si nutre di erbe crude, di qualche frutto; utilizza il cilicio...
Proprio ai Domenicani la giovanissima Caterina, che aspirava a conquistare anime a Cristo, si rivolse per rispondere alla impellente chiamata. Ma prima di realizzare la sua aspirazione fu necessario combattere contro le forti reticenze dei genitori che la volevano coniugare. Aveva solo 12 anni, eppure reagì con forza: si tagliò i capelli, si coprì il capo con un velo e si serrò  in casa. Risolutivo fu poi ciò che un giorno il padre vide: sorprese una colomba aleggiare sulla figlia in preghiera. Nel 1363 vestì l’abito delle «mantellate» (dal mantello nero sull'abito bianco dei Domenicani); una scelta anomala quella del terz’ordine laicale, al quale aderivano soprattutto donne mature o vedove, che continuavano a vivere nel mondo, ma con l’emissione dei voti di obbedienza, povertà e castità. 
Caterina si avvicinò alle letture sacre pur essendo analfabeta: ricevette dal Signore il dono di saper leggere e imparò anche a scrivere, ma usò comunque e spesso il metodo della dettatura. 
Al termine del Carnevale del 1367 si compiono le mistiche nozze: da Gesù riceve un anello adorno di rubini. Fra Cristo, il bene amato sopra ogni altro bene, e Caterina viene a stabilirsi un rapporto di intimità particolarissimo e di intensa comunione, tanto da arrivare ad uno scambio fisico di cuore. Cristo, ormai e in tutti i sensi, vive in lei (Gal 2,20).
Ha inizio l’intensa attività caritatevole a vantaggio dei poveri, degli ammalati, dei carcerati e intanto soffre indicibilmente per il mondo, che è in balia della disgregazione e del peccato; l’Europa è pervasa dalle pestilenze, dalle carestie, dalle guerre: «la Francia preda della guerra civile; l’Italia corsa dalle compagnie di ventura e dilaniata dalle lotte intestine; il regno di Napoli travolto dall’incostanza e dalla lussuria della regina Giovanna; Gerusalemme in mano agli infedeli, e i turchi che avanzano in Anatolia mentre i cristiani si facevano guerra tra loro» (F. Cardini, I santi nella storia, San Paolo, Cinisello Balsamo -MI-, 2006, Vol. IV, p. 120). Fame, malattia, corruzione, sofferenze, sopraffazioni, ingiustizie… 

Le lettere

Le lettere, che la mistica osa scrivere al Papa in nome di Dio, sono vere e proprie colate di lava, documenti di una realtà che impegna cielo e terra. Lo stile, tutto cateriniano, sgorga da sé, per necessità interiore: sospinge nel divino la realtà contingente, immergendo, con una iridescente e irresistibile forza d’amore, uomini e circostanze nello spazio soprannaturale. Ecco allora che le sue epistole sono un impasto di prosa e poesia, dove gli appelli alle autorità, sia religiose che civili, sono fermi e intransigenti, ma intrisi di materno sentire: «Delicatissima donna, questo gigante della volontà; dolcissima figlia e sorella, questo rude ammonitore di Pontefici e di re; i rimproveri e le minacce che ella osa fulminare sono compenetrati di affetto inesausto» (G. Papàsogli, Caterina da Siena, Fabbri Editori RCS, Milano 2001, p. 201). Usa espressioni tonanti, invitando alla virilità delle scelte e delle azioni, ma sa essere ugualmente tenerissima, come solo uno spirito muliebre è in grado di palesare.
La poesia di colei che scrive al Papa «Oimé, padre, io muoio di dolore, e non posso morire» è costituita da sublimi altezze e folgoranti illuminazioni divine, ma nel contempo, conoscendo che cosa sia il peccato e dove esso conduca, tocca abissi di indicibile nausea, perché Caterina intinge il pensiero nell’inchiostro della realtà tutta intera, quella fatta di bene e male, di angeli e demoni, di natura e sovranatura, dove il contingente si incontra e si scontra nell’Eterno.

Per la causa di Cristo

Una brulicante «famiglia spirituale», formata da sociae e socii, confessori e segretari, vive intorno a questa madre che pungola, sostiene, invita, con forza e senza posa, alla Causa di Cristo, facendo anche pressioni, come pacificatrice, su casate importanti come i Tolomei, i Malavolti, i Salimbeni, i Bernabò Visconti…
Lotte con il demonio, levitazioni, estasi, bilocazioni, colloqui con Cristo, il desiderio di fusione in Lui e la prima morte di puro amore, quando l’amore ebbe la forza della morte e la sua anima fu liberata dalla carne… per un breve spazio di tempo.
I temi sui quali Caterina pone attenzione sono: la pacificazione dell’Italia, la necessità della crociata, il ritorno della sede pontificia a Roma e la riforma della Chiesa. Passato il periodo della peste a Siena, nel quale non sottrae la sua attenta assistenza, il 1° aprile del 1375, nella chiesa di Santa Cristina, riceve le stimmate incruente. In quello stesso anno cerca di dissuadere i capi delle città di Pisa e Lucca dall’aderire alla Lega antipapale promossa da Firenze che si trovava in urto con i legati pontifici, che avrebbero dovuto preparare il ritorno del Papa a Roma. L’anno seguente partì per Avignone, dove giunse il 18 giugno per incontrare Gregorio XI (1330–1378), il quale, persuaso dall’intrepida Caterina, rientrò nella città di san Pietro il 17 gennaio 1377. L’anno successivo morì il Pontefice e gli successe Urbano VI (1318–1389), ma una parte del collegio cardinalizio gli preferì Roberto di Ginevra, che assunse il nome di Clemente VII (1342– 1394, antipapa), dando inizio al grande scisma d’Occidente, che durò un quarantennio, risolto al Concilio di Costanza (1414-1418) con le dimissioni di Gregorio XII (1326–1417), che precedentemente aveva legittimato il Concilio stesso, e l’elezione di Martino V (1368–1431), nonché con le scomuniche degli antipapi di Avignone (Benedetto XIII, 1328–1423) e di Pisa (Giovanni XXIII, 1370–1419).
All’udienza generale del 24 novembre 2010 Benedetto XVI ha affermato, riferendosi proprio a santa Caterina: «Il secolo in cui visse - il quattordicesimo - fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento».
Amando Gesù («O Pazzo d’amore!»), che descrive come un ponte lanciato tra Cielo e terra,  Caterina amava i sacerdoti perché dispensatori, attraverso i Sacramenti e la Parola, della forza salvifica. L’anima di colei che iniziava le sue cocenti e vivificanti lettere con «Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo», raggiunge la beatitudine il 29 aprile 1380, a 33 anni, gli stessi di Cristo, nel quale si era persa per ritrovare l’autentica essenza.

Papa Francesco: vergognarsi dei propri peccati è virtù dell'umile che prepara al perdono di Dio



Vergognarsi dei propri peccati è la virtù dell’umile che prepara ad accogliere il perdono di Dio: lo ha detto Papa Francesco, stamani, durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e di alcune religiose. Hanno concelebrato il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Apsa, e l’arcivescovo Francesco Gioia, presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem. Il servizio di Sergio Centofanti:   

Commentando la prima Lettera di San Giovanni, in cui si dice che "Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”, Papa Francesco ha sottolineato che "tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita”, momenti "dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio”, ma questo – ha precisato - non significa camminare nelle tenebre:

"Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso; essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre! Quando uno va avanti su questa strada proprio delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, perché forse questo modo di pensare lo ha fatto riflettere: ‘Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi’. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti… Questo è il punto di partenza. Ma se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta – vero? - quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona”. 

"Quando il Signore ci perdona fa giustizia” – prosegue il Papa – innanzitutto a se stesso, "perché Lui è venuto per salvare e perdonarci”, accogliendoci con la tenerezza di un padre verso i figli: "il Signore è tenero verso quelli che lo temono, verso quelli che vanno da Lui” e con tenerezza "ci capisce sempre”, vuole donarci "quella pace che soltanto Lui dà”. "Questo – ha affermato - è quello che succede nel Sacramento della Riconciliazione” anche se "tante volte pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria” per pulire la sporcizia sui nostri vestiti: 

"Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria: è un incontro con Gesù, ma con questo Gesù che ci aspetta, ma ci aspetta come siamo. ‘Ma Signore, senti sono così…’, ma ci fa vergogna dire la verità: ‘Ho fatto questo, ho pensato questo’. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana…la capacità di vergognarsi: io non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono ‘sin vergüenza’, senza vergogna: questo è ‘un senza vergogna’, perché non ha la capacità di vergognarsi e vergognarsi è una virtù dell’umile, di quell’uomo e di quella donna che è umile”. 

Occorre avere fiducia – prosegue il Papa – perché quando pecchiamo abbiamo un difensore presso il Padre: "Gesù Cristo, il giusto”. E Lui "ci sostiene davanti al Padre” e ci difende di fronte alle nostre debolezze. Ma è necessario mettersi di fronte al Signore "con la nostra verità di peccatori”, "con fiducia, anche con gioia, senza truccarci… Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio!”. E la vergogna è una virtù: "benedetta vergogna”. "Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza”: 

"Umiltà e mitezza sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! E’ andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai…. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza…”. 

Questa fiducia "ci dà respiro”. "Il Signore – conclude il Papa - ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce e non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio. Che ci dia questa grazia! E così sia”.


29704/2013 fonte Radio vaticana

Il Papa ai giovani a San Pietro: Dio ci dà il coraggio di andare controcorrente




Rimanete saldi nel cammino della fede con la ferma speranza nel Signore, Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Papa Francesco ha rivolto questo invito alle oltre 100 mila persone presenti ieri mattina in piazza San Pietro per la Messa con il Rito della Confermazione. Quarantaquattro fedeli provenienti da tutto il mondo sono stati infatti cresimati, esprimendo così la piena e libera decisione di aderire alla fede battesimale. A tutti loro è stato donata una foto del Papa autografata, a ricordo della Giornata. Alessandro Guarasci: 

Qui a San Pietro sono arrivati migliaia di fedeli, soprattutto giovani, che hanno deciso di "credere e di convertire il cuore” come ha detto mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione. I 44 fedeli che hanno ricevuto il sacramento della Confermazione sono arrivati da ogni angolo del mondo, dal Congo, alla Colombia, dalle Filippine all’Irlanda solo per fare alcuni esempi. Si tratta per lo più di giovani ma anche di adulti. Sono qui a rappresentare le tante realtà in cui la Chiesa è presente, realtà di guerra e sofferenza, realtà dove i cristiani sono discriminati per la loro fede, ma c’è anche il ricco Occidente, come anche l’Emilia colpita da terremoto e che fa ancora fatica a rialzarsi. A tutti loro è andato l’incoraggiamento di Papa Francesco, affinché giochino la "vita per grandi ideali”.

"Seguire il Signore, lasciare che il suo Spirito trasformi le nostre zone d’ombra, i nostri comportamenti che non sono secondo Dio e lavi i nostri peccati, è un cammino che incontra tanti ostacoli, fuori di noi, nel mondo in cui viviamo, e anche dentro di noi, nel cuore, che spesso non ci comprende, e anche dentro di noi, nel nostro cuore. Ma le difficoltà, le tribolazioni, fanno parte della strada per giungere alla gloria di Dio, come per Gesù, che è stato glorificato sulla Croce; le incontreremo sempre nella vita! Non scoraggiarsi: abbiamo la forza dello Spirito per vincere le nostre tribolazioni".

Piazza San Pietro era piena in ogni suo angolo, complice anche la bella giornata di sole che ha favorito l’afflusso dei fedeli. A loro e ai cresimandi si è rivolto il Pontefice che ha invitato tutti a "rimanere saldi nel cammino della fede con la ferma speranza nel Signore”.

"Sentite bene, giovani: andare controcorrente, questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio. Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato".

Dunque un invito a sperare, ad avere fiducia in Dio, perché "con Lui – ha detto il Santo Padre – possiamo fare cose grandi, ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni”. Sui volti e nelle voci di questi giovani c'è emozione quando il Papa impartisce loro il Sacramento. Nel pomeriggio, poi, i giovani si riuniranno in aula Paolo VI per un momento di festa e per l’ascolto di tre testimonianze: quella di Paolo che parlerà della sua esperienza in Cina, di Malia che racconterà la conversione del papà per le sue insistenti preghiere e quella della catechista Adriana Trujillo di Bogotà.

Ma come è stato accolto tra i fedeli in piazza San Pietro l'invito ai giovani di Papa Francesco a non scoraggiarsi ed andare avanti con la forza dello Spirito. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro. 

R. - Impegnandosi a sopportare gli altri, ad avere più pazienza e cercare di non scoraggiarsi di fronte ai problemi della vita che ci sono tutti i giorni.

R. - Dobbiamo con gioia andare avanti, effettivamente senza scoraggiarsi, perché tanto poi alla fine non serve a nulla.

D. - Il Papa ha invitato anche ad andare controcorrente, a non seguire sempre la massa, come si fa?

R. - Non è facile perché il mondo fa un grande rumore… Come dice San Paolo, imitare Gesù Cristo, nelle nostre possibilità, con i nostri limiti, però almeno provarci.

R. - Cercare di aprire gli occhi, di essere onesti, soprattutto con se stessi e poi con gli altri.

R. - Non fermarci a costruire soltanto per noi stessi, per la nostra individualità, a un obiettivo che può essere realizzato con più facilità ma che in fondo soddisfa solo noi stessi, e quindi cercare di perseguire un bene comune.

R. - Grazie alla fede e, quindi, non uniformarsi ai valori che non sono tali e che ci vengono proposti dalla società, dai media, e da quello che stiamo vivendo in questo tempo, ma cercare una verità. In questo il Papa ci sta aiutando, a risvegliarci in questo senso.

D. - Il Papa ci ha invitato anche a seguire i grandi ideali, a prendere questi come esempi…

R. – Un grande ideale da riscoprire sicuramente è la famiglia. Penso che sia alla base di tutto. Penso sia da che lì che parte tutto quanto, dalla Sacra famiglia. Una vita semplice ma fatta di concretezza.

R. – Secondo me quello che manca tantissimo è il rispetto, proprio verso il prossimo. Sembra quasi che tutto sia scontato, invece è importante anche fermarsi a pensare a questo. Poi, naturalmente il valore della famiglia, il valore dell’amicizia, che però secondo me sono tutte cose un po’ correlate. Quindi, non più solo l’egoismo ma pensare anche al prossimo.

R. - Sicuramente la famiglia, partendo dalla famiglia e andando avanti, credere in tutto non è facile in questo momento, però sicuramente se abbiamo un appoggio in una persona come il Papa, questo ci aiuta.



29/04/2013 fonte Radio Vaticana

L'impegno della Chiesa di Roma per gli immigrati: intervento di mons. Feroci dopo l'appello del Papa



"Penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro?". E' durante l'udienza generale di mercoledì scorso che Papa Francesco ha voluto porre l'accento sulla carità e l'accoglienza verso i più poveri facendo riferimento al brano evangelico sul giudizio finale. "Quando ha - aggiunto il Papa - noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli". Ma in che modo e con che intensità la diocesi di Roma sta rispondendo alle esigenze degli immigrati? Federico Piana lo ha chiesto a mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas romana: 

R. – Io credo che il Santo Padre abbia fatto bene e faccia benissimo a ricordarcelo sempre, perché l’accoglienza allo straniero è un dato fondamentale per la nostra fede; ce l’ha detto il Signore, capitolo 25 di Matteo. Anche noi, come Chiesa di Roma, da tanti anni, da 30 anni, abbiamo un discorso di accoglienza. Basta pensare al centro di ascolto stranieri della Caritas che in questi 30 anni ha accolto, assistito, orientato, più di 250 mila stranieri. Questi sono i dati che emergono dai nostri schedari. Penso anche al poliambulatorio che noi abbiamo a via Marsala, dove veramente tantissime persone sono passate per essere accolte. Lei pensi che abbiamo editato un vocabolario cinese proprio perché una delle barriere che si trovano con gli stranieri è quella linguistica. Anche le difficoltà culturali sono tantissime e la fruibilità delle prestazioni negli ambienti pubblici è difficilissima. Abbiamo messo in piedi mediatori culturali per superare questo.

D. – Diciamo che ci sono anche i volontari che aiutano…

R. - La Caritas, fondamentalmente, è un discorso di volontariato. Se non ci fossero i volontari, la Caritas dovrebbe chiudere, perché non si potrebbe fare niente. La Caritas non è la risposta a tutti i bisogni e le necessità perché sono tantissime. Ma la Caritas, come diceva Paolo VI - io lo ricordo a me stesso e agli altri - deve avere una funzione fondamentalmente educativa, pedagogica, quindi essere uno stimolo anche alle autorità pubbliche perché si aprano e operino…

D. – … su questo, l’appello era sicuramente rivolto anche alle autorità cittadine: stanno facendo tutto oppure potrebbero fare di più?

R. – Tutto no, qualcosa sì. Ma secondo me molto poco, si dovrebbe fare di più, sentendo e capendo che la presenza di tanti immigrati - sono quasi cinque milioni oggi in Italia - è una ricchezza e non è un peso. Sono una ricchezza per questa nostra società e quindi il discorso deve essere di integrazione.



29/04/2013 fonte Radio Vaticana

Siria: le Chiese in preghiera per i due vescovi rapiti




I due vescovi ortodossi rapiti ad Aleppo sono ancora nelle mani dei sequestratori. Lo conferma ad AsiaNews mons. Jean Clement Jeanbart, vescovo greco-melchita di Aleppo. Il prelato sottolinea "che le Chiese, cattolica e ortodossa, stanno facendo il possibile per cercare una mediazione con i sequestratori, ma al momento nessuno comprende le ragioni di questo gesto e chi si celi dietro a questi criminali". Mons. Yohanna Ibrahim, vescovo della diocesi siro-ortodosso di Aleppo e mons. Boulos Yaziji, arcivescovo della diocesi greco-ortodossa della città, sono stati sequestrati lo scorso 22 aprile a Kafr Dael, 10 km da Aleppo, sul confine turco. Il loro autista, un diacono siro-ortodosso, è stato ucciso. Anche il patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Giovanni X, ha lanciato un accorato appello per la liberazione dei due vescovi. "Colgo l’opportunità per fare un appello alla comunità internazionale - ha detto il patriarca - per stimolarla a fare ciò che può per liberare i rapiti la cui assenza è causa di dolore; affrettarsi a porre fine a questa tragedia è oltremodo essenziale per evitare tutti i rischi che potrebbero risultare dalle probabili conseguenze”. Il sequestro è avvenuto in un tempo particolare per le Chiese ortodosse che ieri hanno celebrato la "Domenica delle Palme”, festività che le conduce alla Settimana Santa e alla celebrazione della Pasqua, domenica 5 maggio. Ieri sera i capi delle Chiese cristiane presenti a Damasco hanno convocato una veglia di preghiera, nella chiesa greco-ortodossa della Santa Croce, nel quartiere di Kassa'a, per invocare la liberazione dei due ecclesiastici rapiti. Anche a Aleppo, la sera di sabato 27 aprile, una veglia di preghiera si è svolta nella cattedrale greco- ortodossa: "La Chiesa era piena. Si è trattato di una supplica semplice e vissuta con grande dignità. Ora per tutti è il tempo dell'attesa” dichiara alla Fides il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, che ha partecipato al momento di preghiera insieme a Jean- Clément Jeanbart, arcivescovo metropolita di Aleppo dei greco-melchiti e a una quindicina di sacerdoti cattolici. "C'è tristezza diffusa” riferisce mons. Audo, "nessuno ha voglia di creare situazioni di festa. Per tutti i cristiani, il rapimento di due vescovi e quello dei due sacerdoti sequestrati a febbraio rappresentano un fatto enorme, che interroga tutti”. Anche i cristiani di Kamishly, nella Mesopotamia siriana, sabato mattina, dopo la messa celebrata nella chiesa dei siro-ortodossi dedicata a Maria, hanno dato vita a una manifestazione pubblica a cui hanno partecipato ecclesiastici e fedeli di tutte le Chiese e comunità cristiane della città, per chiedere il rilascio dei vescovi rapiti. (R.P.)



29/04/2013 fonte Radio vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 25/04/2013 San Marco evangelista







La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani.
Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale "mio figlio”.

Discepolo degli Apostoli e martirio

Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagnae del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se ne tornò a Gerusalemme.
Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo.
Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi saluti e quelli di "Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco "perché mi sarà utile per il ministero”.
Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: "Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella zona di Alessandria subì il martirio, sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli "Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.

Il Vangelo

Il Vangelo scritto da Marco, considerato dalla maggioranza degli studiosi come "lo stenografo” di Pietro, va posto cronologicamente tra quello di s. Matteo (scritto verso il 40) e quello di s. Luca (scritto verso il 62); esso fu scritto tra il 50 e il 60, nel periodo in cui Marco si trovava a Roma accanto a Pietro.
È stato così descritto: "Marco come fu collaboratore di Pietro nella predicazione del Vangelo, così ne fu pure l’interprete e il portavoce autorizzato nella stesura del medesimo e ci ha per mezzo di esso, trasmesso la catechesi del Principe degli Apostoli, tale quale egli la predicava ai primi cristiani, specialmente nella Chiesa di Roma”. 
Il racconto evangelico di Marco, scritto con vivacità e scioltezza in ognuno dei sedici capitoli che lo compongono, seguono uno schema altrettanto semplice; la predicazione del Battista, il ministero di Gesù in Galilea, il cammino verso Gerusalemme e l’ingresso solenne nella città, la Passione, Morte e Resurrezione.
Tema del suo annunzio è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: "Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo. 

Le vicende delle sue reliquie - Patrono di Venezia

La chiesa costruita al Canopo di Alessandria, che custodiva le sue reliquie, fu incendiata nel 644 dagli arabi e ricostruita in seguito dai patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680), e Giovanni di Samanhud (680-689).
E in questo luogo nell’828, approdarono i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, che s’impadronirono delle reliquie dell’Evangelista minacciate dagli arabi, trasferendole a Venezia, dove giunsero il 31 gennaio 828, superando il controllo degli arabi, una tempesta e l’arenarsi su una secca.
Le reliquie furono accolte con grande onore dal doge Giustiniano Partecipazio, figlio e successore del primo doge delle Isole di Rialto, Agnello; e riposte provvisoriamente in una piccola cappella, luogo oggi identificato dove si trova il tesoro di San Marco. 
Iniziò la costruzione di una basilica, che fu portata a termine nell’832 dal fratello Giovanni suo successore; Dante nel suo memorabile poema scrisse. "Cielo e mare vi posero mano”, ed effettivamente la Basilica di San Marco è un prodigio di marmi e d’oro al confine dell’arte. 
Ma la splendida Basilica ebbe pure i suoi guai, essa andò distrutta una prima volta da un incendio nel 976, provocato dal popolo in rivolta contro il doge Candiano IV (959-976) che lì si era rifugiato insieme al figlio; in quell’occasione fu distrutto anche il vicino Palazzo Ducale. 
Nel 976-978, il doge Pietro Orseolo I il Santo, ristrutturò a sue spese sia il Palazzo che la Basilica; l’attuale ‘Terza San Marco’ fu iniziata invece nel 1063, per volontà del doge Domenico I Contarini e completata nei mosaici e marmi dal doge suo successore, Domenico Selvo (1071-1084).
La Basilica fu consacrata nel 1094, quando era doge Vitale Falier; ma già nel 1071 s. Marco fu scelto come titolare della Basilica e Patrono principale della Serenissima, al posto di s. Teodoro, che fino all’XI secolo era il patrono e l’unico santo militare venerato dappertutto.
Le due colonne monolitiche poste tra il molo e la piazzetta, portano sulla sommità rispettivamente l’alato Leone di S. Marco e il santo guerriero Teodoro, che uccide un drago simile ad un coccodrillo.
La cerimonia della dedicazione e consacrazione della Basilica, avvenuta il 25 aprile 1094, fu preceduta da un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, delle quali non si conosceva più l’ubicazione.
Dopo la Messa celebrata dal vescovo, si spezzò il marmo di rivestimento di un pilastro della navata destra, a lato dell’ambone e comparve la cassetta contenente le reliquie, mentre un profumo dolcissimo si spargeva per la Basilica.
Venezia restò indissolubilmente legata al suo Santo patrono, il cui simbolo di evangelista, il leone alato che artiglia un libro con la già citata scritta: "Pax tibi Marce evangelista meus”, divenne lo stemma della Serenissima, che per secoli fu posto in ogni angolo della città ed elevato in ogni luogo dove portò il suo dominio.
San Marco è patrono dei notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro, degli ottici; la sua festa è il 25 aprile, data che ha fatto fiorire una quantità di detti e proverbi.

Mons. Antonio Vacca: " I giovani scelgano la verità, il solo vero e grande ideale di vita".
 
Domenica scorsa, Papa Francesco, alla recita del Regina Coeli, ha invitato, specie i giovani, ad essere fedeli ai propri ideali e al rispetto degli stessi, senza paura ed esitazione alcuna.
Ne parliamo con Monsignor Antonio Vacca, vescovo emerito di Alghero.
Eccellenza Vacca, che cosa sono questi ideali di cui ha parlato il Santo Padre?:
 
" Gli ideali sono parte integrante della fede, e direi la carità e la ricerca della Verità, sempre e comunque. Senza la verità non si può andare avanti e tanto meno essere liberi".
Ovviamente, dice il Vescovo: " la Verità ci deve portare alla carità e al rispetto verso gli altri e verso noi stessi".
Tanti giovani,oggi scelgono delle scorciatoie, paradisi artificiali: " Vero, questo fa parte della cultura del tutto e  subito, di chi non ha pazienza o di chi non ha fiducia in sé stesso. La cultura dell' effimero, di quello che appare, porta solo alla distruzione e non alla felicità, credendo che quello che brilla conta soltanto e non é per nulla in questo modo".
Si legge di giovani in preda all' assunzione di droghe o psicofarmaci:
" Anche all'alcol facile, ma queste sono false risposte. Penso che sarebbe meglio confidarsi con gli altri,parlare di più, cercare risposte semplici. Magari la Chiesa dal canto suo, sappia riaprire le sue porte, creare nuove forme di oratori e aggregazione e i pastori vadano in mezzo alla gente e ai giovani per capire le loro difficoltà".
Bruno Volpe


25/04/2013 fonte Pontifex

Mons. Chullikatt all'Onu: gli Stati hanno il dovere morale di tutelare gli immigrati


Lo sviluppo dei Paesi più poveri e la tutela degli immigrati sono le sfide reali e urgenti "che abbiamo come una famiglia umana”. L’affermazione è dell’osservatore della Santa Sede alle Nazioni Unite, l’arcivescovo Francis Chullikatt, che mercoledì a New York è intervenuto nel corso dei lavori in Commissione Onu su popolazione e sviluppo. Il servizio di Alessandro De Carolis:  

Il mondo globalizzato, dai confini resi più sfumati dalle rotte migratorie, ha reso improcrastinabile una forte tutela per chi è costretto a lasciare la propria terra in cerca di un posto migliore per vivere. Mons. Chullikatt sviluppa il suo discorso attorno al fulcro dei diritti degli immigrati. I "Paesi di destinazione – afferma con chiarezza – hanno il dovere morale di trattare ogni migrante nel rispetto dei suoi diritti umani e della sua dignità”. Del resto, ignorare o sottostimare dalle nazioni di accoglienza ciò che è invece un "fenomeno sociale di natura epocale”, come quello degli spostamenti migratori, non solo nuoce a decine di milioni di persone, ma è miope rispetto ai vantaggi che, sostiene il rappresentante vaticano, possono generare nei Paesi d’approdo, anche a livello economico, "la presenza, il coraggio e la volontà di lavorare” che anima gli immigrati. La maggior parte dei circa 60 milioni di migranti internazionali registrati in aumento negli ultimi 20 anni si è spostata in Paesi via di sviluppo, "il che – ha osservato mons. Chullikatt – suggerisce che le famiglie migranti stiano fornendo risorse umane vitali in queste regioni in rapido invecchiamento del mondo, dove i tassi di fertilità sono spesso ben al di sotto dei livelli di sostituzione. Pertanto, la migrazione porta ai Paesi ospitanti molti vantaggi ed essi dovrebbero onestamente riconoscere e accordare un adeguata protezione giuridica”.

Dunque, ha proseguito il presule, se la difesa delle frontiere è un diritto acclarato di ogni Stato, è però necessario che tale diritto venga messo a confronto "col diritto di tutte le persone a migrare e a perseguire uno standard di vita idoneo alla loro dignità umana". Mons. Chullikatt ha quindi espresso la soddisfazione della Santa Sede per la relazione del segretario generale dell’Onu, nella quale sono stati messi in evidenza alcuni punti basilari come la promozione del ricongiungimento familiare, l'integrazione dei migranti, il riconoscimento dei titoli dei lavoratori migranti qualificati, nuovi approcci per assistere gli immigrati anziani e, soprattutto, la protezione delle lavoratrici domestiche e dei migranti in situazione irregolare, in particolare donne e bambini, ovvero i più "vulnerabili – ha detto – allo sfruttamento sessuale e del lavoro, all'abuso e al traffico di esseri umani”.

Una critica, infine, è arrivata da parte di mons. Chullikat all’impatto causato dalle politiche di controllo della popolazione. Il presule le ha definite "draconiane” e colpevoli con le loro "nozioni nocive” imposte a forza di aver provocato un "impatto distruttivo” in molti Paesi, finendo per "banalizzare il matrimonio e la famiglia e negando lo stesso diritto alla vita per il nascituro” e inducendo in diversi casi all’aborto e sterilizzazione forzata. Al contrario, ha concluso mons. Chullikatt, gli Stati "hanno il dovere di sostenere la famiglia, l'unità fondamentale della società, in modo da fornire sostegno all'istituzione nella quale devono essere coltivati i rapporti di domani”.



25/0472013 fonte Radio Vaticana

India, neonato venduto su Facebook per 14mila dollari

di Nirmala Carvalho
La polizia ha scoperto il primo traffico di bambini organizzato sul social network. Il nonno del bebè voleva vendere il piccolo per contrattare un secondo matrimonio alla figlia. Arrestato anche il "compratore” del bebè, un uomo d’affari di New Delhi.


Mumbai (AsiaNews) - Venduto su Facebook per 800mila rupie (14.750 dollari): è accaduto a un neonato indiano di pochi giorni, nato in un ospedale di Ludhiana (Punjab). La scoperta ha condotto la polizia ha individuare il primo traffico di bambini gestito attraverso il noto social network. A denunciare il fatto Noorie, la madre del piccolo, che ha denunciato la scomparsa del figlio dalla nursery alle forze dell'ordine.

A organizzare la vendita è stato Feroze Khan, il nonno del piccolo, che insieme a un'infermiera e a un inserviente dell'ospedale ha rapito il bebè e postato una sua foto su internet, prima di finalizzare il contratto con un uomo d'affari di New Delhi.

"L'obiettivo di Khan - spiega Ishwar Singh, commissario della polizia di Ludhiana - era contrattare un secondo matrimonio per sua figlia, ma per farlo doveva liberarsi del bambino".

Gli agenti hanno arrestato anche Amit Kumar, il "compratore" del neonato, e perquisito la sua residenza a New Delhi. Lì hanno ritrovato il piccolo, che è stato restituito alla madre.

Ogni anno decine di migliaia di bambini finiscono nel traffico di esseri umani, destinati ad adozioni illegali, lavoro minorile e prostituzione. 

 
2570472013 fonte Asia News

I due vescovi di Aleppo ancora nella mani dei rapitori. La "dittatura della falsa informazione"


Le trattative con i rapitori sarebbero in corso, ma non si sa ancora nulla sulla data del presunto rilascio. Mons. Yohanna Ibrahim, vescovo della diocesi siro-ortodosso di Aleppo e Mons. Boulos Yaziji, sono stati rapiti lo scorso 22 aprile, a 10 km da Aleppo, vicino al confine turco. Vescovo greco-melchita punta il dito contro le false informazioni sulla presunta liberazione dei prelati diffuse in questi giorni dai media occidentali. "Qui vi sono donne e uomini che rischiano la propria vita pur di affermare e raccontare il vero senza patteggiare né per ribelli o gruppi religiosi, né per il regime".


Aleppo (AsiaNews) - Sono ancora nella mani dei rapitori i due vescovi ortodossi sequestrati lo scorso 22 aprile a Kafr Dael, 10 km da Aleppo, sul confine turco. Fonti di AsiaNews affermano che le trattative sono in corso, ma non si sa ancora nulla né sulla data del rilascio, né sull'identità dei sequestratori, probabilmente jihadisti ceceni.   

Mons. Yohanna Ibrahim, vescovo della diocesi siro-ortodosso di Aleppo e Mons. Boulos Yaziji, arcivescovo della diocesi greco-ortodossa della città, stavano trattando il rilascio di due sacerdoti p. Michel Kayyal (armeno-cattolico) e p. Maher Mahfouz (greco-ortodosso), sequestrati in febbraio e ancora nelle mani dei rapitori. 

In questi giorni tutte le chiese di Aleppo, cattoliche e ortodosse, stanno organizzando veglie di preghiera e messe per la salvezza dei due prelati, i primi ad essere rapiti i due anni di guerra civile fra regime di Bashar al-Assad e ribelli.

Mons. Jean Clement Jeanbart, arcivescovo greco-melchita, racconta ad AsiaNews, che nella sua cattedrale oltre 1000 fedeli partecipano ogni pomeriggio alle veglie per mons. Ibrahim e mons. Yaziji e sono stati scossi dalle notizie contrastanti di questi giorni che davano come certa una loro liberazione. "La popolazione - spiega - dipende dalle informazioni battute dai media occidentali, le uniche che hanno ancora una credibilità nel nostro Paese". Tuttavia, per il prelato molte agenzie internazionali preferiscono basarsi sulle informazioni fornite da organi esterni, invece di verificare sul campo, dove la popolazione riesce ancora a comunicare con l'esterno.

"Da diversi mesi - afferma - in Siria vige una dittatura della "falsa informazione che crea confusione e false speranze". "I media occidentali - continua il prelato - hanno una grande responsabilità non si può giocare con la vita e le coscienze delle persone. Qui vi sono donne e uomini che rischiano la propria vita pur di affermare e raccontare il vero senza patteggiare né per ribelli  o gruppi religiosi né per il regime". Per il vescovo ogni cristiano, soprattutto se consacrato e pastore, ha il dovere di testimoniare e di seguire la strada della verità  in questa terra martoriata non solo dalle bombe, ma anche dall'odio fomentato attraverso le menzogne. (S.C.)

 

 25/04/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 24/04/2013 San Fedele da Sigmaringen Sacerdote e martire




Lo chiamavano "l'avvocato dei poveri" perché difendeva gratuitamente coloro che non avevano denaro a sufficienza per pagarsi un avvocato. Marco Reyd - il futuro cappuccino fra Fedele - nato a Sigmaringen, in Germania, nel 1578, si era laureato brillantemente in filosofia e in diritto all'università di Friburgo in Svizzera, e aveva intrapreso la carriera forense a Colmar in Alsazia. Più portato ai severi studi filosofici che alle arringhe in tribunale, Marco Reyd accolse con entusiasmo l'invito del conte di Stotzingen, che gli affidava i figli e un gruppo di giovani promettenti perché li avviasse agli studi e alla conoscenza dei problemi del mondo contemporaneo.
Soggiornando per ben sei anni nelle diverse città dell'Italia, della Spagna e della Francia, impartì ai giovani e nobili allievi anche utili ammaestramenti che lo fecero ribattezzare col nome di "filosofo cristiano". Poi all'età di 34 anni, abbandonò ogni cosa e tornò a Friburgo, stavolta al convento dei cappuccini e indossò l'umile saio di S. Francesco. Preposto per la sua saggezza alla guida di vari conventi, mentre copriva l'incarico di guardiano al convento di Weltkirchen gli abitanti della regione ebbero modo di ammirare la sua straordinaria carità e coraggio nell'assistenza ai colpiti dalla peste.
Dalla Congregazione di Propaganda Fide ebbe l'incarico di recarsi nella Rezia, in piena crisi protestante. Le conversioni furono numerose, ma l'intolleranza di molti finì per creare attorno al santo predicatore una vera ondata di ostilità, soprattutto da parte dei contadini calvinisti del cantone svizzero dei Grigioni, scesi in guerra contro l'imperatore d'Austria. Più che scontata quindi l'accusa mossa a fra Fedele d'essere un agente al servizio dell'imperatore cattolico.
Il santo frate continuava impavido la sua missione, recandosi di città in città a tenere corsi di predicazione. "Se mi uccidono - disse ai confratelli, partendo per Séwis - accetterò con gioia la morte per amore di Nostro Signore. La riterrò una grande grazia". Era poco meno d'una profezia. A Séwis, durante la predica, si udì qualche sparo. Fra Fedele portò ugualmente a termine la predica e poi si riavviò verso casa. All'improvviso gli si fecero attorno una ventina di soldati, capeggiati da un ministro, che in seguito si sarebbe convertito. Gli intimarono di rinnegare quanto aveva predicato poco prima. "Non posso, è la fede dei vostri avi. Darei volentieri la mia vita perché voi tornaste a questa fede". Colpito pesantemente al capo, ebbe appena il tempo di pronunciare parole di perdono, prima di essere abbattuto a colpi di spada. Era il 24 aprile 1622. Fu canonizzato nel 1746 da Benedetto XIV.


Papa: La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma perché la doniamo

All'udienza generale Francesco parla del ritorno di Gesù per il giudizio finale. "In questo periodo di crisi non dimenticarsi dei poveri e dei piccoli", perché "noi saremo giudicati sulla carità". "Quello che ci è chiesto è di essere preparati all'incontro: preparati ad un incontro, ad un bell'incontro, quell'incontro con Gesù". Appello per i vescovi rapiti in Siria, "cessi lo spargimento di sangue", "si provveda alla ''assistenza umanitaria alla popolazione" e si lavori a una "soluzione politica alla crisi". 


Città del Vaticano (AsiaNews) - "In questo periodo di crisi non dimenticarsi dei poveri e dei piccoli", "non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all'altro", perché al momento del ritorno di Gesù "noi saremo giudicati sulla carità, su come avremo aiutato i nostri fratelli". Papa Francesco continua a dedicare al Credo le sue catechesi per l'udienza generale e oggi ha centrato la sua riflessione sulla frase "Gesù verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti". Un giudizio del quale "non avere mai paura", ma al quale guardare per "usare bene il presente".

Un presente che vede anche "notizie contrastanti" sulla vicenda dei vescovi siriani della Chiesa siro-ortodossa, Mar Gregorios Ibrahim, e di quella greco-ortodossa di Antiochia, Paul Yazigi, è, dice il Papa, "un ulteriore segno della tragica situazione che sta attraversando la cara nazione siriana, dove la violenza e le armi continuano a seminare morte e sofferenza. Mentre ricordo nella preghiera i due vescovi affinché ritornino presto alle loro comunità, chiedo a Dio di illuminare i cuori. Rinnovo il presente invito che ho rivolto nel giorno di Pasqua affinché cessi lo spargimento di sangue, si presti la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione e si trovi quanto prima una soluzione politica alla crisi".

Piazza san Pietro raccoglie, oggi, forse 70mila persone, tra le quali il Papa, come ormai è consuetudine, passa a lungo con la jeep scoperta: saluti, l'ormai frequente scambio della papalina, bambini da baciare. E tanti giovani ai quali il Papa torna a rivolgere l'invito a "scommettere su ideali alti" perché "la vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo".

L'esortazione viene dai tre brani del Vangelo di Matteo che Francesco commenta: quello delle 10 vergini che attendono lo sposo, quello dei talenti e quello del pastore che separa le pecore dalle capre. Sono, osserva, brani che parlano del ritorno di Cristo e del giudizio finale. ""La storia umana - infatti - ha inizio con la creazione dell'uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani".

Così, nella parabola delle 10 vergini che attendono lo sposo, ma solo cinque di loro hanno pronto l'olio per le lampade, "lo Sposo è il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta finale; è un tempo della vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né l'ora del ritorno di Cristo. Quello che ci è chiesto è di essere preparati all'incontro: preparati ad un incontro, ad un bell'incontro, quell'incontro con Gesù, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, eh?, non è una vita felice. Il cristiano dev'essere felice, la gioia di Gesù ... Non addormentarci!".
Ugualmente, nella parabola dei talenti, il padrone che ha affidato le "antiche monete" loda i due servi che le hanno fatte fruttare, ma scaccia " perché ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso". "Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato, non è cristiano! E' un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato!". "Questo - ha proseguito - ci dice che l'attesa del ritorno del Signore è il tempo dell'azione: noi siamo nel tempo dell'azione, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo".

In piazza, aggiunge, ci sono tanti giovani. "A voi, che siete all'inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!".

Nella terza parabola il pastore separa le pecore dalle capre. "Alla destra sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato". E "penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma. Cosa facciamo per loro?". "Alla sinistra - ha proseguito - vanno coloro che non hanno soccorso il prossimo. Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall'amore".

"Guardare al giudizio finale - le parole conclusive del Papa - non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell'amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli".


24/04/2013 fonte Asia News

Vescovo di Gerusalemme: Il trattato interreligioso, una svolta nelle relazioni fra cristiani e musulmani


 
Il documento è nato per spegnere le tensioni fra la comunità cristiana di Betfage e il quartiere musulmano di Gerusalemme est. Garanti del trattato saranno mons. Shomali, per il Patriarcato latino, il gran muftì di Gerusalemme e il governatore di Gerusalemme est. Il testo, dice ad AsiaNews il presule, è "un modello esportabile in tutti i Paesi del Medio oriente".


Betfage (AsiaNews) - Un trattato di amicizia fra leader musulmani, cristiani e autorità civile di Gerusalemme per frenare e spegnere sul nascere le controversie fra comunità di fedi differenti ed evitare scontri interreligiosi. Il primo esempio di questo modello di diplomazia "locale" è nato a Betfage (Gerusalemme est) lo scorso 22 aprile e ha coinvolto il Gran muftì di Gerusalemme, i rappresentanti del Patriarcato latino, la Custodia di Terra Santa e il governato arabo di Gerusalemme est e altre personalità morali e politiche. A spingere i leader a cercare un accordo sono stati gli scontri interreligiosi avvenuti in questi mesi, dopo la creazione di un abitato cristiano all'interno del quartiere musulmano di Gerusalemme est. 

Intervistato da AsiaNews, mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme fra i firmatari del testo, spiega che il documento "segna una svolta nelle relazioni fra cristiani e musulmani...ed è esportabile non solo in altre aree della Terra Santa, ma in tutto il Medio Oriente". "Un trattato di questo tipo - spiega - garantito dalle varie personalità religiose locali e nazionali, potrebbe essere molto utile in Egitto, dove le controversie fra famiglie si espandono fino a generare scontri sul piano non solo locale, ma anche nazionale, con gravi ripercussioni sul dialogo interreligioso".

Oltre a mons. Shomali hanno sottoscritto il documento Mohammad Hussein, gran mufti di Gerusalemme, Adnan Husseini, governatore di Gerusalemme est e padre Ibrahim Faltas, economo della Custodia di Terra Santa. Essi rappresentano le 63 famiglie cristiane della suddivisione Betfage, costruita dalla Custodia di Terra Santa, e i delegati del quartiere musulmano. I leader religiosi e politici avranno il compito di garantire e attuare le clausole del trattato, che vanno dal rispetto reciproco fino alla conciliazione in caso di controversie su terreni e costruzione di nuove abitazioni. Alla cerimonia, avvenuta nei locali del "Club del Monte degli Ulivi", hanno partecipato oltre 100 persone. (S.C.)

 

 24/04/2013 fonte Radio Vaticana

Italia: aperta a Pavia la 45.ma Settimana agostiniana





 Aperta a Pavia, in Italia, la 45.ma Settimana Agostiniana, che dal 1969 si celebra in concomitanza con la festa liturgica del battesimo di Sant’Agostino (o festa della conversione), amministrato a Milano da Sant’Ambrogio nella notte di Pasqua del 387, tra il 24 e il 25 aprile. Ad ispirarla è stato Paolo VI, che nel 1968 esortò il vescovo di Pavia, mons. Antonio Angioni, a valorizzare, nella città, la presenza dell’urna contenente le spoglie del padre della Chiesa - nella Basilica di San Pietro in Cielo d’Oro - per accrescerne non solo la venerazione ma invitare tutti alla conoscenza e alla meditazione delle grandi opere del Santo. Stamattina, nel Salone Teresiano della biblioteca universitaria pavese si è tenuta la tradizionale Lectio Augustini (Lettura e commento delle opere agostiniane articolata in relazioni e comunicazioni poi raccolte in un volume di Atti), quest’anno sul "De Trinitate” di Agostino. Venerdì alle 21, nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, è in programma il concerto dell’Accademia Bizantina "Bach in Chordis”, suonate per violino, violoncello e cembalo di Johann Sebastian Bach, Georg Philipp Telemann e Johan Gottlieb Graun. Domenica alle 11.45 sarà eseguito il concerto d’organo "S. Agostino e Bach”, all’organo Maria Cecilia Farina, alle 18.30 è prevista la Messa della reposizione delle reliquie di S. Agostino presieduta da mons. Giovanni Scanavino. Nel mese di aprile l’urna che contiene le spoglie di Sant’Agostino, custodita nell’arca marmorea che ne narra la vita, vengono esposte all’altare alla venerazione dei fedeli. Fino al 13 agosto, infine, nel Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria è aperta la mostra "Immagini, libri e carte – Iconografia pavese di Sant’Agostino e materiali della Biblioteca Universitaria”. (T.C.) 


24/04/2013 fonte Radio vaticana

Il saluto e l'incoraggiamento di Papa Francesco alle "nonne di Plaza de Mayo"



Al termine dell’udienza generale dieri mattina, Papa Francesco ha salutato e incoraggiato dando la propria disponibilità ad Estela Carlotto e altre rappresentanti delle "nonne de Plaza de Mayo", l’Associazione che si batte per la memoria dei desaparecidos, vittime della dittatura militare in Argentina e per la ricerca dei loro figli, circa 400 bambini spariti. Il Pontefice ha abbracciato e benedetto le donne dell'Associazione. Queste ultime da parte loro - riferisce l'Osservatore Romano - definiscono l’incontro con il Santo Padre "un momento storico per tutto il popolo argentino, per la nostra storia e per la nostra speranza”.

24/0472013 fonte Radio Vaticana




IL SANTO DEL GIORNO 23/04/2013 San Giorgio martire di Lydda





Per avere un’idea del diffusissimo culto che il santo cavaliere e martire Giorgio, godé in tutta la cristianità, si danno alcuni dati. Nella sola Italia vi sono ben 21 Comuni che portano il suo nome; Georgia è il nome di uno Stato americano degli U.S.A. e di una Repubblica caucasica; sei re di Gran Bretagna e Irlanda, due re di Grecia e altri dell’Est europeo, portarono il suo nome.
È patrono dell’Inghilterra, di intere Regioni spagnole, del Portogallo, della Lituania; di città come Genova, Campobasso, Ferrara, Reggio Calabria e di centinaia di altre città e paesi. Forse nessun santo sin dall’antichità ha riscosso tanta venerazione popolare, sia in Occidente che in Oriente; chiese dedicate a s. Giorgio esistevano a Gerusalemme, Gerico, Zorava, Beiruth, Egitto, Etiopia, Georgia da dove si riteneva fosse oriundo; a Magonza e Bamberga vi erano delle basiliche; a Roma vi è la chiesa di S. Giorgio al Velabro che custodisce la reliquia del cranio del martire palestinese; a Napoli vi è la basilica di S. Giorgio Maggiore; a Venezia c’è l’isola di S. Giorgio.
Vari Ordini cavallereschi portano il suo nome e i suoi simboli, fra i più conosciuti: l’Ordine di S. Giorgio, detto "della Giarrettiera”; l’Ordine Teutonico, l’Ordine militare di Calatrava d’Aragona; il Sacro Ordine Costantiniano di S. Giorgio, ecc.
È considerato il patrono dei cavalieri, degli armaioli, dei soldati, degli scouts, degli schermitori, della Cavalleria, degli arcieri, dei sellai; inoltre è invocato contro la peste, la lebbra e la sifilide, i serpenti velenosi, le malattie della testa, e particolarmente nei paesi alle pendici del Vesuvio, contro le eruzioni del vulcano.
Il suo nome deriva dal greco ‘gheorgós’ cioè ‘agricoltore’ e lo troviamo già nelle ‘Georgiche’ di Virgilio e fu portato nei secoli da persone celebri in tutti i campi, oltre a re e principi, come Washington, Orwell, Sand, Hegel, Gagarin, De Chirico, Morandi, il Giorgione, Danton, Vasari, Byron, Simenon, Bernanos, Bizet, Haendel, ecc.
In Italia è diffuso anche il femminile Giorgia, Giorgina; in Francia è Georges; in Inghilterra e Stati Uniti, George; Jörg e Jürgens in Germania; Jorge in Spagna e Portogallo; Gheorghe in Romania; Yorick in Danimarca; Yuri in Russia. La Chiesa Orientale lo chiama il "Megalomartire” (il grande martire). 
Detto tutto questo, si può capire come il suo culto così diffuso in tutti i secoli, abbia di fatto superato le perplessità sorte in seno alla Chiesa, che in mancanza di notizie certe e comprovate sulla sua vita, nel 1969 lo declassò nella liturgia ad una memoria facoltativa; i fedeli di ogni luogo dove è venerato, hanno continuato comunque a tributargli la loro devozione millenaria.
La sua figura è avvolta nel mistero, da secoli infatti gli studiosi cercano di stabilire chi veramente egli fosse, quando e dove sia vissuto; le poche notizie pervenute sono nella "Passio Georgii” che il ‘Decretum Gelasianum’ del 496, classifica tra le opere apocrife (supposte, non autentiche, contraffatte); inoltre in opere letterarie successive, come "De situ terrae sanctae” di Teodoro Perigeta del 530 ca., il quale attesta che a Lydda (Diospoli) in Palestina, oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, vi era una basilica costantiniana, sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni, martirizzati verosimilmente nel 303, durante la persecuzione di Diocleziano (detta basilica era già meta di pellegrini prima delle Crociate, fino a quando il sultano Saladino (1138-1193) la fece abbattere).
La notizia viene confermata anche da Antonino da Piacenza (570 ca.) e da Adamnano (670 ca) e da un’epigrafe greca, rinvenuta ad Eraclea di Betania datata al 368, che parla della "casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”. 
I documenti successivi, che sono nuove elaborazioni della ‘passio’ leggendaria sopra citata, offrono notizie sul culto, ma sotto l’aspetto agiografico non fanno altro che complicare maggiormente la leggenda, che solo tardivamente si integra dell’episodio del drago e della fanciulla salvata da s. Giorgio.
La ‘passio’ dal greco, venne tradotta in latino, copto, armeno, etiopico, arabo, ad uso delle liturgie riservate ai santi; da essa apprendiamo come già detto senza certezze, che Giorgio era nato in Cappadocia ed era figlio di Geronzio persiano e Policronia cappadoce, che lo educarono cristianamente; da adulto divenne tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano, ma per alcune recensioni si tratta dell’armata di Diocleziano (243-313) imperatore dei romani, il quale con l’editto del 303, prese a perseguitare i cristiani in tutto l’impero.
Il tribuno Giorgio di Cappadocia allora distribuì i suoi beni ai poveri e dopo essere stato arrestato per aver strappato l’editto, confessò davanti al tribunale dei persecutori, la sua fede in Cristo; fu invitato ad abiurare e al suo rifiuto, come da prassi in quei tempi, fu sottoposto a spettacolari supplizi e poi buttato in carcere. Qui ha la visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione.
E qui la fantasia dei suoi agiografi, spazia in episodi strabilianti, difficilmente credibili: vince il mago Atanasio che si converte e martirizzato; viene tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade; risuscita operando la conversione del ‘magister militum’ Anatolio con tutti i suoi soldati che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra; converte l’imperatrice Alessandra che viene martirizzata; l’imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio prima ottiene che l’imperatore ed i suoi settantadue dignitari vengono inceneriti; promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine si lascia decapitare.
Il culto per il martire iniziò quasi subito, come dimostrano i resti archeologici della basilica eretta qualche anno dopo la morte (303?) sulla sua tomba nel luogo del martirio (Lydda); la leggenda del drago comparve molti secoli dopo nel Medioevo, quando il trovatore Wace (1170 ca.) e soprattutto Jacopo da Varagine († 1293) nella sua "Leggenda Aurea”, fissano la sua figura come cavaliere eroico, che tanto influenzerà l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare.
Essa narra che nella città di Silene in Libia, vi era un grande stagno, tale da nascondere un drago, il quale si avvicinava alla città, e uccideva con il fiato quante persone incontrava. I poveri abitanti gli offrivano per placarlo, due pecore al giorno e quando queste cominciarono a scarseggiare, offrirono una pecora e un giovane tirato a sorte.
Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, il quale terrorizzato offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma il popolo si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli, dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane fanciulla piangente si avviò verso il grande stagno.
Passò proprio in quel frangente il giovane cavaliere Giorgio, il quale saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessina, promettendole il suo intervento per salvarla e quando il drago uscì dalle acque, sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio non si spaventò, salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.
Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago prese a seguirla docilmente come un cagnolino, verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò dicendo: ”Non abbiate timore, Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro”.
Allora il re e la popolazione si convertirono e il prode cavaliere uccise il drago facendolo portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi. La leggenda era sorta al tempo delle Crociate, influenzata da una falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore cristiano Costantino, trovata a Costantinopoli, dove il sovrano schiacciava col piede un drago, simbolo del "nemico del genere umano”.
La fantasia popolare e i miti greci di Perseo che uccide il mostro liberando la bella Andromeda, elevarono l’eroico martire della Cappadocia a simbolo di Cristo, che sconfigge il male (demonio) rappresentato dal drago. I crociati accelerarono questa trasformazione del martire in un santo guerriero, volendo simboleggiare l’uccisione del drago come la sconfitta dell’Islam; e con Riccardo Cuor di Leone (1157-1199) san Giorgio venne invocato come protettore da tutti i combattenti.
Con i Normanni il culto del santo orientale si radicò in modo straordinario in Inghilterra e qualche secolo dopo nel 1348, re Edoardo III istituì il celebre grido di battaglia "Saint George for England”, istituendo l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio o della Giarrettiera. 
In tutto il Medioevo la figura di s. Giorgio, il cui nome aveva tutt’altro significato, cioè ‘agricoltore’, divenne oggetto di una letteratura epica che gareggiava con i cicli bretone e carolingio. Nei Paesi slavi assunse la funzione addirittura ‘pagana’ di sconfiggere le tenebre dell’inverno, simboleggiate dal drago e quindi di favorire la crescita della vegetazione in primavera; una delle tante metamorfosi leggendarie di quest’umile martire, che volle testimoniare in piena libertà, la sua fede in Cristo, soffrendo e donando infine la sua giovane vita, come fecero in quei tempi di sofferenza e sangue, tanti altri martiri di ogni età, condizione sociale e in ogni angolo del vasto impero romano.
San Giorgio è onorato anche dai musulmani, che gli diedero l’appellativo di ‘profeta’. Enrico Pepe sacerdote, nel suo volume ‘Martiri e Santi del Calendario Romano’, conclude al 23 aprile giorno della celebrazione liturgica di s. Giorgio, con questa riflessione: "Forse la funzione storica di questi santi avvolti nella leggenda è di ricordare al mondo una sola idea, molto semplice ma fondamentale, il bene a lungo andare vince sempre il male e la persona saggia, nelle scelte fondamentali della vita, non si lascia mai ingannare dalle apparenze”.


La preghiera del Papa per la liberazione dei vescovi ortodossi rapiti in Siria




 "Il rapimento dei due Metropoliti di Aleppo, rispettivamente della Chiesa siro-ortodossa, Mar Gregorios Ibrahim, e di quella greco-ortodossa di Antiochia, Paul Yazigi, e l’uccisione del loro autista, mentre compivano una missione umanitaria, è una drammatica conferma della tragica situazione in cui vivono la popolazione della Siria e le sue comunità cristiane”: è quanto aveva affermato ieri in una dichiarazione il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, prima della notizia della possibile liberazione. "Il Santo Padre Francesco – proseguiva il portavoce vaticano - è stato informato di questo nuovo gravissimo fatto, che si aggiunge al crescere della violenza negli ultimi giorni e a un’emergenza umanitaria di proporzioni vastissime, segue gli eventi con partecipazione profonda e intensa preghiera per la salute e la liberazione dei due vescovi rapiti e perché, con l’impegno di tutti, il popolo siriano possa finalmente vedere risposte efficaci al dramma umanitario e sorgere all’orizzonte speranze reali di pace e di riconciliazione”. Condividi Testo proveniente dalla pagina 

Memoria di San Giorgio: onomastico del Papa, auguri da tutto il mondo




Ieri, in occasione della memoria di San Giorgio, giorno in cui il Pontefice ha festeggiato il suo onomastico, tutta la Chiesa esprime il suo affetto per il Papa Jorge Mario Bergoglio. Tantissimi gli auguri che gli sono giunti da tutto il mondo. San Giorgio è venerato come martire di Cristo: secondo la tradizione visse nel III secolo. Ripercorriamo la storia di questo santo nel servizio di Debora Donnini: 

La figura di san Giorgio è avvolta nel mistero. Poche le notizie che ci sono pervenute sulla sua vita, molte, invece, le vicende leggendarie che gli sono attribuite. Quello che è certo è che il culto di san Giorgio è molto diffuso sia in Oriente sia in Occidente, fin dal IV secolo. Tanto per fare qualche esempio: 21 comuni italiani portano il suo nome, è patrono dell’Inghilterra e diversi re scelsero di chiamarsi come lui. Le poche notizie che si hanno sono nella "Passio Georgii” che il "Decretum Gelasianum” del 496 classifica fra le opere apocrife. Si desume che san Giorgio sia nato in Cappadocia e sia stato educato dai genitori alla fede cristiana. Da adulto diventa tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano ma secondo alcune recensioni si tratterebbe dell’armata di Diocleziano che nel 303 riprese a perseguitare i cristiani. Fu allora che Giorgio distribuisce i suoi beni ai poveri e, dopo aver strappato l’editto, confessa la sua fede, viene sottoposto a supplizi e buttato in carcere dove il Signore gli avrebbe predetto tre volte la morte e tre volte la risurrezione. Quindi gli agiografi raccontano una serie di episodi strabilianti. La leggenda del drago compare nel Medioevo quando viene elaborata la sua figura di cavaliere eroico. Si narra che nella città di Silene, in Libia, gli abitanti offrissero ogni giorno ad un drago che viveva in uno stagno, per placarlo, prima due pecore e poi una pecora e un giovane estratto a sorte. Un giorno fu estratta la figlia del re. Passando di lì Giorgio intervenne per salvarla trafiggendo il drago con la sua lancia. Quindi il re e la popolazione si convertirono alla fede cristiana. La storia influenzò profondamente l’arte figurativa posteriore simboleggiando, fra l’altro, la lotta contro il male. In opere letterarie successive come il "De situ terrae sanctae” di Teodoro Perigeta del 530 circa, si afferma che a Lydda in Palestina , oggi Lod presso Tel Aviv in Israele, vi era una basilica costantiniana sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni. Nonostante, dunque, tutt’oggi gli studiosi cerchino di stabilire chi veramente fosse San Giorgio, la sua storia ispirò profondamente l’arte e la sua figura fu ed è tutt’oggi molto cara a tutto il mondo cristiano.



23/0472013 fonte Radio Vaticana

Stefania Falasca: il linguaggio di Papa Francesco è quello del Vangelo, per questo arriva a tutti





Fin dai primi momenti del suo Pontificato, Papa Francesco ha conquistato il cuore dei fedeli con il suo linguaggio semplice e diretto. Uno stile che desta l’attenzione anche dei non credenti e che trova particolare eco nelle omelie che, quotidianamente, il Papa tiene la mattina nella Messa alla Domus "Sanctae Marthae” in Vaticano. Per una riflessione sul linguaggio "comprensivo e comprensibile” di Jorge Mario Bergoglio, Alessandro Gisotti ha intervistato la giornalista Stefania Falasca, legata a Papa Francesco da una lunga amicizia:  

R. - Bisogna dire che le coordinate portanti dello stile di Papa Francesco si fondano proprio sul primato della parola, il primato della parola nel suo statuto comunicativo-relazionale, che vuol dire l’oralità: è il primato della colloquialità, dell’accessibilità e della chiarezza e anche della bellezza. Lui è un amante di Dostoevskij, per avere un riferimento letterario, e di Tolstoj, i quali definivano la semplicità e la bellezza "funzioni della verità”, quindi anche attraverso la scelta di parole che subito aprono e subito illuminano.

D. - "Gesù - diceva lo scrittore argentino Borges - pensava per parole e usava frasi che facevano colpo”. Certo si potrebbe dire che proprio questo fa Papa Francesco: le sue parole colpiscono immediatamente e restano…

R. - Sì, anche queste sono espressioni di un linguaggio che si può dire figurato... in due parole riesce a condensare efficacemente temi che hanno un ampio respiro, un’ampia trattazione e consentono quell’aspetto che dicevo prima: dare subito un effetto. E’ una sorta di espressionismo, anche molto tipico nella lingua spagnola, molto marcato: non sono dei "mezzucci di comunicazione". Si ridà la corporalità, la fisicità alle parole, perché tutti possano comprendere. Questo poi è anche - diciamo - un tratto tipico della comunicazione odierna, quella del web, quella del linguaggio post-moderno. 

D. - Su "Avvenire" hai scritto che il parlare di Papa Francesco è un sermo humilis...

R. - Maestro per eccellenza del sermo humilis è stato Sant’Agostino. Vuol dire parlare a tutti, vuol dire l’universalità e, allo stesso tempo, la contemporaneità, l’immersione nel divenire del mondo, che è proprio il linguaggio evangelico. E’ il linguaggio delle Sacre Scritture, è la sapienza del porgere, quella cioè che i Padri della Chiesa consideravano arte: l’omelia, l’arte di conversare semplicemente con gli uomini. Diciamo che alla base di questo c’è una natura teologica, perché Sant’Agostino condensa proprio il significato del sermo humilis in due termini che sono "utile” e "adatto”: lui dice che essendo la verità cristiana "amorosa e soave salvezza”, deve essere posta suaviter, con delicatezza, e questo per rispetto sia alla natura stessa della Salvezza, della Verità, sia tanto più al rispetto delle possibilità di recezione dell’uditore. Quindi io credo che siano queste le ragioni di un linguaggio che abbraccia ed è comprensivo del mondo e degli uomini; comprensivo quindi e comprensibile perché sermo humilis è anche caritas, lieta novella nell’accezione agostiniana. 

D. - Non c’è una strategia di comunicazione nel parlare di Bergoglio: l’unica sua vera strategia è l’adesione al Vangelo…

R. - Sì. C’è un retroterra sicuramente anche per la vastità della cultura di Bergoglio, ma quello che si esprime maggiormente è questa sua ansia di trasmettere la Parola di Dio. Io dico che il fascino di questo suo parlare che arriva a tutti, anche ai lontani e ai non credenti, è che non sono parole soltanto predicate, ma veramente vissute. "La vita è il paragone delle parole”: questo diceva Manzoni e ricordo che lui mi citò questa frase, che peraltro è nel capitolo dei Promessi Sposi da lui molto amato, quello della "Conversione dell’Innominato". La vita è il paragone delle parole. Dal suo modo di parlare si capisce quanto per lui è vero e vissuto quello che dice.


23/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 22/04/2013 Sant'Alessandra e compagni



ALESSANDRA, APOLLO, ISACCO, CODRATO

Il nome Alessandra è il femminile di Alessandro; deriva dal greco ‘Aléxandros’ e significa "protettrice degli uomini”.
Il nome è sempre stato usato fin dall’antichità e della versione maschile si ricordano due re dell’Epiro, tre re di Macedonia, due re di Siria, un imperatore romano, otto papi, oltre 40 santi, tre re di Scozia, tre imperatori di Russia, ecc.
Nella versione femminile, il nome Alessandra è stato portato oltre che da sei fra regine e imperatrici, anche da cinque cristiane martiri, curiosamente sempre inserite in altrettanti gruppi di martiri.
Il più noto dei quali è quello di Amiso (Alessandra, Claudia, Eufrasia, Matrona, Giuliana, Eufemia e Teodosia) celebrate il 20 marzo; poi c’è il gruppo delle martiri di Ankara (Tecusa, Giulitta e altre) celebrate il 18 maggio; poi c’è il gruppo di Ancira, il gruppo di Antiochia e infine il gruppo di Nicomedia di cui parliamo in queste note.
Bisogna dire che per quanto poco noto, il gruppo dei martiri di Nicomedia, composto da Alessandra, Apollo, Isacio (Isacco) e Codrato (Crotato) è menzionato da un numero rilevante di fonti agiografiche, sono ben 11 i Martirologi, Sinassari, Menologi, orientali ed occidentali che ne parlano; si evita qui di elencarli tutti.
Secondo una ‘passio’ armena, connessa al ciclo delle storie di s. Giorgio martire, Alessandra, ritenuta moglie leggendaria di Diocleziano, a volte di Daziano re persiano, per aver difeso e perorato con eccessivo zelo la causa dei cristiani, perseguitati per la loro fede, finì per incorrere nelle ire dell’imperatore, il quale dopo averla percossa e torturata di sua mano, la fece decapitare il 18 aprile del 303, primo anno della sua violenta e sanguinaria persecuzione.
Uguale sorte subirono nei giorni seguenti, Apollo, Isacco e Codrato, probabilmente domestici o funzionari di Alessandra; sebbene fossero legati da vincoli di varia natura con la Casa imperiale, non fu risparmiato loro il tormento della fame e infine la decapitazione.
Le condanne furono eseguite a Nicomedia in Bitinia, dove Diocleziano aveva stabilito la sua residenza imperiale.
I Sinassari orientali affermano che essi si erano convertiti al cristianesimo, considerando fra loro il coraggio con cui il martire s. Giorgio di Lydda, loro contemporaneo, aveva affrontato il martirio in Palestina.
La memoria dei martiri sopra menzionati, è celebrata secondo i vari testi in date diverse, dove il 21 e dove il 22 aprile; le successive aggiunte o presunte precisazioni, sui luoghi e sui fatti della vita e del martirio dei suddetti santi, si colorarono di leggenda e di mancanza di fondamenti storici.


Papa Francesco: i cristiani sono umili, poveri e miti, gli arrampicatori non hanno fede




Il Vangelo del Buon Pastore con Gesù che si definisce "la porta delle pecore” è stato al centro dell’omelia del Papa, stamani, nella Messa celebrata nella Cappellina della Domus Sanctae Marthae. Erano presenti alcuni dipendenti della Sala Stampa Vaticana, con il direttore padre Federico Lombardi e il vicedirettore padre Ciro Benedettini, e alcuni tecnici della Radio Vaticana operativi nel Centro trasmittente di Santa Maria di Galeria. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno, Gesù dice che chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, non è il pastore. L’unica porta per entrare nel Regno di Dio, per entrare nella Chiesa – afferma il Papa - è Gesù stesso. "Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro o un brigante”. E’ "uno che vuole fare profitto per se stesso” – dice il Pontefice – è uno che "vuole salire”: 

"Anche nelle comunità cristiane ci sono questi arrampicatori, no?, che cercano il loro … e coscientemente o incoscientemente fanno finta di entrare ma sono ladri e briganti. Perché? Perché rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria e questo è quello che diceva ai farisei: ‘Voi girate la gloria uno all’altro …’. Una religione un po’ da negozio, no? Io do la gloria a te e tu dai la gloria a me. Ma questi non sono entrati dalla porta vera. La porta è Gesù e chi non entra da questa porta si sbaglia. E come so che la porta vera è Gesù? Come so che questa porta è quella di Gesù? Ma, prendi le Beatitudini e fa quello che dicono le Beatitudini. Sei umile, sei povero, sei mite, sei giusto …”.

Ma "Gesù – prosegue il Papa - non solo è la porta: è il cammino, è la strada. Ci sono tanti sentieri, forse più vantaggiosi per arrivare”: ma sono "ingannevoli, non sono veri: sono falsi. La strada è soltanto Gesù”: 

"Ma qualcuno di voi dirà: ‘Padre, lei è fondamentalista!’. No, semplicemente questo l’ha detto Gesù: ‘Io sono la porta’, ‘Io sono il cammino’ per darci la vita. Semplicemente. E’ una porta bella, una porta d’amore, è una porta che non ci inganna, non è falsa. Sempre dice la verità. Ma con tenerezza, con amore. Ma sempre noi abbiamo quello che è stato all’origine del peccato originale, no? Abbiamo la voglia di avere la chiave di interpretazione di tutto, la chiave e il potere di fare la nostra strada, qualsiasi essa sia, di trovare la nostra porta, qualsiasi essa sia”.

"A volte – afferma il Papa - abbiamo la tentazione di essere troppo padroni di noi stessi e non umili figli e servi del Signore”: 

"E questa è la tentazione di cercare altre porte o altre finestre per entrare nel Regno di Dio. Soltanto si entra da quella porta che si chiama Gesù. Soltanto si entra da quella porta che ci porta su una strada che è una strada che si chiama Gesù e ci porta alla vita che si chiama Gesù. Tutti coloro che fanno un’altra cosa – dice il Signore – che salgono per entrare dalla finestra, sono ‘ladri e briganti’. E’ semplice, il Signore. Non parla difficile: Lui è semplice”. 

Il Papa invita a chiedere "la grazia di bussare sempre a quella porta”:

"A volte è chiusa: noi siamo tristi, abbiamo desolazione, abbiamo problemi a bussare, a bussare a quella porta. Non andare a cercare altre porte che sembrano più facili, più confortevoli, più alla mano. Sempre quella: Gesù. E Gesù non delude mai, Gesù non inganna, Gesù non è un ladro, non è un brigante. Ha dato la sua vita per me: ciascuno di noi deve dire questo: ‘E tu che hai dato la vita per me, per favore, apri, perché io possa entrare’”.


22/04/2013 fonte Radio Vaticana

I vescovi dell'Umbria dal Papa. Mons. Sorrentino: "Lo abbiamo invitato ad Assisi"

Papa Francesco ha ricevuto oggi, nell’ambito della visita ad limina dei vescovi italiani, i presuli delle diocesi umbre di Perugia, Assisi, Città di Castello, Foligno, Gubbio, Spoleto, Orvieto, Terni. Sull'incontro Paolo Ondarza ha intervistato mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi: 

R. - Stupendo! Abbiamo conosciuto da vicino quel volto e quel cuore di Papa che tutti stiamo imparando a conoscere nelle sue diverse manifestazioni. La sua semplicità! Gli ho parlato naturalmente di Assisi, di Francesco, ricordandogli che 800 anni fa, fu un vescovo di Assisi, il vescovo Guido, a presentare il giovane Francesco, attraverso altri collaboratori della Curia Romana, a Papa Innocenzo. In qualche modo, abbiamo rivissuto quel bel momento con Papa Francesco. Insieme ai fratelli dell’Umbria lo abbiamo invitato anche ad Assisi; si è mostrato molto interessato. Ecco, è stato veramente un incontro bello, un momento di ardore pentecostale che abbiamo vissuto e che il Papa ci ha messo nel cuore! Il cuore di un padre che ha accolto i fratelli nell’episcopato. Abbiamo discusso e verificato tante cose della nostra vita pastorale.

D. - C’è in effetti un legame particolare tra Assisi e questo Papa che ha scelto proprio il nome del poverello?

R. - Non c’è dubbio! Lo ha scelto perché il nome del poverello è un messaggio, un’ispirazione: ci ha dato anche le indicazioni affinché questo sia concretamente letto nel cammino di rinnovamento della nostra vita ecclesiale nel segno della radicalità evangelica e della missionarietà. Questo mi sembra davvero un grande stimolo. La mia gioia è sicuramente la gioia di tutta quanta la Chiesa assisana. Mi hanno detto: "Dica a Papa Francesco che gli vogliamo bene e che lo aspettiamo!”. Mi sembrava che in quel momento, tutta quanta la Chiesa di Assisi era con me.

D. - Cosa l’ha colpita di più di Papa Francesco?

R. - Il suo sorriso, la sua semplicità, la sua cordialità. Con lui si sta veramente come tra fratelli! Ecco, il senso della famiglia ecclesiale. Questo naturalmente è sempre stato vero; era vero anche con Papa Benedetto e con gli altri, ma direi che Papa Francesco ha un carisma speciale che trasmette immediatamente: il senso del calore fraterno.

D. - C’ è qualcosa di specifico che il Papa vi ha detto, vi ha comunicato?

R. - Questo slancio missionario a cui la Chiesa deve essere sicuramente più sensibile, il non centrarsi su sé stessa, ma su Gesù Cristo e sull’annuncio di Gesù Cristo ai fratelli nelle periferie, che non sono soltanto le periferie delle lontananze sociali, ma quelle del cuore, quelle esistenziali, quelle in cui il cuore si batte alla ricerca di Dio. 

D. - Domani Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, festeggia il suo onomastico. Qual è il vostro augurio?

R. - Che questa speranza che ha dato alla Chiesa possa continuare a lungo, possa incidere profondamente e possa aiutarci nel rinnovamento evangelico che tutti auspichiamo e a cui siamo tutti tenuti.



22/0472013 fonte Radio vaticana

Arrendersi di fronte alla chiamata di Gesù: la testimonianza di don Pino Conforti, ordinato sacerdote dal Papa




Tanta emozione ieri in Basilica Vaticana per i 10 nuovi sacerdoti ordinati dal Papa. Tra di loro c’è don Pino Conforti, 44 anni originario di Matera, laureato in Economia e Commercio. Una vita spesa nel respingere la chiamata del Signore alla quale poi con gioia si è arreso. Benedetta Capelli gli ha chiesto quali sono le emozioni il giorno dopo la sua ordinazione sacerdotale: 

R. – Sento la gratitudine a Dio e a tutte le persone che mi sono state vicino in questi anni.

D. – Poco prima della Messa il Papa ha pregato insieme a voi in sacrestia. Che cosa ha pensato in quel momento?

R. – Non ci potevo credere che ero lì con lui. Abbiamo pregato la Madonna e ci ha detto di pregare tutti i giorni la Madonna e dire il Rosario. Ci siamo poi fatti trascinare da una bellissima risata, tutti quanti insieme al Papa. Ad un certo punto tutta la tensione che avevo addosso era sparita. Papa Francesco è un uomo semplice, che riesce a metterti addosso gioia e serenità.

D. – "Pastori e non funzionari”: il Papa ha indicato un percorso molto preciso. Come intende perseguirlo nel suo sacerdozio?

R. – Questo è stato l’obiettivo che mi sono posto sin dall’inizio, sin dal momento in cui ho risposto a questa chiamata. È il contatto umano che trasforma le persone, quindi se Dio mi darà la forza voglio essere un "testimone”, presente nella vita degli altri.

D. – Qual è stato il passaggio – al di là di quello già evidenziato – che più l’ha colpita nell’omelia del Papa e qual è il momento che ricorderà davvero per sempre?

R. – Quando ha detto di non stancarsi mai, di essere misericordiosi perché in quel momento ho visto il mio incontro con Gesù. Questo incontro è stato proprio un incontro tra la sua infinita e paziente misericordia e la mia miseria umana. Il momento fondamentale è stato l’imposizione delle mani di Papa Francesco e a seguire quelle del mio padre spirituale. Non ho capito niente, però ero felice! Sapevo solo di essere felice.

D. – Lei ha 44 anni, è il sacerdote più "maturo” tra i dieci nuovi sacerdoti. Come ha sentito la chiamata e a che età?

R. – Non so se sono il più "maturo” perché l’età non fa la maturità della persona. Per quanto riguarda la chiamata la prima volta è stata a nove anni, però l’ho accantonata subito. Quando poi ho sentito di nuovo la chiamata forte è stato circa dieci anni fa. Sono stato sempre in "combattimento”, fin quando nel 2005 ho deciso di entrare in Seminario, perché volevo che la Chiesa mi desse la certezza, l’autenticità della mia chiamata. Io nella vita ho sempre pensato di fare il "rappresentante” di qualcosa, ho studiato ma inizialmente dicevo: "Sì, sto studiando, ma non mi interessa”. Mi sono laureato in Economia e Commercio, ho fatto diversi lavori per mantenermi all’università - il cameriere, il segretario di contabilità - e poi ho capito perché non volevo vincolarmi ad un lavoro: perché dentro di me c’era una missione da compiere ed è questa missione qui. Oggi posso dire che forse faccio veramente il "rappresentante”, ma di Qualcuno. Se sono arrivato a questa età è solo perché non ho avuto il coraggio, perciò oggi insisto con i ragazzini – già dall’età di 12/14 anni - a pensare anche al sacerdozio. Io ho avuto paura, purtroppo ho avuto paura.

D. – Il suo percorso è stato all’interno della Chiesa argentina di Roma, di Piazza Buenos Aires, ed ha anche incontrato Papa Bergoglio quando era cardinale…

R. – Ho scoperto la Chiesa come servizio lì. Mi piaceva il loro modo di fare, di essere gioiosi e mi sono detto: "Mamma mia, mi piacerebbe essere così”. Poi un giorno il mio padre spirituale mi chiamò e mi chiese se potevo accompagnare un sacerdote all’aeroporto. Risposi di sì. Arrivato all’albergo, lui ancora non era uscito, ero convinto che fosse un sacerdote ma poi il mio padre spirituale mi disse che era un cardinale. Sapendo che ero molto timido, sapeva pure che se mi avesse detto, fin dall’inizio, che si trattava di un cardinale gli avrei detto che avevo da fare. Il viaggio è durato circa un’ora e un quarto perché c’era tanto traffico e il cardinal Bergoglio mi ha parlato tantissimo. Una persona eccezionale, semplice, era come me lo descrivevano gli altri preti argentini. Quando l’ho salutato all’aeroporto di Fiumicino, lui mi ha detto: "Prega per me e chiedi a Dio di benedirmi”. Quando sono tornato dal mio padre spirituale ho detto: "Perché un cardinale mi chiede di pregare per lui?”. Il mio padre spirituale mi disse queste parole: "Tu forse un giorno pregherai per tanta gente”. L’ho guardato e ho detto: ”La dovete finire, io non sarò mai prete!” Infatti, ogni volta che ho pensato a qualcosa si è sempre verificato, il contrario però…


22/04/2013 fonte Radio Vaticana

Quarant’anni fa la professione religiosa solenne di padre Bergoglio




Oggi, come il Papa ha ricordato ad alcune persone a lui vicine, ricorre il 40.mo anniversario della professione religiosa solenne nella Compagnia di Gesù dell’allora padre Bergoglio, avvenuta il 22 aprile 1973. La data del 22 aprile è, infatti, una delle date "classiche” in cui i Gesuiti pronunciano i loro "ultimi voti” al termine del lungo periodo della loro formazione religiosa. E ciò perché il 22 aprile 1542 Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni pronunciarono a Roma la loro professione solenne dopo l’approvazione da parte di Papa Paolo III del nuovo Ordine allora nascente. Ciò avvenne nella Basilica di San Paolo, davanti a quell’immagine della Madonna, dove Papa Francesco volle appunto sostare in preghiera a conclusione della solenne celebrazione per la "presa di possesso” della Basilica Ostiense la scorsa domenica 14 aprile.


22/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 16/0472013 Beato Arcangelo Canetoli sacerdote
Arcangelo nacque poco verso il 1460 da una delle più nobili famiglie di Bologna: i Canetoli. Essi erano ritenuti i responsabili della morte di Annibale Bentivoglio ed in questo clima di lotte fratricide si colloca l’episodio del loro sterminio. Scomparvero così il padre e tutti i fratelli di Arcangelo e solo quest’ultimo, ancora fanciullo, riuscì a salvarsi grazie a circostanze fortuite.
Il 29 settembre 1484 vestì l’abitò della congregazione dei Canonici Regolari di Santa Maria di Reno, detti "renani”, nel convento del Santissimo Salvatore di Venezia. Qui gli fu affidato l’incarico dell’accoglienza dei pellegrini ed in alcuni di essi gli capitò talvolta di riconoscere gli assassini dei suoi familiari. Seppe sempre, però, dominare eroicamente il suo desiderio di vendetta. 
Estremamente umile ed amante della solitudine, rifiutò a lungo qualsiasi dignità ecclesiastica ed infine accettò l’ordinazione presbiterale solo per senso di obbedienza.
Trascorse diversi anni girovagando tra vari monasteri veneti appartenenti alla sua congregazione: Sant’Antonio, dove un Catalogo dei Canonici Regolari del 1485 lo qualificò "Archangelum Christophori” in contrasto con la Vita che lo vuole figlio di Faccio, Santisimo Salvatore e nuovamente Sant’Antonio. Nel 1498 chiese ed ottenne il trasferimento nel monastero di Sant’Ambrogio di Gubbio, desideroso di dedicarsi ad una fervida vita contemplativa. Tuttavia, per qualche tempo dovette fare ritorno al Santissimo Salvatore verso il 1505. In seguito ricevette la nomina a vicario di San Daniele in Monte presso Padova, ove rimase sino al 1509, quando decise di tornare alla vita eremitica a Gubbio. Qui si diffuse sempre più la sua fama di santità e fu amato e venerato sia dagli umili che dai potenti, fra cui gli Acquisti di Arezzo, i duchi di Urbino ed i Medici di Firenze. Ai duchi di Urbino il Canetoli predisse alcuni avvenimenti futuri, ma anche a Giuliano de’ Medici esule ad Urbino ebbe modo di preannunziare il ritorno nella sua città con tutti gli onori. Il principe toscano non dimenticò questa profezia e, non appena poté rientrare a Firenze e suo fratello Giovanni fu eletto papa col nome Leone X, si attivò per ricompensare l’umile eremita di Gubbio offrendogli la cattedra episcopale fiorentina. Ma Arcangelo rifiutò categoricamente e si limitò a chiedere che al monastero di Sant’Ambrogio fossero concesse particolari indulgenze. Durante il viaggio di ritorno da Firenze il beato fu colto da una febbre tanto alta da non permettergli di proseguire il suo viaggio oltre Castiglione Aretino. Dovette così fermarsi presso la famiglia Acquisti che, in seguito alla morte di un familiare di Gubbio, fece ritorno nella città. Malgrado le premurose cure che gli furono riservate, Arcangelo CAnetoli morì santamente il 16 aprile 1513. Il 3 dicembre dello stesso anno, il suo corpo fu traslato nella chiesa del Monastero di Sant’Ambrogio in Gubbio, ove ancora oggi è conservato incorrotto.
Il cardinale Prospero Lambertini, testimone oculare della diffusione del suo culto, divenuto papa col nome di Benedetto XIV, il 2 ottobre 1748 decretò l’ufficialità del titolo di "beato” attribuitogli e concesse la Messa e l’Ufficio propri sia per la sua congregazione che per l’arcidiocesi nativa.
La principale fonte di notizie circa l’esistenza terrena del Beato Arcangelo Canetoli consiste in una sua biografia redatta da un suo confratello una ventina di anni dopo la sua morte, specificando accuratamente la provenienza di quasi tutte le singole informazioni. Nel gennaio 1772 fu aggiunta anche un’appendice contenente i resoconti delle grazie attribuite alla sua potente intercessione.
Per comprendere pienamente la santità e la personalità del Beato Arcangelo Canetoli occorre conoscere il periodo in cui visse tale uomo. In tal caso si potrà allora affermare, come riporta una sua Vita pubblicata nel 1913, che "la santità è come una luce che risplende sempre e dovunque, ma che è tanto più bella quanto più profonde sono le tenebre in cui apparisce”.


Il Papa: Concilio, opera dello Spirito Santo, ma c'è chi vuole andare indietro. Messa dedicata a Benedetto XVI




Lo Spirito Santo spinge le persone e la Chiesa stessa ad andare avanti ma noi opponiamo resistenza e non vogliamo cambiare: è quanto ha affermato il Papa ieri mattina durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta, alla presenza di alcuni dipendenti del Governatorato. Hanno concelebrato il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Oggi è il compleanno di Benedetto XVI, compie 86 anni, e Papa Francesco lo ricorda all’inizio della Messa:

"Offriamo la Messa per lui, perché il Signore sia con lui, lo conforti e gli dia molta consolazione”.

Nell’omelia commenta la prima lettura del giorno: ci parla del martirio di Santo Stefano che prima di essere lapidato annuncia la Risurrezione di Cristo, ammonendo i presenti con parole forti: "Testardi! Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Stefano ricorda quanti hanno perseguitato i profeti e dopo averli uccisi gli hanno costruito "una bella tomba” e solo dopo li hanno venerati. Anche Gesù – osserva il Papa – rimprovera i discepoli di Emmaus: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!”. "Sempre, anche tra noi” – rileva il Pontefice – "c’è quella resistenza allo Spirito Santo”:

"Per dirlo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella Trasfigurazione: ‘Ah, che bello stare così, tutti insieme!’ … ma che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca … vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E quello non va. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e viene e tu non sai da dove. E’ la forza di Dio, è quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti. Ma: andare avanti! E questo da fastidio. La comodità è più bella”. 

Oggi – ha proseguito il Papa – sembra che "siamo tutti contenti” per la presenza dello Spirito Santo, ma "non è vero. Questa tentazione ancora è di oggi. Un solo esempio: pensiamo al Concilio”: 

"Il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio? No. Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore”. 

Succede lo stesso – aggiunge il Papa – "anche nella nostra vita personale”: infatti, "lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica”, ma noi resistiamo. Questa l’esortazione finale: "non opporre resistenza allo Spirito Santo. E’ lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio!”: 

"Non opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore: la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità, quella santità tanto bella della Chiesa. La grazia della docilità allo Spirito Santo. Così sia”.



16/04/2013 fonte Radio Vaticana

Cordoglio di Papa Francesco per l'attentato a Boston: una tragedia insensata

      




Cordoglio di Papa Francesco per le vittime causate dall’attentato di ieri a Boston durante la maratona cittadina. In un telegramma indirizzato al cardinale arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, il Papa si dice "profondamente rattristato” per la perdita di vite umane e per i feriti in gravi condizioni e definisce l’attentato "una tragedia insensata”. Il Papa invoca la pace del Signore per le vittime, la Sua consolazione per quanti soffrono e la Sua forza per quanti sono impegnati nei soccorsi. In questo momento di dolore, conclude il telegramma, Papa Francesco prega affinché i cittadini di Boston possano essere "uniti nel non lasciarsi sopraffare dal male”, combattendo il male con il bene e lavorando assieme per costruire "una società più giusta e libera”.



16/04/2013 fonte Radio Vaticana

Benedetto XVI compie 86 anni. I ricordi dell’infanzia: “Eravamo un cuore e un’anima sola”

   
      





Benedetto XVI ha compiuto ieri 86 anni. Come è noto, il Papa emerito è nato nel piccolo centro bavarese di Marktl am Inn il 16 aprile 1927. Quel giorno, ricorda Joseph Ratzinger in un’autobiografia pubblicata negli anni ’90, era Sabato Santo e, aggiunge, "fui battezzato il mattino successivo alla mia nascita, con l’acqua benedetta della 'notte pasquale'”. Per il Papa emerito, si è sempre trattato di "un importante segno premonitore”. In questo servizio di Alessandro Gisotti, riascoltiamo Papa Benedetto che ricorda la sua infanzia, rispondendo ad una bambina, durante l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano, lo scorso 2 giugno: 

Il punto essenziale per la mia famiglia era la domenica. Benedetto XVI ricorda con gioia la sua infanzia in Baviera, che aveva come centro proprio il Giorno del Signore. Anzi, rammenta che a casa Ratzinger la domenica iniziava già il sabato quando il suo papà leggeva le letture della Domenica e così lui e il fratello Georg entravano già nella "liturgia, in un’atmosfera di gioia”:

"Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme”. 

Per il piccolo Joseph, la musica è sempre stata una presenza gioiosa. Ricorda che si cantava molto in famiglia, anche perché il fratello, futuro direttore del Coro della Cattedrale di Ratisbona, fin da giovane realizzava delle piccole composizioni. Con la musica, l’altra passione della famiglia Ratzinger erano le passeggiate nei sentieri di cui è ricca la Baviera:

"Eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà”. 

Papa Benedetto sottolinea l’"amore reciproco” che si viveva in famiglia. Un amore "forte” che dava "gioia anche per cose semplici” e così "si potevano superare e sopportare” anche le prove più difficili:

"Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro”. 

E così, aggiunge, "siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli”. Tanto è bella la sua infanzia che, con un sorriso, Benedetto XVI immagina sia proprio così stare in Paradiso:

"Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare ‘a casa’, andando verso l’‘altra parte del mondo’”.



16/04/2013 fonte Radio Vaticana

Padre Neuhauss: israeliani e palestinesi ascoltino l'invito di pace del Papa per la Terra Santa




La Chiesa di Gerusalemme, con le sua aspettative e le sue difficoltà, è stata lunedì al centro dell’attenzione di Papa Francesco, che ha ricevuto in udienza il Patriarcato latino della Città santa, intrattenendosi a colloquio con il patriarca Fouad Twal. Tra i presenti, vi era anche il gesuita, padre David Neuhauss, vicario patriarcale per i cattolici di espressione ebraica. Alessandro De Carolis gli ha chiesto un’impressione sull’incontro con Papa Francesco: 

R. – Il Patriarca ha sottolineato il fatto che il Papa è un uomo di ascolto e ha notato anche che il Papa sa molto del Medio Oriente: è molto, molto informato della nostra situazione. Noi abbiamo sempre la speranza che il Papa, con la sua voce e la sua autorità morale, possa dare il suo contributo al dialogo tra le diverse parti. 

D. – Lei, in particolare, si occupa dei cattolici di provenienza ebraica e di quelli integrati nella società, che parla la lingua ebraica...

R. – E’ una piccola minoranza quella di provenienza ebraica; tantissimi altri sono parenti di ebrei, operai stranieri, che cercano asilo in Israele. C’è anche il fenomeno, non molto conosciuto, ma che pure esiste, dei bambini arabi, palestinesi arabi, formati ed educati nelle scuole ebraiche, che conoscono quasi unicamente l’ebraico. Il nostro vicariato, quindi, che è a lavoro con queste popolazioni, ha una comunità di fedeli molto diversificata.

D. – Che tipo di esperienza umana e spirituale vivete con queste persone?

R. – La prima cosa è provare a fare la trasmissione di fede. I genitori, molto spesso, conoscono bene la fede e hanno vissuto la fede in una comunità cristiana. Il nostro lavoro principale è fare Chiesa con questi bambini, nella lingua che loro capiscono meglio: la lingua ebraica. Noi dobbiamo trovare il modo per proclamare chiaramente, con autenticità, la nostra fede in lingua ebraica. Questo vuol dire anche vivere un profondo dialogo con gli ebrei, con la tradizione ebraica. Siamo chiamati anche a vivere in unità profonda con i fedeli di lingua ebraica e di lingua araba. Quando mi sono presentato al Papa ho detto ieri: "Non sono solo gesuita fra i diocesani, ma sono anche ebreo fra gli arabi”.

D. – C’è un dato preoccupante, recentemente ribadito dal Centro islamo-cristiano, che riguarda il calo inarrestabile dei cristiani, che ormai sono ridotti nei territori palestinesi intorno all’1 per cento. Il Patriarcato come affronta questa situazione?

R. – Questa è sempre una grande preoccupazione del Patriarcato. Dobbiamo sottolineare che questo non avviene solo per la migrazione, per cui i migliori di noi lasciano il Paese e cercano un futuro migliore per i loro bambini altrove, ma c’è anche un’altra causa molto, molto importante: le nostre famiglie sono molto più piccole di quelle musulmane ed ebraiche; siamo la parte della popolazione che ha una formazione migliore e scegliamo di non fare troppi bambini. Quindi, non credo che noi ci si debba focalizzare troppo sulle statistiche. Le statistiche sono importantissime, non c’è dubbio, ma credo che dobbiamo essere molto consapevoli che la nostra vocazione è quella di essere un piccolo gruppo, una piccola Chiesa, fatta per la grande maggioranza.

D. – Di recente vi siete espressi contro la decisione di Hamas di vietare le classi miste. Qual è la posizione della vostra Chiesa in merito?

R. – Noi siamo preoccupati anche per questo. Non vogliamo questa segregazione, specialmente nelle scuole cattoliche e questo tocca la situazione a Gaza. Noi vogliamo che i nostri bambini ricevano un’educazione secondo lo spirito della Chiesa. Devo dire, però, che esiste un dialogo con le autorità di Hamas: i capi di Hamas riconoscono il valore della scuola cattolica a Gaza e anche fra i capi ci sono quelli che mandano lì i loro bambini. Noi, quindi, abbiamo sempre la speranza del dialogo e siamo sempre ottimisti. Siamo chiamati, infatti, ad essere ottimisti ed una comunità di speranza.

D. – La situazione mediorientale è stata evocata all’Urbi et Orbi di Papa Francesco la mattina di Pasqua, con un appello a ritrovare – ha detto – la concordia, che da troppo tempo manca tra israeliani e palestinesi. Qual è il suo auspicio?

R. – Che la voce del Papa sia ascoltata. Sono convinto che i due popoli siano convinti che sia arrivato il tempo. Il discorso, però, non è un discorso di pace. Noi, dunque, dobbiamo pregare che i nostri capi politici comincino un discorso di pace e di giustizia. Tutti parlano solo della vittoria, ma qui dobbiamo trovare il modo di parlare con rispetto e comprensione verso l’altro, per arrivare a quello che il Papa vuole e che noi tutti vogliamo.


15/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 15/04/2013 San Marone martire




Le più antiche notizie su San Marone le troviamo negli Acta SS. Nerei et Achillei e rinviano al tempo in cui a Roma sul trono imperiale sedeva Domiziano (81-96), della dinastia dei Flavi. Apparteneva alla famiglia dei Flayi anche Domitilla, giovanissima cugina dell'imperatore, "pecora nera" nella famiglia imperiale, perché cristiana. A Roma c'era già una comunità cristiana organizzatasi in seguito alla predicazione di San Pietro, martire nella persecuzione scatenata nel 64 da Nerone (54-68). Domitilla era orfana di padre e di madre. La allevava lo zio Flavio Clemente, zio anche dell'imperatore. Clemente l'aveva promessa sposa, già da bambina, ad Aureliano, di nobile famiglia senatoria, che con quel matrimonio avrebbe stretto vincoli di parentela con la famiglia imperiale, avrebbe messo le mani sul cospicuo patrimonio della fanciulla orfana e, chissà, avrebbe potuto aspirare a divenire imperatore dopo Domiziano, che già gli aveva conferito la carica di console. 
Marone, insieme ai suoi amici Eutiche e Vittorino, cristiani anch'essi, era ben inserito nell'ambito dei Flavi, almeno quel ramo della famiglia che si era convertito al Cristianesimo. Quando ormai Domitilla, poco più che una bambina, avrebbe dovuto sposarsi, alcuni, tra cui Marone, le consigliarono di non farlo, e Domitilla rifiutò di sposare Aureliano, che tanto contava su quel matrimonio e sul patrimonio della nobile orfana. Aureliano andò su tutte le furie e volle che Domitilla fosse punita, non perché aveva rifiutato di sposarlo, ma perché era cristiana. Domitilla era però una Flavia come Domiziano, l'imperatore suo cugino, che non poteva mettere a morte la cugina. Trovò un modo per cavarsi d'impaccio, pur rispettando le leggi persecutorie contro i cristiani: condannò Domitilla all'esilio sull'isola di Ponza. Ma è probabile che fosse un espediente concordato col console promesso sposo, perché la ragazza, allontanata dalla comunità cristiana di Roma e relegata su un'isola, ci ripensasse e consentisse alle nozze. 
Domitilla si recò a Ponza, ed essendo una nobile della famiglia imperiale, fu accompagnata nel quasi esilio o quasi villeggiatura, da un seguito al suo servizio, ancelle e servitori, fra cui Nereo e Achilleo, due cristiani, che finirono però martiri a Ponza stessa, per contrasti con aderenti alla setta religiosa fondata da Simon Mago. diffusasi dall'Oriente e ben radicata sull'isola. Nell'occidente dell'impero romano, col paganesimo in totale crisi di credibilità, col continuo afflusso dall'Oriente di militari, mercanti e schiavi, pullulavano ovunque svariate sette e movimenti religiosi di origine orientale. Accompagnarono Domitilla a Ponza, per curarne la formazione, anche i tre amici cristiani Marone, Eutiche e Vittorino, ai quali Aureliano raccomandò di convincere la ragazza a sposarlo. 
A Roma intanto il potere dell' imperatore Domiziano degenerò in violenta dittatura, finche nel 96 fu ucciso, vittima di una congiura ordita da senatori. Il potere imperiale fu preso da Nerva (96-98), un senatore che attenuò le persecuzioni contro i cristiani e fece rientrare dall'esilio i perseguitati per motivi religiosi. Anche Domitilla potè rientrare a Roma col suo seguito, ma Aureliano, l'aspirante sposo di Domitilla, riconquistò potere politico e con Nerva divenne ancora una volta console. Non avendo potuto piegare Domitilla al suo volere, si accanì contro Marone, Vittorino e Eutiche, responsabili ai suoi occhi dello scacco matrimoniale subito. Li condannò come cristiani ai lavori forzati, ognuno in un suo diverso possedimento. Marone fu inviato sulla Salaria, a 130 miglia da Roma, perche zappasse tutto il giorno su poderi che Aureliano possedeva nel Piceno, ma egli, nonostante fosse trattato come schiavo, godeva di prestigio e aumentava il numero dei cristiani. Nel frattempo era divenuto sàcerdote e compiva anche miracoli. 
Il quadro storico fin qui delineato può essere considerato attendibile, ma nel corso del Medioevo la figura del santo si colorò di elementi chiaramente leggendari, anche se "leggendario" non significa necessariamente "falso", perche ogni leggenda si forma per trasformazione o rielaborazione di un nucleo originario corrispondente a verità. Comunque, il culto del martire San Marone mise salde radici nelle città romane lungo il corso del Chienti e del Potenza: a Sep/empeda, oggi San Severino, fu venerato e ricordato anche per aver guarito dall'idropisia il "procura/or" della città. A Tolentino il suo culto è testimoniato dal fatto che è protettore della città insieme a San Catervo. Identica situazione si ritrova ad Urbisaglia, ove San Marone è ancor oggi comprotettore della cittadina insieme a San Giorgio; questo, forse, ha fatto attribuire a San Marone il miracolo della principessa liberata dal drago, altrove attribuito sempre a San Giorgio: alla foce del Chienti, un drago sarebbe emerso dal mare per mangiarsi ,una principessa, in questo caso la figlia del re di Urbisaglia, probabile evocazione popolare dei locali re carolingi o sassoni. San Marone la salvò. 

Nell'anno 100 dopo Cristo San Marone morì martire in VaI di Chienti, nei pressi del santuario del dio Granno. 

Marone si fece araldo del vangelo sul territorio piceno attraversato da quel tratto della Salaria che, diramandosi dalla valle del Tronto, si addentrava nel Piceno costeggiando i Sibillini. Subì il martirio sul territorio dell'attuale Urbisaglia, ove sorgeva il santuario dedicato all'antico dio italico Granno, identificato poi col dio greco Apollo. 
All'interno del themenos o recinto sacro del tempio, sgorgavano sorgenti di acque calde, e i pagani credevano che il dio conferisse loro virtù curative; era quindi molto frequentato. Al santuario del dio Apollo-Granno inviò più volte donativi, per ottenere la guarigione, anche l'imperatore romano Caracalla (212-217), che una volta vi si recò anche in pellegrinaggio. Lo riferisce 10 scrittore greco Dione Cassio. Le rovine del Palazzo di Carlo Magno in VaI di Chienti erano ancora visibili nel 1500. In quel secolo Andrea Dacci di Sant'Elpidio additava nella piana del Chienti i resti di un "Palazzo antico" che la tradizione riteneva "il Palazzo di Re Carlo". 
Nell'anno 100 dopo Cristo, a Roma Aureliano si convinse che per Marone non era sufficiente la condanna ai lavori forzati. Doveva morire. Il favore con cui le masse del Piceno accoglievano la predicazione del Cristianesimo comprometteva gli interessi di chi viveva dei proventi del culto del dio Grannus, e anche quelli personali del console Aureliano, che nel Piceno aveva possedimenti e quindi interessi da tutelare. A Roma dovettero anche giungere formali proteste e Aureliano inviò Turgio, un ex console suo amico, per far processare Marone. Avevano già tentato di linciarlo facendolo morire schiacciato da un grosso macigno ma, stando alla tradizione, non ci erano riusciti per la protezione di Dio. Turgio, in qualità di magistrato romano, fece applicare la legge, che per la condanna a morte di un cittadino romano prevedeva la decapitazione, e Marone fu decapitato. Gli antichi martirologi concludono il racconto del martirio con queste parole: il popolo cristiano prese il suo corpo e gli diede onorevole sepoltura. Era il 15 aprile dell'anno 100. 
I cristiani del Piceno poterono certamente dar sepoltura al corpo del martire, perche la legge romana, per il seppellimento dei morti prevedeva disposizioni da rispettare come sacre, emanate già nel periodo repubblicano di Roma, quando erano state redatte le leggi delle Dodici Tavole: Deorum Manium jura sancta sunto, i diritti degli dei Mani (dei defunti) siano rispettati come sacri.


Papa Francesco: troppi martiri nella Chiesa vittime di calunnia, un atto che viene da Satana




"La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone”. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta nella cappella della Casa "S. Marta”, alla presenza, fra gli altri, di personale dei Servizi telefonici vaticani e dell’Ufficio Internet vaticano. Il Pontefice ha invitato a pregare per i tanti martiri che anche oggi sono falsamente accusati, perseguitati e uccisi in odio alla fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Stefano, il primo martire della Chiesa, è una vittima della calunnia. E la calunnia è peggio di un peccato: la calunnia è un’espressione diretta di Satana. Non usa mezzi termini Papa Francesco per stigmatizzare uno dei più spregevoli comportamenti umani. La lettura degli Atti degli Apostoli presenta Stefano, uno dei diaconi nominati, dai Discepoli, che viene trascinato davanti al Sinedrio per via della sua testimonianza al Vangelo, accompagnata da segni straordinari. E davanti al Sinedrio – si legge nel testo – compaiono ad accusare Stefano dei "falsi testimoni”. Sul punto, Papa Francesco è netto: poiché – nota – "non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni”, i nemici di Stefano hanno imboccato "la strada della lotta sporca: la calunnia”:

"Noi tutti siamo peccatori: tutti. Abbiamo peccati. Ma la calunnia è un’altra cosa. E’ un peccato, sicuro, ma è un’altra cosa. La calunnia vuole distruggere l’opera di Dio; la calunnia nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana. La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime. La calunnia utilizza la menzogna per andare avanti. E non dubitiamo, eh?: dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui”. 

Dal comportamento degli accusatori, Papa Francesco sposta l’attenzione su quello dell’accusato. Stefano, osserva, non ricambia menzogna con menzogna, "non vuole andare per quella strada per salvarsi. Lui guarda il Signore e obbedisce alla legge”, rimanendo nella pace e nella verità di Cristo. Ed è quanto, ribadisce, "succede nella storia della Chiesa”, perché dal primo martire a oggi numerosissimi sono gli esempi di chi ha testimoniato il Vangelo con estremo coraggio:

"Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli. La Chiesa ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede: questo è ammazzato perché insegna catechismo, questo viene ammazzato perché porta la croce… Oggi, in tanti Paesi, li calunniano, li perseguono… sono fratelli e sorelle nostri che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri”. 

La nostra, ha ripetuto Papa Francesco”, "è un’epoca con più martiri che non quella dei primi secoli”. E un’epoca di così "tante turbolenze spirituali” ha richiamato alla mente del Pontefice l’immagine di un’icona russa antica di secoli, quella della Madonna che copre con il suo manto il popolo di Dio:

"Noi preghiamo la Madonna che ci protegga, e nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna. E’ la mamma che cura la Chiesa. E in questo tempo di martiri, è lei un po’ – non so se si dice così, in italiano – la protagonista, la protagonista della protezione: è la mamma. (…) Diciamole con fede: ‘Sotto la tua protezione, Madre, è la Chiesa. Cura la Chiesa’”.

15/0472013 fonte Radio Vaticana

Papa Francesco: troppi martiri nella Chiesa vittime di calunnia, un atto che viene da Satana




"La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone”. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta nella cappella della Casa "S. Marta”, alla presenza, fra gli altri, di personale dei Servizi telefonici vaticani e dell’Ufficio Internet vaticano. Il Pontefice ha invitato a pregare per i tanti martiri che anche oggi sono falsamente accusati, perseguitati e uccisi in odio alla fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Stefano, il primo martire della Chiesa, è una vittima della calunnia. E la calunnia è peggio di un peccato: la calunnia è un’espressione diretta di Satana. Non usa mezzi termini Papa Francesco per stigmatizzare uno dei più spregevoli comportamenti umani. La lettura degli Atti degli Apostoli presenta Stefano, uno dei diaconi nominati, dai Discepoli, che viene trascinato davanti al Sinedrio per via della sua testimonianza al Vangelo, accompagnata da segni straordinari. E davanti al Sinedrio – si legge nel testo – compaiono ad accusare Stefano dei "falsi testimoni”. Sul punto, Papa Francesco è netto: poiché – nota – "non andava bene la lotta pulita, la lotta tra uomini buoni”, i nemici di Stefano hanno imboccato "la strada della lotta sporca: la calunnia”:

"Noi tutti siamo peccatori: tutti. Abbiamo peccati. Ma la calunnia è un’altra cosa. E’ un peccato, sicuro, ma è un’altra cosa. La calunnia vuole distruggere l’opera di Dio; la calunnia nasce da una cosa molto cattiva: nasce dall’odio. E chi fa l’odio è Satana. La calunnia distrugge l’opera di Dio nelle persone, nelle anime. La calunnia utilizza la menzogna per andare avanti. E non dubitiamo, eh?: dove c’è calunnia c’è Satana, proprio lui”. 

Dal comportamento degli accusatori, Papa Francesco sposta l’attenzione su quello dell’accusato. Stefano, osserva, non ricambia menzogna con menzogna, "non vuole andare per quella strada per salvarsi. Lui guarda il Signore e obbedisce alla legge”, rimanendo nella pace e nella verità di Cristo. Ed è quanto, ribadisce, "succede nella storia della Chiesa”, perché dal primo martire a oggi numerosissimi sono gli esempi di chi ha testimoniato il Vangelo con estremo coraggio:

"Ma il tempo dei martiri non è finito: anche oggi possiamo dire, in verità, che la Chiesa ha più martiri che nel tempo dei primi secoli. La Chiesa ha tanti uomini e donne che sono calunniati, che sono perseguitati, che sono ammazzati in odio a Gesù, in odio alla fede: questo è ammazzato perché insegna catechismo, questo viene ammazzato perché porta la croce… Oggi, in tanti Paesi, li calunniano, li perseguono… sono fratelli e sorelle nostri che oggi soffrono, in questo tempo dei martiri”. 

La nostra, ha ripetuto Papa Francesco”, "è un’epoca con più martiri che non quella dei primi secoli”. E un’epoca di così "tante turbolenze spirituali” ha richiamato alla mente del Pontefice l’immagine di un’icona russa antica di secoli, quella della Madonna che copre con il suo manto il popolo di Dio:

"Noi preghiamo la Madonna che ci protegga, e nei tempi di turbolenza spirituale il posto più sicuro è sotto il manto della Madonna. E’ la mamma che cura la Chiesa. E in questo tempo di martiri, è lei un po’ – non so se si dice così, in italiano – la protagonista, la protagonista della protezione: è la mamma. (…) Diciamole con fede: ‘Sotto la tua protezione, Madre, è la Chiesa. Cura la Chiesa’”.

15/0472013 fonte Radio Vaticana

Papa Francesco nella Basilica di San Paolo: l'incoerenza mina la credibilità della Chiesa
      






Il Signore "ci invia ad annunciarlo con gioia come il Risorto”. E’ un forte invito alla testimonianza con la parola e con la vita, che Papa Francesco rivolge nella Messa presieduta ieri pomeriggio in occasione della sua prima visita alla Basilica di San Paolo fuori le Mura. A concelebrare con lui anche Dom Edmund Power, padre Abate dell’Abbazia di San Paolo e il cardinale James Michael Harvey, arciprete della Basilica papale, che gli ha rivolto un indirizzo di saluto. Numerosi i presenti. All’inizio il Pontefice è sostato in preghiera al Sepolcro di San Paolo e ha incensato il Trophæun dell’Apostolo. Il servizio di Debora Donnini: 

San Paolo ha annunciato il Signore con la parola, lo ha testimoniato con il martirio e lo ha adorato con tutto il cuore. Partendo dalla figura dell’Apostolo delle Genti, di Pietro e degli altri Apostoli, l’omelia di Papa Francesco si dipana su tre verbi: "Annunciare, testimoniare, adorare”. Riferendosi alla prima lettura, il Papa ricorda come gli Apostoli annuncino con coraggio quello che hanno ricevuto. Non li ferma il comando di tacere, non li ferma l’"essere flagellati” o "il venire incarcerati”. "E noi?”, si chiede il Papa:

"Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio”.

L’incontro con Cristo dà una direzione nuova e dunque gli Apostoli rendono testimonianza anche con la vita. Nel Vangelo proclamato Cristo ricorda a Pietro che quando sarà vecchio, un altro lo porterà dove lui non vuole: 

"E’ una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato”.

Come in un "grande affresco” vi sono tanti colori e sfumature, così certamente anche la testimonianza della fede ha tante forme. "Nel grande disegno di Dio” – afferma il Pontefice – ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia”. "Ci sono i santi di tutti i giorni”, "i santi nascosti”, "una sorta di classe media della santità, come diceva uno scrittore francese”, "di cui tutti possiamo fare parte”. Ma, rileva ancora, "in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue”. "Ricordiamolo bene tutti”, dice Papa Francesco: "Non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio”: 

"Mi viene in mente adesso un consiglio che San Francesco di Assisi dava ai suoi fratelli: 'Predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole'. Predicare con la vita, la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa”.

Ma annunciare e testimoniare sono possibili solo se "siamo vicini a Lui”. "Questo è un punto importante per noi”, dice il Papa: "Vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita”. "Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore?”, chiede Papa Francesco ricordando cosa significhi adorare il Signore: "Fermarci a dialogare con Lui”, "credere, non semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita”, "vuol dire – prosegue il Pontefice – che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, della nostra storia”. Fare questo, spiega, ha una come conseguenza nella nostra vita di spogliarci dei "tanti idoli piccoli e grandi” nei quali molte volte "riponiamo la nostra sicurezza” e che spesso teniamo ben nascosti come "l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita” e ancora "qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri”:

"Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita”.

Il Signore "ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli” e ci invita – conclude il Papa – ad annunciarlo come il Risorto con la parola e la testimonianza della nostra vita spogliandoci degli idoli e adorando Lui solo. 

Al termine della Messa, il Papa si è recato nella Cappella del Crocifisso per venerare l’icona della Madonna Theotokos Hodigitria (XIII secolo), davanti alla quale il 22 aprile 1541 Sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni fecero la loro professione religiosa solenne, evento fondamentale per la nascente Compagnia di Gesù.



15/04/2013 fonte Radio Vaticana

Card. Gracias: Con umiltà servirò il papa per la riforma della Curia

di Nirmala Carvalho
L’arcivescovo di Mumbai è uno dei cardinali scelti dal papa per la guida della Chiesa universale e studiare la revisione della Curia romana. Ad AsiaNews racconta il suo contributo a questa nuova missione. L’esperienza della Chiesa in Asia, una terra "ricca di antiche culture, lingue e religioni, vittima di povertà, ingiustizia, emarginazione e degrado”, ma anche "patria di un profondo senso del sacro e della famiglia”.


Mumbai (AsiaNews) - "È con profonda umiltà e gratitudine che mi pongo al servizio della Chiesa e universale e del papa attraverso questa missione. Il Santo Padre ha voluto rappresentare tutta la Chiesa e ha scelto noi, provenienti da ogni angolo del mondo, per conoscere e comprendere i sentimenti dei popoli, con cui siamo in diretto contatto". Con queste parole il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci), commenta ad AsiaNews la nomina nel gruppo di cardinali consiglieri scelti da papa Francesco per studiare una riforma della Curia romana.

Il papa ha indicato nomi provenienti da tutti i continenti, a indicare il carattere "universale" e l'esigenza di collegialità nella guida della Chiesa. Come unico asiatico e presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), il card. Gracias porterà la sua esperienza di un continente variegato e complesso. "L'Asia - sottolinea - è nota per essere un ricco mosaico di antiche culture e lingue, e il continente più grande e popoloso al mondo: è la patria di almeno 60% dell'umanità. È anche un continente giovane, perché circa il 40% delle persone è sotto i 15 anni. In tutta l'Asia vi sono più 30 megalopoli, con una popolazione che varia dai 5 fino ai 20 milioni di persone".

Ma il continente asiatico, nota il card. Gracias, non è solo fatto di grandi numeri: "Qui siamo ricchi di culture non cristiane. Questa terra è la patria di tre grandi religioni: induismo, buddismo e islam. L'85% dei non cristiani del mondo vive in Asia". Questa "diversità di popoli, culture, lingue e religioni - spiega - è una caratteristica peculiare dell'Asia. Ogni giorno ci si deve confrontare con realtà di povertà, ingiustizia, impotenza, emarginazione e degrado ecologico. Ogni giorno si devono affrontare problemi legati al fondamentalismo, alle rivalità etniche e religiose, al potere e al traffico di armi".

Un altro aspetto rilevante delle culture asiatiche "è il nostro senso del trascendente: un profondo senso di sacro prevale ancora tra i popoli asiatici, così come la centralità della famiglia. Tuttavia, la globalizzazione economica sta portando anche globalizzazione culturale, e questo sta gradualmente ridisegnando il sistema di valori delle famiglie asiatiche". Nella sua esortazione apostolica Ecclesia in Asia, ricorda il porporato, Giovanni Paolo II parla di "un innato intuito spirituale ed una saggezza morale tipica dell'animo asiatico, che costituisce il nucleo attorno al quale si edifica una crescente coscienza di 'essere abitante dell'Asia'. Tale coscienza piò essere meglio scoperta ed affermata non tanto nella contrapposizione o nell'opposizione, quanto piuttosto nella complementarità e nell'armonia".

Di fronte a questa realtà  complessa e variegata, l'arcivescovo ribadisce l'importanza del "dialogo, che deve focalizzarsi sia sulla celebrazione dei buoni valori asiatici, sia sulla critica della cultura orientata al mercato, consumistica ed edonistica di oggi".

Dopo l'elezione di papa Francesco, il card. Gracias ha avuto modo di parlarci in modo informale. "Durante una delle nostre conversazioni - racconta - il Santo Padre mi ha parlato dei tribali. Quando ero cancelliere della diocesi di Jamshedpur, ho conosciuto in modo diretto queste popolazioni, il loro stile di vita e il loro legame con tradizione e natura. L'obiettivo della Chiesa in Asia è proteggere queste persone, affermare la loro dignità di esseri umani, promuovere il loro sviluppo sociale e proteggerli contro la discriminazione che nasce dalla globalizzazione incontrollata. Oggi in Asia ci sono milioni di laici cristiani, centinaia di sacerdoti e religiosi, decine di vescovi e cardinali che appartengono a gruppi tribali". 

 
15/04/2013 fonte Asia news

Mongolia, "toccare con mano" i luoghi di Cristo per stimolare una piccola comunità in crescita

Mons. Wenceslao Padilla porta ai cattolici mongoli la testimonianza di Cristo attraverso il proprio viaggio in Terra Santa. Una catechista: "Abbiamo ‘visitato’ insieme i luoghi in cui Cristo ha dato testimonianza di sé”.


Ulaanbaatar (AsiaNews) - Il recente viaggio compiuto da mons. Padilla in Terra Santa è stato lo spunto per l'incontro tenuto dal Prefetto apostolico di Ulaanbaatar con la comunità dei catechisti mongoli dal titolo "Testimonianze di Cristo". In un Paese nel quale l'azione missionaria compirà questo luglio 21 anni, anche alcune fotografie dei luoghi sacri hanno rappresentato un importante spunto di riflessione per i venti catechisti che hanno preso parte all'evento. "Attraverso il viaggio del vescovo abbiamo 'visitato' insieme i luoghi in cui Cristo ha dato testimonianza di sé" racconta una giovane presente all'incontro.

Immagini del monte Tabor, del lago Tiberiade, del fiume Giordano e di molti altri luoghi sacri hanno fatto dunque da sfondo alle testimonianze di alcuni cattolici locali e a una riflessione dello stesso mons. Wenceslao Padilla. Sempre la giovane catechista spiega: "Il vescovo ha poi parlato delle testimonianze attuali, in riferimento agli ultimi tre Papi. Parlando di Giovanni Paolo II come il Papa della speranza, di Benedetto XVI come il Papa della fede e di Francesco come il Papa della carità".

In Mongolia si contano ad oggi circa 900 fedeli; in occasione della scorsa Pasqua sono state registrate decine di battesimi e la comunità è in costante crescita. Al momento nel Paese esistono sei centri parrocchiali e 2 anni fa, per la prima volta, un cattolico mongolo ha fatto il suo ingresso in seminario ospite della diocesi sudcoreana di Daejeon.

L'ateismo di Stato ha ostacolato per anni la diffusione religiosa, ma 20 anni fa una piccola realtà cattolica ha iniziato a prendere vita  grazie all'azione di mons. Padilla e di altri missionari dal sud est asiatico. Al loro impegno si deve la fondazione di una comunità viva e dinamica, capace di coniugare l'energia e la ritualità locali all'azione cattolica.

 
15/04/2013 fonte Asia News

Terremoto a Bushehr, si scava fra le macerie in cerca dei superstiti

Per la Mezzaluna rossa, il sisma del 9 aprile ha raso al suolo oltre 90 villaggi e ucciso fino ad ora 37 persone. Sale a 850 il numero dei feriti. Molte aree restano ancora isolate. Papa Francesco vicino alle vittime del terremoto.


Teheran (AsiaNews/ Agenzie) - Nelle aree colpite dal terremoto di magnitudo 6.3 avvenuto lo scorso 9 aprile nella provincia meridionale di Bushehr si scava fra le macerie in cerca dei sopravvissuti. Mahmoud Mozafar, responsabile della mezzaluna rossa iraniana racconta che il sisma ha raso al suolo più di 90 villaggi. Fino ad ora 37 persone sono morte, mentre sono oltre 850 gli abitanti rimasti feriti e migliaia gli sfollati.  I soccorsi hanno allestito oltre 2mila tende nelle aree più colpite. "Dopo la ricerca dei sopravvissuti - afferma Mozafar -  la nostra priorità è raggiungere i villaggi rimasti isolati". Intanto, le autorità iraniane confermano che la centrale nucleare di Bushehr, situata a soli 96 km a nord-ovest dell'epicentro, non ha subito danni.  

Ieri, all'udienza generale, papa Francesco ha invitato tutti i cattolici a pregare per le popolazioni colpite dal sisma: "Ho seguito la notizia del forte terremoto che ha colpito l'Iran meridionale e ha causato molti morti, feriti e ingenti danni. Prego per le vittime ed esprimo la mia vicinanza alle persone colpite da questa calamità. Preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle dell'Iran". Le parole del pontefice sono state diffuse anche da diverse agenzie locali. Oggi, anche gli Stati Uniti hanno inviato messaggi di condoglianze al governo iraniano, sottolineando che "Washington è pronta ad aiutare l'Iran in questo momento di bisogno". 

La Repubblica islamica si trova su alcune delle principali faglie sismiche del continente asiatico e i terremoti, anche devastanti, sono molto frequenti. Nel 2003, circa 26.000 persone sono state uccise da un terremoto di magnitudo 6,6 che rase al suolo la storica città di Bam nel sud-est del Paese. Nell'agosto 2012 due forti scosse nel nord-ovest dell'Iran hanno ucciso più di 300 persone.  

A Bam è attiva da diversi anni l'unica missione della Caritas in Iran.

 

 11/04/2013 fonte Asia news

IL SANTO DEL GIORNO 09/04/2013 Santa Casilda di Toledo Vergine




La vergine spagnola Casilda (Casilla) visse probabilmente nell’XI secolo; i primi documenti storici che parlano di lei, risalgono però al XV secolo; il culto fu abbastanza popolare anche se le biografie successive riportano fatti incredibili.
Eliminando gli episodi leggendari, si può dire che Casilda, figlia dell’emiro di Toledo al-Mamun (ma secondo altri, figlia del governatore di Cuenca, Ben Cannon), fu educata nella religione musulmana, nonostante ciò, sin dalla prima giovinezza mostrò compassione verso i cristiani imprigionati dal padre, aiutandoli come poteva.
Siamo al tempo della dominazione araba in Spagna; un giorno si ammalò e non avendo fiducia nei medici arabi, decise di recarsi in pellegrinaggio al santuario di S. Vincenzo di Briviesca (Burgos), molto celebre per le sue acque, ritenute prodigiose, cui facevano uso i pellegrini specie quelli affetti da emorragie.
Anche Casilda guarì, decidendo poi di farsi cristiana e di condurre una vita solitaria e penitente presso la fonte miracolosa che in seguito prese il suo nome.
La vergine penitente visse molti anni, si dice centenaria; l’anno della sua morte non è stato possibile individuarlo; il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Vincenzo.
Il 21 agosto del 1750 le sue reliquie ebbero una solenne traslazione in un nuovo santuario. La sua festa liturgica si celebra il 9 aprile.
Artisti famosi per lo più spagnoli, come il Murillo, Zurbarán, Bayeu y Subias, la raffigurano vestita con gli abiti sontuosi e regali, della loro epoca.


Papa Francesco riceve Ban Ki-moon: lavorare per la pace in Siria, Corea e Africa
    



Un incontro che ha visto affrontate le maggiori crisi che agitano oggi il pianeta, dalla Siria alla Corea, e il ruolo di pace che in questi scenari e non solo investe l’Onu. Sono i temi dell’udienza svoltasi questa mattina tra Papa Francesco e il segretario generale delle Naizoni Unite, Ban Ki-moon. Nella nota ufficiale, che definisce "cordiali” i colloqui, si sottolinea che l’analisi è stata incentrata "sulle situazioni di conflitto e di grave emergenza umanitaria, soprattutto quella in Siria, e altre, come quella nella penisola coreana e nel Continente africano, dove la pace e la stabilità sono minacciate”. Inoltre, "si è fatto cenno al problema della tratta delle persone, in particolare delle donne, e a quello dei rifugiati e dei migranti".

"Papa Francesco – riferisce il comunicato – ha anche ricordato il contributo della Chiesa Cattolica, a partire dalla sua identità e con i mezzi che le sono propri, in favore della dignità umana integrale e per la promozione di una Cultura dell’Incontro che concorra ai più alti fini istituzionali dell’Organizzazione”. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu – che è all’inizio del suo secondo mandato – "ha esposto il suo programma per il quinquennio, incentrato, tra l’altro, sulla prevenzione dei conflitti, la solidarietà internazionale e lo sviluppo economico equo e sostenibile”.

"L’incontro che – specifica ancora la nota – si colloca nella tradizione delle udienze concesse dai Pontefici ai vari segretari generali delle Nazioni Unite succedutisi nel tempo, vuole esprimere l’apprezzamento che la Santa Sede nutre per il ruolo centrale dell’Organizzazione nella preservazione della pace nel mondo, nella promozione del bene comune dell’umanità e nella difesa dei diritti fondamentali dell’uomo”.

Al termine dell’udienza, con il Papa Ban Ki-Moon si è successivamente incontrato con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, accompagnato da Mons. Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati.



09/04/2013 fonte Radio Vaticana

Indonesia: a Giakarta centinaia di cristiani, ahmadi e sciiti in piazza per la libertà religiosa



Sigilli alle chiese protestanti, minacce ai cattolici durante la Settimana Santa, chiusura di moschee e istituti appartenenti alla setta ahmadi, piccoli e grandi casi di emarginazione quotidiana. Per sensibilizzare l'opinione pubblica e i media stranieri sulle frequenti violazioni ai diritti delle minoranze religiose – riferisce l’agenzia AsiaNews - ieri centinaia di cristiani, ahmadi e musulmani sciiti hanno marciato per le vie di Jakarta, chiedendo al governo - da tempo nel mirino delle critiche - misure rapide ed efficaci per garantire una piena libertà religiosa e pari diritti fra cittadini. Come garantito peraltro dalla stessa Costituzione e dai principi fondatori - i Pancasila - dell'Indonesia, la nazione musulmana (a larga maggioranza sunnita) più popolosa al mondo. I 300 manifestanti che si sono dati appuntamento ieri per le vie della capitale hanno lanciato slogan e condiviso una preghiera, ciascuno secondo la propria fede. A seguire, essi hanno intonato l'inno nazionale e marciato in direzione della Camera dei deputati. Si tratta di una scelta simbolica, come avvenuto in passato per i fedeli della Yasmin Church (Yc) e della Christian Protestant Batak Church (Hkbp), che avevano scelto di manifestare davanti alla residenza ufficiale del presidente della Repubblica. Il pastore Simanjutak, leader della comunità protestante Hkbp, plaude alla marcia interreligiosa, che lancia un chiaro messaggio alle "dormienti" autorità; fra queste, egli non risparmia critiche al capo di Stato Susilo Bambang Yudhoyono, che non avrebbe fatto nulla "per impedire gli attacchi di gruppi estremisti". Una conferma alla gravità dell'allarme arriva dall'organizzazione attivista Setara Institute, secondo cui solo lo scorso anno si sono verificati almeno 264 attacchi ed episodi di violenze diretti o indiretti contro minoranze religiose. Pur garantendo fra i principi costituzionali la libertà religiosa, l'Indonesia è sempre più spesso teatro di attacchi e violenze contro le minoranze. Nella provincia di Aceh - unica nell'arcipelago - vige la legge islamica, la Sharia, e in molte altre aree si fa sempre più radicale ed estrema la visione e l'influenza della religione musulmana nella vita dei cittadini. Inoltre, alcune norme come il permesso di costruzione - il famigerato Imb, Izin Mendirikan Bangunan - vengono sfruttate per impedire l'edificazione o mettere i sigilli a luoghi di culto non islamici. In risposta, il governo accusa alcuni leader delle minoranze di strumentalizzare la norma spostando su un piano "politico-religioso" quella che è, invece, una mera questione amministrativa. In particolare, più volte in passato il ministro degli Affari religiosi Suryadharma Ali ha attaccato la Yc e la Hkbp per aver messo in cattiva luce il governo e il Paese sui media internazionali. (R.P.)


09/04/2013 fonte Radio Vaticana





Vaticano, presentata Conferenza su medicina rigenerativa basata sulle staminali adulte




Seconda Conferenza internazionale in Vaticano sulla "Medicina rigenerativa: cambiamento fondamentale nella scienza e nella cultura”. I lavori - previsti da giovedì 11 a sabato 13 aprile, nell’Aula Nuova del Sinodo - sono stati presentati stamani ai giornalisti nella Sala Stampa Vaticana, presenti il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, insieme a Robin Smith, amministratrice delegata della Società farmaceutica statunitense Neo Stem e presidente della Stem for Life Foundation, partner nell’iniziativa. Con loro anche mons. Tomasz Trafny, capo del Dipartimento scientifico del dicastero vaticano. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Cinque anni di intensa collaborazione tra il Pontificio Consiglio della Cultura e la società Neo Stem, tra la Fondazione vaticana Stoq (Scienza, teologia e questione ontologica) e la "Stem for Life Foundation". La seconda Conferenza sulla medicina rigenerativa – la prima, sempre in Vaticano, si è tenuta nel novembre 2011 – farà il punto sulla ricerca nel campo della cellule staminali adulte e sui risultati raggiunti nella cura di un grande numero di patologie, anche tumorali e circolatorie e di malattie croniche come il morbo di Parkinson o l’Alzheimer, o di prevenzione ad esempio di ictus. La Chiesa è impegnata concretamente in un ambito "molto complesso”, ha sottolineato il cardinale Ravasi, per rispondere alla domanda di aiuto che arriva da tanti malati nel mondo e dalle loro famiglie:

"Bisogna venire incontro al dramma della sofferenza in alcuni ambiti delicatissimi, pensiamo solo al settore dell’Alzheimer. Quindi, un grido che viene lanciato da molte famiglie, di fronte a questi orizzonti, che sono così terrificanti. Il nostro interessarci, dunque, è anche per mostrare che la fede, la religione non è soltanto quella che interviene quando ci sono questioni di bioetica: non interviene solo negativamente, ma afferma anche la propria partecipazione a uno sviluppo positivo, tenendo ben presente che buona parte della vita pubblica di Cristo – nel Vangelo di Marco è l’esatta metà – è dedicata a guarigioni di malati”.

Dunque, "mani in azione e non solo parole” da parte della Chiesa, ha aggiunto il porporato:

"Per cui, questo lavoro è anche per creare in futuro un aiuto, un sostegno, un benessere migliore dal punto di vista umano ed anche economico”.

Ha fatto eco al presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura la dott.ssa Smith, della società Stem:

"Our Second International Vatican Adult..."

Scopo della Conferenza, ha detto, è quello "di informare il mondo sul potere e sulla promessa rappresentata da queste terapie, per essere sicuri che questa scienza sia descritta in maniera accessibile a tutti”, superando la grande confusione originata dalle polemiche insorte negli ultimi 20 anni. Oggi vi sono – ha ricordato Smith – "politici e straordinari scienziati di tutto il mondo”, al lavoro per sostenere le cure basate sulle cellule staminali adulte.

Presenti alla Conferenza, oltre a studiosi di ogni parte del mondo, tra questi il premio Nobel John Gurdon, diversi pazienti di ogni età che racconteranno le loro esperienze positive di cura.



09/04/2013 fonte Radio Vaticana

Papa Francesco: non giudicare né sparlare mai, il cristiano è mite e caritatevole




Lo Spirito porti la pace nelle comunità cristiane e insegni ai suoi membri ad essere miti, rinunciando a sparlare degli altri. Con questo auspicio, Papa Francesco ha concluso l’omelia della Messa celebrata questa mattina nella "Casa S. Marta”, alla presenza di personale del Fondo di Assistenza sanitaria del Vaticano e dei Servizi generali del Governatorato. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Erano un cuor solo e un’anima sola, grazie allo Spirito che li aveva fatti rinascere a una "vita nuova”. Ciò che all’anno zero della Chiesa ha saputo essere la prima comunità cristiana è modello intramontato e intramontabile per la comunità cristiana di oggi. Papa Francesco l’ha ribadito in modo incisivo partendo dal dialogo evangelico tra Gesù e Nicodemo, il quale non afferra subito in che modo un uomo possa "nascere di nuovo”. Di nuovo, ha ripetuto il Papa, vuol dire dallo Spirito Santo, "è la vita nuova che noi abbiamo ricevuto nel Battesimo”. Vita – ha però soggiunto – che "si deve sviluppare”, "non viene automaticamente”. Dobbiamo "fare di tutto – ha affermato Papa Francesco – perché quella vita si sviluppi nella vita nuova”, "è un laborioso cammino”, che "principalmente dipende dallo Spirito” e insieme dalla capacità di ciascuno di aprirsi al suo soffio.

E questo, ha indicato il Papa, è esattamente ciò che accadde ai primi cristiani. Loro avevano la "vita nuova”, che si esprimeva nel vivere con un cuore solo e un’anima sola. Avevano, ha osservato, "quell’unità, quell’unanimità, quell’armonia dei sentimenti nell’amore, l’amore mutuo…”. Una dimensione oggi da riscoprire: per esempio – ha detto Papa Francesco – l’aspetto della "mitezza nella comunità”, virtù "un po’ dimenticata”. La mitezza, ha stigmatizzato, ha "tanti nemici”. Il primo sono le "chiacchiere”. Papa Francesco vi si è soffermato con molto realismo: "Quando si preferisce chiacchierare, chiacchierare dell’altro, bastonare un po’ l’altro – sono cose quotidiane, che capitano a tutti, anche a me – sono tentazioni del maligno che non vuole che lo Spirito venga da noi e faccia questa pace, questa mitezza nelle comunità cristiane”. "Sempre – ha constatato – ci sono queste lotte”: in parrocchia, in famiglia, nel quartiere, tra amici. "E questa – ha ripetuto – non è la vita nuova”, perché quando lo Spirito viene "e ci fa nascere in una vita nuova, ci fa miti, caritatevoli”.

Quindi, come un maestro di fede e di vita, il Papa ha ricordato quale sia il comportamento giusto per un cristiano. Primo, "non giudicare nessuno” perché "l’unico Giudice è il Signore”. Poi "stare zitti” e se si deve dire qualcosa dirla agli interessati, a "chi può rimediare alla situazione”, ma "non a tutto il quartiere”. "Se, con la grazia dello Spirito – ha concluso Papa Francesco – riusciamo a non chiacchierare mai, sarà un gran bel passo avanti” e "ci farà bene a tutti”.


09/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 06/04/2013 beata Caterina Morigi di Pallanza




Nacque a Pallanza (Novara) verso il 1437. Sembra che la sua naturale tendenza alla vita ascetica e religiosa sia stata sviluppata ad opera del famoso predicatore Alberto da Sarteano, francescano, appartenente al convento milanese di Sant'Angelo. Infatti, poco dopo il 1450, si unì ad un gruppo di pie donne, che conducevano vita eremitica nelle grotte del Sacro Monte di Varese, sotto la guida dell'arciprete del santuario mariano di quel luogo. Dopo alterne vicende, Caterina costituì un gruppo stabile di eremite composto di cinque persone e nel 1472-73, per mezzo del duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, chiese a Sisto IV il permesso di condurre vita eremitica, fatta di preghiera e di penitenza, secondo la regola di sant'Agostino e le costituzioni dell'Ordine abbaziale milanese di Sant'Ambrogio ad Nemus, e, inoltre, la facoltà di recitare l'Ufficio divino secondo il rito ambrosiano. Con bolla del 10 novembre 1474 il papa autorizzava l'erezione del monastero secondo i desideri di Caterina e, il 28 settembre 1475, fissati i limiti territoriali del romitaggio, concedeva alle religiose di portare il velo nero come le Clarisse. La comunità iniziò ufficialmente la sua nuova vita il 10 agosto 1476, quando, emessi i voti e ricevuto il velo, le romite elessero come loro prima badessa la beata Caterina, la quale tenne la carica fino alla morte che avvenne il 6 aprile 1478. Le succedette Benedetta da Biumo, una delle sue prime compagne, che redasse la biografia della beata.

Nella Pentecoste dell'anno 1729, il vescovo di Bobbio, a nome del cardinale Benedetto Odescalchi, arcivescovo di Milano, confermò il culto di Caterina da Pallanza e della sua prima compagna, Giuliana Puricelli. Le loro reliquie furono traslate nel vicino santuario mariano, in un oratorio costruito in loro onore e ornato da pitture di A. Busca, ove, ancor oggi, sono venerate. Il 12 settembre 1769, la Sacra Congregazione dei Riti riconobbe il culto ab immemorabili delle due beate e, il 16 settembre dello stesso anno, il papa Clemente XIV lo confermò. La festa liturgica della beata è celebrata il 6 aprile con Ufficio proprio nel monastero, nel santuario del Sacro Monte di Varese, a Pallanza e a Busto Arsizio: quando cade nel corso della Quaresima, è posticipata al 27 aprile.

A Pallanza, nella cappella della chiesa di San Leonardo dedicata a Caterina, è una statua, di modesto artigiano locale, che la rappresenta in atto di adorazione del Crocifisso.


Il card. Bagnasco: di fronte alla crisi dell'occupazione non stancarsi di cercare soluzioni e mai perdere la speranza
     



Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana e arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, incontrando questa mattina il mondo del lavoro presso il Santuario ligure della Guardia, ha commentato l'annuncio di esuberi di Selex e i drammi provocati dalla crisi. Ce ne riferisce Dino Frambati: 
"La crisi Selex è una situazione grave che ci preoccupa moltissimo. Ho sentito parlare di un esubero notevole. Ci facciamo vicini ai dipendenti ed alle famiglie. Preghiamo per loro, li esortiamo a restare uniti, per trovare vie di soluzione alternative”. Parole accorate del cardinale Angelo Bagnasco, stamattina al Santuario mariano della Guardia a Genova, a margine del ritiro per il mondo del lavoro. Il riferimento dell'arcivescovo era ai 2.500 esuberi annunciati, quasi 2 mila in Italia. Poi l'esortazione ad affrontare i problemi per risolverli, per trovare le strade. "Non sempre le migliori in assoluto ma saranno passi concreti”, ha detto. "Tendendo all'ottimo – ha insistito il presidente Cei - si resta fermi. Tante cose a volte si inceppano nella nostra società, perché, non accettando i limiti, si resta fermi”. "Sono situazioni che devono farci pensare seriamente e uscire dall'impasse” ha detto invece commentando la tragedia dei suicidi di Civitanova Marche, causa crisi. Ed ha invitato a preghiera e sacramenti perché, ha detto, la forza "ci viene dall'alto, dal Signore”. Indispensabile aiuto per affrontare situazioni familiari "pesi umanamente insostenibili: malattie, bambini malati, anziani immobili, far quadrare il bilancio familiare”, per poterli sopportare "con umiltà e semplicità senza togliersi la vita”. Positivo infine per il porporato, l'annuncio di una nuova nave per Fincantieri a Genova. Significherebbe un anno e mezzo di lavoro.



06/04/2013 fonte Radio Vaticana

Centrafrica: nuovi spiragli di pace per la risoluzione del conflitto



Il Capo di Stato autoproclamato Michel Djotodia, dopo un incontro avvenuto a Bangui con le delegazioni della Comunità economica dei paesi dell’Africa centrale (Ceeac) composta dai ministri degli Esteri dell’organismo regionale, da rappresentanti dell’Unione Africana, dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e dall’inviato speciale dei Paesi francofoni, il belga Louis Michel, si è impegnato a rispettare le proposte sul corso della transizione formulate al vertice di N’Djamena. Ciò significa che l’ex capo ribelle Djotodia, dovrebbe modificare il quadro della transizione precedentemente delineato riducendo la sua durata da 3 anni a 18 mesi e affidandone la guida a un Consiglio nazionale di transizione (Cnt) incaricato di eleggere un suo presidente e un Capo dello Stato ad interim. Dovrebbe anche essere creato un organismo legislativo che avrà come mandato la redazione di una nuova costituzione e il voto delle principali leggi in attesa dell’elezione di un parlamento alla fine della transizione. "La situazione nel Paese è ancora grave e la situazione politica è incerta”, rivelano fonti locali all’agenzia Misna. "Negli ultimi giorni abbiamo assistito a lotte accese tra esponenti politici, elementi della ribellione e altre componenti per l’assegnazione delle poltrone governative facendo prevalere ancora una volta gli interessi personali sulle necessità urgenti della popolazione”. Nella capitale, intanto, la vita è ancora ferma: "Oggi solo uno sportello per il ritiro di contanti è in funzione e nessun supermercato ha riaperto. Per le strade la fanno da padrone i ribelli che ogni tanto sparano colpi d’arma da fuoco in aria. In alcuni quartieri vengono disarmati dalle pattuglie delle forze armate dei paesi dell’Africa centrale (Fomac) mentre nelle zone più periferiche compiono ancora attacchi mirati a scopo di estorsione” aggiunge l’interlocutore della Misna. La crisi cominciata lo scorso dicembre, sfociata nel colpo di stato della Seleka (alleanza in lingua sango) che ha portato la coalizione a prendere il potere a Bangui il 24 marzo scorso, sta avendo un pesante costo economico e finanziario in un Paese già allo stremo, dove annose ribellioni e corruzione diffusa hanno bloccato o dirottato i proventi dello sfruttamento del ricco sottosuolo. (G.F.)



06/04/2013 fonte Radio Vaticana

Alla Lateranense, convegno sulla crescita economica dell’Europa

      




"Competitività e competenza. Quale crescita per l’Europa del futuro?”: è il tema di un incontro alla Pontificia Università Lateranense, il prossimo 17 aprile. L’evento si inserisce nel ciclo di seminari dell’ateneo intitolato "La dimensione europea dell’Economia sociale di mercato”. Organizzati dall'Area di Ricerca Internazionale "Caritas in Veritate" della Lateranense, presieduta dal prof. Flavio Felice, e dalla rappresentanza in Italia della Fondazione Konrad Adenauer in collaborazione con il Centro studi Tocqueville-Acton, questi appuntamenti intendono riflettere sull'economia sociale di mercato, come sistema aperto, all'interno della visione di governance dell’Unione europea. Il dibattito, moderato dal direttore della rivista Formiche, Michele Arnese, sarà introdotto dai saluti del prof. Giovanni Manzone della Pontificia Università Lateranense e di Katja Christina Plate, direttrice della rappresentanza Italiana della Konrad-Adenauer-Stiftung. Di seguito interverranno Nicola Rossi, docente di Economia politica presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Enzo Di Nuoscio, docente di Filosofia della Scienza presso l'Università del Molise e Dario Antiseri, membro del Comitato Scientifico della Scuola Internazionale Alti Studi del Collegio San Carlo Modena. (A.G.)


06/04/2013 fonte Radio Vaticana

Il card. Amato proclama Beato padre Cristoforo di Santa Caterina, testimone della carità nella Spagna del 1600




Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha presieduto stamane nella Cattedrale di Cordova, in Spagna, la Beatificazione di padre Cristoforo di Santa Caterina, fondatore della Congregazione ospedaliera di Gesù Nazareno. Si tratta del primo Beato del Pontificato di Papa Francesco. Sulla figura di padre Cristoforo, ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti: 

Padre Cristoforo nasce a Mérida, nel sudest della Spagna, il 25 luglio 1638, da un’umile famiglia cristiana: sin da piccolo lavora nei campi per aiutare i genitori e gli altri 5 fratelli. A 10 anni sente già con forza il richiamo di Dio: si reca di nascosto in un convento di Francescani chiedendo di poter diventare monaco. I frati lo riportano a casa, dove la madre stava pregando disperata, dandolo per disperso. Inizia a lavorare nell’ospedale di Nostra Signora della Pietà, gestito dai Fatebenefratelli, distinguendosi per la cura delicata dei malati. Sacerdote a 24 anni, diventa cappellano di un battaglione di fanteria. E’ un’esperienza dura: confessa i soldati, assiste i feriti fino allo stremo. Più volte rischia di morire sotto le bombe. Gli orrori della Guerra dei 30 anni (1618-1648) lo spingono ad una vita solitaria nel deserto di Bañuelo, dove resta due anni.

Nel silenzio della preghiera sente nel cuore il desiderio di cercare il volto di Cristo nei poveri, nei contadini, nelle donne umiliate, nei bambini abbandonati, nei malati: per loro, chiede l’elemosina percorrendo giorno e notte le strade di Cordova. Un’esperienza che lo porta a fondare una nuova Congregazione d’ispirazione francescana: quella dei fratelli e delle sorelle ospedalieri di Gesù Nazareno e dell’omonimo ospedale a Cordova, sulla cui porta d’ingresso padre Cristoforo fa scrivere: "La mia Provvidenza e la tua fede terranno in piedi questa casa". Vuole assomigliare a Gesù che ha preso su di sé le sofferenze degli altri. Nell’ospedale cura i malati gratuitamente, accogliendo con amore anche quanti sono colpiti dalla peste. Durante un’epidemia di colera, incurante del contagio continua a curare e a dare coraggio: muore colpito a sua volta dal morbo il 24 luglio 1690 stringendo in petto un crocifisso. Il giorno dopo, avrebbe compiuto 52 anni. Padre Cristoforo era noto per le sue poche parole. Ma in tanti di lui dicevano: "Io imparo molto di più vedendo padre Cristoforo mentre chiede l’elemosina per strada, che sentendo molte prediche”.



06/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 05/04/2013 San Vincenzo Ferrer sacerdote
Due mesi dopo il suo ritorno definitivo da Avignone a Roma, papa Gregorio XI muore nel marzo 1378. E nell’Urbe tumultuante ("Vogliamo un papa romano, o almeno italiano"), i cardinali, in maggioranza francesi, eleggono il napoletano Bartolomeo Prignano (Urbano VI). Ma questi si scontra subito con i suoi elettori, e la crisi porta a un controconclave in settembre, nel quale gli stessi cardinali fanno Papa un altro: Roberto di Ginevra (Clemente VII) che tornerà ad Avignone. Così comincia lo scisma d’Occidente, che durerà 39 anni. La Chiesa è spaccata, i regni d’Europa stanno chi con Urbano e chi con Clemente. Sono divisi anche i futuri santi: Caterina da Siena (che ha scritto ai cardinali: "Oh, come siete matti!") è col Papa di Roma. E l’aragonese Vincenzo Ferrer (chiamato anche Ferreri in Italia) sta con quello di Avignone, al quale ha aderito il suo re. 
Vincenzo è un dotto frate domenicano, insegnante di teologia e filosofia a Lérida e a Valencia, autore poi di un trattato di vita spirituale ammiratissimo nel suo Ordine. Nei primi anni dello scisma lo vediamo collaboratore del cardinale aragonese Pedro de Luna, che è il braccio destro del Papa di Avignone, e che addirittura nel 1394 gli succede, diventando Benedetto XIII, vero Papa per gli uni, antipapa per gli altri. E si prende anche come confessore Vincenzo Ferrer, che diventa uno dei più autorevoli personaggi del mondo avignonese. Autorevole, ma sempre più inquieto, per la divisione della Chiesa. A un certo punto ci si trova con tre Papi, ai quali il Concilio riunito a Costanza, in Germania, dal novembre 1414, chiede di dimettersi tutti insieme, aprendo la via all’elezione del Papa unico. Ma uno dei tre resta irremovibile: Benedetto XIII, appunto. Allora, dopo tante esortazioni e preghiere inascoltate, viene per Vincenzo la prova più dura: annunciare a quell’uomo irriducibile, che pure gli è amico: "Il regno d’Aragona non ti riconosce più come Papa". Doloroso momento per lui, passo importante per la riunificazione, che avverrà nel 1417. 
E’ uno dei restauratori dell’unità, ma non solo dai vertici. Anzi, Spagna, Savoia, Delfinato, Bretagna, Piemonte lo ricorderanno a lungo come vigoroso predicatore in chiese e piazze. Mentre le gerarchie si combattevano, lui manteneva l’unità tra i fedeli. Vent’anni di predicazione, milioni di ascoltatori raggiunti dalla sua parola viva, che mescolava il sermone alla battuta, l’invettiva contro la rapacità laica ed ecclesiastica e l’aneddoto divertente, la descrizione di usanze singolari conosciute nel suo viaggiare... E non mancavano, nelle prediche sul Giudizio Universale, i tremendi annunci di castighi, con momenti di fortissima tensione emotiva. Andò camminando e predicando così per una ventina d’anni, e la morte non poteva che coglierlo in viaggio: a Vannes, in Bretagna. Fu proclamato santo nel 1458 da papa Callisto III, suo compatriota.
La sua data di culto è il 5 aprile, mentre l'Ordine Domenicano lo ricorda il 5 maggio.

Papa Francesco: non ci salvano i maghi, né i tarocchi o noi stessi, solo Gesù salva




Solo nel nome di Gesù c’è la salvezza: è quanto ha detto Papa Francesco stamani nella breve omelia pronunciata durante la Messa presieduta nella Cappellina della Domus Sanctae Marthae. Presenti alla celebrazione alcuni sediari pontifici e un gruppo di dipendenti della Farmacia vaticana. Il servizio di Sergio Centofanti:

Commentando le letture del Venerdì dell’Ottava di Pasqua, il Papa ricorda con San Pietro che solo nel nome di Gesù siamo salvati: "In nessun altro c’è salvezza”. Pietro, che aveva rinnegato Gesù, ora con coraggio, in prigione, dà la sua testimonianza davanti ai capi giudei, spiegando che è grazie all’invocazione del nome di Gesù che uno storpio è guarito. E’ "quel nome che ci salva”. Ma Pietro non pronuncia quel nome da solo, ma "colmato di Spirito Santo”. Infatti – spiega il Pontefice – "noi non possiamo confessare Gesù, noi non possiamo parlare di Gesù, noi non possiamo dire qualcosa di Gesù senza lo Spirito Santo. E’ lo Spirito che ci spinge a confessare Gesù o a parlare di Gesù o ad avere fiducia in Gesù. Gesù che è nel nostro cammino della vita, sempre”. Il Papa racconta un aneddoto: "Nella curia di Buenos Aires lavora un uomo umile, da 30 anni lavora; padre di otto figli. Prima di uscire, prima di andare a fare le cose che fa, sempre dice: ‘Gesù!’. E io, una volta, gli ho chiesto: ‘Ma perché sempre dici ‘Gesù’?’. ‘Ma quando io dico ‘Gesù’ – mi ha detto questo uomo umile – mi sento forte, mi sento di poter lavorare, e io so che Lui è al mio fianco, che Lui mi custodisce’. Quest’uomo – ha osservato il Papa - non ha studiato teologia, ha soltanto la grazia del Battesimo e la forza dello Spirito. E questa testimonianza – ha affermato Papa Francesco - a me ha fatto tanto bene”: perché ci ricorda che "in questo mondo che ci offre tanti salvatori”, è solo il nome di Gesù che salva. In molti – ha sottolineato – per risolvere i loro problemi ricorrono ai maghi o ai tarocchi. Ma solo Gesù salva "e dobbiamo dare testimonianza di questo! Lui è l’unico”. E "la Madonna sempre ci porta a Gesù”, come ha fatto a Cana quando ha detto: "Fate quello che Lui vi dirà!”. Così – ha concluso il Papa – affidiamoci al nome di Gesù, invochiamo il nome di Gesù, lasciando che lo Spirito Santo ci spinga "a fare questa preghiera fiduciosa nel nome di Gesù … ci farà bene!”.


05/04/2013 fonte Radio Vaticana

Siria: 300mila profughi cristiani in fuga anche dai campi Onu




Oltre 300mila cristiani stano fuggendo non solo dai loro villaggi e dalle città colpite dalla guerra, ma anche dai campi profughi dell'Onu. Lo riferisce all'agenzia AsiaNews Issam Bishara, direttore regionale della Catholic Near East Welfare Association(Cnewa) per Libano, Egitto, Siria e Iraq. Egli precisa che nessuna delle famiglie sfollate oltre i confini è rifugiata nei campi profughi Onu in Turchia e Giordania, dove gli sfollati vengono registrati come ribelli e sfruttati da un punto di vista mediatico. "In Libano - afferma - sono circa 1200 le famiglie che hanno trovato rifugio in case di amici o parenti". La maggior parte dei cristiani - riferisce AsiaNews - non figura nelle liste dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Essi si rifiutano di essere identificati come parte dell'opposizione, formata soprattutto da musulmani sunniti. I cristiani tengono al loro profilo neutrale, che li vede estranei al conflitto fra ribelli islamici e la fazione alawita di Bashar al-Assad. Per questa ragione sopravvivono senza alcun aiuto sostanziale da parte dei donatori importanti come l'Unhcr e la Croce Rossa. "Esse - spiega Bishara - hanno bisogno di tutto. L'unico sostentamento che ricevono è quello della Cnewa". La maggior parte delle famiglie cristiane rifugiate in Libano appartiene alla Chiesa armeno-cattolica di Aleppo e alle comunità greco-cattoliche di Homs e Qasayr. Le prime sono circa 500 e hanno trovato ospitalità presso la comunità cristiana di Bourj Hammoud vicino a Beirut. Le greco-cattoliche sono 550 e provengono da Al-Quasyr e Homs. Esse sono rifugiate a Zhale e Qaa nella valle della Bekaa. Qui sono attive la Caritas libanese e altre organizzazioni cristiane. Bkerke, sede del Patriarcato maronita, ha dato invece ospitalità a 75 famiglie siro-cattoliche di Homs. Altre 75 appartenenti alla comunità siro-ortodossa si sono stabilite nel convento di Ajaltoun sul Monte Libano. Bishara sottolinea però che con il passare del tempo "le famiglie ospitanti non hanno risorse sufficienti per aiutare i profughi siriani. Le richieste aumentano di giorno in giorno. Presto non potranno permettersi nemmeno gli aiuti più elementari". Dopo due anni di disordini, il conflitto fra regime e opposizione si è trasformato in una vera e propria guerra civile. Disertori dell'esercito e militanti islamisti hanno formato gruppi armati in grado di fronteggiare l'esercito di Bashar al-Assad. Lo scontro fra alawiti e sunniti ha attirato combattenti dal Medio Oriente e del Nord Africa. Anche cittadini europei starebbero combattendo fra le fila dei movimenti jihadisti attivi sul territorio. I cristiani di Siria temono la sorte delle comunità irachene, divenute bersaglio degli estremisti islamici. Dal 2003 gli islamisti continuano a colpire la minoranza con omicidi, attentati e discriminazioni di ogni genere che hanno costretto centinaia di migliaia di famiglie ad abbandonare per sempre il loro Paese. (R.P.)


05/04/2013 fonte Radio Vaticana

Missionario Pime: Chiesa vicina ai musulmani di Sulu, serve una “linea comune” fra sultani

Per p. Sebastiano D’Ambra l’incontro fra il presidente dei vescovi filippini e il "sultano” Kiram è "un buon passo”, ma serve maggiore unità fra i leader di Sulu, che devono parlare con "un’unica voce”. Il Vaticano può esercitare un’azione diplomatica alle Nazioni Unite, per una soluzione pacifica e il sostegno alle vittime delle violenze. 


Manila (AsiaNews) - L'incontro fra il presidente dei vescovi filippini Jose Palma e il "sultano" di Sulu Jamalul Kiram III è "un buon passo" e "un segno di solidarietà" della Chiesa, ma egli "non rappresenta la voce ufficiale di tutti i sultani" che devono invece trovare una "linea comune". È quanto sottolinea ad AsiaNews p. Sebastiano D'Ambra, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime) a Zamboanga (Mindanao) e fondatore di Silsillah, movimento per il dialogo islamo-cristiano. Il sacerdote spiega che la famiglia facente capo a Kiram III "ha promosso diversi tentativi, ma non siamo al cospetto del 'sultano' ufficiale, perché fra loro sono divisi e ognuno cerca di fare il proprio passo". Tuttavia, aggiunge, è un'iniziativa valida "nel solco degli sforzi diplomatici" in campo per dirimere in modo pacifico la vicenda.

Il primo aprile il "sultano" di Sulu Jamalul Kiram III ha incontrato l'arcivescovo di Cebu e presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), per discutere delle violazioni ai diritti umani ai danni dei musulmani filippini a Sabah. Il prelato ha assicurato che parlerà della questione nei prossimi giorni, in occasione di una visita in Vaticano; la Santa Sede, ha aggiunto, potrebbe sollevare in un futuro prossimo il problema umanitario alle Nazioni Unite.

Nelle scorse settimane la provincia del Borneo malaysiano è stata teatro di scontri fra esercito di Kuala Lumpur e miliziani islamici "dell'esercito reale di Sulu". Il bilancio ufficiale è di 80 vittime fra i filippini e nove poliziotti malaysiani uccisi. In seguito alla crisi, divampata nel febbraio scorso, almeno 5mila lavoratori emigranti filippini da tempo nell'area sono rientrati in patria, denunciando casi di abusi e violazioni ai diritti umani.

Per p. D'Ambra è importante che "la Chiesa mostri attenzione" alla vicenda, anche se "il Vaticano non potrà fare più di tanto, se non sottoporla all'assemblea Onu" e sottolineare il valore assoluto della tutela dei diritti umani. "[La Santa Sede] non ha potere sul campo - aggiunge - ma continua ad esercitare un alto valore simbolico e persuasivo". Tuttavia, il sacerdote del Pime conferma che sarà necessaria "innanzitutto l'unità" fra i vari leader musulmani di Sulu, i quali saranno chiamati a difendere e tutelare i loro diritti "con un'unica voce".  

La controversia fra Malaysia e discendenti del sultanato di Jolo e Sulu, antico proprietario del Sabah, dura da secoli. L'area era stata donata ai sultani di Jolo e Sulu dai signori locali per averli difesi nel XVIII secolo dalla colonizzazione degli europei. Nel 1878 i sultani di Jolo la cedono in affitto - dietro compenso in denaro - a un consorzio britannico. Dopo la Seconda guerra mondiale e la fine del colonialismo, la Malaysia ne entra ufficialmente in possesso e dal 1963 ne assume il controllo. Da allora il clan dei Kiram, discendenti dei sultani di Jolo, ha sempre rivendicato la zona. I recenti accordi fra Moro Islamic Liberaton Front (Milf) e governo filippino hanno fornito un nuovo pretesto ai musulmani di Sulu per reclamare il Sabah, mettendo a rischio il futuro dei negoziati che ora si muovono con estrema lentezza e cautela, proprio per evitare uno scontro diplomatico con la Malaysia, grande sponsorizzatrice del dialogo fra ribelli islamici e governo filippino.(DS)

 05/04/2013 fonte Asia News

A Damasco il pane è un bene di lusso, nel nord si sopravvive mangiando erba



Fonti di AsiaNews raccontano la vita nella capitale dove la guerra ha messo in ginocchio anche le famiglie più ricche. Migliaia di persone sopravvivono con le misere sovvenzioni del governo. Per superare l'inverno la gente ha disboscato i parchi pubblici. Code di sei ore per un pezzo di pane e un litro di benzina.


Damasco (AsiaNews) - La guerra fra ribelli e regime di Bashar al-Assad mette in ginocchio anche Damasco, dopo aver devastato Aleppo, primo centro economico del Paese dove esercito e milizie islamiche si affrontano anche nei vicoli del centro storico. Secondo fonti di AsiaNews nella capitale e nelle principali città ancora in mano al governo manca tutto, ma si sopravvive grazie alle sovvenzioni del regime. Ogni giorno la gente è costretta a fare anche cinque, sei ore di fila per ricevere pochi litri di benzina e qualche chilo di pane. Il prezzo dei beni di prima necessità è altissimo.

Fino ad oggi il regime ha mantenuto a 75 centesimi di dollaro al litro prezzo del carburante, ma sempre più persone sono costrette a rifornirsi al mercato nero, dove i costi sono anche dieci volte superiori.

Anche il pane è un bene sempre più raro. La popolazione può "scegliere" fra quello standard che costa circa 16 centesimi di dollaro, ma è poco nutriente, e quello "turistico" pagandolo però a prezzi anche quattro volte superiori. Per una bombola di gas occorre attendere anche due settimane e il costo si aggira intorno ai 7 dollari. I mesi invernali hanno portato miseria e sofferenza anche fra le famiglie più ricche. Molte persone sono morte per il gelo. Per riscaldarsi la gente ha tagliato gli alberi dei parchi pubblici e sacrificato il mobilio. Fonti locali sostengono che la situazione sia ancora peggiore nelle aree sotto il controllo dei ribelli, dove tutto è gestito dal mercato nero.

Nelle aree controllate dai ribelli la situazione è ai limiti della sopravvivenza. Nel campo di Kherbet al-Khaldiyé nella provincia di Aleppo la popolazione, formata soprattutto da donne, anziani e bambini non ha nulla da mangiare. "Stiamo strappando le erbe dai campo - afferma Naida, 35 anni e madre di sette figli - menta, viola, e le cuciniamo. Non abbiamo altro da mangiare".  La donna racconta che nel campo gli aiuti non arrivano che poche volte al mese. "Una volta ci hanno portato un chilo di patate - racconta - ma doveva bastarci per più di un mese. Dovevamo sopravvivere con una patata a testa a settimana". Muhannad Hadi, responsabile del Programma alimentare mondiale (Pam ) sottolinea che sul territorio siriano è quasi impossibile poter muovere gli aiuti. I magazzini sono spesso al centro del fuoco incrociato fra regime e ribelli. La situazione è particolarmente critica nelle aree di conflitto. Alcuni gruppi di opposizione controllano le aree dove il Pam riesce ad avere accesso e dove milioni di persone hanno bisogno di cibo. I ribelli controllano i magazzini e hanno anche preso in gestione alcune dighe per l'acqua potabile. Molti profughi sono costretti a bere dalle pozzanghere per lavarsi e dissetarsi.

Nonostante l'economia devastata, la maggior parte degli analisti sostiene che il regime potrà sopravvivere per almeno un altro anno. Fino ad ora Assad ha sfruttato i circa 17 miliardi di dollari accumulati durante il boom petrolifero degli anni '90, che però sarebbero esaurite. Il presidente avrebbe ancora circa 4,5 miliardi di dollari che consentirebbero di bilanciare le perdite frutto delle sanzioni della comunità internazionale, che ammontano a circa 400 milioni di dollari al mese. (S.C.)


05/04/2013 fonte Asia News

 

 
 

 

IL SANTO DEL GIORNO 04/04/2013 Sant'Isidoro di Siviglia Vescovo e dottore della chiesa




Ultimo dei Padri latini, S. Isidoro di Siviglia (560-636) ricapitola in se tutto il retaggio di acquisizioni dottrinali e culturali che l'epoca dei Padri della Chiesa ha trasmesso ai secoli futuri. Scrittore enciclopedico, Isidoro fu molto letto nel medioevo, soprattutto per le sue Etimologie, un'utile "somma" della scienza antica, della quale con più zelo che spirito critico condensò i principali risultati. Questo volgarizzatore dotatissimo della scienza antica, che avrebbe esercitato su tutta la cultura medioevale un influsso considerevole, era soprattutto un vescovo zelante preoccupato della maturazione culturale e morale del clero spagnolo.
Per questo motivo fondò un collegio ecclesiastico, prototipo dei futuri seminari, dedicando molto spazio della sua laboriosa giornata all'istruzione dei candidati al sacerdozio. La santità era di casa nella nobile famiglia, oriunda di Cartagena, che diede i natali verso il 560 a Isidoro: tre fratelli furono vescovi e santi, Leandro, Fulgenzio e il nostro Isidoro; e una sorella, Fiorentina, fu religiosa e santa. Leandro, il fratello maggiore, fu tutore e maestro di Isidoro, rimasto orfano in tenera età.
Il futuro dottore della Chiesa, autore di una immensa mole di libri che trattano di tutto lo scibile umano, dall'agronomia alla medicina, dalla teologia all'economia domestica, fu dapprima uno studente svogliato e poco propenso a stare chino sui libri di scuola. Come tanti coetanei marinava la scuola e vagava per la campagna. Un giorno si accostò a un pozzo per dissetarsi e notò dei profondi solchi scavati dalla fragile corda sulla dura pietra del bordo. Comprese allora che anche la costanza e la volontà dell'uomo possono aver ragione dei più duri scogli della vita.
Tornò con rinnovato amore ai suoi libri e progredì tanto avanti nello studio da meritare la reputazione di uomo più sapiente del suo tempo. Chierico a Siviglia, Isidoro successe al fratello Leandro nel governo episcopale della importante diocesi. Come il fratello, sarebbe stato il vescovo più popolare e autorevole della sua epoca, presiedendo pure l'importante quarto concilio di Toledo (nel 633). Formatosi alla lettura di S. Agostino e S. Gregorio Magno, pur senza avere la vigoria di un Boezio o il senso organizzativo di un Cassiodoro, con essi Isidoro condivide la gloria di essere stato il maestro dell'Europa medievale e il primo organizzatore della cultura cristiana. Un'amena leggenda racconta che nel primo mese di vita uno sciame d'api, invasa la sua culla, depositasse sulle labbra del piccolo Isidoro un rivoletto di miele, come auspicio del dolce e sostanzioso insegnamento che da quelle labbra sarebbe un giorno sgorgato. Sapienza, mai disgiunta da profonda umiltà e carità, gli hanno meritato il titolo di "doctor egregius" e l'aureola di santo.


Papa Francesco: lo stupore dell'incontro con Cristo genera la vera pace




Lo stupore dell’incontro con Cristo è stato al centro della breve omelia di Papa Francesco durante la Messa presieduta stamani presso la Casa Santa Marta. Hanno partecipato alla celebrazione i dipendenti della Tipografia vaticana. Al termine della Messa, il Papa, com'è sua abitudine, si è raccolto in preghiera tra gli ultimi banchi della cappellina della Domus. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Le letture del Giovedì nell’Ottava di Pasqua ci parlano dello stupore: lo stupore della folla per la guarigione dello storpio operata da San Pietro in nome di Cristo e lo stupore dei discepoli di fronte all’apparizione di Gesù risorto. 

"Lo stupore – afferma il Papa - è una grazia grande, è la grazia che Dio ci dà nell’incontro con Gesù Cristo. E’ qualcosa che fa sì che noi siamo un po’ fuori di noi per la gioia … non è un mero entusiasmo”, come quello dei tifosi "quando vince la loro squadra”, ma "è una cosa più profonda”. E’ fare l’esperienza interiore di incontrare Gesù vivo e pensare che non sia possibile: "Ma il Signore ci fa capire che è la realtà. E’ bellissimo!”.

"Forse – ha proseguito il Pontefice - è più comune l’esperienza contraria, quella che la debolezza umana e anche le malattie mentali, o il diavolo, fanno credere che i fantasmi, le fantasie, siano la realtà: quello non è di Dio. Di Dio è questa gioia tanto grande che non la si può credere. E noi pensiamo: ‘No, questo non è reale!’. Questo è del Signore. Questo stupore è l’inizio dello stato abituale del cristiano”. 

Certo – ha osservato il Papa – "non possiamo vivere sempre nello stupore. No, davvero, non si può. Ma è l’inizio. Poi, questo stupore lascia l’impronta nell’anima e la consolazione spirituale”. E’ la consolazione di chi ha incontrato Gesù Cristo.

Dopo lo stupore, dunque, c’è la consolazione spirituale e alla fine, "ultimo scalino”, c’è la pace. "Sempre, un cristiano – ha sottolineato Papa Francesco - anche nelle prove più dolorose, non perde la pace e la presenza di Gesù” e "con un po’ di coraggio” può pregare: "Signore, dammi questa grazia che è l’impronta dell’incontro con te: la consolazione spirituale” e la pace. Una pace che non si può perdere perché "non è nostra”, è del Signore: la vera pace "non si vende né si compra. E’ un dono di Dio”, perciò – conclude il Papa - "chiediamo la grazia della consolazione spirituale e della pace spirituale, che incomincia con questo stupore di gioia nell’incontro con Gesù Cristo. Così sia”.



04/04/2013 fonte Radio Vaticana

La vicinanza del Papa all'Argentina colpita dalle alluvioni: oltre 50 le vittime






Papa Francesco ha espresso la sua "paterna vicinanza” a quanti in Argentina sono stati colpiti dalle piogge torrenziali degli ultimi giorni, specialmente nella provincia di Buenos Aires, dove sono morte almeno 57 persone. Nel messaggio indirizzato all’arcivescovo di Buenos Aires, mons. Mario Aurelio Poli, a firma del segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, il Pontefice incoraggia le istituzioni civili ed ecclesiali a prestare il necessario aiuto. Il servizio di Debora Donnini:   

Papa Francesco abbraccia la sua Argentina. In un messaggio si dice addolorato per la notizia di quanto accaduto nella sua terra natale ed esprime la sua "paterna vicinanza spirituale” a quanti sono stati colpiti. Offre poi suffragi al Signore per i defunti, che finora sono almeno 54, e incoraggia le istituzioni civili ed ecclesiali e le persone di buona volontà "a prestare con carità e spirito di solidarietà cristiana il necessario aiuto a quanti hanno perso le loro case o i beni personali”. Si parla, infatti, di ben 1.500 sfollati a La Plata, capitale della provincia di Buenos Aires. Il Santo Padre imparte, dunque, la sua Benedizione apostolica come segno di vicinanza all’amato popolo argentino. Piogge torrenziali hanno flagellato in questi giorni Buenos Aires e in particolare la vicina città de La Plata. Molte persone hanno perso la vita intrappolate nelle loro auto nella strade inondate dall’acqua e altre sono rimaste folgorate perché la pioggia ha colpito apparecchi elettrici. Oggi l’alluvione si è attenuata e le squadre di soccorso hanno iniziato a rinvenire i primi corpi senza vita. La Casa Rosada ha annunciato 3 giorni di lutto nazionale. Abbiamo raggiunto al telefono in Argentina, Enrique Moltoni, direttore del Culto, cioè rappresentante della Chiesa cattolica, della Provincia di Buenos Aires: 

R. – La situacion es muy dificil...
La situazione è molto difficile e lo è stata anche di più. Ora si sta normalizzando. Ma si è trattato di un temporale inusitato. Mai si era visto qualcosa del genere in Argentina: sono caduti quasi 315 millimetri di acqua in due ore e mezza o tre, acqua che si è cercato di impedire inondasse tutte le strade della città di La Plata. Sono morte molte persone. Lo stesso è successo anche in un quartiere di Buenos Aires, dove è caduta una quantità inusitata di acqua. E’ stata davvero una disgrazia grandissima per tutte quelle famiglie. Abbiamo ricevuto il telegramma di Sua Santità Papa Francesco, che prega per tutte famiglie delle persone morte e specialmente per il popolo della provincia di Buenos Aires ed anche della capitale. Sono sicuro che se il Papa fosse stato qui, da cardinale, sarebbe andato sul posto, per il suo modo di essere, per quella sua abitudine di stare sempre in quei luoghi, dove realmente la gente ha bisogno. 

D. – Come stanno procedendo gli aiuti delle istituzioni civili ed ecclesiali verso la gente che a La Plata si trova in una situazione molto difficile?

R. – Hay una cadena muy grande...
C’è una catena molto grande composta dalla Caritas nazionale e provinciale, specialmente nelle zone vicino alle 30 parrocchie nell’area di La Plata, che si sta occupando di tutto il necessario: acqua, materassi, coperte e una quantità di cose necessarie per tutta questa gente. Si lavora entrando nelle case dove si trovano le persone. Nel nostro caso abbiamo inviato una quantità di cose importanti alla Caritas provinciale. E’ arrivata acqua potabile, che era davvero necessaria, e tutto il necessario perché dove si trovano le persone che hanno lasciato le loro case si abbia tutto per poter sopravvivere.


04/04/2013 fonte Radio Vaticana

Pubblicato il calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa in aprile e maggio




E' stato pubblicato il calendario delle celebrazioni presiedute da Papa Francesco nei mesi di aprile e maggio. Domenica prossima, 7 aprile, celebrerà alle 17.30 la Messa nella Basilica di San Giovanni in Laterano per il suo insediamento come Vescovo di Roma. Il 14 aprile, terza Domenica di Pasqua, presiederà alle 17.30 la Santa Messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Il 21 aprile, quarta Domenica di Pasqua, presiederà alle 9.30 nella Basilica Vaticana la Messa con ordinazione presbiterale. Il 28 aprile, quinta Domenica di Pasqua, celebrerà in Piazza San Pietro alle 10.00 la Santa Messa con amministrazione della Cresima.

Sabato 4 maggio guiderà il Santo Rosario, alle 18.00, nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Il 5 maggio, sesta Domenica di Pasqua, presiederà alle 10.00 in Piazza San Pietro la Santa Messa per le Confraternite. Il 12 maggio, settima Domenica di Pasqua, celebrerà la Messa alle 9.30 in Piazza San Pietro per la Canonizzazione dei Beati Antonio Primaldo e Compagni, Laura di Santa Caterina da Siena e Maria Guadalupe García Zavala. Sabato 18 maggio, presiederà in Piazza San Pietro alle 18.00 la Veglia di Pentecoste con i Movimenti ecclesiali. Infine, il 19 maggio, celebrerà in Piazza San Pietro alle 10.00 la Messa nella Domenica di Pentecoste sempre con i Movimenti ecclesiali.



04/04/2013 fonte Radio Vaticana

Siria. Mons. Nassar: "A Damasco le bombe cadono ovunque come una roulette russa"



"Le bombe cadono in ogni momento e in ogni dove. È come una roulette russa che ogni giorno sceglie le sue vittime a caso”. Monsignor Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) la drammatica situazione a Damasco, dove il 26 marzo è rimasto ucciso Camil, un seminarista maronita di 35 anni, in procinto di essere ordinato diacono permanente. Si occupava della distribuzione dei viveri ai poveri. "Morire durante la Settimana Santa è una grazia - afferma mons. Nassar - ma la sua morte dimostra che nessuno è più al sicuro: né combattenti né civili”. Scossa la comunità cristiana che si riduce di numero ogni giorno di più. Sono molti quelli che lasciano il Paese mentre due delle quattro parrocchie maronite della capitale sono state chiuse per mancanza di fedeli. Non ci sono cifre precise dei cristiani fuggiti ma dall’inizio della crisi siriana il numero di persone che riceve l’Eucaristia è diminuito di oltre il 60%. La svalutazione della lira siriana, nel 2011 un dollaro valeva 45 lire siriane oggi ne vale 121, fiacca le famiglie che si dividono all’alba per fare la fila al negozio di alimentari, al panificio, al distributore di benzina. "La Chiesa - afferma il presule - continua a tendere la mano a chi soffre, qualunque sia la religione. La carità silenziosa e gratuita è la sola filosofia in grado di costruire la Siria di domani”. (R.P.)


04/04/2013 Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 02/04/2013 San Francesco da Paola eremita e fondatore



La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita, infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni, il padre Giacomo Alessio detto "Martolilla” e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano s. Francesco, il ‘Poverello’ di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.
Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all’occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l’occhio.
La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per un intero anno, vestendolo dell’abito proprio dei Francescani, il voto dell’abito è usanza ancora esistente nell’Italia Meridionale. Dopo qualche giorno l’ascesso scomparve completamente. 
Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a nord di Cosenza.
In quell’anno l’adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava a raccontare di prodigi straordinari, come quando assorto in preghiera in chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti.
Un’altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo dell’incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa si bruciasse.
Trascorso l’anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d’accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di s. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d’individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella ‘Città eterna’ mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa agli occhi degli uomini.
Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell’eremo fondato nel 528 da s. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.
Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è oggi conservata all’interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine. 
Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò "Eremiti di frate Francesco”.
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore.
Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata "l’acqua della cucchiarella”, perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.
Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II (1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l’ambiente; il prelato lo rimproverò per l’eccessivo rigore che professava insieme ai suoi seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l’aiuto di Dio si poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.
La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera del nuovo papa Sisto IV (1471-1484).
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola "Charitas” e porgendoglielo disse: "Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria. 
Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l’avesse traghettato all’altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata. 
Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona, piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, ‘risuscitò’ il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.
Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d’Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo invitò ad aprirne uno a Napoli (un’altro era stato già aperto nel 1480 a Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre, là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.
Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.
Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita, affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.
Allora il re francese si rivolse al papa Sisto IV, il quale per motivi politici ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all’eremita di partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un’età avanzata, aveva 67 anni e malandato in salute.
Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l’amicizia offrendogli un piatto di monete d’oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: "Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio”, predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che è conservato nella Chiesa dell’Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.
Passando per Roma andò a visitare il pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov’era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un’epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l’ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore spirituale.
Giocoforza dovette accettare quest’ultimo sacrificio di vivere il resto della sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la Regola dei suoi frati "Minimi”, approvata definitivamente nel 1496 da papa Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.
Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.
Già sei anni dopo papa Leone X nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e qualche pezzo d’osso.
Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel 1803 fu ripristinato il culto. Dopo altre ripartizioni in varie chiese e conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.
Nel 1943 papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò protettore della gente di mare italiana. Quasi subito dopo la sua canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell’Italia Meridionale, ne è testimonianza l’afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei ‘Minimi’.



Papa Francesco prega davanti alla tomba di Giovanni Paolo II a 8 anni dalla sua morte
      



Ieri sera, verso le 19.00, dopo la chiusura serale della Basilica Vaticana, Papa Francesco ha compiuto una visita alla tomba del Beato Papa Giovanni Paolo II, nell’ottavo anniversario della morte. Il Papa era accompagnato dal cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana e dal segretario personale, mons. Alfred Xuereb. Il Papa ha sostato a lungo inginocchiato in preghiera silenziosa davanti alla tomba di Giovanni Paolo II nella Cappella di San Sebastiano, ma ha pure sostato brevemente in raccoglimento alle tombe del Beato Giovanni XXIII e di San Pio X. Come la visita di ieri alla tomba di San Pietro e alle Grotte Vaticane, anche la visita di ieri sera nella Basilica esprime la profonda continuità spirituale del ministero petrino dei Pontefici, che Papa Francesco vive e sente intensamente, come ha dimostrato anche nell’incontro e con i ripetuti colloqui telefonici con il suo predecessore Benedetto XVI.



02/04/2013 fonte Radio Vaticana

India. Ucciso rettore del Seminario di Bangalore. Mons. Moras: era un uomo buono




Il rettore del Seminario di Bangalore, nello Stato indiano del Karnataka, padre K.J. Thomas, è stato ucciso nella notte tra la domenica di Pasqua e il lunedì da ignoti. Un omicidio "brutale, terribile, senza senso”: così l’arcivescovo di Bangalore, mons. Bernard Moras, ha commentato l'accaduto. Il corpo di padre Thomas è stato rinvenuto all’alba all’interno del seminario pontificio di San Pietro: secondo le prime ricostruzioni è stato colpito in faccia con un mattone e sia il viso che il corpo erano talmente straziati che i seminaristi stessi hanno fatto fatica a riconoscerlo. Le prime ipotesi degli investigatori – riportate da AsiaNews – propenderebbero per il furto mirato. Padre K.J. Thomas aveva 65 anni, svolgeva attività pastorale nell’Istituto per lo Studio della Teologia e della Filosofia da oltre 30. Doveva andare a prendere sua sorella, una suora, all’aeroporto, ieri mattina, e la religiosa, non vedendolo arrivare e non riuscendo a sentirlo al telefono, si è recata da sola nella struttura dove ha ricevuto la notizia. "Hanno ucciso un sacerdote pio e pacato, è una grave perdita per tutti noi e io in particolare perdo un caro amico, umile e compassionevole”, sono state le parole di cordoglio del cardinale Oswald Gracias. Padre K.J. Thomas è l’ottavo presbitero ucciso dall’inizio del 2013: prima di lui, tre le vittime in Colombia, una in Messico, una in Venezuela, una in Tanzania e una in Canada. Francesca Sabatinelli ha raggiunto a Bangalore l’arcivescovo mons. Moras:  

R. – Father Thomas was found...
Padre K.J. Thomas è stato trovato morto ieri, alle 6 del mattino, nel Seminario vicino alla sua stanza. E’ stato ucciso, ma da chi non lo sappiamo. La sua stanza è stata messa a soqquadro, come anche la reception. Il colpevole ha cercato di aprire anche la stanza del procuratore. E’ stato assassinato sulle scale del seminario, vicino alla sua stanza, e poi è stato trascinato in quella vicina, la stanza da tè. La polizia sta investigando.

D. – E’ stato rubato qualcosa nella sua stanza?

R. – No, nothing is stolen from the room...
No, non è stato preso nulla. Hanno perquisito la stanza, ma non sappiamo cosa stessero cercando e non è stato rubato nulla, perché nella sua stanza potevano esserci solo carte. Non sono stati rubati l’i-pad, il computer, il cellulare. Sicuramente lui non aveva soldi. Come ho già detto, hanno cercato di forzare la porta della stanza del procuratore, ma non ci sono riusciti.

D. – Padre K.J.Thomas aveva ricevuto alcune minacce in passato?

R. – No, we have no information about...
No, non abbiamo informazioni relative ad alcuna minaccia nei suoi riguardi. Non ha detto niente a nessuno. Padre K.J Thomas lavorava nel seminario di St. Peter da 30 anni. Aveva studiato lì. Avevano tutti una buonissima opinione di lui. Aveva un cuore buono e generoso, era una persona semplice, sia gli insegnanti sia gli studenti lo apprezzavano. Per questo ci sorprende che questo omicidio abbia colpito una persona così. La polizia ha preso il corpo per effettuare l’autopsia e noi stiamo aspettando il referto. Questa mattina alle 7.30 abbiamo celebrato una Messa per lui nel Seminario alla quale hanno partecipato oltre 200 sacerdoti, e forse un migliaio fra preti e suore. Alle 10.30, circa il suo corpo è stato portato nella diocesi di origine in Tamil Nadu. 

D. – Quando si svolgerà il funerale?

R. – They will have the funeral service… 
Il funerale sarà celebrato domani mattina alle 10 circa. 

D. – Lei celebrerà?

R. – Yes, I’ll preside the ceremony, the Mass…
Sì, ho presieduto la cerimonia, la Messa e presiederò anche il rito funebre. Insieme a me c’erano altri due vescovi. Al momento non ci sono altre informazioni, ma siamo sconvolti e scioccati da ciò che è accaduto, perché per la Chiesa indiana, questo è il primo omicidio di un sacerdote cattolico, rettore di un seminario.


02/04/2013 fonte Radio Vaticana





Nepal, decine di battesimi nella notte di Pasqua. Molti gli indù

di Kalpit Parajuli 
Le celebrazioni sono avvenute nelle varie parrocchie del Paese. Gli oltre 20 catecumeni hanno ricevuto il battesimo dopo due anni di preparazione. Giovane indù:"Eravamo confusi e vivevamo nella superstizione. Ora la nostra vita ha un nuovo significato".


Kathmandu (AsiaNews) - La piccola comunità cattolica nepalese festeggia la notte di Pasqua con decine di battesimi celebrate nelle varie parrocchie del Paese.

Fra i catecumeni molti sono indù, che hanno incontrato la fede cattolica attraverso il contatto con realtà educative e caritative che si sono moltiplicate dopo la caduta della monarchia induista nel 2008. Essi hanno ricevuto il battesimo dopo almeno due anni di discernimento e studio della fede cristiana. "Dio ci ha donato la grazia del suo amore - afferma uno dei neobattezzati - e questo percorso ha richiesto più di due anni di preparazione alla fede e alla cultura cattolica". "Noi - aggiunge - eravamo confusi e la nostra vita era legata alle superstizioni della tradizione indù, ma ora abbiamo dato un nuovo significato alla nostra vita e serviremo la società e la Chiesa".

Bhim Rai, responsabile dei catechisti della diocesi di Kathmandu dice: "Sono felice di vedere crescere la fede fra i neo-battezzati. Per due anni li abbiamo istruiti e seguiti  passo dopo passo nel loro percorso verso il battesimo". Rai sottolinea che molti catecumeni una volta battezzati, spesso ritornano alla religione di appartenenza. Le ragioni sono molteplici: pressioni familiari, poca comprensione della cultura cristiana, paura. "Per noi - afferma - non conta il numero, ma la qualità delle conversioni che devono essere autentiche e partire da un cambiamento reale della persona".

Secondo il catechista nel Paese vi sono dalle 30 alle 40 conversioni all'anno.  "Le nuove generazioni - spiega - mostrano una maturità di fede superiore anche a molte persone nate all'interno di famiglie cristiane". Tale comportamento si deve soprattutto al clima favorevole che da alcuni anni consente ai cristiani la piena libertà di culto, ma anche al tramonto dei valori religiosi induisti e delle ideologie politiche comunista e maoista.  Queste ultime sono state per decenni un modello di libertà per molti giovani nepalesi.

La maggiore libertà religiosa per i cristiani iniziata con la caduta della monarchia indù nel 2008 ha spinto molti cattolici a non nascondere la propria fede in pubblico. Stufi del clima di instabilità politica e delle troppe relazioni fra politici e religiosi indù, molti giovani non cristiani hanno iniziato a partecipare quest'anno alle iniziative della Chiesa cattolica (v. foto) e a considerare la Bibbia come un testo fondamentale per la loro formazione. Di recente l'organizzazione Statunitense  Bible for the World ha registrato un boom di vendite in Nepal. Secondo il censimento del 2011 cattolici e protestanti sono circa l'1,5% della popolazione. Nel 2006 erano solo lo 0,5%. In sei anni i cattolici sono passati da 4 mila a 10 mila unità. Ogni domenica sono circa 200 i non cattolici che assistono alla messa nella cattedrale.    

 

02/04/2013 fonte Asia News

Pasqua a Saigon: 28 nuovi battesimi e migliaia di foto di Papa Francesco ai fedeli
 
di Thanh Thúy
Nella cattedrale di Nostra Signora il card Jean-Baptiste Pham Minh Mân ha celebrato la messa davanti a duemila persone. Il porporato ha ringraziato Dio per il nuovo pontefice, "esempio di umiltà, empatia e misericordia”. Per i cattolici il desiderio di essere "sempre più saldi nella fede” e "testimoni del Vangelo in una realtà sempre più secolarizzata”.


Ho Chi Minh City (AsiaNews) - Con il battesimo di 28 catecumeni e la distribuzione di migliaia di immaginette di Papa Francesco, il card. Jean-Baptiste Pham Minh Mân ha celebrato le feste di Pasqua dopo le settimane trascorse a Roma per eleggere il successore di Benedetto XVI. L'arcivescovo di Ho Chi Minh City, nel sud del Vietnam, ha presieduto la messa della domenica nella cattedrale di Nostra Signora, in centro città, davanti a più di duemila fedeli. Prima di iniziare la funzione il porporato - fra i 115 cardinali elettori dell'ultimo conclave - ha impartito il battesimo a 28 catecumeni e chiesto alla folla dei fedeli di pregare per loro. Al termine ha voluto regalare una foto del nuovo pontefice, con impressa una breve preghiera: "Rendiamo grazie a Dio, perché ci ha concesso un Buon Pastore dotato di umiltà, empatia, misericordia, e vicino a tutti. Per questo, continuiamo a pregare per Lui".

Nel corso dell'omelia, l'arcivescovo di Saigon ha spiegato il dramma della passione e morte di Gesù, che trovano pieno compimento nella Pasqua di risurrezione. "[Cristo] ha voluto affrontare la morte - ha sottolineato il card Pham Minh Mân - per salvare l'umanità e donarci una nuova vita di amore e armonia".

"Chiunque ha fede in Lui - ha aggiunto il porporato - sarà liberato dai peccati e dall'oscurità della terra". Da ultimo, egli ha ricordato i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell'Eucaristia "impartiti a ogni fedele" quale "fonte e via per il raggiungimento della vita eterna".  

Al termine della messa, un giovane cattolico raggiunto da Asia News testimonia "la gioia impressa sul volto dei fedeli". "Torno a casa - racconta Peter - felice e in pace nel cuore. Ringrazio Dio per i molti "regali" ricevuti. Spero che lo Spirito Santo possa santificare sempre più la mia vita e quella di ogni cattolico vietnamita. Siamo sempre saldi nella fede, perseveranti nella speranza e ferventi nella carità, per essere veri testimoni del Vangelo in una realtà sempre più secolarizzata". 

 

02/04/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 01/04/2013 Sante Agape e Chionia Martiri a Salonicco




Il martirio di queste tre giovani sorelle è raccontato in un documento che è una versione un po' ampliata di testimonianze genuine. Le donne furono portate davanti al governatore della Macedonia, Dulcizio, con l'accusa di aver rifiutato di mangiare del cibo che era stato offerto in sacrificio agli dei. 
Quando il Governatore chiese loro da chi avevano imparato idee così strane, Chionia rispose: "Da nostro Signore Gesù Cristo" e di nuovo lei e Agape rifiutarono di mangiare l'empio cibo e, a causa di ciò, furono bruciate vive. Intanto Dulcizio era venuto a sapere che Irene aveva conservato in suo possesso dei libri cristiani invece di consegnarli come richiedeva la legge. La interrogò di nuovo e lei disse che quando era stato pubblicato il decreto dell'Imperatore contro i cristiani lei e altri erano fuggiti sulle montagne. Evitò di coinvolgere le persone che le avevano aiutate e dichiarò che nessuno tranne loro sapeva che avevano i libri: "Temevamo la nostra gente quanto ogni altro" disse. 
Dopo il loro ritorno a casa avevano nascosto i libri ed erano state molto infelici perché non potevano leggerli a tutte le ore come era loro abitudine. Il Governatore ordinò che Irene fosse denudata ed esposta in un bordello, ma là nessuno la molestava, così le fu data un'ultima possibilità di sottomettersi e poi fu condannata a morte. Anche i libri, le Sacre Scritture, furono bruciati pubblicamente. 
Altre tre donne e un uomo furono giudicati insieme a queste martiri; una delle donne fu rinviata in carcere perché era incinta. Non è riferito cosa accadde di loro.


Papa Francesco nel lunedì dell’Angelo: accogliere nella nostra vita la vittoria di Cristo sul male
 






"Cristo ha vinto il male” e spetta a noi accogliere questa vittoria nella vita nella società nella storia. Così Papa Francesco nel Lunedì dell’Angelo, prima della recita del Regina Coeli, in questa prima Pasqua del suo pontificato, rivolto alle decine di migliaia di fedeli raccolti in piazza san Pietro. Il servizio di Roberta Gisotti:

"Perché l’odio lasci il posto all’amore, la menzogna alla verità, la vendetta al perdono, la tristezza alla gioia”, occorre "che il Mistero Pasquale possa operare profondamente in noi e in questo nostro tempo”. La preghiera del Papa stamane alla Madonna "nel nome del Signore morto e risorto”:

"Cristo ha vinto il male in modo pieno e definitivo, ma spetta a noi, agli uomini di ogni tempo, accogliere questa vittoria nella nostra vita e nelle realtà concrete della storia e della società”.

Il primo pensiero di Francesco è andato ai sofferenti:

"Che la forza della Risurrezione di Cristo possa raggiungere ogni persona - specialmente chi soffre – e tutte le situazioni più bisognose di fiducia e di speranza”.

Ha sottolineato quindi come "la grazia contenuta nei Sacramenti pasquali è un potenziale di rinnovamento enorme per l’esistenza personale, per la vita delle famiglie, per le relazioni sociali”:

"Sì, il Battesimo che ci fa figli di Dio, l’Eucaristia che ci unisce a Cristo, devono diventare vita, tradursi cioé in atteggiamenti, comportamenti, gesti, scelte”. 

Ma tutto passa attraverso il cuore umano: 

"Se io mi lascio raggiungere dalla grazia di Cristo risorto, se le permetto di cambiarmi in quel mio aspetto che non è buono, che può far male a me e agli altri, io permetto alla vittoria di Cristo di affermarsi nella mia vita, di allargare la sua azione benefica. Questo è il potere della grazia! Senza la grazia non possiamo nulla”.

Si tratta quindi di "esprimere nella vita il sacramento che abbiamo ricevuto”: 

"Ecco, cari fratelli e sorelle, il nostro impegno quotidiano, ma direi anche la nostra gioia quotidiana!”

Infine il saluto semplice e informale di Papa Francesco a tutti i fedeli:

"Buona Pasqua a tutti e buon pranzo!”.


01/04/2013 fonte Radio Vaticana

Gerusalemme: patriarca Twal invita Francesco in Terra Santa



"La nuova evangelizzazione, per essere efficace deve partire da Gerusalemme, dalla prima comunità cristiana. Allora io rinnovo il mio invito a venire qui a tutti i pellegrini da tutto il mondo, a partire da quello più atteso, il nostro Papa Francesco". Così il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal nella Messa solenne presieduta nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, in occasione delle celebrazioni pasquali. "Il Signore - ha aggiunto - ci invita a portare la luce della fede al centro della regione del Medio Oriente”. Il patriarca Twal si è soffermato quindi sulle sofferenze patite dalla Chiesa evocando le vittime della guerra civile in Siria, i profughi siriani e i cristiani di Terra Santa "che sono tentati dall'emigrazione”. E' compito della comunità internazionale, ha spiegato, "prendere concretamente soluzioni efficaci per trovare una soluzione equilibrata e giusta della causa palestinese, che è all'origine di tutte le tensioni nel Medio Oriente”. Nei giorni scorsi i Capi delle Chiese di Gerusalemme – fra cui lo stesso Twal - hanno pubblicato un messaggio pasquale in cui invitano i fedeli di tutto il mondo a venire in pellegrinaggio in Terra Santa. (M.G.)


01/04/2013 fonte Radio Vaticana

Le donne prime testimoni della Risurrezione di Gesù: il commento di Cettina Militello




Nel Lunedì dell’Angelo l’attenzione della Chiesa è anche per le donne giunte al sepolcro di Gesù e che trovano vuoto. Sono loro ad essere le testimoni della Risurrezione. Su questo particolare aspetto Benedetta Capelli ha chiesto un commento alla teologa Cettina Militello: 

R. – Bisogna cominciare con il dire che le donne ci sono nella sequela di Gesù di Nazaret. Non spuntano improvvisamente soltanto la mattina del giorno della Resurrezione, ma Gesù ha sempre manifestato un’attenzione particolare al deficit culturale delle donne: deficit religioso, fisico, legale. C’è il paradosso del discorso della Resurrezione: Gesù fa testimoni di Lui risorto - qualcosa di inaudito, incredibile, inaccettabile, razionalmente - proprio delle persone, le donne, le quali non hanno nessuna capacità testimoniale perché non gliele assegna la legge ebraica e non contano come soggetti nel mondo antico.

D. - Da qui, secondo lei, nasce una nuova interpretazione anche per gli studi teologici della donna nella Sacra Scrittura?

R. – Viene fuori il paradosso per cui Dio, nella storia della Salvezza, si serve di criteri tutti suoi, che non sono quelli della potenza o delle regole stabilite dagli uomini. Le donne che sono veramente un "non soggetto” diventano coloro che per prime fruiscono dell’apparizione del Risorto e ne fruiscono sempre, anche quando nei racconti evangelici, che sono diversi uno dall’altro, c’è la mediazione dell’angelofania. Noi abbiamo nei sinottici questa presenza della figura angelica singola o plurima che dice alle donne: "chi cercate, non è qui!” Però, immediatamente dopo, Gesù si mostra direttamente a loro e a loro dice di andare ad annunciarlo ai discepoli. Le donne reagiscono in modo diverso, spaventate, trepidanti; addirittura Marco dice che non dissero niente a nessuno, che è paradossale perché se non l’avessero detto noi non sapremo che hanno vissuto questa esperienza. Però, ripeto, la cosa straordinaria è proprio questa scelta testimoniale: soggetti che non possono dare testimonianza in tribunale, la cui parola non è credibile se non c’è un testimone maschio che la supporta, vengono scelte da nostro Signore per annunciare l’evento risolutivo del suo mistero e cioè il fatto che ha sconfitto la morte e che è risorto. Non solo, ma diventano il tramite della missione dei discepoli, in particolare Maria Maddalena nel Medioevo – l’ha ricordato anche Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem - veniva chiamata "apostola apostolorum”, cioè è una figura talmente forte da diventare colei che evangelizza gli stessi evangelizzatori, gli stessi annunciatori.

D. – Come vivere, secondo lei, questo tempo così importante, in un tempo che tra l’altro poi ci porterà a Pentecoste, quindi all’incontro con lo Spirito Santo?

R. – Secondo me va vissuto con la coscienza che il Risorto ci restituisce tutti, uomini e donne, alla piena nostra dignità di creature, che Dio ha voluto a sua immagine. Questo è un tempo di "ubriacatura”. E’ un tempo nel quale la potenza dello Spirito che già ha operato Cristo Signore ci prepara all’evento conclusivo del mistero e istitutivo della Chiesa, quindi la mia è un’espressione forte ma d’altra parte li presero per ubriachi la mattina di Pasqua! E’ proprio un tempo di esaltazione interiore, di grande devozione, di grande legame con lo Spirito Santo, al quale peraltro dobbiamo l’attivazione della nostra restituzione alla somiglianza. Noi diventiamo veramente seguaci di Cristo nella forza dello Spirito, nella ricchezza del suo dono, nell’elargizione dei suoi carismi. Quindi questo è un tempo bello, festoso, gioioso, di restituzione di ciascuno alla sua corresponsabilità ecclesiale. La comunità cammina verso l’evento dello Spirito e sa che a partire dallo Spirito dovrà camminare ancora per continuare gioiosamente la sua testimonianza.


01/04/2013 fonte Radio Vaticana

Visita del Papa alla Tomba di San Pietro sotto la Basilica vaticana




Il Santo Padre Francesco ha compiuto, nel pomeriggio di questo Lunedì dell'Angelo, una visita di devozione alla Tomba di San Pietro nella Necropoli che si trova sotto la Basilica vaticana. Il Papa era accompagnato dal cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana, dal delegato della Fabbrica di San Pietro, mons. Vittorio Lanzani, dal suo segretario mons. Alfred Xuereb e dai responsabili della Necropoli vaticana, Pietro Zander e Mario Bosco. Primo Papa a scendere negli scavi della Necropoli vaticana, il Papa Francesco ha percorso tutta la via centrale della Necropoli, che si trova sotto la Basilica e le Grotte vaticane, ascoltando le spiegazioni del cardinale Comastri e del dott. Zander, avvicinandosi così - in leggera salita - al luogo dove si trova la Tomba di San Pietro, esattamente sotto l’altare centrale e la cupola della Basilica. Nella Cappella Clementina, il luogo più vicino alla Tomba del Principe degli Apostoli, il Papa ha sostato in preghiera silenziosa, in raccoglimento profondo e commosso. La visita si è conclusa nelle Grotte vaticane, rendendo omaggio alle Tombe dei Papi del secolo scorso che vi si trovano: Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I. Uscendo dalla Grotte, il Papa ha salutato il personale presente ed è rientrato a piedi a Santa Marta, come a piedi era giunto all’ingresso degli scavi sul fianco sinistro della Basilica. La visita ha avuto inizio alle ore 17 ed è terminata alle 17.45.


01/04/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 31/03/2013 Pasqua di Risurrezione del Signore



Se il Natale è la festività che raccoglie la famiglia, riunisce i parenti lontani, che più fa sentire il calore di una casa, degli affetti familiari, condividendoli con chi è solo, nello struggente ricordo del Dio Bambino; la Pasqua invece è la festa della gioia, dell’esplosione della natura che rifiorisce in Primavera, ma soprattutto del sollievo, del gaudio che si prova, come dopo il passare di un dolore e di una mestizia che creava angoscia, perché per noi cristiani questa è la Pasqua, la dimostrazione reale che la Resurrezione di Gesù non era una vana promessa, di un uomo creduto un esaltato dai contemporanei o un Maestro (Rabbi) da un certo numero di persone, fra i quali i disorientati discepoli. 
La Risurrezione è la dimostrazione massima della divinità di Gesù, non uno dei numerosi miracoli fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che credettero in Lui; questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di Cristo. 
La Pasqua è una forza, una energia d’amore immessa nel Creato, che viene posta come lievito nella vita degli uomini ed è una energia incredibile, perché alimenta e sorregge la nostra speranza di risorgere anche noi, perché le membra devono seguire la sorte del capo; ci dà la certezza della Redenzione, perché Cristo morendo ci ha liberati dai peccati, ma risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto con la colpa. 


Papa Francesco: pace per il mondo intero, lasciamoci trasformare dall’amore di Cristo Risorto
 




"Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio”. Nella sua prima Pasqua da vescovo di Roma, Papa Francesco ha esortato tutti a lasciarsi amare da Cristo Risorto. Il Santo Padre ha celebrato la Messa pasquale in una Piazza San Pietro gremita di fedeli. Oltre 250 mila le persone che hanno riempito, oltre la piazza, buona parte di via della Conciliazione. Dopo la celebrazione, Papa Francesco si è affacciato dalla Loggia Centrale della Basilica Vaticana per il Messaggio Pasquale e la Benedizione "Urbi et Orbi”. "Pace per il mondo intero”, è stata la sua invocazione, il Signore faccia fiorire i deserti che sono nei nostri cuori. Il servizio di Alessandro Gisotti:  

"Cristo è risorto”. In Piazza San Pietro risuona l’annuncio di gioia che cambia la storia. Papa Francesco celebra la sua prima Messa di Pasqua davanti a una moltitudine di fedeli. I canti, il suono delle campane e il meraviglioso addobbo floreale sul sagrato raccontano la gioia di questo giorno. E perfino il sole squarcia con i suoi raggi le nuvole che si addensano sopra la Basilica vaticana. Ma quello che colpisce è il silenzio dei fedeli in preghiera, dopo il Vangelo. Si rivive l’intenso raccoglimento dell’orazione silenziosa che il vescovo di Roma aveva chiesto al suo popolo la sera dell’elezione alla Cattedra di Pietro. Sono passate meno di tre settimane dal 13 marzo scorso: Papa Francesco, dopo il Regina Caeli, torna ad affacciarsi dalla Loggia Centrale della Basilica di San Pietro per la Benedizione "Urbi et Orbi” e il Messaggio Pasquale. Il Santo Padre parla al cuore degli uomini. E’ il cuore infatti la vera meta dell’annuncio della Risurrezione di Cristo:

"…perché è lì che Dio vuole seminare questa Buona Notizia: Gesù è risorto, c’è speranza per te, non sei più sotto il dominio del peccato, del male! Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia! Sempre vince la misericordia di Dio.”

Il Papa si augura, dunque, che l’annuncio della Risurrezione di Cristo giunga in ogni casa, specie dove c’è più sofferenza. Ma cosa significa oggi che Cristo è risorto? Significa, afferma il Papa, che l’amore di Dio "è più forte del male e della stessa morte”, significa che l’amore di Dio può "far fiorire quelle zone di deserto che ci sono nel nostro cuore”:

"Quanti deserti, anche oggi, l’essere umano deve attraversare! Soprattutto il deserto che c’è dentro di lui, quando manca l’amore per Dio e per il prossimo, quando manca la consapevolezza di essere custode di tutto ciò che il Creatore ci ha donato e ci dona. Ma la misericordia di Dio può far fiorire anche la terra più arida, può ridare vita alle ossa inaridite”.

Ecco allora che cos’è la Pasqua, sottolinea il Papa: "E’ l’esodo, il passaggio dell’uomo dalla schiavitù del peccato, del male alla libertà dell’amore, del bene”, perché "Dio é vita”. Ecco allora l’invito che il Papa rivolge a tutti: "Accogliamo la grazia della Risurrezione di Cristo”:

"Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare da Gesù, lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire il creato e far fiorire la giustizia e la pace”.

Papa Francesco chiede a Gesù Risorto di trasformare la morte in vita, "mutare l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace”. Pace per il mondo intero:

"Pace per il Medio Oriente, in particolare tra Israeliani e Palestinesi, che faticano a trovare la strada della concordia, affinché riprendano con coraggio e disponibilità i negoziati per porre fine a un conflitto che dura ormai da troppo tempo”.

Pace per l’Iraq, implora il Papa, e pace "per l’amata Siria, per la sua popolazione ferita dal conflitto e per i numerosi profughi che attendono aiuto e consolazione”:

"Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”

Pace per l’Africa, insanguinata da numerosi conflitti. Papa Francesco ricorda il Mali, la Nigeria dove "non cessano gli attentati” che minacciano la vita di tanti innocenti e bambini, tenuti in ostaggio dai terroristi. E ancora pace per il Congo e la Repubblica Centrafricana dove, dice con amarezza, "molti sono costretti a lasciare le proprie case e vivono ancora nella paura”. Il pensiero del Papa va poi all’Asia, alla tensione nella Penisola Coreana e prega affinché "si superino le divergenze e maturi un rinnovato spirito di riconciliazione”:

"Pace a tutto il mondo, ancora così diviso dall’avidità di chi cerca facili guadagni, ferito dall’egoismo che minaccia la vita umana e la famiglia, egoismo che continua la tratta di persone, la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo... (applausi). Pace a tutto il mondo, dilaniato dalla violenza legata al narcotraffico e dallo sfruttamento iniquo delle risorse naturali! Pace a questa nostra Terra!”

Il Papa ha, quindi, rinnovato il suo augurio di Buona Pasqua, chiedendo di portare la gioia di Cristo Risorto a tutti, specie ai più bisognosi:

"Buona Pasqua (…) a tutti ripeto con affetto: Cristo risorto guidi tutti voi e l’intera umanità su sentieri di giustizia, di amore e di pace”.

Prima della Benedizione "Urbi et Orbi”, Papa Francesco aveva girato più volte sulla sua jeep in Piazza San Pietro per salutare quanti più fedeli possibili. Tanti i bambini che il Santo Padre ha baciato e benedetto. Commuovente l’abbraccio prolungato che Papa Francesco ha dato ad un giovane disabile. Anche questa è la gioia che porta Cristo Risorto!


Dunque, una folla gioiosa ha partecipato alla prima Messa pasquale di Papa Francesco. In Piazza San Pietro, Roberta Barbi ha raccolto la testimonianza dei fedeli che raccontano la gioia di essere assieme al Papa in questa giornata di festa: 

R. – La Chiesa è sempre stata forte, ma spero che diventi ancora più forte nella sua semplicità.

R. – Sicuramente un Pasqua di rinnovamento, di ritrovata fratellanza; un auspicio di grande misericordia per tutti.

R. – E' bella la vicinanza con questo Papa così buono, dolce, presente verso tutti …

D. – Come si fa a testimoniare la fede in questo mondo?

R. – Essendo buoni con il prossimo cercando di aiutare chi è un po’ più in difficoltà …

R. – È una Pasqua un po’ speciale: una Pasqua di pace e di serenità e tranquillità. Ci rende tutti un po’ più emozionati, un po’ più buoni … Ce lo auguriamo …

D. – Un messaggio di pace, quello di Papa Francesco, oggi, che ci invita a lasciarci inondare dall’amore di Cristo …

R. – Ci fa pensare alla fede vera della cristianità, pensare che Cristo è Risorto e che in quel giorno è successo qualcosa che ha cambiato la storia …

R. – Ci dice che dobbiamo aprire i cuori a Cristo, perché l’unica via per arrivare a Dio e alla salvezza è Gesù. Gesù è il ponte. Accettiamo Gesù nella nostra vita, leggiamo i Vangeli, mettiamo in pratica la parola di Cristo e Cristo ci darà il premio, che è la Salvezza!

D. – Se potessi salutarlo, cosa gli diresti? (Rispondono dei bambini)

R. – Io gli direi grazie di tutto, gli direi grazie …

R. – Sono contento di vedere per la prima volta il Papa dal vivo, non in televisione. Ciao, Papa!

R. – Ciao, Papa! 

R. - Ciao Papa! …



31/03/2013 fonte Radio Vaticana 

Buenos Aires celebra la Pasqua con Papa Francesco nel cuore
 



L’arcidiocesi di Buenos Aires e tutta l’Argentina continuano a seguire con affetto e attenzione i primi giorni del Pontificato di Papa Francesco, già arcivescovo della capitale e primate della Chiesa argentina, in particolare durante i riti di questa Santa Pasqua. Da Buenos Aires, ci riferisce Francesca Ambrogetti: 

Tantissimi fedeli e tanto fervore anche nella Vigilia pasquale in Argentina: lo stessa partecipazione nella Via Crucis e nella Domenica delle Palme. A Buenos Aires, il centro delle celebrazioni è sempre la cattedrale nella storica Plaza de Majo. Molti dei partecipanti sono giunti da parrocchie periferiche, come accadeva negli anni scorsi, per assistere alla cerimonia guidati dal cardinale Bergoglio, ed hanno continuato a farlo, ora che è diventato Papa. E non è svanito il ricordo del messaggio dell’anno scorso, quando invitò i presenti a non avere paura della speranza: parole simili ripetute a Roma. Tra i fedeli, molti latinoamericani giunti nella capitale argentina per il lungo weekend della Settimana Santa, e anche nelle località turistiche, dove si sono recati in tanti. 

Da un sondaggio tra i parroci fatto da stampa e televisione, emerge lo stesso dato: l’affluenza dei fedeli è aumentata, ma in particolare si sono moltiplicate le confessioni. Centro della religiosità popolare che il cardinale Bergoglio ha sempre promosso, le piccole chiese dei tanti quartieri poveri – le "villas miserias" – che circondano la città, sono state forse le più gremite. Altro fenomeno che si ripete, gli alti indici di ascolto delle trasmissioni in diretta delle cerimonie in Vaticano: "Quando si sono accese tutte le luci della Basilica, abbiamo sentito che eravamo testimoni anche di un momento di grande illuminazione per la Chiesa”, ha commentato una telespettatrice argentina.


31/03/2013 fonte Radio Vaticana

Pasqua in Iraq: grande partecipazione dei fedeli alle celebrazioni




In Iraq, massiccia partecipazione dei fedeli nelle chiese di tutto il Paese per celebrare la Pasqua. Centinaia di persone si sono riunite nella Cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad, tra consistenti misure di sicurezza. All’ingresso della struttura, forze dell’ordine e volontari hanno perquisito coloro che intendevano entrare. Controlli anche nelle strade limitrofe, nel timore di attentati contro la comunità cristiana che in passato è finita più volte nel mirino di gruppi estremisti islamici. Questi episodi terroristici hanno spinto centinaia di migliaia di cristiani a lasciare il Paese, nonostante gli sforzi delle autorità per garantire la sicurezza. Pur nella mancanza di statistiche ufficiali, si stima che dal 2003 – data dell’inizio delle operazioni militari internazionali – la comunità cristiana sia diminuita di almeno un terzo. (E. B.)


31/03/2013 fonte Radio Vaticana

Una missionaria peruviana: sentiamo che Papa Francesco è la voce dei poveri

 



Una vita dedicata ai bambini più poveri del Perù. E’ la vocazione di suor Rosa Gutierrez, missionaria francescana della Santa Croce, impegnata ad Huaycán nella periferia est di Lima. Una missione che ora trova rinnovato vigore grazie a Papa Francesco, voce dei più poveri. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di suor Rosa Gutierrez: 

R. – Per me l'elezione è stato qualcosa che non si può descrivere: una gioia tanto profonda che è entrata nel nostro cuore. Sentiamo di avere un Papa che è la voce dei poveri, il suo cuore parla per i poveri.

D. – In particolare, è un Papa che conosce bene non solo l’Argentina ma tutta l’America Latina…

R. - Questo per noi latinoamericani è stata una festa! Lui è sempre nel nostro cuore, nella nostra preghiera.

D. - Suor Rosa, come è nata la sua vocazione e qual è il suo impegno tra i poveri in Perù?

R. – Avevo 16 anni quando sono andata alla casa delle missionarie di Madre Teresa di Calcutta e in mezzo a questa sofferenza che ho visto, ho voluto quasi correre via dalla paura ma poi, dopo, sono ritornata a servire i poveri, ad aiutare le suore e ho sperimentato una gioia immensa, fino a quando a un certo punto ho pregato davanti al Crocifisso e ho domandato: Signore, io ho dato tutti i miei soldi, il mio tempo, però che cosa posso fare di più? Una voce dentro al cuore mi rispose: Darò la mia vita! Ed io in quel momento ho detto: "Sì, Signore, darò la mia vita, si faccia in me la tua volontà". Quindi, sono ritornata a casa e ho detto alla mia mamma che mi sarei fatta suora missionaria.

D. - Lei è impegnata per i bambini bisognosi del Perù. Adesso c’è anche un progetto, quello di una mensa, di che cosa si tratta?

R. – Questa scelta di vivere in mezzo ai poveri ci fa sperimentare anche la loro sofferenza. Condividiamo con loro le carenze che hanno e quando tu ami qualcuno hai il desiderio di rispondere, di sollevarlo da questa sofferenza. Quindi, da noi è nato il desiderio di creare questa mensa per i bambini più poveri, specialmente nella nostra zona, dove i bambini soffrono di tubercolosi. Vorremmo poter dare loro da mangiare, con una colazione e un pranzo al giorno.


31/03/2013 fonte radio vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 29/03/2013 Venerdì Santo - Passione del Signore






Quante e quante volte i nostri occhi si sono posati su un Crocifisso o una semplice croce, in questo mondo distratto, superattivo, superficiale? 
Quante volte entrando in una chiesa o passando davanti a delle edicole religiose agli angoli delle strade, sui sentieri di campagna o di montagna, o mettendola al collo sia per devozione, sia per moda, i nostri occhi hanno visto la Croce; quante volte sin da bambini ci siamo segnati con il segno della Croce, recitando una preghiera o guardando il Crocifisso appeso alla parete della nostra stanza da letto, iniziando e terminando così la nostra giornata. 
La Croce simbolo del cristianesimo, presente nella nostra vita sin dalla nascita, nei segni del rito del Battesimo, nell’assoluzione nel Sacramento della Penitenza, nelle benedizioni ricevute e date in ogni nostro atto devozionale e sacramentale; fino all’ultimo segno tracciato dal sacerdote nel Sacramento degli Infermi, nella croce astile che precede il funerale e nella croce di marmo o altro materiale, poggiata sulla tomba. 
Così presente nella nostra vita e pur tante volte ignorata e guardata senza che ci dica niente, con occhio distratto e abituato; eppure la Croce è il supremo simbolo della sofferenza e della morte di Gesù, vero Dio e vero uomo, che con il Suo sacrificio ci ha riscattato dalla morte del peccato, indicandoci la vera Vita che passa attraverso la sofferenza. 
Gesù stesso con le Sue parabole insegnò che il seme va sotterrato, marcisce e muore, per dare nuova vita alla pianta che da lui nascerà. 
In tutta la vicenda umana e storica di Gesù, la "Passione” culminata nel Venerdì Santo, designa da sempre l’insieme degli avvenimenti dolorosi che lo colpirono fino alla morte in croce. E questo insieme di atti progressivi e dolorosi prese il nome di "Via Crucis” (pratica extraliturgica, introdotta in Europa dal domenicano beato Alvaro, (†1402), e dopo di lui dai Frati Minori Francescani); che la Chiesa Cattolica, ricorda in ogni suo tempio con le 14 ‘Stazioni’; quadretti attaccati alle pareti, oppure lungo i crinali delle colline dove sorgono Santuari, meta di pellegrinaggi; con edicole, gruppi statuari o cappelle, che invitano alla meditazione e penitenza; in ognuna di queste ‘Stazioni’ sono raffigurati con varie espressioni artistiche, momenti della dolorosa "Via Crucis” e Passione di Gesù; espressione di alta simbologia ed arte, sono ad esempio i Sacri Monti come quelli di Varallo e di Varese, e i celebri Calvari bretoni. 
La "Passione” di Gesù cominciò dopo l’Ultima Cena tenuta con gli Apostoli, dove Egli diede all’umanità il dono più grande che si potesse: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia, inoltre l’istituzione del Sacerdozio cristiano e la grande lezione di umiltà e di amore verso il prossimo con la lavanda dei piedi dei Dodici Apostoli. 
I Vangeli raccontano gli avvenimenti in modo abbastanza preciso e concorde; nella primavera dell’anno 30, Gesù discese con i suoi discepoli dalla Galilea a Gerusalemme, in occasione della Pasqua ebraica, l’annuale "memoriale” della prodigiosa liberazione del popolo ebreo dall’Egitto. 
Qui tenne l’Ultima Cena, dove di fatto fu sostituito il vecchio "memoriale” con il nuovo, da rinnovare nel tempo fino al suo ritorno: "Questo è il mio corpo, che è dato per voi”; "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi”; "Fate questo in memoria di me!”. 
Nella "redenzione dal peccato” si deve ricercare in buona parte, il senso della ‘Passione’ di Cristo e di questo trattano i racconti evangelici, nel susseguirsi degli avvenimenti che seguirono l’Ultima Cena; è bene ricordare che lo stesso Gesù preannunziò ciò che sarebbe accaduto ai suoi discepoli per ben tre volte, preparandoli al suo destino di sofferenze e di gloria; in particolare la terza volta (Luca 18, 31-33). 
Ma il suo sacrificio, è presentato nei Vangeli anche come l’attuazione della parola dei profeti, contenuta nelle Scritture e si delinea una grande verità, consegnandosi mite e benevole nelle mani di uomini che faranno di lui quello che vorranno, l’”Agnello di Dio” ha preso su di sé e ha ‘tolto’ il peccato del mondo (Giovanni 1,29). 
Per questo si nota che nel racconto evangelico della Passione, ogni atto è presentato come malvagio, ingiusto e crudele; anche tutti coloro che intervengono nei confronti di Gesù sono cattivi o meglio peccatori, come una sequenza impressionante dei peccati degli uomini contro di Lui. 
È necessario che il male ed il peccato si scateni contro Gesù, portandolo fino alla morte e dando la sensazione di aver vinto il Bene; finché con la Sua Resurrezione alla fine si vedrà che la vittoria finale sul male, è la sua. 
La ‘Passione’ si svolge con una sequenza di immagini drammatiche, prima di tutto il tradimento di Giuda, che lo vende e lo denuncia con un bacio nel giardino posto al di là del torrente Cedron, dove si era ritirato a pregare con i suoi discepoli, e dove Gesù, aveva avuto la visione angosciante della prossima fine, sudando sangue e al punto di chiedere al Padre di far passare, se era possibile, questo calice amaro di sofferenza, ma nel contempo accettò di fare la Sua volontà. 
Segue l’arresto notturno da parte dei soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei; Gesù subisce l’interrogatorio di Anna, ex sommo sacerdote molto potente e suocero del sommo sacerdote in carica Caifa; poi il giudizio del Sinedrio giudaico capeggiato da Caifa, che formula ad ogni costo un’accusa che consenta la sua condanna a morte, che però per la legge vigente a Gerusalemme, non poteva essere attuata dalle autorità ebraiche. 
Nel contempo si concreta il triplice rinnegamento del suo primo discepolo Pietro; poi Gesù viene condotto dal governatore romano Ponzio Pilato, accusato di essersi proclamato re dei Giudei, commettendo quindi un delitto di lesa maestà verso l’imperatore romano. 
Nel confronto con Pilato, Gesù afferma la sua Regalità; nonostante che non si ravvisa in lui colpa alcuna, l’attaccamento al potere, la colpevole viltà del governatore, non fanno prendere una decisione a Pilato, che secondo il Vangelo di Luca (23,6) non volendo pronunciarsi, lo manda da re Erode, presente in quei giorni a Gerusalemme; il quale dopo un’inutile interrogatorio e istigato dai sommi sacerdoti e scribi, lo schernisce insultandolo, poi rivestito di una splendida veste lo rimanda da Pilato. 
Ancora una volta Pilato titubante chiede al popolo che colpa ha quest’uomo, perché lui non ne trova; alle grida di condanna lo fa flagellare, pensando che così si calmassero, ma questi gridarono sempre più forte di crocifiggerlo; allora Pilato secondo le consuetudini locali, potendo liberare un prigioniero in occasione della Pasqua, chiese al popolo se intendevano scegliere fra Gesù e un ribelle prigioniero di nome Barabba, che aveva molti morti sulla coscienza, ma anche in questa scelta il popolo si espresse gridando a favore di Barabba. 
Non potendo fare altro, il governatore simbolicamente si lavò le mani e condannò a morte Gesù, tramite la crocifissione, pena capitale praticata in quell’epoca e lo consegnò ai soldati. 
I soldati con feroce astuzia, posero sul capo di Gesù, schernendolo, una corona di spine pungenti e caricarono sulle sue spalle, già straziate da una lacerante flagellazione, il "patibulum”, avviandosi verso la collina del Golgota o Calvario, luogo dell’esecuzione. 
La "Via Crucis” di Gesù presenta alcuni incontri non tutti riportati concordemente dai quattro evangelisti, come l’incontro con Simone di Cirene, obbligato dai soldati a portare la croce di Gesù o a condividerne il peso; l’incontro con le donne di Gerusalemme alle quali dice con toni apocalittici di piangere su loro stesse; l’incontro con la Veronica, le cadute sull’erta salita. 
Arrivati sulla cima del calvario, viene dai soldati spogliato delle sue vesti, che vennero tirate a sorte fra gli stessi soldati, poi crocifisso con chiodi alla croce, tortura orribile e atroce, che conduce Gesù alla morte dopo qualche ora, sempre fra insulti e offese, alla fine invece di spezzargli le gambe per accelerarne la morte per soffocamento, essendo già morto, la lancia di un centurione gli perforerà il costato per accertarsene. 
C’è ancora tutta una serie di episodi che si verificano prima e dopo la sua morte, come il suicidio di Giuda, lo scambio di parole con i due ladroni, crocifissi anche loro in quell’occasione, lo squarcio del Velo del Tempio di Gerusalemme, il terremoto, lo sconvolgimento degli elementi atmosferici, la presenza ai piedi della Croce di Maria sua madre, di Maria di Magdala (Maddalena), di Maria di Cleofa, madre di Giacomo il Minore e Giuseppe, di Salome madre dei figli di Zebedeo e da Giovanni il più giovane degli apostoli; l’affidamento reciproco fra Maria e Giovanni; le sue ultime parole prima di morire. 
La ‘Passione’ si conclude, dopo la deposizione affrettata per l’approssimarsi della festività del sabato, con la sepoltura del suo corpo mortale in una tomba data da Giuseppe d’Arimatea, anche lui diventato suo discepolo, avvolto in un candido lenzuolo e cosparso degli oli e aromi usuali, poi la tomba scavata nella roccia, venne chiusa da una grossa pietra. 
In questo contesto finale s’inserisce l’esistenza e la venerazione per la Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, prova tangibile dei patimenti e del metodo crudele subito da Gesù per la crocifissione. 
Dato il poco spazio disponibile, si è dovuto necessariamente essere veloci nel descrivere praticamente la ‘Passione di Nostro Signore’, ma questo storico evento lo si può meditare ampliamente, partecipando ai riti della Settimana Santa, che da millenni la Chiesa cattolica e le altre Chiese Cristiane celebrano. 
Aggiungiamo solo che Gesù ha voluto con la sofferenza e la sua morte, prendere su di sé le sofferenze e i dolori di ogni genere dell’umanità, quasi un "chiodo scaccia chiodo”; indicando nel contempo che la sofferenza è un male necessario, perché iscritto nella storia di ogni singolo uomo, come lo è la morte del corpo, come conseguenza del peccato, ma essa può essere trasformata in una luce di speranza, di compartecipazione con le sofferenze degli altri nostri fratelli, che condividono con noi, ognuno nella sua breve o lunga vita terrena, il cammino verso la patria celeste. 
Questo concetto e valorizzazione del dolore fu nei millenni cristiani, ben compreso ed assimilato da tante anime mistiche, al punto di non desiderare altro che condividere i dolori della ‘Passione’; ottenendo da Cristo di portare nel loro corpo i segni visibili e tormentati di tanto dolore; come pure per tanti ci fu il sacrificio della loro vita, seguendo l’esempio del Redentore, per l’affermazione della loro fede in Lui e nei suoi insegnamenti. 
Ecco allora la schiera immensa dei martiri che a partire sin dai primi giorni dopo la morte di Gesù e fino ai nostri giorni, patirono e morirono violentemente, con metodi anche forse più strazianti della crocifissione, come quello di essere dilaniati vivi dalle belve feroci; bruciati vivi sui roghi; fatti a pezzi dai selvaggi nelle Missioni; scorticati vivi, ecc. 
Poi riferendoci a quando prima accennato ai segni della ‘Passione’ sul proprio corpo, solo per citarne qualcuno: Le Stimmate di s. Francesco di Assisi, di s. Pio da Pietrelcina, la spina in fronte di s. Rita da Cascia, ecc. 
La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata. 
In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi. 
Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia. 
Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni. 
Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù. 
È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come "Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il "Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come "Il Re dei re”, "La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità "La Passione di Cristo” di Mel Gibson. 
Inoltre la televisione presente ormai in ogni casa, ha riproposto ad un pubblico ancor più vasto le produzioni televisive ed i tanti films con questo soggetto, che per questioni economiche e per la crisi delle sale cinematografiche, non sarebbero stati più visti. 
Il Venerdì Santo è il giorno della Croce, di questo simbolo che è di guida ai cristiani e nel contempo tiene lontani altri da questa religione, che per tanti versi ha al suo centro il dolore e la sofferenza, seppure accettata e trasfigurata; e si sa che a nessuno piace soffrire e tutti vorrebbero tendere alla felicità senza prima soffrire. 


Via Crucis al Colosseo. Papa Francesco: "La croce: risposta di Dio al male del mondo"





Di fronte al silenzio suscitato dalla morte di Cristo, Papa Francesco usa poche incisive parole: è la Croce di Cristo che deve parlare all’uomo, Croce che offre la risposta di Dio al male del mondo, ma che è anche segno d’amore, misericordia e perdono. Alla sua prima Via Crucis al Colosseo, dove a sorreggere la Croce c’erano una famiglia italiana, una indiana, un disabile, fedeli della Cina, del Libano, della Nigeria e del Brasile, il Pontefice ieri sera ha esortato a camminare sulla via della Croce di tutti i giorni nell’amore e nel perdono. Il servizio di Tiziana Campisi:   

"Una sola parola”: Papa Francesco lascia questo a chi lo ha seguito al Colosseo nel rito della Via Crucis. Vuole che nel silenzio della notte della morte di Cristo parli la Croce:

"La Croce di Gesù è la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono”. 

Ma la Croce di Cristo è anche giudizio, ha aggiunto il Pontefice:

"Dio ci giudica amandoci. Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva … la parola della Croce è anche la risposta dei cristiani al male che continua ad agire in noi e intorno a noi”.

Eccolo l’insegnamento di Gesù che Papa Francesco evidenzia: "I cristiani devono rispondere al male con il bene, prendendo su di sé la croce”. E anche i giovani libanesi, meditando le 14 stazioni della Via Crucis, hanno focalizzato la loro riflessione sulla Croce di Cristo, usando un’espressione di Efrem il Siro per definirla: la croce di Cristo è il ponte attraverso il quale gli uomini passano dalla morte alla vita. E’ questa la chiave di lettura per comprendere il mistero della via dolorosa: Gesù dona la vera vita, la vita eterna, e insegna che la strada per raggiungerla è quella della sua Passione. Da qui i parallelismi tra le sue tappe verso il Golgota e le sofferenze dell’uomo contemporaneo. E così il percorso di Cristo verso la crocifissione è oggi quello dei popoli del Medio Oriente che soffrono pregiudizi e ingiustizie, dei cristiani che vivono divisioni, di molti innocenti vittime del terrorismo. Ma nella via dolorosa vengono meditati anche i mali odierni: la guerra, la violenza , le piaghe e le malattie che affliggono molti. Infine, nel ricordo della morte di Cristo c’è l’apertura alla speranza e per quanti promuovono l’aborto e difendono l’eutanasia l’invito ad impegnarsi nell’edificazione della civiltà della vita e dell’amore.


29/03/2013 fonte Radio Vaticana

Passione di Cristo. Padre Cantalamessa: "La Chiesa annunci Cristo tornando alla semplicità delle origini"




Tornare alla semplicità nell’annuncio di Cristo, morto e risorto, abbattendo quegli impedimenti che sono di ostacolo all’evangelizzazione: residui di cerimoniali, eccesso di burocrazia, controversie passate. E’ l’esortazione del predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, pronunciata durante la predica della Passione del Signore presieduta ieri pomeriggio nella Basilica Vaticana da Papa Francesco. "La fede cristiana – ha detto il sacerdote francescano – ha una risposta sicura” da dare ai grandi interrogativi del mondo secolarizzato e del nostro continente europeo. Il servizio è di Paolo Ondarza: 

Steso sul pavimento della Basilica Vaticana. Papa Francesco, come i sacerdoti di tutte le chiese del mondo nel venerdì santo, compie il gesto di adorazione del Cristo morto in Croce. Dall’alto del Calvario – spiega il predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa - la vita umana appare diversa da come i nostri occhi la vedono. Il sacerdote francescano cita ad esempio le foto della terra vista da un satellite: esse ci danno un’immagine del pianeta che non conosciamo "standoci dentro”. In Gesù crocifisso, morto e risorto, – osserva– appare evidente che nonostante le miserie, le ingiustizie, le mostruosità esistenti, "il mondo nuovo è già iniziato". Il male e la morte sono sconfitti: 

Cristo è entrato nella morte come si entra in una prigione oscura; ma ne è uscito dalla parete opposta. Non è tornato indietro da dove era venuto, come Lazzaro che torna a vivere per morire di nuovo. Ha aperto una breccia verso la vita che nessuno potrà più richiudere, e per la quale tutti possono seguirlo. La morte non è più un muro contro cui si infrange ogni speranza umana; è diventata un ponte verso l’eternità. Un "ponte dei sospiri”, forse, perché a nessuno piace morire, ma un ponte, non più un abisso che tutto inghiotte.

Nel triduo pasquale, vertice di questo anno della fede che il Papa emerito Benedetto XVI ci ha donato – sottolinea padre Cantalamessa - è urgente dire al mondo che "Cristo è morto per tutti”. Abbiamo la possibilità di prendere oggi la decisione più importante della nostra vita: credere. 

Cosa straordinaria! Questo Venerdì Santo celebrato nell’anno della fede e in presenza del nuovo successore di Pietro, potrebbe essere, se lo vogliamo, il principio di una nuova vita.
Nella croce risiede la risposta sicura che solo la fede cristiana può dare ai grandi interrogativi del mondo secolarizzato, ai tanti "uomini alla finestra” che sognano di riceverla: dobbiamo fare il possibile – esorta il predicatore - perché nella Chiesa il messaggio di Cristo "non trovi impedimenti, ma esca libero e gioioso come quando iniziò la sua corsa":

Sappiamo quali sono gli impedimenti: i muri divisori, a partire da quelli che separano le varie chiese cristiane tra di loro, l’eccesso di burocrazia, i residui di cerimoniali, leggi e controversie passate, divenuti ormai solo dei detriti.

Sono tempi nuovi per la Chiesa: padre Cantalamessa la paragona a quegli edifici antichi che nel corso dei secoli per essere adattati alle esigenze del momento hanno subito modifiche: scalinate, stanze, tramezzi; adattamenti che possono non rispondere più alle esigenze attuali. Di qui l’invito a trovare il coraggio di abbatterli per riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle origini.

Fu la missione che ricevette un giorno un uomo che pregava davanti al crocifisso di San Damiano: "Va’, Francesco, ripara la mia Chiesa”. Che lo Spirito Santo, in questo momento in cui si apre per la Chiesa un tempo nuovo, pieno di speranza, ridesti negli uomini che sono alla finestra l’attesa del messaggio e nei messaggeri la volontà di farlo giungere ad essi, anche a costo della vita.


29/03/2013 fonte Radio Vaticana

Parroco di Kabul: In guerra, il Calvario è la speranza della Resurrezione


P. Giuseppe Moretti racconta la Settimana Santa della piccola comunità cristiana dell'Afghanistan. Per il sacerdote la missione della Chiesa afghana è soprattutto nei confronti dei militari, gli unici che hanno contatti diretti con la popolazione.


Kabul (AsiaNews) - "In questa realtà che sembra non avere scampo preghiamo che dopo il Calvario vi sia la Resurrezione. Qui la Passione di Gesù è la sofferenza di milioni di persone che patiscono ogni giorno il dramma della guerra, dell'odio, della povertà". È quanto afferma ad AsiaNews p. Giuseppe Moretti,  parroco dell'unica chiesa dell'Afghanistan, la cappella interna all'ambasciata italiana a Kabul (v. foto). Il sacerdote definisce la piccola comunità cristiana, composta da 12 suore e alcune decine fra militari e funzionari di ambasciate, una "Chiesa catacombale, silenziosa, discreta,  ma operosa perché testimonia Cristo al popolo afghano con il proprio esempio di vita e con la presenza quotidiana dell'Eucarestia".

Nonostante le difficoltà molte persone stanno partecipando alle funzioni della Settimana Santa. La presenza dei militari, anche di alto rango, alle messe è un segno di speranza. "Alla domenica delle Palme - racconta - la Chiesa era stracolma. Le palme sono un simbolo di pace e qui tutto è in rapporto con la terribile realtà afghana, dove domina invece la guerra". Oggi la piccola comunità celebra la liturgia della Passione. Il calendario prosegue con la veglia Pasquale a cui seguirà la messa solenne. "Ci attendiamo molte persone, soprattutto durante la veglia - nota p. Moretti - chi viene lo fa anche rischiando la vita".

Il Paese è al 99% musulmano e vi è  il divieto assoluto di comunicare il Vangelo. Ai cristiani è vietato esporre simboli religiosi e le funzioni sono limitate alla messa quotidiana. Le processioni non si possono svolgere nemmeno all'interno dell'ambasciata. "Questa condizione - sottolinea p. Moretti - non è un ostacolo. Noi andiamo incontro alla Pasqua con entusiasmo e  pienezza, come se fossimo dentro una bellissima cattedrale. Non è il luogo che fa la differenza, ma la presenza di Cristo".

Per p. Moretti la missione è anzitutto nei confronti dei militari, gli unici che possono avere contatti diretti con la popolazione musulmana, "i valori del Vangelo - sottolinea - si trasmettono anche attraverso di loro". I sei sacerdoti presenti nel Paese sono tutti cappellani nelle basi Nato sparse per il Paese e il loro compito è far riscoprire la fede ai cristiani che operano in Afghanistan. "Nella messa crismale celebrata lo scorso 24 marzo - racconta - abbiamo sperimentato che la nostra  presenza qui ha senso solo se viviamo come afferma papa Francesco: come veri pastori con 'il profumo delle pecore' sulle nostre vesti". Per testimoniare il Vangelo là dove il Signore ci invia".  

Compreso p. Moretti, i religiosi e le religiose che operano in Afghanistan sono 15. La presenza più radicata nel Paese è quella delle Piccole sorelle di Gesù. Rispettate anche dai talebani, queste suore (quattro in tutto) operano da 50 anni a Kabul. La caduta del regime talebano nel 2001 ha permesso l'entrata delle suore di Madre Teresa, che dal 2006 lavorano con i malati e i poveri. Un'altra realtà stimata e riconosciuta dalla popolazione è quella dell'Associazione pro bambini di Kabul che assiste orfani e disabili. (S.C.)

 

 29/03/2013 fonte Asia News

Mindanao: nel ricordo di p. Tentorio, i cattolici celebrano il Venerdì Santo



È quanto racconta il confratello p. Giovanni Vettoretto, missionario nell’Arakan Valley. I fedeli hanno voluto rendere omaggio al "suo sacrificio” e alla "testimonianza di fede”. Una presenza "viva” che è fonte di conversione. Per tutto il giorno si sono alternati momenti di adorazione e via Crucis, che continuano anche col buio. 


Manila (AsiaNews) - "La memoria di p. Tentorio è ancora viva e presente nella comunità. Per questo oggi, in occasione del Venerdì Santo, i fedeli hanno voluto ricordare il suo sacrificio e la sua testimonianza di fede, in attesa di festeggiare domenica la Pasqua di risurrezione". È quanto racconta ad AsiaNews p. Giovanni Vettoretto, missionario del Pontificio istituto missioni estere nell'Arakan Valley (Cotabato del nord, Mindanao) e confratello di p. Fausto Tentorio, il sacerdote del Pime ucciso a colpi di pistola il 17 ottobre 2011. In particolare, la parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, dove ha lavorato a lungo il sacerdote di origini italiane, ha reso omaggio "alla sua personale testimonianza di fede", frutto di una vita spesa al servizio della missione.

"Per tutta la Settimana Santa - racconta p. Vettoretto - e in particolare oggi, Venerdì Santo, in cui si celebra la morte in croce di Gesù, abbiamo voluto ricordare p. Tentorio. La sua è ancora oggi una presenza viva" non solo a Mindanao, ma anche in altre parrocchie dell'isola e dell'arcipelago dove resta fonte di grazia e conversione. "La gente parla ancora con le lacrime agli occhi di lui - continua il sacerdote - ma è tutta la Settimana Santa che fa tornare alla mente il valore del sacrificio, delle sofferenze che poi trovano un riscatto nella domenica di Pasqua".

La devozione dei fedeli, aggiunge p. Vettoretto, è testimoniata dal fatto che "ancora adesso (nelle Filippine è già sera, ndr) la gente continua a gremire la chiesa. Di solito col buio gli abitanti dei villaggi si ritirano nelle loro case, ma questi sono giorni speciali e il flusso è costante. Qualcuno sta ancora facendo la via Crucis ai lati dell'edificio". "È un momento di condivisione forte della fede e di una profonda esperienza personale" con il dramma della passione e morte in croce di Gesù, che quest'anno ha anche i connotati di una maggiore familiarità con la tecnologia. "Sono stati allestiti power point - continua il missionario - e altre illustrazioni, la tecnologia ha fatto la sua comparsa ma, al fondo, resta sempre la partecipazione alle funzioni e il profondo legame con i riti e i simboli".  

P. Fausto Tentorio è stato il terzo missionario del Pime ucciso nelle Filippine, in particolare nell'isola di Mindanao. Nel 1985 p. Tullio Favali è stato assassinato a Tulunan, nella diocesi di Kidapawan, per mano di un gruppo di guardie private armate; nel 1992, p. Salvatore Carzedda, impegnato nel dialogo con i musulmani, è stato ucciso a Zamboanga. Nel 2007, p. Giancarlo Bossi era stato rapito da un gruppo di fuoriusciti del Moro Islamic Liberation Front (Milf), ma è stato rilasciato dopo oltre due mesi di cattività. Nel 1998 è stato rapito anche p. Luciano Benedetti. I suoi rapitori, un gruppo musulmano, lo hanno liberato dopo circa 2 mesi. 

 

29/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 27/03/2013 Sant'Augusta di Serravalle Vergine e martire



Gli "Atti” di s. Augusta, cioè le notizie sulla sua vita e martirio, furono redatte alla fine del XVI secolo da Minuccio de’ Minucci di Serravalle, protonotario apostolico e segretario di papa Clemente VIII (1592-1605). 
Questi "Atti” furono inviati agli editori dei volumi "De probatis sanctorum historiis” di Lorenzo Surio, certosino e agiografo tedesco (1522-1578) e furono inseriti nel vol. VII dell’edizione stampata a Colonia in Germania. 
Le notizie sono senz’altro leggendarie, come del resto accadde per molti martiri dei primi tempi del cristianesimo, oppure di martiri che molto tempo dopo la loro morte, si siano trovate le reliquie e quindi ci si è spesso inventati la vita. 
Secondo questi "Atti”, Augusta era figlia di Matruco, capo alemanno (Alemagna - Germania), che aveva conquistato e sottomesso il Friuli; questi risiedeva a Serravalle (attuale borgo antico della città di Vittorio Veneto) ed era un accanito nemico della religione cristiana. 
Augusta abbracciò la nuova fede segretamente, ma il padre ne venne comunque a conoscenza e la fece arrestare. Giacché si rifiutò di apostatare, fu gettata in un carcere e dopo varie torture, venne decapitata; il suo corpo fu ritrovato alcuni anni dopo sepolto su una collina, sovrastante Serravalle, che prese il suo nome; qui le fu dedicata dal V secolo, una chiesa molto frequentata dagli abitanti. 
L’epoca del suo martirio è circa il 100 d.C.; la santa è anche conosciuta come Augusta di Ceneda, (secondo nucleo di Vittorio Veneto, città posta ai piedi delle Prealpi Bellunesi, in provincia di Treviso). 
S. Augusta viene raffigurata con i simboli del suo martirio, una ruota dentata per la tortura, i denti che le furono strappati, la palma. Sulla collina di S. Augusta, vi sono ancora i resti del castello del truce padre Matruco, e la grande chiesa a lei dedicata. 

Il nome Augusto/a significa "consacrato”; esso fu premesso a parecchie città per onorare l’imperatore romano Augusto, come: Augusta Praetoria (Aosta), Augusta Taurinorum (Torino); Augusta Treverorum (Treviri), ecc. inoltre si chiamano così Augusta in provincia di Siracusa, la capitale del Maine negli U.S.A., Augusta in Georgia, Augsburg, importante città tedesca.


Prima udienza generale. Papa Francesco: no a fede stanca, uscire da se stessi per aprire a tutti le porte di Dio



Vivere la Settimana Santa vuole dire uscire da sé stessi e portare aiuto ai dimenticati delle periferie del mondo. È l’esortazione che emerge dalla prima udienza generale che Papa Francesco ha presieduto ieri mattina in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha dedicato la catechesi al significato della Settimana Santa, ma ha anche annunciato - raccogliendo "il testimone” di Benedetto XVI” – di voler riprendere dopo Pasqua la riflessione sull’Anno della Fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Un solo concetto, ripetuto con insistenza martellante: un cristiano deve "uscire”. Uscire da una fede di comodo per portare aiuto e comprensione tra gli abitanti delle "periferie dell’esistenza”. Uscire come Gesù, che considerava la gente la propria casa. L’insegnamento cardine che da due settimane il mondo ha imparato a conoscere di Papa Francesco diventa la prima pietra anche del suo magistero del mercoledì. Il Pontefice si sofferma sulla Settimana Santa e chiede ai cristiani di imitare Gesù, il quale dopo aver guarito, consolato, compreso, perdonato potenti e deboli, compie l’atto d’amore estremo sulla Croce. E questa, indica il Papa, è anche la "nostra strada”:

"Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore, vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi - come dicevo domenica scorsa - per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto”.

È la "logica del Vangelo”, scandisce Papa Francesco. Altre logiche quindi sono escluse. Ad esempio, afferma, l'accontentarsi "di restare nel recinto delle novantanove pecore”. Invece, esorta, si deve "uscire” come Gesù in cerca di quella che si è smarrita, "quella più lontana”:

"Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un ‘uscire’. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio”.

Uscire: per il Papa che ama condensare la sapienza cristiana in parole-chiave, è questo il verbo del giorno, ma che basta per una vita intera. Bisogna uscire, incalza, perché Gesù stesso viveva senza "una pietra dove posare il capo”:

"Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio”. 

A questo punto, Papa Francesco risponde anche alla facile obiezione di chi sostiene di non avere tempo né forze per agire così, o di ritenerlo troppo difficile. In fondo, constata il Papa anche gli Apostoli redarguirono Gesù quando il Maestro mise crisi le loro "certezze”:

"Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di ‘uscire’ per portare Cristo. Siamo un po’ come san Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende in disparte e lo rimprovera”.

E qui, ricordando come Gesù rimproveri Pietro per non pensare "secondo Dio, ma secondo gli uomini”, Papa Francesco ribadisce - e aggiunge di non dimenticarlo mai - che "Dio pensa con misericordia”, come il padre della parabola del Figliol prodigo:

"La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che pena, tante parrocchie chiuse! – nelle nostre parrocchie, dei movimenti, delle associazioni, ed 'uscire' incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! (...) Auguro a tutti di vivere bene questi giorni seguendo il Signore con coraggio, portando in noi stessi un raggio del suo amore a quanti incontriamo”. 

La prima udienza generale di Papa Francesco si è segnalata per alcune novità rispetto alla prassi del passato. Dopo la catechesi in lingua italiana, il Pontefice ha atteso che un sacerdote ne facesse la sintesi in un altro idioma per poi ogni volta prendere la parola e salutare i relativi gruppi linguistici presenti nella Piazza, ma sempre utilizzando l’italiano. Inoltre, anche in questa circostanza si sono ripetute le scene ormai abituali che hanno visto, prima e dopo l’udienza generale, Papa Francesco rimanere a lungo a contatto con la gente, transitando lentamente a bordo della jeep scoperta e scendere di tanto in tanto a stringere mani, ricambiato con entusiasmo e grande affetto. Per la cronaca, dopo l’udienza Papa Francesco ha salutato la neo presidente della Camera italiana, Laura Boldrini.

Migliaia dunque le persone in Piazza San Pietro con il Papa, che hanno ricambiato con calore le parole e i gesti di vicinanza di Francesco. Massimiliano Menichetti era con loro: 

Papa Francesco proteso verso migliaia di mani, sorrisi, lacrime, gioia. Per oltre 30 minuti, ha benedetto bambini, abbracciato fisicamente il popolo di Dio dopo l’udienza generale. Migliaia le persone assiepate vicino alle transenne, sul sagrato e poi in piazza. Al suo arrivo, prima della lettura del Vangelo, l’ampio giro sulla jeep: le bandiere di tutte il mondo si sono alzate a disegnare il mosaico universale della cristianità.

R. - È passato qui, davanti a me!

R. - La sensazione è bellissima! Questo mi ha già appagato.

R. - Viva il Papa!

R. - La cosa che mi ha colpito di più è proprio questa idea "dell’uscire da sé stessi”, un’espressione che il Papa ha ripetuto molte volte, dando proprio questa idea dell’evitare di chiudersi e portare Cristo a tutti con la tenerezza.

R. - Questo è proprio quello che volevamo sentirci dire, perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica di non accontentarci di quello che abbiamo e di non tenere la nostra fede solo per noi ma di tirarla fuori, di uscire da noi stessi per impegnarci, per cambiare un po’ il mondo: è quello che noi giovani vogliamo fare!

R. - Io penso che abbia ragione. Bisogna aver il coraggio, perché - almeno secondo la mia esperienza personale - posso dire di aver vissuto momenti difficili, però nonostante questo non ho mai perso la speranza, ho sempre pregato. Quello che ho sempre chiesto, alla fine mi è stato dato. Ho sempre pensato che ciò che mi è accaduto in passato è accaduto perché potevo portare quel tipo di croce e nelle parole del Papa vivo proprio questo.

R. - Le sue parole arrivano dirette al cuore! 

R. - Mi sto riavvicinando alla Chiesa.

D. - Cosa l’ha colpito di questa prima udienza generale del Papa?

R. - L’affetto della folla che è veramente notevole.

R. - È stato tutto un insieme di cose... Questo suo ribadire la tenerezza e la vicinanza di Dio, che non siamo noi i primi a fare il passo, ma che è sempre Lui che ci viene incontro.

D. - Uscire da sé stessi, non rinunciare nonostante le tante debolezze: cosa ne pensa?

R. - Soprattutto, mi ha colpito il fatto di non rinchiudersi nel recinto delle 99 pecore. Spero tanto che il Papa continui a ribadire la tenerezza di Dio, abbiamo bisogno di sentircelo dire.

R. – Il portare questo raggio di luce che significa che dobbiamo uscire da noi stessi per sperimentare la presenza di Gesù Cristo nella nostra vita e avere il coraggio di portarlo a tutti gli altri. Il Papa anche nella solennità di San Giuseppe ha parlato della testimonianza e di lasciarsi custodire, e allo stesso tempo di essere noi custodi del fratello. Per questo ci vuole coraggio, non è facile.

D. - Che cosa la colpisce di questo Papa?

R. - Il suo coraggio nel parlare con sincerità ma con tanta tenerezza e l’amore verso i poveri.

D. - Il suo augurio per il Papa per questa Pasqua?

R. - Che lui continui su questa linea, perché con il suo parlare ci porta il Vangelo, e così ci porta Gesù.



27/03/2013 fonte Radio Vaticana

Messa del Mercoledì Santo. Il Papa: chi sparla degli altri è come Giuda




Il tradimento di Giuda paragonato al pettegolezzo, al parlare male degli altri. E’ la riflessione fatta da Papa Francesco nella breve omelia tenuta ieri mattina nella "Casa Santa Marta” in Vaticano, a commento del Vangelo del Mercoledì Santo. Poi, a sorpresa, il Papa si è recato nella Basilica di San Pietro a salutare i dipendenti vaticani riuniti per la Messa presieduta dal cardinale Angelo Comastri alla vigilia del Triduo pasquale. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Il Vangelo del Mercoledì Santo presenta il tradimento di Giuda per 30 denari. Uno dei Dodici, uno degli amici di Gesù, uno di quelli che gli erano più vicini – sottolinea il Papa – parla con i capi dei sacerdoti trattando il prezzo del tradimento. "Gesù è come una mercanzia: è venduto”. Capita "tante volte anche nel mercato della Storia … nel mercato della nostra vita – ha proseguito - quando noi scegliamo i 30 denari e lasciamo Gesù da parte, guardiamo il Signore che è venduto. E a volte noi – afferma il Papa - con i nostri fratelli, con i nostri amici, tra noi, facciamo quasi lo stesso”. Accade "quando chiacchieriamo l’uno dell’altro”. Questo è vendere, e "la persona di cui chiacchieriamo è una mercanzia, diventa una mercanzia. E con quanta facilità - esclama - noi facciamo questo! E’ la stessa cosa che ha fatto Giuda”. Il Papa quindi aggiunge: "Non so perché, ma c’è una gioia oscura nella chiacchiera”. A volte cominciamo da parole buone, ma poi all’improvviso arriva la chiacchiera e comincia quello che il Papa definisce "spellare l’altro”. Ma "ogni volta che chiacchieriamo, ogni volta che ‘spelliamo’ l’altro – ricorda il Pontefice - facciamo la stessa cosa che ha fatto Giuda”. Questo, dunque, l’invito: "mai parlare male di altre persone”. Giuda, quando ha tradito Gesù "aveva il cuore chiuso, non aveva comprensione, non aveva amore, non aveva amicizia”. Così, anche noi quando spettegoliamo non abbiamo amore, non abbiamo amicizia, tutto diventa mercato: "vendiamo i nostri amici, i nostri parenti”. Allora - esorta il Papa – "chiediamo perdono perché lo facciamo all’amico, ma lo facciamo a Gesù, perché Gesù è in questo amico, in questa amica. E chiediamo la grazia di non ‘spellare’ nessuno, di non chiacchierare di nessuno”. E se ci accorgiamo che qualcuno ha dei difetti – conclude il Papa – non facciamoci giustizia con la nostra lingua, ma preghiamo il Signore per lui, dicendo "Signore, aiutalo!”. 

Il Papa si è poi recato nella Basilica di San Pietro dove ha salutato i dipendenti vaticani riuniti per la Messa presieduta dal cardinale Comastri, ringraziandoli per il lavoro svolto per la Santa Sede:

"Voglio ringraziarvi per questo e chiedervi di pregare per me: ne ho bisogno perché io sono anche un peccatore, come tutti. E voglio essere fedele al Signore. Pregate per me. Vi auguro Buona Pasqua. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca, come Mamma buona. Grazie tante!".


27/03/2013 fonte Radio Vaticana

Abdellah Redouane: messaggi significativi da Papa Francesco per il dialogo con l'islam

      



Continuare nel cammino verso l'unità della Chiesa e proseguire il dialogo con le altre religioni, in particolare con l'Ebraismo e con l’Islam. Sono tra i primi propositi espressi da Papa Francesco. La Chiesa cattolica, ha detto, è consapevole della responsabilità "che tutti portiamo verso questo mondo”, noi "possiamo fare molto” per il bene dei poveri, per favorire la giustizia e per la pace. Quale l’impressione di questi primi giorni di pontificato nel mondo musulmano? Adriana Masotti ha sentito il dott. Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia che ha sede a Roma: 

R. - La mia impressione è che Papa Francesco ci abbia già dato messaggi molto significativi in termini di gesti e di parole. Ha nominato i musulmani che pregano l’unico Dio misericordioso e, attraverso i gesti, nel salutare la delegazione in qualche modo è andato oltre il protocollo per dare un abbraccio caloroso, fraterno. Personalmente, in questo abbraccio, ho sentito tutta la dimensione umana della persona, la sua umiltà, perché siamo tutti credenti umili davanti a Dio.

D. - Come lei ha accennato, all’udienza con i rappresentanti delle altre religioni, il Papa ha detto che nella presenza degli islamici vede la volontà di crescere nella stima reciproca per il bene dell’umanità. Voi come valutate tutto questo?

R. - Siamo assolutamente sostenitori della posizione del Papa, perché per noi è l’unica strada che può aiutare cristiani, musulmani ed altri, a camminare insieme sulla strada della pace e della cooperazione, guardando verso la stessa direzione, verso Dio.

D. - Papa Francesco ha tracciato quasi un programma di ciò che gli uomini di tutte le fedi - quindi anche cristiani e musulmani - possono fare insieme: rispetto per il Creato, aiuto ai più poveri, favorire la giustizia e la pace, ma soprattutto tener viva nel mondo la sete dell’Assoluto…

R. - Sono delle indicazioni molto importanti, il segnale è molto forte. Adesso è necessario che tutti convoglino in questa strada. Penso a tutte le altre fedi, in particolare a quelle monoteiste dell’islam e dell’ebraismo.

D. – In lei e nella sua comunità come sono risuonate le parole del Papa quando ha detto: "Saluto i musulmani che adorano Dio unico vivente e misericordioso e lo invocano nella preghiera”. È un riconoscimento, in fondo, di un altro islam rispetto a quello che tante volte in Occidente suscita timore, perché confuso con altri elementi come l’integralismo, ad esempio…

R. - Penso che questa mano tesa ai musulmani abbia avuto veramente un'eco molto, molto positiva nella comunità islamica, in particolar modo in quella italiana che è quella che conosco meglio. Mi giungono delle informazioni anche dal mondo islamico all’estero, dove sono molto fiduciosi che si possa lavorare molto bene con Papa Francesco. Penso che non sia più un auspicio, ma che il Papa abbia già iniziato e bisogna che gli altri gli diano una mano per aiutarlo in questa direzione, in particolar modo la comunità cattolica e cristiana in tutto il mondo. In una parola posso dire che con Papa Francesco si aprono nuovo prospettive proficue che promettono di superare l’immobilismo fatto di sospetto, di diffidenza… Penso che oggi Papa Francesco ha aperto una strada; bisogna seguirlo.

D. - Per conoscere un po’ di più il mondo islamico - mi riferisco in particolare all’Italia – può dirci in che modo le comunità musulmane lavorano per i poveri, per la pace?

R. - Penso che abbiamo le stesse sfide. Sappiamo che con questa crisi economica, che tocca tutti ma in particolar modo i musulmani che nella stragrande maggioranza sono immigrati, gli effetti negativi si fanno sentire pesantemente. Di conseguenza, bisogna assolutamente elaborare programmi per alleggerire le sofferenze delle persone. Per il momento non abbiamo - come comunità - delle organizzazioni come la Caritas, ma ogni luogo di culto cerca di aiutare i poveri non soltanto della comunità, ma dell’Italia. La solidarietà tra i musulmani è un obbligo religioso: coloro che hanno di più devono aiutare coloro che non hanno nulla. Dunque il background religioso ci spinge alla solidarietà e alla cooperazione. Vorrei dire che sono molto fiducioso e che spero che, nei prossimi mesi, si metta in moto questo treno al quale Papa Francesco ha dato il via libera per andare insieme nella giusta direzione.


27/03/2013 fonte Radio vaticana

Presentato “Papa Francesco”, documentario del Ctv. Svelate le prime parole dopo l’elezione
 



"Papa Francesco”. Questo il titolo del documentario, prodotto dal Centro Televisivo Vaticano, che sarà distribuito come allegato al quotidiano "Il Corriere della Sera” a partire dal prossimo 2 aprile. Su questa produzione, presentata ieri mattina nella Sala Stampa della Santa Sede, ascoltiamo il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il documentario si apre con l’elezione di Papa Francesco, che dalla loggia di San Pietro chiede di pregare per Benedetto XVI. Come in un flashback, la trama si sposta poi sulle parole di Benedetto XVI che comunica la decisione di rinunciare al ministero petrino. Le immagini successive documentano l’arrivo di Benedetto XVI a Castel Gandolfo, le diverse fasi della Sede Vacante e gli eventi di inizio Pontificato. Il documentario si chiude con lo storico incontro tra Papa Francesco e Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Oltre alle immagini, sono anche le parole a raccontare i giorni di grande commozione ed emozione. Mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro televisivo Vaticano:

"E’ un film di montaggio nel quale però abbiamo inserito quattro interviste a quattro cardinali, che potessero dare parola ad alcune emozioni. Penso ad esempio al cardinale Comastri, vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano, che ci ha raccontato – dopo averne chiesto permesso al Pontefice – quali siano state le primissime parole che il Papa ha pronunciato, quando gli hanno chiesto se accettava di diventare Papa. Il cardinale Maradiaga dà parola al nostro senso di smarrimento, quando l’elicottero che portava Benedetto XVI dalla Città del Vaticano si è staccato dal suolo. Racconta il sentimento di sentirsi orfano, di smarrimento, però esprime anche la grande gioia per un Papa che viene dall’America Latina. Poi, il cardinale decano Sodano, che cerca di cogliere la continuità tra Benedetto XVI e Papa Francesco, e il cardinale Ravasi che raccoglie la sfida della cultura, affidatagli dal cardinale Benedetto XVI e riconfermata da Papa Francesco”.

Mons. Viganò ha quindi ricordato le prime parole pronunciate da Papa Francesco dopo l’elezione:

"Le prime parole, dopo la richiesta 'Accetti?' sono state queste. Il cardinale Comastri afferma che il Papa ha risposto: sono un grande peccatore; confidando nella misericordia e nella pazienza di Dio, nella sofferenza, accetto”.

Parole e immagini, condensate nel documentario, che ripercorrono giorni indelebili. Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunciazioni Sociali:

"Siamo in un’epoca nuova, dove le immagini diventano veramente punto di riferimento continuo, fanno storia e ci permettono di inserirci in maniera molto più ricca e più profonda nella storia stessa”.

Il documentario offre dunque una panoramica sulla storia anche con l’ausilio di immagini e interviste inedite. Ferruccio De Bortoli, direttore del quotidiano "Il Corriere della Sera”:

"Credo sia un documento che rimarrà nella storia e ci consentirà, e consentirà probabilmente agli studiosi, ma anche alle prossime generazioni, di capire anche le emozioni che abbiamo vissuto, che abbiamo cercato di descrivere, con una partecipazione emotiva che difficilmente si riscontra quando si parla e si racconta di altri grandi fatti che hanno caratterizzato la storia più recente”.


27/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 26/03/2013 San Ludgero di Munster




La storia di S. Ludgero, primo vescovo di Munster, nato verso il 745 in Frisia, da nobile famiglia, è legata a un fatto nuovo nel mondo cristiano: in quell'epoca il cristianesimo valicò le frontiere dell'impero romano, con l'evangelizzazione della Germania transrenana. In quest'opera missionaria, che raggiunse il massimo sviluppo con S. Bonifacio, troviamo impegnato S. Ludgero, discepolo di S. Gregorio e di Alcuino di York. Dopo l'ordinazione sacerdotale, ricevuta a Colonia nel 777, Ludgero si dedicò alla evangelizzazione della regione pagana della Frisia, dove S. Bonifacio aveva subito il martirio.
I metodi usati dall'imperatore Carlo Magno per assoggettare questa zona e cristianizzarla erano ben poco in sintonia con lo spirito del vangelo. Nel 776, durante la prima spedizione, il monarca impose il battesimo a tutti i guerrieri vinti; ma la rivolta di Widukindo fu accompagnata da un'apostasia generale. Ludgero dovette fuggire, e dopo aver sostato a Roma raggiunse Montecassino, dove vestì l'abito monacale senza tuttavia emettere i voti.
La rivolta di Widukindo venne domata nel 784 e la repressione fu pesante. 
Il rifiuto del battesimo e la rottura del digiuno quaresimale erano passibili di morte; ma questo regime di terrore, contro il quale si levò la condanna del grande maestro Alcuino, rendeva odioso lo stesso cristianesimo, che tuttavia attecchì e fiorì rigogliosamente, grazie ad autentici banditori del vangelo, come S. Ludgero, che lo stesso Carlo Magno andò ad incontrare a Montecassino e rimandò in patria, incaricandolo di riprendere la missione nella Frisia. Poco dopo, per premiarlo del suo zelo, gli offrì il vescovado vacante di Treviri, ma il santo rifiutò. Non si sottrasse invece al suo compito di missionario, accettando di prendere il posto dell'abate Bernardo nel territorio della Sassonia.
Nel 795 Ludgero vi eresse il monastero, attorno al quale sorse l'attuale città di Munster (in tedesco Munster vuol dire monastero). Il territorio apparteneva alla circoscrizione ecclesiastica di Colonia, poiché Ludgero accettò soltanto nell'804 di essere consacrato vescovo della nuova diocesi. Prima di questa data l'infaticabile missionario non aveva fissa dimora. Costruì chiese e scuole e fondò nuove parrocchie che poi affidò ai sacerdoti che egli stesso aveva formato nella sua scuola presso la cattedrale di Mimigernaeford. A lui si deve anche la fondazione del monastero benedettino di Werden dove ebbe poi sepoltura. Morì il 26 marzo 809 e fu venerato subito come santo. La sua tomba a Werden è mèta di pellegrinaggi.


Il Papa alla Messa del Martedì Santo: abbiamo fiducia nella dolcezza del perdono di Gesù




Aprire il cuore alla dolcezza del perdono di Dio: l’invito di Papa Francesco è contenuto nell’omelia della Messa che il Pontefice ha presieduto questa mattina nella "Casa Santa Marta” in Vaticano, alla presenza degli ospiti della "Domus". Ogni uomo vive la "notte del peccatore”, ha detto il Papa, ma Gesù ha una "carezza” per tutti. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Quando Giuda esce fuori dal Cenacolo per portare a termine il tradimento di Gesù, fuori – riferisce l’evangelista Giovanni – "è notte”. Parte da questa annotazione ambientale la breve riflessione di Papa Francesco, che si spinge poi a sondare in profondità la coscienza umana. La notte che avvolge Giuda, osserva, è anche la notte in cui brancola il suo cuore. È quella peggiore, ha affermato, la "notte del corrotto”, una "notte definitiva, quando il cuore si chiude” in un modo "che non sa, non vuole uscire” da sé. Diversa, ha proseguito, è invece la "notte del peccatore”, una notte "provvisoria” che, ha sottolineato Papa Francesco, noi tutti "conosciamo”. Quanti giorni di questa notte "abbiamo avuto”, quanti "tempi – ha insistito – quando la ‘notte’ giunge ed è tutto buio nel cuore…” Poi, ha proseguito, la speranza si fa largo e ci spinge a un nuovo incontro con Gesù. Di questa "notte del peccatore”, ha ribadito, "non abbiamo paura”. "La cosa più bella – ha indicato il Papa – è dire il nome del peccato”, confessandoli, e fare così l’esperienza di San Paolo che affermava "che la sua gloria era Cristo crocifisso nei suoi peccati. Perché? Perché lui, nei suoi peccati, ha trovato Cristo crocifisso che lo perdonava”. 

La realtà del perdono – o meglio, seconda la liturgia odierna, "il gustare la dolcezza del perdono” – è stata la seconda realtà sulla quale Papa Francesco ha sviluppato l’omelia. "In mezzo alla ‘notte’, alle tante ‘notti’, ai tanti peccati che noi facciamo, perché siamo peccatori, c’è sempre – ha assicurato – quella carezza del Signore” che fa dire: "Questa è la mia gloria. Sono un povero peccatore, ma Tu sei il mio Salvatore!”. Ricordando lo sguardo con cui Gesù perdonò Pietro dopo il suo rinnegamento, il Papa ha concluso invitando ad "aprire il cuore e gustare la dolcezza del perdono”: "Pensiamo che bello è essere santi, ma anche che bello è essere perdonati (…) Abbiamo fiducia in questo incontro con Gesù” e "nella dolcezza del suo perdono”.


26/03/2013 fonte Radio Vaticana

Caso Allam, una conversione incompiuta

di Massimo Introvigne

Magdi Cristiano Allam abbandona la Chiesa Cattolica con un articolo su «il Giornale» del 25 marzo. È una notizia dolorosa per chi, come me, si considera amico del giornalista convertito dall’islam, con cui ha condiviso diverse iniziative. Purtroppo, però, era una notizia nell’aria da tempo. La conversione dell’amico Magdi Cristiano era in qualche modo ancora incompiuta. Come molti cattolici «adulti», di sinistra o di destra (perché ce ne sono anche a destra), pensava che – tanto più sulle materie dove si sentiva competente – fosse lui a dovere giudicare il Magistero e non il Magistero a dovere giudicare lui. 

ll conflitto tra Allam e il Magistero della Chiesa parte dall’islam, ma va molto oltre. Nel suo articolo, accusa la Chiesa di essere arrendevole con l’islam e di non unirsi alle sue proposte radicali di vietare il Corano, come libro che predica l’odio, e di considerare la legge islamica un crimine contro l’umanità. Se la prende con Papa Francesco per il suo cordiale saluto ai musulmani, ma correttamente riconosce che le stesse posizioni sono state proposte dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005) e da Benedetto XVI. 

È del tutto assurdo contrapporre Papa Francesco che saluta i musulmani a un Benedetto XVI presentato come nemico intransigente di ogni dialogo sulla base – paradossalmente – della stessa cattiva interpretazione del discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 proposta dai fondamentalisti islamici. In quel discorso Papa Ratzinger non chiuse affatto la porta al dialogo con chi, nel mondo islamico, fosse disposto a rinunciare alla violenza. Mostrò che la violenza era diventata una tentazione permanente dell’islam a causa della rottura dell’equilibrio fra fede e ragione e della chiusura del dialogo, inizialmente promettente, tra cultura musulmana e filosofia greca. Ma spiegò anche come una nefasta «de-ellenizzazione», una rinuncia al rapporto con la cultura greca, avesse poi colpito anche l’Europa cristiana. 

Da ultimo. è nel viaggio in Libano del 14-16 settembre 2012 che Benedetto XVI ha preso le distanze dalle posizioni che considerano il dialogo con i musulmani impossibile e sempre inopportuno. «Fedele all’insegnamento del Concilio Vaticano II – affermava in quell’occasione Papa Ratzinger –, la Chiesa cattolica guarda i musulmani con stima, essi che rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il digiuno, che venerano Gesù come profeta senza riconoscerne tuttavia la divinità, e che onorano Maria, la sua madre verginale».

Rivolgendosi ai ragazzi musulmani – alcuni dei quali venuti, in circostanze drammatiche, dalla Siria – che partecipavano al suo incontro con i giovani, l’attuale Pontefice Emerito così si esprimeva: «Voi siete con i giovani cristiani il futuro di questo meraviglioso Paese e dell’insieme del Medio Oriente. Cercate di costruirlo insieme! E quando sarete adulti, continuate a vivere la concordia nell’unità con i cristiani. Poiché la bellezza del Libano si trova in questa bella simbiosi. Bisogna che l’intero Medio Oriente, guardando voi, comprenda che i musulmani e i cristiani, l’Islam e il Cristianesimo, possono vivere insieme senza odio, nel rispetto del credo di ciascuno, per costruire insieme una società libera e umana». 

Benedetto XVI in Libano non era affatto buonista o ingenuo. Sapeva – e lo affermava in modo chiaro e coraggioso con le parole dell’esortazione apostolica «Ecclesia in Medio Oriente» – che l’islam ha generato anche «pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione». 
Ma alla fine – come già nel colloquio con Oriana Fallaci (1929-2006), di cui riferì la stessa giornalista – Benedetto XVI si rifiutava d’identificare tutti i musulmani con il fondamentalismo, e anche tutti i musulmani fondamentalisti – le cui idee sono inaccettabili, ma che non sono tutti assassini – con l’ultra-fondamentalismo che organizza il terrorismo e le stragi di cristiani.

E a Oriana Fallaci poneva un problema: se si rifiuta il dialogo, pure difficilissimo, con l’islam qual è l’alternativa? La guerra atomica contro un miliardo e mezzo di musulmani? In Turchia nel 2006 e in Libano nel 2012 Benedetto XVI ha cercato di proporre un altro cammino, pure stretto: l’islam non è un monolito. Tra quel miliardo e mezzo di musulmani – anzi un miliardo e seicento milioni secondo dati 2013 – ci sono variazioni sul tema quasi infinite, e la pazienza della Chiesa sa che, tra mille difficoltà, qualche interlocutore si può trovare. Ed è partendo da questi interlocutori che si può aprire un dialogo, che non porti a confondere religioni inconciliabili ma ad assicurare una coesistenza pacifica e gli elementari diritti delle minoranze e delle donne in tanti Paesi tormentati. Su questi temi Magdi Allam, come Oriana Fallaci, partiva da tante osservazioni giuste e condivisibili, ma alla fine mancava di quella profondità strategica che fa invece parte della sapienza millenaria della Chiesa.

Gli insegnamenti di Papa Ratzinger e di Papa Francesco sull’islam non sono novità. Si trovano nel «Catechismo della Chiesa Cattolica» che per il cattolico fedele è, come ci ha ricordato tante volte Benedetto XVI, la norma prossima della fede. Il Catechismo invita al dialogo perché «il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale» (n. 841). Insieme, lo stesso Catechismo fa notare come – accanto ad elementi positivi – nelle religioni non cristiane, islam compreso, siano presenti «limiti ed errori che sfigurano l’immagine di Dio» dovuti anche a «inganni del maligno» (n. 844). Entro questi parametri, c’è ampio spazio per la critica dei «limiti ed errori» dell’islam. Ma non per il rifiuto globale di quanto insegna il Magistero sul dialogo interreligioso.

Magdi Allam scrive che, non solo sull’islam, «la Chiesa è fisiologicamente relativista. Il suo essere contemporaneamente Magistero universale e Stato secolare, ha fatto sì che la Chiesa da sempre accoglie nel suo seno un’infinità di comunità, congregazioni, ideologie, interessi materiali che si traducono nel mettere insieme tutto e il contrario di tutto». Qui però c’è un po’ di confusione sulla nozione di relativismo, di cui Allam accusa la Chiesa «da sempre» e non solo come eventuale deviazione progressista recente. La pluralità di comunità, congregazioni, lingue, nazioni – e, in un mondo non formato da angeli, anche d’inevitabili «interessi materiali» – non è relativismo. L’importante è che in diverse lingue e con diversi stili si annunci la stessa dottrina essenziale. 

Allam ha scoperto anche che «la Chiesa è fisiologicamente globalista fondandosi sulla comunione dei cattolici in tutto il mondo, come emerge chiaramente dal Conclave. Ciò fa sì che la Chiesa assume posizioni ideologicamente contrarie alla Nazione come identità e civiltà da preservare, predicando di fatto il superamento delle frontiere nazionali». È una vecchia accusa di tutti i tentativi di costruire nazional-cattolicesimi, che qui ricorda le pagine meno felici di Charles Maurras (1868-1952). Sì, nella Chiesa non ci sono stranieri, e la Chiesa non fa gli interessi di nessuna nazione. Le frontiere nazionali sono «da sempre» già superate dal Vangelo, e la Chiesa è «cattolica», cioè universale. Nello stesso tempo – secondo un grande insegnamento del beato Giovanni Paolo II – la Chiesa ama e custodisce, in quanto compatibile con la legge naturale, l’identità di tutte le nazioni, tanto più di quelle cui è stata la Chiesa stessa – come avviene quasi sempre in Europa e nelle Americhe – a dare forma e contenuto. Chi vuole opporre la nazione alla Chiesa dovrebbe sempre riflettere sul fatto che in tanti Paesi – compreso il nostro – la nazione senza la Chiesa non esisterebbe.

Infine, l’accusa più grave. Allam afferma anche che la Chiesa «compromette alla radice il concetto di bene comune» ed è essenzialmente immorale, peggio «fisiologicamente tentata dal male, inteso come violazione della morale pubblica, dal momento che impone dei comportamenti che sono in conflitto con la natura umana, quali il celibato sacerdotale, l’astensione dai rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, l’indissolubilità del matrimonio, in aggiunta alla tentazione del denaro». Qui sembra che la parabola si sia compiuta, e il Magdi Allam difensore della Chiesa e del Papa che ci piaceva si sia trasformato in un anticlericale da Bar Sport. La Chiesa è accusata insieme di cedere al mondo moderno e di non cedergli, invocando la solita abolizione del celibato sacerdotale e il solito rovesciamento della morale cattolica richiesti da tutti i laicisti e da tutti i progressisti. 

L’errore di Magdi Allam – i cui libri hanno certamente fatto del bene, e per cui in questa Settimana Santa assicuriamo preghiere – è proprio quello del relativismo, di cui accusa la Chiesa. Chi non è relativista accetta l’insegnamento della Chiesa, il Catechismo, il Magistero quando gli piace ed eventualmente anche quando non gli piace, si tratti di fede o di morale, di islam o di rapporti prematrimoniali. Invece sia il progressista sia l’ultra-conservatore stanno con il Catechismo, il Magistero, il Papa solo quando questi «riflettono il consenso del Popolo di Dio» o «rispettano la Tradizione», cioè –  detto in altre parole, e poiché senza Magistero è impossibile identificare dove sia e che cosa sia la Tradizione o quale sia il consenso del Popolo di Dio – solo quando coincidono con le loro soggettive opinioni. 

Certo, si potrebbe dire che un luogo, o un libro, dov’è contenuta la Tradizione e che esprime il consenso del Popolo di Dio esiste: è il Catechismo. Peccato però che anche del «Catechismo della Chiesa Cattolica» si finisca poi per dire che va seguito solo quando è conforme alla Tradizione o alla presunta opinione prevalente nel Popolo di Dio, cioè solo quando ci piace. Alla fine, è questo il problema del povero Magdi Allam. Non si può scegliere: o ci si converte a tutta la dottrina cattolica, o non ci si converte affatto. Il Catechismo non è il piatto dei formaggi dove scegliere solo quello che ci piace. Preghiamo per Magdi Allam.

26/03/2013 fonte La nuova bussola quotidiana

Cardinale di Saigon: da Papa Francesco “speciale attenzione” alla Chiesa vietnamita

di J.B. Vu
Il card. Jean Baptist Phạm Minh Mẫn racconta i lavori del conclave e i due incontri con il nuovo pontefice. Il gesto del bacio "reciproco” dell’anello, segno che "è a conoscenza delle vicende” e delle difficoltà vissute dalla Chiesa locale. Il porporato lancia un invito alla missione per tutti i cattolici vietnamiti. 


Ho Chi Minh City (AsiaNews) - "Entrambe le volte, quando ho baciato l'anello al Papa egli ha ricambiato il gesto baciando il mio di anello. Probabilmente è a conoscenza delle vicende vietnamite. E, in questo modo, ha voluto manifestare il suo apprezzamento alla Chiesa in Vietnam. Una Chiesa che ha avuto il coraggio di rimanere viva e di mostrare la propria fede, pur in momenti di profonda difficoltà". Così il card. Jean Baptist Phạm Minh Mẫn, arcivescovo di Ho Chi Minh City, uno dei 115 porporati elettori che hanno partecipato al recente conclave, racconta i due incontri in Vaticano con Papa Francesco del quale apprezza "l'umiltà, la semplicità, la modestia e la ricchezza di grazia: un pontefice davvero vicino a tutti noi".

Di rientro in Vietnam, il cardinale di Saigon ha dato inizio alle celebrazioni previste per la Settimana Santa. I fedeli di tutte le parrocchie hanno organizzato celebrazioni e preghiere con speciali intenzioni per Papa Francesco e la Chiesa locale. Tuttavia, il pensiero va al nuovo pontefice attorno al quale si stringe il popolo di Dio a sostegno nella sua missione.

"In un'epoca segnata dalla globalizzazione - ha ricordato il card. Phạm Minh Mẫn - il Papa non è italiano, né europeo. Egli è espressione evidente delle peculiarità che compongono la missione di San Pietro". Ecco perché non rappresenta una sorpresa il fatto che il collegio cardinalizio possa aver eletto "un Papa originario delle Americhe, dell'Asia o dell'Africa".

Per i fedeli ha rappresentato un momento emozionante e significativo il caloroso abbraccio fra il Papa argentino e il cardinale vietnamita, entrambi espressione di una Chiesa giovane e missionaria. E la scelta emersa nel conclave, racconta l'arcivescovo di Ho Chi Minh City, mostra che "non siamo stati influenzati dalle voci dell'opinione pubblica o da notizie provenienti dall'esterno". "Si respirava un'atmosfera gioiosa e tutti i cardinali erano soddisfatti della velocità" dei lavori. "Abbiamo visto - aggiunge - un Papa semplice e in armonia con tutti".

Nel colloquio personale con il pontefice, durante i due brevi incontri che hanno seguito l'elezione dell'ex arcivescovo di Buenos Aires al soglio petrino, vi è stato uno scambio di auguri, la promessa di "obbedienza" dal cardinale di Saigon e la promessa "di preghiere dei vietnamiti". "Il Papa ha replicato - sottolinea il card. Phạm Minh Mẫn - che pregherà per il Vietnam, per la Chiesa vietnamita. Infine, il Santo Padre ha baciato la mia mano". Un segno, a detta del porporato, che testimonia la vicinanza del pontefice, la conoscenza della realtà vietnamita e "le sue preoccupazioni per la situazione della Chiesa in Vietnam".

Infine un pensiero ai tre pontefici che il cardinale di Saigon ha incontrato nel servizio alla Chiesa del Vietnam: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Un ricordo speciale è legato al beato Papa Wojtyla, che ha elogiato la forza con cui ha saputo "diffondere l'amore di Cristo a tutti" nonostante le sofferenze e le persecuzioni subite negli anni più bui. "Giovanni Paolo II mi ha anche chiesto - conclude il cardinale - di non accogliere solo aiuti da nazioni europee ma, nel limite del possibile, essere attivi nella missione comune di evangelizzazione. Ad oggi molti ordini stranieri sono venuti in Vietnam per accogliere vocazioni giovani, da mettere al servizio di altri Paesi... Ed è bello vedere cattolici vietnamiti non solo al servizio della Chiesa locale, ma che si mettono a disposizione per servire Chiese in terra straniera". 

 
26/03/2013 fonte Asia News

Gerusalemme, in 35 mila pregano per la pace in Terra Santa

In migliaia da tutto il mondo in processione dal Monte degli Ulivi alla città di vecchia di Gerusalemme. Per il patriarca latino di Gerusalemme la Domenica delle Palme rappresenta il rifiuto di ogni violenza. Duplicati i pellegrini rispetto al 2012.


Gerusalemme (AsiaNews) - "Oggi la nostra processione è quella della salvezza, il Signore stesso è la nostra salvezza. Gesù, il Re della Pace, è entrato a Gerusalemme, città che non ha mai conosciuto la pace". Così mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme ha ricordato il significato della Domenica delle Palme celebrata quest'anno davanti a oltre 35 mila fedeli provenienti da tutto il mondo. Nella sua omelia il prelato ha incoraggiato tutti i presenti a pregare per la Terra Santa  perché questa festa "rappresenta il rifiuto di ogni violenza" e ha chiesto a ciascuno di "lasciare entrare nei nostri cuori e nelle nostre vite" il Signore affinché guarisca "le nostre ferite e le nostre divisioni, per fortificarci nelle nostre debolezze e donarci il coraggio di perseverare in mezzo alle prove".

Celebrata lo scorso 24 marzo la tradizionale processione della Domenica delle Palme  è iniziata dal Monte degli Ulivi, proseguendo fino alla città vecchia per commemorare la trionfale entrata di Gesù a Gerusalemme.

Quest'anno più del doppio dei fedeli ha partecipato all'evento. Nel 2012 le autorità  avevano contato 15 000 persone. Malgrado lo spostamento delle date di Pasqua nella diocesi - che festeggia la Settimana Santa insieme agli ortodossi - e i pochi permessi rilasciati ai pellegrini palestinesi dagli agenti israeliani (solo 6mila) i fedeli hanno partecipato numerosi portando in processione striscioni con il nome delle varie parrocchie del patriarcato latino: Aboud, Ramallah, Jifna, Betlemme, Beit Jala, Beit Sahour, Nablus e molte altre. Il cammino  è iniziato con il canto "Osanna" dalla chiesa di Betfage, dove Gesù è montato sull'asino. Come accade spesso in questa stagione il sole brillava su questo spettacolo di musica e di colori, dando risalto alle danze di tamburi, chitarre, canti in varie lingue e persone in abiti locali palestinesi. Mons. Fouad Twal ha chiuso la processione insieme ai francescani ed ai cavalieri del Santo Sepolcro, altri capi delle Chiese cattoliche di Terra Santa e del nunzio apostolico per Israele mons. Lazzarotto che è anche delegato apostolico per i Territori palestinesi.

In mattinata mons. Twal aveva presieduto al Santo Sepolcro la processione delle palme e la messa pontificale all'altare di Santa Maria Maddalena. La sera del 24 marzo, p. Giovanbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ha celebrato la messa della vigilia con un veglia nella cappella dell'Apparizione e una messa al Calvario.

Quest'anno solo i cattolici delle aree di Betlemme e Gerusalemme celebrano la Pasqua secondo il Calendario gregoriano. Gran parte delle comunità cattoliche presenti in Israele, Territori Palestinesi, Giordania e Cipro seguiranno infatti il Calendario giuliano e inizieranno la Settimana Santa insieme ai cristiani ortodossi nella prima settimana di maggio.  L'unificazione delle date delle festività pasquali è stata annunciata lo scorso 15 ottobre 2012 dall'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici della Terra Santa, dove è stato stabilito che entro due anni tutti i cattolici delle diocesi di rito latino e dei diversi riti orientali celebreranno la Pasqua secondo il Calendario giuliano. (C. L.)

 26/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 25/03/2013 Santa Lucia Filippini Vergine



Nacque il 13 gennaio 1672 a Tarquinia. I suoi genitori erano di onesta e onorata famiglia; ma la sua vita fu presto segnata dal dolore. I baci e le carezze materne, che si prodigano sempre generosamente attorno a una culla, vennero presto a cessare, poichè, quando Lucia non contava che undici mesi e pochi giorni, veniva strappata alla terra la madre sua nella fresca età di 27 anni. Pochi anni dopo anche il padre moriva. La nostra Santa da queste perdite così dolorose, prese motivo per staccarsi sempre più dalla terra, stringersi più fortemente a Dio e darsi all’acquisto delle più belle virtù. Modesta ugualmente nell'interno che all’esterno, scansava le amicizie delle compagne cattive che avvelenano coi loro vizi le anime innocenti e si guardava dalla vanità. 
La bontà, il candore del suo cuore, il pungolo stesso della sventura, la spingevano a cercare la paee e la gioia solo con Dio. Tutto le parlava di Dio: il cielo, il mare, le campagne stesse di Tarquinia. 
Ancora in giovane età fece gran tesoro dell’apostolato catechistico: ed è a questa missione, in un quadro più grande che la Divina Provvidenza l’ha chiamata. 
A 16 anni ebbe il felicissimo incontro con il cardinale Barbarigo e, avuti da lui lumi e consigli, decise di entrare nel monastero di S. Chiara in Montefiascone. Questa fu la palestra dove si formò. 
Illuminare le intelligenze e sollevare i cuori, era il suo nobile ideale. Prima nella cerchia ristretta del chiostro poi, con l’aiuto del cardinale Barbarigo, dietro le norme della Beata Rosa Venerini e con la cooperazione di una piissima signora, realizzò il suo piano apostolico, dando origine al benefico e non mai abbastanza lodato ministero educativo delle suore che, dalla loro madre, si denominarono "Maestre Pie Filippine”. Presto venne a mancare Rosa Venerini, e Lucia sola continuò l’opera. 
Aprì parecchie scuole a Montefiascone, estese gli istituti a Roma e in altri centri d’Italia, e ne costituì parecchi anche all’estero, particolarmente nell’America del Nord, dove tuttora lavorano con grande frutto. 
Consunta dalle fatiche, ricca di meriti, spirò dolcemente il 25 marzo del 1732. Il Sommo Pontefice Pio XI nel 1926 l’annoverò tra i Beati e, il 22 giugno 1930, l’iscrisse nel catalogo delle Sante Vergini.


Messa di Papa Francesco a "Santa Marta": Dio è paziente con le nostre debolezze



Durante la Settimana Santa, pensiamo alla "pazienza” che Dio ha con ognuno di noi. Lo ha detto questa mattina Papa Francesco durante la breve omelia della Messa presieduta, come di consueto, nella Cappella della "Casa Santa Marta” in Vaticano, alla quale erano presenti, tra gli altri, i giornalisti de L’Osservatore Romano. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

L’emblema dell’infinita pazienza che Dio ha per l’uomo è riflesso nell’infinita pazienza che Gesù ha per Giuda. Papa Francesco ha preso spunto dalla scena del Vangelo di oggi, nel quale Giuda critica la scelta di Maria, sorella di Lazzaro, di ungere i piedi di Gesù con trecento grammi di prezioso profumo: meglio sarebbe stato – sostiene Giuda – venderlo e dare il ricavato ai poveri. Giovanni nota nel Vangelo che a Giuda non interessavano i poveri ma i soldi, che rubava. Eppure, ha osservato il Papa, "Gesù non gli ha detto: ‘Tu sei un ladro’”. Con l’amore, ha affermato, "è stato paziente con Giuda, cercando di attirarlo a sé con la sua pazienza, con il suo amore. Ci farà bene pensare – ha soggiunto – in questa Settimana Santa, alla pazienza di Dio, a quella pazienza che il Signore ha con noi, con le nostre debolezze, con i nostri peccati”.

Anche il brano di Isaia della prima lettura, aveva notato Papa Francesco, nel presentare "l’icona di quel ‘servo di Dio’, ha sottolineato di Gesù la mitezza, la pazienza. Che è la pazienza di Dio stesso. "Quando si pensa alla pazienza di Dio: quello è un mistero!”, ha esclamato Papa Francesco. "Quanta pazienza ha Lui con noi! Facciamo tante cose, ma Lui è paziente”. E lo è, ha detto ancora, "come quel padre che il Vangelo dice che ha visto il figlio da lontano, quel figlio che se n’era andato con tutti i soldi della sua eredità”. E perché, si è chiesto il Papa, l’ha visto da lontano? "Perché tutti i giorni andava in alto a guardare se il figlio tornava”. Questa, ha ripetuto Papa Francesco, "è la pazienza di Dio, questa è la pazienza di Gesù”. E ha concluso: "Pensiamo a un rapporto personale, in questa Settimana: come è stata nella mia vita la pazienza di Gesù con me? Soltanto questo. E poi, uscirà dal nostro cuore una sola parola: ‘Grazie, Signore! Grazie per la tua pazienza”.


25/03/2013 fonte Radio Vaticana

Messa delle Palme. Il Papa: siate nella gioia, non fatevi rubare la speranza. Ai giovani: arrivederci alla Gmg




Se ama la Croce, un cristiano non può essere triste e non deve lasciarsi rubare la speranza dal male. È il messaggio che Papa Francesco ha offerto ieri mattina da Piazza San Pietro, dove ha presieduto la Messa solenne della Domenica delle Palme. Davanti a circa 200 mila persone, il Pontefice ha poi salutato tutti i giovani del mondo, dando loro appuntamento alla Gmg di Rio del prossimo luglio. La cronaca della celebrazione nel servizio di Alessandro De Carolis: 

Un invito al mondo: non fatevi rubare la speranza. Un invito ai giovani: dite al mondo che è bello seguire Gesù. Un invito a tutti, indistintamente: se uno è cristiano è un per forza un uomo felice, perché la Croce amata porta alla gioia. Davanti alla Piazza San Pietro gremita – che con le sue palme e gli ulivi secolari della Puglia rievoca la Gerusalemme di duemila anni fa – Papa Francesco offre, per la prima volta nella nuova veste, la propria lettura del dramma che cambiò il mondo, tra la strada percorsa da Cristo, Re senza corona all’ingresso di Gerusalemme, e quella verso la Croce, con la corona conficcata nella testa e gli osanna trasformati in insulti e le palme in chiodi. Com’è nel suo stile, Papa Francesco fa affiorare dalla liturgia tre parole chiave. La prima si rifà al clima pieno "di luce, di gioia, di festa” che circonda Gesù quando giunge nella Città Santa, la gioia:

"Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili (…) E ce ne sono tanti. E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù!”

Poi, come se quest’ultima esortazione gli sembrasse insufficiente, Papa Francesco – e lo farà molte volte durante l’omelia – solleva gli occhi dal testo scritto e scrutando la folla soggiunge:

"E per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù”. 

È la frase che scuote la gente, fin lì assorta come durante la lettura recitata e cantata del Vangelo della Passione. E qui il Papa innesta la seconda parola, "Croce”, dopo aver mostrato il paradosso di Gesù, un Re il cui trono, dice, è una Croce di legno. "Penso – osserva – a quello che Benedetto XVI diceva ai cardinali: ‘Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù’”. E da quel trono, prosegue, scende il sangue che lava, con la misericordia, i mali del mondo:

"Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! (…) Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione”. 

La terza parola è "giovani”. Vi ho visti in tanti durante la processione, afferma Papa Francesco, ricordando come la Domenica delle Palme da 28 anni sia sinonimo di Giornata della gioventù. La Gmg è una festa per eccellenza e voi giovani, conferma, "avete una parte importante nella festa della fede”.

"Voi ci portate la gioia della fede e ci dite che dobbiamo vivere la fede con un cuore giovane, sempre, un cuore giovane anche a settanta, ottant’anni! Cuore giovane! Con Cristo il cuore non invecchia mai!".

Piazza San Pietro s’incendia e anche un sole fin lì avaro di luce si fa largo tra le nuvole così come il crescendo di Papa Francesco trova spazio ed eco nel cuore dei ragazzi. Il pensiero va alla Gmg di Rio de Janeiro, tappa che vivrà – annuncia – sulle "orme di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”:

"Vi do appuntamento in quella grande città del Brasile! Preparatevi bene, soprattutto spiritualmente nelle vostre comunità, perché quell’Incontro sia un segno di fede per il mondo intero. I giovani devono dire al mondo: 'E buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù; è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù!”.


25/03/2013 fonte Radio Vaticana

Io, artista musulmano pakistano, convertito a Cristo e guarito dal tumore
 
di Joseph Mendes
AsiaNews racconta una storia di fede e speranza proveniente da una nazione in cui la minoranza religiosa è vittima di persecuzioni e violenze. Nato e cresciuto in una famiglia islamica facoltosa, un uomo decide di offrire le sofferenze della malattia a Gesù e Maria. Dall’incontro con una suora e un pellegrinaggio nasce la spinta alla conversione. Oggi realizza statue e dipinti per testimoniare il Vangelo. 


Islamabad (AsiaNews) - "Da quando mi sono convertito a Cristo, la mia vita è piena di amore e verità. Oggi voglio contribuire all'opera di annuncio, dipingendo raffigurazioni cristiane e realizzando statue di Gesù e Maria. Sono un conforto spirituale, dopo il cambio radicale". È quanto racconta ad AsiaNews John Peter (nomi e luoghi sono di fantasia a tutela delle persone, ndr), un artista pakistano convertito al cristianesimo dall'islam che ha saputo affrontare negli anni persecuzioni e difficoltà di ogni genere grazie alla propria fede. Tra le altre, l'ostracismo e le violenze subite nella famiglia di origine - musulmana - e gravi patologie come un tumore e l'epatite B ormai alle spalle.

Nato e cresciuto in una facoltosa e influente famiglia musulmana sunnita - il padre è un ricco proprietario terriero di Karachi (nella provincia meridionale del Sindh) - Sheikh Ilyas Ahmed fin dagli anni giovanili si è interessato al cristianesimo; egli stringe amicizia con diversi giovani appartenenti alla minoranza religiosa. Anche prima di convertirsi, partecipa a messe e funzioni in occasione di feste particolari.

L'incontro decisivo avviene nel 2010 in occasione di un lungo periodo di degenza, dovuto a gravi problemi di salute che lo colpiscono. Dapprima la frattura al braccio sinistro, poi la scoperta di un tumore e dell'epatite B. Egli incontra suor Maimal, missionaria proveniente dalla Malaysia, che offre ogni giorno le sue preghiere per malati e sofferenti. Nonostante le costose cure offerte dal padre, tra cui un viaggio a Dubai, le sue condizioni di salute non migliorano e continua ad avere periodi di crisi forti, con frequenti casi di vomito. Dopo l'incontro con la suora, il futuro John Peter decide di recarsi in pellegrinaggio al Santuario della Madonna nel Punjab, chiedendo la grazia della guarigione e rinnovando la promessa di convertirsi al cristianesimo.

Al ritorno egli decide di abbandonare definitivamente l'islam e abbracciare la fede in Gesù Cristo. Egli riceve il battesimo dal sacerdote missionario p. James Francis in una chiesa della città e cambia il proprio nome. Egli resta fermo nel suo proposito, nonostante le percosse, gli abusi e le umiliazioni inflitte dai familiari, che lo portano persino da maghi e stregoni, convinti che sia sotto l'influsso di qualche pratica misteriosa. Sopporta le umiliazioni con pazienza, aggravate dalla malattia che mina ancor più le condizioni di salute. Infine, nel dicembre 2010 riesce a fuggire e a trovare riparo presso alcune famiglie cristiane del Punab, che lo hanno accolto e confortato.

Negli ultimi tre anni, egli ha saputo vincere difficoltà e sofferenze di ogni sorta, grazie all'aiuto del Vangelo e al conforto della nuova fede in Cristo. Il pellegrinaggio al Santuario mariano ha inoltre generato il miracolo della guarigione dal cancro e dall'epatite B, come hanno confermato di recente i medici: "Nel settembre 2012, dopo il check-up generale, i dottori mi hanno detto che sono guarito. Difatti ho anche smesso di vomitare. Dio ha accolto tutte le mie preghiere. Ora realizzo statue e dipinti; voglio vivere per sempre nella Chiesa. E prego il Signore che tutti i cristiani pakistani possano essere salvati e promuovere il messaggio di pace e amore lanciato da Gesù Cristo". 

 
25/03/2013 fonte Asia News

“Effetto papa Francesco”: nuove conversioni in Corea

di Joseph Yun Li-sun
Il vescovo di Daejeon ad AsiaNews: "La sua semplicità e il suo carisma hanno toccato i cuori di tanti, anche non cristiani. Ma il suo appello e quello all’umiltà lanciato da Benedetto XVI non devono rimanere sterili: sono semi di conversione che la Chiesa per prima deve far germogliare”. 


Daejeon (AsiaNews) - "Il nostro Papa è meraviglioso. La sua semplicità e il suo carisma hanno fatto breccia qui in Corea, dove nell'ultima settimana noi vescovi e sacerdoti siamo stati contattati da tanti non cristiani che vogliono iniziare un cammino di conversione. Da tanto tempo dico che il lavoro dello Spirito Santo è quasi tangibile: Lui è il padrone della Chiesa, inventa tutto. E re-inventa anche noi". A parlare con AsiaNews è il vescovo di Daejeon, mons. Lazzaro You Heung-sik.

Secondo il presule, l'elezione di papa Francesco così come la rinuncia di Benedetto XVI "sono semi di conversione. Tutti questi eventi sono stati compresi e ben accettati qui da noi, e da tante diocesi mi dicono di richieste di adulti che vogliono iniziare il catecumenato: parlando con i miei fratelli nel sacerdozio abbiamo detto che il popolo ha visto una volta di più la bellezza della Chiesa cattolica. La semplicità e il carisma di questo pontefice hanno fatto breccia in molti cuori".

Non si tratta però solo di aperture verso i non cristiani: "La Domenica delle Palme sono stato invitato a dire messa presso la sede dell'Associazione dei professori universitari cattolici, che mi hanno chiesto un'omelia lunga per spiegare i tanti avvenimenti di Roma. Per metà del tempo ho spiegato il significato della Settimana santa, dal giovedì alla Pasqua. Il testamento di Cristo, la testimonianza della Sua parola e il Suo momento più difficile ma anche il più grande gesto di amore verso l'uomo. Per il resto ho parlato del nuovo Papa ma anche di Benedetto XVI, del loro amore verso tutto il popolo di Dio. E' stato un momento molto bello". 

Gli inviti dei due pontefici - all'umiltà e alla misericordia - non sono passati inosservati in Corea: "Ora tocca a noi costruire una nuova Chiesa e una nuova umanità. Questo è quello che ho detto: tutti questi esempi, tutto il lavoro dello Spirito ci chiamano in causa direttamente". Ecco perché, aggiunge, "per i 20 anni del seminario maggiore della diocesi abbiamo pensato a un gesto inconsueto".

Mons. You ha celebrato messa con i suoi seminaristi il 19 marzo, festa di San Giuseppe (cui sono dedicati sia il seminario che la cattedrale diocesana) e giorno della messa di inizio pontificato: "Abbiamo avuto un lungo momento di riflessione insieme, dopo la messa, e abbiamo scattato una bella foto di gruppo. La sera ho deciso di inviarla al Santo Padre insieme a una lettera: spero che gli farà piacere ricevere questo piccolo gesto di amore dall'Estremo Oriente".

 
25/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 21/03/2013 San Nicola di Flue padre di famiglia eremita






Nicola della Flue (1417-1487), figlio di poveri contadini del cantone di Unterwalden in Svizzera, pastore e padre di dieci figli, dall’età di 23 anni serve come capitano nell’esercito della Confederazione Svizzera, battendosi con la spade in una mano e Rosario nell’altra. Tornato a casa carico di decorazioni, rifiuta di assumere la carica di sindaco che gli è offerta, affermando che le sue umili origini non lo rendono adatto al ruolo. Accetta invece l’incarico di giudice, che esercita in modo esemplare per nove anni. Dalla più giovane età e per tutta la vita è favorito da visioni celesti. Famosa è quella del giglio che esce dalla sua bocca e cresce fino al Cielo: ma mentre il santo lo contempla il giglio si accartoccia su se stesso, cade ed è divorato da un cavallo. Infine, con il permesso della moglie, si ritira a vita eremitica a Ranft, a poche miglia dalla sua casa, dedicandosi alla cura della sua anima, per lunghi mesi miracolosamente nutrito dalla sola Eucarestia che riceve una volta al mese. Ma è un eremita molto attivo: a lui vengono non solo pellegrini in cerca di consiglio spirituale ma anche i dignitari dei cantoni svizzeri in lotta tra loro che gli chiedevano di esercitare mediazioni in cui ebbe sempre successo. I pellegrinaggi alla tomba di questo santo nazionale della Svizzera continuano ancora oggi con grande fervore.

Propongo sei punti di meditazione.

PRIMO: a quel tempo, come oggi, la Svizzera era uno Stato genuinamente federale, fondato sull’autonomia dei cantoni. Ogni cantone era quasi completamente indipendente, e l’autorità centrale della Confederazione era piuttosto vaga. Il rovescio della medaglia era che i cantoni si trovavano sovente in lite tra loro, anche perché per ragioni linguistiche i cantoni erano influenzati da poteri vicini: i cantoni di lingua francese dalla Francia, quelli di lingua tedesca dall’Austria, quelli di lingua italiana da Milano e da altri Stati italiani. Queste dispute culturali e politiche spesso degeneravano in scontri militari.
Dobbiamo anche considerare che l’epoca di San Nicola della Flue è chiamata in Svizzera l’epoca militare. È in quel tempo che gli Svizzeri si rivelano grandi soldati e offrono truppe e guarnigioni a tutta l’Europa. Le guardie svizzere che ancora oggi servono il Papa sono il ricordo vivo di quella tradizione. È in questo scenario che anche San Nicola è chiamato alle armi, e partecipa alla guerra contro il cantone di Zurigo che si era ribellato alla Confederazione. Con il suo eroico comportamento San Nicola rende testimonianza alla dignità della vita militare.

SECONDO, immaginiamo quell’uomo valoroso sul campo di battaglia, con la spada in una mano e il Rosario nell’altra. È una bellissima scena di battaglia! Oggi colleghiamo immediatamente gli oggetti di pietà come il Rosario a qualche cosa di sentimentale. Chi collegherebbe oggi il Rosario a un guerriero? Al contrario per molti il Rosario è una cosa da vecchiette o da uomini imbelli e incapaci di combattere. Non è colpa del Rosario, che anzi subisce così una grave ingiustizia, ma di un sentimentalismo religioso che ha sovvertito il vero significato della preghiera cristiana.

TERZO, è interessante meditare sull’atteggiamento di San Nicola quando rifiuta la carica di sindaco. Afferma: "No, sono di condizione umile e avrei difficoltà a esercitare la mia autorità su persone che per nascita sono in una posizione più elevata”. Questa affermazione è incomprensibile oggi. Ma denota l’amore di San Nicola per le gerarchie: la sua comprensione del fatto che le gerarchie – certo diverse secondo i tempi e i luoghi – sono elemento essenziale di una società bene ordinata. Oggi vediamo piuttosto il contrario: a causa dell’egualitarismo che ci ha invaso talora si ritiene che una persona di condizione sociale più elevata non sia adatta a governare. Spesso alcuni governanti sono criticati perché sono di nascita nobile o di condizione sociale più alta della maggioranza dei governati. E spesso queste critiche vengono dall’invidia e dal rifiuto della nozione stessa di gerarchia, senza la quale però le società non possono sopravvivere.

QUARTO: nel mezzo della sua vita di laico San Nicola ha sempre avuto delle visioni. Consideriamo un pastore, un soldato e un giudice che, mentre si dedica alle occupazioni tipiche di queste posizioni, riceve delle visioni dal Cielo. Immaginiamo la scena del giudice Nicola della Flue mentre presiede il tribunale cantonale e ascolta le parti e gli avvocati. Mentre segue un’arringa, all’improvviso ci si accorge che il giudice ha uno sguardo lontano: è in estasi. Il suo volto è luminoso, contempla una scena paradisiaca. Si è distratto? Forse sì, ma le testimonianze attestano che quando la visione svanisce Nicola pronuncia parole di grande saggezza. Spesso le parti si riconciliano e il caso è risolto. Certo ai giorni nostri è difficile incontrare giudici di questo genere.
Possiamo anche immaginare il giovane Nicola pastore in un tipico paesaggio svizzero. Sullo sfondo le famose Alpi svizzere, coperte di una neve che al tramonto si vena di colori delicati, dal rosa all’azzurro. San Nicola suona il suo corno per radunare il gregge, ma si ferma a pregare prima di tornare alle stalle. In questo momento il Cielo si apre e mostra al santo le meraviglie del Paradiso e degli angeli. Una vita racconta che una volta il santo si ferma a conversare con Dio e un angelo porta il gregge nelle stalle in vece sua. Gli angeli, lo splendore primigenio delle montagne svizzere e l’anima purissima di San Nicola della Flue si compongono perfettamente in un quadro di rara bellezza. Un quadro davvero superiore!

QUINTO, la visione del giglio che si reclina su se stesso ed è mangiato da un animale mostra come spesso la contemplazione è interrotta e, per così dire, guastata dalle preoccupazioni terrene. Dal momento che quando cerchiamo di meditare abbiamo tutti lo stesso problema, possiamo tutti prendere San Nicola della Flue come nostro santo patrono. Dobbiamo chiedergli di non disperdere le grazie della meditazione e di perseverare nei pensieri buoni. Ma è pure incoraggiante vedere che i santi hanno avuto i nostri stessi problemi.

SESTO, meditiamo sul grande fervore che nel corso dei secoli il popolo svizzero ha mostrato nel pellegrinaggio verso la tomba di San Nicola della Flue e la cura che ha dimostrato nel mantenere e nell’abbellire il suo santuario. Lì possiamo vedere le sue decorazioni militari, e – cosa curiosa – anche quelle che i suoi discendenti diretti hanno conquistato sui campi di battaglia del mondo e donato al santuario. Con questa eccellente tradizione di famiglia, che è durata fino a non molti anni fa, i della Flue dichiarano che per loro è più glorioso discendere da un santo che mostrare le decorazioni che si sono guadagnate. È un gesto carico di significato.
Questi sono i punti della nostra meditazione ammirata su San Nicola della Flue. Anche se non siamo soldati, dobbiamo chiedergli la grazia di saperci sempre battere – nelle difficili battaglie, non necessariamente militari, in cui siamo impegnati oggi – con la spada in una mano e il Rosario nell’altra.


Papa Francesco incontra Pérez Esquivel, simbolo della lotta alla dittatura in Argentina



Papa Francesco ha ricevuto, stamani, in udienza l’attivista argentino per i diritti umani Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel per la Pace nel 1980 per la sua strenua opposizione alla dittatura nel suo Paese. Dopo l’incontro, Esquivel ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha ribadito che sono del tutto false le accuse contro l’allora provinciale dei Gesuiti Bergoglio ai tempi del dittatore Videla. La sua elezione - ha detto Esquivel - è stata accolta con grande gioia da tutti gli argentini e rappresenta una sfida per il mondo. Papa Francesco, ha affermato il Premio Nobel, mi ha ribadito con molta chiarezza che è importante arrivare alla verità e alla giustizia per i crimini commessi in Argentina. Pérez Esquivel ha definito l’incontro molto emozionante ed ha aggiunto di aver visto Papa Francesco sicuro e deciso a portare avanti il suo cammino apostolico.


21/03/2013 fonte Radio Vaticana

Messaggi di Papa Francesco e Benedetto XVI al primate anglicano Justin Welby
 
      



Papa Francesco ha indirizzato oggi un Messaggio di auguri e di reciproca preghiera al primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo Justin Welby, in occasione dell'odierna cerimonia di Intronizzazione nella Cattedrale di Canterbury. Ma al nuovo capo degli anglicani giunge, sempre oggi, anche un messaggio firmato da Benedetto XVI una settimana prima di rinunciare al ministero petrino. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Un doppio, straordinario augurio come straordinaria è la fase vissuta dalla Chiesa cattolica da quaranta giorni a questa parte. A ricevere le congratulazioni per l’inizio del suo ministero come primate anglicano è l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, al quale in un Messaggio Papa Francesco confida di attendere con sollecitudine il momento di un incontro "nel prossimo futuro”, così come di voler "proseguire nelle calorose relazioni fraterne delle quali – riconosce – hanno gioito i nostri predecessori”. Assicurando sue preghiere al primate anglicano, chiedendogliene a sua volta e ringraziandolo per gli auguri ricevuti al momento dell’elezione alla Cattedra di Pietro, Papa Francesco afferma: "Il ministero pastorale è una chiamata a camminare nella fedeltà al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo”.

Un aspetto, quest’ultimo, sul quale si sofferma anche Benedetto XVI nel messaggio da lui firmato lo scorso 4 febbraio, in occasione dell’investitura ufficiale (la "Confirmation of Election”) dell’arcivescovo di Canterbury, celebrata nella Cattedrale londinese di St. Paul. Nel suo scritto, il Pontefice ora emerito rende "grazie a Dio” per i legami "consolidati da decenni” tra cattolici e anglicani e nota come l’inizio della nuova responsabilità per il primate anglicano coincida con "un momento in cui la fede cristiana viene messa in discussione in molte parti del mondo occidentale da parte di coloro che sostengono che la religione sia un fatto privato, senza alcun contributo da offrire al dibattito pubblico”. Nonostante la "stanchezza” e la "diffusa sordità” nei riguardi della fede, "la "fame di Dio – prosegue Benedetto XVI – anche se non riconosciuta, è sempre presente nella nostra società e il compito dell’annunciatore, come messaggero di speranza, è di affermare la verità con amore, ponendo la luce di Cristo nel buio della vita delle persone”. Che il vostro apostolato – conclude – produca un ricco raccolto e apra gli occhi e le orecchie di molti al messaggio vivificante del Vangelo”.

"Ho molto da imparare da Francesco". Alla Radio Vaticana, il primate anglicano, l'arcivescovo Justin Welby, parla con umiltà e ammirazione del nuovo Pontefice. E si sofferma in particolare sul Magistero sociale della Chiesa cattolica: un patrimonio – sostiene – da cui partire per rafforzare il dialogo con la Comunione anglicana, su temi come la giustizia, la pace, l’ambiente, e che a suo dire dovrebbe essere riscoperto anche dagli stessi cattolici. Le parole del primate anglicano al microfono di Philippa Hitchen:   

R. – If you forgive me a moment of criticism…
Se mi perdona una piccola critica, voi tutti avete mantenuto l’insegnamento sociale cattolico fin troppo nascosto... E’ uno dei maggiori tesori a cui le Chiese, a livello globale, possono attingere. A cominciare dalla Rerum Novarum, alla fine del XIX secolo, per passare poi dalla notevole evoluzione con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con grandi ricchezze anche nel periodo precedente, come ad esempio il Concilio Vaticano II. Penso che in questi documenti si possa riconoscere una struttura ponderata circa un approccio al modo in cui dobbiamo pensare l’ordinamento di una società, affinché sappia riflettere gli insegnamenti cristiani, i valori cristiani, l’amore, l’integrità di Gesù Cristo. Credo sia un patrimonio immenso da cui tutta la Chiesa può imparare e credo ci condurrà a una collaborazione molto più stretta, in particolare sugli argomenti prettamente sociali che lei menzionava.


21/03/2013 fonte Radio Vaticana

Al Colosseo la Via Crucis dei giovani libanesi. Il patriarca Raï: un grido di dolore illuminato dalla speranza




Al Colosseo quest’anno, per la Via Crucis del Venerdì Santo, le meditazioni faranno conoscere le ansie e le aspettative dei popoli del Medio Oriente. Prima ancora di rinunciare al ministero petrino, Benedetto XVI aveva chiesto che fossero i giovani del Libano a dar voce alle stazioni del Calvario di Cristo. Sotto la guida del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, un gruppo di ragazzi ha sviluppato le meditazioni spirituali, le riflessioni sulle sofferenze del mondo contemporaneo e le attese di speranza. Tiziana Campisi ha intervistato il cardinale Béchara Raï: 

R. – L’importante nella Via Crucis è che ognuno possa ritrovarsi nel volto di Cristo e possa aver la luce e la forza di poter portare la propria croce. Questo è poi il valore delle stazioni: si chiamano "stazioni”, che significa "fermate” di meditazione personale e comune con Cristo, il quale riflette la nostra sofferenza e noi troviamo in Lui le luci di speranza.

D. – Lei ha parlato di sofferenze: quali avete voluto portare alla luce?

R. – La guerra, la violenza, l’attesa dei giovani che trovano chiusi gli orizzonti, la sofferenza della migrazione, la mancanza di sicurezza per il futuro dei giovani e quella dei problemi insolubili: la comunità internazionale non si cura di trovare soluzioni ai problemi della pace mondiale, della giustizia. Noi nel Medio Oriente viviamo la grande tragedia della questione palestinese, la tragedia della guerra in Siria, del vivere in comune con i musulmani, il problema dei fondamentalisti …

D. – Ci sono molti spunti tratti dalla liturgia orientale e ci sono anche spunti tratti dall’Esortazione post-sinodale di Benedetto XVI "Ecclesia in Medio Oriente”. Quanto questa Esortazione vi ha ispirati?

R. – E’ ricca. L’Esortazione apostolica, in questa chiamata ad essere "uno”, alla comunione, ad aprirsi agli altri, a costruire ponti con tutti quelli con cui viviamo. Di fatti, nell’Esortazione apostolica la comunione parte dalla comunione interna, a livello della comunità o della Chiesa, ma anche a livello delle altre Chiese - cattoliche, ortodosse, protestanti – dei musulmani, degli ebrei e delle altre religioni con cui viviamo. Questo ha dato molto impulso all’apertura a vivere in comune. E’ testimoniare l’amore di Cristo. Hanno trovato nell’Esortazione una grande miniera di idee per poter esprimere le ansie, le preghiere, insieme alla liturgia orientale: liturgia antiochena, bizantina, siriaca…

D. – Meditazioni sul dolore, meditazioni sulla sofferenza: eppure aprite le porte alla speranza…

R. – Certamente, perché siamo sicuri che le "stazioni” non terminano. Di fatti, in molte delle tradizioni delle nostre Chiese, non terminano con la XIV, ma c’è anche la XV, ovvero, la Resurrezione. Tutto il valore delle meditazioni e delle sofferenze è perché arrivano alla domenica: non si fermano a venerdì, ma arrivano fino alla domenica. Soffriamo, moriamo per resuscitare.

D. – Sinteticamente, qual è il messaggio che i giovani libanesi intendono far giungere all’umanità?

R. – Il valore della pace, il grido contro l’ingiustizia, perché i giovani libanesi vedono con i loro occhi che c’è tanta ingiustizia. Penso che Benedetto XVI profeticamente ha voluto che questi giovani esprimessero a nome dell’umanità il loro grido di dolore, di speranza e di giustizia.
21/03/2013 fonte Radio Vaticana 

Ortodossi: Francesco, un "dono di Dio". Chiese Riformate: la sua gioia dà speranza



E’ ancora forte l’eco delle parole di Papa Francesco ieri ai rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali, del popolo ebraico e delle varie religioni. Il Pontefice ha ribadito la volontà di proseguire nel dialogo, nella responsabilità verso l’altro e nella necessità di lavorare insieme per la riconciliazione e la pace. In precedenza, nel suo saluto, il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I, aveva espresso la stessa intenzione e disponibilità a camminare insieme. Adriana Masotti ha raccolto le impressioni del Metropolita Zervos Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta del Patriarcato ecumenico:   

R. – Il Patriarca Bartolomeo ha sottolineato molto questo grande problema dell’unità, ha evidenziato che le Chiese devono camminare insieme, collaborare per realizzare la volontà di Dio e cioè "Che tutti siano una cosa sola". 

D. – C’è stato anche un richiamo all’attenzione verso i poveri, ai piccoli, a quelli che soffrono, ad esempio, anche per la crisi economica di questi tempi…

R. – Non è la prima volta che il Patriarca parla della Chiesa povera, che ci ricorda che dobbiamo aiutare i piccoli e che dobbiamo tutti insieme essere loro vicini e dare spiritualità, amore e pace.

D. – Qual è la sua impressione su Papa Francesco e quella degli altri rappresentanti ortodossi?

R. – Io credo che Papa Francesco sia meraviglioso. E’ una personalità mandata da Dio. La sua allegria, la sua gioia, la sua umiltà, la sua semplicità, la sua disponibilità: tutte queste cose, questi carismi ci hanno impressionato. Tutti preghiamo per la sua salute, per la sua missione che è straordinaria. Siamo sicuri che Dio lo aiuterà e lo farà camminare sulla stessa via: la via dell’unità, la via della riconciliazione, la via della fratellanza, la via della pace e dell’unità dei cristiani.

D. – Quando il Papa ci ha spiegato perché ha scelto il nome Francesco, ha citato la povertà, ha ricordato Francesco come uomo di pace e ha fatto riferimento anche alla salvaguardia del Creato, dell’ambiente. Questo è un tema che sta molto a cuore al Patriarca Bartolomeo e alla Chiesa ortodossa…

R. – Sì, l’hanno chiamato anche il "Patriarca verde”… Lui è un grande protagonista della tutela del Creato. Ha organizzato tanti simposi, tanti convegni, tanti congressi internazionali sul Creato, tanti viaggi per parlare del Creato. E non solo questo: ha chiamato anche le altre Chiese e confessioni cristiane ad assumere le loro responsabilità, in particolare la Chiesa cattolica romana.

D. – Quindi, questa sottolineatura di Papa Francesco vi fa piacere?

R. – Questo è un dono di Dio: nella scelta del nome "Francesco” c’è tutto. La semplicità, l’umiltà, il bene, la pace, la serenità, la disponibilità, il sacrificio… Questo amore verso il Creato è una cosa meravigliosa, veramente. E poi, non soltanto il nome, ma anche la personalità del Papa: speriamo che durante la sua missione si possano fare tante cose utili per l’uomo, per il Creato, per la pace, per la giustizia e per i diritti umani. Io ho salutato il Papa: Sua Santità il Patriarca Bartolomeo mi ha presentato. E’ una cosa molto, molto bella: lui ha parlato con me come un padre, come un fratello. E questa vicinanza, questo carisma che lui ha nel comunicare con il prossimo è un grande dono. Sono contento, contentissimo, e pregherò sempre per la sua salute e per la sua straordinaria missione.

Ma come sta vivendo l’inizio del Pontificato di Papa Francesco la Comunione delle Chiese Riformate? Al microfono di Adriana Masotti ascoltiamo il pastore Setri Nyomi, segretario generale della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate:   

R. – The Reformed Churches are also sharing...
Anche le Chiese Riformate condividono la gioia in questo momento della Chiesa cattolica romana per l’insediamento di Papa Francesco. Siamo incoraggiati soprattutto dal modo con cui si è mostrato nella Chiesa, che ha bisogno di farsi sempre più custode dei doni di Dio, ma anche dall’umiltà con cui lui ha iniziato il suo Pontificato. Ci dà un senso di speranza perché proprio lui è venuto a guidarci in questo momento. Noi lo riconosciamo come una guida mondiale, per lui vogliamo pregare e a lui vogliamo essere vicini.

Un’impressione positiva è stata espressa anche dal generale Linda Bond, presidente dell’Esercito della Salvezza:   

R. – Well I’m with the Salvation Army....
Io appartengo all’Esercito della Salvezza e la mia prima impressione è estremamente positiva. Lui sta dicendo tutte quelle cose in cui crede l’Esercito della Salvezza e che ci stanno molto a cuore.

D. – Quale impulso prevede che possa venire anche per il suo lavoro?

R. – I’m very inspired by...
Io mi sento molto ispirata dalla dedizione del Papa nel vivere una vita semplice. Mi sento ispirata dal fatto che lui voglia farsi interprete delle persone emarginate e sono molto, molto contenta che il Papa voglia essere vicino alla gente. Credo che nel XXI secolo per la Chiesa questi siano assolutamente alcuni dei valori più importanti che una guida mondiale debba avere. 

D. – Può già sottolineare un aspetto, una parola, che l’ha particolarmente sollecitata?

R. – Humility.
L’umiltà.


21/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 19/03/2013 San Giuseppe sposo della Beata Vergine Maria




Il nome Giuseppe è di origine ebraica e sta a significare "Dio aggiunga”, estensivamente si può dire "aggiunto in famiglia”. Può essere che l’inizio sia avvenuto col nome del figlio di Giacobbe e Rachele, venduto per gelosia come schiavo dai fratelli. Ma è sicuramente dal padre putativo, cioè ritenuto tale, di Gesù e considerato anche come l’ultimo dei patriarchi, che il nome Giuseppe andò diventando nel tempo sempre più popolare. In Oriente dal IV secolo e in Occidente poco prima dell’XI secolo, vale a dire da quando il suo culto cominciava a diffondersi tra i cristiani. Non vi è dubbio tuttavia che la fama di quel nome si rafforzò in Europa dopo che nell’Ottocento e nel Novecento molti personaggi della storia e della cultura lo portarono laicamente, nel bene e nel male: da Francesco Giuseppe d’Asburgo a Garibaldi, da Verdi a Stalin, da Garibaldi ad Ungaretti e molti altri ancora.
  San Giuseppe fu lo sposo di Maria, il capo della "sacra famiglia” nella quale nacque, misteriosamente per opera dello Spirito Santo, Gesù figlio del Dio Padre. E orientando la propria vita sulla lieve traccia di alcuni sogni, dominati dagli angeli che recavano i messaggi del Signore, diventò una luce dell’esemplare paternità. Certamente non fu un assente. È vero, fu molto silenzioso, ma fino ai trent’anni della vita del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era "sparito’’ nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a crescere "in sapienza, età e grazia”. Lasciò probabilmente Gesù poco prima che "il Figlio dell’uomo” iniziasse la vita pubblica, spirando serenamente tra le sue braccia. Non a caso quel padre da secoli viene venerato anche quale patrono della buona morte.
  Giuseppe era, come Maria, discendente della casa di Davide e di stirpe regale, una nobiltà nominale, perché la vita lo costrinse a fare l’artigiano del paese, a darsi da fare nell’accurata lavorazione del legno. Strumenti di lavoro per contadini e pastori nonché umili mobili ed oggetti casalinghi per le povere abitazioni della Galilea uscirono dalla sua bottega, tutti costruiti dall’abilità di quelle mani ruvide e callose.
  Di lui non si sanno molte cose sicure, non più di quello che canonicamente hanno riferito gli evangelisti Matteo e Luca. Intorno alla sua figura si sbizzarrirono invece i cosiddetti vangeli apocrifi. Da molte loro leggendarie notizie presero però le distanze personalità autorevoli quali San Girolamo (347 ca.-420), Sant’Agostino (354-430) e San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Vale la pena di riportare soltanto una leggenda che circolò intorno al suo matrimonio con Maria. In quella occasione vi sarebbe stata una gara tra gli aspiranti alla mano della giovane. Quella gara sarebbe stata vinta da Giuseppe, in quanto il bastone secco che lo rappresentava, come da regolamento, sarebbe improvvisamente e prodigiosamente fiorito. Si voleva ovviamente con ciò significare come dal ceppo inaridito del Vecchio Testamento fosse rifiorita la grazia della Redenzione.
  San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come "sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni carnali.
  Che il culto di San Giuseppe abbia raggiunto in passato vette di popolarità lo dimostrano anche le dichiarazioni di moltissime chiese relative alla presenza di sue reliquie. Per fare qualche esempio particolarmente significativo: nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci sarebbero gli anelli di fidanzamento, il suo e quello di Maria; Perugia possiederebbe il suo anello nuziale; nella chiesa parigina dei Foglianti si troverebbero i frammenti di una sua cintura. Ancora: ad Aquisgrana si espongono le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe e i camaldolesi della chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dichiarano di essere in possesso del suo bastone. È sicuramente un bel "aggiunto” di fede.

Messa di inizio Pontificato. Papa Francesco: vero potere è servire gli ultimi e custodire il creato





Il "vero potere” di un Papa è nel servizio umile ai più piccoli e nel custodire con bontà e tenerezza tutta l’umanità. Sono le toccanti parole con le quali Papa Francesco ha inaugurato il Pontificato, presiedendo ieri mattina in Piazza San Pietro la solenne Messa di inizio del ministero petrino. Circa 200 mila le persone presenti, tra le quali le delegazioni di oltre 130 Stati e organismi internazionali, salutati dal Pontefice al termine della celebrazione. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis: 

Il potere del Successore di Pietro è tutto in un gesto, che Papa Francesco compie all’improvviso, secondo il suo stile, quando gli occhi del mondo sono su di lui, per così dire sul momento della sua massima gloria personale, e viceversa i suoi continuano a essere sui prediletti del Vangelo, senza distrazioni. Quale sia il potere del Successore di Pietro diventa chiaro verso le 9, ben prima della Messa, quando Papa Francesco, in piedi sulla jeep, sorridente nella sua semplice talare bianca e per nulla stordito o esaltato dalla folla che si sbraccia per sfiorare il suo lento passaggio, fa arrestare il mezzo in un punto imprevisto dal programma ma gradito al suo cuore. Accanto alla transenna c’è un uomo, un tetraplegico sdraiato su un lettino, un punto di dolore invisibile in mezzo a un oceano di entusiasmo. Papa Francesco lo nota e non si limita a un cenno: si ferma, scende, si accosta e con una dolcezza infinita lo bacia e lo accarezza, trattenendosi per più tempo e con più affetto di quanto servirebbe per un atto di circostanza. In un certo senso, il ministero petrino del Papa attento ai piccoli inizia lì. E quando più tardi all’omelia dirà in cosa consiste il "potere” di un Pontefice, le sue saranno, una volta di più, le parole rese vere dal testimone prima che dal maestro:

"Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!”.

Ecco enunciato il "programma” del Pontificato. Che Papa Francesco, con commozione non trattenuta, apre in ginocchio davanti alla tomba di San Pietro, attorniato dai Patriarchi delle Chiese orientali. È un rito antico fatto di riti: dall’interno della Basilica il Papa passa all’esterno, incontro a una Piazza inondata di sole, con il cielo che si riflette con identici colori nelle tante, fra le tante, bandiere argentine che non smettono di sventolare. Il canto delle Laudes Regiae e delle litanie è la colonna sonora della solennità e accompagna i segni del potere che si fa servizio: dal cardinale Tauran Papa Francesco riceve il pallio, dal cardinale Sodano l’Anello del Pescatore. "Tu es Petrus” pronunciano sei cardinali che gli si inchinano di fronte in atto di obbedienza a nome del Collegio delle porpore. Una sequenza rituale che la Piazza segue in raccoglimento, per poi accendersi quando Papa Francesco comincia a parlare di San Giuseppe, ricordando l’onomastico di Benedetto XVI – che segue da Castel Gandolfo la celebrazione – e spiegando perché quello del padre putativo di Gesù e dello sposo di Maria è uno straordinario ruolo di "custode”:

"Giuseppe è ‘custode’, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”.

Il crescendo di Papa Francesco strappa applausi, il suo calore è coinvolgente e le sue parole sono nitide oltre che belle da sentire. E anche responsabilizzanti su scala planetaria, quando afferma che "la vocazione del custodire però non riguarda solamente noi cristiani”, ma "ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti”:

"E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato San Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”.

Sulla destra del seggio pontificio, eretto davanti ai cancelli di San Pietro, siedono più di 130 tra capi di Stato, di governo, massimi responsabili di organizzazioni sovranazionali. Papa Francesco continua a sviluppare ancora un po’ il suo pensiero sull’essere custodi gli uni degli altri – mettendo in guardia sugli "Erode” che anche oggi "tramano disegni di morte” uccidendo gli uomini e il pianeta – quindi si rivolge ai potenti con semplice schiettezza:

"Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per 'custodire' dobbiamo anche avere cura di noi stessi! (…) Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”

Queste parole aleggiano sulla Piazza come un sole capace di sciogliere le pietre. Certamente sciolgono più di un cuore, dimostrando che il nuovo Pescatore è al timone di una barca decisa a fendere il muro di molte correnti. Papa Francesco ha tante parole di coraggio. "Saldo nella speranza, contro ogni speranza”, è la sua esortazione finale, prima di concludere la Messa e ritirarsi in Basilica, davanti all’altare, per salutare con cordialità, una a una, le autorità istituzionali che vengono a rendergli omaggio. Fuori, qualche nube offusca di tanto in tanto la luce. Non quella che si è accesa nella gente, che sciama via ripensando all’ultimo appello di Papa Francesco, "servo” di un Amore che gli ha già concesso potere su molti cuori:

"Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza!”.


19/03/2013 fonte Radio Vaticana

Don Coluzzi: con Papa Francesco anche San Pietro sembra una parrocchia di Roma




Grande gioia ieri in Piazza San Pietro anche tra i sacerdoti romani, che sottolineano l’importanza dell’inizio del ministero del loro vescovo. Per don Luigi Coluzzi, parroco del Santo Volto di Gesù, il nuovo Pontefice è un Papa-parroco. Ascoltiamo il suo commento, al microfono di Alessandro Gisotti: 

R. – Un Papa parroco: allora, sono 365 le parrocchie di Roma, San Pietro che è a Roma sarà la 366.ma parrocchia, dove c’è un parroco che non solo è parroco, ma che è capace di essere pastore nel senso pieno della parola, perché ho visto che è capace di riunire attorno a sé non soltanto i cattolici ma ci sono gli ortodossi, ci sono tutte le altre Chiese cristiane che evidentemente stanno scoprendo in questo uomo veramente un uomo mandato da Dio.

D. – C’è un passaggio dell’omelia che l’ha toccata particolarmente?

R. – E’ stato tutto: sarei veramente parziale ricordando solamente una parte o l’altra. Sento veramente lo Spirito Santo che parla attraverso quest’uomo. Le sue parole sono semplicissime, e potrei dirle anche io la domenica mattina alla Messa. E’ un Papa che parlerà ex cattedra quando sarà necessario, ma che oggi sta parlando alle sue pecorelle, sta parlando al cuore di ciascuno di noi.



19/03/2013 fonte Radio Vaticana

In 200 mila a Piazza San Pietro: "Il Papa, non solo applaudirlo ma imitarlo"
      






La figura di San Giuseppe custode umile e fedele, al centro dell’omelia di Papa Francesco, è rimasta anche nel cuore della gente, come l’appello rivolto a ciascuno ad aver cura dell’altro, di tutti, per non lasciare " inaridire il nostro cuore”. Lo testimoniano le voci raccolte da Gabriella Ceraso: 

R. - Custode degli altri, custode anche della propria anima: lui ci ha detto questo. 

R. - E’ stato veramente bellissimo!

D. - Ha parlato della custodia del Creato… 

R. - Come la custodia di San Giuseppe, la custodia della famiglia: anche il Papa custodisce la Chiesa. Anche ognuno di noi deve custodire gli altri. 

R. - La custodia del Creato: il Papa lo ha detto perché San Francesco è l’uomo della pace, è l’uomo dell’amore per il Creato, dell’amicizia. Ha preso questo cammino per la Chiesa e noi tutti dobbiamo seguirlo. 

D. - Che messaggio si porta dentro ?

R. – Quello del rinnovamento della Chiesa e dell’apertura a coloro che non credono: il Papa ha fatto un accenno a questo. Siamo in processo nuovo, di gioia, di edificazione, come pure ha detto. 

R. - Ha detto parole molto semplici, parole molto toccanti. Io ho pensato che tutti le abbiano capite. 

D. - Ha parlato molto dell’amore l’uno per l’altro…

R. - Amore l’uno per l’altro anche inteso come protezione. 

R. - Passato il momento emotivo, dobbiamo cogliere la sostanza: partire dalla conversione del cuore, perché - come ha detto il Papa - dal cuore possono venire le cose buone. Ma bisogna anche purificarlo da tante cose cattive, che sono sempre una tentazione. 

D. - Un appello forte anche ai governanti…

R. - Infatti, ha detto che non è solo la Chiesa, ma è il mondo che deve accogliere questo amore e questa capacità di rinnovarsi nella segno della vera carità. 

D. - Cosa si apre d’ora in poi?

R. - Comincia una sfida. Quindi, è importante che non solo lo applaudiamo, ma anche che lo imitiamo.

Tante sono state le emozioni vissute dalle migliaia di pellegrini giunti in Piazza San Pietro per la Messa "d’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma”. Un mosaico di colori le tante bandiere, gli striscioni come quello con su scritto:"Va', Francesco ripara la mia casa" e le luci dei flash che rilucevano in pieno giorno per salutare il Papa. Massimiliano Menichetti: 

Migliaia di persone hanno salutato, pregato, abbracciato con il cuore il Papa. Tanti gli striscioni colorati, con su scritto "Ti vogliamo bene, servitore del Signore, tu sei Pietro. Buongiorno, Papa Francesco!", immersi tra le bandiere di tutto il mondo, tenuti con la forza della fede e sventolati per il 265 successore di Pietro:

R. - Diciamo che ho solamente tanta gioia nel cuore, tanta gratitudine al Signore, perché vediamo ancora una volta l’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e come riesce sempre a svoltare la storia. Questo Papa ha già impressionato moltissimo per le sue parole, per i suoi gesti, per il segno anche di sobrietà nella dignità, per il nome che ha scelto.

R. – Sono ortodossa però mi è piaciuto il vostro Papa. E’ molto semplice, mi piace come persona.

R. – Già vedere che passa così, ha preso i bambini, fa correre le guardie svizzere avanti e indietro! Rompe proprio tutti gli schemi.

R. – Mi hanno colpito l’umiltà e le parole semplici per tutti.

R. - Gli portiamo tanto affetto, gli vogliamo bene!

R. - La sua parola mi colpisce, è schietto, dice parole semplici, concrete, alla nostra portata.

R. - Porto grandi preghiere per il suo pontificato, per la Chiesa. Tutti dobbiamo essere molto uniti in questi momenti per vedere il mistero della comunione che per noi è l’essenza della Chiesa nella carità.

D. – Una Messa per l’inizio del ministero petrino del vicario di Cristo. Il Papa sottolinea questo legame forte con Pietro…

R. - Lui è molto cosciente che ciò che ha ricevuto è un dono e non è soltanto la sua idea ma qualcosa che ha ricevuto e di cui deve rispondere a Dio. E’ tutta una tradizione nella quale si inserisce e che adesso deve riempire della volontà di Dio che è quella che salva. Non vuole che il suo ministero, il ministero petrino che ha ricevuto, sia tutto incentrato sulla sua persona, 

D. – Voi siete venuti qui con uno stendardo con tutti i nomi di bambini…

R. – Perché il giorno che c’è stata la fumata bianca, i miei bambini sono venuti a scuola e hanno detto: Maestra, c’è la fumata bianca! Allora, ho detto, bambini, diciamo il Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo che ci ha mandato un Papa buono e bravo e abbiamo pregato per il Papa. Abbiamo pregato per lui tre giorni. I bambini erano entusiasti. Tutti i bambini che sono presenti qui.

R. – Un discorso molto semplice. Specialmente per i giovani è un bel punto di riferimento. E’ bisognoso di tante preghiere perché sa che di problemi ce ne sono tanti.

D. – Qual è il suo augurio per il Papa?

R. - Che possa avere un bel dialogo con tutti.

D. - Che cosa porta nel suo cuore al Papa in questa giornata così importante?

R. – Porto le mie preghiere, lo porto nel cuore, lo sento vicino, gli vorrò sempre bene come ne ho voluto ai precedenti. Mi piace il Papa, quello che è.

R. - E’ un’emozione fortissima. In questi pochi giorni già Papa Francesco ci ha trasmesso tantissimo. Speriamo di rivederlo presto.

R. – L’augurio è quello di prendere in mano la Chiesa nel modo giusto e stare vicino alla gente, ma questo lui già lo sa. E’ un Papa che è molto vicino a tutti quanti noi.

R . –E’ un’emozione grandissima! Che il Signore lo benedica e lo guidi sempre.

R. – Nell’insieme è proprio la persona che serviva in questo momento. Io penso che sia proprio lo Spirito Santo ad averlo mandato perché non ci sarebbe stato tutto questo entusiasmo. Che continui così questo clima di fraternità.

R. – Non ho parole, mi colpisce tanto, perché sembra che lui possa veramente verificare quello che Benedetto XVI e tutti i Papi prima hanno iniziato: un nuovo cammino per la Chiesa, in questo millennio.


19/0372013 fonte Radio Vaticana

"Ciao Alejandro, sono io": Papa Francesco telefona ai fedeli a Plaza de Mayo che esplode di gioia




Una gioia incontenibile ha attraversato nella notte di ieri Plaza de Mayo, a Buenos Aires, quando, a sorpresa, prima dell’inizio della Messa, si è udita la voce di Papa Francesco tramite una telefonata trasmessa in diretta. Migliaia di persone hanno vegliato e atteso ore e ore nella più famosa piazza della capitale argentina per riuscire a seguire su 4 maxischermi la Celebrazione eucaristica di inizio Pontificato di colui che fino a pochi giorni fa è stato il loro amato arcivescovo. Il servizio di Debora Donnini: 

Sé que están en la plaza, gracias por la oraciones…
"So che siete in piazza... grazie per le preghiere”.

Erano le 3.30 di questa notte, ora argentina, quando le parole di Papa Francesco fanno esplodere Plaza de Mayo di commozione. Non se lo aspettavano le migliaia di persone, anziani giovani, famiglie con bambini, di ascoltare la voce del loro cardinale ora lontano ma sempre vicino nel cuore. Hanno passato tutta la notte, fra preghiere e canti, in attesa di seguire la Messa di inizio Pontificato di Papa Francesco tramite i due maxischermi accanto alla Cattedrale, un altro al centro ed uno a fianco della Avenida De Mayo. All’udire la sua voce, subito in Piazza de Mayo scende un silenzio carico di emozione e concentrazione. "Vi voglio chiedere un favore” - dice il Successore di Pietro - di "camminare tutti insieme”: 

Cuidemos los unos a los otros…
"Prendiamoci cura gli uni degli altri”, "non fatevi del male”. 

E ancora aggiunge: 

Cuiden la familia, cuiden la naturaleza, cuiden a los niños... 
"Prendetevi cura della vostra famiglia, custodite la natura, abbiate cura dei bambini, accudite i vecchi; che non ci sia odio, che non ci siano litigi, lasciate da parte l’invidia, non ferite nessuno. Dialogate molto, che sia vivo tra voi il desiderio di proteggervi a vicenda”. 

Il Papa chiede ai suoi argentini di avvicinarsi a Dio "che sempre perdona, comprende". "Non abbiate paura di lui”, raccomanda: 

Que la virgen los bendiga mucho, no se olviden de este obispo que está lejos pero los quiere mucho. Recen por mí
"Che la Vergine vi benedica molto, non dimenticatevi di questo vescovo che è lontano, però vi vuole tanto bene. Pregate per me”.

Un collegamento nella notte di Buenos Aires che resterà indimenticabile.

Papa Francesco per raggiungere la Piazza aveva telefonato al Rettore della Cattedrale, padre Alejandro Russo. Debora Donnini lo ha raggiunto al telefono:  

R. – A la tres y media de Buenos Aires...
Alle tre e mezzo, ora di Buenos Aires, e alle sette e mezzo, ora di Roma, sento la voce del Santo Padre che mi dice: "Ciao Alejandro, sono io”. Ed io ho risposto: "Padre Santo…dire sono io è dire sono Pietro!”. Mi chiede: "Mi fai comunicare con la piazza?”. E rispondo: "Se mi dai un minuto”. E subito abbiamo fatto il collegamento.

D. – E cosa ha detto sostanzialmente alla Piazza?

R. – En primer lugar...
Prima di tutto di pregare. Era contento che stavano pregando per lui e ha detto che la preghiera era il nutrimento di tutta la vita cristiana. Ha chiesto di lavorare per l’unità e di essere testimonianza cristiana nella realtà dove ciascuno vive. Poi ho fatto una piccola presentazione: 15 persone adulte sono venute per chiedere il Battesimo, per cominciare il cammino battesimale; ci sono state confessioni, benedizioni; c’è tutto il clero di Buenos Aires e la cattedrale è piena, adorando il Santissimo Sacramento. Il Santo Padre ci ha ringraziato e poi soprattutto ha esortato alla preghiera e all’unità.

D. – E lei che cosa ha provato quando ha sentito la voce del Santo Padre al telefono?

R. – Un sentimiento incomprensibile...
Ho provato qualcosa di incomprensibile, di gigantesco. E’ una cosa talmente strana sentire la voce di colui che era arcivescovo e che all’improvviso è quella del Santo Padre! La distanza tra Buenos Aires e Roma fa sì che, se il Santo Padre si avvicina tramite i mezzi di comunicazione, ci appare come una figura quasi angelicale, invece a Roma, avendolo così vicino, si vede di più la persona concreta. 

D. – Come descrivere Plaza de Mayo? 

R. – Yo no se calcular el numero...
Io non so calcolare il numero di persone in piazza e nella Avenida de Mayo. Tantissime.


19/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 18/03/2013 San Cirillo di Gerusalemme Vescovo e dottore della chiesa





Cirillo di Gerusalemme, ordinato presbitero intorno al 345, fu uomo particolarmente attento alla preparazione dei catecumeni aspiranti al sacramento del battesimo celebrato nella notte di Pasqua. È in questi anni di sacerdozio che compose l’opera che ancora oggi è giustamente nota: le Catechesi contengono discorsi che illustrano la dottrina cristiana (i primi 19 discorsi tenuti nella basilica del Santo Sepolcro edificata a Gerusalemme da Costantino sono indirizzati ai catecumeni) e ne spiegano i sacramenti (i discorsi 20-24 furono rivolti ai battezzati ammessi alla Chiesa Anastasis per comprendere il significato della prassi liturgica).

Divenuto vescovo intorno all’anno 348, Cirillo fu severamente impegnato nella disputa cristologica seguita all’affermazione del simbolo niceno. Questo, proclamato nel I Concilio Ecumenico di Nicea nell’anno 325, non aveva sancito la sconfitta degli ariani sostenitori di una cristologia che negava a Gesù Cristo uguale divinità del Padre: il termine "della stessa sostanza”, homoousios, costituì l’affermazione cristologica contro la deriva ariana.
Terminato il Concilio, infatti, si aprì una lunga e dolorosissima stagione che vide la Chiesa dividersi sulla questione cristologica. Non tutti si professarono niceni (come l’illustre vescovo e Dottore della Chiesa sant’Atanasio di Alessandria d’Egitto), né il partito ariano costituiva un blocco monolitico. I più oscillavano tra le due posizioni.

Cirillo di Gerusalemme come Acacio, vescovo di Cesarea (340-366), e molti altri, conosceva una posizione intermedia e personale. A causa di questioni legate al rapporto tra Chiese, Acacio, sposando definitivamente una dottrina marcatamente ariana e garantendosi così il sostegno imperiale, riuscì ad allontanare ripetutamente Cirillo dalla sua sede episcopale. Fu, così, prima deposto ed esiliato dall’imperatore Costanzo nel 357 e nel 360, poi dall’imperatore Valente dal 367 al 378.  
L’imperatore Teodosio (379-395) pose fine al suo esilio durato complessivamente 16 anni: Cirillo poté nella sua autorevolezza partecipare al II Concilio Ecumenico, celebrato a Costantinopoli nel 381, dove sottoscrisse completamente il simbolo, divenuto niceno-costantinopolitano, accettando il termine homoousios.
Fu dichiarato Dottore della Chiesa da papa Leone XIII nel 1882. 

Tutta la sua vita è coinvolta nel travaglio della Chiesa durante i primi secoli. Ossia nei dibattiti teologici anche molto aspri, mescolati alle debolezze umane e intrecciati poi alla politica, alle guerre esterne per difendere l’Impero e a quelle interne per impadronirsi del trono, mettendo di mezzo anche la fede.
Basta una sequenza di date a riassumere la vicenda di Cirillo. Eletto vescovo di Gerusalemme nel 348, viene destituito nel 357. Motivo: il vescovo Acacio di Cesarea di Palestina (che pure lo ha consacrato) lo accusa di errori dottrinali; e soprattutto pretende che la sede episcopale di Gerusalemme dipenda da quella sua di Cesarea, che fu già capitale amministrativa della Palestina e sede dei procuratori romani.
Nel 359 un concilio locale di vescovi lo riabilita, e lui torna alla cattedra di Gerusalemme. Ma nel 360 viene scacciato per la seconda volta da un altro concilio, riunito a Costantinopoli su insistenza di Acacio, che è pure molto influente sull’imperatore filo-ariano Costanzo. (E d’altra parte questo Acacio, vescovo dal 340 al 366, non è certo un personaggio da poco. Succeduto al grande vescovo Eusebio, continuò ad arricchire la biblioteca di Cesarea. San Girolamo, infatti, morto nel 420, parlerà delle sue grandi opere di commento e interpretazione della Sacra Scrittura, andate poi perdute).
E riecco Cirillo nuovamente in carica a Gerusalemme nel 362, alla morte di Costanzo, che era in lotta contro i Persiani e poi contro il cugino Giuliano. Ma, verso il 367, l’imperatore Valente lo condanna all’esilio, dal quale potrà tornare solo nel 378, definitivamente, dopo la morte di Valente nella guerra contro i Goti.
Ora nessuno lo caccerà più. Nel 381 Cirillo prende parte al Concilio di Costantinopoli (secondo concilio ecumenico) e a quello successivo del 382, nel quale viene ancora ribadita la validità della sua consacrazione a vescovo di Gerusalemme, dove rimane finalmente indisturbato fino alla morte.
Nel 1882, quindici secoli dopo, papa Leone XIII lo proclamerà Dottore della Chiesa per il suo insegnamento scritto contenuto nelle Catechesi, che sono istruzioni per i candidati al battesimo e per i neobattezzati. Accusato a suo tempo di legami con correnti dell’arianesimo, egli invece respinge la dottrina ariana sul Cristo, e anzi limpidamente lo dichiara Figlio di Dio per natura e non per adozione, ed eterno come il Padre.
Ancora nel XX secolo, il Concilio Vaticano II richiamerà l’insegnamento di Cirillo di Gerusalemme, con quello di altri Padri, in due costituzioni dogmatiche: la Lumen gentium, sulla Chiesa, e la Dei Verbum, sulla divina Rivelazione. E ancora nel decreto Ad gentes, sull’attività missionaria della Chiesa nel mondo contemporaneo.


Omelie del card. Bergoglio: vicinanza di Dio, clericalismo ipocrita e mondanità spirituale



Nelle riflessioni dell’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco, ritornava il tema dell’essere vicino ai lontani. "Sì alla vicinanza”, "no al clericalismo ipocrita” e "alla mondanità spirituale”, affermava nell’omelia per la Messa di chiusura dell’Incontro 2012 della Pastorale Urbana della Regione di Buenos Aires, che si è tenuta il 2 settembre scorso nella capitale argentina. Il servizio di Debora Donnini: 

Gesù che va a curare la figlia di Giairo, il cieco di Gerico, i 10 lebbrosi. Sono alcuni episodi del Vangelo che il cardinale Bergoglio ripercorreva per mostrare visivamente come Gesù si facesse vicino alle persone. Il nostro Dio è un Dio vicino, il "Dio dell’incontro”, che già iniziava a camminare con il suo popolo, ma che addirittura si è fatto uno del suo popolo in Gesù Cristo. Gesù, ricorda, non fece "proselitismo”, ma accompagnò e da questo atteggiamento scaturivano le conversioni. Con la vicinanza "crea questa cultura dell’incontro che ci fa fratelli, che ci fa figli e non soci di una ong o proseliti di una multinazionale”.

Il primo dei tre pilastri per il porporato è dunque la vicinanza. La seconda parola su cui si soffermava nell’omelia è "ipocrisia”. Nella Messa al termine dell’Incontro 2012 della Pastorale Urbana della Regione di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio ricordava che Gesù mangiava con i peccatori e a chi si scandalizzava diceva che i pubblicani e le prostitute li avrebbero preceduti nel Regno dei Cieli. "Sono quelli che hanno clericalizzato – per usare una parola che si intenda – la Chiesa del Signore”, diceva, la riempiono di precetti. "Con dolore lo dico” - proseguiva il cardinale - "e se sembra una denuncia o un’offesa, mi perdonino, ma nella nostra regione ecclesiastica ci sono sacerdoti che non battezzano i figli delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio”. "Questi sono gli ipocriti di oggi”, sottolineava spiegando che una povera ragazza, che avrebbe potuto abortire, ha avuto invece il coraggio di mettere al mondo il bambino e va girando di parrocchia in parrocchia perché lo battezzino.

Gesù mostra che è dal cuore dell’uomo che nascono le cattive intenzioni, le fornicazioni, i furti, gli omicidi. "Clericalizzare la Chiesa è ipocrisia farisaica”, diceva l’arcivescovo di Buenos Aires sottolineando che il cammino insegnato da Gesù è quello di uscire a dare testimonianza, a interessarsi del fratello, a condividere, in una parola incarnarsi. "Contro lo gnosticismo ipocrita dei farisei”- affermava - Gesù torna a mostrarsi in mezzo alla gente, fra pubblicani e peccatori. Sebbene questo "’clericalismo’ fra virgolette” faccia male, anche "la mondanità è uno dei mali che tarla la nostra coscienza cristiana”. San Giacomo infatti esorta a non contaminarsi con il mondo. E lo spirito del mondo è "la mondanità spirituale”, che consiste nel fare quello che viene preso bene, essere come i più, in una parola una "borghesia dello spirito, degli orari, di stare bene, dello status: sono cristiano, sono consacrato, consacrata, sacerdote”. "Il peggior danno che può capitare alla Chiesa: cadere nella mondanità spirituale”, sottolineava il cardinale Bergoglio citando De Lubac. Un danno secondo lui ancora peggiore "di quello dei Papi libertini di un tempo”.

No dunque "al clericalismo ipocrita”. "No alla mondanità spirituale”, perché fare questo è dimostrare che uno è più un imprenditore che un uomo del Vangelo. Sì invece a camminare con il popolo di Dio, "alla tenerezza specialmente con i peccatori, con coloro che sono più lontani, e sapere che Dio vive in mezzo a loro”. Il cardinale auspicava che Dio "ci conceda” questa "grazia della vicinanza che – concludeva - ci salva da tutte le attitudini imprenditoriali, mondane, proselitiste, clericali, e ci avvicina al cammino di Lui”.


18/03/2013 fonte Radio Vaticana

Motto e Stemma di Papa Francesco





Il Papa ha deciso di confermare il motto, "Miserando atque eligendo”, e nei tratti essenziali anche lo stemma che aveva come arcivescovo, caratterizzato da una lineare semplicità.

Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d'oro e d'argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l'emblema dell'ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero.

In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l'antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.

Il motto di Papa Francesco, "Miserando atque eligendo”, è tratto dalle omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l'episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: "Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me" (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).

Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell'itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell'anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all'età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull'esempio di Sant'Ignazio di Loyola.

Una volta eletto vescovo, mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l'espressione di San Beda "Miserando atque eligendo”, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.


18/03/2013 fonte Radio Vaticana

Card. Gracias: Papa Francesco è pastore universale anche per l’Asia
di Giulia Mazza
Presente in Conclave, l’arcivescovo di Mumbai racconta la "benedizione e la gioia” dell’elezione di papa Bergoglio. La preghiera, l’urgenza della nuova evangelizzazione e il pensiero a Benedetto XVI sono stati fondamentali per scegliere il successore di Pietro. La fiducia di un viaggio in Asia e in India.


Città del Vaticano (AsiaNews) - Papa Francesco è un pastore universale che supera i confini e saprà rinnovare le Chiese più antiche, rendendo più solide realtà giovani come la Chiesa asiatica. Il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e uno dei 115 cardinali elettori seduti in Conclave, descrive così ad AsiaNews il papa "di cui la Chiesa ha bisogno per affrontare le sfide di oggi", la cui elezione è stata "una benedizione e un motivo d'immensa gioia, per tutti noi e per tutta la Chiesa".

Il porporato, anche presidente della Conferenza episcopale indiana (Cbci) e della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), racconta: "Non avevo mai incontrato di persona papa Bergoglio, anche se conoscevo già bene il suo lavoro a Buenos Aires. In questi giorni passati insieme alla Domus Sanctae Marthae, anche dopo la sua elezione, mi è apparso molto semplice, ha trascorso con noi tutti i pranzi e le cene".

Dal 1998 fino alla sua elezione, papa Francesco è stato ordinario per i fedeli di rito orientale in Argentina. Un incarico che, nota il card. Gracias, "in un certo senso gli permette di comprendere in modo profondo la reale situazione dei cristiani in Asia", pur provenendo da una realtà diversa come quella latino-americana. Le sue origini, sottolinea, non vanno viste come "in contrasto" con la missione in Asia, perché egli è "pastore della Chiesa universale". "Il Santo Padre - spiega - viene da una grande Chiesa come quella argentina, che pur avendo solide radici deve affrontare ancora gli stessi 'problemi' di una realtà giovane come quella asiatica. La mia impressione è che egli sia assolutamente consapevole di tutte le sfide che la Chiesa, nella sua interezza, si trova ad affrontare".

Creato cardinale da Benedetto XVI, il card Gracias era al suo primo Conclave, a cui si è preparato "pregando intensamente, con la consapevolezza di avere una grande responsabilità". In questo senso, le congregazioni "sono state un momento determinante, durante il quale abbiamo discusso dei bisogni primari della Chiesa". Fondamentale, nella settimana precedente al Conclave, anche le occasioni di incontro "non ufficiali" - come le pause tra una congregazione e l'altra, o il ritrovarsi per una passeggiata intorno alla Domus Sanctae Marthae -, durante le quali "tutti hanno avuto modo di conoscersi, parlare e confrontarsi". D'altra parte, aggiunge, "sento che anche il Sinodo sulla nuova evangelizzazione voluto da Benedetto XVI ha avuto un ruolo importante nella mia preparazione, anche se avvenuto lo scorso ottobre in un momento in cui mai avremmo immaginato una rinuncia di papa Ratzinger". La proclamazione dell'Anno della fede e l'invito alla nuova evangelizzazione, infatti, "sono capisaldi da cui non si può prescindere" nella scelta del successore di Pietro.

Proprio a Benedetto XVI il cardinale ha rivolto spesso pensieri e preghiere, nelle congregazioni e nel Conclave. "La rinuncia di Benedetto XVI - rivela - mi ha fatto molto riflettere, anche in questi giorni. Egli è stato una grande guida, davvero una grande guida, e ci chiedevamo chi avrebbe potuto assumere il ministero petrino dopo un papa come lui. Abbiamo pregato con forza e quando papa Francesco è stato eletto abbiamo compreso che Dio ha risposto alle nostre domande".

Francesco, il nome scelto da papa Bergoglio, "è già un programma". Non solo per il riferimento a san Francesco d'Assisi, come lui stesso ha spiegato, ma anche per san Francesco Saverio, gesuita come lui, Apostolo delle Indie e patrono delle missioni e dell'Oriente. "Una figura - nota - che per l'India, il Giappone e la Cina ha un valore incredibile. Quando ho potuto parlargli l'ho invitato nel nostro bel continente: ho fiducia e speranza che papa Francesco verrà presto in Asia e in India".  

 18/03/2013 fonte Asia News

Papa: 132 delegazioni di Stati e organismi internazionali e 33 di Chiese domani a Roma per l'inizio del pontificato



Lo stemma e il motto di Francesco sono gli stessi che aveva da cardinale. L'anello del pescatore è d'argento dorato. I riti della cerimonia di domani, che cominciano sulla tomba di Pietro. Oggi incontro e pranzo con la presidente argentina.


Città del Vaticano (AsiaNews) - Saranno 132 le delegazioni di diverso livello di Paesi e organizzazioni internazionali che domani assisteranno alla "Cerimonia di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma", che è il papa. A guidarle 31 capi di Stato, e 11 delegazioni DI capi di governo, come Germania e Francia. Altre sono guidate da ministri degli Esteri o altre personalità, come il vicepresidente degli Usa.

Ci saranno anche 33 delegazioni di Chiese e confessioni cristiane: 14 delle Chiese orientali, 10 occidentali, 3 internazionali. Ci saranno il patriarca ecumenico Bartolomeo, il catholicos armeno Karekin II, il metropolita Ilarion per il Patriarcato di Mosca, il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese Olav Fykse Tveit. Molto importante anche la delegazione ebraica, composta di 16 persone, sia di Roma sia del Gran rabbinato di Gerusalemme, sia di organizzazioni internazionali ebraiche. Presenti anche rappresentanti di musulmani, buddisti, sikh e giainisti. Sono alcuni dei dati di presentazione della messa di domani, illustrati oggi da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede.

Il briefing è stato anche occasione per presentare lo stemma e il motto di papa Francesco. Lo stemma, che è quello che aveva da cardinale, ha fondo azzurro e poi c'è il monogramma di Gesù che è collegato anche alla sua storia di gesuita. Poi c'è una stella che indica Maria e un'altra figura che non è un grappolo d'uva, come può sembrare, ma un fiore di nardo che ricorda Giuseppe. Quindi, ci sono Gesù, Giuseppe e Maria. L'unico cambiamento è che mentre prima aveva il cappello cardinalizio attorno allo stemma, adesso naturalmente c'è la mitria e le chiavi di San Pietro, come aveva il Papa precedente dietro al suo stemma.

Il motto è "miserando atque eligendo" avendo misericordia e scegliendo. La frase viene da un passo di Beda il Venerabile che si riferisce alla vocazione di San Matteo. Gesù vede il pubblicano, ha misericordia di lui, lo sceglie e lo chiama a seguirlo. Quindi, "miserando atque eligendo" è Gesù che ha misericordia e chiama a seguirlo. E questo nella storia anche personale di Bergoglio è un fatto importante: ricorda la sua vocazione personale.

Tornando alla giornata di domani, sarà una messa solenne, legata al ministero petrino, infatti comincia alla tomba di san Pietro e si svolge nella piazza che secondo tradizione è il luogo del martirio di san Pietro, del quale il papa è successore.

Il Papa, dunque, lascia la casa di santa Marta verso le 8.50 per un lungo giro nella piazza con la jeep o la papamobile. Alle 9.15 sarà in sagrestia, da dove va alla tomba di san Pietro, accompagnato dai patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese orientali cattoliche. Sono una decina, 4 sono cardinali. Tutti recitano una preghiera alla tomba, presso la quale sono conservati l'anello e il pallio, che sono i due segni del ministero petrino che poi verranno consegnati al Papa. Poi il Papa e i patriarchi e, in processione con tutti i cardinali presenti a Roma, il segretario del collegio cardinalizio, due sacerdoti - il superiore dei francescani, padre José Rodriguez Carballo, presidente dell'Unione internazionale dei superiori generali e il preposito dei gesuiti Adolfo Nicolas, che è vicepresidente della stessa organizzazione - escono sul sagrato. Durante la processione verrà cantato il "Laudes Regiae", cioè le lodi del re, "che è Cristo". E' un canto particolarmente solenne fatto di litanie e invocazioni in onore di Cristo. Un aspetto interessante di queste Laudes è che con esso si invocano molti santi e, in questa celebrazione si invocano anche esplicitamente i papi santi, l'ultimo dei quali è san Pio X.

La processione esce dalla porta di sinistra della basilica e, prima che incominci la messa ci sono la consegna del pallio e dell'anello del pescatore, che sono i due segni del ministero petrino. Il pallio viene consegnato e imposto al Papa dal cardinale protodiacono, Jean-Louis Tauran, e il pallio è lo stesso che aveva Benedetto XVI, identico. Dopo la consegna del pallio c'è una preghiera che è fatta dal cardinale protopresbitero, cioè il primo dell'ordine dei presbiteri, che è il cardinale Danneels e infine c'è la consegna dell'anello che viene fatta dal cardinale decano, Sodano, che è il protoepiscopo, cioè il primo dell'ordine dei vescovi. 
Per quanto riguarda l'anello, esso, ha ricordato padre Lombardi, si chiama "anello del pescatore", perché San Pietro era un pescatore e Gesù lo ha fatto diventare pescatore di uomini. Però, sull'anello che questa volta il Papa riceverà, è rappresentato San Pietro con le chiavi. Questo anello, in argento dorato, è opera di un famoso artista italiano che si chiama Enrico Manfrini, che ha fatto diverse opere che sono state utilizzate anche nell'arte sacra, e il modello è stato presentato al Papa dal Maestro delle Cerimonie che lo aveva ricevuto da uno dei segretari di Paolo VI, da mons. Macchi e poi mons. Malnati, che ne hanno parlato con il cardinale Re, che lo ha proposto a mons. Marini che lo ha fatto vedere al Papa; che ha scelto, quindi, questo anello tra due o tre possibilità che gli sono state proposte.

Dopo la consegna dell'anello c'è il rito detto della "obbedienza", nel quale si promette obbedienza al papa. Saranno scelti sei cardinali, due per ogni ordine. Non ci saranno rappresentanti delle altre componenti del popolo di Dio, che faranno obbedienza quando il Papa prenderà possesso della cattedrale di Roma, san Giovanni in Laterano, tra qualche settimana.

Dopo questi riti simbolici dell'inizio del ministero petrino c'è la celebrazione della messa, che è quella della festa di san Giuseppe, che è il patrono della Chiesa. Una particolarità è che il Vangelo viene contato in greco. Durante le grandi celebrazioni c'è la tradizione di usare greco e latino per ricordare le grandi tradizioni della Chiesa. In questo caso il Vangelo sarà solo in greco, perché in latino è molto presente nel resto della messa.

Altri aspetti di semplicità, non c'è la processione delle offerte e il Papa non dà la comunione, ma la danno i diaconi sul sagrato e 500 sacerdoti sulla piazza.

A cantare saranno il coro della Sistina e quello dell'Accademia pontificia di musica sacra. All'offertorio, sarà eseguito un raro mottetto di Pierluigi da Palestrina composto per l'inizio del pontificato "Tu es pastor ovium" tu sei il pastore delle pecore. Alla fine si canta il "Te Deum". Non c'è l'Angelus, perché non è domenica.

Dopo la fine della messa, il papa va all'altare centrale, quello della Confessione, dove i capi delle delegazioni dei diversi Paesi lo vanno a salutare.

In proposito, padre Lombardi ha ripetuto che la prassi della Santa Sede è di non fare inviti. La Santa Sede informa, chi vuole viene e chi viene è benvenuto. "Non ci sono privilegiati e non ci sono rifiutati".

Le delegazioni delle Chiese cristiane e delle altre religioni saranno invece ricevute mercoledì nella sala Clementina.

La giornata di oggi, invece, ha visto il Papa a pranzo con la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner (nella foto), dopo un incontro privato di un 15-20 minuti a Santa Marta. Incontro molto informale. In precedenza,  alle 10 ha ricevuto in udienza con il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone.

Ieri, infine, c'è stato un incontro "molto privato e molto cordiale" con il preposito generale dei gesuiti.

18/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 16/03/2013 Sant'Agapito di Ravenna vescovo



Decimo dei vescovi ravennati, il Martirologio Romano ne celebra la memoria il 16 marzo. Visse tra la fine del III sec. e la prima metà del IV, ed è senza fondamento la notizia della sua partecipazione al concilio di Roma del 340, indetto dal papa Giulio I. La breve e generica biografia del Liber Pontificalis di Agnello ravennate non fa che rifarsi a motivi suggeriti dall'etimologia del nome, ma ne ignora il giorno obituale. Fino al sec. X rimase sepolto nell'area cimiteriale adiacente alla Basilica Probi di Classe; nel 963 l'arcivescovo Pietro IV ne riesumò le reliqui e le trasferì nell'Anastasi urbana. Ma il suo culto comincia ad affermarsi solo verso il sec. XI, quando viene estesa a tutti i primi dodici vescovi ravennati la leggenda dell'elezione miracolosa attraverso la discesa di una colomba sul capo del candidato, leggenda originariamente propria solo per s. Severo Fu l'arcivescovo Filippo Fòntana (1250-1270) che soprattutto diffuse e curò il culto dei cosiddetti «Vescovi Colombini».


Home > Chiesa > notizia del 2013-03-15 20:40:38 
      


L'incontro del card. Bergoglio prima del Conclave col Movimento di Schoenstatt: "Momento indimenticabile"



Prima di partire per il Conclave, il cardinale Jorge Mario Bergoglio aveva incontrato a Buenos Aires i sacerdoti del movimento di Schoenstatt dell’Argentina e del Paraguay, per stabilire con loro gli indirizzi dell’anno pastorale che prende avvio a marzo. Ma non è stato un incontro come gli altri e tanti dei momenti vissuti insieme hanno segnato i partecipanti. Tra loro padre Gerardo Càrcar direttore diocesano per il Movimento di Schoenstatt a Cordoba in Argentina. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza: 

R. - Parte di questo incontro è stato una visita da lui: abbiamo celebrato insieme la Messa che lui ha presieduto. Gli abbiamo chiesto subito come andasse la sua salute e lui: "Bene, bene. Sto molto meglio con la schiena”. Gli abbiamo detto allora, scherzando, che al Conclave non avrebbe dovuto dire di stare troppo bene e lui ci ha risposto: "No, assolutamente no. Io andrò con il bastone, in modo tale che pensino che io sono vecchio e quindi non mi possono scegliere”. C’è stata una risata fortissima tra tutti noi per la semplicità e l’umorismo che ha dimostrato!

D. - Durante questo incontro con voi sacerdoti, immagino che vi sia stato anche un momento di preghiera, un momento di riflessione spirituale. C’è qualcosa che il Papa ha detto che le è rimasto nel cuore?

R. - Sì, per esempio come condurre la Chiesa verso l’unità: è interessante l’equilibrio con il quale parlato. Non bisogna cercare - ha detto - di avere una grandissima uniformità, perché lo Spirito Santo è creativo e allo stesso tempo è quello che crea l’armonia. Quindi, unità e diversità, come diceva il Concilio. Un’altra cosa che mi ha molto, molto colpito è che alla fine gli abbiamo chiesto cosa si aspettasse dal prossimo Papa. E lui ci ha risposto che si aspettava fosse un uomo di preghiera e di grande fede, fede nel fatto che Gesù Cristo è il Signore, che Gesù Cristo è il Signore della Chiesa. Noi siamo rimasti colpiti: ci dicevamo "dovrebbe essere sempre così”. Evidentemente, lui non era convinto che sempre sia così.

D. - Come sacerdote, conoscendolo, quale ritiene possa essere l’indirizzo che potrà dare alla Chiesa?

R. – Lui si sente un rappresentante del Signore, un padre della famiglia spirituale che è la Chiesa anzitutto: padre umile che parla con voce molto, molto tenera. Ma, allo stesso tempo, un uomo di governo, un uomo che sa dire cosa vuole e cosa non vuole.

D. - Quale impronta ha lasciato sul territorio?

R. - Quella di una persona capace di avere rapporti con ogni livello sociale. Una persona saggia: ha molto accompagnato per esempio i sacerdoti che lavorano pastoralmente nei quartieri poverissimi della sua città. Li visitava, era molto informato su di loro.

D. - Per il vostro Paese, per l’Argentina, cosa pensa possa significare avere un Papa che conosce tutti gli aspetti del territorio?

R. - Penso che lui avrà una presenza nazionale continua, forte, molto forte come è stato Papa Wojtyla per la Polonia. Penso che sarà impossibile non ascoltare la voce di un Papa che viene dal tuo Paese, quindi sono sicuro che ciò porterà rinnovamento ecclesiale, ma anche che avrà conseguenze sociali molto forti. 

D. - Se dovesse descrivercelo in pochi tratti, come lo definirebbe?

R. - Un uomo di Dio, che non si crede il centro dell’universo, un padre tenero e vicino, in ogni circostanza.


16/03/2013 fonte Radio Vaticana

Il Papa ai giornalisti: mi chiamo Francesco perché vorrei una Chiesa povera e per i poveri





Ho scelto il nome di Francesco d’Assisi, perché vorrei una Chiesa per i poveri, che difenda la pace e sia attenta al Creato: sono le straordinarie parole che Papa Francesco ha pronunciato a braccio, stamani, nell’udienza agli oltre 6 mila giornalisti di tutto il mondo ricevuti in Aula Paolo VI, alcuni anche con le proprie famiglie. Il Pontefice ha aperto il suo cuore in un modo sorprendente per svelare la decisione che ha portato alla scelta del nome Francesco. Dal Papa anche una riflessione su come i media dovrebbero leggere gli eventi ecclesiali. L’indirizzo d’omaggio, in un’udienza particolarmente festosa, è stato rivolto da mons. Claudio Maria Celli, presidente del dicastero per le Comunicazioni Sociali. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Papa Francesco ha appena concluso di leggere il testo del suo discorso, quando comincia a parlare a braccio. I giornalisti presenti nell’Aula Nervi capiscono subito che stanno per assistere ad un evento nell’evento. Il Santo Padre, infatti, rivela le ragioni della scelta del suo nome. Racconta che al Conclave sedeva vicino a lui il cardinale Hummes che, una volta raggiunto il numero di voti necessari per essere eletto e dopo l’applauso degli altri cardinali, si è accostato al nuovo Papa e gli ha sussurrato: "Non dimenticare i poveri”:

"'Non dimenticarti dei poveri!'. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’Assisi. L’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il Creato, in questo momento in cui noi abbiamo con il Creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”.

In un clima di grande gioia, quasi di confidenza tra il Pontefice e i giornalisti, Papa Francesco ha quindi riferito alcune battute riguardanti la scelta del suo nome da Papa:

"'Ma tu dovresti chiamarti Adriano, perché Adriano VI è stato il riformatore, bisogna riformare …'. E un altro mi ha detto: 'No, no: il tuo nome dovrebbe essere Clemente'. 'Ma perché?'. 'Clemente XV: così ti vendichi di Clemente XIV che ha soppresso la Compagnia di Gesù!'. Sono battute … Vi voglio tanto bene, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto.”

Prima del fuori programma sulla scelta del suo nome, nome che è davvero un programma di Pontificato, Papa Francesco aveva offerto una riflessione su come i giornalisti dovrebbero "leggere" la vita della Chiesa:

"Gli eventi ecclesiali non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad un pubblico vasto e variegato”.

La Chiesa, ha detto ancora, pur essendo infatti "anche un'istituzione umana, storica con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio":

"Il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera".

Il Papa poi ha ringraziato di cuore i giornalisti che in questi giorni hanno saputo osservare e presentare gli eventi ecclesiali nella "prospettiva più giusta: quella della fede”. E non ha mancato, con la sua spontanea genuinità che ha già conquistato il mondo, di riconoscere il grande lavoro fatto dalla stampa durante questi giorni:

"Avete lavorato eh! Avete lavorato…”.

"La Chiesa esiste per comunicare la Verità, la Bontà e la Bellezza”, ha ancora affermato il Papa, aggiungendo che dovrebbe apparire chiaro che "siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade”: "Verità, bontà e bellezza”. Papa Francesco ha quindi ribadito che lo Spirito Santo è il vero protagonista della vita della Chiesa. E' lo Spirito Santo, ha affermato, che "ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa, Egli ha indirizzato nella preghiera e nell'elezione i cardinali". "Cristo è il centro – ha poi soggiunto, riecheggiando Papa Benedetto – non il Successore di Pietro”. Prima di salutare di persona alcuni operatori della comunicazione, ha impartito la sua benedizione, parlando per la prima volta in pubblico in spagnolo, la sua lingua madre, da quando è stato eletto alla Cattedra di Pietro:

"Muchos de ustedes no pertenece…
Molti di voi non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti. Di cuore impartisco questa benedizione, nel silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio. Che Dio vi benedica”.


16/03/2013 fonte Radio Vaticana

Cattolici cinesi: Papa Francesco dialoghi col governo cinese, ma senza compromessi

di Jian Mei
I "compromessi" con le autorità atee e comuniste rendono debole la Chiesa e creano "caos" fra i fedeli. I membri della Chiesa cinese devono abbandonare la politica e i posti di privilegio. Lo stile semplice del nuovo papa è una spinta al rinnovamento della formazione e della vita morale di sacerdoti e suore in Cina. "Noi siamo come un arto zoppo nel Corpo di Cristo". 


Pechino (AsiaNews) - I cattolici della Cina sperano che papa Francesco aiuterà a giungere alle relazioni fra Pechino e la Santa Sede, ma gli consigliano di non fare compromessi con le autorità comuniste. Ad ogni modo essi sperano che un giorno egli possa visitare la Cina, un desiderio che Benedetto XVI non ha potuto realizzare.

Sebbene in questi giorni media cinesi sono invasi dalle notizie sul cambiamento al vertice della leadership, i cattolici hanno potuto seguire con attenzione l'elezione del nuovo papa.

Sacerdoti e laici hanno detto ad AsiaNews che essi sperano che il papa sia limpido con la fede e sui principi della Chiesa cattolica.

Un sacerdote dell'Hebei - la regione a più alta concentrazione di cattolici - ha anche messo in guardia papa Francesco a non attuare compromessi con le autorità atee e comuniste, sperando che il nuovo papa prenda a cuore la situazione della Chiesa sotterranea, soprattutto sulla necessità di avere vescovi per le comunità clandestine.

Il sacerdote spera che il papa osservi con cautela il lavoro di quei rappresentanti della Santa Sede che tendono a "scendere a compromessi" con le autorità di Pechino perché tali compromessi aggravano le ferite dei cattolici e creano ancora più caos fra di loro.

Un altro sacerdote, dello Shanxi, afferma che la Chiesa cinese dovrebbe staccarsi dalla politica, anche rinunciando ai seggi nella Conferenza consultiva politica del popolo cinese e nell'Assemblea nazionale del popolo [1]. "Ora - nota il sacerdote - la Chiesa manca di vitalità e di vita spirituale e abbiamo bisogno di un rinnovamento spirituale".

Una suora che ha avuto la possibilità di studiare all'estero, è convinta che il nuovo papa aiuterà a migliorare i rapporti fra Cina e Vaticano e a sviluppare la vita della Chiesa in Cina. "Sulle nomine dei vescovi - ella dice - si può trovare una via migliore, senza giungere agli estremi. Anche i cattolici cinesi potrebbero avere più occasioni di collaborazione e scambio con la Chiesa e le organizzazioni di differenti nazioni. Per questo le comunità sotterranee e quelle ufficiali devono sempre più essere unite".

Papa Francesco è ben conosciuto per la sua semplicità e lo stile di vita povero. Per questo, alcuni cattolici sperano che la sua guida aiuterà tutta la Chiesa, compresa quella cinese, a non soccombere alla secolarizzazione e a rafforzare la loro vita spirituale.

"Tutto ciò migliorerà la formazione dei cattolici in Cina, dato che la vita morale di alcuni preti e suore è al momento molto povera. La semplicità di vita di papa Francesco influenzerà la Chiesa", ha detto una suora.

Una donna aggiunge: "Spero davvero che il Santo Padre si prenderà cura del suo piccolo gregge in Cina. Per ora siamo come un arto zoppo del Corpo di Cristo".

 

[1] Alcuni vescovi illeciti sono stati promossi a membri di questi due organismi politici, a cui sono collegati enormi "benefits", con un trattamento pari al livello di vice-ministro. Cfr.: Pechino, vescovi illeciti e scomunicati promossi a cariche politiche nel Parlamento e nella Conferenza consultiva .

16/03/2013 fonte Asia News

Crisi fra i patriarcati greco-ortodossi di Gerusalemme e Antiochia

di Fady Noun
Gerusalemme nomina l'archimandrita Makarios come Metropolita del Qatar. Ma l'area è sotto il patriarcato di Antiochia che ha già un vescovo in quella zona. Da Balamand (Libano) il Sinodo dei vescovi greco-ortodossi del patriarcato di Antiochia minaccia gravi azioni. Fra le ipotesi la rottura degli accordi di Ginevra che regolano i rapporti fra le Chiese ortodosse. 


Beirut (AsiaNews) - I rapporti fra i Patriarcati greco-ortodossi di Antiochia e Gerusalemme entrano in crisi, dopo l'ordinazione dell'archimandrita Makarios a Metropolita del Qatar. Egli fa parte del patriarcato di Gerusalemme, mentre il territorio del Golfo Persico è sotto quello di Antiochia.

A darne notizia è il Santo sinodo del patriarcato di Antiochia che si è riunito nel convento di Balamand (Libano) lo scorso 13 marzo e ha condannato in un comunicato la decisione del patriarcato di Gerusalemme. Nel testo i prelati minacciano di rompere la comunione, se non vi sarà un passo indietro sulla decisione. Nella dichiarazione, i prelati greco-ortodossi di Antiochia sottolineano di aver informato il Patriarcato ecumenico e tutte le Chiese ortodosse autocefale, sulla « decisione contraria alle leggi ecclesiastiche » attuata dal patriarcato di Gerusalemme. Inoltre il Sinodo sottolinea di essere venuto a conoscenza della mossa solo « attraverso ripetute pressioni ».

Un messaggio verbale e scritto sono stati inviati al patriarcato di Gerusalemme. Lo stesso Giovanni X Yazigi , patriarca di Antiochia dei Greco-ortodossi, ha affermato che incontrerà il suo omologo di Gerusalemme, Teofilo III, per esporre la controversia.  

Nel testo del comunicato di Balamand si legge che "Archimandrita Makarios era responsabile pastorale della Chiesa greco-ortodossa a Doha per i residenti di varie nazionalità, e lo ringraziamo per il suo lavoro. Tuttavia, quella era solo una sistemazione provvisoria che non dà al patriarcato di Gerusalemme il diritto di nominarlo archimandrita. "Questo  - aggiunge - è contrario alle leggi che regolano i rapporti tra i vari patriarcati. La Chiesa greco-ortodossa ha già un vescovo per il Golfo Persico ed il metropolita Costantino ».

Il comunicato sottolinea che l'ordinazione ad archimandrita di Makarios è avvenuta lo scorso 10 marzo, nonostante i ripetuti appelli del patriarcato di Antiochia. Esso proseguirà i suoi sforzi per porre rimedio a tale situazione, nella speranza di non dover ricorrere in futuro a misure estreme o di dover rivedere gli accordi di Ginevra che regolano i rapporti tra i vari patriarcati della diaspora ortodossa.

 

 16/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 15/03/2013 Santa Luisa Merillac vedova e religiosa


Si racconta che Napoleone, in un giorno di quiete, si trovò ad ascoltare un gruppo di persone qualificate culturalmente che cominciarono a discettare di filosofia, di politica, di scienza e con entusiasmo esaltavano l’Illuminismo che aveva prodotto nella società un sentimento filantropico. L’imperatore li ascoltava ma si mostrava sempre più impaziente e anche infastidito da tutte quelle parole.
Ad un certo punto li interruppe dicendo: "Tutto questo è bello e buono, ma non farà mai una Suora Grigia!”. Si chiamavano così le Figlie della Carità, fondate, nel 1633, da Vincenzo de’ Paoli e da Luisa de Marrillac, da più di un secolo già famosissime e stimatissime in Francia per la loro opera di carità verso i più bisognosi e per i poveri rottami della società, che pure si fregiava dell’appellativo di illuminista, cioè illuminata dal lume della ragione.
Una seconda curiosità. Verso la metà del 1600, quando ormai le Suore Grigie operavano già da qualche decennio, alleviando tante sofferenze e salvando tante vite umane, viveva a Parigi, nella quiete e nella sicurezza, il filosofo inglese Thomas Hobbes.
Di lui è rimasta la teorizzazione filosofica dell’assolutismo dello Stato (il Dio mortale sulla terra) nella sua opera Il Leviathan (1651). Tutto doveva essere sottomesso allo Stato (anche l’autorità religiosa). Uno Stato assoluto con poteri assoluti sui singoli individui era necessario per evitare che gli uomini si sbranassero a vicenda alla ricerca inevitabile dei propri diritti. Sua è la famosa frase: "Homo homini lupus”, l’uomo è un lupo per l’altro uomo, pronto, pur di affermare i propri diritti alla sopravvivenza, a sbranarlo.
Le Figlie della Carità o Suore Grigie, sapendo che lo Stato non è tutto, erano dei veri angeli, che alleviavano il dolore in ogni angolo dove l’autorità politica e civile non entrava o ne ignorava il bisogno. E in questa loro opera così importante e socialmente così utile e illuminata seguivano le orme e gli esempi dei loro fondatori: San Vincenzo de’ Paoli e Santa Luisa de Marillac. Due grandi figure che hanno illuminato con la loro santità operante socialmente quel secolo francese grande anche per altre figure come Pascal e Cartesio, Richielieu e Mazzarino, Moliere e Corneille, card. De Berulle e Jacques Bossuet, San Giovanni Eudes e altri.
Avendo già parlato nel mese di settembre 2007 di San Vincenzo de’ Paoli, ora tocca a Santa Luisa, che per più di trenta anni lavorò con lui con lo stesso obiettivo: mostrare il volto misericordioso e buono di Dio verso i bisognosi, specialmente quelli più abbandonati e soli, e in questo erano ambedue mossi dallo stesso e unico grande amore a Gesù Cristo.

Il matrimonio sbagliato e per interesse

Louise de Marillac nacque nel 1591. Non ebbe come si dice un’infanzia e un’adolescenza serena. Il padre apparteneva ad una delle più importanti famiglie della Francia. Della madre non si sa niente: era quindi una figlia naturale, riconosciuta premurosamente dal padre ed anche aiutata da lui con una rendita che le assicurasse una certa sicurezza. Era una bambina intelligente e saggia. I suoi primi studi furono fatti nel convento delle domenicane di Poissy. L’atmosfera raccolta, devota e culturalmente stimolante le piacque da subito. Ma, forse, la spesa era eccessiva per lei. Venne infatti ritirata e affidata ad una maestra abile anche nell’insegnarle i lavori tipici femminili.
Perdette il padre all’età di 11 anni, e, fatto che complicò ancora il suo stato di orfana, la famiglia della matrigna e gli altri parenti (sembra) non si preoccuparono eccessivamente di lei e del suo destino.
La ragazza cresceva molto devota e aveva fatto voto di consacrarsi al Signore: all’età di 18 anni Luisa si preparava quindi ad entrare in un convento. Fu però sconsigliata e respinta in questo suo proposito a causa della sua salute non robusta. Se non poteva diventare suora allora bisognava maritarla. E così fu. Ecco quindi un matrimonio non voluto da lei ma combinato da altri, quindi solo di interesse.
Era il 1613 e Luisa aveva 22 anni. Il nome del marito Antoine Le Gras, senza alcun titolo nobiliare. Nacque ben presto anche un figlio. Luisa conduceva una vita di devota nel bel mondo che la portava a frequentare prelati, signori dell’ambiente dei Marillac e di Madame Acarie, il tutto mentre si prendeva cura del figlio, debole di salute. Sembrava tutto facile. Ma Luisa cresceva negli scrupoli, nei rimorsi per non essere potuta entrare in convento sempre oppressa da quelli che lei credeva peccati. Era in crisi, insomma. Aveva una buona formazione intellettuale e spirituale, ed una vita cristiana buona. E purtroppo il matrimonio non era diventato un sostegno per lei ma fonte di difficoltà e di ansietà. Cercava quindi la salvezza nell’ascesi, nell’umiltà, nell’abnegazione. Spesso anche in maniera esagerata. E in più aveva sviluppato un attaccamento verso suo figlio che qualche autore chiama addirittura di natura nevrotica. Era un’anima in difficoltà spirituale, in grande pena e dalla psicologia ferita profondamente.
Ebbe anche la possibilità di incontrare addirittura due santi (e anche grandi): il vescovo di Ginevra, Francesco di Sales, e specialmente Vincenzo de’ Paoli. Avrà con quest’ultimo l’incontro decisivo e provvidenziale per la sua vita.
E veniamo all’anno 1623, anno importante per Luisa. Quello dell’illuminazione. Scrisse lei stessa: "Compresi che... sarebbe venuto un tempo in cui sarei stata nella condizione di fare i tre voti di povertà, castità e obbedienza, e questo assieme ad altre persone... Compresi che doveva essere in un luogo per soccorrere il prossimo, ma non riuscivo a capire come ciò si potesse fare, per il fatto che doveva esserci un andare e venire...”. Un segno dall’alto di avere un po’ di pazienza per coronare il suo sogno di diventare religiosa.
Luisa capì il messaggio e infatti cominciò ad aderire, con umiltà e serenità e nella pace interiore, alle circostanze della vita, che in quel momento significava stare a fianco del marito (dal quale pensava di separarsi). La malattia del marito intanto continuava e Luisa lo assistette con molta più dedizione e tenerezza di prima, per altri due anni, rimanendogli accanto fino alla morte santa (1626), della quale lei parlava come di una grande grazia del Signore.

L’incontro con Vincenzo de’ Paoli

Fu certamente la Provvidenza, che non lascia niente al caso per realizzare i propri progetti di salvezza, a far incontrare Luisa con Vincenzo (intravisto, senza capire di chi si trattasse, in quella famosa illuminazione del 1623).
Avvenne nel 1624, durante gli ultimi due anni della malattia del marito. Lei 33 anni, lui 43, famoso in tutta la Francia, che trattava con re, regine, ministri e grandi personaggi. Una coppia che avrebbe funzionato molto bene per il Regno di Dio e che sarebbe rimasta unita indissolubilmente e animata visibilmente dall’unico e indistruttibile e comune amore per il Signore Gesù.
Luisa sarebbe diventata la vera compagna di Vincenzo per le opere di carità sociale. Le fu vicino con molta discrezione, con molta saggezza e anche tenerezza spirituale, rasserenando il suo spirito col richiamo continuo all’amore di Dio per ciascuno di noi e quindi anche per lei (per farle vincere il suo moralismo, gli scrupoli e il ricordo dei propri errori). La invitava sempre ad esser lieta, semplice ed umile, le ricordava continuamente l’importanza della "santa indifferenza” davanti a quello che Dio avrebbe voluto per lei. Lei stessa avrebbe trovata la strada e la missione che Dio voleva. Un po’ di pazienza. Anche Dio ha i suoi tempi per agire e per far capire il suo progetto.
Il Cristo non era vissuto trent’anni nell’oscurità di Nazaret prima della missione? Anche Luisa poteva e doveva aspettare.
Intanto conosceva sempre di più l’opera e la metodologia di Vincenzo con i poveri. E il miracolo avvenne. Arrivò proprio il giorno in cui Luisa intuì il proprio compito o meglio la missione nella Chiesa.
Lei, Luisa de Marillac, di madre sconosciuta, orfana a 11 anni del padre, una suora mancata, una giovane donna maritata per interesse, madre di un figlio che dava e aveva problemi... sarebbe diventata la "Madre dei poveri”. Grazie a Dio (e a Vincenzo, mandato da Dio) una trasformazione totale. Naturalmente comunicò l’intuizione a Vincenzo. Era proprio quello che aspettava. Le rispose: "Sì che acconsento, mia cara damigella, acconsento sicuramente. Perché non dovrei volerlo io pure, se Nostro Signore vi ha dato questo santo sentimento?... Possiate essere sempre un bell’albero di vita che produce frutti d’amore!”. E così sarà veramente per Luisa, per tutta la vita e per tanti poveracci che incontrerà e aiuterà.
L’opera maggiore (che continua ancora oggi) che questa santa "coppia di Dio” ha fatto insieme è stata la fondazione delle Figlie della Carità, nel 1633. Un Istituto religioso, diretto da loro due insieme per 27 anni fino al 1660, quando morirono entrambi a poca distanza di mesi.
Fu una vera rivoluzione per la Chiesa (uscire fuori dai conventi e per di più donne), perché andava al di là dai soliti schemi mentali e gabbie organizzative ecclesiali vigenti fino a quel tempo. Vincenzo e Luisa a tutti chiedevano quello che potevano dare: ai re e regine, ai borghesi e alle dame dell’alta società francese, ai nobili ricchi e ai ricchi non nobili. Alle figlie chiedevano di essere "serve dei poveri”, come se essi fossero i veri padroni. Ma tutto questo Luisa lo chiedeva dicendo o scrivendo "In nome di Dio, sorelle... siate molto affabili e dolci con i vostri poveri. Sappiate che sono i nostri padroni...”. E questi poveri erano i derelitti, gli abbandonati, i senza dimora, i malati, i pazzi, i galeotti, bambini trovatelli, feriti di guerra e altre categorie affini a forte disagio sociale.
Era un’assistenza piena di amore e di carità, che nessuna ideologia o anche filosofia illuminista poteva inventare o giustificare ma solo l’amore di Dio. Ed era un lavoro che le Figlie della Carità, quelle suore grigie che Napoleone "sognava”, facevano, e sempre faranno, "in nome di Dio”.


Visita a sorpresa di Papa Francesco nella clinica Pio XI per salutare il cardinale Mejía



Visita a sorpresa, nel pomeriggio, di Papa Francesco nella clinica romana Pio XI. Il Santo Padre si è recato nella casa di cura per salutare il cardinale argentino Jorge Mejía, 90 anni, archivista e bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa, che nei giorni scorsi è stato colto da un malore. "Pregate anche voi per me - ha detto il Papa al personale della clinica - e grazie per il vostro lavoro con i malati e le persone che soffrono”. Grande sorpresa dei malati e dei visitatori nel vedere il nuovo Pontefice, applaudito a lungo dai presenti. Amedeo Lomonaco ha intervistato suor Clotilde, dell’ordine di San Giuseppe di Gerona, che ha accompagnato Papa Francesco durante la visita nella clinica:   

R. - Al suo arrivo, il Papa è stato ricevuto da me e dal medico curante. Poi si è recato a far visita al cardinale Jorge Mejía che è ricoverato qui nella clinica Pio XI. Il Papa si è trattenuto per un po’, ha benedetto i malati che stavano con lui. Ho chiesto se poteva recarsi nella Chiesa e qui ha salutato la nostra comunità e abbiamo pregato insieme. Poi le voci corrono e come il personale della clinica e i medici hanno saputo della sua visita, si sono avvicinati al Papa che li ha benedetti. È stata una cosa molto semplice ma molto emozionante. Questo glielo posso assicurare!

D. - Il Santo Padre, ha rivolto delle parole ai malati, ai presenti?

R. - Ha parlato in privato con il cardinale Jorge Mejía. Poi ha benedetto gli altri malati. Io non sono entrata, perché non sono addetta al reparto, però sicuramente avrà scambiato con loro qualche parola. So che ha benedetto ed ha parlato – così mi è stato riferito – anche ai malati che stavano in terapia intensiva. È stata una cosa talmente emozionante che non ci sono parole.

D. - Immagino la sua emozione nell’accompagnare il Santo Padre…

R. - Sono ancora emozionata! 

D. - Cosa ha pensato in quei momenti?

R. - Che questa è una grazia di Dio. Lui è un dono di Dio per la Chiesa. L’Istituto di San Giuseppe Pio XI ha avuto questo gran dono nel riceverlo proprio nei primi giorni del suo Pontificato.

D. - Papa Francesco. Già nel nome c’è il richiamo alla carità e alla vicinanza con i poveri…

R. - Una persona molto semplice, non ti dà il senso di lontananza; attira solo nel modo con il quale si presenta. Uno si sente come se lo dovesse abbracciare! Ringrazio il Santo Padre di questa sua visita nella nostra struttura. Gli auguro tante benedizioni di Dio per il suo Pontificato!


15/03/2013 fonte Radio  Vaticana

Giovani in festa e preghiera in Piazza San Pietro per Papa Francesco



Un momento di festa per rispondere all’invito di Papa Francesco a pregare per lui. E’ stato quello organizzato questo pomeriggio dai Papa Boys e da altre associazioni giovanili cattoliche in piazza San Pietro: prima la recita del Rosario, poi la processione per via della Conciliazione ed infine l’adorazione eucaristica e la Messa presso il Centro Internazionale San Lorenzo . L’iniziativa dal titolo "Viva il Papa” ha coinvolto anche numerosi turisti. Il servizio è di Paolo Ondarza:   

Hanno pregato per Benedetto XVI dopo la rinuncia, poi durante la Sede Vacante; sfidando la pioggia hanno vegliato in attesa della fumata bianca, esultato al primo saluto del nuovo Pontefice. Due giorni dopo, a conclusione di un mese di adorazione eucaristica, i giovani sono tornati in piazza per festeggiare e sostenere Papa Francesco con la loro preghiera. 

(Voci di giovani in preghiera)

Un rosario recitato nelle diverse lingue, seguito da una processione con la croce dei giovani portata a spalla da ragazzi di 15 paesi del mondo. Con loro mons. Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare dell’Aquila:


In questo mese abbiamo avuto l’ennesima conferma che lo Spirito Santo lascia a noi uomini di batterci, ma poi è Lui che guida la storia. E questo sta a significare che la Chiesa è viva, e i giovani sono la speranza di questa Chiesa.

Ecco come i giovani salutano Papa Francesco: 

Vogliamo subito far sentire a Papa Francesco la vicinanza dei giovani ed è bene che se ne accorga subito.

Quando è stato eletto io seguivo l’evento in streaming il Conclave durante la lezione di diritto pubblico! Sui social network da Facebook a Twitter, tutti i giovani sono stati colpiti da questa figura. Siamo tutti molto felici.

Sono stati dei giorni terribili! Giorni di attesa veramente straziante, fino alla fumata che ci ha riempito il cuore. Lo abbiamo amato subito, fin dalla fumata e poi quando si è affacciato con un tenerissimo "Buonasera a tutti”!

D. – Vuoi augurare qualcosa a Papa Francesco?

Che continui a pescare uomini come ha fatto in questi due giorni.

E loro, i giovani, continueranno ad accompagnarlo con l’entusiasmo e la preghiera.


15/03/2013 fonte Radio Vaticana

Siria, due anni di conflitto. Mons. Zenari: Papa Francesco segno di speranza per noi



La notizia dell’elezione di Papa Francesco è stata vissuta con gioia anche dalla comunità cristiana della Siria; un Paese devastato dalla guerra civile, di cui ricorre proprio oggi il secondo anniversario dal suo inizio. Salvatore Sabatino ha intervistato il Nunzio Apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari: 

R. – La notizia è stata accolta con grande emozione. Come si sa, purtroppo, qui il clima che stiamo vivendo in questi giorni, in cui si ricordano i due anni dall’inizio di questo conflitto, è piuttosto pesante. Questa notizia, questo evento così eccezionale, cui molti hanno assistito – fedeli e gente di qualunque credo – alla televisione, è stato un po’ una boccata di ossigeno, che ha squarciato questo grigiore che domina, anche se c’è una bella primavera. Purtroppo, è una primavera ancora molto, molto grigia, molto triste.

D. – Voi state vivendo la terza Quaresima insanguinata dalla guerra civile. Quanto questo Papa venuto da lontano, dall’Argentina, aiuta la comunità cristiana a vivere questo tempo di preghiera con maggiore e rinnovata speranza?

R. – Già il nome ha suscitato entusiasmo e anche speranza, perché la gente subito associa San Francesco al messaggero della pace. E anche i frati di San Francesco, che sono qui da secoli, sono conosciuti. Vorrei dire che l’elezione del Papa è un evento che ha interessato non solo i cattolici, i cristiani, ma ha interessato tutti, appartenenti a qualunque credo. In fondo, è il Papa di tutti e, soprattutto, avendo vissuto ormai da qualche tempo da queste parti, ho potuto sperimentare come il Papa sia molto apprezzato da tutti, anche dai musulmani. Hanno grande stima, perché il Papa è un punto di riferimento dei valori spirituali e della fratellanza universale. 

D. – Fratellanza universale che emerge anche dalla nazionalità di questo Pontefice, creando una specie di ponte tra Roma e l’America Latina…

R. – Vorrei anche sottolineare il fatto che quando era arcivescovo di Buenos Aires era anche ordinario per i fedeli di rito orientale, che non avevano un proprio ordinario. Lui, quindi, ha già un legame con i fedeli di rito orientale. E’, già dentro, dunque, pastoralmente, la vita di queste comunità cristiane, che vivono qui e vivono in diaspora in Argentina.

D. – Ricordava lei, mons. Zenari, che ricorre il secondo anniversario dall’inizio della guerra e la situazione purtroppo è sempre più drammatica. Qual è la sua testimonianza?

R. – Noi abbiamo assistito due giorni fa all’elezione: sentivamo le campane di San Pietro che suonavano e qui attorno a noi, purtroppo, c’erano i rimbombi dei cannoni, delle esplosioni. Anche in questo momento in cui sto parlando, forse potete sentire ancora questi rimbombi. E’ una cosa molto, molto penosa e molto triste. Nel mio messaggio, che ho inviato subito come rappresentante pontificio al Santo Padre, di vivissime e gioiose felicitazioni, purtroppo ho dovuto poi mettere anche un accenno alla situazione che tanta gente sta vivendo qui. C’è un certo dispiacere, perché vedendolo sorridente, vedendolo disteso, mi rendo conto di essere uno dei rappresentanti pontifici che per primo forse sta mettendogli sulla scrivania dei grossi problemi: la sofferenza della gente siriana. Questo, però, ci dà un po’ di coraggio e di sostegno, perché mettendo questi problemi, queste sofferenze di tutti i siriani sotto i suoi occhi, sappiamo che non rimarranno lì sulla scrivania, ma gli entreranno nel cuore. Una volta entrate, queste sofferenze, nel cuore di Papa Francesco, con la sua preghiera e con tutto quello che potrà fare sarà un sostegno per la gente di qui, cristiani e non cristiani, di qualunque fede.


15703/2013 fonte Radio Vaticana

Padre Lombardi: Papa sereno, campagne calunniose di stampo anticlericale




Accompagniamo il nuovo pontificato nei suoi primi passi, con gioia ed entusiasmo. Lo ha detto padre Federico Lombardi nel briefing con i giornalisti nel Media Center in Vaticano. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha poi denunciato con forza la campagna calunniosa di organi anticlericali che voglione legare il nome del Papa alla passata dittatura argentina. Massimiliano Menichetti:

Un Papa umile, semplice e spontaneo, vicino alla gente, che sta bene, molto consapevole e sereno. E’ l’immagine che padre Lombardi ha presentato ai giornalisti, aprendo anche uno spiraglio su come si svolgono queste prime giornate di Papa Francesco, all’interno del Vaticano:

"A cena o per il pranzo, di solito giunge che i cardinali sono già arrivati… allora va a trovare un posto che sia libero: non ne ha uno particolare per lui e va a mettersi a un tavolo dove trova una sedia libera, dove ancora può inserirsi. Con molta naturalezza. Questa mattina ha celebrato la Messa alla 7.00 nella Cappella di Santa Marta e molti cardinali hanno desiderato concelebrare con lui. Quindi c’è stata una concelebrazione nella cappella questa mattina alle 7.00 e il Papa ha fatto una piccola omelia, spontaneamente, sul Vangelo e sulle Letture della Messa”.

Padre Lombardi ha anche ricordato la grande commozione che, ieri mattina, ha accompagnato il Santo Padre quando si è recato alla Casa del Clero, dopo la preghiera a Santa Maria Maggiore:

"Il suo passaggio ieri è stato veramente molto commovente, perché si vedeva che conosceva personalmente e bene tutti i dipendenti, chiedeva loro notizie della loro figlioletta o della moglie… Tutti piangevano di commozione. Quindi un’esperienza di una persona molto vicina alla gente, agli impiegati e ai lavoratori delle case”.

Confermata la notizia, diffusa oggi a mezzo stampa, che il Papa la sera dell’elezione ha telefonato al nunzio in Argentina, mons. Emil Paul Tscherrig. Ha chiesto a tutti coloro che hanno manifestato l’intenzione di venire per la Messa d’inizio Pontificato a Roma, di devolvere le somme, necessarie per il viaggio, ai bisognosi. Il direttore della Sala Stampa ha anche parlato di un clima di "grande gioia” e "rinnovamento spirituale” in Argentina:

"Un’altra cosa che mi ha detto il nunzio questa mattina è che si respira in Buenos Aires e in Argentina una grande atmosfera di gioia e anche di vivacità, di preghiera. Molta gente sta andando in chiesa e che nella parrocchia dove lui dice la Messa normalmente, il parroco gli ha riferito che ha passato tutto il giorno a confessare. E che ci sono molti che non si confessavano da 15 o 20 anni, che invece si sono riconciliati nella grande gioia di questa esperienza di grazia per la Chiesa nel Paese. Quindi un momento molto bello di gioia, di vitalità e spiritualità della Chiesa”.

Quindi una puntualizzazione "necessaria” sulle accuse, che sono state sollevate in passato, sul legame tra l’allora padre Bergoglio e la dittatura argentina. "Nessun legame” ha specificato padre Lombardi citando anche le dichiarazioni, del pacifista argentino Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel per la Pace proprio per le sue denunce contro il regime. In tal senso, il portavoce vaticano ha poi portato la testimonianza di un padre gesuita, padre Franz Jalics, uno dei due sacerdoti sopravvissuti e perseguitati dalla dittatura argentina, all'epoca in cui Papa Francesco era Provinciale. Padre Lombardi ha quindi letto una sua dichiarazione:

"La campagna contro Bergoglio è ben nota e risale già a diversi anni fa. E’ portata avanti da una pubblicazione caratterizzata da campagne a volte calunniose e diffamatorie. La matrice anticlericale di questa campagna e di altre accuse contro Bergoglio è nota ed evidente. L’accusa si riferisce al tempo in cui Bergoglio non era ancora vescovo, ma superiore dei Gesuiti in Argentina, e a due sacerdoti che sono stati rapiti e che lui non avrebbe protetto. - questa era l’accusa - Non vi è mai stata un’accusa concreta credibile nei suoi confronti. La Giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla. Egli ha negato in modo documentato le accuse. Vi sono invece moltissime dichiarazioni che dimostrano quanto Bergoglio fece per proteggere molte persone nel tempo della dittatura militare. E’ noto il ruolo di Bergoglio – una volta diventato vescovo - nel promuovere la richiesta di perdono della Chiesa in Argentina per non aver fatto abbastanza nel tempo della dittatura. Le accuse appartengono quindi all’uso di analisi storico-sociologiche del periodo dittatoriale fatte da anni da elementi della sinistra anticlericale per attaccare la Chiesa e devono essere respinte con decisione".

Padre Lombardi ha poi ricordato l’udienza di domani, in Aula Paolo VI, per gli operatori delle comunicazioni sociali, e l’Angelus di domenica alle 12.00, in Piazza San Pietro. Poi per quanto riguarda la Messa d’inizio Pontificato, martedì prossimo, ha precisato "che tutti sono i benvenuti” e che "la Santa Sede non fa mai degli inviti specifici", neanche a livello diplomatico:

"Non c’è mai un invito diretto a nessun capo di Stato o di governo di venire. Anche quando vengono a trovare il Papa durante il Pontificato, normalmente i capi di Stato o di governo non sono mai stati invitati: sono loro che hanno manifestato il desiderio di vedere il Santo Padre, di partecipare ad un avvenimento. Tutti quelli che manifestano questo desiderio sono benvenuti".

Padre Lombardi ha anche detto che in questi giorni stanno arrivando moltissimi messaggi di auguri, da tutto il mondo:

"Un messaggio che è stato molto apprezzato è quello da parte del Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma, il dottor Riccardo Di Segni, a cui il Papa ha anche mandato un suo messaggio di amicizia e di vicinanza, informandolo anche della prossima inaugurazione del Pontificato. E’ noto il buon rapporto che anche Bergoglio cardinale aveva, in Argentina, con le comunità ebraiche e anche con altre comunità religiose, con i musulmani e così via. Ecco, quindi continuiamo nella stessa direzione".

Probabilmente la presa di possesso di San Giovanni in Laterano avverrà dopo Pasqua, ha detto padre Lombardi, e questo potrebbe comportare che la Messa in Coena Domini, il Giovedì Santo, avvenga in San Pietro.

Rispondendo ai giornalisti ha anche spiegato che Benedetto XVI, non parteciperà alla Messa d'inizio Pontificato e potrebbe lasciare Castel Gandolfo a maggio per trasferirsi, in Vaticano, nel monastero di clausura tutt’ora in fase di ristrutturazione.



15/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 13/03/2013 san Leandro di Siviglia vescovo



E’ di antica e influente famiglia romana di Cartagena (più tardi trasferita a Siviglia). Suo padre, Saveriano, muore ancora giovane e tocca a lui aiutare i fratelli minori Isidoro, Fulgenzio e Fiorentina. Tutti e quattro, poi, sceglieranno lo stato religioso, e Isidoro sarà famosissimo in tutto il Medioevo per la sua grande opera enciclopedica intitolata Etimologie. 
Questo è il tempo dei Visigoti. Entrati in Spagna dalla Gallia nel 415 col consenso di Roma, dopo il crollo dell’Impero d’Occidente hanno combattuto a lungo contro resistenze locali, insediamenti di altri popoli nordici, contro spedizioni bizantine, arrivando poi a unificare sotto il loro dominio la maggior parte del territorio, Portogallo incluso, al tempo del re Leovigildo (morto nel 586). Il suo regno è grande, ma diviso tra spagnoli cattolici e visigoti (con altri gruppi) ariani, cioè contrari come Ario alla dottrina della perfetta uguaglianza del Cristo con il Padre in divinità ed eternità. Leovigildo vuole arrivare all’unità religiosa, che per lui significa "tutti ariani”, tutti cioè a dire "Gloria Patri per Filium in Spiritu Sancto", invece del "Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto" dei cattolici. 
Il monaco Leandro vuole invece convertire gli ariani, con gli scritti e con la predicazione, e ottiene un successo risonante quando si fa cattolico addirittura Ermenegildo, figlio del re. Ma questa conversione ha poi un sanguinoso risvolto politico-familiare: Ermenegildo capeggia una ribellione contro suo padre, che lo sconfigge e lo fa uccidere. Ed espelle poi dalla Spagna i suoi sostenitori, tra cui Leandro, che resterà per qualche tempo a Costantinopoli. Quel soggiorno gli consentirà tuttavia di stringere amicizia con il futuro papa Gregorio Magno, allora inviato pontificio in Oriente, al quale suggerirà di scrivere le famose omelie su Giobbe, Moralia in Job. 
L’esilio non dura molto. Attento alla pace interna, re Leovigildo richiama in patria tutti gli espulsi. Compreso Leandro, del quale deve avere grande stima, perché lo nomina vescovo di Siviglia e addirittura lo mette come consigliere accanto al proprio figlio Recaredo. Morto Leovigildo, Recaredo sale al trono, e incomincia in Spagna una fase nuova. Nel 589 Leandro convoca il III Concilio di Toledo, e qui si sanziona ufficialmente il passaggio di re Recaredo al cattolicesimo; e il fatto imprime una decisiva accelerazione al processo di unità spirituale in Spagna, favorito anche dalla liturgia detta mozarabica o visigotica, di cui proprio il vescovo Leandro (seguíto poi dal fratello Isidoro) è promotore e maestro, componendo anche preghiere cantate per la Messa. Egli manterrà inoltre fino alla morte un’importante corrispondenza con papa Gregorio Magno, della quale parlano i contemporanei, ma che purtroppo è andata quasi tutta perduta.

Il gesuita Jorge Mario Bergoglio è Papa Francesco: preghiamo perché nel mondo ci sia una grande fratellanza




Il 266.mo Vicario di Cristo è il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, finora arcivescovo di Buenos Aires, 76 anni. Ad annunciarlo il cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro. Il nuovo Pontefice ha scelto il nome di Francesco: è la prima volta nella storia bimillenaria della Chiesa che un Papa assume questo nuovo. E' il primo gesuita eletto Papa. Alle 19.06 la fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina dove più volte si era appollaiato un gabbiano. Il nuovo Papa è stato eletto al quinto scrutinio: i cardinali hanno raggiunto la maggioranza dei due terzi necessari per l'elezione. Le campane di San Pietro hanno suonato a festa nel tripudio degli oltre 100mila fedeli radunati in piazza. Queste le prime parole rivolte da Papa Francesco ai fedeli:

"Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca".

Il Papa ha poi recitato il Padre Nostro, l'Ave Maria e il Gloria al Padre con i fedeli presenti in Piazza San Pietro. Poi ha proseguito:

"E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me".

Papa Francesco ha quindi dato la sua benedizione Urbi et Orbi a tutti i fedeli presenti. poi ha concluso:

"Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!".


13/03/2013 fonte Radio Vaticana

Per la prima volta un gesuita sul Soglio di Pietro: la biografia del nuovo Papa




Il nuovo Pontefice Jorge Mario Bergoglio, gesuita argentino, finora arcivescovo di Buenos Aires, Ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Argentina e sprovvisti di Ordinario del proprio rito, è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, da una famiglia di origine piemontese, Mario, impiegato ferroviere e Regina Sivori, casalinga, genitori di cinque figli. Ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. L'11 marzo 1958 è passato al noviziato della Compagnia di Gesù, ha compiuto studi umanistici in Cile e nel 1963, di ritorno a Buenos Aires, ha conseguito la laurea in filosofia presso la Facoltà di Filosofia del collegio massimo «San José» di San Miguel.

Fra il 1964 e il 1965 è stato professore di letteratura e di psicologia nel collegio dell'Immacolata di Santa Fe e nel 1966 ha insegnato le stesse materie nel collegio del Salvatore di Buenos Aires.Dal 1967 al 1970 ha studiato teologia presso la Facoltà di Teologia del collegio massimo «San José», di San Miguel, dove ha conseguito la laurea. Il 13 dicembre 1969 è stato ordinato sacerdote. Nel 1970-71 ha compiuto il terzo probandato ad Alcalá de Henares (Spagna) e il 22 aprile 1973 ha fatto la sua professione perpetua.

È stato maestro di novizi a Villa Barilari, San Miguel (1972-1973), professore presso la Facoltà di Teologia, Consultore della Provincia e Rettore del collegio massimo. Il 31 luglio 1973 è stato eletto Provinciale dell'Argentina, incarico che ha esercitato per sei anni. Fra il 1980 e il 1986 è stato rettore del collegio massimo e delle Facoltà di Filosofia e Teologia della stessa Casa e parroco della parrocchia del Patriarca San José, nella Diocesi di San Miguel. Nel marzo 1986 si è recato in Germania per ultimare la sua tesi dottorale; quindi i superiori lo hanno destinato al collegio del Salvatore, da dove è passato alla chiesa della Compagnia nella città di Cordoba come direttore spirituale e confessore.

Il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo ha nominato Vescovo titolare di Auca e Ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno dello stesso anno ha ricevuto nella cattedrale di Buenos Aires l'ordinazione episcopale dalle mani del Cardinale Antonio Quarracino, del Nunzio Apostolico Monsignor Ubaldo Calabresi e del Vescovo di Mercedes-Luján, Monsignor Emilio Ogñénovich.

Il 3 giugno 1997 è stato nominato Arcivescovo Coadiutore di Buenos Aires e il 28 febbraio 1998 Arcivescovo di Buenos Aires per successione, alla morte del Cardinale Quarracino. Diventa così Primate d'Argentina. Dal 6 novembre dello stesso anno è anche ordinario per i fedeli di rito orientale in Argentina che non possono contare su un Ordinario del loro rito. 

Da Giovanni Paolo II creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001, del Titolo di San Roberto Bellarmino. 

Da Cardinale è stato Relatore Generale aggiunto alla 10ª Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2001). Ha partecipato nel Conclave del 18 e 19 aprile del 2005. Ha partecipato ed è membro del Consiglio post sinodale dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dal 2 al 23 ottobre del 2005.



13/03/2013 fonte Radio vaticana

Commento biblico di padre Koprowski




Sull’elezione del nuovo Papa, ecco un commento biblico del direttore dei Programmi della Radio Vaticana, padre Andrea Koprowski:

Comincia dal Sinodo di Gerusalemme riferito dagli Atti degli Apostoli:15, 14-17: Giacomo prese la parola e disse: "Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin dal principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. Con questo si accordano le parole dei profeti. Come sta scritto: Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide; ne riedificherò le rovine e le rialzerò, perché cerchino il Signore anche gli altri uomini e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa queste cose, note per sempre”.

Il Vangelo di Luca racconta: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22.24-27): questo fa comprendere il significato biblico dell’elezione di un Papa da parte del Collegio Cardinalizio. La Chiesa non può essere in Cristo senza Pietro, sua roccia e capo, ma anche Pietro non è mai un leader solitario al vertice di una piramide; egli è "il primo” e la testa degli Undici e "degli altri che sono con loro” (Lc 24,33); egli è il centro di una "comunione” di uomini, organicamente orientata unicamente alla sequela dell’unico "Arci-Pastore” (1Pt 5,4), il pastore di tutti i pastori del popolo di Dio. Di questo Arci-Pastore egli è "il sacramento visibile” in ogni momento della storia, e dunque temporaneo. Per questo, Pietro si definisce sempre con "gli altri” e gli altri intorno a Pietro. 


13/03/2013 fonte Radio Vaticana

Il mondo dell'informazione alla ricerca di notizie sul Conclave
 
      



Il mondo dell'informazione in queste ore concentra la propria attenzione sul Conclave. Le due fumate nere, ieri sera e stamattina, sono state annunciate in tutto il mondo in tempo reale, mentre la stampa continua a dedicare intere pagine all’elezione del Pontefice, proponendo in alcuni casi aspre divisioni tra i cardinali durante le votazioni in Cappella Sistina. Il servizio di Salvatore Sabatino: 

Battaglia, guerra, lotte intestine, contrapposizioni. Parole che si moltiplicano sui media, disegnando scenari bellici. Eppure si parla del Conclave, che su tanti giornali italiani oggi è diventato un campo di battaglia: tutto questo nonostante dal Collegio cardinalizio siano più volte giunti, durante le Congregazioni, segnali di comunione e unità. Ma perché questa necessità di proporre ai lettori uno scenario di tensione all’interno del Conclave? Gianguido Vecchi, vaticanista del Corriere della Sera: 

R. – Credo sia la tendenza diffusa a cercare di "leggere" la Chiesa secondo le categorie che in genere si usano per la politica. Poiché per la politica è abituale ricorrere a metafore belliche, lo stesso viene fatto per il Conclave ed è una cosa che – tra l’altro – porta a non capire cosa stia accadendo: il Conclave ha una certa familiarità con le dinamiche della Chiesa e obbedisce ad altre regole, è sfuggente rispetto alle categorie politiche.

D. – C’è anche, abbiamo visto, una sorta di "ossessione” per i possibili "papabili”: intere pagine dedicate quotidianamente a questo o a quel cardinale, questa volta più che in altre occasioni…

R. – Il "borsino” dei "papabili” che sale e che scende talvolta fa sorridere. Si può fare in maniera più seria, individuando le persone che si ritiene possano essere quelle tra le quali verrà fatta la scelta. Da questo punto di vista, credo sia inevitabile e anche giusto interrogarsi su chi potrebbe essere, anche perché i giornali, nel frattempo, qualcosa dovranno pur scrivere…

Di certo l’elezione del Papa diventa l’evento mediatico per eccellenza: lo dimostrano i quasi 6.000 giornalisti presenti a Roma per seguire il Conclave. Un esercito, e questa volta la metafora bellica è più accettabile, che riesce a diffondere in pochi istanti ogni notizia. E’ il caso della seconda fumata nera, alle 11.38; in due secondi diventa la breaking news su tutti i siti Internet del mondo: dalla Bbc all’Abc, dalla Cnn ad Al Jazeera. Notizie che si moltiplicano, poi, anche sulla rete. Questo conclave, infatti, è il primo che si svolge in epoca di social network. Quanto cambia, questo, il modo di fare comunicazione? Salvatore Mazza, vaticanista del quotidiano "Avvenire:

R. – Twitter, Facebook, la Rete sono stati estremamente attivi nel seguire questa fase, dall’annuncio della rinuncia di Papa Benedetto fino ad oggi, e continuano ad esserlo. Ci sono molte cose istituzionali, cioè di giornalisti o di giornali che rilanciano articoli, ma c’è anche un grande movimento di singoli che si cimentano in questo tipo di informazione istantanea. La cosa interessante da notare, è quello che perlomeno posso notare tra i contatti che ho io su questi mezzi, è che c’è molta più avvedutezza e accortezza su ciò che riguarda il Conclave tra la gente comune che tra gli addetti ai lavori. Anche questa sorta di martellamento sul fatto che si giochi sulle contrapposizioni tra questo e quello, risulta un po’ più attenuato, perché qua e là – ma non in maniera sporadica: in maniera sistematica – si possono leggere risposte, suggestioni che veramente vanno al cuore del Conclave, vanno al cuore del momento che la Chiesa sta vivendo. E questa credo sia una cosa molto interessante.

13/03/2013 fonte Radio Vaticana




IL SANTO DEL GIORNO 12/03/2013 San Luigi Orione sacerdote e fondatore



Un santo dei nostri tempi, di lui esiste una vastissima bibliografia e periodicamente escono pubblicati stampati, riviste, quaderni di spiritualità, libri che lo riguardano, lo analizzano in tutti i suoi aspetti, parlano della sua opera, davvero grande. 
Luigi Giovanni Orione nacque a Pontecurone nella diocesi di Tortona il 23 giugno 1872 da onesti e semplici genitori, in particolare la madre fu una saggia educatrice e gli fu di valido aiuto nelle sue future attività con i ragazzi. 
Lavorò nei campi nella sua fanciullezza, frequentando un po’ di scuola e dedito alle pratiche religiose. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera, purtroppo a causa di una grave polmonite, dovette ritornarsene in famiglia. 
Ristabilitasi, aiutò il padre nella selciatura delle strade, esperienza che gli risulterà molto utile per comprendere le sofferenze e la mentalità degli operai. Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da s. Giovanni Bosco, ove rimarrà per tre anni, l’insegnamento ricevuto e l’esperienza vissuta con il santo innovatore, non si cancellò più dal suo animo, costituendo una direttiva essenziale per le sue future attività in campo giovanile. 
Inaspettatamente lasciò i salesiani e nel 1889 entrò nel seminario di Tortona per studiare filosofia per due anni, al termine del corso, proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stanzetta sopra il duomo, nel quale prestava servizio per le Messe; riceveva anche un piccolo compenso per le sue necessità. 
Nel duomo ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo, conscio dell’importanza dell’iniziativa, gli concesse l’uso del giardino del vescovado. 
Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a s. Luigi; l’anno successivo riuscì ad aprire un collegio detto di s. Bernardino, subito frequentato da un centinaio di ragazzi. 
Il 13 aprile 1895, venne ordinato sacerdote, celebrando la prima Messa fra i suoi ragazzi, che nel frattempo si erano trasferiti nell’ex convento di S. Chiara. 
Attorno a lui si riunirono altri sacerdoti e chierici, formando il primo nucleo della futura congregazione; si impegnò con tutte le sue forze in molteplici attività: visite ai poveri ed ammalati, lotta contro la Massoneria, diffusione della buona stampa, frequenti predicazioni, cura dei ragazzi. 
Si precipitò a soccorrere le popolazioni colpite dal terremoto del 1908 a Messina e Reggio Calabria, inviando nelle sue Case molti orfani, divenne il centro degli aiuti sia civili che pontifici. Papa Pio X gli diede l’incarico, che durò tre anni, di vicario generale della diocesi di Messina. 
Stessa operosità dimostrò negli aiuti ai terremotati della Marsica nel 1915, accogliendo altri orfani, a cui diede come a tutti, il vivere, l’istruzione, il lavoro. 
Se s. Giovanni Bosco fu l’esempio per l’educazione dei ragazzi, san Luigi Orione fu l’esempio per le opere di carità; girò varie volte l’Italia per raccogliere vocazioni e aiuti materiali per la sue molteplici Opere. Per curare tante attività, fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; dal lato spirituale e contemplativo, fondò gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine, a queste due Istituzioni ammise anche i non vedenti. 
Ancora lo spirito missionario lo spinse a mandare i suoi figli e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914; ben due volte per sostenere le sue opere, si recò egli stesso nel 1921 e nel 1934 a Buenos Aires, dove restò per tre anni organizzando scuole, colonie agricole, parrocchie, orfanotrofi, case di carità dette "Piccolo Cottolengo”. 
Sempre in movimento conduceva una vita penitente e poverissima, sebbene cagionevole di salute, organizzò missioni popolari, presepi viventi, processioni e pellegrinaggi, con l’intento che la fede deve permeare tutte le fasi della vita. 
Gli ultimi tre anni della sua vita li trascorse sempre a Tortona, facendo visita settimanale al ‘Piccolo Cottolengo’ di Milano ed a quello di Genova; cedendo alle pressioni dei medici e dei confratelli, si concesse qualche giorno di riposo a Sanremo nella villa di S. Clotilde, dove morì dopo pochi giorni, il 12 marzo 1940. 
I funerali furono solennissimi e ricevé l’omaggio di tutte le città del Nord Italia da dove passò il corteo funebre; venne tumulato nella cripta del Santuario della Madonna della Guardia di Tortona, da lui fatto edificare. Venticinque anni dopo nel 1965, fu fatta la ricognizione della salma che fu trovata completamente intatta e di nuovo tumulata. 
In queste brevi note biografiche, non si riesce a descrivere l’importanza che l’Opera sociale e spirituale di don Orione, come da sempre è chiamato così, ha avuto nel contesto umano, prima con le conseguenze di disastri naturali e poi con i disastri provocati dalla follia umana delle due Guerre Mondiali. 
Personaggi di ogni ceto sociale e culturale lo conobbero e contattarono, dai papi s. Pio X e Benedetto XV al maestro Lorenzo Perosi, dalle autorità politiche nazionali e locali, ai santi del suo tempo. Il fondatore della ‘Piccola Opera della Divina Provvidenza’ è stato beatificato il 26 ottobre 1980 da papa Giovanni Paolo II, in un tripudio di tanti suoi figli ed assistiti provenienti da tanta Nazioni.
E' stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004, data di culto in cui lo ricorda ogni anno la Congregazione da lui fondata.


La prima fumata è nera: piazza San Pietro gremita di persone in attesa



Potrebbe essere domani la giornata dell’elezione del 266.mo Pontefice che il mondo attende. Stasera infatti alle 19 e 41 la fumata dal comignolo sopra la Cappella Sistina, è stata nera, segno dunque che tra i 115 cardinali elettori riuniti non c’è stato l’accordo dei due terzi necessari per la scelta del Successore di Pietro. Una piazza San Pietro gremita di fedeli, giunti da tutto il mondo, ha atteso sin dal primo pomeriggio: ora le speranze sono per domani. Al momento della fumata nera eravamo in onda con la nostra edizione delle 19.30 e per noi in piazza c’era Fabio Colagrande. Riviviamo quei momenti:   
D. – Qui la folla, riunita in Piazza San Pietro, ha emesso un grido di stupore perché con anticipo rispetto a quanto era stato previsto, il comignolo della Sistina ha incominciato a fumare, e in maniera chiara ha incominciato a fumare con un colore nero. Dunque, è il segnale che il primo scrutinio si è svolto e, come era altamente probabile, è stato uno scrutinio nullo: nessuno dei porporati che hanno ricevuto un voto ha raggiunto i 77 voti necessari per essere eletto Sommo Pontefice. Subito un commento in diretta di Loredana Corrao, portavoce dei Papaboys, uno dei tanti gruppi presenti in Piazza San Pietro, Piazza San Pietro che si sta già svuotando. Un commento velocissimo, signora Corrao:

R. – Stiamo semplicemente aspettando; continuiamo a pregare al Centro internazionale San Lorenzo 24 ore su 24 per sostenere tutti i cardinali, in questo momento importante per tutto il mondo.

D. – Vi aspettavate la fumata nera, questa sera?

R. – Assolutamente sì!


Domani mattina, alle 9.15 verrà celebrata la Messa nella cappella Paolina poi i cardinali si sposteranno per la recita dell’Ora Media nella Sistina dando avvio subito dopo ai nuovi scrutini. L’esito entro le 12.30. Oggi le televisioni di tutto il mondo hanno seguito la processione e il giuramento dei porporati sotto la volta michelangiolesca, l’ultimo atto prima dell’"Extra Omnes”. Ricostruiamo questi momenti nel servizio di Gabriella Ceraso:   

Extra omnes!

Il mondo resta fuori dall’imponente porta lignea della Cappella Sistina che lentamente si chiude. Si riaprirà col nuovo Papa. Sono appena passate le 17.30 quando nel silenzio, tra i 115 cardinali seduti al loro posto, risuona l’intimazione del Maestro delle Cerimonie, mons. Guido Marini. I porporati si erano ritrovati poco dopo le 16 nello spazio raccolto della Cappella Paolina, nella prima loggia del Palazzo Apostolico. A guidarli e prepararli in processione, il cardinale – primo per ordine e anzianità – Giovan Battista Re che, in latino e in nome di tutta la Chiesa, ha invocato la grazia dello Spirito Santo perché sia eletto un degno Pastore. Si forma dunque la processione aperta dal ministrante con la Croce e chiusa dal diacono col Libro dei Vangeli.

(Litanie dei Santi)

Che i Santi dell’Oriente e dell’Occidente preghino per noi, che Cristo ci salvi da ogni peccato e ci doni la sua misericordia: sono suppliche e invocazioni alla Chiesa tutta, a sostenere i passi lenti e solenni dei cardinali elettori: Diaconi, Presbiteri e Vescovi. Avanti a loro i cantori e i cerimonieri, il segretario del Collegio cardinalizio, mons. Lorenzo Baldisseri, e il porporato a cui è affidata la meditazione dopo l’"Extra omnes”, il cardinale Prosper Grech. Da ultimo, il cardinale Re e il Ministro delle Celebrazioni, mons. Marini.

Pochi minuti, e si spalancano le porte della Sistina: le volte del Michelangelo abbracciano ogni elettore mentre prende il suo posto. E arriva il momento della solenne invocazione dello Spirito Santo: 

(Veni creàtor Spìritus)
Vieni spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato ...

La potenza dell’invocazione è tutta nell’incipit del Veni Creàtor Spiritus: "Sii luce, fiamma, balsamo, difesa”, cantano i cardinali; "suscita in noi la parola, svelaci il grande mistero di Dio padre e del Figlio uniti in un solo amore”.

Negli ultimi istanti che tutto il mondo segue,c'è il solenne giuramento, prima corale: i cardinali promettono fedeltà alle prescrizioni ecclesiastiche, impegno in caso di elezione e soprattutto giurano il segreto su quanto accadrà in Sistina d’ora in poi. Quindi la formula si fa singola: ciascuno avanza, pone la mano destra sul Libro dei Vangeli e giura: 

"Et ego, Franciscus …”

E’ l’ultimo atto. Poi le porte della Sistina si chiudono e lo sguardo corre al comignolo che svetta in Piazza San Pietro.

All’inizio una piccola folla, poi con il passare del tempo sempre più numerosi i pellegrini convenuti in piazza san Pietro per pregare e seguire il Conclave sui maxischermi nonostante la pioggia. Ascoltiamo alcune voci raccolte da Alessandro Guarasci:   

R. – No, no: era scontato! Facciamo giovedì …

R. – Hanno impiegato tanto tempo …

R. – Pure io a venire fin qui! Invece, purtroppo è uscita nera. Sarebbe stata un’occasione più unica che rara, come la rinunzia, se fosse stata bianca alla prima votazione …

D. – Signora, si aspetta il Papa nei prossimi giorni?

R. – Sìììì! Tra due-tre giorni, sicuramente avremo il Papa: io sono convinta di questo!

D. – E che Papa si aspetta?

R. – Italiano.

R. – Un’emozione … e questa fumata bianca, speriamo che arrivi domani, così la vediamo …

D. – Delusi di questo fumo nero?

R. – No, no: così si ritorna!

(canto dei ragazzi)

R. – Per noi è grande l’emozione! Non le nascondiamo che abbiamo anche noi, nel nostro cuore, qualche preferenza da esprimere.

R. – Non è come votare il presidente del Consiglio: è il capo della Chiesa, per cui è la guida di tutti!


12/03/2013 fonte Radio Vaticana

Missa pro eligendo Pontifice. Il card. Sodano: il Signore ci conceda presto un altro Buon Pastore






Il Signore conceda presto un altro Buon Pastore alla sua Chiesa. E’ la preghiera che il popolo di Dio leva al cielo in questi giorni. Un’invocazione che, stamani, ha fatto sua il cardinale decano Angelo Sodano nell’omelia della "Missa pro eligendo Romano Pontifice” concelebrata in San Pietro con tutti i cardinali e, in particolare, con i 115 elettori che oggi pomeriggio sono entrati in Cappella Sistina per il Conclave. All’inizio dell’omelia, il cardinale Sodano ha rinnovato la gratitudine della Chiesa a Benedetto XVI. Parole che sono state accompagnate da un lungo e commosso applauso dei fedeli. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

"Il Signore è la forza del suo popolo e rifugio di salvezza per il suo Cristo”. L’antifona d’ingresso accompagna la processione dei cardinali nella navata centrale della Basilica che custodisce e protegge le spoglie di Pietro. Tra loro c’è anche il nuovo Successore del principe degli Apostoli. E’ per lui, il cui nome è ancora nascosto nel cuore di Dio, che si levano al cielo le preghiere dei fedeli, tantissimi, che gremiscono la Basilica vaticana. Alla colletta, sale dunque a Dio l’invocazione affinché doni alla Chiesa un Pontefice di vita santa e interamente consacrato al servizio del suo popolo. Sono questi i sentimenti che il cardinale Angelo Sodano raccoglie e sintetizza nella sua omelia. Il cardinale decano esorta innanzitutto a vivere questo tempo confidando nella misericordia del Signore che "sempre veglia con amore sulla sua Chiesa”. Parole seguite da un rinnovato ringraziamento a Benedetto XVI:

"Anche noi oggi con tale atteggiamento interiore vogliamo offrirci con Cristo al Padre che sta nei Cieli per ringraziarlo per l’amorosa assistenza che sempre riserva alla sua Santa Chiesa ed in particolare per il luminoso Pontificato che ci ha concesso con la vita e le opere del venerato Pontefice Benedetto XVI, al quale in questo momento rinnoviamo tutta la nostra gratitudine”. (Applausi)

L’applauso lungo e commosso testimonia l’amore filiale dei fedeli per Benedetto XVI, ora pellegrino orante sul Monte del Signore, per il bene della Chiesa. Oggi, afferma il cardinale Sodano, "vogliamo implorare dal Signore che attraverso la sollecitudine pastorale dei Padri Cardinali voglia presto concedere un altro Buon Pastore alla sua Santa Chiesa”. Commentando quindi la prima lettura, tratta dal Libro di Isaia, il porporato si è soffermato sulla missione della misericordia affidata da Cristo ai Pastori della sua Chiesa. Missione che impegna ogni sacerdote e vescovo, ma impegna ancor di più il Vescovo di Roma, Pastore della Chiesa universale:

"In realtà (…) è proprio quest’amore che spinge i Pastori della Chiesa a svolgere la loro missione di servizio agli uomini d’ogni tempo, dal servizio caritativo più immediato fino al servizio più alto, quello di offrire agli uomini la luce della fede, e la forza della grazia di Cristo”. 

Ha così rivolto il pensiero alla dimensione dell’unità. Nella Chiesa, osserva il cardinale Sodano, "esiste una diversità di doni, secondo la multiforme grazia di Cristo, ma questa diversità è in funzione dell’unico corpo mistico di Cristo”. E’ proprio per questo che Cristo ha inviato il Suo Santo Spirito ed ha stabilito i suoi Apostoli tra cui "primeggia Pietro come fondamento visibile dell’unità della Chiesa”. Ma, avverte riecheggiando San Paolo, tutti devono collaborare ad edificarne l’unità:

"Tutti noi, quindi, siamo chiamati a cooperare con i Pastori ed in particolare con il Successore di Pietro, per ottenere questa unità nella Santa Chiesa”.

Qual è dunque in definitiva la missione del Papa? L’atteggiamento fondamentale di ogni buon pastore, afferma il cardinale Sodano, "è dunque dare la vita per le sue pecore”:

"Questo vale soprattutto per il Successore di Pietro. Perché quanto più alto e più universale è l’ufficio pastorale, tanto più grande deve essere la carità del Pastore”.

Per questo, soggiunge, nel cuore di ogni Successore di Pietro sono sempre risuonate le parole che Gesù gli ha rivolto un giorno: "Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. La carità, rammenta poi citando Benedetto XVI, fa parte della natura intima della Chiesa, è "una dimensione costituiva della missione della Chiesa”. Ecco perché nel solco di questo servizio d’amore verso la Chiesa e l’umanità gli ultimi Pontefici sono stati artefici di tante iniziative benefiche a livello mondiale. Il cardinale Sodano ha dunque concluso l’omelia rinnovando la preghiera al Signore per il nuovo Papa:

"Miei fratelli, preghiamo perché il Signore ci conceda un Pontefice che svolga con cuore generoso tale nobile missione. Glielo chiediamo per intercessione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli, glielo chiediamo per l'intercessione di tutti i Martiri e di tutti i Santi che nel corso dei secoli hanno reso gloriosa questa storica Chiesa di Roma”.


12/03/2013 fonte Radio Vaticana

Contemplative indiane: Un conclave in Quaresima, primavera per la Chiesa

di Nirmala Carvalho
La superiora del monastero carmelitano di clausura di Mumbai, suor Gemma, parla dell’enorme dono del magistero di Benedetto XVI e racconta: "Preghiere speciali e penitenze personali per la buona riuscita della riunione cardinalizia. Possa lo Spirito guidarli verso una scelta saggia”. 


Mumbai (AsiaNews) - La testimonianza di Benedetto XVI e un Conclave svolto in Quaresima "sono doni enormi per la Chiesa universale, che deve riflettere sul mistero e pregare per i cardinali chiamati a eleggere il successore del Papa emerito". È la risposta inviata dalla superiora del monastero carmelitano di clausura di Mumbai, suor Gemma, al cardinal Bertone che ha chiesto "preghiere speciali" per la Chiesa.

Nella lettera di risposta, suor Gemma scrive: "Sentiamo come un privilegio questa richiesta di preghiera per la Chiesa, e assicuriamo il cardinal Bertone che pregheremo per i cardinali che sono in Conclave. In questo periodo intensificheremo le nostre preghiere e opere di carità, chiedendo allo Spirito Santo di guidare la scelta cui sono chiamati i porporati".

"Da quando abbiamo ricevuto la lettera - spiega la religiosa ad AsiaNews - abbiamo indetto ogni sera un'ora di esposizione e adorazione del Sacramento divino. A livello personale, ogni carmelitana sta facendo sacrifici personali per la buona riuscita del Conclave. Via internet abbiamo adottato un cardinale per il quale pregare".

"Questa mattina - continua - abbiamo celebrato una messa speciale per l'elezione del pontefice. Abbiamo pregato affinché i cardinali riuniti possano essere guidati dallo Spirito Santo nel discernimento dei segni dei tempi per la Chiesa e per il mondo. Questo Conclave arriva come un tempo di grazia per la Chiesa universale, dato che è il primo a essere indetto durante una Quaresima dal 1829. E la Quaresima è la primavera della Chiesa".

In questi giorni, aggiunge ancora - "stiamo testimoniando, in una maniera che non ha precedenti, la forza dell'ultima benedizione di Benedetto XVI: possa la presenza e il potere dello Spirito avvolgervi tutti. Le parole del Papa emerito sono state bellissime e piene di fiducia: la Chiesa sta svegliando le anime, e possiamo vederlo in questi tempi particolari".

"La comunità internazionale - conclude suor Gemma - è piena di aspettative. Quando il nostro amato Papa emerito ha annunciato di voler rinunciare al suo ministero, ha parlato con grande saggezza della salute e dell'incapacità dell'uomo. Questa saggezza è divenuta forza per la Chiesa e ha avvolto il mondo intero. Dio ha creato qualcosa di nuovo".

 
12/03/2013 fonte Asia News


Teologo srilankese: il nuovo papa, segno di speranza per i popoli del mondo

di Melani Manel Perera
Oggi pomeriggio inizia il Conclave per eleggere il successore di Benedetto XVI. Anton Meemama, teologo cattolico, riflette sulla figura del futuro pontefice, molto atteso dai cattolici (e non solo) del Terzo mondo.


Colombo (AsiaNews) - Il futuro papa dovrà essere "un segno di speranza", che "amando la gente saprà farsi amare". È questo, in sintesi, l'identikit che Anton Meemama, teologo cattolico dello Sri Lanka, traccia del nuovo vescovo di Roma. Oggi pomeriggio i 115 cardinali elettori si riuniranno in Conclave per eleggere il futuro capo della Chiesa cattolica. Tra di loro figura anche il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale srilankese. Di seguito, riportiamo l'intervista di AsiaNews ad Anton Meemama.

Secondo lei qual è l'essenza del papato?

Un pontificato non può essere compreso in modo adeguato usando le categorie delle moderne teorie di gestione aziendale. Un tentativo del genere significherebbe introdurre criteri e concetti estranei alla religione. L'essenza del papato è l'autorità: un'autorità al servizio dell'umanità, che cerca di testimoniare Cristo. Quando guardiamo al papa, dobbiamo riconoscere Cristo dentro e attraverso di lui. Per questo la vera autorità sgorga da Gesù; è il suo potere che, passando dentro e attraverso il papato, lo rende un'autentica autorità. E per questo il papa è molto più che un manager.

Il mondo di oggi ha bisogno di vere autorità, vere guide che siano servi del popolo di Dio. Occorrono leader che siano autorevoli, ma non autoritari. Anche se nel mondo contemporaneo la parola "autorità" ha assunto un significato negativo, il concetto può essere ridefinito in modo positivo e costruttivo. Ciò che la maggior parte delle persone critica non è l'autorità in quanto tale, ma quei leader che hanno perso la loro credibilità. Le persone hanno ragione: simili figure sono una disgrazia per l'umanità. Il papato può davvero illuminare anche i leader politici.

Il papato ha ancora una sua validità nel nostro mondo secolarizzato?

Il mondo ha un disperato bisogno di un papa autorevole, autentico e audace. Il suo carattere, la sua santità, la sua profondità e la sua integrità devono andare oltre il suo ministero. Il nuovo papa deve diventare il cuore di un mondo senza cuore, la vera oasi di un mondo disumanizzato, la vera luce di un mondo annebbiato. La sua condotta deve essere frutto di santità. Solo un papa santo può rendere santo il mondo.

Cosa si aspetta il popolo del Terzo mondo dal nuovo papa?

Il Terzo mondo è il mondo di Gesù Cristo. Non dobbiamo dimenticare che Gesù era asiatico. Il Terzo mondo non ha futuro con il capitalismo, il comunismo, il consumismo e il relativismo. Essi hanno tutti fallito e scontentato il popolo del Terzo mondo. La gente ha bisogno di Gesù, di un Gesù che sia compreso e interpretato in modo corretto.

Gesù è un grande amico del Terzo mondo, perché ha dato tutta la sua vita per questo popolo. Il futuro della Chiesa cattolica è in queste zone della Terra, quindi nell'attuale processo di ri-evangelizzazione dell'Europa i cattolici del terzo mondo possono avere un ruolo missionario decisivo.

Il cattolicesimo sta diventando sempre più fuori moda?

Senza cattolicesimo l'umanità non ha futuro, e per questo c'è bisogno di recuperare il miglior cattolicesimo e reintrodurlo nel mondo moderno. Ma questo non deve essere fatto con un atteggiamento difensivo o una mentalità accondiscendente. Lo spirito deve nutrirsi di coraggio, compassione e infinità umiltà.

Tutti quanti, cattolici e non cattolici, trarranno benefici da un cattolicesimo ringiovanito, rinnovato, ricaricato, revitalizzato e ravvivato. Tutti ameranno il cattolicesimo, se i cattolici inizieranno a vivere come veri cattolici.

Quando alcuni criticano la Chiesa cattolica, in realtà esercitano lo spirito del cattolicesimo. C'è un urgente bisogno di reintrodurre il meglio del cattolicesimo a un mondo che ha perso la propria spiritualità. È la sola speranza per il nostro mondo.

Cos'altro possiamo sperare dal nuovo papa?

Egli deve promuovere la solidarietà, la comunità, la comunione, la cooperazione, la collegialità, la collettività e la connessione. La gerarchia deve essere al servizio della comunità. Il nuovo papa deve essere un segno di speranza.

12/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 11/03/2013 Sant'Eulogio di Cordova sacerdote e martire



Sant’Eulogio non è che il più importante fra la folta schiera dei "Martiri di Cordoba”. Numerosissimi cristiani, infatti, testimoniarono la loro fede in Cristo con il supremo sacrificio dell’effusione del loro sangue presso Cordoba, importante città spagnola dell’Andalusia. Strappata ai Visigoti dagli Arabi nel 771, la città raggiunse il suo apogeo culturale nel X secolo, prima di essere riconquistata nel 1236 dal celebre sovrano San Ferdinando III di Castiglia.
Bisogna constatare, ad onor del vero, che i musulmani non si mostrarono sempre feroci persecutori dei cristiani, ai quali solitamente si limitavano ad imporre di non testimoniare pubblicamente la loro fede cristiana e soprattutto di versare periodicamente un cospicuo tributo: se ciò da un punto di vista puramente politico portava a provocare uno spirito d’indipendenza e di autonomia da parte della popolazione indigena, quest’ultima in quanto cristiana non poteva certo tollerare una sorta di ibernazione religiosa. Nacquero così sporadiche reazioni alla dominazione dei mori, che venivano facilmente soffocate con altrettanto sporadiche persecuzioni.
Fu proprio in tale contesto che si collocò il martirio di Eulogio, sacerdote, vescovo eletto di Toledo. Non potendo a qualunque costo accettare o tollerare la passività dei cristiani, egli scrisse e predicò apertamente contro il Corano. Imprigionato una prima volta, venne rilasciato dopo che egli aveva confortato e rianimato i suoi compagni di prigionia con un’efficace "Esortazione ai martiri”. Nominato vescovo di Toledo, non poté neppure essere consacrato e prendere possesso della sua sede: l’11 marzo 859 venne infatti decapitato, in esaudimento del suo grande desiderio.




I cardinali concludono le Congregazioni generali. Briefing di padre Lombardi




Si è svolta stamani nell’Aula nuova del Sinodo, la Decima e ultima Congregazione Generale dei cardinali in vista del Conclave che inizierà domani. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha tenuto il briefing per i giornalisti. Innanzitutto ha detto che quest'ultimo incontro è occasione per dare ai giornalisti tutta una serie di informazioni e di dettagli su quello che avverrà nei prossimi giorni. La Congregazione di questa mattina è stata la decima - ha ricordato padre Lombardi - ed erano presenti 152 cardinali. All’inizio di questo incontro sono stati sorteggiati i nuovi membri della Congregazione particolare, che devono alternarsi ogni tre giorni, e quelli sorteggiati questa mattina rimangono in carica anche durante il Conclave. Per questo l'organismo è costituito sempre da elettori. I tre sorteggiati che accompagnano quindi il Camerlengo sono stati il cardinale Naguib, per l’Ordine del Vescovi, il cardinale Ouellet, per quello dei Presbiteri, e il cardinale Monterisi, per l’Ordine dei Diaconi. I tre porporati sono scelti per sorteggio, non per elezione, e, rimanendo in carica per tre giorni, occorrerà sorteggiarne altri tre, se il Conclave dovesse durare più giorni.
E' stata una mattina ricca di interventi, perché, essendo l’ultima Congregazione c’erano moltissime persone ancora iscritte a parlare. Ci sono stati in tutto, nel corso della mattina, ben 28 interventi, per un totale di 161 interventi in aula, nel corso di queste Congregazioni. Quindi, un’ampia partecipazione, anche se alla fine forse alcuni avrebbero desiderato confrontarsi più a lungo. Però, la Congregazione ha votato di terminare, cioè di non fare una congregazione nel pomeriggio perché ormai i cardinali ritengono di doversi preparare al trasferimento nella Casa Santa Marta, dove alloggeranno, e al Conclave. Quindi, il Collegio cardinalizio ha preferito concludere le consultazioni, anche comprimendo un poco la lunghezza degli ultimi interventi.
Tra i temi toccati nel corso di questi interventi da segnalare la situazione dello Ior, con una breve relazione da parte del segretario di Stato, card, Bertone, che in qualità di presidente del Consiglio cardinalizio di sorveglianza, ha completato quella serie degli interventi sulle situazioni economiche di cui si era parlato già nella settimana scorsa; quindi, si è parlato della natura dell'Istituto, del procedimento di inserimento nel sistema internazionale dei controlli di Moneyval, e altro. Poi sono stati affrontati altri argomenti, ma, in particolare, essendo l’ultima riunione, le attese nei confronti del Santo Padre, quindi il profilo e l’attesa nei suoi confronti.
Oggi pomeriggio vi sarà il giuramento degli addetti al Conclave, previsto dalla Costituzione apostolica no. 48 e seguenti.Avverrà nella Cappella Paolina, alle ore 17.30, e sarà presieduto dal cardinale Camerlengo. I giurandi sono circa 90, che è il numero delle persone in ausilio dei cardinali durante il Conclave. Tra le figure fondamentali, il segretario del Collegio cardinalizio, che non è un porporato e assiste i cardinali nel corso del Conclave; poi il Maestro delle Cerimonie e i cerimonieri; poi ancora, religiosi e religiose addetti alla sagrestia del Conclave, la sagrestia papale. Poi ci sono ancora i religiosi per le confessioni, medici e infermieri, personale di servizio della mensa e delle pulizia in Santa Marta, servizi tecnici, gli autisti del pulmino con cui i cardinali si spostano da Santa Marta al Palazzo apostolico; addetti alla sorveglianza della Guardia Svizzera e della Gendarmeria, Insomma si tratta di tutta una serie di figure che aiutano, collaborano all'interno della Sistina e quindi devono fare giuramento di riservatezza, come previsto dalla Costituzione apostolica. Non ci sarà una trasmissione in diretta di immagini da parte del Centro televisivo vaticano di questo giuramento, che è considerato un evento marginale, tuttavia sarà possibile avere delle immagini registrate dell'evento.
Domattina alle ore 10 sarà celebrata in San Pietro la "Missa pro eligendo Romano Pontifice".Il libretto della liturgia è già disponibile sia in forma cartacea, che on line, nel sito www.vatican.va, nella sezione dell’Ufficio delle Cerimonie liturgiche. Il libretto, come sempre – ormai da diverso tempo – ha il testo integrale in italiano e in inglese, oltre all’originale in latino, perché la liturgia domani mattina verrà celebrata proprio in latino. Il presidente della celebrazione è il cardinale decano, Angelo Sodano; concelebrano tutti i cardinali, non solo gli elettori; l’omelia sarà tenuta in italiano ed il testo verrà consegnato, cone le opportune traduzioni, appena possibile. Nel passato Conclave: la Messa "pro eligendo Pontifice" era durata 1 ora e 40 minuti, quindi è presumibile che questa non duri più di due ore. Non ci sono biglietti per i fedeli; l’ingresso è libero per tutti quelli che riescono ad arrivare alla Basilica. P
Con l’ingresso in Conclave, che viene descritto dettagliatamente nell’Ordo rituum conclavis. Per quanto riguarda questa elezione, domani alle 16.30, vi sarà la processione dei cardinali dalla Cappella Paolina alla Sistina. Precedentemente i cardinali elettori si erano trasferiti da Santa Marta alla Cappella Paolina. prima della processione c’è una preghiera comune. L’ordine della partecipazione alla processione è sommariamente questo: la Croce con i candelieri avanti, i cantori della Cappella Sistina che intonano canti sacri poi alcuni prelati, il segretario del Conclave, il card. Grech, al quale è affidata la meditazione, e poi seguono tutti i cardinali in ordine inverso alla precedenza, cioè i cardinali che sono primi in precedenza entrano per ultimi, e i cardinali che sono ultimi nell’ordinamento della precedenza avanzano per primi. Quindi chiude la processione il card. Re, che è – appunto – il cardinale primo in ordine di precedenza, perché è il più anziano dell’Ordine dei Vescovi e quindi è lui il celebrante della processione e del giuramento in Sistina. Il card. Re è accompagnato dal Maestro delle Cerimonie, mons. Marini.
La processione è accompagnata dal Canto delle Litanie dei Santi, altre invocazioni e il Veni Creator Spiritus, il grande inno di invocazione dello Spirito Santo. Con questi canti, la processione entra nella Cappella Sistina e i cardinali vanno ai loro posti e qui ha luogo il giuramento, con la formula prevista nella Costituzione apostolica. Viene pronunciata una lunga formula introduttiva in latino dal card. Re, quale celebrante principale, e poi i singoli cardinali, secondo l’ordine di precedenza, vanno al leggio che è collocato al centro della Cappella Sistina e su cui c’è l’Evangeliario aperto, e mettendo la mano sul Vangelo pronunziano il proprio nome e la formula di adesione al giuramento. Subito dopo, tutti , ad eccezione dei cardinali elettori il card. Grech adetto alla meditazione e il Maestro delle Cerimonie, escono dalla Sistina. Viene chiusa la porta della cappella con la classica formula "Extra omnes”, ossia fuori tutti, pronunciata in latino dal Maestro delle Cerimonie. Poi, dopo la meditazione, è possibile che gli elettori facciano la prima votazione: così era stato la volta scorsa. Dopo questa votazione, che difficilmente avrà un esito positivo, essendo la prima, c’è da aspettarsi la fumata nera. Quindi i porporati celebrano insieme i Vespri, momento che conclude la prima giornata di Conclave. Quindi il ritorno nella Casa Santa Marta. 
La Cappella Sistina è già definitivamente pronta, per ogni cardinale c’è l’Ordo rituum conclavis, c’è la copia della Costituzione apostolica e c’è anche il libro della Liturgia delle Ore che serve per dire insieme l’Ora media, i Vespri e gli altri momenti di preghiera. Il Centro televisivo vaticano monitorerà con le immagini in diretta il comignolo, durante la mattina e durante il pomeriggio, in modo tale da controllare in ogni momento se dovesse iniziare una fumata.
E' interessante - ha detto ancora padre Lombardi - sapere cosa succede quando un cardinale raggiunge il quorum dei 2/3 necessario ad essere eletto Pontefice. Il cardinale decano – in questo caso il presidente dell’assemblea, che è il cardinale Re – si rivolge a lui con la domanda: "Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice? E, dopo la risposta, l'altra domanda: "Con quale nome vuoi essere chiamato?". Questa è una breve cerimonia che avviene nella Cappella Sistina stessa. Poi avviene la bruciatura delle schede e la fumata, che è bianca se l’accettazione è avvenuta. Il Pontefice nuovo va nella cosiddetta Stanza delle lacrime, per indossare le vesti papali e torna. C’è un'altra piccola cerimonia con una preghiera, la lettura di un passo del Vangelo tipicamente legato al ministero petrino, e una preghiera. In questa preghiera entrano come attori il primo dell’Ordine dei Diaconi, il primo dell’Ordine del Prebiteri, il primo dell’Ordine dei Vescovi. Poi c’è l’atto di ossequio e di obbedienza dei cardinali al nuovo Papa.
Dopo di questo c’è il canto del "Te Deum”. Da ricordare che siamo sempre nella Cappella Sistina, ancora. Intanto, il Protodiacono esce alla Loggia e annuncia alla folla dei fedeli il nome del Papa eletto. Una cosa che è prevista quest’anno – credo che sia nuova ma è molto significativa – il Papa eletto, mentre esce dalla Sistina per andare alla Loggia passa alla Cappella Paolina, dove c’è il Santissimo Sacramento, e fa una breve preghiera personale, silenziosa davanti al Santissimo Sacramento e poi riprende il cammino e viene alla Loggia per dare alla gente in Piazza San Pietro il suo saluto e la prima benedizione "Urbi et Orbi”. In quest'occasione il Protodiacono annuncia anche l’indulgenza, come si fa a Pasqua e a Natale. 
Un’altra informazione importante riguarda la Messa di inaugurazione del Pontificato che può essere celebrata anche in giorno feriale, non necessariamente di domenica, a seconda di quanto è durato il Conclave e di quanto tempo è opportuno dare anche alle delegazioni straniere che vogliano intervenire. 
Rispondendo ai giornalisti, che chiedevano i motivi dell'intervento dal card. Bertone di stamani sulla situazione dello Ior, padre Lombardi ha tenuto a precisare che la situazione dell'Istituto Opere Religiose non è il punto principale per avere dei criteri per l’elezione del Papa. I criteri su come scegliere il nuovo Pontefice riguardano i grandi problemi di fronte a cui egli si troverà nella Chiesa e che hanno avuto una loro evidente priorità. Tuttavia, essendoci il Collegio riunito per l'ultima volta, si percepiscono anche dei desideri di informazione da parte dei membri del Collegio e questo dello Ior è uno dei temi di cui spesso si parla e di cui, quindi, i membri del Collegio avevano desiderato di avere un’informazione anche se sommaria. Del resto è stato necessario, su richiesta della stragrande maggioranza dei cardinali, terminare i lavori delle Congregazioni questa mattina e, quindi, di concentrare tutti gli argomenti e gli interventi in quest'ultimo incontro. Molti i porporati che hanno espresso soddisfazione per il clima positivo, per l’atmosfera di scambio e di possibilità di comunicazione che c’era stata in questi giorni, e hanno ringraziato per questo. Tutto ciò per dire, che c'è stato un clima sereno e di comunicazione effettiva tra i cardinali.

Poi a proposito della possibilità o meno di votare già nel primo giorno, padre Lombardi ha specificato che effettivamente non è obbligatorio effettuare subito un primo scrutinio. Ma in effetti, una volta terminata la meditazione del cardinale Grech - ha detto ancora il direttore della Sala Stampa - non ci sono altre cose da fare. A meno che non siano nati dei problemi di cui si debba discutere per chiarirli, ma se tutto è chiaro i cardinali possono procedere immediatamente alla prima votazione.


11/03/2013 fonte Radio Vaticana

Gli eventi verso l’elezione del nuovo Papa e le attese tra i fedeli





La stampa internazionale sta dedicando grande spazio alla prossima apertura del Conclave, secondo un calendario di riti e tradizioni che si rinnovano e sollevano curiosità. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Un evento che suscita grande interesse in tutto il mondo, avvalorato dalla presenza a Roma di quasi 5 mila operatori dell’informazione. Pronta la Cappella Sistina per accogliere martedì prossimo 12 marzo i 115 cardinali elettori raccolti in Conclave, il 25mo ospitato sotto gli auspici del Giudizio Universale di Michelangelo. Domani lunedì si svolgerà dunque l’ultima, decima, Congregazione generale. I porporati celebreranno, quindi, martedì mattina alle 10 nella basilica di San Pietro, la Messa pro eligendo Romano Pontefice, che sarà presieduta dal cardinale decano Angelo Sodano; poi nel pomeriggio alle 16.30, in processione si trasferiranno dalla Cappella Paolina alla Sistina, già allestita per le operazioni di voto e qui prima dell’Extra omnes il ‘fuori tutti’, che aprirà ufficialmente il Conclave, ascolteranno la seconda meditazione affidata al cardinale maltese non elettore Prospero Grech. Sigillata la Cappella Sistina i cardinali potranno se lo vorranno procedere ad un’unica votazione, quindi alle 19,15 vi sarà la recita dei Vespri e poi il rientro dei porporati alle 19,30 nella Casa Santa Marta in Vaticano, dove avranno già preso alloggio al mattino. Da mercoledì vi saranno invece quattro scrutini al giorno fino alla scelta del nuovo successore di Pietro, con una maggioranza di 2/3 dei voti, vale a dire 77 su 115. Silenzio e riservatezza assoluta è la consegna per i cardinali elettori nei giorni del Conclave, quando gli occhi di tutti saranno puntati sul camino posto sul tetto della Cappella Sistina per scorgere la fumata bianca che sarà ripresa in diretta da migliaia di emittenti collegate ad ogni angolo del Pianeta.


11/03/2013 fonte Radio Vaticana

Il Centro Internazionale giovanile San Lorenzo in preghiera fino alla fine del Conclave
  






In preghiera e in Adorazione eucaristica per tutta la durata del Conclave, che si aprirà nel pomeriggio di domani: è l’iniziativa promossa dal Centro internazionale giovanile "San Lorenzo”, in vista dell’elezione del 266.mo Papa. L’esposizione del Santissimo Sacramento – informa una nota – avrà inizio l’11 marzo, alle ore 11.00, e proseguirà fino al termine dell’assemblea dei cardinali elettori. Venerdì 15 marzo, inoltre, alle ore 15.00 si terrà una processione in Piazza San Pietro, cui seguirà, alle ore 16.00, la recita del Santo Rosario dal sagrato della Basilica; infine, alle 18.30, verrà celebrata una Messa nella sede del Centro. "Come gli apostoli rimasero uniti, insieme a Maria, nel Cenacolo per la Pentecoste – spiega padre Fabien Lambert, cappellano del Centro – così oggi i cardinali pregano lo Spirito Santo, ed anche noi vogliamo unirci in preghiera ai porporati e a tutta la Chiesa per il Conclave”. Fondato nel 1983 dall’allora Papa Giovanni Paolo II, il Centro San Lorenzo accoglie giovani pellegrini provenienti da tutto il mondo che in esso possono vivere un’esperienza di preghiera e di comunione. La sua missione di pastorale giovanile è stata istituzionalizzata nel 1984, quando il Centro divenne il luogo ufficiale in cui conservare la Croce della Giornata mondiale della gioventù. A partire dal 2003, inoltre, la struttura ospita anche l’icona di Maria Salus Popoli Romani che accompagna la Croce in pellegrinaggio. Il Centro è sotto il patrocinio del Pontificio Consiglio per i Laici (I.P.)


11/03/2013 fonte radio Vaticana

Sentimenti di speranza per i fedeli presenti in Piazza san Pietro




E sta crescendo un sentimento di speranza ma anche di riflessione, per l’inizio imminente del Conclave, nei tanti fedeli che questa mattina affollavano piazza San Pietro. Ma come vengono vissute queste giornate? Ascoltiamo alcune testimonianze, raccolte da Marina Tomarro  

R. - Io penso che bisogna prepararsi con la preghiera perché così possiamo avere un Papa che tutti stanno aspettando, che possa rispondere alle aspettative della Chiesa, che possa essere un padre, un pastore e un profeta allo stesso tempo, che non ha paura di fare fronte a tutte le sfide che abbiamo adesso nella Chiesa e nel mondo.

R. - Si vive pregando, l’unica cosa da fare è pregare e chiedere allo Spirito Santo di illuminare i cardinali perché possano scegliere un Papa che sia al servizio di tutta la Chiesa.

D. - Lei come si sta preparando in particolare?

R. - Con la preghiera. Non posso fare altro.

R. - Io direi che l’unico sistema e l’unico modo per affrontare questo periodo è la preghiera e un’invocazione di cuore allo Spirito Santo perché scenda nei cuori dei cardinali che dovranno eleggere il nuovo Pontefice, perché solo il Pontefice che verrà eletto sarà il Pontefice di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questo momento.

D. – Lei è anche una catechista, in che modo spiegare ai ragazzi l’importanza di queste giornate e di questo momento?

R. – Direi che il modo migliore è far comprendere ai bambini questo clima di attesa e soprattutto l’importanza della guida spirituale che il Papa rappresenta per noi: non è soltanto il rappresentante di Cristo sulla terra ma è anche una guida. Creare nei bambini questa attesa, far loro comprendere quanto è bella e quanto è importante, soprattutto, accompagnare con la preghiera coloro che dovranno decidere.


11/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 09/03/2013 Santa Francesca Romana religiosa



Il Cinquecento fu un secolo in cui nacquero e operarono figure di grande santità, che rivoluzionarono il cammino della Chiesa nei secoli successivi; ma nel Quattrocento ci fu un preludio di tale fioritura, con il sorgere specie in Italia, di sante figure di uomini e donne, che vivendo in un’epoca di grandi trasformazioni, artistiche, letterarie, filosofiche, che prese il nome di ‘Rinascimento’ e che si manifestò essenzialmente come "scoperta del mondo e dell’uomo”, seppero mettere in pratica questo sorgente umanesimo, prestando attenzione all’umanità sofferente nel corpo e assetata di istruzione e guida spirituale nell’anima.
Si ricorda alcuni di questi campioni della santità cattolica del XV sec.: San Giovanni da Capestrano († 1456) francescano; san Giacomo della Marca, († 1476) frate Minore; sant’Angela Merici (1474-1540), fondatrice delle Orsoline; san Bernardino da Siena († 1444), frate Minore; santa Rita da Cascia († 1457), agostiniana; san Vincenzo Ferrer († 1419), domenicano; santa Caterina da Bologna († 1453), clarissa; ecc. 
A loro si aggiunge la luminosa figura di santa Francesca Romana (1384-1440), contemporanea di s. Bernardino, che fu sposa, madre, vedova, fondatrice e religiosa, secondo la volontà di Dio.

Origini, sposa per obbedienza
La nobile Francesca Bussa de’ Buxis de’ Leoni, nacque a Roma nel 1384, in una famiglia abitante nei pressi di Piazza Navona e fu battezzata nella chiesa romanica di Sant’Agnese in Agone.
Ebbe un’educazione elevata per una fanciulla del suo tempo, grandicella accompagnava la madre Jacovella de’ Broffedeschi, nelle visite alle varie chiese del suo rione, ma spesso fino alla lontana chiesa di santa Maria Nova sull’antica Via Sacra, gestita dai Benedettini di Monte Oliveto, dai quali la madre era solito confessarsi e in questa chiesa, anche Francesca trovò il suo primo direttore spirituale, padre Antonello di Monte Savello, che ben presto si accorse della vocazione della fanciulla alla vita monastica, nonostante vivesse negli agi di una ricca e nobile famiglia.
Ma fu proprio questo benedettino a convincerla ad accettare la volontà del padre, Paolo Bussa de’ Buxis de’ Leoni, che secondo i costumi dell’epoca, aveva combinato per la dodicenne Francesca, un matrimonio con il nobile Lorenzo de’ Ponziani; il padre, in quel periodo conservatore del Comune di Roma, intendeva così allearsi ad un’altra famiglia nobile.
I Ponziani si erano arricchiti con il mestiere di macellai, comprando case e feudi nobilitandosi, essi risiedevano in un palazzo di Trastevere al n. 61 dell’attuale via dei Vascellari, che nel Medioevo si chiamava contrada di Sant’Andrea degli Scafi; dell’antico palazzo più volte trasformato nei secoli, rimangono le ampie cantine e al pianterreno l’ambiente quattrocentesco con il soffitto a cassettoni.
Una volta sposata, Francesca andò ad abitare nel palazzo dei Ponziani, ma l’inserimento nella nuova famiglia non fu facile, e questa difficoltà si aggiunse alla sofferenza provata per aver dovuto rinunciare alla sua vocazione religiosa; ne scaturì uno stato di anoressia che la sprofondò nella prostrazione.
Si cercò di sollevarla da questa preoccupante situazione ma invano; finché all’alba del 16 luglio 1398 le apparve in sogno sant’Alessio che le diceva: "Tu devi vivere… Il Signore vuole che tu viva per glorificare il suo nome”.
Al risveglio Francesca, accompagnata dalla cognata Vannozza, si recò alla chiesa dedicata al santo pellegrino sull’Aventino, per ringraziarlo e da allora la sua vita cambiò, accettando la sua condizione di sposa e a 16 anni ebbe il primo dei tre figli, che amò teneramente, ma purtroppo solo uno arrivò all’età adulta.

Santità vissuta in famiglia e nelle opere di carità
Con la cognata Vannozza, prese a dedicare il suo tempo libero dagli impegni familiari, a soccorrere poveri ed ammalati; erano anni drammatici per Roma, gli ecclesiastici discutevano sulla superiorità o meno del Concilio Ecumenico sul Papa; lo Scisma d’Occidente devastava l’unità della Chiesa e lo Stato Pontificio era politicamente allo sbando ed economicamente in rovina.
Roma per tre volte fu occupata e saccheggiata dal re di Napoli, Ladislao di Durazzo e a causa delle guerriglie urbane, la città era ridotta ad un borgo di miserabili.
Papi ed antipapi di quel periodo di scisma, si combattevano fra loro e spesso mancava un’autorità centrale ed autorevole, per riportare ordine e prosperità.
Francesca perciò volle dedicarsi a sollevare li misere condizioni dei suoi concittadini più bisognosi; nel 1401 essendo morta la moglie, il suocero Andreozzo Ponziani le affidò le chiavi delle dispense, dei granai e delle cantine; Francesca ne approfittò per aumentare gli aiuti ai poveri e in pochi mesi i locali furono svuotati.
Il suocero allibito decise di riprendersi le chiavi, ma ecco che essendo rimasta nei granai soltanto la pula, Francesca, Vannozza e una fedele serva, per cercare di soddisfare fino all’ultimo le richieste degli affamati, fecero la cernita e distribuirono anche il poco grano ricavato; ma pochi giorni dopo sia i granai che le botti del vino erano prodigiosamente pieni.
Andreozzo che comunque era un uomo caritatevole, che già nel 1391 aveva fondato l’Ospedale del Santissimo Salvatore, utilizzando la navata destra di una chiesa in disuso, oggi chiamata Santa Maria in Cappella, restituì le chiavi alla caritatevole nuora.
A questo punto Francesca decise di dedicarsi sistematicamente all’opera di assistenza; con il consenso del marito Lorenzo de’ Ponziani, vendette tutti i vestiti e gioielli devolvendo il ricavato ai poveri e indossò un abito di stoffa ruvida, ampio e comodo per poter camminare agevolmente per i miseri vicoli di Roma.
Era ormai conosciuta ed ammirata da tutta Trastevere, che aveva saputo del prodigio dei granai di nuovo pieni, e un gruppo di donne ne seguirono l’esempio; con esse Francesca andava a coltivare un campo nei pressi di San Paolo, da cui ricavava frutta e verdura trasportate con un asinello e che poi elargiva personalmente alla lunga fila di poveri, che ormai ogni giorno cercava di sfamare.
Alla morte del suocero Andreozzo de’ Ponziani, Francesca si prese cura dell’Ospedale del Ss. Salvatore, ma senza tralasciare le visite private e domiciliari che faceva ai poveri.
Incurante delle critiche e ironie dei nobili romani a cui apparteneva, si fece questuante per i poveri, specie quelli vergognosi e per loro chiedeva l’elemosina all’entrata delle chiese; mentre si prodigava instancabilmente in queste opere di amore concreto, tanto che il popolino la chiamava paradossalmente "la poverella di Trastevere”, Francesca riceveva dal Signore il dono di celesti illuminazioni, che lei riferiva al suo confessore Giovanni Mariotto, parroco di Santa Maria in Trastevere che le trascriveva.
Queste confidenze, pubblicate poi nel 1870, riguardavano le frequenti lotte della santa col demonio; del suo viaggio mistico nell’inferno e nel purgatorio; delle tante estasi che le capitavano; e poi dei prodigi e guarigioni che le venivano attribuite.

Le tragedie familiari
Ma questi doni straordinari che il Signore le aveva donato, furono pagati a caro prezzo, la sua vita spesa tutta per la famiglia ed i poveri di Roma, fu funestata da molte disgrazie; già quando aveva 25 anni nel 1409, suo marito Lorenzo, comandante delle truppe pontificie, durante una battaglia contro l’invasore Ladislao di Durazzo re di Napoli, contrario all’elezione di papa Alessandro V (1409-1410), venne gravemente ferito rimanendo semiparalizzato per il resto della sua vita, accudito amorevolmente dalla moglie e dal figlio.
Nel 1410 la sua casa venne saccheggiata e i loro beni espropriati, mentre il marito sebbene invalido fu costretto a fuggire, per sottrarsi alla vendetta di re Ladislao, che però prese in ostaggio il figlio Battista.
Poi a Roma ci fu l’epidemia di peste, morbo ricorrente in quei tempi, che funestava alternativamente tutta l’Europa, il suo slancio di amore verso gli ammalati, le fece commettere l’imprudenza di aprire il suo palazzo agli appestati; la pestilenza le portò così via due figli, Agnese ed Evangelista e lei stessa si contagiò, riuscendo però a salvarsi; passata l’epidemia poté ricongiungersi con il marito e l’unico figlio rimasto Battista.
È di quel periodo l’apparizione in sogno del piccolo figlio Evangelista, insieme con un Angelo misterioso, che s. Francesca da allora in poi avrebbe visto accanto a sé per tutta la vita.

Fondatrice di confraternita
Francesca Bussa, continuando ad aiutare i suoi poveri ed ammalati, senza fra l’altro trascurare la preghiera, tanto da dormire ormai solo due ore per notte, prese a dirigere spiritualmente il gruppo di amiche, che la coadiuvavano nella carità quotidiana e si riunivano ogni settimana nella chiesa di Santa Maria Nova.
E durante uno di questi incontri, Francesca le invitò ad unirsi in una confraternita consacrata alla Madonna, restando ognuna nella propria casa, impegnandosi a vivere le virtù monastiche e di donarsi ai poveri.
Il 15 agosto 1425 festa dell’Assunta, davanti all’altare della Vergine, le undici donne si costituirono in associazione con il nome di "Oblate Olivetane di Maria”, in omaggio alla chiesa dei padri Benedettini Olivetani che frequentavano, pronunziando una formula di consacrazione che le aggregava all’Ordine Benedettino.
Nel marzo del 1433 Francesca poté riunire le Oblate sotto un unico tetto a Tor de’ Specchi, composto da una camera ed un grande camerone, vicino alla chiesa parrocchiale di Sant’Andrea dei Funari; e il 21 luglio dello stesso 1433, papa Eugenio IV eresse la comunità in Congregazione, con il titolo di "Oblate della Santissima Vergine”, in seguito poi dette "Oblate di Santa Francesca Romana”, la cui unica Casa secondo la Regola, era ed è quella romana. 

Religiosa lei stessa, la santa morte
Si recava ogni giorno nel monastero da lei fondato, ma continuò ad abitare nel Palazzo Ponziani, per accudire il marito malato; dopo la morte del marito, con il quale visse in armonia per 40 anni, il 21 marzo 1436 lasciò la sua casa, affidandone l’amministrazione al figlio Battista e a sua moglie Mabilia de’ Papazzurri, e si unì alle compagne a Tor de’ Specchi dove fu eletta superiora.
Trascorse gli ultimi quattro nel convento, dedicandosi soprattutto a tre compiti: formare le sue figlie secondo le illuminazioni che Dio le donava; sostenerle con l’esempio nelle opere di misericordia alle quali erano chiamate; pregare per la fine dello scisma nella Chiesa.
Prese il secondo nome di Romana e così fu sempre chiamata dal popolo e dalla storia, perché Francesca fu tra i grandi che seppero riunire in sé, la gloria e la vitalità di Roma; il popolo romano la considerò sempre una di loro nonostante la nobiltà, e familiarmente la chiamava "Franceschella” o "Ceccolella”.
Francesca Romana insegnò alle sue suore la preparazione di uno speciale unguento, che aveva usato e usava per sanare malati e feriti; unguento che viene ancora oggi preparato nello stesso recipiente adoperato da lei più di cinque secoli fa.
Ma la ‘santa di Roma’ non morì nel suo monastero, ma nel palazzo Ponziani, perché da pochi giorni si era spostata lì per assistere il figlio Battista gravemente ammalato; dopo poco tempo il figlio guarì ma lei ormai sfinita, morì il 9 marzo 1440 nel palazzo di Trastevere.
Le sue spoglie mortali vennero esposte per tre giorni nella chiesa di Santa Maria Nova, una cronaca dell’epoca riferisce la partecipazione e la devozione di tutta la città; fu sepolta sotto l’altare maggiore della chiesa che avrebbe poi preso il suo nome.
Da subito ci fu un afflusso di fedeli, tale che la ricorrenza del giorno della sua morte, con decreto del Senato del 1494, fu considerato giorno festivo.
Fu proclamata santa il 29 maggio 1608 da papa Paolo V; e papa Urbano VIII volle nella chiesa di Santa Francesca Romana, un tempietto con quattro colonne di diaspro, con una statua in bronzo dorato che la raffigura in compagnia dell’Angelo Custode, che l’aveva assistita tutta la vita.
Santa Francesca Romana è considerata compatrona di Roma, viene invocata come protettrice dalle pestilenze e per la liberazione delle anime dal Purgatorio e dal 1951 degli automobilisti.
La sua festa liturgica è il 9 marzo.

Fissata a martedì 12 marzo la data di inizio Conclave

      



L'ottava Congregazione Generale del Collegio dei Cardinali ha deciso che il Conclave per l'elezione del Papa inizierà martedì 12 marzo 2013. Al mattino nella Basilica di S. Pietro sarà celebrata la Messa "pro eligendo Pontifice" e nel pomeriggio l'ingresso dei cardinali in Conclave. Ieri mattina il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi ha tenuto come di consueto un briefing con i giornalisti. Il servizio è di Paolo Ondarza: 

E’ finita l’attesa. I cardinali hanno deciso: il Conclave per scegliere il successore di Benedetto XVI avrà inizio martedì 12 marzo. Le congregazioni– come spiegato questa mattina da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, continueranno anche oggi, mentre probabilmente domenica i porporati celebreranno la Santa Messa, ognuno nella chiesa romana di cui sono titolari. Martedì prima dell’extra omnes, ovvero della chiusura della Cappella Sistina, che darà inizio al Conclave vi sarà la seconda meditazione affidata al cardinale maltese, non elettore, Prosper Grech. Confermando la presenza in Vaticano di tutti i 115 elettori padre Lombardi ha spiegato che i porporati hanno accettato le due rinunce pervenute dall’arcivescovo di Jakarta Riyadi Darmaatmadja e dal cardinale scozzese O’Brien, l’uno per motivi di salute, l’altro per motivi personali in base alla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, modificata dal recente Motu Proprio di Benedetto XVI. Sui temi emersi finora Padre Lombardi ha detto:

"Di questa mattina io sono stato colpito da alcuni temi: si è parlato di dialogo interreligioso. Si è parlato anche dei temi della cultura di oggi, della bioetica, dei temi della giustizia nel mondo; poi dell’importanza di un annuncio positivo del Cristianesimo, dell’annuncio dell’amore, un annuncio anche gioioso, e molto dell’annuncio di misericordia. Anche i temi della collegialità sono stati evocati diverse volte; e poi, anche, la donna nella Chiesa”.

In proposito padre Lombardi ha ricordato l’Odierna Giornata della Donna porgendo gli auguri a tutte le giornaliste presenti a Roma, tra gli oltre cinque mila accreditati. Il direttore della Sala Stampa Vaticana ha poi citato, a dimostrazione dell'attenzione data dai fedeli al momento che la Chiesa si appresta a vivere, i 220 mila iscritti al sito "Adopt a cardinal”, un portale che assegna a ciascun visitatore un cardinale per cui pregare. Rispondendo a una domanda, padre Lombardi ha sottolineato che per eleggere il Papa è necessario il voto dei 2/3 degli elettori: quindi almeno 77 su 115. Prima dell'inzio del Conclave - ha proseguito - in congregazione i cardinali procederanno al sorteggio delle stanze nella Domus Sanctae Marthae. Durante il Conclave inoltre avranno la possibilità di confessarsi. Infine il briefing di ieri mattina ha dato occasione ai giornalisti di vedere le immagini dell’appartamento nella residenza di Santa Marta dove il nuovo Pontefice alloggerà temporaneamente dopo l’elezione e in attesa che vengano rinnovati i locali del Palazzo Apostolico.



09/03/2013 fonte Radio Vaticana

Benedetto XVI: storia del cristianesimo diversa senza la presenza delle donne
 
      






Senza il contributo delle donne, la storia del Cristianesimo sarebbe stata ben diversa. È la constatazione che alcuni anni fa Benedetto XVI fece durante un’udienza generale. Nel giorno della festa della donna, Alessandro De Carolis ripropone in questo servizio alcune delle riflessioni del Papa emerito dedicate al "genio femminile” e alla sua incidenza nella Chiesa e nella società: 

Nazareth e Magdala, Assisi e Siena, Avila e Lisieux, e l’elenco potrebbe continuare in lungo nella storia e in largo nella geografia. Anche a un orecchio con poca dimestichezza delle cose di Chiesa i nomi di queste città suggeriscono abbastanza facilmente un rimando ad altri nomi e volti. Maria la "beata fra le donne” e la Maria redenta da un amore più grande del suo passato. La Chiara "sorella” spirituale del "Giullare di Dio” e la Caterina analfabeta che parlò ai re e spronò i Papi. La Teresa grande contemplativa e la Teresa della "piccola via”. Cosa ne sarebbe stato della Chiesa senza loro e senza le altre migliaia, straordinarie figure di donna, sante note o sconosciute, che da duemila anni testimoniano Cristo? Una domanda che non ha mai lasciato dubbi a Benedetto XVI:
"La storia del Cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne. Per questo, come ebbe a scrivere il mio venerato e caro predecessore Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica
Mulieris dignitatem, ‘la Chiesa rende grazie per tutte le donne e per ciascuna… La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del ‘genio’ femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni”. (Udienza generale, 14 febbraio 2007)
Donne, madri, laiche o religiose. Benedetto XVI nel 2010 dedicò alle figure femminili del Medioevo cristiano catechesi indimenticabili. E non si è risparmiato quando la figura della donna, in tempi decisamente più recenti, è stata gradualmente risucchiata da certe, come ebbe a dire, "correnti culturali e politiche che cercano di eliminare, o almeno di offuscare e confondere, le differenze sessuali iscritte nella natura umana considerandole una costruzione culturale”:

"È necessario richiamare il disegno di Dio che ha creato l'essere umano maschio e femmina, con un’unità e allo stesso tempo una differenza originaria e complementare”. (Discorso per i 20 anni della Mulieris Dignitatem, 9 febbraio 2008)

E nemmeno si è risparmiato, Benedetto XVI, nel denunciare quei luoghi e quelle culture dove, ha detto…

"…la donna viene discriminata o sottovalutata per il solo fatto di essere donna, dove si fa ricorso persino ad argomenti religiosi e a pressioni familiari, sociali e culturali per sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano atti di violenza nei confronti della donna rendendola oggetto di maltrattamenti e di sfruttamento nella pubblicità e nell'industria del consumo e del divertimento”.

Ricordare la donna, quindi, ricordare la festa dell’8 marzo, vuol dire questo per i cristiani e la Chiesa:

"Riflettere sulla condizione della donna e a rinnovare l’impegno, perché sempre e dovunque ogni donna possa vivere e manifestare in pienezza le proprie capacità ottenendo pieno rispetto per la sua dignità”. (Angelus, 8 marzo 2009)


09/03/2013 fonte Radio Vaticana

Terra Santa: cristiani e musulmani ricordano Benedetto XVI


"I cristiani della Terra Santa desiderano un Papa che sia testimone di pace, aperto al dialogo con le altre fedi e i non credenti". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews, mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Israele del Patriarcato latino di Gerusalemme. Secondo il prelato per i cristiani residenti in Israele e nei Territori palestinesi la pace non è solo l'assenza di guerra, ma la speranza di poter testimoniare Cristo nella propria terra. "Un clima di rinnovata fede e vitalità sta caratterizzando questi giorni particolari - racconta mons. Marcuzzo - in questi giorni cristiani, ebrei, musulmani, drusi e greco-ortodossi hanno organizzato momenti di preghiera e iniziative per commemorare Benedetto XVI e attendono ora l'elezione del nuovo successore di Pietro". Fra il 25 e il 28 febbraio, giorno dell'inizio della sede vacante - riferisce l'agenzia AsiaNews - tutte le parrocchie del Patriarcato di Gerusalemme hanno organizzato diverse iniziative di preghiera, vespri, processioni, adorazioni. Alcune comunità hanno invitato i musulmani a esprimere la loro opinione sul pontificato di Benedetto. Molti hanno citato l'episodio del discorso di Ratisbona, dove le parole del Papa sono state fraintese, ma in seguito comprese e meditate durante la sua visita in Israele, Giordania e Palestina. "La popolazione ha organizzato la maggior parte dei gesti in modo spontaneo - spiega il vescovo - alcuni hanno anche organizzato un pellegrinaggio a Tiberiade. Sulle rive del lago Gesù ha consegnato le chiavi del regno dei cieli all'apostolo Pietro e lì si trova la basilica dedicata alla Cattedra di San Pietro". Il 28 febbraio alle 20.00 tutte le parrocchie della Terra Santa hanno celebrato la messa solenne in onore del Papa e per pregare per i cardinali chiamati ad eleggere il nuovo successore di Pietro. La comunità di Nazareth ha commemorato la visita di Benedetto XVI del 2009, utilizzando per la Messa gli stessi paramenti sacri indossati dal Papa. "Io stesso - racconta mons. Marcuzzo - ho avuto l'onore di indossare la casula e di accendere il candelabro d'argento donato dal Papa". Per ringraziare il Santo Padre, il sacrestano della basilica ha realizzato un cartellone con scritto "grazie Benedetto" in varie lingue. "Alla fine della celebrazione - aggiunge il prelato - la gente aveva riempito il pannello con preghiere e messaggi di augurio e sul sagrato centinaia di fedeli mi hanno letteralmente accerchiato, chiedendo di inviare al Papa le loro preghiere, i messaggi di vicinanza e invitandolo a tornare in Terra Santa da Papa emerito". (R.P.)


09/03/2013 fonte Radio Vaticana

Sfruttamento di minori e traffico di esseri umani nella denuncia di mons. Tomasi all’Onu





Schiavitù, prostituzione infantile, pedopornografia crescono nel mondo e la maggior parte delle vittime sono donne: lo ha ricordato mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, intervenendo alla 22.ma sessione del Consiglio dei Diritti Umani. Almeno 136 nazionalità in 118 Paesi sono colpite a diverso titolo dal drammatico fenomeno del traffico di esseri umani. La maggior parte delle vittime sono donne, circa il 60%, ma ci sono anche tanti bambini. E purtroppo il numero dei minori cresce in modo allarmante: è passato in 3 anni dal 20% al 27%. L’inaccettabile traffico di esseri umani, che comporta il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale, frutta ai mercanti di schiavitù miliardi e miliardi di dollari all’anno. Mons. Tomasi ricorda che in molti Paesi lo sfruttamento dei bambini è possibile per una situazione di estrema debolezza legislativa e dunque incoraggia a livello internazionale a fare pressione perché tutti i Paesi abbiano normative adeguate contro il traffico di esseri umani e poi chiede forme più incisive di cooperazione regionale per il rispetto dei diritti umani. Ma nello stesso tempo mons. Tomasi sottolinea come il crescere dell’organizzazione internazione della "offerta” sia dovuta al crescere drammatico della "domanda” e che dunque bisogna anche agire per un’azione forte contro coloro che potremmo definire i "consumatori”, coloro che pagano per inaccettabili prestazioni sessuali. E’ necessario combattere impunità e corruzione che sono dietro a tali fenomeni. E poi una raccomandazione di mons.Tomasi in considerazione delle vittime: è fondamentale assicurare forme di assistenza a chi ha subito schiavitù sul lavoro o schiavitù sessuale per creare le condizioni per riportarle a una vita dignitosa all’interno della società. Dopo aver raccomandato l’impegno sul piano legislativo, però, Mons.Tomasi ricorda che non può essere tutto risolto attraverso le normative: bisogna anche combattere la cultura che spinge a comportamenti indegni e bisogna combattere la povertà che porta tanti alla disperazione di vendere il proprio corpo o addirittura i propri figli. (F.S.)


09/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 05/03/2013 San Lucio papa




Assurse al soglio pontificale il 25 giugno del 253, pochi giorni dopo la morte del suo predecessore Cornelio.
Non è dato sapere come ma nonostante il suo brevissimo pontificato riuscì ad emanare il decreto per il quale: "... ogni presbitero doveva essere accompagnato da due preti e tre diaconi... a testimonianza del comportamento di tutti".
Il suo papato, dopo la morte dell'imperatore Treboniano Gallo e l'evento di Valeriano, fu da considerarsi abbastanza tranquillo sul fronte delle persecuzioni.
Dopo un breve esilio a Lucio fu concesso di ritornare a Roma. Morì di morte naturale e fu sepolto nella cripta di san Callisto o forse di santa Cecilia.Dapprima dichiarato santo per il suo martirio, Lucio fu successivamente cancellato dal Calendario Universale della Chiesa.


Se un "vescovo vagante" s'infiltra in Vaticano
 



Ha fatto sensazione - specie sulla stampa straniera - la bizzarra vicenda del «vescovo» Ralph Napierski, un personaggio che si è presentato in Vaticano vestito con paramenti episcopali ed è riuscito a mescolarsi ai cardinali che si avviavano alla prima congregazione generale preparatoria al Conclave, e ha perfino rilasciato qualche dichiarazione ai giornalisti, prima di essere identificato ed espulso. Tutto sommato, la sicurezza vaticana ha reagito abbastanza rapidamente, e non è il caso di allarmarsi. Non varrebbe neanche la pena di occuparsi di Napierski, se non fosse che l'episodio richiama a soffermarsi su chi sono esattamente i «vescovi vaganti», personaggi che spesso si presentano anche nelle diocesi italiane, ingannando sacerdoti e giornalisti e creando un buon numero di problemi, e sul cui conto chi scrive riceve richieste di chiarimenti almeno una volta al mese.

I «vescovi vaganti» come Napierski non sono semplicemente vescovi «falsi», impostori che si vestono da vescovi. A richiesta, esibiscono una serie di documenti che dovrebbero provare che sono vescovi «veri», ancorché non in comunione con la Chiesa Cattolica di Roma. Spesso si dichiarano «ortodossi» o «vetero-cattolici», ma in realtà non sono in comunione né con le Chiese Ortodosse né con la Chiesa Vetero-Cattolica o Vecchio-Cattolica, uno scisma che nasce dal giansenismo e si alimenta poi con chi rifiuta l'infallibilità pontificia proclamata dal Concilio Vaticano I e che in diversi cantoni svizzeri è riconosciuto fra le religioni sostenute dallo Stato.

Chi sono, allora, i «vaganti»? Le loro esperienze non nascono – nella maggior parte dei casi – da un dissenso teologico chiaramente riconoscibile nella sua cornice dottrinale, ma piuttosto dalla ricerca di un episcopato «autonomo» da parte di singoli personaggi che riescono in genere a radunare un numero piuttosto modesto di seguaci, e che del resto vanno a cercare la loro legittimità non solo nel mondo cattolico, ma anche in quello ortodosso ovvero anglicano. 
Lo strano fenomeno dei «vaganti» nasce dalla dottrina prevalente nel mondo cattolico secondo cui un vescovo, anche separato dalla comunione con Roma, conserva la potestà di consacrare vescovi e ordinare sacerdoti. Non bisogna infatti confondere validità e liceità. Tali vescovi e sacerdoti saranno consacrati e ordinati illecitamente - chi li consacra farà un peccato mortale, e sarà passibile di scomunica -, ma validamente; e ciascun vescovo consacrato illecitamente potrà a sua volta validamente (e illecitamente) consacrare altri vescovi e ordinare altri sacerdoti.

I «vaganti», come documentato da diversi specialisti, sono nel mondo diverse migliaia. Alcune catene risalgono al secolo scorso, altre sono di origine più recente. È difficile, naturalmente, dire con certezza se un «vagante» odierno, che si situa al termine di una di queste catene, sia stato consacrato validamente: è necessaria, infatti, la validità di ogni singolo passaggio della catena, e nel mondo dei «vaganti» non mancano irregolarità tali da escludere tale validità, come consacrazioni per posta e consacrazioni episcopali di donne (per definizione non solo illecite, ma anche invalide dal punto di vista cattolico).

Quello che è certo è che per i «vaganti» la validità – potenzialmente suscettibile di essere riconosciuta dalla teologia cattolica – della loro consacrazione è un punto d’onore sostenuto con zelo e con calore. 
Dal punto di vista sociologico, i «vaganti» sono molto diversi fra loro. Se ne possono distinguere due categorie. La prima comprende semplici avventurieri, pronti a sfruttare la confusione del pubblico - che normalmente non distingue fra un «vagante» e un vescovo cattolico in comunione con Roma - a fini meramente utilitaristici. Molti «vaganti» fanno commercio di ordinazioni sacerdotali, di reliquie «con autentica episcopale», di titoli cavallereschi e di diplomi universitari senza valore legale. Sono tutte attività che sono diventate tipiche di una parte di questo mondo e che in alcuni Paesi sono illegali, così che si legge talora che la polizia ha semplicemente arrestato un «falso vescovo», anche se quando ci si trova di fronte a un «vagante» le cose sono in realtà più complesse.

Nel secondo caso, i «vaganti» sono figure romantiche che sognano di ricreare forme antiche e perdute di cristianesimo, personaggi ingenui, ma non necessariamente truffatori. Ma che talora, una volta ordinati, attaccano la Chiesa su punti di teologia e di morale. 
Ralph Napierski - che si muove fra Australia, Inghilterra e Germania - a prima vista può sembrare un «vagante» del secondo tipo. La sua (piccolissima) organizzazione, Corpus Christi, cui è collegata un'Abbazia della Santa Rosa, offre antiche liturgie celtiche e attacca la Chiesa sia sulla sua storia - sostenendo che Dan Brown ha ragione e che Gesù era sposato con Maria Maddalena - sia sulla sua morale. 
Napierski si fa spesso fotografare a manifestazioni di omosessuali e lesbiche. Ma in realtà, a più attento esame, il personaggio che si è presentato in Vaticano è un «vagante» del primo tipo, quello commerciale e truffaldino. Si guadagna da vivere vendendo titoli cavallereschi e «lauree» di un'università tutta sua, la Jesus Christ University. 
Lo fanno tanti altri «vescovi vaganti» che percorrono le diocesi italiane - spesso accolti da sacerdoti ingenui che magari li scambiano per «ortodossi» e li accolgono in nome dell'ecumenismo -: ma naturalmente i titoli cavallereschi e le lauree sono tutti di pura fantasia.

Napierski, però, non è un semplice truffatore vestito da vescovo. È un tipico «vagante», con una genealogia interessante. Per capirla, occorre fare due premesse. La prima è che il maggior numero di «vaganti» oggi presenti nel mondo nasce dalle consacrazioni episcopali illecite celebrate dall’arcivescovo emerito di Hué, il vietnamita Pierre-Martin Ngô-Dinh Thuc (1897-1984). Thuc era fratello del presidente del Vietnam del Sud Ngô-Dinh Diêm (1901-1963). E proprio perché accusava la Santa Sede di avere abbandonato ai comunisti il Vietnam, oltre che per le sue idee utra-conservatrici, Thuc lasciò la Chiesa Cattolica ed è all'origine di centinaia di «vescovi vaganti», prima di morire riconciliato con Roma nel 1984.

La seconda premessa è che oltre ai «vescovi vaganti» nel mondo esistono anche una dozzina di personaggi con pretese più elevate, che hanno radunato un po' di «vaganti» e si sono fatti eleggere Papi, o meglio antipapi. L'antipapa di maggiore successo dei tempi moderni è stato uno spagnolo, Clemente Domínguez y Gómez (1946-2005), che si è proclamato Pontefice con il nome di Gregorio XVII ed è riuscito a radunare diverse migliaia di seguaci intorno al suo Vaticano alternativo di Palmar de Troya, presso Siviglia, oggi in crisi dopo la sua morte nel 2005 e le beghe fra i suoi successori. 
Gregorio XVII era un Papa finto, ma un vescovo consacrato validamente, ancorché illecitamente. Infatti il solito Thuc lo aveva consacrato vescovo nel 1976. E lo stesso Gregorio XVII, forte della consacrazione di Thuc, si mise a sua volta a consacrare vescovi un buon numero di suoi seguaci. Fra questi, nel 1978, il tedesco Alfred Seiwert-Fleige. Il quale però, come molti vescovi consacrati da Gregorio XVII, finirà per abbandonare la sua «Chiesa Cattolica Palmariana», dedicandosi dal 1980 alla più lucrosa attività di consacrare vescovi dietro corrispettivi in denaro.

Ed è proprio Seiwert-Fleige ad avere consacrato vescovo Napieski. Tra l'altro Seiwert-Fleige nel 2001 era riuscito a infiltrarsi in una Messa concelebrata in Vaticano e a farsi fotografare con il beato Giovanni Paolo II (1920-2005). E, preso da dubbi sulla sua consacrazione «palmariana», lo stesso Seiwert-Fleige si era fatto riconsacrare nel 1995 in Francia da Antoine Roux, a sua volta consacrato vescovo direttamente da Thuc e noto per una bella fotografia dove, a un'udienza di Benedetto XVI, saluta Papa Ratzinger.

Questi dati possono sembrare complicati, ma ci danno una lezione. Non bisogna fidarsi neppure delle foto con i Pontefici, che purtroppo non è così difficile farsi scattare. Quando qualcuno si presenta come «vescovo cattolico» non è detto che lo sia. Se vende lauree, reliquie o titoli cavallereschi probabilmente non lo è. È meglio controllare sempre, come hanno fatto i gendarmi pontifici, più prudenti di qualche cardinale che c'è cascato e si è fatto fotografare con l'allegro Napierski.


05/03/2013 fonte La nuova bussola quotidiana





Pechino, vescovi illeciti e scomunicati promossi a cariche politiche nel Parlamento e nella Conferenza consultiva



di Jian Mei
Il vescovo di Shantou è membro dell'Anp; quelli di Kunming, Mindong, Leshan sono membri della Conferenza consultiva. Tutti loro sono illeciti; due sono ufficialmente scomunicati. Altri tre vescovi inseriti per la prima volta negli organismi politici, hanno preso parte o presieduto a ordinazioni senza il mandato della Santa Sede. 


Pechino (AsiaNews) - Almeno quattro vescovi illeciti - e qualcuno ufficialmente scomunicato - sono stati nominati o rinominati a far parte della 12ma Assemblea nazionale del popolo (Anp), il parlamento cinese, e della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (Ccppc), le due strutture politiche più importanti della Repubblica popolare. Entrambi i raduni, con migliaia di partecipanti, sono in atto nella capitale: l'Anp è iniziata stamane; la Ccppc è cominciata il 3 marzo scorso.

Il vescovo Huang Bingzhang di Shantou, ordinato in modo illecito e ufficialmente scomunicato dalla Santa Sede nel 2011, è stato nominato di nuovo membro dell'Anp.

Altri tre vescovi illegittimi sono stati scelti per il Ccppc: Ma Yinglin di Kunming, presidente della cosiddetta "Conferenza episcopale cinese" [non riconosciuta dalla Santa Sede]; Zhan Silu di Mindong, vicepresidente della stessa Conferenza; Lei Shiyin di Leshan, vicepresidente dell'Associazione patriottica. Anche Lei è stato scomunicato ufficialmente dalla Santa Sede nel 2011.

Nel settore "Religioni" del Ccppc sono stati inseriti altri sei cattolici: mons. Li Shan, arcivescovo di Pechino; Shen Bin di Haimen; Jin Luxian di Shanghai; Fan Xinyao di Linyi; Meng Qinglu di Hohhot; il laico Liu Yuanlong.

Li Shan, Shen Bin e Meng Qinglu sono membri del Ccppc per la prima volta. Ad eccezione di mons. Jin Lu Xian (96 anni e molto malato), gli altri hanno presieduto o preso parte alle ordinazioni illecite di Chengde (novembre 2010), Leshan (giugno 2011), Shantou (luglio 2011) e/o Harbin (luglio 2012)

La salute di mons. Jin è peggiorata anche dopo le forti reazioni del governo cinese verso mons. Taddeo Ma Daqin, il vescovo ausiliare arrestato subito dopo la cerimonia per aver osato dimettersi dall'Ap.

Al Ccppc, si è conclusa la presidenza di Jia Qinglin, membro della cosiddetta "cricca di Shanghai", sotto il patronato dell'ex presidente Jiang Zemin. Nel dicembre 2010 egli ha ricevuto tutti i partecipanti all'Ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici a Pechino [v. foto - un organismo che la Santa Sede giudica "inconciliabile con la dottrina cattolica"- ndr] e li ha esortati a "mantenere il principio di indipendenza e di autogestione della Chiesa", come pure a "resistere all'infiltrazione delle forze straniere". Gli è succeduto Yu Zhengsheng, 67 anni, membro permanente del Politburo, già segretario del Partito a Shanghai. Secondo alcuni cattolici, Yu non è estraneo all'arresto di mons. Ma Daqin.

L'Anp e il Ccppc si tengono ogni anno a Pechino e si svolgono in modo quasi parallelo, e si concluderanno il 17 marzo. La questione più importante per quest'anno sarà la conferma della transizione alla nuova leadership di Xi Jinping (segretario e presidente) e di Li Keqiang (premier), oltre alle relazioni sullo stato del Paese, da parte del premier uscente Wen Jiabao, e quelle su diverse strutture politiche, militari e giudiziarie.


05/03/2013 fonte Asia News

Convegno alla Salesiana: “Oltre la crisi: finanza responsabile e solidale“




"Oltre la crisi: finanza responsabile e solidale” è il tema di un Convegno interdisciplinare ospitato ieri dalla Pontificia Università Salesiana, con la presenza di pesonalità del mondo accademico, dell’impreditoria e dell’informazione. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Mauro Mantovani, decano della Facoltà di Scienza della Comunicazione sociale, che insieme alla Facoltà di Filosofia ha promosso la giornata di studio, all’interno della Settimana culturale delle Scienze umanistiche: 

D. - Prof. Mantovani, filosofia, impresa e giornalismo una triade inedita chiamata a riflettere sulla crisi economica, che forse non è solo crisi di numeri, di segni meno e più davanti ai bilanci di Stati e imprese...
R. – Sì, al di là di quelli che sono gli aspetti più tecnici della crisi economica e finanziaria, noi crediamo che ci siano da affrontare soprattutto gli elementi fondamentali di carattere antropologico, etico, si potrebbe dire anche metafisico e teologico, proprio per leggere in senso più ampio ciò che sta avvenendo, e poter offrire risposte di più lunga durata e anche di maggiore efficacia.

D. – Tra gli interrogativi posti all’attenzione dei relatori, vi sono stati "quale finanza è responsabile" e "quale finanza è solidale": che cosa è emerso da dibattito?

R. – Il Convegno ha voluto partire da un excursus storico-filosofico su come è stato pensato il denaro, la moneta, la finanza e anche porre uno sguardo su altre tradizioni, per esempio quella islamica nella storia. Poi abbiamo cercato – grazie alla presenza di rappresentanti delle istituzioni, dell’imprenditoria italiana, docenti universitari, anche operatori della comunicazione – di rispondere alle domande: "Quale finanza è responsabile, quale è solidale e quali criteri per rendere la finanza responsabile e solidale?”. Ed è emerso certamente il fatto che bisogna puntare su un’educazione basata sui valori del primato della persona in relazione, della solidarietà e sussidiarietà – sono termini che tutti usano, però bisogna approfondirli effettivamente – sul ruolo dell’impresa e della banca, secondo nuovi modelli in cui vi sia una maggiore sobrietà ed essenzialità. Ma si punta anche a una distribuzione più equa delle risorse, sulla trasparenza, sulla presenza e valorizzazione del territorio. Sono tutti aspetti che devono essere promossi e che devono aiutarci a trovare una risposta alle problematiche che stiamo vivendo.

D. – Ci si è chiesto anche come rispondere alle attese dei cittadini che vogliono partecipare maggiormente alle decisioni economiche e sono stanchi, in qualche modo, di stare alla finestra a guardare gli errori commessi sovente da un’oligarchia di poteri forti, spesso transnazionali?

R. – Sì. Soprattutto nell’intervento conclusivo di mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, è emerso questo tema, anche a proposito dell’importanza della regolamentazione della finanza anche a livello internazionale. Uno dei temi sui quali si discute è proprio l’importanza, che viene segnalata anche nei documenti del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, di una Autorità a livello mondiale che evidentemente non deve essere un problema per quanto riguarda la responsabilità e la partecipazione a livello regionale – si parlava dell’Europa – o locale, ma deve realizzare effettivamente quanto si dice nella Caritas in Veritate, ossia: entrare nella prospettiva del bene comune a livello internazionale, a livello mondiale. Benedetto XVI parla nella Caritas in Veritate proprio dell’approfondire il senso del nostro essere un’unica famiglia umana: oggi, sembra che venga messo in discussione il fatto che ci sia un bene comune dell’intera famiglia umana. Noi abbiamo voluto ribadire questa importanza del bene comune universale di tutti gli uomini e di ogni uomo, nella promozione della sua dignità.


05/03/2013 fonte Radio Vaticana




Benedetto XVI: la concordia dei discepoli è condizione perché venga lo Spirito Santo




Il collegio cardinalizio che si riunisce in preghiera per invocare lo Spirito Santo: è questa una delle immagini della prima Congregazione generale tra le più emblematiche della fase di transizione che sta vivendo la Chiesa, in vista dell’elezione del nuovo Pontefice. In questi otto anni, Benedetto XVI è tornato più volte a riflettere e sottolineare l’importanza dell’invocazione dello Spirito. Lo ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis: 

"La concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera”. Sono parole che sembrano un messaggio di Benedetto XVI alla Chiesa che vive questi giorni così particolari. Invece, sono tratte dalla sua omelia di Pentecoste del 2009. L’immagine dei cardinali in preghiera in Vaticano restituisce quella degli Apostoli nel Cenacolo, dove il protagonista che sta per aprire la nuova stagione della Chiesa è lo Spirito, con il suo vento e il suo fuoco. Due elementi di forza dai quali, ha osservato Benedetto XVI, il cristiano non può prescindere come i polmoni non possono fare a meno dell’ossigeno:

"Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale”. (Omelia di Pentecoste, 31 maggio 2009)

Il veleno, spiega Benedetto XVI, sta in quella sempre più accentuata autonomia, anche da Dio, che tanta parte di umanità ha deciso da tempo di rivendicare. Se non che, ha più volte ricordato, la stessa umanità ha pagato un prezzo altissimo quando da coloro nei quali l’anima aveva smesso di funzionare fuoco e il vento sono, sì, scaturiti ma con altri esiti:

"Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare. E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore”. (Omelia di Pentecoste, 23 maggio 2010)

È la fiamma con cui Cristo ha dato forma alla Chiesa e con la quale gli Apostoli hanno poi incendiato il mondo:

"Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo l’ha creata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbraccia il mondo intero, supera tutte le frontiere di razza, classe, nazione; abbatte tutte le barriere e unisce gli uomini nella professione del Dio uno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cattolica e apostolica: questa è la sua vera natura e come tale deve essere riconosciuta. Essa è santa, non grazie alla capacità dei suoi membri, ma perché Dio stesso, con il suo Spirito, la crea, la purifica e la santifica sempre”. (Omelia di Pentecoste, 12 maggio 2011)

Mentre all’orizzonte si profila il Conclave e nella Basilica di S. Pietro, a pochi metri dal "cenacolo” dei cardinali, si invoca senza interruzione lo spirito Santo, è bello riascoltare la preghiera che Benedetto XVI innalzò tre anni fa al "Dio sconosciuto”:

"Vieni, Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo, per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen”. (Omelia di Pentecoste, 23 maggio 2010)


05/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 04/03/2013 San Casimiro principe polacco



Il principe Casimiro, soprannominato dai suoi compatrioti "uomo di pace”, nacque a Cracovia il 3 ottobre 1458, terzo dei tredici figli di Casimiro IV, re di Polonia, e di Elisabetta d’Austria, figlia dell’imperatore Alberto II. Il matrimonio tra i due, rivelatasi un’unione felice oltre che fertile, era stato combinato con l’aiuto di Giovanni Dlugosz, storiografo e canonico di Cracovia, religioso schivo ma di grande erudizione e santità. Proprio a lui fu dunque affidata l’educazione di Casimiro quando questi raggiunse l’età di nove anni ed il sacerdote si rivelò un ottimo insegnante, severo al punto giusto, quasi un secondo padre per il piccolo principe.
Non ancora quindicenne, in seguito alla richiesta da parte della nobiltà ungherese, il padre inviò Casimiro a guidare un esercitò contro il sovrano ungherese, Mattia Corvino. Quando però Casimiro venne a sapere che Mattia disponeva di truppe ben più numerose delle sue e si rese conto di essere stato abbandonato sia dalla nobiltà ungherese che in un primo tempo aveva richiesto il suo intervento, ma anche dalle proprie truppe in diserzione, accolse favorevolmente il consiglio dei suoi ufficiali ed interruppe la spedizione.
Intanto il pontefice Sisto IV, temendo forse che la guerra rischiasse solo di favorire la causa turca, aveva inoltrato un appello di desistenza al sovrano polacco. Il re, dimostratosi disponibile ad un colloquio di pace, inviò un messaggero al figlio, che però con sua grande vergogna scoprì già ritiratosi. Per castigo fu vietato a Casimiro di fare ritorno a Cracovia e venne rinchiuso per tre mesi nel castello di Dobzki. Nonostante le pressioni del padre e le nuove richieste da parte dei nobili magiari, Casimiro non si lasciò mai più persuadere ad abbracciare le armi.
Pare che il giovane principe non ambisse a posizioni di governo e preferiva piuttosto attivarsi in favore dei poveri, degli oppressi, dei pellegrini e dei prigionieri. Era solito infatti denunciare al re suo padre tutte le ingiustizie nei confronti dei poveri ed ogni loro necessità di cui veniva a conoscenza. Grande gioia provò quando decise di dovare tutti i suoi beni ai bisognosi, che presero a definirlo "difensore dei poveri”.
La sua vita fu da allora più monastica che principesca, il suo carattere mite ed umile lo spinse ad occuparsi più della Chiesa che della vita di corte. Trascorreva infatti gran parte del suo tempo in chiesa, tra preghiera personale e funzioni liturgiche, spesso dimenticandosi addirittura di mangiare, e di notte tornava a pregare dinnanzi ai portoni chiusi della chiesa. Solitamente gentile con tutti, fu però duro contro gli sismatici: proprio dietro sua insistenza il padre vietò il restauro delle chiese ove essi erano soliti riunirsi. Grande devoto della Madonna, nella sua bara fu posta una copia del suo inno preferito: "Omni die dic Marie”.
Nessuno riuscì a convincerlo a convolare a nozze con la promessa sposa, una figlia di San Ferdinando III di Castiglia. Egli sosteneva di non conoscere altra salvezza se non in Cristo e profetizzava la sua vicina scomparsa per stare con Lui in eterno. Casimiro morì infatti di tubercolosi, a soli ventisei anni, il 4 marzo 1484 a Grodno. Le sue spoglie trovarono sepoltura nella cattedrale di Vilnius, odierna capitale lituana, ove ancora oggi sono venerate.
Sulla sua tomba si verificarono moltissimi miracoli ed il re Sigismondo decise di inoltrare al papa Leone X una petizione per richiedere la canonizzazione del principe polacco. Nel 1521 tale papa dichiarò San Casimiro patrono della Polonia e della Lituania, ma fu ufficialmente canonizzato solo nel 1602 dal pontefice Clemente VIII e nel 1621 la sua festa venne estesa alla Chiesa universale. Il clto del santo è rimasto assai vivo anche tra i polacchi ed i lituani emigrati in America.
Vasta è l’iconografia di questo santo polacco: celebre è il suo ritratto eseguito da Carlo Dolci e molti altri dipinti lo raffigurano con in mano una pergamena, riportante alcune parole del suo inno mariano prediletto, ed un giglio, simbolo di castità. San Casimiro è infatti particolarmente invocato contro le tentazioni carnali.


Dalla "Vita di san Casimiro", scritta da un autore quasi contemporaneo.

La carità quasi incredibile, certamente non simulata ma sincera, di cui ardeva verso Dio onnipotente per opera di quello Spirito divino, era talmente diffusa nel cuore di Casimiro, tanto traboccava e dalle profondità del cuore tanto si riversava sul prossimo, che nulla gli era più gradito, nulla più desiderato che donare ai poveri di Cristo, ai pellegrini, ai malati, ai prigionieri, ai perseguitati non solo i propri beni, ma tutto se stesso.
Per le vedove, gli orfani, gli oppressi fu non solo un protettore, non solo un difensore, ma un padre, un figlio, un fratello. E qui sarebbe necessario scrivere una lunga storia se si volessero descrivere i singoli atti di carità e di grande amore che in lui fiorirono verso Dio e verso gli uomini. In che misura poi egli praticò la giustizia e abbracciò la temperanza, di quanta prudenza fu dotato e da quale fortezza e costanza d'animo fu sostenuto, soprattutto in quell'età più libera nella quale gli uomini di solito sono più sconsiderati e per natura più inclini al male, é difficile dire o pensare.
Ogni giorno persuadeva il padre a praticare la giustizia nel governo del regno e dei popoli a lui sottomessi. E mai tralasciò di riprendere con umiltà il re se talvolta, per incuria o per debolezza umana, qualcosa veniva trascurato nel governo. Difendeva ed abbracciava come sue le cause dei poveri e dei miserabili, per cui dal popolo veniva chiamato difensore dei poveri. E benché fosse figlio del re e nobile per la dignità della nascita, mai si mostrava superiore nel tratto e nella conversazione con qualsiasi persona, per quanto umile e di bassa condizione. Volle sempre essere considerato fra i miti ed i poveri di spirito, ai quali appartiene il regno dei cieli, piuttosto che fra i potenti e i grandi di questo secolo. Non desiderò il supremo potere, né mai lo volle accettare quando gli fu offerto dal padre, temendo che il suo animo fosse ferito dagli stimoli delle ricchezze, che il nostro Signore Gesù Cristo ha chiamato spine, o fosse contaminato dal contagio delle cose terrene.
Tutti i suoi domestici e segretari, uomini insigni e ottimi, dei quali alcuni sono ancora viventi e che lo conobbero intimamente, asseriscono e testimoniano che egli visse vergine fino alla fine e vergine chiuse il suo ultimo giorno.(Cap. 2-3; Acta Sanctorum Martii 1, 347-348)


Prime Congregazioni generali dei cardinali: clima di grande serenità, sarà inviato un messaggio a Benedetto XVI
      



Prima giornata di Congregazione generale del Collegio dei cardinali. Dalle 17.00 alle 19.00 circa, nell’Aula nuova del Sinodo, la seconda Congregazione con la meditazione di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia. E' stato deciso che domani e mercoledì si terrà una Congregazione solo al mattino. Questa mattina la prima Congregazione alla quale hanno partecipato 142 porporati, 103 dei quali elettori, ha riferito stamani padre Federico Lombardi, nel briefing in Sala stampa vaticana. Ci riferisce Benedetta Capelli:  

Come accadde nel 2005, anche stavolta la prima meditazione è stata affidata a padre Raniero Cantalamessa. La seconda è prevista – come stabilito dalla Costituzione Universi Dominici Gregis- all’inizio del Conclave, la cui data – ha riferito nel corso del briefing in Sala stampa, padre Federico Lombardi, non è stata ancora decisa: 

"Credo che il punto sia questo, cioè capire se ci sono assenti da aspettare oppure no. Quando sia chiaro, quando tutti quelli che devono arrivare sono o saranno arrivati, ci si può orientare”.

Riferendo della prima Congregazione, padre Lombardi ha parlato di un clima sereno e costruttivo. Due i momenti salienti: il sorteggio dei tre cardinali che aiuteranno il Camerlengo nello svolgimento delle attività ordinarie e il giuramento dei porporati: 

"Il giuramento si svolge come descritto al numero 12 della Costituzione Universi Dominici Gregis: prima con una formula che viene detta da tutti allo stesso tempo, guidata dal Decano; poi tutti i singoli cardinali presenti passano davanti al tavolo della presidenza dove c’è il Vangelo aperto ed in alto il Crocifisso e fanno la loro personale adesione al giuramento”.

E’ in preparazione poi un messaggio che i cardinali indirizzeranno al Papa emerito Benedetto XVI. 

"Questo è ancora da fare. Quando ci sarà, penso che avremo il testo, probabilmente oggi pomeriggio o domani. È stato approvato comunque che il collegio dei cardinale invii un messaggio al Papa Emerito”.

Nei 13 interventi dei porporati, seguiti alla pausa, molti hanno fatto domande sull’organizzazione di questi giorni. Non si è ancora provveduto – ha proseguito ancora padre Lombardi – all’annullamento del sigillo e dell’anello piscatorio. Sono poi saliti a 4.300 i giornalisti accreditati in Vaticano per questo momento importante della vita della Chiesa. 


04/03/2013 fonte Radio Vaticana





Benedetto XVI: il vero rinnovamento della Chiesa parte dall'incontro con Cristo risorto
     



La speranza di un vero rinnovamento della Chiesa, che a partire dall’incontro con Cristo risorto, possa portare il Vangelo dell’amore all’umanità di tutti i tempi: l’ha espressa Benedetto XVI nel suo incontro con i sacerdoti di Roma il 14 febbraio scorso, parlando del Concilio Vaticano II. E’ un pensiero che ha attraversato tutto questo pontificato e che è stato espresso in modo particolarmente forte durante il viaggio apostolico in Germania nel settembre 2011. Una speranza che è tornata a farsi sentire in maniera viva negli ultimi giorni del ministero petrino di Benedetto XVI. Ce ne parla Sergio Centofanti. 

"La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede”: è la convinzione di Benedetto XVI che, in Germania, sottolinea con forza: è "l’ora di trovare il vero distacco del mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa. Questo, naturalmente, non vuol dire ritirarsi dal mondo, anzi, il contrario. Una Chiesa alleggerita degli elementi mondani è capace di comunicare agli uomini – ai sofferenti come a coloro che li aiutano – proprio anche nell’ambito sociale-caritativo, la particolare forza vitale della fede cristiana”. Ma occorre superare le tentazioni subite da Gesù nel deserto, ha ribadito nel suo penultimo Angelus il 17 febbraio scorso:

"Il loro nucleo centrale consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore è subdolo: non spinge direttamente verso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. In questo modo, Dio diventa secondario, si riduce a un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce. In ultima analisi, nelle tentazioni è in gioco la fede, perché è in gioco Dio”.

Benedetto XVI parla di "eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito”. Sottolinea che "gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata dal mondo emerge in modo più chiaro. Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo”. Invita a cercare nuove vie di evangelizzazione: "una di queste vie – dice – potrebbe essere costituita dalle piccole comunità, dove si vivono amicizie, che sono approfondite, nella frequente adorazione comunitaria di Dio”. Pensiero ripreso nell’ultimo incontro con i cardinali il 28 febbraio:

"La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo”.

In Benedetto XVI è la fiducia a prevalere: è la stessa storia – afferma - che "viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore. Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spoglia, per così dire, della sua ricchezza terrena e torna ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena”. Una fiducia grande nella forza vitale della Parola di Dio, come ha sottolineato nuovamente nell’ultima udienza generale del 27 febbraio: 

"In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia”.

Alla Beata Madre Teresa – ricorda Benedetto XVI – una volta, un tale chiese di dire "quale fosse, secondo lei, la prima cosa da cambiare nella Chiesa. La sua risposta fu: Lei ed io!”. Il vero rinnovamento parte, dunque, da una continua conversione personale. E parlando ai sacerdoti di Roma del vero Concilio Vaticano II, non quello virtuale diffuso dai media, così li ha esortati:

"E’ nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa. Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore! Grazie!”.


04/03/2013 fonte Radio Vaticana

Senso di vuoto e attesa nei fedeli in Piazza San Pietro






Vuoto, silenzio e attesa sono i stati sentimenti che hanno vissuto ieri i fedeli nella prima domenica di sede vacante. Fedeli che anche ieri sono giunti numerosi in piazza San Pietro, per esprimere vicinanza a Joseph Ratzinger e pregare sotto la finestra chiusa dell'appartamento papale. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte in piazza da Marina Tomarro: 

R. - E’ una domenica un po’ particolare. Una domenica strana, in un certo senso… Recandomi in piazza San Pietro, questa mattina, ho visto molta gente che continuava a guardare quella finestra. Sicuramente c’è un vuoto, un vuoto che però la gente ha capito: vuole anche oggi, nonostante la finestra chiusa, dare un segno di presenza e di ascolto del silenzio. 

R. - Tante volte noi ci abituiamo a delle cose e non ne capiamo il valore se non quando ci mancano, quando sono assenti. Quindi penso che tutto questo ci risveglia una grande attesa, ma non timore, non paura…

D. - Tra pochi giorni comincerà anche il Conclave: in che modo ci possiamo preparare a vivere, davvero col cuore, questo momento storico per la Chiesa cattolica?

R. - E’ l’Anno della Fede e penso che la cosa migliore sia quella di capire, di leggere in profondità, che cosa questo gesto del Papa ha detto proprio per la fede di ciascuno di noi. Quindi penso che la cosa migliore sia quella di riscoprire il senso della fede: una fede più profonda, più vissuta, forse con meno parole e meno immagini, ma con più cuore, più vita.

R. - Con la preghiera, affidando al Signore la Chiesa e aprendoci a quello che lo Spirito Santo ci dice e ci suggerisce.


04/03/2013 fonte Radio Vaticana

Prima domenica senza l'Angelus di Benedetto XVI, recitato 455 volte con milioni di fedeli






Dopo la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI e l’inizio della Sede vacante, ieri è stata la prima domenica senza la recita dell’Angelus. Dal primo Regina Caeli del primo maggio 2005, all’ultimo Angelus dello scorso 24 febbraio, si contano a milioni le persone che ogni domenica, in Piazza San Pietro e qualche volta altrove, hanno atteso Benedetto XVI per ascoltarlo e recitare con lui la preghiera mariana di mezzogiorno. In otto anni, per 455 volte, quel momento è diventato un’occasione privilegiata per il Papa, ora emerito, di accostarsi ai fedeli come maestro di fede solido e comprensibile. Un guida che fin da subito ha chiarito su quali fondamenta avrebbe poggiato il suo magistero. Alessandro De Carolis lo ricorda in questo servizio: 

"La parola che riassume tutta la rivelazione è questa: Dio è amore”.

È domenica 22 maggio 2005 quando Benedetto XVI pronuncia questa frase, nel suo primo Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico vaticano. In realtà, dalla sua elezione, è la quarta volta che ripete quel gesto – definito al suo primo apparire "un’amabile consuetudine” – ma nelle tre volte precedenti si è trattato di un Regina Caeli, la preghiera che nel periodo di Pasqua sostituisce l’Angelus, e in quei casi le sue brevi considerazioni sono state dedicate a temi contingenti, come la Festa del lavoro, la Giornata delle comunicazioni sociali e così via. È soprattutto in quel 22 maggio che comincia invece a prendere forma la funzione e il valore che Benedetto XVI attribuisce a quei 10 minuti di mezzogiorno: offrire una piccola "omelia” sulla liturgia del giorno, la lectio divina in forma breve con cui ogni domenica, nella chiesa a cielo aperto di Piazza San Pietro, il Papa teologo si fa "parroco” per chi si ferma ad ascoltarlo giù tra la folla o davanti alla tv, dalla radio o in streaming via web. In quell’Angelus-"pilota” del 22 maggio 2005, Solennità della Santissima Trinità, il nuovo maestro mette subito in luce il nucleo della fede cristiana e insieme – e lo dimostrerà anche la sua prima Enciclica Deus caritas est – il fulcro della sua stessa spiritualità:

"La parola che riassume tutta la rivelazione è questa: ‘Dio è amore’; e l’amore è sempre un mistero, una realtà che supera la ragione senza contraddirla, anzi, esaltandone le potenzialità”.

"Dio Amore”, fede e ragione a confronto: c’è già in questa affermazione l’essenza del magistero che si svilupperà negli anni a venire. Le parole successive sul mistero trinitario – "Gesù ci ha rivelato il mistero di Dio: Lui, il Figlio, ci ha fatto conoscere il Padre che è nei Cieli, e ci ha donato lo Spirito Santo, l’Amore del Padre e del Figlio” – potrebbero essere ascoltate in un’aula di catechismo. Non la considerazione che segue, che dimostra un’altra dote che i fedeli impareranno ad apprezzare di Benedetto XVI, indiscusso maestro nel saper portare i vertici e gli abissi dello spirito al livello dell’anima più semplice:

"La teologia cristiana sintetizza la verità su Dio con questa espressione: un'unica sostanza in tre Persone. Dio non è solitudine, ma perfetta comunione. Per questo la persona umana, immagine di Dio, si realizza nell’amore, che è dono sincero di sé”.

Altre sei righe e un’altra colonna portante. Dall’altare della sua finestra sul mondo, il Papa maestro cede il passo al Papa custode della fede. Non quell’arcigno guardiano fin lì troppo spesso descritto, in modo prevenuto, da una vulgata mediatica che ama pontificare sul Pontefice senza conoscerlo, ma il difensore gentile che invita con ferma lucidità i cristiani a non farsi contagiare nella pratica religiosa dal relativismo montante:

"Ogni parrocchia è chiamata a riscoprire la bellezza della Domenica, Giorno del Signore, in cui i discepoli di Cristo rinnovano nell’Eucaristia la comunione con Colui che dà senso alle gioie e alle fatiche di ogni giorno. ‘Senza la Domenica non possiamo vivere’: così professavano i primi cristiani, anche a costo della vita, e così siamo chiamati a ripetere noi oggi”.

Per 455 volte, dal 2005 al 2013, Benedetto XVI, maestro umile e custode illuminante, appare da dietro la tenda della sua finestra – o talvolta stando sull’altare alla fine di una Messa solenne, o durante un viaggio apostolico, o circondato dai monti durante il riposo estivo – per spiegare e insegnare la "gioia dell’essere cristiani” e concludere con l’"Angelus nunziavit Mariae”. Nel giorno in cui la finestra resta chiusa e il mezzogiorno rintocca senza sottofondo di applausi, tra le colonne del Bernini – dove alla fine lo avranno ascoltato in più di 10 milioni – resta il riverbero di tanti pensieri profondi, dipanati in modo compiuto già da quel 22 maggio 2005. E resta l’eco dell’ultimo commiato, dell’umile maestro di fede che anche oggi avrà sostenuto la Chiesa con la forza di un Angelus, pregato di nascosto al mondo ma non a Dio:

"Vi ringrazio per l’affetto e per la condivisione, specialmente nella preghiera, di questo momento particolare per la mia persona e per la Chiesa. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie! In preghiera siamo sempre vicini. Grazie a voi tutti! Angelus nuntiavit Mariae…”


04/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 02/03/2013 Sant'Agnese di Boemia




Giovanni Paolo II, durante il suo lungo pontificato, se da un lato non ha mancato di proporre agli uomini di oggi dei modelli di santità a loro vicini nel tempo, non ha però disdegnato anche di elevare agli onori degli altari alcune significative figure vissute nei primi secoli del secondo millennio, tra le quali la principessa Sant’Agnese di Boemia oggi festeggiata.
Figlia del sovrano boemo Premysl Otakar I e della regina Costanza, sorella di Andrea II re d'Ungheria, Agnese nacque a Praga nel 1211. Sin dall’infanzia fu oggetto di svariati progetti di fidanzamento indipendentemente dalla sua volontà, cosa comune a quel tempo meramente per speculazioni politiche e convenienze dinastiche. All’età di tre anni fu affidata alle cure della duchessa di Slesia, la celebre Santa Edvige, che l’accolse nel monastero cistercense di Trzebnica e le insegnò i primi elementi della fede cristiana. Tre anni dopo fece ritorno a Praga e venne poi affidata alle monache premonstratensi di Doksany ove ricevette un’adeguata istruzione.
Nel 1220, essendo promessa sposa di Enrico VII, figlio dell'imperatore Federico II Barbarossa, Agnese fu condotta a Vienna presso la corte del duca d’Austria: qui visse sino al 1225 rimanendo sempre fedele ai principi e ai doveri della morale cristiana. Rescisso infine il patto di fidanzamento, ritornò a Praga ove poté dedicarsi ad una più intensa vita di preghiere e di opere caritative. Dopo una matura riflessione, decise di consacrare a Dio la sua verginità. Pervennero alla corte di Praga nuove proposte nuziali per la giovane principessa boema: quella del re inglese Enrico III, che svanì, e quella del Barbarossa presentata prima a re Otakar nel 1228 ed una seconda volta a re Venceslao nel 1231.
Papa Gregorio IX, cui Agnese aveva chiesto protezione, intervenne riconoscendo il voto di castità della principessa, che in tal modo acquistò la libertà e la felicità di consacrarsi a Dio libera dai sotterfugi del mondo secolare. In quel periodo giungevano a Praga quali predicatori i Frati Minori, grazie ai quali venne a conoscenza della vita spirituale che conduceva in Assisi la vergine Santa Chiara secondo lo spirito francescano. Rimase affascinata da questo modello e decise di imitarne ad ogni costo l’esempio: usufruendo dei propri beni fondò tra il 1232 ed il 1233 a Praga l’ospedale di San Francesco e per dirigerlo l’Ordine dei Crocigeri della Stella Rossa. Allo stesso tempo fondò il monastero di San Francesco per le "Sorelle Povere o Damianite”, ove lei stessa entrò l’11 giugno 1234, giorno di Pentecoste.
Agnese professò duqnue solennemente i voti solenni di castità, povertà ed obbedienza, pienamente consapevole del valore eterno di questi consigli evangelici, e si cimentò nel praticarli con esemplare fedeltà per tutti i suoi giorni. La verginità finalizzata al regno dei cieli costituì l’elemento fondamentale della sua spiritualità. Lo spirito di povertà, che già in precedenza l’aveva indotta a distribuire ai poveri i suoi beni, la spinse a rinunciare totalmente ad ogni proprietà per seguire Cristo povero ed ottenne inoltre che nel suo monastero si praticasse addirittura l’esproprio collettivo. Lo spirito di obbedienza la condusse a conformare sempre più la sua volontà a quella divina che scopriva nella lettura del Vangelo e nella Regola di vita che la Chiesa le aveva donato. Insieme a Santa Chiara si adoperò per ottenere l’approvazione di una nuova ed apposita Regola che, dopo fiduciosa attesa, ricevette e professò con estrema fedeltà.
Poco dopo la professione Agnese divenne badessa del monastero, ufficio che dovette conservare per tutta la vita, esercitandolo con umiltà e carità, con saggezza e zelo, considerandosi sempre come "sorella maggiore” delle monache sottoposte alla sua autorità. La notizia dell’ingresso di Agnese in monastero suscitò ammirazione in tutta ammirazione Europa e tutti coloro che ebbero modo di entrare in contatto con lei poterono testimoniare le sue virtù, come concordemente attestano anche le memorie biografiche: specialmente ammirato era l’ardore della sua carità verso Dio e verso il prossimo, "la fiamma viva dell’amore divino che ardeva continuamente nell'altare del cuore di Agnese, la spingeva tanto in alto, per mezzo dell'inesauribile fede, da farle ininterrottamente cercare il suo Diletto” e si esprimeva in modo peculiare nel fervore con cui adorava i misteri dell’Eucaristia e della Croce del Signore, nonché nella devozione filiale alla Madonna contemplata nel mistero dell’Annunciazione.
L’amore del prossimo, continuò anche dopo la fondazione dell’ospedale a tenere spalancato il suo cuore generoso ad ogni forma di aiuto cristiano. Amò la Chiesa implorando dalla bontà di Dio per i suoi figli i doni della perseveranza nella fede e della solidarietà cristiana. Collaborò con i papi del sue tempo, che per il bene della Chiesa non mancavano di sollecitare le sue preghiere e le sue mediazioni presso i sovrani boemi, suoi familiari. Nutrì sempre un profondo amore per la sua patria, che beneficiò con opere caritative individuali e sociali, nonché con la saggezza dei suoi consigli sempre volti ad evitare conflitti di ogni sorta ed a promuovere la fedeltà alla religione cattolica dei suoi padri.
Negli ultimi anni di vita Agnese sopportò con immutata pazienza i molteplici dolori che afflissero lei e l’intera famiglia reale, il monastero e la Boemia, causati da un infausto conflitto e dalla conseguente anarchia, nonché dalle calamità naturali che si abbatterono sulla regione e la conseguente carestia. Morì infine santamente nel suo monastero il 2 marzo 1282. Numerosi miracoli furono attribuiti all’intercessione della principessa defunta, ma il culto tributatole sin dalla morte ebbe il riconoscimento papale solo il 28 novembre 1874 con decreto del Beato Pio IX. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha infine canonizzato Agnese di Boemia il 12 novembre 1989 nella Basilica Vaticana.


Canada: celebrazioni di ringraziamento della Chiesa per Benedetto XVI



Anche la Chiesa canadese ha salutato giovedì scorso Benedetto XVI con celebrazioni di ringraziamento per il suo Pontificato. Alle 12 locali, corrispondenti alle 20.00 di Roma, l’ora in cui Benedetto XVI ha terminato il suo ministero petrino, il presidente della Conferenza episcopale, mons. Richard Smith, ha concelebrato una Messa speciale nella cattedrale di Edmonton, insieme a venti presuli della regione Nord e Ovest del Canada riuniti per la loro assemblea plenaria regionale. Vi hanno partecipato i sacerdoti e i fedeli dell’arcidiocesi e quelli dell’eparchia ucraina di Edmonton. Altri eventi speciali per la fine del pontificato sono stati organizzati, tra l’altro, anche a Vancouver, Toronto, Ottawa, Gatineau e Québec. Dopo l’annuncio della rinuncia del Papa, la Conferenza episcopale canadese ha pubblicato una serie di istruzioni liturgiche per le diocesi canadesi durante il periodo di Sede vacante e nei giorni immediatamente successivi all’elezione del nuovo Pontefice. Preparati dagli Uffici liturgici delle sezioni francofona e anglofona della Conferenza episcopale con l’aiuto del suo Segretariato generale, i sussidi si basano sulle indicazioni contenute nella presentazione generale del nuovo Messale Romano. Ogni vescovo potrà peraltro stabilire ulteriori direttive specifiche per la propria diocesi, alle quali dovranno fare riferimento i parroci, gli agenti pastorali e i responsabili liturgici diocesani. Le due versioni inglese e francese hanno la stessa struttura anche se differiscono in alcuni dettagli. Questo a causa del fatto che non esiste ancora una versione approvata del Lezionario per le celebrazioni liturgiche in uso in Canada. Inoltre la versione inglese comprende negli allegati dei suggerimenti per le preghiere che possono essere usate dalle famiglie e dai singoli fedeli durante questo periodo di transizione. (A cura di Lisa Zengarini)


02/03/2013 fonte Radio Vaticana

Sede vacante: riflessione di Carlo Cardia, esperto di diritto ecclesiastico
      





Dalle 20.00 di giovedì scorso, la Chiesa è entrata nella cosiddetta Sede vacante. Sul significato di questo particolare periodo della vita della Chiesa, ascoltiamo il prof. Carlo Cardia, docente di Diritto ecclesiastico all'Università Roma Tre, al microfono di Luca Collodi: 

R. – Quando manca il titolare dell’ufficio si parla di Sede vacante. È evidente che di fronte al Romano Pontefice, la Sede vacante ha un significato diverso: più ristretto e più ampio al tempo stesso. Più ristretto, perché, non c’è dubbio, che si tratta di Sede vacante anche per il sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ma questo è un aspetto assolutamente secondario. Molto più importante, è invece la mancanza di quella guida universale della Chiesa, che fa del Papa un unicum rispetto a qualunque altra realtà, non solo mondana, ma anche religiosa. Il Papa rappresenta non soltanto la guida che ha quella potestà immediata e universale su tutta la Chiesa, ma la guida spirituale che identifica e rappresenta l’unità della Chiesa universale in tutto il mondo, perché nel Papa si riassumono quei poteri di unità del magistero, di sicurezza della dottrina, dei dogmi, della fede, della spiritualità. Questo fa sì che quando si crea la Sede vacante per qualsiasi ragione, in questo caso per una rinuncia, vi sia quasi un momento di vuoto, di sospensione nella vita della Chiesa.

02/03/2013 fonte Radio Vaticana

Mons. Forte: quello di Benedetto XVI è uno straordinario magistero di fede




"Un uomo di Dio”: così mons. Bruno Forte arcivescovo di Chieti Vasto, tratteggia la figura di Benedetto XVI. Al microfono di Tiziana Campisi, il presule si sofferma sull’eredità che il Papa, da ieri emerito, lascia alla Chiesa e al prossimo Successore di Pietro: 

R. - Io insisto nel dire che Benedetto XVI è stato il Papa dell’assoluto primato di Dio e della fede. E' il Papa che ha voluto riformare in chiave spirituale la Chiesa: così è stato, per esempio, di fronte alle ferite della pedofilia o del "Vatileaks", ma così è stato anche nel suo messaggio positivo. Le sue Encicliche sono centrate sui temi della vita teologale, la speranza e la carità: ne era in preparazione anche una sulla fede. Si può dire che tutto il suo magistero è stato uno straordinario magistero di fede. Dunque, il Papa che verrà eredita questa mistica, che peraltro è - non diversamente da quella di Giovanni Paolo II - una mistica del servizio, una mistica però parimenti legata al primato dell’amore. 

D. - Cosa dobbiamo ancora capire di Benedetto XVI?

R. - Io credo che Benedetto XVI sia molto più semplice di quello che, a volte, i media hanno voluto presentare: è un uomo di Dio, è un uomo che vuole che la Chiesa piaccia a Dio e tutte le sue scelte si comprendono in questa luce di assoluta libertà, di assoluta trasparenza, derivante dal confrontarsi con l’unica misura per cui valga la pena di vivere e di morire, che è quella della volontà di Dio. Se non si capisce questo, Papa Benedetto resta un enigma incomprensibile, come forse lo è stato per tanti. Ora, forse proprio grazie alla rinuncia, a molti si sono aperti gli occhi e la verità luminosa della fede di questo Papa è emersa come un messaggio di vita e di speranza per la Chiesa e per il mondo intero. 

D. - Come accompagnerà i suoi fedeli in questa particolare stagione, che la Chiesa sta vivendo?

R. - Ho cercato di testimoniare a tutti una grande serenità e una grande fiducia. Mi sembra che il Conclave che si sta per vivere, sarà un Conclave di una sorpresa che probabilmente stupirà il mondo, ma che però darà anche il segnale di quello di cui la Chiesa ha veramente bisogno e ci aiuterà a percorre le vie, antiche e nuove al tempo stesso, che il Signore apre per la sua Chiesa.

02/03/2013 fonte Radio Vaticana




Kiko Argüello: per noi Benedetto XVI è stato più che un padre. Siamo pieni di gratitudine




Gratitudine e affetto a Benedetto XVI sono stati espressi in questi giorni anche da Movimenti ecclesiali e nuove comunità. In proposito Debora Donnini ha intervistato Kiko Argüello, l'iniziatore del Cammino neocatecumenale, una realtà di iniziazione cristiana nata in Spagna nel anni '60 e che oggi è presente in circa 1.400 diocesi sparse in 124 Paesi:  

R. – Il Papa ha compiuto questo atto di amore per la Chiesa, veramente un atto eroico, e Dio gli darà il cento per uno: a lui, come persona, in questo tempo in cui va a pregare per la Chiesa. Diceva Santa Teresa d’Avila: "quando un cristiano prega trema il mondo"… perché tutto è possibile. Questo per noi è una garanzia, che il Papa adesso vada a pregare. Speriamo che venga un Papa, un Apostolo come lui. Giovanni Paolo II ha detto che nel Terzo millennio si sarebbe dovuta evangelizzare l’Asia: pensiamo a milioni e milioni e milioni di cinesi che non conoscono Gesù Cristo, sotto l’ateismo; il Vietnam, pensiamo al Laos, alla Cambogia. 

D. – In un comunicato, il Cammino neocatecumenale ha espresso gratitudine a Benedetto XVI per il suo magistero e per quanto ha fatto per il Cammino. Cosa ha rappresentato Benedetto XVI per lei e per questa esperienza di iniziazione cristiana?

R. – In questo comunicato abbiamo espresso quello che sentiamo, cioè una costernazione ed una sofferenza per questa rinuncia, perché per noi è stato più che un padre, è stato buonissimo … E’ stata una cosa sorprendente, come è stato buono con noi. Quando era ancora professore a Tubinga, io sono andato a trovarlo, perché molti suoi allievi erano italiani. Quindi, sono andato lì, mi ha presentato sua sorella, abbiamo cenato insieme. Poi ci ha dato una lettera bellissima per due parroci, suoi amici, di Monaco, che hanno aperto il Cammino. Dopo ha fatto una cosa meravigliosa. Vedendo l’importanza, oggi, di aprire un’iniziazione cristiana per aiutare i cristiani ad avere una fede più adulta, perché sappiano rispondere all’attuale momento di secolarizzazione, a tutto un ambiente tremendo – pensiamo all’Europa che è come se stesse vomitando il cristianesimo, non solo per i matrimoni omosessuali, c’è il divorzio express che in Spagna ha portato ai divorzi ovunque! Ogni quattro minuti in Spagna una persona divorzia - allora, il Papa ha capito che bisognava studiare teologicamente quello che noi diciamo. Ha istituito una Commissione teologica e noi abbiamo consegnato tutti i nostri scritti, cioè tutto quello che noi utilizziamo per fare catechesi nelle parrocchie, i contenuti delle diverse tappe per il rinnovamento del Battesimo: parola per parola, 3.100 pagine, sono stati studiati 13 volumi. E se qualche frase poteva essere fraintesa, l’abbiamo cambiata. Ci hanno detto anche di aggiungere tutti i riferimenti al Catechismo della Chiesa cattolica. Ci ha aiutato molto. Noi siamo una realtà sorta dopo il Concilio Vaticano II per attuare il Concilio e anche per la Nuova evangelizzazione. Abbiamo quasi 100 seminari missionari, più di 800 famiglie in missione. Siamo sorpresi di quello che Dio sta facendo con noi! E siamo pieni di gratitudine a questo Papa, non sappiamo come ringraziarlo.

D. – Benedetto XVI, come lei ha ricordato, ha conosciuto il Cammino neocatecumenale già nel 1974, a Tubinga; poi, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha esaminato i contenuti delle catechesi; nel 2008 è venuta l’approvazione definitiva degli Statuti e poi, l’anno scorso, delle celebrazioni dei Passaggi del Cammino. Quindi, è stato un Papa molto importante per il Cammino, in quanto ha segnato alcune tappe strutturali …

R. – Importantissimo! Dice Cristo: "Amatevi, amatevi come io vi ho amato!”. Allora, una comunità dev’essere una comunità nella quale possiamo conoscerci e dare segni concreti di amore: amore in una dimensione sorprendente, la dimensione della Croce. "Amatevi come io vi ho amato”, vuol dire: amatevi al di là della morte. Il "nemico” a volte è la moglie, il marito, i figli, tutti siamo un po’ nemici quando siamo diversi: sapere amare il nemico lasciandosi crocifiggere dai suoi difetti, questo è essere cristiano!

D. – Centrale nel Magistero di Benedetto XVI è anche la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Ecco, questo della famiglia per il Cammino è un punto molto importante, tant’è vero che sono state inviate centinaia di famiglie in tutto il mondo per la nuova evangelizzazione …

R. – La famiglia cristiana salva la Chiesa e salva la società. L’Istituto Giovanni Paolo II dell’Università Lateranense ci ha conferito il dottorato honoris causa, con tre motivazioni. La prima, perché, hanno sottolineato, avete obbedito all’Humanae Vitae. Paolo VI ha detto, nella Humanae Vitae, che ogni atto coniugale dev’essere aperto alla vita. I fratelli che sono entrati nel Cammino hanno visto che era vero, che il matrimonio acquistava una luce enorme! E da queste famiglie numerose con 10, con 12 figli nascono tantissime vocazioni. E dopo, abbiamo visto che la comunità salva la famiglia. Se c’è una famiglia, ad esempio, che entra un po’ in crisi, immediatamente tutta la comunità li aiuta: la famiglia non è sola. E l’aver tanti figli ci ha portato ad avere tanti giovani, però abbiamo visto che questi giovani erano a rischio, perché tutto l’ambiente è un ambiente contrario alla Rivelazione. Allora abbiamo pensato che fosse urgente compiere in ogni famiglia una sorta di celebrazione domestica, nella quale passare la fede ai figli. Così la domenica tutta la famiglia si riunisce e si pregano i salmi, e tutti cantano. E poi si apre una Parola della Bibbia e i genitori domandano ai figli come quella parola illumini la loro realtà. Insegnare ai figli che la Parola (come dice il salmo) è "lampada ai nostri passi", questa è una cosa assolutamente importante per la Chiesa: che ogni famiglia cristiana abbia un momento di incontro nel quale i genitori dialoghino con i figli e i figli parlino dei problemi che riscontrano nella scuola, all’università.

02/03/2013 fonte Radio Vaticana





IL SANTO DEL GIORNO 01/03/2013 San David di Menevia (del Galles) Vescovo

  

Grande figura di vescovo e monaco, evangelizzatore della Britannia, esimio rappresentante delle Chiese celtiche del Galles.
Visse nel secolo VI e sarebbe morto nel 601; sebbene sia citato in documenti dei secoli VIII – X, una sua biografia fu scritta solo nel secolo XI da un certo Rhygyfarch, essa risulta molto fantasiosa e ricalca quella di s. Benedetto.
David era figlio di Sant e Nonna e nacque nella valle di Rhos; fu educato ed istruito da s. Iltut e poi da Paolino; venne ordinato sacerdote e si ritirò in un’isola solitaria dove stette per dieci anni, dedito allo studio della Sacra Scrittura.
In seguito abbracciò la vita monastica e prese ad evangelizzare la Britannia, nome latino della Gran Bretagna, abitata ancora da popolazioni celtiche; fondò dodici monasteri, nei quali instaurò una vita comunitaria, austera, densa di studio, lavoro e preghiera.
Scampò ad un tentativo di avvelenamento da parte dei monaci, forse per la troppa austerità (stranamente a quei tempi, si cercava di risolvere così qualche problema di insofferenza, risulta anche qualche altro caso); andò a Gerusalemme, dove fu consacrato vescovo.
Ritornato in patria succedette a s. Dubricio come vescovo di Caerlon, da dove poi si trasferì alla sede di Menevia; fu molto influente sulla vita monastica del Galles, presiedendo a parecchi sinodi, nei quali furono prese delle decisioni disciplinari e teologiche, importanti per le Chiese celtiche.
Anche se è difficile crederci, risulta che David visse 147 anni, il suo sepolcro divenne presto una meta di pellegrinaggi ed a lui furono intestate molte chiese nel Galles, nell’Irlanda e Inghilterra.
Quasi quattro secoli dopo la sua morte, nel 966 il suo corpo fu traslato a Glastonbury; nei calendari celtici ed irlandesi e nel ‘Martirologio Geronimiano’ è celebrato il 1° marzo.
Del monastero e della chiesa, da lui fondati a Menevia, oggi Saint-David, non rimane più nulla; l’unica opera iconografica dove è raffigurato, sono gli affreschi della chiesa di Saint-Divy di Landerneau, nel miracolo operato quando la terra, dove era poggiato per predicare, si sollevò a formare una collina e la colomba dello Spirito Santo venne a posarsi sulla spalla.


Gli ultimi 18 giorni del pontificato di Benedetto XVI



 servizio di Sergio Centofanti.   

"Plena liberate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri…renuntiare …”
Benedetto XVI annuncia ai cardinali riuniti in Concistoro la sua decisione: la rinuncia al ministero petrino. E’ il giorno della memoria della Vergine di Lourdes: il prossimo 16 aprile, memoria di Santa Bernadette, compirà 86 anni. Le forze che diminuiscono non gli consentono di proseguire adeguatamente nel ministero. Affida la Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Cristo. Anche questi ultimi 18 giorni ci mostrano la sua grande fede. Queste le sue parole nell’udienza generale del 13 febbraio: 

"Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. … Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà”.

Nella catechesi ricorda che "non è il potere mondano che salva, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore”. Invita a "dare a Dio il primo posto”. Durante la Messa per il Mercoledì delle Ceneri parla della necessità della conversione, che è opera della misericordia di Dio, in un mondo che spesso vuole solo condannare:

"In effetti, anche ai nostri giorni, molti sono pronti a "stracciarsi le vesti” di fronte a scandali e ingiustizie – naturalmente commessi da altri –, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio ‘cuore’, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta”.

Invita i credenti a non deturpare il volto della Chiesa con divisioni e individualismi. La testimonianza "sarà sempre più incisiva – afferma – quanto meno cercheremo la nostra gloria”. Il 14 febbraio incontra i sacerdoti di Roma parlando a braccio per 45 minuti sul Concilio, senza nemmeno una esitazione. Ricorda le speranze per una nuova Pentecoste della Chiesa, che – dice – è una "realtà vitale” che entra nella nostra anima:

"Noi siamo la Chiesa, la Chiesa non è una struttura; noi stessi cristiani, insieme, siamo tutti il Corpo vivo della Chiesa. E, naturalmente, questo vale nel senso che noi, il vero ‘noi’ dei credenti, insieme con l’Io di Cristo, è la Chiesa; ognuno di noi, non ‘un noi’, un gruppo che si dichiara Chiesa. No: questo ‘noi siamo Chiesa’ esige proprio il mio inserimento nel grande ‘noi’ dei credenti di tutti i tempi e luoghi”.

All’Angelus del 17 febbraio, sottolinea che la conversione comporta un vero "combattimento spirituale”:

"In ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene?”.

Al termine degli Esercizi spirituali, il 23 febbraio, spiega che la "verità è bella” perché Dio è bellezza. Ma il maligno vuole sporcare questa bellezza per rendere irriconoscibile il Creatore: così il Figlio di Dio è coronato di spine e crocifisso:

"E tuttavia proprio così, in questa figura sofferente del Figlio di Dio, cominciamo a vedere la bellezza più profonda del nostro Creatore e Redentore; possiamo, nel silenzio della ‘notte oscura’, ascoltare tuttavia la Parola. Credere non è altro che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio, ascoltare la Parola, vedere l’Amore”.

Oltre 100mila persone partecipano all’ultimo Angelus, il 24 febbraio. Benedetto XVI torna a spiegare il suo gesto di "salire sul monte” della preghiera:

"Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.

Nell’ultima udienza generale, il 27 febbraio, davanti a oltre 150mila fedeli, Benedetto XVI ricorda i momenti di gioia del suo pontificato, ma anche quelli in cui le acque sono erano agitate e il Signore sembrava dormire: 

"Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare”.

Ha voluto l’Anno della fede proprio per rafforzare la nostra fiducia in Dio:

"Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano”.

Poi, ancora una volta, spiega la sua rinuncia:

"Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi… Non abbandono al croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”.

Incontrando ieri per l’ultima volta i cardinali, ha una parola per il Conclave:

"Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza”.

L’ultimo abbraccio è per i fedeli di Castel Gandolfo: Benedetto XVI non è più Pontefice della Chiesa cattolica, ma un semplice pellegrino che inizia "l’ultima tappa del suo pellegrinaggio sulla terra”.



01/03/2013 fonte Radio Vaticana

L'ultima, grande, lezione sulla Chiesa

di Massimo Introvigne
    
È finito. Il lungo addio al pontificato di Benedetto XVI si è concluso con diversi momenti, uno più commovente dell’altro, come fotogrammi di un film che resterà per sempre nella nostra memoria. Prima di volare a Castelgandolfo, Papa Ratzinger ha salutato i cardinali con un ultimo breve ma grande discorso sulla Chiesa. 

L’incontro con i cardinali si era aperto, ancora una volta, con un accenno «apocalittico» - una parola, ricordiamolo sempre, che per i cattolici non ha niente a che fare con improbabili previsioni di date per la fine del mondo –, quando il cardinale Sodano aveva ricordato che il Papato durerà fino alla fine dei tempi, ma i tempi non dureranno per sempre. Dureranno «fino a quando si udirà sulla terra la voce dell'Angelo dell'Apocalisse che proclamerà: "Tempus non erit amplius ... consummabitur mysterium Dei" (Ap 10, 6-7) - "il tempo ormai non c'è più .: è compiuto il mistero di Dio!". Terminerà così la storia della Chiesa, insieme alla storia del mondo».

Poi, l’ultima lezione di Benedetto XVI. Il Papa ha ricordato, come aveva fatto nell’ultima udienza generale, che «in questi otto anni, abbiamo vissuto con fede momenti bellissimi di luce radiosa nel cammino della Chiesa, assieme a momenti in cui qualche nube si è addensata nel cielo». Ma l’essenziale non è nella qualità dei momenti, luminosi o grigi. «Abbiamo cercato di servire Cristo e la sua Chiesa con amore profondo e totale, che è l’anima del nostro ministero. Abbiamo donato speranza, quella che ci viene da Cristo, che solo può illuminare il cammino». Non comprende che cos’è la Chiesa chi non intende come tutto venga da Cristo. 

Una visione «alta», che non nasconde i problemi. Il Pontefice ha ribadito il suo no alle divisioni e ha chiesto, con una delle sue predilette metafore musicali, «che il Collegio dei Cardinali sia come un’orchestra, dove le diversità – espressione della Chiesa universale – concorrano sempre alla superiore e concorde armonia».

La Chiesa dovrebbe costituire per i cardinali «la ragione e la passione della vita». Ma siamo certi, tutti, di capire che cos’è la Chiesa? Benedetto XVI si è fatto «guidare da un’espressione di Romano Guardini [1885-1968], scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care». Il riferimento a Guardini, e insieme alla Lumen Gentium, è molto significativo. Non è la prima volta che il Papa cita questo pensatore italo-tedesco inviso per diverse ragioni ai progressisti e agli ultra-conservatori, a tutti coloro che rifiutano l’interpretazione del Concilio Vaticano II come «riforma nella continuità» che è il principale legato teologico di Papa Ratzinger e che chiede sia la leale accettazione delle riforme sia la loro interpretazione in continuità con il Magistero precedente. 

Non a caso, negli ultimi giorni si è levata a colpire ancora una volta Benedetto XVI la voce sia di chi rifiuta la continuità – come Hans Küng – sia di chi rifiuta le riforme, come la Fraternità San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991). Quest’ultima, ancora negli ultimi giorni, sul suo sito italiano, ha attaccato Papa Ratzinger come «latore di un Papato privato di senso» e addirittura come uomo «senza una chiara percezione della dignità del Papato»: sempre, naturalmente, citando la presunta «demolizione teologica» che il Vaticano II avrebbe attuato e a cui Benedetto XVI avrebbe dato il suo contributo di colpi di piccone.

Ecco dunque Benedetto XVI tornare a Guardini, un teologo così lontano dalle fughe in indietro come dalle fughe in avanti. La Chiesa –  nelle parole di Guardini citate da Papa Ratzinger – «non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo». La Chiesa nella storia «diviene» e si trasforma come tutti gli organismi viventi: ecco la riforma. Ma nello stesso tempo rimane la stessa: ecco la continuità. E riforma e continuità stanno insieme solo se il cuore della Chiesa è e resta Gesù Cristo.

Lo abbiamo visto, ha detto Benedetto XVI, nella folla dell’ultimo mercoledì in Piazza San Pietro: lì si è potuto davvero «vedere che la Chiesa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbiamo visto ieri. Per questo è vera ed eloquente anche l’altra famosa espressione di Guardini: "La Chiesa si risveglia nelle anime”». 

Qui torna l’ammonimento contro chi riduce la Chiesa al piccolo calcolo mondano, e tratta il Conclave come se fosse la scelta di un presidente del Consiglio in Italia. No, la Chiesa è un’altra cosa. «La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi».

E questo mistero toglie ogni preoccupazione, e permette a Papa Ratzinger di tornare alla sua parola preferita, «gioia», di cui ricorderemo sempre con affetto la pronuncia così tipicamente tedesca. «Questa è la nostra gioia, che nessuno ci può togliere».

E solo così si capisce il pensiero – non «politico» ma soprannaturale – per il Conclave e il prossimo pontificato. «Continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza».

01/03/2013 fonte La nuova bussola quotidiana

Da tutto il mondo stima e gratitudine per Benedetto XVI
  






La fine del Pontificato è stata scandita, in tutto il mondo, anche da parole di gratitudine, stima e affetto nei confronti di Benedetto XVI. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il presidente statunitense Barack Obama - rende noto il segretario di Stato americano, John Kerry - "ringrazia Benedetto XVI per la sua leadership” e per "il modo in cui ha fatto sentire la sua voce su molte questioni”. Il presidente del Brasile, la signora Dilma Rousseff, ricorda in una nota "la storica decisione” di scegliere Rio de Janeiro come sede della prossima Giornata mondiale della gioventù. Riconoscenza e gratitudine anche dalla cancelliera tedesca ,Angela Merkel, che ieri sera ha partecipato a Berlino, nella cattedrale cattolica di Santa Edvige, a una Messa di ringraziamento per il Pontificato di Benedetto XVI. Il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, ricorda poi che Benedetto XVI ha affrontato "una serie di pressanti preoccupazioni del mondo moderno”, tra cui quella "dell'etica nelle relazioni economiche del nostro mondo globalizzato”. Il nunzio apostolico in Russia, mons. Ivan Jurkovic, sottolinea infine che il Pontificato di Benedetto XVI ha segnato un momento importante e positivo nel dialogo tra cattolici e ortodossi.

01/03/2013 fonte Radio Vaticana



Lunedì le Congregazioni generali dei cardinali. Padre Lombardi: "Benedetto XVI è sereno"




"Il Santo Padre è sereno” lo ha detto padre Lombardi nel briefing con i giornalisti precisando che Bendetto XVI, da Castel Gandolfo, ha visto in serata come le tv hanno raccontato il pomeriggio di ieri. Confermato anche che la prima Congregazione generale dei cardinali è stata convocata per lunedì 4 marzo alle 9.30. Escluso, verosimilmente, che nello stesso giorno possa essere stabilito l’inizio del Conclave. Massimiliano Menichetti:

Benedetto XVI sta bene ed è sereno: lo ha confermato padre Federico Lombardi, che ai giornalisti ha spiegato di aver potuto parlare al telefono con mons. Georg Gaenswein, segretario del Papa emerito. Il direttore della Sala Stampa vaticana, ha riferito che Benedetto XVI in serata "ha seguito come le televisioni hanno raccontato le tante emozioni del pomeriggio di ieri” e che "ha apprezzato il buon lavoro e la buona informazione”. Poi, dopo la cena, una passeggiata all’interno del Palazzo apostolico, quindi la preghiera prima del riposo:

"Nei giorni passati, il Papa suonava il pianoforte alla sera, dopo la cena - e questo anche nelle settimane scorse - come segno, direi, della distensione e della serenità del suo animo. Ieri sera, in particolare, mons. Georg lo ha sentito suonare, ma pensa che nei giorni prossimi riprenderà sicuramente”.

La giornata di oggi - ha spiegato – trascorrerà nella preghiera, leggendo i tanti messaggi che gli sono arrivati e la consueta passeggiata nei giardini. Padre Lombardi ha anche detto che Benedetto XVI ha portato con se alcuni libri, tra i quali "L’estetica teologica” di Hans Urs von Balthasar.

Confermato poi che per lunedì 4 marzo sono state convocate, nell’Aula nuova del Sinodo, in Vaticano, la prima e la seconda Congregazione generale dei cardinali. I porporati dovranno stabilire la data del Conclave":

"Non è deciso e non dovete neanche aspettarvi lunedì la decisione sul giorno di inizio del Conclave, perché i cardinali devono cominciare a far camminare, diciamo a mettere in moto la loro riflessione, le loro riunioni. Quindi non è certo nella prima Congregazione del mattino e non è prevedibile neanche in quella del pomeriggio già una decisione del Collegio dei cardinali sul giorno del Conclave”.
"In questo periodo non ci saranno altre Messe solenni, se non la Missa pro eligendo Pontifice" ha evidenziato padre Lombardi. E' stato poi mostrato attraverso un video realizzato dal Ctv cosa è accaduto ieri sera alle ore 20.00 in Vaticano: mentre la chiusura della porta del Palazzo di Castel Gandolfo, visivamente, metteva fine al pontificato di Benedetto XVI, la Camera Apostolica guidata dal Camerlengo, il cardinale Tarcisio Bertone, insieme ai suoi collaboratori, procedevano alla chiusura, con sigilli, dell’appartamento del Papa emerito. Queste le parole del porporato:
"All’inizio della sede vacante, ci ritroviamo come Camera Apostolica. Cordialmente vi saluto e, fin da ora, vi ringrazio per la vostra presenza e la vostra collaborazione”.

Sigillato anche l’ascensore interno del Palazzo che porta dalla Seconda alla Terza loggia che il Papa usa per le udienze. E oggi, alle ore 12.30, i sigilli sono stati apposti anche all’appartamento pontificio del Palazzo del Laterano.
Infine confermato anche che sono stati già emessi francobolli della sede vacane e un annullo che riguarda la rinuncia di Benedetto XVI. Per le monete invece bisognerà attendere i tempi tecnici di conio, previsti in "alcune settimane”.


01/03/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 28/02/2013 Beato Daniele Alessio Brottier Sacerdote



A volte il Signore rende così ardua la strada intrapresa da alcune anime, convinte di fare la Sua volontà, che esse sono costrette a lasciarla, nonostante la propria predisposizione e diventare poi un gigante in altri campi. 
Così è stata la vita del beato Daniele Alessio Brottier, nacque il 7 settembre 1876 a La Ferté-Saint-Cyr nella diocesi di Blois. Fin dall’infanzia rivelò una profonda pietà e una grande devozione alla Madonna; entrò in seminario nel 1890, passò felicemente le ordinazioni minori, facendo per un anno anche il servizio militare e fu consacrato sacerdote il 22 settembre 1899 a 23 anni. 
Inviato come professore nel Collegio ecclesiastico di Pontlevoy, sentì ben presto la sua particolare vocazione per la vita missionaria, perciò il 24 settembre 1902 entrò come novizio nella Congregazione dello Spirito Santo ad Orly presso Parigi, l’anno seguente emise i voti religiosi e partì quasi subito per il lontano Senegal, colonia francese. 
Poté restarci però solo tre anni circa, perché a causa di violenti e continui attacchi di emicrania che l’avevano colpito, fu costretto nel 1906 a ritornare in Francia. Rimessosi in salute, l’anno seguente volle di nuovo tornare in Senegal ma ancora una volta il male si ripresentò violento e dopo qualche tempo dovette ritornare definitivamente in Patria. 
Fondò in Francia l’Opera del "Souvenir Africain” con lo scopo di erigere la cattedrale a Dakar, capitale del Senegal. Da ex militare volle proporsi come cappellano dell’esercito durante la prima guerra mondiale e dal 1914 al 1917 si prodigò eroicamente nell’assistenza dei soldati sui campi cruenti di battaglie come Verdun, Fiandre, Lorena, incurante del pericolo. 
Dopo la guerra fondò l’Unione Nazionale Combattenti, fu direttore dell’Opera degli orfani apprendisti di Autenil per 12 anni e di cui ne incrementò il numero e l’efficienza, nel 1960 vi erano più di 2000 orfani e 20 istituti. Morì il 28 febbraio 1936, logorato dalle fatiche. 
E’ stato beatificato il 25 novembre 1984 da papa Giovanni Paolo II.


Benedetto XVI termina il suo Pontificato: "Sono un semplice pellegrino"



Benedetto XVI non è più Pontefice: dalle 20.00 di ieri è iniziata la Sede vacante. "Sono un semplice pellegrino": con queste parole ha dato il suo ultimo saluto alle migliaia di persone che lo hanno atteso in preghiera nella piazza antistante il Palazzo apostolico di Castel Gandolfo: qui, alle 8 di sera in punto, la Guardia svizzera ha lasciato il servizio di sicurezza al grande portone in legno, davanti a numerose persone che acclamavano verso Benedetto XVI, che ora è Papa emerito: il corpo militare rientra in Vaticano, non si occuperà più della sicurezza di Josef Ratzinger, un compito che spetterà ora solo alla Gendarmeria vaticana. Il Pontefice emerito, da Castel Gandolfo, dove trascorrerà i prossimi due mesi, attende in preghiera e in meditazione con tutta la Chiesa l’avvio del Conclave. Quella di ieri è stata una giornata storica e ricca di emozioni, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, accompagnate da celebrazioni liturgiche in diversi Paesi, con cui i fedeli hanno voluto salutare e ringraziare per il suo operato Benedetto XVI. Il servizio della nostra inviata, Gabriella Ceraso: 

C’è un gran silenzio ora, sotto il cielo stellato, nella piazza antistante il Palazzo apostolico che per la prima volta nella storia accoglie un Papa emerito. Si sono infatti allontanati, ma a fatica, tornando a casa, migliaia di fedeli che fino ad un’ora fa, hanno voluto attendere l’ultimo, raro e storico, gesto ufficiale: la chiusura del Portone del palazzo da parte delle Guardie svizzere che, terminato il ministero del Santo Padre come Papa alle 20.00, hanno lasciato l’incarico di tutela della sua sicurezza, affidando ora Benedetto XVI alla Gendarmeria. Questa giornata indimenticabile qui è cominciata nelle prime ore del pomeriggio, con i pellegrinaggi che da tutto il territorio hanno portato migliaia di persone a recitare il Rosario e a cantare sulla piazza, con lo sguardo rivolto al balcone esterno del Palazzo apostolico. Fino alle 17.40, quando la finestra si è aperta e Benedetto XVI è apparso per l’ultima volta in veste di Pontefice:

(applausi e acclamazioni)

"Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del Creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto".

Gli applausi lo hanno interrotto più volte quasi a non farlo terminare. In migliaia annuivano, scandivano il suo nome mostrando striscioni di affetto: "Grazie, la tua umiltà ti ha reso più grande, siamo tutti con te”. Sui volti, gioia e commozione insieme quando il Papa è tornato sulla scelta di questi ultimi giorni:

"Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti: non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarà ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio su questa terra. Ma vorrei ancora [applausi] … grazie! ... ma vorrei ancora con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo". 

L’applauso più lungo al termine della parole di Benedetto XVI che col volto sereno, le braccia protese incrocia lo sguardo di tanti, che non vogliono lasciarlo andare. La benedizione è il suo ultimo dono per tutti. Poi si volta, sparendo agli occhi del mondo dopo 8 anni di guida paterna. Ora siamo nella sede vacante e il silenzio che rimane non è assenza o vuoto: "Non abbandono la Croce ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso”, ha detto ieri Benedetto XVI in Piazza San Pietro. Sta a ciascun cristiano volerlo ora seguire, nel totale affidamento al Signore che guida la Chiesa.



28/02/2013 fonte Radio vaticana

Benedetto XVI saluta i cardinali: la Chiesa vive in Cristo, prometto obbedienza al futuro Papa
 




"La vostra vicinanza e il vostro consiglio mi sono stati di grande aiuto”, prego per il nuovo Papa e gli prometto fin d’ora "reverenza ed obbedienza”. Con queste parole Benedetto XVI ha ringraziato e si è congedato ieri mattina dal Collegio cardinalizio, nell’ultima udienza del Pontificato. Ai 144 porporati presenti, il Papa ha ribadito che la Chiesa non è un’organizzazione "costruita a tavolino”, ma il suo "cuore” è Cristo ed è Lui a renderla viva. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Il più straordinario atto di congedo nella storia della Chiesa non solo contemporanea si consuma in meno di un'ora. Ma tanto basta a Benedetto XVI per compiere un gesto che nessun protocollo poteva stabilire: inchinarsi fin d’ora, in segno di obbedienza, davanti al nuovo Papa, che tra non molti giorni verrà scelto dal gruppo dei cardinali che in quel momento gli siede davanti, e che tra breve si completerà in vista del Conclave:

"Continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio dei cardinali, c’è anche il futuro Papa, al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza”.

Sono le 11.06 quando Benedetto XVI siede al suo posto. Il colpo d’occhio che gli si presenta è per certi versi simile a quello dell’11 febbraio, anche se la Sala del Palazzo apostolico dove si svolge l’incontro è la Clementina e il numero dei presenti è certamente maggiore e diversamente disposto. Ma stavolta i sentimenti dominanti sono commozione e affetto, non più sorpresa e stupore. E spetta ancora al cardinale decano, Angelo Sodano, trovare le parole per dire il grazie delle porpore al Papa:

"Amato e venerato Successore di Pietro, siamo noi che dobbiamo ringraziare Lei per l'esempio che ci ha dato in questi otto anni di Pontificato (...) Con profondo amore noi abbiamo sempre cercato di accompagnarla nel Suo cammino, rivivendo l'esperienza dei discepoli di Emmaus, i quali, dopo aver camminato con Gesù per un buon tratto di strada, si dissero l'un l'altro: ‘Non era forse ardente il nostro cuore, quando ci parlava lungo il cammino?’. Sì, Padre Santo, sappia che ardeva anche il nostro cuore quando camminavamo con Lei in questi ultimi anni. Oggi, vogliamo ancora una volta esprimerle tutta la nostra gratitudine”. 

E Benedetto XVI ricambia, abbracciando affettuosamente il cardinale Sodano e, al termine del suo discorso, uno a uno tutti i presenti, e rileggendo la storia degli ultimi otto anni della Chiesa con chi, accanto a lui, ne ha portato la responsabilità:

"La vostra vicinanza, il vostro consiglio, mi sono stati di grande aiuto nel mio ministero. In questi 8 anni abbiamo vissuto con fede momenti bellissimi di luce radiosa nel cammino della Chiesa assieme a momenti in cui qualche nube si è addensata nel cielo. Abbiamo cercato di servire Cristo e la sua Chiesa con amore profondo e totale che è l’anima del nostro ministero. Abbiamo donato speranza, quella che ci viene da Cristo e che solo può illuminare il cammino”.

L’eco con quanto affermato in Piazza San Pietro, davanti ai 150 mila e più dell’ultima udienza generale, è evidente. Nel cuore del Papa quell’esperienza è impressa a fuoco, perché gli ha mostrato in modo "fisico” quei due capisaldi del suo magistero, emersi in modo plastico specie in questi ultimi giorni di Pontificato, ovvero che la Chiesa "è di Cristo” e che la Chiesa "è viva”:

"La Chiesa non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente. Essa vive lungo il corso del tempo in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi, eppure nella sua natura rimane sempre la stessa. Il suo cuore è Cristo. Era la nostra esperienza ieri, mi sembra, in piazza. Vedere che la Chiesa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo, e vive realmente dalla forza di Dio.” 

Benedetto XVI prende a prestito le parole di un teologo amato e tante volte citato, Romano Guardini, perché portano in sé la sapienza del Concilio. Ed è su questa sapienza che il Papa innesta la propria visione di Chiesa, espressa per l’ultima volta come capo e servitore. È la sua anima a parlare sommessamente nel silenzio della Sala Clementina. E chi ascolta non può non cogliere in quelle parole la roccia dell’eredità lasciata dal Pontefice teologo, e umile lavoratore della Vigna del Signore, a chi su di essa costruirà la storia della Chiesa di domani: 

"’La Chiesa si risveglia nelle anime’. La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime che come la Vergine Maria accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo (...) Attraverso la Chiesa il mistero dell’incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi in tutti i luoghi. Rimaniamo uniti, cari fratelli, in questo mistero, nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia quotidiana, e così serviamo la Chiesa e l’intera umanità. Questa è la nostra gioia che nessuno ci può togliere”.


28/02/2013 fonte radio vaticana

Roma e la Città del Vaticano salutano Benedetto XVI al suono delle campane di San Pietro






Alle 17.07 di ieri si era alzato in volo dal Vaticano l’elicottero che ha portato Benedetto XVI a Castel Gandolfo, al suono delle campane di San Pietro. Poco prima alcuni cardinali, religiosi e dipendenti del Vaticano lo avevano salutato nel cortile di San Damaso, tra applausi e commozione. Alle 20, ora dell'inizio della Sede vacante, è stato sigillato l'appartamento papale. Il servizio di Debora Donnini: 

Un tramonto luminoso ma velato dalle lacrime di tante persone saluta Benedetto XVI quando l’elicottero sul quale è a bordo si alza alla volta di Castel Gandolfo. Sono da poco passate le 17.00 e le campane di San Pietro iniziano a suonare mentre l’elicottero volteggia sul Vaticano. In piazza San Pietro, numerose persone lo salutano, commosse così come commossi, poco prima, erano stati quanti gli avevano rivolto un saluto nel cortile di San Damaso: i dipendenti vaticani e alcuni prelati, che gli hanno rivolto un lungo applauso. Qui a salutarlo sono stati i superiori della Segreteria di Stato, guidati dal cardinale Tarcisio Bertone. Ad accompagnarlo il cardinale vicario Agostino Vallini e il cardinale Angelo Comastri, vicario per la Città del Vaticano. Il suo segretario, mons. Georg Gaenswein, in lacrime, così come lacrime scorrono sul viso dell’autista che si inginocchia prima di aprire lo sportello dell’auto che lo porterà all’eliporto, sempre in Vaticano, dove viene accolto dal cardinale decano, Angelo Sodano e dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente emerito del Governatorato. Benedetto XVI tornerà in Vaticano come Papa emerito, fra circa due mesi, per risiedere nel monastero "Mater Ecclesiae". Sulle mura vaticane, alle spalle dell’eliporto, appare uno striscione "Grazie, Vergelt's Gott", cioè "Dio vi benedica". Anche dalla terrazza di Castel Sant’Angelo la gente saluta il Papa. Gli occhi del mondo sono puntati su quel piccolo mezzo di trasporto che sorvola Roma, il Colosseo e San Giovanni in Laterano, come mostrano le suggestive immagini del Centro Televisivo Vaticano. Anche dal Campidoglio si leva il saluto e tre rintocchi della Patarina, la storica campana della Torre del Palazzo senatorio. In piazza il sindaco Gianni Alemanno e i consiglieri insieme a tanti cittadini e turisti. Con affetto e commozione, Roma e la Città del Vaticano salutano Benedetto XVI che a sua volta poco prima di partire in volo aveva lanciato il suo ultimo tweet: "Grazie - ha scritto - per il vostro amore e il vostro sostegno. Possiate sperimentare sempre la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita”.
Alle ore 20 sono stati posti i sigilli all'apparatmento papale. Ora la luce della finestra dello studio papale è spenta ma in piazza e nei dintorni di San Pietro ci sono ancora tante persone che pregano. Abbiamo raccolto alcune voci:
R. – Io sono passato da qui anche la scorsa settimana e ho visto la stessa piazza. Vederla adesso, con tanti pellegrini di diverse nazionalità che guardano lassù, in cerca di un punto di riferimento, è molto diverso rispetto alla settimana scorsa, quando l’ho vista con il Papa ancora nello studio e c’era la luce accesa, lassù. Ora staremo vicini al Papa emerito nella preghiera e con lui pregheremo insieme per il nuovo Pontefice.

D. – Quali sentimenti prova in questo momento?

R. – Sicuramente di gratitudine e di vicinanza al Papa emerito.

R. –Vi ha colpito vedere l’elicottero in volo?

R. – Assolutamente! Una cosa così non s’era mai vista! Entrerà nella storia proprio anche l’immagine dell’elicottero …
R. – Sicuramente, è una grande emozione per tutti. Però il Papa emerito – come ha detto – continuerà ad essere presente e sarà vicino anche al nuovo Pontefice.


28/02/2013 fonte Radio vaticana

Padre Lombardi: Benedetto XVI verrà a sapere del nuovo Pontefice solo all'annuncio del Protodiacono




Padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, ha tenuto ieri mattina un nuovo briefing per i giornalisti. Ce ne parla Benedetta Capelli: 

Un briefing per ripercorrere l’udienza dei cardinali con il Papa e per far comprendere alcune procedure per i prossimi giorni. In proposito padre Lombardi ha parlato dell'ultimo tweet di Benedetto XVI e della sospensione dell'account @Pontifex per il periodo della sede vacante:

"Poi, come il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali aveva messo a punto, rimane in stand-by la possibilità, dato che l’account Pontifex potrà essere ripreso dal nuovo Papa, se lo ritiene opportuno, se lo desidera. Durante, però, la sede vacante l’account Pontifex rimane dormiente: finisce oggi pomeriggio il suo servizio”.

Padre Lombardi ha poi ricordato che sono stati 144 i cardinali presenti nella Sala Clementina, ed ha evidenziato alcuni passaggi del discorso di Benedetto XVI ai porporati. Una particolarità – ha evidenziato - è stato l’atto di obbedienza che il Papa ha fatto già al suo successore:

"E’ molto bello, è anche molto originale. Giustamente, quindi, ci ha colpito e dice l’atteggiamento con cui il Papa vive e vivrà questa elezione”.

Non un passaggio obbligato – ha chiarito ancora padre Lombardi – ma un atto non previsto ed estremamente espressivo dell’atteggiamento del Papa. Importante anche la spiegazione sul criterio della precedenza del Collegio cardinalizio in vista dei prossimi riti che i porporati saranno chiamati a presiedere:

"I cardinali vescovi sono quelli che hanno i titoli delle diocesi suburbicarie, cioè le antiche diocesi intorno a Roma. I presbiteri sono quelli che hanno titoli di chiese di Roma, in particolare di chiese parrocchiali, e che sono pastori di diocesi nel mondo, in particolare. Mentre i cardinali diaconi hanno titoli di chiese anche qui di Roma, che a volte non sono neppure chiese parrocchiali e che svolgono servizi nella Chiesa come capi di dicasteri nella Curia Romana e non compiti direttamente pastorali per il governo di grandi diocesi. Quindi, c’è questo ordine dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, che incide poi anche sulla precedenza all’interno del Collegio cardinalizio”.

Tra i tanti messaggi che il Papa ha ricevuto, in questi giorni, anche una lettera dei sacerdoti, vescovi, religiosi e laici della Cina:

"Molto bella, che ricorda con gratitudine tutte le volte in cui Papa Benedetto si è rivolto con amicizia, con attenzione, e con incoraggiamento alla Cina, anche nei momenti difficili del terremoto e così via. E’ una lettera molto bella, di gratitudine”.

Sulla presenza dei giornalisti in questi giorni particolari, è stato reso noto che sono 3.641 quelli accreditati e appartengono a 968 testate, di 24 lingue diverse e di 61 Paesi differenti. Sollecitato dalle domande, padre Lombardi ha nuovamente ribadito che Benedetto XVI verrà a sapere dell’elezione del nuovo Papa solo dall’annuncio del Protodiacono dalla Loggia vaticana e sull’anello piscatorio ha aggiunto che sarà reso inutilizzabile:

"Per quanto mi risulta, in passato, sia il timbro, il sigillo di piombo, sia l’anello non dovevano venire distrutti in modo che non ne restasse neanche un pezzo. Basta che vengano danneggiati in modo tale che non siano più funzionali al loro servizio”.

Infine sull’articolo di "Panorama” riguardo alle attività di intercettazione e sorveglianza in Vaticano, padre Lombardi ha affermato che la ricostruzione non corrisponde al vero e che la magistratura vaticana, nel contesto di Vatileaks, ha disposto il controllo di sole due o tre utenze. Ma questo non ha creato alcuna "atmosfera di timore e diffidenza” in grado di condizionare il Conclave.



28/02/2013 fonte Radio vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 27/02/2013 San Gabriele dell'Addolorata religioso



Immaginiamo un giovane studente di quasi diciotto anni. Un ragazzo di famiglia agiata (suo padre era un alto funzionario dello Stato Pontificio), di buona intelligenza, di carattere esuberante, aperto a tutto il fascino che la vita può offrire. Era un bel ragazzo, biondo di capelli, che teneva ben curati, di figura delicata e snella e di carnagione rosea.
Come tutti i giovani, ci teneva al proprio look: vestiva infatti bene (oggi si direbbe con abiti griffati), a volte anche in maniera raffinata. Ogni vestito lo portava in maniera signorile e distinta.
Era poi un ragazzo di buona compagnia, molto socievole, dalla battuta pronta e intelligente. Aveva anche recitato in qualche accademia, dove aveva incantato tutti con la sua voce dolce, maliosa ed evocatrice. Era ben consapevole di questo dono. Non amava certo la vita chiuso in casa, ma gli piaceva la natura, andare a caccia in allegra compagnia. Non disdegnava né le letture romanzesche, né il teatro e la danza (invidiava il fratello perché il padre gli aveva dato il permesso di... fumare). Aveva un debole per la musica come tanti giovani moderni.
Di carattere emotivo, sentimentale: era buono di cuore, facile a commuoversi davanti a spettacoli di miseria. Talvolta però bastava una minima scintilla per far nascere in lui reazioni di ribellioni e d’ira. Ma, a differenza di molti giovani dei nostri giorni, anche cristiani, non si vergognava affatto di andare in chiesa e di pregare. Ultimo particolare non trascurabile, anzi importante per dare il quadro completo del ragazzo: per un po’ di tempo non era rimasto insensibile ad un incipiente amore umano.
Abbiamo qui tutti gli ingredienti perché questo ragazzo faccia la sua strada nel mondo, approfittando di tutte le opportunità che la vita, agiata e fortunata, gli offrirà.
Invece questo giovane di diciotto anni andò in convento per diventare religioso passionista. Un taglio netto con gli interessi e abitudini, amicizie e progetti precedenti. Che cosa c’è stato all’origine di una tale "rivoluzione personale”?
Andiamo con ordine. Prima di diventare Gabriele dell’Addolorata il ragazzo si chiamava Francesco, Possenti di cognome. Era concittadino di Francesco e Chiara di Assisi. Nacque infatti in questa cittadina il 1° marzo del 1838, in una famiglia numerosa che suo padre Sante e la madre Agnese curavano e allevavano con amore. Il padre poi era un personaggio importante e facoltoso, un uomo in carriera quindi, ma che tuttavia si prese molto a cuore il compito dell’educazione civile e religiosa dei figli, preparandoli alla vita nei suoi aspetti belli e dolorosi. Anche Francesco conobbe ben presto la sofferenza.

"Tua mamma è lassù”

Quando si trovava già a Spoleto (per un nuovo incarico amministrativo del padre) alla tenera età di quattro anni perse la madre, morta a trentotto anni. Ogni volta che il piccolo cercava e invocava la presenza della mamma, gli rispondevano, puntando il dito verso il cielo, "Tua mamma è lassù”. Gli facevano lo stesso gesto quando gli parlavano della Madonna. E se chiedeva dove si trovasse la risposta era: "È lassù”. Francesco crebbe con il ricordo di queste due mamme, ambedue lassù, che vegliavano su di lui amorevolmente. Anche quando, in ginocchio, fin da piccolo recitava il Rosario accanto al padre, il pensiero correva nello stesso tempo alle sue due mamme in cielo. Così si comprende la grande e tenera devozione che Francesco avrà per la Vergine Maria. Nella sua camera poi aveva una statua della Madonna Addolorata nell’atto di sorreggere sulle ginocchia il suo Figlio Gesù morto. Francesco la contemplava a lungo, piangendo per i dolori della Madre davanti al Figlio. Questa "devozione” alle sofferenze della Madre di Gesù davanti a Gesù deposto dalla Croce, sono la spiegazione del nome che prese quando diventò religioso, a diciotto anni, nel 1856: Gabriele dell’Addolorata.
All’origine di questa conversione relativamente improvvisa vi sono due episodi significativi e importanti. Francesco aveva già perso oltre la madre anche due fratelli. Ma fu proprio la morte, a causa del colera, della sorella maggiore Maria Luisa (nel 1855) a scuotere profondamente il ragazzo, costringendolo a pensare ad una esistenza diversa da quella che aveva condotto fino a quel momento.
La perdita della sorella lo determina sempre più fortemente a prendere le distanze dalla vita di società e pensare più seriamente alla vita religiosa.
Si dice sempre che non dobbiamo aspettarci interventi diretti da parte di Dio per comunicarci la sua volontà ed il suo progetto su di noi. Dio ama parlare non in prima Persona ma attraverso le cause seconde, come possono essere gli avvenimenti, belli o brutti, piacevoli o dolorosi. Per Francesco questo lutto familiare grave era già stato un messaggio che lo aveva fatto riflettere sulla propria strada. Ma c’è stato anche qualcosa di soprannaturale, di diretto, una comunicazione in prima persona per Francesco. Da parte della Madonna.
Era il 22 agosto 1856. A Spoleto si celebrava una grande processione per solennizzare l’ultimo giorno dell’ottava dell’Assunzione. Anche Francesco era presente, anche lui inginocchiato tra la folla attende il passaggio della Madonna. Lei arriva, e sembra cercare tra la folla qualcuno. L’ha trovato e l’ha guardato. "Appena toccato da quello sguardo, scaturisce dal profondo del suo cuore un fuoco che divampa dolcissimo e inestinguibile. Ogni altro affetto, provato prima, è insipidità a paragone di quella forza d’amore da cui ora è tutto posseduto. Intanto ode distintamente una voce che lo chiama per nome e gli dice: «Francesco che stai a fare nel mondo? Tu non sei fatto per il mondo. Segui la tua vocazione». (Card. Giovanni Colombo)”. Fu la svolta radicale. La conversione alla santità.

Francesco diventa Gabriele di Maria Addolorata

Poco dopo, con il parere favorevole del confessore e contrario di suo padre (che lo aveva già come collaboratore nel suo lavoro amministrativo e non voleva rinunciare al suo aiuto) entrò nel noviziato dei Passionisti, presso Loreto. Sceglie il nome di Gabriele di Maria Addolorata. "Francesco sente di aver scelto finalmente la via giusta: «Davvero la mia vita è piena di contentezza» scrisse al padre, in attesa di un sano ripensamento e del ritorno a casa. «O papà mio, credete ad un figlio che vi parla col cuore sulle labbra: non baratterei un quarto d’ora di stare dinanzi alla nostra consolatrice e speranza nostra Maria Santissima, con un anno e quanto tempo volete, tra gli spettacoli e divertimenti del mondo». La vita religiosa non lo spaventò. «Il giovane diciottenne si adatta infatti con entusiasmo alla rigida regola della Congregazione, inaugura una vita di austera penitenza e mortificazione e segue con attenzione la formazione spirituale incentrata sull’assidua meditazione della passione di Cristo»” (F. De Palma).
Nel 1859 Gabriele e i suoi compagni si trasferiscono a Isola del Gran Sasso, in Abruzzo per continuare gli studi in vista del sacerdozio. Intensifica le sue pratiche di mortificazione e di autorinuncia a beneficio degli altri (poveri o compagni), approfondisce la spiritualità mariana, aggiungendo anche il voto personale di diffondere la devozione all’Addolorata.
La sua salute però si andava deteriorando, sia per la sua costituzione fisica fragile, sia per la vita rigida della comunità, sia per le sue privazioni volontarie supplementari. La tubercolosi polmonare lo condurrà alla morte, nel 1862, a soli 24 anni. Prima di morire chiese al suo confessore di distruggere il diario in cui aveva scritto le grazie ricevute dalla Madonna. Temeva infatti che il diavolo se ne potesse servire per tentarlo di vanagloria negli ultimi momenti del combattimento finale. Il confessore obbedì a questa sua ultima richiesta di umiltà. Gabriele lo ringraziò, ma noi abbiamo perso un prezioso documento di vita spirituale.
Sappiamo che da sempre i giovani nella loro crescita verso la maturità hanno bisogno di esempi e di modelli di identificazione. Spesso però questi modelli sono banali e superficiali, legati all’effimero, talvolta addirittura negativi, risultando invece che costruttivi distruttivi per la loro formazione. Oggi come ieri. Era così anche nel secolo scorso, ai tempi di Gabriele dell’Addolorata. Proprio per offrire un modello giovanile di santità coraggiosa e profonda sia la Congregazione dei Passionisti sia la Chiesa Cattolica accelerarono il processo di canonizzazione del giovane abruzzese. Non ultimo a spingere questo movimento fu la devozione dei fedeli nei confronti del loro conterraneo. L’intero iter fu abbastanza rapido. Gabriele fu dichiarato santo, e quindi proposto alla venerazione ed imitazione di tutti i fedeli ma specialmente dei giovani, il 13 maggio 1920 dal Papa Benedetto XV. Pochi anni dopo, nel 1926, Pio XI lo dichiarò Patrono della Gioventù Cattolica italiana.
Il ricordo di questo santo morto a soli 24 anni è molto vivo specialmente in Abruzzo, nel Santuario di Isola, che è meta di pellegrinaggio di centinaia di migliaia di giovani ogni anno. Questi ragazzi vedono in Gabriele un santo ancora oggi valido e moderno, un aiuto alla loro crescita umana e spirituale. Da ricordare e da imitare.


Il Papa all'ultima udienza generale: non lascio la Croce, le resto accanto in modo nuovo, ho voluto bene a tutti





Mattina di grandi emozioni in Piazza San Pietro, dove Benedetto XVI ha tenuto l’ultima udienza generale del suo Pontificato davanti molte a decine di migliaia persone, che lo hanno applaudito e acclamato con insistenza. Nella sua catechesi, il Papa ha affermato ancora una volta di non abbandonare la Croce, bensì di "restare in modo nuovo” accanto al Crocifisso, "nel recinto di San Pietro”. A tutti, Benedetto XVI ha espresso la propria gratitudine per il sostegno e l’affetto ricevuti in questi anni, ripetendo”: "Continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione”. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

"Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero”.

Non può starci il mondo intero in Piazza San Pietro, ma la nota dell’entusiasmo che sale di un’ottava quando l’organo attacca la sua marcia alle 10.37, in un tripudio di grida e di sventolii di striscioni e bandiere che da agitati diventano frenetici, dà l’idea che davvero il cuore del mondo sia lì e batta nel petto di quegli oltre 150 mila che hanno portato – dai quartieri dietro Via della Conciliazione come dall’Australia e dall’America Latina – un enorme carico d’affetto per Benedetto XVI. Cornice e atmosfera sono da pagina di storia e da collezione di ricordi. L’ultima udienza di Papa Benedetto, la 348.ma, è quella da mandare a memoria, immagine per immagine: l’ultimo, lungo, lento giro in papamobile del 264.mo Successore di Pietro, la sua benedizione a chi vorrebbe sfiorarlo, a chi gli manda un saluto, un bacio, un "grazie”, un sorriso e una lacrima. Per oltre dieci minuti, il Papa solca la folla in tutte le geometrie che la Piazza consente prima di sedersi per l’ultimo discorso del mercoledì, la madre di tutte le catechesi. Che proprio per questo non può prescindere dal dare, ancora, una risposta al perché di un gesto che sedici giorni fa ha scosso la Chiesa universale dalle fondamenta:

"Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. 

Cardinali, fondatori e capi di Movimenti e associazioni, fedeli, giornalisti, curiosi, turisti ascoltano Benedetto XVI spiegare come un Papa, proprio perché è di tutti, non è più di sé stesso. "Alla sua vita – dice – viene, per così dire, totalmente tolta la sua dimensione privata”, poiché accettando il ministero di Pietro c’è un "sempre” e un "per sempre” e dunque "non c’è più un ritornare nel privato”:

"La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro”.

Ma prima di "scomparire” nel recinto della preghiera lontano dal mondo, il mondo esige che il suo Papa rievochi la storia di questi anni. Così, il primo applauso scatta quando Benedetto XVI ricorda quel 19 aprile 2005, giorno in cui, confida, un "grande peso” ha accolto sulle spalle per poi sperimentare che quel peso era portato ogni giorno con Cristo. "Il Signore – racconta – mi ha veramente guidato”:

"E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come San Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire”. 

Ma pioggia o sole, nulla – ha subito soggiunto – ha mai scalfito questa convinzione:

"Ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare”.

Davanti agli occhi del Papa, Piazza San Pietro è un oceano di sentimenti sul quale il Timoniere della barca di Pietro naviga commosso, ricambiando affetto con affetto. La mia, afferma, è stata una storia condivisa. "Non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino”, dice ringraziando i cardinali e i collaboratori di Curia, per poi abbracciare con gratitudine tutti, clero, religiosi, fedeli:

"Nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre”.

Un padre, prosegue, al quale in tanti hanno scritto, dai potenti alla gente comune e questo – scandisce Benedetto XVI – fa "toccare con mano” come la Chiesa sia un "corpo vivo”, che unisce tutti in una "comunione di fratelli e sorelle”:

"Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi”. 

Gli applausi salgono d’intensità e frequenza man mano che Benedetto XVI si avvia alla conclusione del suo ultimo, grande discorso. Ricorda alla Chiesa di aver indetto l’Anno della Fede perché ognuno si sentisse amato da Dio, "sentisse la gioia di essere cristiano”, come scrive anche nel tweet successivo all’udienza. E a tutti, indistintamente e ancora, il grazie forse più importante, quello per il "rispetto e la comprensione con cui – riconosce – avete accolto questa decisione così importante:

"Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito”. 

Le ultime parole di Benedetto XVI sono universali, dirette a quel mondo intero che lo ha amato e ascoltato. Sono il lascito di un padre e maestro non solo di fede, anche di umanità:

"Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!”.


27/02/2013 fonte Radio Vaticana



Tutte le strade portano a Pietro. Il saluto di Benedetto XVI al mondo intero


All’ultima udienza generale di Benedetto XVI, si è potuta vedere e vivere, in un modo straordinario, l’universalità della Chiesa riunita attorno al Successore di Pietro. Nessuna lingua è straniera al Papa, perché parla la lingua dell’amore di Cristo. E così oggi hanno avuto un significato davvero particolare i saluti in 11 lingue, oltre l’italiano, che il Pontefice ha rivolto ai pellegrini venuti da tutto il mondo per salutarlo e ringraziarlo al termine del suo ministero petrino. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Tutte le strade portano a Roma. Perché portano a Pietro. Nella grande Piazza abbracciata dal Colonnato del Bernini, stamani si potevano ascoltare lingue familiari e idiomi semisconosciuti. Si potevano vedere bandiere di ogni Paese e scorgere, tra la folla, vestiti e copricapi che richiamano culture e tradizioni lontane. E’ il piccolo "miracolo” che si ripete ogni mercoledì all’udienza generale. Nessuno si sente straniero in Piazza San Pietro. Una dimensione, quella dell’universalità della Chiesa, che si è vissuta oggi in modo straordinario. E che ha avuto il suo momento culminante nel saluto, quasi dialogato, che il Papa ha rivolto in 11 lingue, oltre l’italiano, ai pellegrini di tutto il mondo.

"Je vous remercie pour le respect…”
"Vi ringrazio – ha detto in francese – per il rispetto e la comprensione” con le quali avete accettato la mia rinuncia. E ha sottolineato che "continuerà ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione”. Quindi, ha incoraggiato i fedeli ad avere il cuore pieno di gioia nella certezza che il Signore "è vicino a noi, ci accompagna con il suo amore” e sosterrà sempre la Chiesa. Benedetto XVI spiega con animo sereno la sua scelta, declinandola nelle diverse lingue. Il pensiero più lungo, comprensibilmente, è affidato al tedesco, la sua lingua madre. Parole che sono precedute da un breve, spontaneo omaggio musicale dei suoi conterranei bavaresi:

"Wie Petrus und die Jünger…”
"Come Pietro e i discepoli nella barca sul lago di Galilea – afferma – io sapevo che il Signore è nella Barca, che è la sua Barca”. Nulla, ha aggiunto, "può oscurare questa certezza”. Ecco perché, soggiunge, un Papa non è mai solo quando guida la Barca di Pietro. E in inglese confida di sentirsi come San Paolo che aveva il cuore pieno di "gratitudine al Signore” che sempre guida la Chiesa:

"In union with Mary and all the saints…”
"In comunione con Maria e con tutti i Santi”, è il suo invito, affidatevi con speranza al Signore che continua a vegliare sulle nostre vite, sul "cammino della Chiesa e del mondo lungo i sentieri della storia”. Le parole del Papa si alternano agli applausi della gente, ai cori, al semplice "grazie", "gracias", "danke", "merci", che riecheggia da un angolo all’altro della Piazza. Anche in spagnolo e in portoghese, le lingue parlate dalla maggioranza dei cattolici nel mondo, il Papa ha parole di speranza per l’avvenire. La Chiesa, riafferma ancora una volta, è del Signore che sempre la sosterrà e guiderà con la sua luce:

"En este Año de la fe invito a todos…”
"In questo Anno della fede – dice – invito tutti a rinnovare la ferma fiducia in Dio con la sicurezza che Egli ci sostiene e ci ama” e invita a testimoniare a tutti la gioia di essere cristiani. Gioia e gratitudine sono proprio le parole che più ricorrono nei saluti del Papa nelle diverse lingue. C'è commozione ma non c’è tristezza nel salutare per l’ultima volta i pellegrini che per otto anni sono accorsi in Piazza San Pietro o in Aula Paolo VI per l’udienza del mercoledì. Non c’è tristezza: quello di oggi, infatti, non è un addio, e neppure un arrivederci. Perché, come il Papa sottolinea nel saluto in croato, "sotto la protezione della Madre celeste, rimaniamo uniti nella preghiera e nella fede in Cristo risorto”.


27/02/2013 fonte Radio Vaticana





Libertà religiosa e missione: dal Vietnam alle Filippine, l’eredità di Benedetto XVI
 
Il Papa resta un modello e una guida in una nazione governata da un governo comunista. Sacerdote di Hue sottolinea la ripresa dei rapporti fra Hanoi e Santa Sede durante il pontificato di papa Ratzinger. Dalle Filippine, unica nazione asiatica a maggioranza cattolica, il richiamo all’opera di annuncio del Vangelo. 


Città del Vaticano (AsiaNews) - "La Chiesa del Vietnam ha bisogno di testimonianze di vita e di fede" e Benedetto XVI è stato "un modello e una guida" in una nazione governata da un "regime comunista che ancora oggi limita la libertà religiosa". È questo il primo pensiero di un sacerdote vietnamita, confuso fra la folla che gremisce piazza San Pietro in attesa di salutare per l'ultima volta il suo "amato Papa" che da domani lascerà il soglio pontificio. Un missionario filippino ricorda invece il compito "missionario" che è affidato ad ogni cattolico, ancor più vivo e urgente nell'unica nazione asiatica a maggioranza cristiana e che si stringe attorno al card Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, indicato come uno dei possibili successori di papa Ratzinger.

P. Giuseppe, originario di Hue, nel Vietnam centrale sottolinea che "la Chiesa del Vietnam ha bisogno di una fede molto forte", perché "siamo ancora oggi sotto un regime comunista che limita la libertà religiosa". Benedetto XVI "rappresenta la fede in Dio" e "ci aiuta a diventare modello e testimonianza nel mondo". "Nella nostra società - aggiunge il sacerdote - la fede non è ancora così radicata e sviluppata, per questo è importante promuoverla e diffonderla con l'opera di annuncio".

Il sacerdote ricorda inoltre il notevole contributo fornito dal Papa per la ripresa dei rapporti diplomatici fra Santa Sede e Hanoi, ma resta ancora molto da fare e "guardiamo al futuro speranzosi, mettendoci nelle mani di Dio". "La Chiesa del Vietnam - conclude - ha bisogno di testimonianza alla vita e alla fede, ci vuole sempre maggiore cattolicità".

Dal sud-est asiatico arriva anche la testimonianza di P. Reinaldo Bullas Jr., missionario monfortano, originario delle Filippine, che è "triste ma al tempo stesso felice per il Papa e la sua decisione: le sue sofferenze e le sue condizioni di salute gli impedivano di continuare, per questo ha compiuto un grande gesto". Benedetto XVI è un "richiamo costante all'unità" e invita "ad approfondire sempre più l'amore per la Chiesa". E dalle Filippine, aggiunge il sacerdote, deve arrivare una sempre maggiore "profondità di fede, prendendo parte all'opera di evangelizzazione sia in patria che rendendosi disponibili ad andare oltreconfine. La missione è un dovere di ogni cristiano".(DS)

 27/02/2013 fonte Asia News

Giovani cristiani del Medio Oriente: Grazie a Benedetto XVI, un sostegno alla nostra vocazione

Johanna, giovane seminarista egiziano, e p. Isa, sacerdote palestinese di Betlemme, devono la loro vocazione alla figura di Benedetto XVI. Con le sue encicliche, le sue lettere e il suo viaggio in Terra Santa egli è stato un esempio della presenza di Cristo non solo fra i cristiani, ma anche fra musulmani ed ebrei.


Città del Vaticano (AsiaNews) -  "Benedetto XVI rappresenta una figura forte e coraggiosa che dà speranza alla nostra minoranza cristiana cattolica in Egitto". È quanto afferma ad AsiaNews Johanna Luca, 28 anni, giovane seminarista di Giza (Egitto), giunto in piazza S. Pietro per assistere all'ultima udienza di Benedetto XVI.  Come altri seminaristi, Johanna è a Roma da pochi mesi e si ritiene fortunato per la possibilità di vedere ed ascoltare il Papa in questo periodo di verifica del sacerdozio. " In questi anni - racconta - ho sempre visto in lui un sostegno e un esempio di comunione, soprattutto per la mia Chiesa che opera in un Paese a maggioranza musulmana". Per il seminarista "l'amore per Cristo testimoniato  dal papa ha riempito di luce e ha dato speranza ai giovani cristiani egiziani". "Il gesto di rinuncia mi ha colpito - ammette - all'inizio ero molto addolorato, ma ora so che Benedetto XVI sarà ancora più vicino a me attraverso la preghiera e alla sua totale dedizione a Cristo".  

P. Isa, 29 anni, giunge invece da Betlemme (Palestina) e come Johanna è a Roma da pochi mesi. Il giovane sacerdote racconta che Benedetto XVI è stato fondamentale per la sua vocazione: "Avevo 21 anni quando il card. Joseph Ratzinger è stato eletto papa.  La sua figura ha accompagnato tutti i miei anni di seminario attraverso le sue encicliche, i suoi discorsi e il suo viaggio in Terra Santa nel 2009. In questo periodo ho imparato da lui l'amore per la Chiesa e soprattutto la comunione dell'amore all'interno della Chiesa. Oggi sono qui in piazza San Pietro per pregare per lui e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per i cristiani di Terra Santa e del Medio Oriente".

P. Isa sottolinea che attraverso i suoi discorsi, in particolare quello di Ratisbona, Benedetto XVI ha testimoniato lo sguardo amorevole e misericordioso di Gesù alle persone di fedi differenti.  "Dio - spiega - si è fatto uomo per salvare tutta l'umanità. Noi cristiani di Terra Santa viviamo da vicino questa priorità, la nostra presenza fra musulmani ed ebrei serve proprio per testimoniare al mondo che Cristo è morto e risorto per tutti". "La mia speranza - conclude - è che il futuro Papa continui su questa strada dell'amore e della comunione universale fra i cattolici e sia per tutti un esempio di umiltà e servizio alla Chiesa". (S.C.)

 
27/02/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 26/02/2013 Sant'Agricola Di Nevers vescovo
Prima della sua assunzione al seggio episcopale di Nevers, sarebbe stato conte di questa città, sotto il re Gontrano. Il suo episcopato è collocato tra l'anno 570, data in cui il suo predecessore assisteva ad un concilio, e l'anno 614, in cui si incontra il suo immediato o secondo successore. Una tradizione fissa nell'anno 594 la data della sua morte. Si può rilevare la sua presenza nei concili di Macon (581), Lione (583) e Macon (585). Quando il monastero di Santa Croce di Poitiers fu sconvolto dalle agitazioni di Basino e Crodildo, nel 590, Agricola fu uno dei vescovi incaricati dell'inchiesta canonica e si pronunziò per la scomunica dei religiosi che erano fuggiti.
Venanzio Fortunato indirizza un poema ad un certo Agricola, che sarebbe stato suo condiscepolo, ma nulla permette di affermare l'identità con il nostro santo. Agricola morì il 26 febbraio, forse nel 594. La chiesa dove egli fu sepolto prese il suo nome. Le sue reliquie furono profanate nel 1791, ma una parte di esse fu trasferita a Nolay (Nièvre). 
Un sarcofago visto ancora da Mgr Crosnier nel 1858 è considerato come quello di sant' Agricola.  Questo santo è invocato specialmente in tempi di disgrazie. La sua festa si celebra a Nevers il 26 febbraio.


Il card. Vallini: "Roma vuole bene al Papa, oggi folla a S. Pietro"




Oggi nell’ultima udienza di Benedetto XVI, con la città di Roma che ha organizzato un piano straordinario per la mobilità e l'adozione di speciali misure di sicurezza, i fedeli si accingono a recarsi in piazza san Pietro per testimoniare al Papa il proprio affetto, mobilitati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Nell’intervista di Luca Collodi, il porporato spiega come la diocesi si stia preparando all’evento: 

R. - Non potevamo fare diversamente, è un’esigenza del cuore e della fede. Non dimentichiamo che il Santo Padre è il vescovo di questa diocesi. Roma, peraltro, vuole molto bene al Papa, sente verso di lui un trasporto particolare così che, certo, all’ultimo atto pubblico non poteva mancare. Io credo che domani in piazza San Pietro ci sarà tanta gente di Roma e del mondo.

D. – Come vi state organizzando con le parrocchie?

R. - L’organizzazione è molto semplice, è lasciata l’iniziativa a ogni parrocchia. Sento anche da parte di parroci numeri molto elevati di persone: non dimentichiamo che è giornata lavorativa ma molti saranno presenti lo stesso.

D. – La rinuncia del Papa al Pontificato è un atto di fede, ma anche un atto di governo della Chiesa…

R. - È un atto al quale abbiamo assistito all’inizio un po’ sgomenti. Io ricordo la reazione immediata quando ho ascoltato il discorso del Santo Padre, l’11 febbraio, ma poi riflettendo a distanza anche di poche ore, si è capita la grande portata di questa scelta, dettata certo dalla rettitudine e dalla grande fede di Papa Benedetto che, con il crescere dell’età e guardando alle esigenze della Chiesa, ha ritenuto di prendere una decisione assolutamente nuova. Lui, però, non va via dalla Chiesa, lui rimane prega e continua d esercitare la sua funzione di Pastore orante.

D. – Tra l’altro, dobbiamo dire che la diocesi di Roma avrà un vescovo emerito molto importante…

R. – Certo e a cui siamo molto legati, a cui vogliamo molto bene, a cui siamo anche molto grati perché le visite che il Santo Padre ha fatto in questi anni nelle parrocchie sono state visite che hanno sempre lasciato il segno. La presenza del Papa ha ravvivato il cammino spirituale e anche gli aspetti talvolta aggregativi dei quartieri. Si sono adoperati tutti, dalle istituzioni locali, le parrocchie, i movimenti, le associazioni, ed era veramente un tripudio di gioia accogliere il Santo Padre che poi, con tanta benevolenza, seguiva e benediceva.

D. - Per concludere, quale è stato il legame di Papa Benedetto con Roma?

R. – Un legame intenso, espresso esteriormente con occasioni un po’ tradizionali, ma anche in alcune nuove. Posso dire anche un piccolo aneddoto: quando avevo il privilegio di andare in udienza, mi diceva: "Sono contento stamattina, così posso fare più direttamente il vescovo di Roma”. Questo certo mostrava tutta la sua passione, il suo interesse di Pastore per la nostra Chiesa. E poi tutte le linee pastorali che il Papa ci ha dato: lui introduceva i convegni con un discorso - convegni diocesani annuali - incontrava i sacerdoti il giovedì dopo le Ceneri, poi i seminaristi, la celebrazione del Giovedì Santo, la processione del Corpus Domini… Il rapporto del Papa con Roma, se quantitativamente non era quotidiano perché aveva da attendere al governo della Chiesa universale, era però molto intenso ed era da lui molto seguito.

D. – Cardinale Vallini, il suo umano atteggiamento nei confronti di questo momento storico per la vita della Chiesa?

R. – Io l’ho vissuto innanzitutto con grande partecipazione emotiva, poi con grande gratitudine per tutto quello che anche personalmente ho ricevuto da lui e certo l’insegnamento, la testimonianza, di Papa Benedetto è profondamente presente nel mio cuore e lo sarà ancora.


26/02/2013 fonte Radio Vaticana

Motu proprio. Il Papa lascia ai cardinali la facoltà di anticipare il Conclave




E’ stata pubblicata lunedì la Lettera apostolica in forma di Motu proprio "Normas nonnullas" su alcune modifiche alle norme relative all’elezione del Papa. Nel documento, Benedetto XVI apporta alcune modifiche alle precedenti normative per "assicurare il migliore svolgimento di quanto attiene, pur con diverso rilievo, all’elezione del Romano Pontefice” e "in particolare una più certa interpretazione ed attuazione di alcune disposizioni”.

"Nessun Cardinale elettore – afferma Benedetto XVI - potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto, fermo restando quanto prescritto al n. 40 e al n. 75” della Costituzione Universi Dominici gregis.

E’ stato inoltre stabilito che, "dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, si attendano per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave”. Il Papa lascia "peraltro al Collegio dei Cardinali la facoltà di anticipare l’inizio del Conclave se consta della presenza di tutti i Cardinale elettori, come pure la facoltà di protrarre, se ci sono motivi gravi, l’inizio dell’elezione per alcuni altri giorni. Trascorsi però, al massimo, venti giorni dall’inizio della Sede Vacante, tutti i Cardinali elettori presenti sono tenuti a procedere all’elezione”.

Si precisano inoltre le norme per la segretezza del Conclave: "L’intero territorio della Città del Vaticano e anche l’attività ordinaria degli Uffici aventi sede entro il suo ambito dovranno essere regolati, per detto periodo, in modo da assicurare la riservatezza e il libero svolgimento di tutte le operazioni connesse con l’elezione del Sommo Pontefice. In particolare si dovrà provvedere, anche con l’aiuto di Prelati Chierici di Camera, che i Cardinali elettori non siano avvicinati da nessuno durante il percorso dalla Domus Sanctae Marthae al Palazzo Apostolico Vaticano”.

Tutte le persone "che per qualsivoglia motivo e in qualsiasi tempo venissero a conoscenza da chiunque di quanto direttamente o indirettamente concerne gli atti propri dell’elezione e, in modo particolare, di quanto attiene agli scrutini avvenuti nell’elezione stessa, sono obbligate a stretto segreto con qualunque persona estranea al Collegio dei Cardinali elettori: per tale scopo, prima dell’inizio delle operazioni dell’elezione, dovranno prestare giuramento” secondo precise modalità nella consapevolezza che una sua infrazione comporterà "la pena della scomunica «latae sententiae» riservata alla Sede Apostolica”.

"Aboliti i modi di elezione detti per acclamationem seu inspirationem e per compromissum, la forma di elezione del Romano Pontefice sarà d’ora in poi unicamente per scrutinium”. Il Papa
stabilisce, pertanto, "che per la valida elezione del Romano Pontefice si richiedono almeno i due terzi dei suffragi, computati sulla base degli elettori presenti e votanti.”

"Se le votazioni di cui ai nn. 72, 73 e 74” della Costituzione Universi Dominici gregis non avranno esito, è stabilito che "sia dedicato un giorno alla preghiera, alla riflessione e al dialogo”; nelle successive votazioni, "avranno voce passiva soltanto i due nomi che nel precedente scrutinio avevano ottenuto il maggior numero di voti, né si potrà recedere dalla disposizione che per la valida elezione, anche in questi scrutini, è richiesta la maggioranza qualificata di almeno due terzi di suffragi dei Cardinali presenti e votanti. In queste votazioni, i due nomi che hanno voce passiva non hanno voce attiva”.

"Avvenuta canonicamente l’elezione, l’ultimo dei Cardinali Diaconi chiama nell’aula dell’elezione il Segretario del Collegio dei Cardinali, il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie e due Cerimonieri; quindi, il Cardinale Decano, o il primo dei Cardinali per ordine e anzianità, a nome di tutto il Collegio degli elettori chiede il consenso dell’eletto con le seguenti parole: Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice? E appena ricevuto il consenso, gli chiede: Come vuoi essere chiamato? Allora il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, con funzione di notaio e avendo per testimoni due Cerimonieri, redige un documento circa l’accettazione del nuovo Pontefice e il nome da lui assunto”.

26/02/2013 fonte Radio Vaticana





Il Papa e la preghiera, "arte" che apre a Dio il cuore dell'uomo






Domani, dunque, Benedetto XVI porrà fine al suo Pontificato per ritirarsi a una vita di preghiera. E proprio alla preghiera, il Papa ha dedicato tra il 2011 e il 2012 una vera e propria "scuola”, in particolare sviluppando una serie di catechesi alle udienze generali del mercoledì. Alessandro De Carolis ricorda alcune riflessioni del Pontefice sull’argomento: 

Un atto sempre meno praticato, in misura direttamente proporzionale con l’eclissi del senso di Dio e la perdita di senso del sacro. Pregare è diventato un fatto raro, anche tra i cristiani. E praticare l’indifferenza aumenta la lontananza, perché – ha spiegato una volta Benedetto XVI – l’ardore della preghiera non è un fuoco che si può far ardere a comando e al bisogno, quanto piuttosto è una fiamma che brucia, cresce e scalda solo se alimentata con costanza. E da questa "regola” non sfugge nessuno:

"Sappiamo bene, infatti, che la preghiera non va data per scontata: occorre imparare a pregare, quasi acquisendo sempre di nuovo quest’arte; anche coloro che sono molto avanzati nella vita spirituale sentono sempre il bisogno di mettersi alla scuola di Gesù per apprendere a pregare con autenticità”. (Udienza generale 4 maggio 2011)

In settimane e mesi di riflessione, spaziando dai Salmi ai pensatori cristiani, il Papa ha fornito una serie di risposte di base alle domande consapevoli di chi cerca un contatto con Dio, e pure a quelle inconsapevoli di chi non pensa a Dio ma prima o poi percepirà che non tutti i bisogni del suo cuore, e anche del corpo, possono ricevere soddisfazione dal mondo del tangibile. Dalla sua creazione, esiste nell’uomo una insopprimibile voce che cerca risposte oltre il confine del sensibile. È quella che Benedetto XVI chiama "nostalgia di eternità”:

"L’uomo di tutti i tempi prega perché non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno sul mondo. La vita umana è un intreccio di bene e male, di sofferenza immeritata e di gioia e bellezza, che spontaneamente e irresistibilmente ci spinge a chiedere a Dio quella luce e quella forza interiori che ci soccorrano sulla terra e dischiudano una speranza che vada oltre i confini della morte”. (Udienza generale 4 maggio 2011)

E tutto questo vale anche per l’uomo contemporaneo, molto spesso tentato – ha affermato in una occasione il Papa – di "eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti”? La risposta è sì:

"L’uomo ‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena. Del resto, la vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità, alla quale tutti tendiamo, è proiettata spontaneamente verso il futuro, in un domani ancora da compiersi”. (Udienza generale 11 maggio 2011)

Stabilito che l’orizzonte interiore di un essere umano non è dato dalla somma dei suoi sensi – e la sua felicità dalla quantità dei bisogni appagati – ma da quel "desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità che lo spingono verso l’Assoluto”, Benedetto XVI compie un passo ulteriore rispondendo alla domanda: "Qual è lo scopo primario della preghiera?”:

"Lo scopo primario della preghiera è la conversione: il fuoco di Dio che trasforma il nostro cuore e ci fa capaci di vedere Dio e così di vivere secondo Dio e di vivere per l’altro”(…) "All’assoluto di Dio, il credente deve rispondere con un amore assoluto, totale, che impegni tutta la sua vita, le sue forze, il suo cuore”. (Udienza generale 15 giugno 2011)

Questa, in estrema e incompleta sintesi, è la preghiera per Benedetto XVI. L’uomo che tra 48 ore si eclisserà dal mondo per essere solo un cuore orante per la Chiesa, giunta a un nuovo capoverso della sua lunghissima storia. Solo un ultimo insegnamento arriva da Joseph Ratzinger Benedetto XVI, quasi impercettibile nella sua semplicità, ma in perfetta linea con la sua anima e il suo stile e in perfetta antitesi col bisogno di protagonismo spesso arrogante che si nota oggi attorno. Quando pregate, ricorda a tutti, fatelo come il pubblicano in fondo alla chiesa, a capo chino. Riscoprite, dice, la bellezza di mettervi in ginocchio:

"E’ un gesto che porta in sé una radicale ambivalenza: infatti, posso essere costretto a mettermi in ginocchio – condizione di indigenza e di schiavitù – ma posso anche inginocchiarmi spontaneamente, dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro”. (Udienza generale 11 maggio 2011)


26/02/2013 fonte Radio Vaticana

Bangladesh: in migliaia contro l’uso politico della religione (e il partito islamico)

di Sumon Francis Gomes
A un raduno persone di ogni origine ed estrazione sociale hanno letto insieme citazioni dai libri sacri di islam, cristianesimo, induismo e buddismo. Intanto, non si fermano le violenze dei sostenitori del Jamaat-e-Islami, che accusano i manifestanti pacifici di blasfemia.


Dhaka (AsiaNews) - In protesta contro la strumentalizzazione della religione a scopi politici, in Bangladesh migliaia di persone di ogni fede, età, professione ed etnia hanno recitato insieme passi dei libri sacri delle quattro grandi religioni del Bangladesh. Dopo la lettura di Corano (islam), Bibbia (cristianesimo), Gita (induismo) e Tripitaka (buddismo), la gente ha cantato l'inno nazionale, per affermare che "la religione è personale, lo Stato è di tutti". Avvenuta il 21 febbraio scorso, l'iniziativa è organizzata dal movimento pacifico Gonojagoron Mancha, che da settimane manifesta per chiedere giustizia contro i crimini di guerra e l'espulsione del Jamaat-e-Islami (partito islamico, all'opposizione) dal governo. Intanto però, non si fermano i gravi episodi di violenza perpetrati dai sostenitori del Jamaat, che accusano i manifestanti di blasfemia e hanno causato la morte di quattro persone.

"La nostra protesta - spiega Imran Sarker, principale organizzatore del raduno - non ha nulla contro la religione. Al contrario, la nostra lotta vuole porre fine alla politica malata del Jamaat-Shibir [l'ala giovanile, ndr], che sfrutta la fede per scopi politici".

Eppure, il partito islamico non si ferma e continua a organizzare scioperi (hartal), che puntualmente sfociano in atti vandalici, delinquenza comune, oltre a violenze contro poliziotti e manifestanti pacifici. I disordini provocati dai sostenitori del Jamaat si sono inaspriti dopo il 18 febbraio, quando il parlamento (guidato dall'Awami League) ha approvato una modifica all'International Crimes (Tribunals) Act 1973. Il nuovo emendamento permette allo Stato di chiedere la pena di morte contro chi è riconosciuto colpevole di crimini di guerra nel 1971. Inoltre, dà la possibilità di espellere il Jamaat-e-Islami - ritenuto il principale responsabile di torture, omicidi sommari e stupri durante la guerra - dal governo.

Proprio in uno degli ultimi incidenti provocati dai militanti del partito islamico - avvenuto il 22 febbraio -, quattro persone sono morte e giornalisti, intellettuali e forze dell'ordine sono stati aggrediti. Gli attivisti del Gonojagoron Mancha sono presi di mira in modo regolare a Chittagong, Feni, Chandpur, Rajshahi, Bogra, Sirajganj, Joypurat, Sylhet, Moulvibazar e Pabna. In molte occasione, i seguaci del Jamaat hanno bruciato le bandiere nazionali.

Il 21 febbraio scorso, anche il primo ministro Sheikh Hasina si è espressa sulle tensioni che stanno profilandosi nel Paese: "Il Bangladesh non sarà un sistema nazionalista, e tutte le religioni verranno garantite... tutti vivranno qui godendo di uguali diritti".

 
26/02/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 25/02/2013 San Callisto Caravario Sacerdote Salesiano Martire



Nel 1885 san Giovanni Bosco aveva rivelato ai Salesiani riuniti a San Benigno Canavese, in Piemonte, di aver sognato una turba di ragazzi che gli erano andati incontro dicendogli: «Ti abbiamo aspettato tanto» e in un altro sogno vide alzarsi verso il cielo due grandi calici, l’uno ripieno di sudore e l’altro di sangue. Quando nel 1918 il gruppo di missionari Salesiani partì da Valdocco, in Torino, alla volta di Schiu-Chow nel Kwang-tung in Cina, il Rettor Maggiore dell’ordine, don Paolo Albera, donò loro il calice con il quale aveva celebrato le sue nozze d’oro di consacrazione ed i 50 anni del Santuario di Maria Ausiliatrice. Il prezioso e simbolico dono  venne consegnato da don Sante Garelli a monsignor Versiglia, il quale dichiarò: «Don Bosco vide che quando in Cina un calice si sarebbe riempito di sangue, l’Opera Salesiana si sarebbe meravigliosamente diffusa in mezzo a questo popolo immenso. Tu mi porti il calice visto dal Padre: a me il riempirlo di sangue per l’adempimento della visione».

In 12 anni di missione, dal 1918 al 1930, il Vescovo Versiglia riuscì a compiere prodigi in una terra del tutto nemica dei cattolici: istituì 55 stazioni missionarie primarie e secondarie rispetto alle 18 trovate; ordinò 21 sacerdoti, due religiosi laici, 15 suore del luogo e 10 straniere; lasciò 31 catechisti (18 donne), 39 insegnanti (8 maestre) e 25 seminaristi. Portò al battesimo tremila cristiani convertiti, a fronte dei 1.479 trovati al suo arrivo. Eresse un orfanotrofio, una casa di formazione per catechiste, una scuola per catechisti sia femmine che maschi; l’istituto Don Bosco, comprensivo delle scuole professionali, complementari e magistrali per i ragazzi; l’Istituto Maria Ausiliatrice per le ragazze; un ricovero per gli anziani; un brefotrofio, due dispensari per medicinali e la Casa del missionario, come desiderava fosse chiamato l’episcopio.

Il Vescovo martire non si fermava mai di fronte a nulla, neppure alle carestie, alle epidemie, alle sconfitte che si presentavano al coraggioso monsignore e ai suoi collaboratori, non sempre umanamente ricompensati: apostasie, calunnie, abbandoni, incomprensioni, viltà… Ma tutto veniva superato grazie alla preghiera, intensa, costante, significante. Negli anni dedicati alla Cina, monsignor Versiglia non si è mai stancato di esortare i suoi sacerdoti al dialogo con il Signore e con la Vergine Maria. Non a caso teneva una corrispondenza con le monache Carmelitane di Firenze, domandando loro sostegno spirituale. Leggiamo nell’ultima sua lettera inviata alla superiora delle Carmelitane, scritta poche settimane prima della morte: «… solleviamo in alto i nostri cuori, dimentichiamo di più noi stessi e parliamo di più di Dio, del modo di servirlo di più, di consolarlo di più, del bisogno e del modo di guadagnargli delle anime. Voi, Sorelle, potrete più facilmente parlare a noi delle finezze dell’amore di Gesù, noi forse potremo parlare a voi della miseria di tante anime, che vivono lontano da Dio e della necessità di condurle a Lui; noi ci sentiremo elevati all’amore a Dio, voi vi sentirete maggiormente spinte allo zelo».

Fra coloro che lo sostenevano in quell’impresa impavida votata alla salvezza delle anime (il fine reale di ogni sacerdote e di ogni consacrato, anche se è un concetto che abitualmente non si sente più, dando rilievo, invece, a concezioni di carattere più economico-sociali che spirituali) e consequenzialmente alla dignità dell’uomo, come è sempre accaduto con l’evangelizzazione e la diffusione del cristianesimo,  c’era anche il giovane don Callisto Caravario, nato a Cuorgnè (Torino) l’ 8 giugno 1903.La sua famiglia si era trasferita a Torino e qui il piccolo Callisto poté frequentare l’oratorio e la scuola dei Salesiani fino agli studi del Liceo classico. Nel 1919, sedicenne, conobbe monsignor Versiglia, di passaggio a Torino, al quale rivelò: «La seguirò in Cina». Così avvenne. Si imbarcò a Genova a 21 anni. Prima lavorò in Estremo Oriente, nell’isola di Timor, poi a Shangai e infine a Schiu Chow, dove fu ordinato sacerdote da monsignor Versiglia nel 1929. Egli ha lasciato delle splendide e struggenti lettere alla mamma, dove si può ammirare tutto il suo amore per Dio e per il quale era pronto a qualsiasi cosa, anche al sacrificio supremo della vita: «Oramai il tuo Callisto non è più tuo, deve essere completamente del Signore, dedicato completamente al suo servizio! […] Sarà breve o lungo il mio sacerdozio? Non lo so, l’importante è che io faccia bene e che presentandomi al Signore io possa dire d’aver, col suo aiuto, fatto fruttare le grazie che Egli mi ha dato». Si presentò al Signore con i suoi frutti già l’anno successivo, sacerdote di otto mesi.

Il Vescovo Luigi Versiglia e don Callisto Caravario partirono il 24 febbraio in treno insieme a due allievi del Collegio Don Bosco, che tornavano a casa per le vacanze, due loro sorelle ed una catechista insegnate. La situazione politico-sociale era turbolenta a causa di continue guerriglie che tormentavano i territori del sud della Cina: da tempo il Vescovo attendeva tempi migliori per la sua visita pastorale ai cristiani di Lin Chow. Alla fine del 1930 partì ugualmente perché «Se aspettiamo che le vie siano sicure, non si parte più… No no, guai se la paura prende il sopravvento! Sarà quel che Dio vorrà!».

Il giorno 25 proseguono il viaggio in barca sul fiume Pak-kong. Poi una breve sosta a Ling Kong How. A mezzogiorno traghettano nuovamente il fiume, diretti a Li Thau Tzeui. Stanno recitando l’Angelus, quando improvvisamente dalla riva esplode un urlo selvaggio. Una decina di uomini, con i fucili puntati, intimano all’imbarcazione di approdare alla riva. Il barcaiolo è costretto ad obbedire. «Sotto quale protezione viaggiate?», gli chiedono e il barcaiolo: «Di nessuno, mai nessuno l’ha imposta ai missionari…». Due uomini si avventano sull’imbarcazione e scoprono, sotto il tettuccio di riparo, le tre donne, che vogliono portare via, ma monsignor Luigi e don Callisto le difendono, facendo barriera. I criminali, urlando, brandiscono con violenza il calcio dei fucili sui loro corpi, che cadono atterra. Il Vescovo ha la forza di esortare Maria Thong: «Aumenta la tua fede», mentre don Callisto mormora: «Gesù… Maria!». I missionari vengono legati e trascinati in un bosco. Un bandito afferma: «Bisogna distruggere la Chiesa Cattolica».

Monsignor Luigi e don Callisto comprendono che è giunto il tempo di testimoniare con la vita la fede in Cristo. Sono sereni. Si mettono a pregare ad alta voce, in ginocchio e guardando in alto. Cinque colpi di fucile interrompono la loro lode estatica.

I due allievi con le tre giovani avevano udito e visto tutto e tutto testimonieranno. Le donne, in lacrime, dovettero seguire i loro aggressori, mentre i ragazzi furono obbligati ad andarsene senza voltarsi indietro. Le spoglie dei martiri furono raccolte e sepolte a Schiu Chow, poi dissepolte e disperse.

Papa Paolo VI nel 1976 li dichiarò martiri e Giovanni Paolo II il 15 maggio 1983 li ha beatificati per poi proclamarli santi il 1° ottobre 2000, insieme ad altri  120 martiri cattolici.


Il Conclave potrà iniziare prima del 15 marzo; lo decideranno, dopo l'1, i cardinali





Lo stabilisce il motu proprio di Benedetto XVI "Normas nonnullas", pubblicato oggi. Nessun elettore può essere escluso, ma può decidere "per gravi motivi" di non partecipare. Terminato il lavoro della Commissione cardinalizia d'indagine sulla fuga di notizie riservate. Gli atti dell'indagine "riservati al prossimo pontefice", ma i tre cardinali che ne facevano parte "potranno esprimere i propri convincimenti durante le Congregazioini generali, vedranno loro con che limite per non violare il segreto sul Rapporto". 


Città del Vaticano (AsiaNews) - Il conclave può avere inizio prima del 15 marzo, se in tal senso deciderà la Congregazione generale. E' la prevista novità introdotta dal Motu proprio di Benedetto XVI "Normas nonnullas", pubblicato oggi, che introduce "alcune modifiche" alla legislazione per la Sede vacante e l'elezione del papa. Ma la data di inizio del conclave, anche del prossimo, è decisione di competenza della Congregazione generale, la quale non può essere convocata prima dell'inizio della Sede vacante, cioè dell'1 marzo. In concreto, quel giorno si potrà avere la convocazione, successivamente  la riunione della Congregazione "e - ha commentato padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede - non credo che sarà la prima cosa che decideranno".

Il documento papale è stato al centro del briefing di oggi, illustrato dal vice-camerlengo mons. Luigi Celata, ma nel corso del quale è stato anche comunicata la fine del lavoro della Commissione cardinalizia d'indagine sulla fuga di notizie riservate. I tre cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi sono stati ricevuti dal Papa che "ha voluto ringraziarli per il proficuo lavoro svolto, esprimendo soddisfazione per gli esiti dell'indagine. Essa, infatti, ha consentito di rilevare, accanto a limiti e imperfezioni propri della componente umana di ogni istituzione, la generosità, rettitudine e dedizione di quanti lavorano nella Santa Sede a servizio della missione affidata da Cristo al Romano Pontefice. Il Santo Padre ha deciso che gli atti dell'indagine, del cui contenuto solo Sua Santità è a conoscenza, rimangano a disposizione unicamente del nuovo Pontefice". Se gli atti saranno riservati al prossimo papa. "i tre cardinali della Commissione parteciperanno a pieno titolo alle Congregazioni generali, dove ci si confronta anche sui criteri per l'individuazione del candidato all'elezione a papa. E' evidente che anch'essi in questa sede potranno esprimere i propri convincimenti, vedranno loro con che limite per non violare il segreto sul Rapporto". Ed è stato ricordato che anche quanto accade in tale sede vincola i partecipanti al segreto.

Tornando al Motu proprio, è stato ricordato che perché possa essere convocata la Congregazione generale, debbono essere arrivati a Roma tutti i cardinali elettori, esclusi coloro che eventualmente abbiano comunicato che non arriveranno, per motivi di salute o altri. Ciò ha introdotto il tema delle dimissioni del cardinale Keith O'Brien, arcivescovo di St. Andrews e Edimburgo, il quale ha annunciato che non prenderà parte al conclave. In merito, padre Lombardi ha spiegato che Benedetto XVI ha accettato le dimissioni, per raggiunti limiti di età, da arcivescovo. O'Brien resta cardinale e la decisione di essere o meno presente al conclave è esclusivamente sua.

Resta fermo il principio che "nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall'elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto, fermo restando quanto prescritto al n. 40 e al n. 75" della "Universi Dominici gregis", cioè in caso di rifiuto di partecipare al conclave o di uscita da esso per motivi si salute o altri "gravi motivi". Solo il papa, ha ricordato mons. Celata, "ha il diritto di deporre un cardinale, cosa peraltro già avvenuta nella storia, e in questo caso la Congregazione generale dei cardinali non può rivedere la sua decisione". Ciò premesso, se il card. O'Brien o altri comunicheranno la loro non partecipazione, la loro assenza non rientrerà nella previsione del n.37 del documento papale, che recita: "Ordino inoltre che, dal momento in cui la Sede Apostolica sia legittimamente vacante, si attendano per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave; lascio peraltro al Collegio dei Cardinali la facoltà di anticipare l'inizio del Conclave se consta della presenza di tutti i Cardinale elettori, come pure la facoltà di protrarre, se ci sono motivi gravi, l'inizio dell'elezione per alcuni altri giorni. Trascorsi però, al massimo, venti giorni dall'inizio della Sede Vacante, tutti i Cardinali elettori presenti sono tenuti a procedere all'elezione".

Iniziato il conclave, si stabilisce "che per la valida elezione del Romano Pontefice si richiedono almeno i due terzi dei suffragi, computati sulla base degli elettori presenti e votanti" e che se dopo tre giorni le votazioni non arrivano a un risultato, "sia dedicato un giorno alla preghiera, alla riflessione e al dialogo". Nelle successive votazioni, "avranno voce passiva soltanto i due nomi che nel precedente scrutinio avevano ottenuto il maggior numero di voti, né si potrà recedere dalla disposizione che per la valida elezione, anche in questi scrutini, è richiesta la maggioranza qualificata di almeno due terzi di suffragi dei Cardinali presenti e votanti. In queste votazioni, i due nomi che hanno voce passiva non hanno voce attiva", ossia i due sui quali si va al ballottaggio non possono votare.
Estesa, infine, la sanzione della scomunica a coloro che, presenti per vari motivi all'interno del conclave non mantengano il segreto. Tutte le persone "che per qualsivoglia motivo e in qualsiasi tempo venissero a conoscenza da chiunque di quanto direttamente o indirettamente concerne gli atti propri dell'elezione e, in modo particolare, di quanto attiene agli scrutini avvenuti nell'elezione stessa, sono obbligate a stretto segreto con qualunque persona estranea al Collegio dei Cardinali elettori: per tale scopo, prima dell'inizio delle operazioni dell'elezione, dovranno prestare giuramento" secondo precise modalità nella consapevolezza che una sua infrazione comporterà "la pena della scomunica «latae sententiae» riservata alla Sede Apostolica". (FP)

25/02/2013 fonte Asia News

Ricevuti dal Papa i cardinali della Commissione d’indagine sulla fuga di notizie riservate



Il Papa ha ricevuto in udienza ieri mattina i cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi, della Commissione Cardinalizia d’indagine sulla fuga di notizie riservate, accompagnati dal segretario, il padre cappuccino Luigi Martignani.

A conclusione dell’incarico – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana – Benedetto XVI "ha voluto ringraziarli per il proficuo lavoro svolto, esprimendo soddisfazione per gli esiti dell’indagine. Essa, infatti, ha consentito di rilevare, accanto a limiti e imperfezioni propri della componente umana di ogni istituzione, la generosità, rettitudine e dedizione di quanti lavorano nella Santa Sede a servizio della missione affidata da Cristo al Romano Pontefice”.

"Il Santo Padre – conclude il comunicato - ha deciso che gli atti dell’indagine, del cui contenuto” solo lui è a conoscenza, "rimangano a disposizione unicamente del nuovo Pontefice”.

25/02/2013 fonte Radio Vaticana





Il cardinale O'Brien non parteciperà al Conclave






Lo scorso 18 febbraio, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Saint Andrews and Edinburgh (Scozia), presentata dal cardinale Keith Michael Patrick O'Brien, per raggiunti limiti di età. Il porporato, in un comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale scozzese, annuncia che non parteciperà al prossimo Conclave perché l’attenzione dei media non sia puntata sulla sua persona. "Guardando indietro ai miei anni di ministero – scrive - per qualsiasi bene che ho potuto fare, ringrazio Dio. Per eventuali errori, mi scuso con tutti coloro che ho offeso”. Quindi conclude: "Ringrazio il Santo Padre Benedetto XVI per la sua gentilezza e cortesia e a nome personale e a nome del popolo di Scozia gli auguro un ritiro lungo e felice. Chiedo anche la benedizione di Dio sui miei Confratelli Cardinali che presto si riuniranno a Roma per eleggere il suo successore … pregherò con loro e per loro che, illuminati dallo Spirito Santo, facciano la scelta giusta per il futuro bene della Chiesa”.


25/02/2013 fonte Radio Vaticana

Benedetto XVI ringrazia i contemplativi: il Conclave potrà poggiare sulla limpida purezza della loro preghiera





Benedetto XVI ringrazia i Monasteri di vita contemplativa di tutto il mondo per la preghiera che stanno elevando in questo momento particolare della vita della Chiesa. Lo rende noto il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone in un messaggio inviato ai religiosi di clausura. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

"Tutta la Chiesa – scrive il cardinale Bertone - segue con trepidazione gli ultimi giorni del luminoso pontificato” di Benedetto XVI e attende la venuta del suo Successore che i cardinali riuniti in Conclave, "guidati dall’azione dello Spirito Santo, sceglieranno, dopo aver scrutato insieme i segni dei tempi della Chiesa e del mondo”. Il porporato rilancia il "pressante” appello alla preghiera rivolto a tutti i fedeli dal Papa "per chiedere di accompagnarlo nel momento della consegna del ministero petrino nelle mani del Signore, e di attendere fiduciosi la venuta del nuovo Pontefice”; un appello che Benedetto XVI rivolge in modo particolare ai contemplativi. "E' da voi, dai vostri Monasteri femminili e maschili disseminati in tutto il mondo” – spiega il cardinale Bertone - che il Papa "è certo di poter attingere la preziosa risorsa di quella fede orante che nei secoli accompagna e sostiene il cammino della Chiesa. Il prossimo Conclave – aggiunge - potrà così poggiare, in modo speciale, sulla limpida purezza della vostra preghiera e della vostra lode”.

Per il cardinale Bertone "l'esempio più significativo di questa elevazione spirituale, che manifesta la dimensione più vera e profonda di ogni atto ecclesiale, quella dello Spirito Santo che guida la Chiesa”, ci è offerto dallo stesso Benedetto XVI "che, dopo aver governato la Barca di Pietro tra i flutti della storia, ha scelto di dedicarsi soprattutto alla preghiera, alla contemplazione dell'Altissimo e alla riflessione”. Il Papa – conclude il porporato - ringrazia i contemplativi, ribadendo "quanto amore e considerazione” nutra nei loro confronti.

25/02/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 23/02/2013 San Policarpo Vescovo e martire




E’ stato istruito nella fede da "molti che avevano visto il Signore", e "fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l’Asia nella Chiesa di Smirne". Così scrive di lui Ireneo, suo discepolo e vescovo di Lione in Gallia. Policarpo, nato da una famiglia benestante di Smirne, viene messo a capo dei cristiani del luogo verso l’anno 100. Nel 107 è testimone di un evento straordinario: il passaggio per Smirne di Ignazio, vescovo di Antiochia, che va sotto scorta a Roma dove subirà il martirio, decretato in una persecuzione locale. Policarpo lo ospita durante la sosta, e più tardi Ignazio gli scrive una lettera che tutte le generazioni cristiane conosceranno, lodandolo come buon pastore e combattente per la causa di Cristo.
Nel 154 Policarpo dall’Asia Minore va a Roma in tutta tranquillità, per discutere con papa Aniceto (di origine probabilmente siriana) sulla data della Pasqua. E da Lione un altro figlio dell’Asia Minore, Ireneo, li esorta a non rompere la pace fra i cristiani su questo problema. Roma celebra la Pasqua sempre di domenica, e gli orientali sempre il 14 del mese ebraico di Nisan, in qualunque giorno della settimana cada. Aniceto e Policarpo non riescono a mettersi d’accordo, ma trattano e si separano in amicizia.
Periodi di piena tranquillità per i cristiani sono a volte interrotti da persecuzioni anticristiane, per lo più di carattere locale. Come quella che appunto scoppia a Smirne, dopo il ritorno di Policarpo da Roma, regnando l’imperatore Antonino Pio. Undici cristiani sono già stati uccisi nello stadio quando un gruppo di facinorosi vi porta anche il vecchio vescovo (ha 86 anni), perché il governatore romano Quadrato lo condanni. Quadrato vuole invece risparmiarlo e gli chiede di dichiararsi non cristiano, fingendo di non conoscerlo. Ma Policarpo gli risponde tranquillo: "Tu fingi di ignorare chi io sia. Ebbene, ascolta francamente: io sono cristiano". Rifiuta poi di difendersi di fronte alla folla, e si arrampica da solo sulla catasta pronta per il rogo. Non vuole che lo leghino. Verrà poi ucciso con la spada. E’ il 23 febbraio 155, verso le due del pomeriggio. Lo sappiamo dal Martyrium Polycarpi, scritto da un testimone oculare in quello stesso anno. E’ la prima opera cristiana dedicata unicamente al racconto del supplizio di un martire. E anzi è la prima a chiamare "martire” (testimone) chi muore per la fede.
Tra le lettere di Policarpo alle comunità cristiane vicine alla sua, si conserverà quella indirizzata ai Filippesi, in cui il vescovo ricorda la Passione di Cristo: "Egli sofferse per noi, affinché noi vivessimo in Lui. Dobbiamo quindi imitare la sua pazienza... Egli ci ha lasciato un modello nella sua persona". Policarpo quella pazienza l’ha imitata. Ed ha accolto e realizzato pure l’esortazione di Ignazio, che nella sua lettera prima del martirio gli scriveva: "Sta’ saldo come incudine sotto i colpi".


Funerali di Salvatore Crisafulli. Il fratello: per malati come lui morte non è mai soluzione




Si sono svolti ieri pomeriggio al Duomo di Catania i funerali di Salvatore Crisafulli, 47 anni. Era emerso dallo stato vegetativo, dovuto ad un incidente stradale, nel 2005, ed era rimasto tetraplegico, ma comunicava con gli occhi e lottava insieme a suo fratello per sostenere tutti i pazienti affetti da gravi malattie neurodegenerative. Dal suo impegno, è nata anche l’Associazione "Sicilia risvegli", che resta tuttora aperta e attiva. Una testimonianza forte, come racconta suo fratello, Pietro Crisafulli al microfono di Gabriella Ceraso: 

R. - Adesso Salvatore, con la sua morte, ci dà molta più forza, più coraggio, più grinta perché lui ci segue da lassù.

D. - In tutti questi anni, che cosa ha imparato stando vicino a lui e cosa avete costruito insieme?

R. - Ho imparato moltissimo da questa sua straordinaria voglia di lottare - una cosa indescrivibile - questo suo guardare al futuro con tenacia e aiutare tutti gli altri, che vivono immobili in un letto e vengono spessissimo scambiati per "vegetali”.

D. - Anche lo stesso temine "stato vegetativo” si spera possa cambiare presto, proprio a indicare che in queste persone c’è una vita…

R. - Certamente. Salvatore ne è la prova tangibile. Quello che raccontato ormai ha fatto il giro del mondo. Tutta la sua storia è nel libro "Con gli occhi sbarrati”. Sentiva e capiva tutto. Ecco, è stato veramente straziante. Molto presto, in suo onore, - proprio perché lui lo voleva – verrà girato anche un film che racconta la sua storia. Mi auguro che questo possa servire da monito. 

D. - Il vostro impegno è stato sempre rivolto alle istituzioni per avere attenzione. Sotto questo punto di vista, è cambiato qualcosa? Ora avete delle speranze maggiori? Avete delle richieste specifiche?

R. - Certo. La speranza è rivolta alla ricerca sulle cellule staminali mesenchimali e all’assistenza. Bisogna ancora lottare, manca tantissimo. Salvatore stesso non aveva assistenza completa. Ma adesso bisogna guardare avanti e aiutare tutte le persone.

D. - Cosa sente di dire alle famiglie coinvolte come voi?

R. - In queste ultime ore, tra ieri ed oggi, dopo la sua morte, abbiamo ricevuto molte telefonate per non parlare della quantità di sms di famiglie che vivono il nostro dramma. Dico loro di non mollare!

D. - Ti senti di dire che la morte porterebbe essere la soluzione per finire il dolore?

R. - No, non è la soluzione. Una cosa è esserci, una cosa è quando la persona non c’è più. Ripeto, l’assistenza è fondamentale. Conosciamo centinaia di casi e nessun di questi chiede di morire.

D. - Vuoi lanciare un messaggio ai nostri microfoni ?

R. - Voglio ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine in questi anni e che ci stanno sostenendo in queste ultime ore. So che Salvatore ci guarda da lassù. Ricevo tanti messaggi dalle persone che vivono il dramma che vivevamo noi. "Non abbandoneremo le persone in stato vegetativo. Noi siamo con loro e adesso Salvatore ci darà il coraggio”.


23/02/2013 fonte Radio Vaticana

Prosegue in Austria il pellegrinaggio delle reliquie di don Bosco




È l’Austria il 69.mo Paese toccato dal pellegrinaggio mondiale delle reliquie di San Giovanni Bosco. In questi giorni, i sacri resti del fondatore della Congregazione dei Salesiani hanno compito quattro tappe nell’arcidiocesi di Vienna. In particolare, nella "Don Bosco Haus” della città, le reliquie sono state accolte da mons. Peter Stephan Zurbriggen, nunzio apostolico nel Paese, che ha presieduto una solenne Eucaristia. Nel rivolgersi ai fedeli, il presule ha portato anche i saluti e la benedizione di Benedetto XVI. Successivamente, le reliquie del Santo sono state trasportate a Unterwaltersdorf. Qui, i giovani allievi del liceo salesiano hanno celebrato don Bosco non solo con la preghiera, ma anche con la musica e con un singolare "flashmob” al quale hanno preso parte oltre 70 persone. Successivamente, don Rudolf Osanger, ispettore dei Salesiani d’Austria, ha presieduto la Santa Messa e ha invitato i fedeli alla riflessione, sottolineando come "don Bosco rappresenti un modello perché si è sempre dedicato agli altri”. Sulla stessa linea anche don Hans Randa che ha celebrato l’Eucaristia a Stadlau, esortando i giovani a pensare a come rendere attuale ancora oggi il gesto di don Bosco che rialza e rinfranca i fanciulli. Incentrata sulla carità è stata, invece, l’omelia di don Franz Lebitsch che ha celebrato la Messa a Neurdberg: prendendo spunto dal Salmo "La tua destra mi sostiene”, don Franz ha richiamato la presenza, tra le reliquie di don Bosco, proprio dell’osso della mano destra, simbolo dei tanti gesti di carità compiuti da questo Santo. Infine, le reliquie di don Bosco sono giunte a Graz: qui, dalle 6 alle 8 del mattino, hanno sostato all’interno della moderna stazione dedicata proprio al Santo e per due ore sono state al centro delle riflessioni di oltre 800 viaggiatori e pendolari. I Salesiani e i giovani del posto hanno distribuito informazioni su don Bosco e il suo carisma, insieme a qualche castagna, così da ricordare il celebre miracolo delle castagne compiuto dal Santo torinese, ovvero quando riuscì a sfamare tantissimi bambini con le castagne attinte da un piccolo sacco che non si svuotava mai. Iniziato nell’aprile del 2009, in vista del bicentenario della nascita del Santo – che ricorrerà nel 2015 – il pellegrinaggio dell’urna contenente le sue reliquie si concluderà il 31 gennaio 2014, dopo aver attraversato tutti e cinque i continenti, nelle nazioni in cui operano i salesiani. Le reliquie del Santo sono conservate in un’urna di alluminio, bronzo e cristallo, poggiata su un basamento sostenuto da quattro piloni riportanti le date del bicentenario, 1815-2015, e i volti di giovani dei cinque continenti. Pesante più di 500 kg, lunga 2,5 metri e alta 1 metro e 30, l’urna contiene una statua di don Bosco ed è decorata dal motto scelto dal Santo torinese: "Da mihi animas, cetera tolle”, ovvero la preghiera a Dio "Dammi le anime e prenditi tutto il resto”, sintesi del suo apostolato. (I.P.)


23/02/2013 fonte Radio Vaticana

Papa: il male è all'opera per sporcare la bellezza di Dio

Riflessione di Benedetto XVI a conclusione della settimana di esercizi spirituali. Il "Molto bello" col quale Dio guarda la creazione"è permanentemente contraddetto dal male di questo mondo, dalla sofferenza, dalla corruzione". Ringrazia la Curia: "anche se adesso finisce l'esteriore visibile comunione - come ha detto il cardinal Ravasi - rimane la vicinanza spirituale, rimane una profonda comunione nella preghiera". 


Città del Vaticano (AsiaNews) - Il male è all'opera per mettere in ombra, per sporcare la bellezza di Dio. Ma da oscurità e fango si emerge con la fede, la bussola che aiuta a trovare, fra le tenebre, la mano di Dio, a riscoprirne l'amore e la verità. La riflessione di Benedetto XVI a conclusione, stamattina, della settimana di esercizi spirituali è anche occasione per un commiato dalla Curia romana, che ha condiviso gli esercizi: "Alla fine - dice loro - cari amici, vorrei ringraziare tutti voi e non solo per questa settimana, ma per questi otto anni, in cui avete portato con me, con grande competenza, affetto, amore, fede, il peso del ministero petrino. Rimane in me questa gratitudine e anche se adesso finisce l'esteriore visibile comunione - come ha detto il cardinal Ravasi - rimane la vicinanza spirituale, rimane una profonda comunione nella preghiera. In questa certezza andiamo avanti, sicuri della vittoria di Dio, sicuri della verità della bellezza e dell'amore".

A parte le parole di ringraziamento a coloro che in otto anni hanno collaborato con lui alla guida della Chiesa, il Papa si è soffermato sul tema degli esercizi, dettati dal card. Gianfranco Ravasi, che era "Arte di credere, arte di pregare".

"Mi è venuto in mente - ha detto - il fatto che i teologi medievali hanno tradotto la parola "logos" non solo con "verbum", ma anche con "ars": "verbum" e "ars" sono intercambiabili. Solo nelle due insieme appare, per i teologi medievali, tutto il significato della parola "logos". Il "Logos" non è solo una ragione matematica: il "Logos" ha un cuore, il "Logos" è anche amore. La verità è bella, verità e bellezza vanno insieme: la bellezza è il sigillo della verità.
E tuttavia Lei, partendo dai Salmi e dalla nostra esperienza di ogni giorno, ha anche fortemente sottolineato che il "molto bello" del sesto giorno - espresso dal Creatore - è permanentemente contraddetto, in questo mondo, dal male, dalla sofferenza, dalla corruzione. E sembra quasi che il maligno voglia permanentemente sporcare la creazione, per contraddire Dio e per rendere irriconoscibile la sua verità e la sua bellezza. In un mondo così marcato anche dal male, il "Logos", la Bellezza eterna e l'"Ars" eterna, deve apparire come "caput cruentatum". Il Figlio incarnato, il "Logos" incarnato, è coronato con una corona di spine; e tuttavia proprio così, in questa figura sofferente del Figlio di Dio, cominciamo a vedere la bellezza più profonda del nostro Creatore e Redentore; possiamo, nel silenzio della "notte oscura", ascoltare tuttavia la Parola. Credere non è altro che, nell'oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio, ascoltare la Parola, vedere l'Amore".

23/02/2013 fonte Asia News

Segreteria di Stato: si tenta di condizionare i cardinali con notizie "non verificate, o non verificabili, o addirittura false"

Un comunicato dice che "Se in passato sono state le cosiddette potenze, cioè gli Stati, a cercare di far valere il proprio condizionamento nell'elezione del Papa, oggi si tenta di mettere in gioco il peso dell'opinione pubblica, spesso sulla base di valutazioni che non colgono l'aspetto tipicamente spirituale del momento che la Chiesa sta vivendo". Padre Lombardi: "Chi ha in mente anzitutto denaro, sesso e potere, ed è abituato a leggere con questi metri le diverse realtà, non è capace di vedere altro neppure nella Chiesa, perché il suo sguardo non sa mirare verso l'alto o scendere in profondità a cogliere le dimensioni e le motivazioni spirituali dell'esistenza".


Città del Vaticano (AsiaNews) - Con la diffusione di "notizie spesso non verificate, o non verificabili, o addirittura false, anche con grave danno di persone e istituzioni" si sta tentando di condizionare i cardinali alla vigilia del conclave. Lo si legge in una nota della Segreteria di Stato vaticana, diffusa oggi, nella quale si deplora che le considerazione che vengono diffuse "non colgono l'aspetto tipicamente spirituale del momento che la Chiesa sta vivendo".

"La libertà del Collegio Cardinalizio - afferma il comunicato - al quale spetta di provvedere, a norma del diritto, all'elezione del Romano Pontefice, è sempre stata strenuamente difesa dalla Santa Sede, quale garanzia di una scelta che fosse basata su valutazioni rivolte unicamente al bene della Chiesa.
Nel corso dei secoli i Cardinali hanno dovuto far fronte a molteplici forme di pressione, esercitate sui singoli elettori e sullo stesso Collegio, che avevano come fine quello di condizionarne le decisioni, piegandole a logiche di tipo politico o mondano".

"Se in passato sono state le cosiddette potenze, cioè gli Stati, a cercare di far valere il proprio condizionamento nell'elezione del Papa, oggi si tenta di mettere in gioco il peso dell'opinione pubblica, spesso sulla base di valutazioni che non colgono l'aspetto tipicamente spirituale del momento che la Chiesa sta vivendo.
È deplorevole che, con l'approssimarsi del tempo in cui avrà inizio il Conclave e i Cardinali elettori saranno tenuti, in coscienza e davanti a Dio, ad esprimere in piena libertà la propria scelta, si moltiplichi la diffusione di notizie spesso non verificate, o non verificabili, o addirittura false, anche con grave danno di persone e istituzioni.Mai come in questi momenti, i cattolici si concentrano su ciò che è essenziale: pregano per Papa Benedetto, pregano affinché lo Spirito Santo illumini il Collegio dei Cardinali, pregano per il futuro Pontefice, fiduciosi che le sorti della barca di Pietro sono nelle mani di Dio".

Sullo stesso tema si è espresso anche padre Federico Lombardi, che in un editoriale della Radio vaticana ha denunciato "il moltiplicarsi delle pressioni e delle considerazioni estranee allo spirito con cui la Chiesa vorrebbe vivere questo tempo di attesa e di preparazione".

"Non manca infatti - ha aggiunto - chi cerca di approfittare del momento di sorpresa e di disorientamento degli spiriti deboli per seminare confusione e gettare discredito sulla Chiesa e sul suo governo, ricorrendo a strumenti antichi - come la maldicenza, la disinformazione, talvolta la stessa calunnia - o esercitando pressioni inaccettabili per condizionare l'esercizio del dovere di voto da parte dell'uno o dell'altro membro del Collegio dei cardinali, ritenuto sgradito per una ragione o per l'altra. Nella massima parte dei casi chi si pone come giudice, tranciando pesanti giudizi morali, non ha in verità alcuna autorità per farlo. Chi ha in mente anzitutto denaro, sesso e potere, ed è abituato a leggere con questi metri le diverse realtà, non è capace di vedere altro neppure nella Chiesa, perché il suo sguardo non sa mirare verso l'alto o scendere in profondità a cogliere le dimensioni e le motivazioni spirituali dell'esistenza. Ne risulta una descrizione profondamente ingiusta della Chiesa e di tanti suoi uomini".

23/02/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 22/02/2013 Cattedra di San Pietro Apostolo



Per ricordare due importanti tappe della missione compiuta dal principe degli apostoli, S. Pietro, e lo stabilirsi del cristianesimo prima in Antiochia, poi a Roma, il Martirologio Romano celebra il 22 febbraio la festa della cattedra di S. Pietro ad Antiochia e il 18 gennaio quella della sua cattedra a Roma. La recente riforma del calendario ha unificato le due commemorazioni al 22 febbraio, data che trova riscontro in un'antica tradizione, riferita dalla Depositio mar rum. In effetti, in questo giorno si celebrava la cattedra romana, anticipata poi nella Gallia al 18 gennaio, per evitare che la festa cadesse nel tempo di Quaresima.
In tal modo si ebbe un doppione e si finì per introdurre al 22 febbraio la festa della cattedra di S. Pietro ad Antiochia, fissando al 18 gennaio quella romana. La cattedra, letteralmente, è il seggio fisso del sommo pontefice e dei vescovi. E’ posta in permanenza nella chiesa madre della diocesi (di qui il suo nome di "cattedrale") ed è il simbolo dell'autorità del vescovo e del suo magistero ordinario nella Chiesa locale. La cattedra di S. Pietro indica quindi la sua posizione preminente nel collegio apostolico, dimostrata dalla esplicita volontà di Gesù, che gli assegna il compito di "pascere" il gregge, cioè di guidare il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Questa investitura da parte di Cristo, ribadita dopo la risurrezione, viene rispettata. Vediamo infatti Pietro svolgere, dopo l'ascensione, il ruolo di guida. Presiede alla elezione di Mattia e parla a nome di tutti sia alla folla accorsa ad ascoltarlo davanti al cenacolo, nel giorno della Pentecoste, sia più tardi davanti al Sinedrio. Lo stesso Erode Agrippa sa di infliggere un colpo mortale alla Chiesa nascente con l'eliminazione del suo capo, S. Pietro. Mentre la presenza di Pietro ad Antiochia risulta in maniera incontestabile dagli scritti neotestamentari, la sua venuta a Roma nei primi anni dell'impero di Claudio non ha prove altrettanto evidenti.
Lo sviluppo del cristianesimo nella capitale dell'impero attestato dalla lettera paolina ai Romani (scritta verso il 57) non si spiega tuttavia senza la presenza di un missionario di primo piano. La venuta, qualunque sia la data in cui ciò accadde, e la morte di S. Pietro a Roma, sono suffragare da tradizioni antichissime, accolte ora universalmente da studiosi anche non cattolici. Lo attestano in maniera storicamente inoppugnabile anche gli scavi intrapresi nel 1939 per ordine di Pio XII nelle Grotte Vaticane, sotto la Basilica di S. Pietro, e i cui risultati sono accolti favorevolmente anche da studiosi non cattolici.


Il Papa e la Cattedra di Pietro: Cristo continua a costruire, mediante uomini deboli, la sua Chiesa
      






La Chiesa celebra oggi la festa della Cattedra di San Pietro. Una festa antica di secoli, che ha permesso di sviluppare una lunga dottrina sul ruolo e l’autorità del Pontefice. Anche il magistero di Benedetto XVI ha contribuito in questi anni ad arricchire tale riflessione, ora ulteriormente ampliata dalla sua scelta di rinunciare al ministero petrino. Alessandro De Carolis ripropone alcuni passaggi significativi delle convinzioni del Papa in materia: 

Consapevolezza. Lucida, profonda. Acquisita in un confronto quotidiano con le Scritture, lette, studiate, ruminate. Da ragazzo, seminarista, sacerdote, vescovo, Papa. Un confronto serrato, costante, con le pagine della verità divina, affrontato con l’umiltà dei Padri della Chiesa e un’analoga capacità di penetrazione. Chi è Pietro? Quante volte se lo sarà chiesto Joseph Ratzinger Benedetto XVI. E immaginiamo la risposta ricercata, con umiltà e tenacia, là dove Dio ha parlato agli uomini e suo Figlio al suo nuovo popolo. Là dove come cristiano, e poi come pastore, Joseph Ratzinger ha sempre voluto coltivare l’anima e l’intelligenza, nell’Antico e nel Nuovo Testamento: 

"Nel ministero di Pietro si rivela, da una parte, la debolezza di ciò che è proprio dell'uomo, ma insieme anche la forza di Dio: proprio nella debolezza degli uomini il Signore manifesta la sua forza; dimostra che è Lui stesso a costruire, mediante uomini deboli, la sua Chiesa”. (Solennità SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 2006)

Joseph Ratzinger Benedetto XVI lo aveva sempre detto, pubblicamente. Mentre il mondo tenta di spiegarsi il mai visto strattonando le categorie a disposizione, quelle della ragione – atto politico, fuga dal complotto, impedimento sanitario, propensione caratteriale, dando ogni volta l’impressione di lambire appena il bordo di una verità che continua a sfuggire, se interpretata con quei criteri, nella sua portata complessiva – e mentre le comunità cristiane col passare dei giorni cercano di dilatare il cuore sul fatto che, al di là di mille analisi, vi è da rispettare non solo un confine della coscienza ma un’insondabile soglia dello Spirito, nulla come la decisione del Papa di rinunciare al ministero petrino sembra poter essere compresa e spiegata se non con le ragioni della fede. Quella stessa fede nutrita per decenni da Joseph Ratzinger Benedetto XVI, che da sempre lo ha portato a dire, ripetutamente, che la Chiesa non è di Pietro, ma di Cristo, senza il quale il timoniere della barca sarebbe un marinaio perduto tra le tempeste della storia. Basta leggere il Vangelo, ha detto, è tutto scritto lì: c’è un mare agitato, un Pietro che non sa che fare e c’è Cristo che placa i venti:

"Attraverso questa caduta Pietro – e con lui ogni suo Successore – deve imparare che la propria forza da sola non è sufficiente per edificare e guidare la Chiesa del Signore. Nessuno ci riesce soltanto da sé. Per quanto Pietro sembri capace e bravo – già nel primo momento della prova fallisce". (Solennità SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 2006)

Joseph Ratzinger Benedetto XVI lo aveva sempre detto, pubblicamente. Pietro è la roccia perché è Cristo a renderlo granitico. Non è una dote umana acquisita con l’elezione al Soglio pontificio, ma è e resta un dono divino. Così, con la rinuncia è come se il Papa avesse ripulito dalle incrostature di due millenni il senso di un limite, per secoli nascosto dai velluti di un prestigio che ha finito per rendere, nella percezione comune, Pietro un capo di se stesso – e un onnipotente da se stesso – e non colui che è sempre stato: un uomo chiamato a seguire il suo unico capo, Gesù. Con pura, semplice, e soprattutto umile fede:

"Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità. Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere”. (Messa con in nuovi cardinali, 19 febbraio 2012)

Nulla come la rinuncia di Benedetto XVI ha spiazzato e spazzato dall’orizzonte del Papato la categoria dell’esercizio del potere, nel modo in cui da Adamo l’uomo la intende. E ciò colpisce non tanto perché c’è di ammirevole in quel gesto il fatto di volersi fare da parte per lasciare campo a forze nuove, come ampiamente sottolineato dai commenti di questo periodo. C’è ben altro e anche questo Benedetto XVI l’aveva detto. Pietro presiede la Chiesa non se usa la politica, il denaro o l’influenza mediatica. Pietro presiede la Chiesa solo se adopera la moneta che ha corso legale nel regno del suo Dio, quella della carità:

"Pertanto, ‘presiedere nella carità’ significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità e crea la comunione dalle molteplici differenze. Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo”.
(Messa con in nuovi cardinali, 19 febbraio 2012)

Il ministero petrino è "primato dell’amore”. Nulla di più coerente avrebbe mai potuto affermare "un umile lavoratore nella Vigna del Signore”. Un teologo come pochi negli ultimi 50 anni, la cui intelligenza della vita cristiana, allenata dalla preghiera e dalla conoscenza della Bibbia, non gli ha mai fatto dimenticare – nemmeno nei giorni più dolorosi – che la Chiesa è un gregge che cammina, a cominciare da Pietro, dietro Cristo. E che Lui, e solo lui, la proteggerà sempre con la forza più grande di ogni forza:

"È il potere del bene – della verità e dell'amore, che è più forte della morte. Sì, è vera la sua promessa: i poteri della morte, le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa che Egli ha edificato su Pietro (cfr
Mt
16, 18) e che Egli, proprio in questo modo, continua ad edificare personalmente”. (Solennità SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 2006)


22/02/2013 fonte Radio Vaticana 

Domani l'incontro di Benedetto XVI con il presidente Napolitano




Domani mattina si concludono, nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, gli Esercizi spirituali predicati dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, sul tema "Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica”. Dopo la celebrazione delle Lodi e l’ultima meditazione del porporato, il Papa pronuncerà un discorso conclusivo. Alle 11.30, poi, Benedetto XVI, incontrerà il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano. Domenica alle 12.00, il Papa presiederà l’ultimo Angelus del suo Pontificato alla presenza dei fedeli presenti in Piazza San Pietro. Lunedì 25 febbraio, il Papa incontrerà alcuni cardinali in udienze singole. Annullato l’incontro con i vescovi delle Marche previsto in questo giorno per la visita "ad Limina”. Mercoledì 27, alle 10.30, l’ultima udienza generale di Benedetto XVI si svolgerà in Piazza San Pietro: previsto un grande afflusso di fedeli. Giovedì 28 febbraio, ultimo giorno del Pontificato, alle 11.00 in Sala Clementina avrà luogo il saluto personale ai cardinali presenti in Roma. Alle 17.00, infine, la partenza in elicottero dal Vaticano e l’accoglienza a Castel Gandolfo da parte del presidente e del segretario del Governatorato, del sindaco e del parroco di Castel Gandolfo. In serata , il Papa saluterà i fedeli radunati davanti all’ingresso del Palazzo Apostolico della cittadina laziale. Alle ore 20.00 del 28 febbraio inizia la Sede vacante. Benedetto XVI tornerà in Vaticano dopo circa due mesi, quando sarà completato il restauro del Monastero "Mater Ecclesiae” dove risiederà. Nel Monastero, fino all'ottobre 2012, risiedevano in clausura le Suore Visitandine.

22/02/2013 fonte Radio Vaticana

Sacerdoti indonesiani: la fede, il dono di Benedetto XVI alla Chiesa universale


di Mathias Hariyadi
Il "Motu proprio” Porta Fidei e l’Anno della Fede voluti dal Papa hanno riportato l’attenzione sul tema dello Spirito e del rapporto con Cristo. P. Mardiaatmadja, teologo, aggiunge che il mondo ha bisogno di "testimoni illuminati” dalla Parola di Dio. P. Budipurnomo: un papato dalla "spiritualità profondissima”. 


Jakarta (AsiaNews) - Il "Motu proprio" Porta Fidei con cui Benedetto XVI ha indetto l'Anno della Fede è uno dei gesti più significativi del suo pontificato, perché ha riportato all'attenzione della comunità cattolica il tema della spiritualità e del rapporto con Gesù Cristo. È quanto affermano sacerdoti ed esperti di teologia indonesiani, ripercorrendo "i molti gesti" di "grande importanza" compiuti da papa Ratzinger per la Chiesa del terzo millennio. L'invito alla riflessione e alla conversione personale più volte invocata dal Papa diventa così occasione per rinnovare lo Spirito e seguire la via tracciata "dal più grande servo di Cristo" della nostra era.

Secondo p. BS Mardiaatmadja la Lettera apostolica dell'11 novembre 2011 con cui il Papa ha indetto l'Anno della Fede  (dall'11 ottobre 2012, nel 50mo anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II, al 24 ottobre 2013, festa di Cristo Re) è "l'ingresso" indicato alla Chiesa e ai cattolici per condurre una vita "più salda in Cristo". Egli parla di "un nuovo spirito" indicato da Benedetto XVI alla Chiesa e di un "tempo speciale di grazia divina per la conversione personale e per il rafforzamento della morale cristiana" nella società.

Durante un seminario (nella foto) tenuto il 17 febbraio scorso a Jakarta, il sacerdote teologo ha ricordato che "il mondo ha bisogno di testimoni" che siano stati "illuminati" dalla Parola di Dio, perché essi stessi preparino "l'ingresso" alla fede ad altri fratelli e sorelle. P. Mardiaatmadja ricorda inoltre che non è importante la professione esercitata - medico, politico, impiegato, operaio o insegnante - ma ciò che conta è "la spiritualità" quale criterio fondante della vita quotidiana.

P. Aloysius Budipurnomo, sacerdote diocesano a Semarang, sottolinea inoltre la continuità fra il Beato Giovanni Paolo II e papa Ratzinger nella promozione del dialogo interreligioso con l'islam, grazie al suo "talento, intelligenza e profonda spiritualità". Presidente della commissione diocesana responsabile dei rapporti con i musulmani, il teologo nota il suo "discernimento" nell'analisi del mondo e dei suoi problemi e nella denuncia del "deserto spirituale" che avanza in un mondo sempre più materialista. "Apprezzo Benedetto XVI - conclude - come il più grande servo di Cristo della nostra era" confermato anche dall'apertura alla tecnologia e ai nuovi media nel compito di evangelizzazione: "Grazie per questo papato, breve nella durata ma dalla spiritualità profondissima". 

 
22/02/2013 fonte Asia News

Leader Baha’i: Benedetto XVI, il dialogo e l’eredità di Assisi 2011

di Nirmala Carvalho
A.K. Merchant ricorda il raduno "pellegrini della verità, pellegrini della pace” convocato dal papa a 25 anni dalla Giornata voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. L’accoglienza dei giovani, testimonianza di come Benedetto XVI sia "compasso morale” per le nuove generazioni.


Mumbai (AsiaNews) - La disponibilità di Benedetto XVI ad accogliere tutti, a dialogare con il prossimo, e l'impegno della Chiesa cattolica per la pace, la giustizia e l'armonia: sono i ricordi più vividi che A.K. Merchant, direttore ed ex segretario generale della comunità indiana Baha'i, ha del suo incontro con il papa durante la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia tenuta ad Assisi il 27 ottobre 2011. Venticinque anni dopo la storica Giornata voluta da Giovanni Paolo II nel 1986, il papa ha invitato circa 300 rappresentanti delle religioni mondiali, da 50 differenti nazioni, oltre a personalità non credenti, per confrontarsi sul tema "Pellegrini della verità, pellegrini della pace". Ed era presente anche un rappresentante Baha'i, invitato a partecipare.

La religione Baha'i riconosce tutti i fondatori della grandi religioni come annunciatori di un unico Dio e predica l'umanità come una singola razza, senza distinzioni etniche o religiose.

Della Giornata di Assisi, per Merchant è stato significativo come "il Santo Padre abbia affermato il bisogno di dialogare sia con i credenti che con i non credenti, senza mai sacrificare la propria identità. È andato oltre la religione e la spiritualità, riconoscendo che tutti, anche l'ultima persona sulla Terra, devono essere accolti e ascoltati". Proprio "questa inclusività del papa rivela il profondo rispetto per la persona umana".

In quell'incontro, il leader Baha'i è rimasto impressionato anche dalla risposta dei giovani: "Migliaia di ragazzi erano lì ad aspettarci al nostro arrivo. Il loro entusiasmo e il loro amore verso il Santo Padre sono stati molto coinvolgenti. Benedetto XVI si è sempre rivolto ai giovani con immensa dignità, sottolineando il loro potenziale e la loro capacità di essere forza di trasformazione positiva per questa società. E la risposta dei ragazzi rivela in modo chiaro che questo papa è stato un "compasso morale" per la loro generazione".

 22/03/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 21/02/2013 San Pier Damiani vescovo e dottore della chiesa



Questo santo, tutto fuoco, nacque a Ravenna nel 1007 da poveri genitori carichi di figli. Sua madre lo abbandonò, per fortuna momentaneamente, ancora lattante. Quando mori, l'orfano fu educato con grande durezza dal fratello Rodelinda, che lo fece guardiano di porci. Possedeva però un'intelligenza talmente viva che il fratello maggiore, Damiano, più benevolo, pensò di avviarlo agli studi prima a Faenza, poi a Parma. In essi Pietro fece prodigiosi progressi. A venticinque anni si acquistò un nome nell'insegnamento.
Verso il 1035 cattivi esempi e violente tentazioni determinarono il santo a entrare segretamente nel monastero benedettino di Fonte Avellana, sul monte Catria (Pesaro), dove si abbandonò a così rigorose penitenze da contrarre violenti mal di testa e insonnia. Durante la convalescenza approfondì lo studio delle Scritture. La fama di esegeta che si acquistò tra i pochi confratelli lo fece richiedere come oratore dall'abbazia di Pomposa, dal monastero di S. Vincenzo di Porta Pertusa, e da altri centri in relazione con Fonte Avellana.
Quando ritornò nel suo eremo, il Damiani fu eletto priore. Il suo governo segnò per la comunità un'era di prosperità materiale e spirituale, tant'era innamorato dell'ideale della vita claustrale di cui divenne il teorico. I novizi accorsero numerosi alla sua scuola, motivo per cui gli fu possibile moltiplicare le case filiali nelle regioni limitrofe, e dare origine a una Congregazione eremitica d'ispirazione camaldolese, anche se in sé autonoma. Penetrato dello spirito di S. Agostino e di S. Benedetto, egli seguì le orme dei grandi monaci del suo secolo: S. Romualdo, fondatore dei Camaldolesi; S. Odilone e S. Ugo il Grande, abati di Cluny e Desiderio, abate di Montecassino. Nulla sfuggiva al suo vigile occhio. Egli esigeva l'assiduità alle ore canoniche diurne e notturne, voleva che i monaci praticassero la rigorosa povertà, non uscissero dall'eremo, e non si occupassero di negozi secolari. Alla preghiera i religiosi dovevano aggiungere il lavoro, la pratica di frequenti digiuni e mortificazioni in proporzione dei propri peccati. Il santo fu un grande sostenitore delle flagellazioni corporali supererogatorie. Ai più ferventi religiosi permise di flagellarsi ogni giorno durante la recita di una quarantina di salmi.
L'epoca in cui Pier Damiani visse fu triste per la Chiesa a causa della simonia e dell'immoralità del clero. Per oltre trent'anni i conti di Tuscolo avevano disposto della sede romana come di un bene di famiglia. Il primo papa che fece sperare una riforma fu Gregorio VI, il quale aveva persuaso il dodicenne Benedetto IX a rinunciare al papato, sborsandogli una somma dì denaro. I romani lo avevano eletto al posto di lui, ma nel concilio di Sutri del 1046, radunato da Enrico III, fu costretto a dimettersi perché sospettato di simonia. Al suo posto fu eletto Clemente II. L'imperatore invitò più volte Pier Damiani a stabilirsi a Roma in qualità di consigliere del papa, ma egli si limitò a scrivere all'eletto, per notificargli il disordine che regnava nelle chiese della sua provincia a causa del fasto dei vescovi, la maggior parte dei quali era carica di crimini.
La riforma della Chiesa fu iniziata con coraggio da S. Leone IX (10481054) coadiuvato da Ildebrando, monaco e cardinale. Sotto il suo pontificato prese forme concrete l'opera del Damiani a favore del risanamento della gerarchia, che nel suo zelo irruente, voleva casta e feconda di opere buone. Scrisse allora i suoi due più famosi trattati, il Liber Gratissimus riguardante gli ecclesiastici ordinati gratuitamente e, secondo lui, validamente da vescovi simoniaci, e il Liber Gomorrhianus, dedicato al papa stesso, nel quale flagella spietatamente i costumi del clero corrotto. Leone IX lodò l'autore per l'aiuto che gli prestava nella lotta contro i mali del tempo, ma furono tanto vive le rimostranze che sollevò con il suo scritto che lo ritenne un po' frutto della sua fantasia.
Fu Stefano IX, succeduto a Vittore II (+ 1057), che impose per ubbidienza al Damiani il titolo di cardinale vescovo di Ostia, ma morì troppo presto per compiere l'opera di riforma che l'irruente santo perseguiva. Nel 1058 i conti di Tuscolo fecero eleggere papa Giovanni, vescovo di Velletri, col nome di Benedetto X, ma il nuovo cardinale lo trattò come intruso e simoniaco. Raggiunse a Siena Ildebrando, di ritorno da una missione presso l'imperatrice Agnese, e con lui provvide all'elezione del vescovo di Firenze, Gerardo di Borgogna, che prese il nome di Niccolò II. Da questo momento il Damiani dichiarò guerra senza quartiere ai perturbatori della Chiesa e si adoperò con le sue lettere di fuoco e i suoi trattati perché fosse osservato il decreto di Leone IX contro i chierici simoniaci e incontinenti, che avvilivano il sacerdozio e scandalizzavano i fedeli. Sotto il pontificato di Niccolò II, nel 1059, svolse la sua prima missione a Milano per la riforma di quella chiesa, e di altre della Lombardia. Egli vi riportò la pace applicando la sua teoria della validità delle ordinanze simoniache, in contrasto con quella del cardinal Umberto di Selva Candida. Molto verosimilmente, fu dietro consiglio di Ildebrando e di Pier Damiani che Niccolò II emanò in quello stesso anno il celebre decreto per cui, onde assicurare in futuro l'indipendenza delle elezioni pontificie, la scelta del papa era esclusivamente affidata al collegio dei cardinali. L'ultima parola spettava ai cardinali-vescovi, mentre l'imperatore conservava soltanto il diritto di conferma e il popolo quello d'approvazione.
Pur amando svisceratamente la Chiesa, il Damiani non vedeva l'ora di deporre la carica che gli era stata affidata contro voglia, per ritirarsi nella solitudine del chiostro. Il papa non lo esaudì perché un uomo come lui era indispensabile al suo fianco. Inoltre i nuovi torbidi sorti alla morte di Niccolò II (+1061), rendevano molto utile la sua presenza a Roma. Elevato al pontificato per interessamento suo e di Ildebrando Anselmo da Baggio, vescovo di Lucca, col nome di Alessandro II (+ 1073), il Damiani ne sostenne caldamente le parti contro l'antipapa Càdalo, vescovo di Parma, abusivamente eletto a Basilea per interessamento dell'imperatrice Agnese, ingannata dal partito favorevole ai simoniaci. Non tutti i suoi passi furono approvati dai sostenitori della riforma. Egli difatti pensava che convenisse mantenere ad ogni costo l'armonia tra il papato e l'impero germanico, mentre era risaputo che le maggiori difficoltà per la desiderata e improrogabile riforma provenivano proprio dall'impero e dal laicato.
Il nuovo papa acconsenti che Pier Damiani si ritirasse nel chiostro. Il cardinale arcidiacono Ildebrando, invece, riteneva indispensabile la sua permanenza alla corte pontificia. Fosse dipeso da lui gli avrebbe imposto di restare in virtù di santa ubbidienza. Il Damiani trovò il suo intervento indiscreto e giunse a tacciarlo di "Verga di Assur", Dio supremo degli Assiri, e di"Santo Satana".
A Fonte Avellana il santo si rinchiuse in un'angusta cella per darsi al digiuno quotidiano, alle intense discipline, alla meditazione e al canto dei salmi. Per umiltà prendeva il suo pane nello stesso piatto che serviva a lavare i piedi ai poveri, e dormiva per terra sopra un graticcio di giunchi. Nel capitolo, dopo aver rivolto le sue esortazioni ai monaci, si accusava pubblicamente delle proprie colpe come un religioso qualunque, e si dava la disciplina a due mani. Da ogni parte giungevano all'eremo persone desiderose dei suoi consigli. Alessandro II lo pregò di scrivergli più sovente. Il santo ne approfittò per dirgli con franchezza quel che pensava riguardo a due abusi invalsi nella curia romana: quello di moltiplicare gli anatemi senza motivo, e di impedire ai chierici e ai laici di riprendere gli eccessi dei loro vescovi.
All'occorrenza seppe accettare e portare a termine con zelo le missioni che gli furono affidate dal sommo pontefice. Nel 1063 andò a Cluny per difendere, contro le pretese del vescovo di Mâcon, l'esenzione dell'abate S. Ugo, direttamente dipendente dal papa, e a Firenze per un'indagine sul vescovo Pietro, accusato dai monaci vallombrosani di simonia, e da lui assolto per mancanza di prove. Nel 1069 fu inviato a Magonza per distogliere Enrico IV dal divorzio con Berta di Torino, e nel 1071 a Montecassino per la consacrazione della chiesa. Alla scomparsa nel 1072 dell'antipapa Càdalo (Onorio II), già apostrofato dal Damiani "voragine di libidine, ignominia del sacerdozio, fetore del mondo", e del suo principale sostenitore, Enrico, arcivescovo di Ravenna, il santo fu inviato a riconciliare con il papa gl'interdetti ravennati. Mentre ritornava a Roma per dar conto della sua legislazione, a Faenza fu colto da febbre e morì il 22-2-1072 nel monastero di Santa Maria fuori Porta. Sul suo sepolcro fece porre questo epitaffio: "Io fui ciò che tu sei; tu sarai ciò che io sono. Di grazia, ricordati di me. Guarda con pietà le ceneri di Pietro. Prega, piangi e ripeti: "Signore, risparmialo!"”. Fu subito universalmente venerato come santo. Leone XII il 1-10-1828 gli decretò il titolo di dottore. Le sue ossa sono custodite nel duomo di Faenza.


Benedetto XVI e l'amore per Maria, Madre di Dio nel silenzio e nell'umiltà
 
    



"Seguiamo ed imitiamo Maria” e "tutta la nostra vita diventerà un Magnificat”. E’ l’amore per la Madre di Dio uno dei tratti distintivi della dimensione spirituale del Pontificato di Benedetto XVI. Un Papa mariano, proprio come il suo amato predecessore Giovanni Paolo II. Un amore filiale che nasce da lontano. Se, infatti, nella vita e nel Pontificato di Karol Wojtyla ha avuto un grande ruolo il Santuario mariano di Częstochowa, altrettanto si può dire per Joseph Ratzinger e il Santuario di Altötting, cuore mariano della Baviera. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Lasciamoci guidare da Maria all’incontro con Gesù. In ogni udienza, discorso, omelia Benedetto XVI affida sempre i fedeli alla Vergine. E’ Lei con la sua umiltà, ripete in mille occasioni, ad indicarci la via per raggiungere il cuore di Suo Figlio. Sono Maria e il suo Bambino, con la loro "indifesa potenza”, sottolinea, a vincere il "rumore delle potenze del mondo”:

"La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore”. (Udienza generale, 19 dicembre 2012)

Benedetto XVI si reca pellegrino nei principali Santuari mariani del mondo. Da quello a lui familiare di Altötting ai Santuari di Lourdes, Fatima, Częstochowa e ancora Mariazell in Austria e Aparecida in Brasile. Prega la Vergine a Pompei e a Loreto. Il Papa rileva che questi Santuari non sono "cattedrali nel deserto”, ma oasi dello spirito inserite nel loro territorio quale esempio di "una civiltà dell’amore”. Maria, ci ricorda il Papa, è la prima ad aver accolto Cristo e vive anche una relazione speciale con lo Spirito Santo e la Chiesa:

"Nella Pentecoste, la Vergine Madre appare nuovamente come Sposa dello Spirito, per una maternità universale nei confronti di tutti coloro che sono generati da Dio per la fede in Cristo. Ecco perché Maria è per tutte le generazioni immagine e modello della Chiesa, che insieme allo Spirito cammina nel tempo invocando il ritorno glorioso di Cristo: ‘Vieni Signore Gesù’” (Chiusura del mese mariano, 31 maggio 2009)

Benedetto XVI invita tutti i fedeli, specie i giovani, a pregare Maria, in particolare con il Rosario che, sottolinea, "ci fa ripercorrere gli eventi della vita del Signore in compagnia della Beata Vergine, conservandoli, come Lei, nel nostro cuore”. Rammenta dunque che il "sì” di Maria ha sconfitto il male. Ecco perché anche nelle prove della vita che ci fanno vacillare possiamo trovare in Lei un sostegno sicuro:

"Cari amici, che gioia immensa avere per madre Maria Immacolata! Ogni volta che sperimentiamo la nostra fragilità e la suggestione del male, possiamo rivolgerci a Lei, e il nostro cuore riceve luce e conforto”. (Angelus, 8 dicembre 2009)

Alla Vergine Maria affida l’Anno della Fede, nel 50.mo dell’inizio del Concilio Vaticano II. Significativo, poi, che il suo ultimo viaggio pastorale in Italia sia proprio ad un Santuario mariano, quello di Loreto. La tradizione vuole che il cuore di questo luogo sia la casa in cui ha vissuto Maria. Ma Papa Benedetto parla di un’altra casa, che va ben oltre le pietre di un edificio. E’ Maria la "casa vivente” che accoglie Gesù:

"Dove abita Dio, dobbiamo riconoscere che tutti siamo ‘a casa’: dove abita Cristo, i suoi fratelli e le sue sorelle non sono più stranieri. Maria, che è madre di Cristo è anche nostra madre, ci apre la porta della sua Casa, ci guida ad entrare nella volontà del Figlio”. (Visita a Loreto, 4 ottobre 2012)

21/02/2013 fonte  Radio Vaticana 

Padre Lombardi: non c'è data di inizio Conclave, Motu Proprio nelle mani del Papa




Non si conosce ancora la data di inizio del Conclave. Sarà stabilita dalla Congregazione dei cardinali in Sede vacante. Lo ha affermato padre Federico Lombardi durante il briefing per i giornalisti questa mattina in Sala Stampa Vaticana. "Il Motu proprio – ha aggiunto – è attualmente nelle mani del Papa, ma non è possibile anticiparne i contenuti". Il servizio di Paolo Ondarza: 

Non un briefing straordinario, ma un appuntamento consueto con la stampa. Padre Lombardi presenta così l’intervento odierno in Sala Stampa Vaticana. Nessuna data è stata stabilita per l’inizio del Conclave – spiega – sarà stabilita dalla Congregazione dei cardinali in Sede vacante:

"Non c’è nessuno adesso in Vaticano, pur autorevolissimo, che possa dire: comincerà il giorno tale”.

Il Motu Proprio – prosegue padre Lombardi – è attualmente nelle mani del Santo Padre e non è possibile anticiparne i contenuti, ma verosimilmente non stravolgerà la sostanza della Costituzione del Conclave, né comprenderà nomine di nuovi cardinali. Proprio la Costituzione riguardante le norme del Conclave sarà oggetto del briefing convocato per domani in Sala Stampa, al quale parteciperà mons. Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.

''I rapporti con la Fraternità sacerdotale San Pio X – ha poi aggiunto il direttore della Sala Stampa Vaticana – sono stati affidati dal Santo Padre al prossimo Papa”.

Nessun commento nel merito degli articoli diffusi dalla stampa circa il rapporto sullo scandalo "Vatileaks", redatto su incarico del Santo Padre dai tre cardinali, Herranz, De Giorgi, Tomko. Solo una chiarificazione: è errato che il Papa riceverà in udienza privata i tre porporati nell’ultimo giorno di Pontificato, così come falsa è la notizia dell’udienza pubblica il 27 febbraio ai fedeli e vescovi slovacchi in Santa Maria Maggiore:

"Non dovete aspettarvi commenti, non dovete aspettarvi smentite, non dovete aspettarvi conferme di quanto venga detto, perché la Commissione ha fatto il suo lavoro, ha redatto il suo rapporto, l’ha confidato nelle mani del Santo Padre da cui aveva il mandato. Non stiamo a correre dietro a tutte le illazioni”.

"Prevedibile che si parli di conflitti, tensioni, organizzazioni di gruppi”, commenta padre Lombardi, invitando però a non scadere in considerazioni lontane dallo spirito con cui il Santo Padre e la Chiesa vivono questi giorni.

Infine, il direttore della Sala Stampa Vaticana ha passato in rassegna i prossimi impegni del Papa: Benedetto XVI proseguirà fino a sabato mattina gli esercizi spirituali in Vaticano, quando verosimilmente prenderà la parola. Subito dopo, riceverà in udienza privata il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano. Domenica 24, l’ultimo Angelus in piazza San Pietro. Mercoledì 27, alle 10.30, l’ultima udienza generale: già prenotate oltre 30 mila persone che vorranno salutare il Successore di Pietro al passaggio in papamobile:

"E’ un’udienza che vivremo con grandissima emozione e partecipazione, ma non avrà una struttura particolare o complessa”.

Giovedì 28, ultimo giorno del Pontificato, alle 11 in Sala Clementina avrà luogo il saluto personale ai cardinali presenti in Roma:

"Non è che ci sia stata una convocazione: dovete arrivare tutti per questa occasione. Quindi, quelli che sono a Roma salutano il Santo Padre”.

Alle 17, infine, la partenza in elicottero dal Vaticano e l’accoglienza a Castel Gandolfo da parte del presidente e del segretario del Governatorato, del sindaco e del parroco di Castelgandolfo. In serata , il Papa saluterà i fedeli radunati davanti all’ingresso del Palazzo Apostolico.


21/02/2013 fonte Radio Vaticana

Il sindaco di Castel Gandolfo: pronti per accogliere Benedetto XVI




Castel Gandolfo si appresta ad accogliere Benedetto XVI il prossimo 28 febbraio, ultimo giorno del suo Pontificato. Gian Giacomo Martinetti ha intervistato il sindaco della cittadina laziale, Milvia Monachesi: 

R. – Castel Gandolfo è conosciuta in tutto il mondo per la presenza del Santo Padre. Questo ci dà un grande onore, ma anche un grande onere: dobbiamo essere all’altezza dell’accoglienza sia nei confronti del Papa, sia anche dei tanti pellegrini che vengono. 

D. – Il 28 febbraio sarà, quindi, un giorno eccezionale sia a livello mondiale che per tutta Castel Gandolfo…

R. – Castel Gandolfo è una cittadina molto credente e tutti si stanno preparando per accogliere il Papa: ci sono incontri in diocesi, in parrocchia, ma anche in Comune. Ieri io mi sono vista con il parroco, con il comandante delle guardie municipali per organizzare i pullman, per organizzare il suo arrivo, per fare in modo che sia accolto nel migliore dei modi. 

D. – E’ possibile immaginare il gran fermento che accompagna la vita di Castel Gandolfo in questi giorni. Come vi state organizzando a livello istituzionale per il 28 febbraio?

R. – C’è una grande collaborazione, in particolare per quanto riguarda la Messa nella chiesa parrocchiale. Noi ci rapportiamo, insieme anche alla Polizia di Stato, per organizzare tutta la sicurezza: i negozi sulla piazza – ad esempio – devono tenere dentro tutte le cose, devono togliere tutto. C’è una grande organizzazione, anche riguardo al servizio sanitario… Sono giorni impegnativi. 

D. – Come hanno risposto emotivamente i suoi concittadini alla notizia della rinuncia di Papa Benedetto XVI?

R. – Le reazioni di noi castellani sono state diverse. Noi ci ponevamo più dalla parte umana del Papa: eravamo più preoccupati per lui. C’è un affetto filiale e noi siamo felicissimi del fatto che il Papa voglia venire qui il 28 febbraio. Lo consideriamo davvero un grande onore e lo consideriamo un suo tornare a casa: la nostra è più una presenza e una vicinanza di affetto filiale.

D. – Lei cosa ricorda del suo primo incontro con Benedetto XVI?

R. – Ero emozionatissima per la figura alta che rappresenta: mi sono sentita davvero accolta. Avevo una tensione molto, molto alta, poi quando lo ho incontrato, si è sciolta. C’era un po’ l’immaginario di una persona severa… Anche la sua grandissima formazione teologica: una persona così preparata intellettualmente, ci si aspetta sia un po’ fredda, un po’ più sulle sue, un po’ severo forse. Invece ha dimostrato tutto il contrario: ha dimostrato un’umanità, una semplicità, una capacità di entrare in relazione con le persone. Questo mi ha colpito tantissimo!

D. – Che cosa può, invece, raccontare del vostro ultimo colloquio?

R. – Quello che mi ha colpito l’ultima volta è stato lo sguardo, uno sguardo penetrante: non era il saluto scontato di chi dà la mano e basta… Ti guarda dentro. Mi ha detto: "Pregate per me”. Io ho risposto: "Tutto Castel Gandolfo le è vicino, tutto Castel Gandolfo l’accoglie, tutto Castel Gandolfo la saluta”. E lui mi ha detto nuovamente: "Pregate per me”. Questa cosa mi è rimasta dentro.



21/02/2013 fonte  Radio Vaticana 

Esercizi spirituali. Il cardinale Ravasi: indifferenza e superficialità, veri mali della cultura odierna




Riconciliazione e penitenza, l’assenza di Dio e il nulla. Su questi temi si è sviluppata la meditazione odierna del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, incaricato di predicare gli Esercizi spirituali per la Quaresima al Papa e alla Curia Romana. Ce ne parla Benedetta Capelli: 

Dopo aver visto il limite che portiamo a Dio, il dolore nella forma fisica e morale, il cardinale Ravasi propone la meditazione sul delitto, il castigo e il perdono. "Il peccato – evidenzia il porporato – è un atto personale e nasce dalla libertà umana”. E’ ribellione, rivolta, un deviare la meta ma soprattutto un allontanarsi da Dio:

"Il peccato è una realtà, prima di tutto, e soprattutto, teologica; può avere anche risvolti psicologici, ma è teologica. Per cui, non potrà mai essere equiparato - il Sacramento della Riconciliazione - ad una seduta psicanalitica, perché è assolutamente fondamentale la consapevolezza di Dio che il peccatore ha”.

E’ nella conversione che si trova la via giusta, nel cambiare la rotta e dunque nel cambiare mentalità – come predicava Gesù - lasciando alle spalle le cose alle quali siamo aggrappati. Un percorso che inevitabilmente implica la fatica. E qui il cardinale Ravasi rilegge la seconda Lettera ai Corinzi di San Paolo, evidenziando un punto sottinteso, un termine giuridico che esprime il legame tra l’uomo e Dio:

"Catallasso, catallaghè: questo verbo, tecnicamente parlando, è il verbo che indica l’atto del giudice che tenta di far riconciliare due sposi in disaccordo tra loro. È quel gesto che ormai è diventato famoso - c’è anche nella nostra giurisprudenza ed in molti Paesi - nei casi di separazione e di divorzio: il giudice, di solito, in maniera puramente formale, dice se si vuole giungere ancora ad un accordo. Paolo usa questo verbo, quasi della riconciliazione giuridica; per cui è un verbo che però ha alle spalle la dimensione nuziale - appunto, quel legame che noi avevamo con Dio - legame nuziale che si è infranto con il peccato”.

Nel percorso faticoso verso il perdono non manca la tensione, l’attesa, il "fremito profondo”, dice il cardinale Ravasi, per giungere ad essere uomini nuovi:

"Nella società non sempre si dà la possibilità di ricominciare: alcuni sono ormai bollati, anche se è vero che nella legislazione ci sono tentativi di ricomporre e riproporre ancora alla società uno che ha sbagliato. Però, rimane sempre questa sorta di timbro sulla persona che è stata - magari a ragione - giudicata peccatrice. Questo invece nella Bibbia non esiste; nel Profeta Isaia, soprattutto, c’è quell’immagine che Dio getta alle spalle i tuoi peccati, in modo che non li guarda più, quindi non ci sono più. È la cancellazione vera”.

L’assenza e il nulla: l’uomo senza Dio è la seconda meditazione del cardinale Ravasi. Un tema – sottolinea il porporato - che nel Salterio è presente in modo ripetuto nel Salmo 14 e nel Salmo 53. Si entra così nel mondo dell’ateismo pratico. Assenza e nulla: due termini che non sono sinonimi; semplicisticamente la prima è nostalgia di Dio mentre il nulla è il vero male della cultura odierna:

"E’ l’indifferenza, è la superficialità è la banalità. E’ per questo che io continuo a pensare come si può incidere in qualche modo in questa sorta di nebbia, in questa sorta di mucillagine; è una cosa molle che però non ha nessuna nostalgia, è proprio il vuoto, il nulla, non il vuoto con l’attesa. Ecco, noi, pastoralmente, incontriamo più spesso purtroppo questa seconda forma di ateismo”.

Poi, sul silenzio di Dio, il porporato ricorda le tante volte che un credente avverte questo orizzonte:

"Pensiamo anche a noi stessi, tutte le volte che abbiamo provato, magari attraverso la tiepidezza, attraverso lo scoraggiamento, il silenzio di Dio, l’assenza. Per noi non era del tutto scomparso dall’orizzonte però non Lo sentivamo più. Vorrei che noi tutti, che siamo vescovi, la maggior parte di noi, pensassimo un po’ al clero, a molti preti che vivono questa esperienza e magari non hanno quella capacità di elaborazione che dovrebbero avere, che noi dovemmo dare loro. Credo che soprattutto quanti tra di voi sono stati vescovi di Chiese, pastori di Chiese, questa testimonianza la potete dare voi”.

Eppure il salmista, dopo aver provato il silenzio di Dio, riesce - in conclusione del Salmo 22 - ad esclamare: "Tu mi hai risposto!”. Così la preghiera diventa un inno di ringraziamento che è segno di fiducia dopo le ore vuote, perché le nostre suppliche non cadono mai nel nulla. Infine, al termine della sua meditazione, il cardinale Ravasi offre un nuovo spunto di riflessione riportando le ultime parole del drammaturgo dell’assurdo Eugene Ionesco, un ateo che prima di morire scrisse queste frasi:

"Pregare. Non so chi. Spero Gesù Cristo ”.

Dolore e isolamento sono, invece, i nuclei attorno ai quali si è snodata la meditazione tenuta ieri pomeriggio. "La società contemporanea – ha detto il porporato - ha creato nelle nostre città una folla di solitudini. Il cardinale ha quindi trattato la visione cristiana del dolore, una visione che desta scandalo: Dio in Cristo si china sull’uomo – ha detto - e ne assume la sofferenza, il limite. Gesù attraversa tutta la gamma oscura del dolore: paura, solitudine, isolamento, tradimento, sofferenza fisica, silenzio di Dio, morte.

21/02/2013 fonte radio Vaticana


IL SANTO DEL GIORNO 20/02/2013 beata Amata da Assisi

Nipote di s. Chiara, nacque ad Assisi alla fine del 1200. Destinata a sposare un nobile della città natale, orgogliosa della sua bellezza, conduceva una vita frivola. Visitando la zia, fu illuminata dalla povertà umile e serena delle Damianite. Mutò ideali, rinunziò al matrimonio e nel 1213 entrò nel monastero di S. Damiano. Il Martirologio Francescano la ricorda con questo elogio: "Quae puritate et innocentia vitae ferventique in Christum sponsum amore excelluit". A causa delle aspre penitenze si ammalò di idropisia: per tredici mesi soffrì di una violenta tosse e ne fu guarita infine dalla santa zia con un semplice segno di croce. Presente alla morte di s. Chiara, da lei fu interpellata, come narra il Celano, con queste parole: "Vides tu, filia, regem gloriae quem ego aspicio?". 
Morì intorno al 1254. Quando nel 1260 le Damianite abbandonarono il vecchio monastero per entrare in città, le spoglie di Amata furono portate nel convento di S. Giorgio. Nel 1602 Crescenzio, vescovo di Assisi, trasferì le sue reliquie, quelle della b. Agnese (sorella di s. Chiara) e quelle della b. Benedetta (prima badessa dopo s. Chiara), in un'urna di pietra sotto un altare della chiesa. La festa di Amata ricorre il 20 febbraio.


Le campane di Roma e Albano suoneranno per il Papa in volo verso Castel Gandolfo
 





Tra otto giorni, Benedetto XVI si recherà nella residenza di Castel Gandolfo, poco prima della fine del Pontificato. La cittadina laziale si sta già preparando a riceverlo. Luca Collodi ha intervistato il vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro: 

R. – So che la diocesi di Roma - ne parlavo con il cardinale Vallini - farà suonare le campane nel momento in cui il Santo Padre partirà dall’eliporto del Vaticano; noi faremo altrettanto a Castel Gandolfo al momento dell’arrivo. Intanto le comunità della diocesi si sono già organizzate. Stiamo preparando una veglia di preghiera che avrà inizio alle ore 16.30 circa. Dalle città vicine le comunità si raduneranno ad Albano per andare in pellegrinaggio a piedi verso Castel Gandolfo; si ritroveranno nella piazza in preghiera e accoglieranno il Santo Padre con la recita del Santo Rosario e con altri momenti di canti, di riflessioni sul suo magistero. Prevedibilmente, se partirà alle ore 17, egli dovrebbe giungere all’eliporto di Castel Gandolfo intorno alle 17.15 e poi entrare nel Palazzo Apostolico, da dove - mi è stato confermato dalla Prefettura della Casa Pontificia - si affaccerà per salutare la diocesi di Albano e i fedeli. Questo per noi è davvero un grande privilegio. Dopo di che ho chiesto alla diocesi di stringersi attorno al Papa nel silenzio dell’amore e della preghiera.

D. - Nei giorni successivi voi accompagnerete con la preghiera la presenza del Papa a Castel Gandolfo…

R. – Intanto, ho già dato disposizioni in tutte le parrocchie. Da domenica prossima ci saranno particolari intercessioni sia per il Santo Padre Benedetto XVI, sia preghiere di ringraziamento per la sua presenza, per il suo magistero. D’altra parte, noi non possiamo dimenticare che negli ultimi anni in particolare Benedetto XVI ha mostrato di prediligere e di gradire molto il soggiorno a Castel Gandolfo. Nel luglio del 2011, durante il primo incontro, egli usò un’espressione che poi è stata trascritta e murata sulla piazza centrale della cittadina castellana. Diceva: "Io qui trovo tutto. Vedo i monti, vedo il mare, vedo il lago e gente buona. Vi benedico nel Nome del Signore”. Questa è una frase che ci è rimasta impressa, tanto che noi nei giorni successivi, nelle nostre comunità, nelle parrocchie - soprattutto la Domenica - non soltanto pregheremo per il Papa, ma ringrazieremo il Signore per il dono della sua presenza, per il dono della sua Parola, per il dono del suo servizio.


20/02/2012 fonte radio Vaticana

Conclave, attaccano Mahony per punire la Chiesa

    
Uno tsunami di sciocchezze. Sono quelle che si leggono – incredibilmente, anche su organi di stampa cattolici – a proposito del cardinale Roger Mahony, arcivescovo emerito di Los Angeles, cui si chiede di non partecipare al Conclave perché è tuttora coinvolto in processi in cui lo si accusa di avere protetto preti pedofili. 

Il lettore a questo punto si chiederà: ma quello dei preti pedofili non è un dramma denunciato con toni tanto accorati da Benedetto XVI? Lo è, certamente. Non è, allora, un po’ forte parlare di sciocchezze? Non lo è, per due ragioni. La prima è che partecipare al Conclave non è un premio o una vacanza. È un compito molto gravoso, un dovere prima ancora di un diritto. Il diritto canonico non prevede l’esclusione dal Conclave per ragioni morali o disciplinari. Certamente a tutti i Conclavi della storia hanno partecipato cardinali che avevano qualche scheletro nell’armadio dal punto di vista personale, morale, politico o peggio ancora dottrinale. Questa circostanza ci ricorda che la Chiesa è fatta di santi e di peccatori. Non dobbiamo scandalizzarcene. Se qualche cardinale in difficoltà ritenesse liberamente di non partecipare al conclave si tratterebbe di un gesto nobile. Ma questi gesti si ammirano, non s’impongono, neppure a colpi di sondaggi come quello che ha proposto «Famiglia Cristiana» a lettori che certamente non hanno letto le carte delle complesse cause civili statunitensi relative a Mahony, e hanno «votato» per escluderlo dal Conclave sull’onda di una facile reazione emotiva.

La seconda ragione è che il cardinale Mahony non è al momento soggetto a nessuna sanzione canonica. Il suo successore a Los Angeles, l’arcivescovo José Gomez, ha preso carta e penna per spiegarlo ai suoi preti. Nella lettera si legge che «continua a esserci confusione in diversi media a proposito del cardinale Mahony. Ho già chiarito in una dichiarazione precedente che, benché il cardinale Mahony, in qualità di arcivescovo emerito, non abbia specifici compiti amministrativi, rimane un vescovo in piena comunione con l’Arcidiocesi di Los Angeles. Ha il pieno diritto di celebrare tutti i Sacramenti della Chiesa e di esercitare il suo ministero presso i fedeli senza alcuna restrizione. Promosso alla dignità di cardinale, il cardinale Mahony ha anche tutte le prerogative, i diritti e i doveri di un cardinale di Santa Romana Chiesa». L’arcivescovo Gomez va anche oltre, e illustra la sua convinzione che «i risultati che ha ottenuto e l’esperienza del cardinale Mahony saranno utili al collegio dei cardinali» riunito in Conclave. 

Si potrebbe sperare che la lettera dell’arcivescovo Gomez faccia chiarezza, e che i media smettano di scrivere d’inesistenti sanzioni canoniche comminate da Gomez al suo predecessore. Ma non succederà, perché per molti il cardinale Mahony è un falso scopo per attaccare la Chiesa e Benedetto XVI. Per quanto Benedetto XVI abbia preso misure di straordinaria e inaudita severità nei confronti dei preti pedofili, per quanto queste misure siano state in gran parte efficaci – i processi che si celebrano oggi riguardano quasi sempre avvenimenti di molti anni fa, e gli episodi recenti sono sempre più rari – nessuna misura sarà mai sufficiente per chi si serve della tragedia dei preti pedofili come di una clava da calare sulla Chiesa per contestare il suo insegnamento morale e la sua intransigente difesa della vita, della famiglia e della libertà religiosa.

Ma, alla fine, di che cosa è accusato il cardinale Mahony?  Il cardinale è stato vescovo di Stockton dal 1980 al 1985 e arcivescovo di Los Angeles dal 1985 al 2011. Le controversie riguardano sia il periodo di Stockton sia quello di Los Angeles. Cominciamo da Stockton. Chi continua a guardare su Internet lo screditato documentario della BBC «Sex Crimes and the Vatican», a suo tempo proposto in Italia da Michele Santoro, rimane subito colpito dalla sinistra figura dell’ex prete Oliver O’Grady. Il documentario si apre e si chiude con l’ex sacerdote irlandese, che ha vissuto negli Stati Uniti dal 1971 al 2000, ripreso mentre descrive in termini piuttosto espliciti come adescava le sue vittime, quali tipi di ragazzini gli piacevano e come sia stato protetto dall’allora vescovo Mahony.

Non si tratta però di un’intervista originale della BBC ma di sequenze tratte dal film del 2006 «Deliver Us from Evil» ("Liberaci dal male”) della regista Amy Berg. Un film dove la collaborazione di O’Grady non è stata gratuita. È la conseguenza di un accordo con gli avvocati delle sue vittime che – dopo che O’Grady era stato condannato nel 1993 a quattordici anni di reclusione – hanno citato per danni in sede civile la diocesi di Stockton. O’Grady si è prestato alle video-interviste degli avvocati – e di Amy Berg – e in cambio essi non si sono opposti al suo rilascio dal carcere dopo sette anni, accompagnato dall’espulsione dagli Stati Uniti verso la natia Irlanda, dove il pedofilo è rimasto a lungo in libertà fino ad essere nuovamente condannato nel 2012 a tre anni di carcere per possesso di materiale pornografico con immagini di bambini. Dunque, le dichiarazioni di O’Grady s’inquadrano in un accordo con avvocati che avevano bisogno soprattutto di sentirsi dire che il sacerdote pedofilo era stato protetto da Mahony e dalla diocesi, cui si preparavano a spillare qualche milione di dollari.

Uno sguardo ai documenti del processo civile di secondo grado mostra che O’Grady non l’aveva raccontata del tutto giusta. Egli affermava – con evidente gioia degli avvocati – che Mahony sapeva che era un pedofilo e, nonostante questo, lo aveva mantenuto nel ministero sacerdotale. Le carte raccontano un’altra storia. Mahony diventa vescovo di Stockton nel 1980. Tra il 1980 e il 1984 deve occuparsi di tre casi di preti accusati di abusi sessuali su minori. Fa qualche cosa che stupirà i lettori di «Repubblica» e magari anche quelli di «Famiglia Cristiana»: non solo indaga, ma fa segnalare i sacerdoti alla polizia. In due casi la polizia conferma che, dietro al fumo, c’è del fuoco: e i sacerdoti sono sospesi a divinis, cioè esclusi dal ministero sacerdotale. Nel terzo caso, quello di O’Grady, la polizia nel 1984 archivia il caso e dichiara il sacerdote innocente. Mahony si limita a trasferirlo, dopo che due diversi psicologi che lo hanno esaminato per conto della diocesi hanno dichiarato che non è pericoloso. Tutti sbagliavano: O’Grady era molto pericoloso. 

Ricostruzioni alternative dei tre casi di Stockton imputati a Mahony sono state proposte dal quotidiano – ostilissimo alla Chiesa Cattolica – «Los Angeles Times» e da vari giornalisti e blogger, anche italiani, ma non hanno retto allo scrutinio dei tribunali americani, non certo teneri con la Chiesa nei casi di abusi. Mahony a Stockton trent’anni fa sbagliò. Ma sbagliò non perché non si rivolse alla polizia. Lo fece. Il suo errore fu prendere per buone le conclusioni della polizia e degli psicologi, che nel caso di O’Grady erano clamorosamente sbagliate.

Passiamo a Los Angeles. Mahony è promosso alla guida di una delle più importanti diocesi del mondo nel 1985, mentre infuria la crisi dei preti pedofili, perché si ritiene che abbia dato buona prova a Stockton e sia in grado di gestirla. Los Angeles sarà – per vicende in parte avvenute prima dell’arrivo di Mahony – la diocesi degli Stati Uniti e del mondo che pagherà il più alto indennizzo alle vittime degli abusi: 660 milioni di dollari. La transazione del 2007 con gli studi legali specializzati nel rappresentare le vittime dei sacerdoti pedofili doveva essere, o così gli avvocati la presentarono a Mahony, «tombale». Ma l’appetito viene mangiando, e gli stessi studi legali – che (pochi lo sanno in Italia) di solito trattengono per sé la parte più grande del maltolto – hanno avviato una nuova causa – sempre civile – chiedendo altri soldi e persuadendo un giudice a lasciare loro frugare, a partire dal 2012, nei documenti interni della diocesi, compresi semplici promemoria riservati. 

Da questi documenti è emerso che Mahony – almeno negli anni precedenti alla decisione dei vescovi degli Stati Uniti di riferire sempre e comunque tutti i casi alla polizia – in diverse vicende dubbie si limitò a rimandare nelle diocesi di origine, di cui informò i vescovi, sacerdoti messicani o spagnoli che svolgevano il loro ministero a Los Angeles, e si fidò eccessivamente dei «centri di riabilitazione» che affermavano di poter curare i sacerdoti pedofili dalla loro malattia rimettendoli in condizione di poter riprendere senza rischi il ministero. Purtroppo non era vero, e paradossalmente monsignor Richard Loomis, consulente del cardinale per questa materia e sacerdote che sembrava al di sopra di ogni sospetto, finì accusato anche lui di abusi. Si deve però anche aggiungere che in diversi casi di sacerdoti che gli apparivano come certamente pericolosi e irriformabili Mahony si dimostrò invece inflessibile.  

Mahony ha commesso degli errori? Certamente. Gravi? Sì. È stato vittima di teorie terapeutiche fallaci sulla presunta infallibilità dei centri di riabilitazione? Lo si può affermare. È un complice dei pedofili, che ha consapevolmente rimesso preti che secondo ogni ragionevole previsione sarebbero ricaduti nel loro vizio in contatto con parrocchie e bambini?  No, questa conclusione non è supportata dai documenti, e del resto Mahony non ha mai subito condanne penali, i risarcimenti derivano da cause civili. 

Il cardinale sbagliò, ma sbagliò in buona fede, credendo che i suoi sistemi per affrontare la questione dei preti pedofili fossero efficienti e avanzati. Non lo erano, e quanto ho scritto non ha affatto lo scopo di proporre una sua difesa d’ufficio. Trasformare un vescovo che ha commesso errori in un criminale manca però gravemente non solo alla carità ma anche alle regole del buon giornalismo.

20/02/2013 fonte La nuova bussola quotidiana






Padre Gheddo: per la Chiesa è la vigilia di una svolta epocale

di Piero Gheddo
Le "rivoluzionarie" dimissioni di Benedetto XVI un atto di saggezza ispirato dallo Spirito Santo. Non è importante ipotizzare e discutere su chi sarà il prossimo Papa, poiché siamo già sicuri che sarà il Papa migliore per la Chiesa d'oggi; è invece importante che tutta la Chiesa, tutti i credenti, chiedano allo Spirito Santo la grazia di accettarlo e di seguirlo con la preghiera e l'obbedienza alle indicazioni che darà sulle vie da prendere per rendere Gesù Cristo più vicino all'uomo d'oggi, soprattutto a quello che lo conosce ma lo rifiuta. 


Milano (AsiaNews) - Più passano i giorni dall'11 febbraio scorso, quando Benedetto XVI ha compiuto quel gesto umile e coraggioso di rinunzia al Pontificato e più si chiariscono le motivazioni che l'hanno portato a questa decisione veramente rivoluzionaria in duemila anni di storia della Chiesa. Perché  è proprio la prima volta che succede questo. Le poche rinunzie di Papi del lontano passato erano tutte fatte per pressioni e minacce esterne, in tempi non democratici come questi che viviamo nel nostro Occidente. In altre parole, il segno della rinunzia indica che la Chiesa è alla vigilia di una svolta epocale, che non riusciamo ancora a capire quale sia, ma siamo sicuri che il passo indietro del grande Papa teologo è stato fatto per il maggior bene della Chiesa, come lui stesso ha detto l'11 febbraio scorso.

In altre parole, è stato un atto di saggezza ispirato dallo Spirito Santo, perché apre alla Chiesa una via nuova che favorirà l'annunzio della salvezza in Cristo a tutti i popoli e in particolare a quelli dell'Europa cristiana, avanguardia del "mondo d'oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede" e che si stanno allontanando dalla pratica della vita cristiana. Papa Benedetto, "dopo aver ripetutamente esaminato" la sua coscienza davanti a Dio, è pervenuto alla certezza che le sue forze, "per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino". Così ha rinunziato, "in piena libertà, al ministero di Vescovo di Roma, Successore di Pietro".

In fondo, nei suoi quasi otto anni di Pontificato, Papa Benedetto ha dato veramente tutto se stesso per la missione della Chiesa e lo scopo primario che si era proposto fin dall'inizio, la "Nuova evangelizzazione" dei popoli cristiani. Le tre encicliche su Fede (questa non pubblicata, ma speriamo che in seguito lo sia come volume del card. Ratzinger), Speranza e Carità e i tre volumi sulla presentazione di Cristo al mondo d'oggi, con i molti altri testi e gesti (il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, il Cortile dei Gentili, fondare la Fede sulla Ragione, la lotta contro il "relativismo", ecc.), sono l'apice di tutto un magistero che aveva soprattutto lo scopo del dialogo e dell'annunzio della salvezza in Cristo al mondo cattolico e cristiano. Mi sono riletto in questi giorni la "Spe salvi" sulla speranza cristiana, un meraviglioso e gratificante scenario di vita cristiana che avrebbe potuto e dovuto provocare i popoli cristiani d'Europa (della Comunità Europea), in crisi profonda non tanto per il Pil e lo Spred, ma perché stanno perdendo ogni speranza di progresso, di rinascita. "Solo quando il futuro è certo come realtà positiva - si legge al n. 2 - diventa vivibile anche il presente". Ma se nell'orizzonte dei popoli cristiani non c'è più Dio, il futuro diventa disperante, conduce al nichilismo, al nulla. Queste verità Benedetto XVI le ha proclamate e scritte decine e decine di volte, senza suscitare alcuna reazione degna di nota.

Allo stesso modo, il Papa ha continuato il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II quando si è dimostrato convinto assertore della razionalità dell'antropologia cristiana, quasi codificando "i valori irrinunciabili" della Chiesa ("Caritas in Veritate", nn. 28, 44, 75), rilanciati più volte dalla Conferenza episcopale italiana, e poi vede che anche i paesi cattolici vanno dritti per la strada che porta alla rovina della famiglia naturale e del valore assoluto della vita umana dal concepimento alla morte naturale; insomma, quando il Papa condanna la guerra o il razzismo, tutti d'accordo, ma quando parla di matrimonio tra uomo e donna e contro l'aborto e l'eutanasia, allora diventa un conservatore dogmatico e reazionario. E questo senza nessun serio dibattito razionale su questi temi fondamentali nell'ottica evangelica.

Ecco, Papa Benedetto, avendo dato tutto e sentendosi venir meno le energie per l'età, ha fatto il grande gesto, richiamando ancora una volta (nel discorso ai parroci romani del 14 febbraio) il dovere di purificazione nella Chiesa da tutti gli scandali, le divisioni, i giochi di potere, le calunnie; insomma da tutti i peccati personali e comunitari che appannano la santità immacolata della Chiesa e tolgono efficacia all'annunzio della salvezza in Cristo. Oggi per noi è il tempo della preghiera e di ringraziare Dio per il Papa che ci ha dato e per questa sua rinunzia al Pontificato, che apre alla Chiesa prospettive nuove. Come già nel recente passato, il passaggio da un Pontefice all'altro (ad esempio da Pio XII e Giovanni XXIII e a Paolo VI), la Chiesa non è più quella di prima, appunto perché cambiano i tempi  e anche l'annunzio di Cristo dev'essere adeguato all'uomo d'oggi. La stessa verità di sempre, ma espressa e vissuta in modo nuovo. Quindi, non è importante ipotizzare e discutere su chi sarà il prossimo Papa, poiché siamo già sicuri che sarà il Papa migliore per la Chiesa d'oggi; è invece importante che tutta la Chiesa, tutti i credenti, chiedano allo Spirito Santo la grazia di accettarlo e di seguirlo con la preghiera e l'obbedienza alle indicazioni che darà sulle vie da prendere per rendere Gesù Cristo più vicino all'uomo d'oggi, soprattutto a quello che lo conosce ma lo rifiuta. Impresa titanica che solo con la fede entusiasta della missione della Chiesa, la preghiera e la testimonianza della vita cristiana, siamo sicuri che porterà i suoi frutti.

 
20/02/2013 fonte Asia News

Card. Thottunkal: Benedetto XVI e la vocazione a essere veri cristiani e cattolici
i
L’arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi fa un bilancio del pontificato di papa Ratzinger. La devozione alla Chiesa e alla legge di Dio, la Deus Caritas Est e ogni suo scritto testimoniano la sua missione divina. Nessun identikit del futuro successore, che dovrà unire i cristiani di tutto il mondo. Un invito ai laici e ai consacrati: lavoriamo per la Chiesa, siamo testimoni di fede.


Trivandrum (AsiaNews) - "Nessun papa ha mai parlato della sua missione divina in modo così profondo e consapevole. È un vero discepolo di Cristo, che ha saputo mostrare agli altri il senso della vocazione a essere veri cristiani e cattolici". Sua Beatitudine Mar Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi, parla così ad AsiaNews di Benedetto XVI e del suo pontificato. Come annunciato, il prossimo 28 febbraio il papa rinuncerà al ministero petrino, e il porporato indiano sarà tra i 117 cardinali elettori che avranno il compito di eleggere il suo successore.

Una figura, quella del futuro papa, sulla quale già si sono scatenate previsioni e supposizioni di ogni tipo, e tracciato l'identikit del candidato "ideale". Per il card. Thottunkal però, "più che discutere sui problemi e le sfide che il prossimo Santo Padre dovrà affrontare, o su quanti anni dovrà avere, bisogna riflettere su quale sia il suo compito principale". "È chiaro - aggiunge -, le persone, soprattutto in Asia, vorrebbero qualcuno che possa viaggiare e girare il mondo, e continui il cammino di dialogo ecumenico e interreligioso" avviato da Benedetto XVI.

Tuttavia, quello di cui c'è bisogno è di un papa "coinvolto in ogni aspetto del suo ministero petrino. Egli sarà anzitutto il vicario di Cristo, il vescovo di Roma, e con speranza, carità e coraggio dovrà essere capace di raccogliere e unire i cattolici di tutti i continenti, di ogni rito, proclamando il Vangelo ovunque". A questa missione "è importante che collaborino anche tutti quelli che vivono nella Chiesa cattolica", dai laici ai consacrati, "per essere ciascuno di noi testimone della propria fede cristiana".

Il papa che uscirà dal prossimo conclave, sottolinea l'arcivescovo, avrà la fortuna di guardare all'esempio di Benedetto XVI e alla sua "particolare devozione alla Chiesa e alla legge di Dio. Anche lui, nel 2005, si è assunto un'eredità difficile come quella di Giovanni Paolo II: un grande papa, che ha viaggiato molto e incontrato milioni di persone. Non sarebbe stato facile per nessuno essere 'il successore di papa Wojtyla'. Invece, Benedetto XVI ha saputo compiere in modo meraviglioso la propria missione divina". Questo, aggiunge, "è ben visibile già dalla sua prima enciclica Deus Caritas Est, 'Dio è amore', e in tutte le omelie, le catechesi, le encicliche e le esortazioni apostoliche".

Sua Beatitudine è stato creato cardinale proprio da Benedetto XVI il 24 novembre scorso, dopo il Sinodo dei vescovi per la nuova evangelizzazione (7-28 ottobre 2012). Il porporato descrive papa Ratzinger come "un uomo mite, gentile, amabile e comprensivo, che ha ricordato al mondo il bisogno della presenza di Dio e di seguire Gesù Cristo, mandatoci dal Signore come nostro salvatore. In Benedetto XVI ho trovato un vero discepolo di Cristo". (GM) 

 20/02/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 19/02/2013 Beato Alvaro De Zamora da Cordova Domenicano



Nel 1368 entrò nel convento di s. Paolo a Cordova. Laureatosi a Salamanca, fu in un primo tempo destinato a insegnare Sacra Scrittura, ma le sue straordinarie capacità si rivelarono quando l'obbedienza gli affidò il ministero della predicazione. Fu emulo del suo confratello s. Vincenzo Ferreri e con lui contribuì a sottrarre seguaci all'antipapa Benedetto XIII. Rinnovò con l'ardente parola e con l'esempio di vita austera l'Andalusia. Ritornato da un viaggio in Terra Santa, diffuse la devozione ad alcuni episodi della Passione: fu così tra gli iniziatori della Via Crucis. Fondò presso Cordova il celebre convento di s. Domingo di Scala Coeli, centro propulsore della riforma domenicana in Spagna.Alvaro da Cordova, come affermano antichi storici, appartenne alla nobilissima famiglia Cardona. Egli vestì l’Abito domenicano in tenera età, nel Convento di S. Paolo in Cordova nell’anno 1368. Fu famoso e ardente predicatore e con gli esempi e con le opere contribuì alla riforma dell’Ordine inaugurata dal Beato Raimondo da Capua e dai suoi discepoli. Di ritorno da un pellegrinaggio fatto in Terra Santa, riportò scolpito nel cuore il doloroso cammino del Calvario percorso dal Salvatore. Desideroso di vivere un’esistenza solitaria e perfetta, dove poter temprare lo spirito per un più proficuo apostolato, col favore del Re, Don Giovanni II di Castiglia, di cui era confessore, poté fondare a tre miglia da Cordova il famoso e osservantissimo Convento di S. Domenico Scala Coeli, dove dispose vari oratori che riproducevano la via dolorosa, da lui venerata in Gerusalemme. Questa sacra rappresentazione fu imitata da altri Conventi, dando origine alla devozione tanto bella della Via Crucis, così cara alla pietà cristiana. Di notte si recava in ginocchio a una grotta molto distante dal Convento dove, a imitazione del Santo Padre Domenico, pregava e si flagellava. Questa grotta divenne poi meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli. Ebbe il dono della profezia e operò miracoli. Morì il 19 febbraio del 1430, venendo sepolto nel convento da lui fondato. Papa Benedetto XIV il 22 settembre 1741 ha approvato il culto.


Benedetto XVI, collaboratore della Verità
 





"La Chiesa dell’amore è anche la Chiesa della verità”. Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI ha messo l’accento sulla centralità della testimonianza della verità evangelica. Una sfida che in realtà, potremmo dire, è nel "Dna" del cristiano Joseph Ratzinger che, nel 1977, per il suo motto episcopale ha scelto la formula Cooperatores Veritatis, "Collaboratori della Verità”, tratta da un passo della terza Lettera di Giovanni. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

"Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero”. Noi però "abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio”, che "ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”. Quando Joseph Ratzinger pronuncia queste parole, il 18 aprile del 2005, è ancora "solamente” il decano del Collegio cardinalizio. Ma, con il vantaggio della storia, è facile scorgere come in quella omelia sulla "dittatura del relativismo”, il futuro Pontefice abbia indicato alla Chiesa una delle più urgenti sfide dei nostri tempi. E in fondo di sempre: testimoniare la verità. Ma cosa è la verità, anzi chi è la verità per Benedetto XVI e possiamo possederla?

"Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo che è la verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri”. (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012)

Dunque, la verità è una Persona, Gesù Cristo. D’altro canto, osserva nella sua prima Enciclica Deus caritas est, all’inizio del Cristianesimo "non c'è una decisione etica o una grande idea”, bensì proprio "l'incontro” con questa Persona. Tanto più è autentico questo incontro, avverte il Papa, tanto più siamo chiamati ad accettare sacrifici e persecuzioni:

"Chi partecipa alla missione di Cristo deve inevitabilmente affrontare tribolazioni, contrasti e sofferenze, perché si scontra con le resistenze e i poteri di questo mondo”. (Udienza alle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2010)

La verità, non si stanca tuttavia di affermare il Papa, non è disgiunta dalla carità. Al contempo, spiega nella Caritas in veritate, "senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente”. E', avverte, "il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità”. Ecco allora che la fede, ben lungi dall’essere un ostacolo, diventa la luce che illumina il cammino verso la verità:

"Di fronte a tale atteggiamento che tende a sostituire la verità con il consenso, fragile e facilmente manipolabile, la fede cristiana offre invece un contributo veritativo anche nell’ambito etico-filosofico, non fornendo soluzioni precostituite a problemi concreti come la ricerca e la sperimentazione biomedica, ma proponendo prospettive morali affidabili all’interno delle quali la ragione umana può ricercare e trovare valide soluzioni” (Udienza alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 15 gennaio 2010).

Nell’ambito di questa ricerca della verità, si colloca il grande impegno di Benedetto XVI per rafforzare il dialogo tra fede e ragione. Un binomio, questo, che contraddistingue il suo Pontificato. Anche la ragione, ne è convinto il Papa teologo, aiuta ad avvicinarsi a Dio:

"Il dialogo tra fede e ragione, se condotto con sincerità e rigore, offre la possibilità di percepire, in modo più efficace e convincente, la ragionevolezza della fede in Dio – non in un Dio qualsiasi ma in quel Dio che si è rivelato in Gesù Cristo – e altresì mostrare che nello stesso Gesù Cristo si trova il compimento di ogni autentica umana”. (Dialogo a Convegno diocesi di Roma, 5 giugno 2006)

19/02/2013 fonte radio Vaticana



Strasburgo, sentenza su adozione ai gay. Il giurista: deriva sociale della famiglia




Due sentenze che fanno discutere sono arrivate oggi da Strasburgo e da Karlsruhe, in Germania. Nel primo caso, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito, in riferimento al ricorso di una coppia gay austriaca, che nelle coppie omosessuali, al pari delle coppie etero, i partner devono avere il diritto all’adozione dei figli dei compagni. Nel secondo caso, la Corte costituzionale ha stabilito che sarà possibile a uno dei partner, in un matrimonio gay, adottare il figlio adottato in precedenza dal coniuge. Francesca Sabatinelli ha chiesto l'opinione di Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato all’Università Europea di Roma: 

R. – Significa che in un ordinamento, in particolare quello austriaco, dove è possibile avvenire all’adozione anche da parte delle coppie non sposate, questo va esteso anche a quelle coppie non sposate di tendenza omosessuale. Cioè, non si può fare differenza se la coppia non sposata è eterosessuale o se invece è omosessuale, con riferimento all’adozione. In tutti e due i casi, si ha il diritto di adottare bambini. Ecco cosa significa la decisione dei giudici di Strasburgo.

D. - Oggi, una decisione analoga, se così possiamo dire, è arrivata dalla Germania. Questo significa che si stanno rafforzando in qualche modo i diritti per le adozioni dei gay?

R. – Sì, significa che c’è una concezione della famiglia di tipo sociale, né giuridico, né naturale, ma cioè si intende quel nucleo dove di fatto si convive assieme e, a questo punto, diventa indifferente, con riferimento alle figure genitoriali, qual è il sesso e la differenza di sesso tra le stesse. Quindi, è come se fossimo davanti a un logoramento sociale della famiglia che, davanti a dei fatti, ne deve prendere atto e anche il legislatore deve, a questo punto, assecondare nuove situazioni con, però, il grandissimo vulnus dei diritti del bambino. In questo caso, infatti, il bambino non viene riconosciuto nei suoi diritti ad avere una doppia figura genitoriale differente tra uomo e donna, tra maschio e femmina, che completano la sua personalità, ma si annienta questa distinzione, imponendogli una figura genitoriale, una doppia figura dello stesso sesso, con ovvie ricadute sulla crescita del bambino. A prescindere degli studi che ci sono, lo dice anche il buon senso. Ciascuno di noi sa quanto sia importante avere una madre e un padre nelle loro differenze caratteriali, psicologiche, biologiche, psicofisiche, che completano pienamente la personalità e l’equilibrio di un minore. Quindi, la ritengo davvero una forzatura se non addirittura una violenza.

D. - Tornando alla sentenza della corte di Strasburgo, quale riflesso può avere nell’ordinamento italiano?

R. - Per il momento, nessun riflesso nell’ordinamento italiano perché l’ordinamento italiano non consente l’adozione alle coppie non sposate. Quindi, questa estensione che è stata possibile in Austria per le coppie non sposate, che devono essere anche considerate quelle di tipo omosessuale, in Italia non sarebbe possibile perché l’adozione è consentita soltanto alle coppie sposate, unite cioè in matrimonio, dove è giuridicamente ineccepibile: lo ha detto la Corte costituzionale che il matrimonio è soltanto quello tra un uomo e una donna. Quindi, in questo caso in Italia non ci sono ripercussioni di carattere giuridico.

D. – Quindi, per ora non cambierà nulla in Italia e questa sentenza non avrà riflessi. In futuro?

R. – Il futuro è piuttosto insidioso, perché se il parlamento italiano dovesse invece legiferare a favore di un riconoscimento delle unioni omosessuali, ne viene che davanti a queste decisioni, come quella di Strasburgo, inevitabilmente si arriverà anche a un riconoscimento del diritto delle coppie omosessuali ad adottare. Quindi, è davvero insidioso il futuro perché potrebbe capitare che davanti a un’apertura del parlamento nel riconoscere diritti e doveri anche delle coppie non sposate e anche a quelle di tipo omosessuale, poi magari, anche senza volerlo, si arriverà per forza di sentenze giurisprudenziali a un’assimilazione, anche nei diritti, all’adozione, con la ripercussione, che ritengo davvero aberrante, di consentire che dei bambini vengano educati in un nucleo familiare con una doppia figura genitoriale dello stesso sesso.

19/02/2013 fonte radio Vaticana

Castel Gandolfo si prepara per il 28 febbraio. Intervista con don Pietro Diletti


Una città raccolta in preghiera, per accogliere il Papa che si accinge a ritirarsi in preghiera. È così che si presenterà agli occhi di Benedetto XVI la popolazione di Castel Gandolfo il prossimo 28 febbraio, quando nel pomeriggio il Pontefice giungerà nel Palazzo apostolico al termine del suo ministero petrino. Beatrice Guarrera ha chiesto a don Pietro Diletti, parroco della chiesa castellana di Tommaso da Villanova, quali preparativi siano in atto: 

R. - Vogliamo accoglierlo prima di tutto con la preghiera, perché sappiamo che è un uomo di preghiera e che sarà in mezzo a noi nella preghiera, anche se "invisibile" da un punto di vista fisico, come ha detto. Ci ritroveremo alle ore 16 del 28 febbraio e alle ore 17 inizieremo il Rosario alternato a delle piccole riflessioni del Papa, e quando arriverà – molto probabilmente alle 17.30 – e si affaccerà, noi smetteremo la preghiera e ci raduneremo lì, con tutti i flambeaux, nella piazza strapiena: stiamo mobilitando tutti e sappiamo che molti verranno anche da fuori. Sarà, quindi, veramente una manifestazione di affetto, di stima e di solidarietà per il Papa.

D. – Lei personalmente che cosa dirà al Papa, quando lo incontrerà?

R. – Io spero di incontrarlo, come l’ho incontrato sempre, avendolo incontrato, in due estati, dodici volte. In brevi incontri, ma anche lunghi incontri, abbiamo parlato tantissimo. Lui fa domande su tutte le cose. E’ un uomo che s’interessa dei particolari. Fa domande precise, per cui vuole risposte precise. Per esempio, riguardo alla campana che gli avevamo fatto, chiedeva in che tonalità fosse: in sol. E così per tutte le altre cose. Questo è veramente molto bello. Nonostante io sia qui da poco tempo - due anni e qualche mese – abbiamo già fatto amicizia in qualche modo e ogni volta che mi vede esclama: "Oh, il nostro caro parroco!” Ed io, una volta, arditamente ho detto: "Oh, il mio caro parrocchiano, che non sempre frequenta!”

19/02/2013 fonte Radio Vaticana



Esercizi spirituali. Il Card. Ravasi: la storia è il luogo dove incontrare il Signore





La storia come luogo di incontro con Dio e la figura del Messia letta attraverso alcuni Salmi: sono i temi al centro delle due meditazioni predicate stamani al Papa e alla Curia Romana dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Oggi è il terzo giorno degli Esercizi spirituali, che si tengono nella cappella Redemtoris Mater in Vaticano. Il servizio di Debora Donnini:   

Dopo lo spazio, oggi è il tempo il filo d’oro delle meditazioni del cardinale Gianfranco Ravasi. Anche la storia è, infatti, luogo della teofania di Dio. A mostrarlo è lo stesso Antico Testamento, specialmente in quello che il porporato definisce come il credo storico di Israele, cioè i passi dove emerge che la fede è legata ai fatti, dove ci si riferisce a Dio come Colui che ha liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Il cardinale Ravasi mostra come l’incontro con Dio avvenga nei grovigli degli eventi, segnati dalla sofferenza ma anche dalla gioia. Una realtà resa ancor più visibile con l’Incarnazione: 

"La storia è e deve essere sempre il luogo da noi amato per incontrare il nostro Signore, il nostro Dio. Anche se è un terreno scandaloso, anche se è un terreno nel quale spesso noi vediamo magari anche il silenzio di Dio o vediamo l’apostasia degli uomini”.

E’ la speranza, dunque, la virtù centrale per comprendere che la storia non è una serie di eventi senza senso ma, come si vede nel libro di Giobbe, esiste su di essa un progetto di Dio:

"Noi con la speranza siamo certi di non essere in balia di un fato, di un fato imponderabile. Il nostro Dio si definisce in Esodo 3 con il pronome di prima persona 'Io' e col verbo fondamentale 'Io Sono'. Quindi, è Persona che agisce, che vive nell’interno delle vicende ed è per questo che allora il nostro rapporto con Lui è un rapporto di fiducia, di dialogo, di contatto. Ebbene, la speranza nasce dalla convinzione che la storia non è una nomenclatura di eventi senza senso”.

Uno sguardo, questo, profondamente legato all’eternità. La seconda meditazione ha al suo centro la figura del Messia, letta principalmente attraverso tre Salmi, dai quali emergono alcune caratteristiche. Prima di tutto, quella del Messia come Colui che fa brillare la giustizia, specialmente per gli ultimi, per i poveri: 

"Paolo ha dato la definizione migliore di questa giustizia, che si mette al livello delle persone vittime dell’ingiustizia. Paolo, nel famoso Inno dei Filippesi 2, dice: Egli pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini”.

Quindi, emerge la caratteristica del sacerdozio di Cristo come un sacerdozio di grazia, non "biologico”, ma alla maniera di Melchisedek e, infine, del Messia come Figlio di Dio, che con la Risurrezione svela pienamente la sua divinità. La dimensione messianica si può quindi vedere come cuore del Salterio: 

"Dobbiamo anche più spesso proprio sostare e contemplare la figura di Cristo, il Messia che ha in sé tutto questo respiro dell’Antico Testamento e lo porta alla pienezza”.

La liturgia come luogo della rivelazione di Dio era stato il grande tema della riflessione del cardinale Gianfranco Ravasi agli Esercizi spirituali di ieri pomeriggio. Due le dimensioni fondamentali: quella verticale, lo sguardo verso Dio, e quella orizzontale, lo sguardo verso i fratelli. Il porporato ha sottolineato come sia necessario un equilibrio fra queste due dimensioni, altrimenti c’è il rischio o di un sacralismo fine a se stesso o di fare una riunione assembleare. Ma soprattutto la necessità di un’analisi del cuore per non trasformare il culto in un rito esteriore, come dice il Profeta Isaia quando afferma che Dio detesta offerte e sacrifici. L’amore ai fratelli e la confessione delle proprie colpe sono, dunque, momenti fondamentali per varcare la soglia che conduce alla comunione con il Signore: 

"Per andare alla Comunione con Dio – un solo Pane, un solo Calice – bisogna essere un solo Corpo, bisogna avere la comunione fra di noi”.

19/02/2013 fonte Radio Vaticana



IL SANTO DEL GIORNO 18/02/2013 Beato Giovanni da Fiesole (detto Beato Angelico o Fra Angelico) Domenicano





Questa soave e genialissima figura di Frate Predicatore fu un dono magnifico fatto da Dio all’Ordine. Guido o Guidolino, figlio di Pietro, nacque a Vicchio di Mugello in Toscana alla fine del XIV° secolo e fin da giovane fu pittore in Firenze. Quando sentì la vocazione, insieme al fratello Benedetto, si presentò al convento domenicano di Fiesole. Ordinato sacerdote assunse il nome di Fra Giovanni da Fiesole, ma subito dopo la sua morte fu usanza comune chiamarlo "Beato Angelico”. L’azione di santo e di artista del giovane si svolse mirabilmente nel clima di alta perfezione spirituale e intellettuale trovato nel chiostro. Le sante austerità, gli studi profondi, la perenne elevazione dell’anima a Dio, affinarono il suo spirito e gli aprirono orizzonti sconfinati. Così preparato, da buon Frate Predicatore, poté anch’egli dare agli altri il frutto della propria contemplazione e dar vita, col suo magico pennello, al più sacro dei poemi, narrando ai fratelli la divina storia della nostra salvezza. I suoi Crocifissi, le sue Madonne, i suoi Santi sono una predica che risuona nei secoli. Anima di una semplicità evangelica, seppe vivere col cuore in cielo, pur consacrandosi a un intenso lavoro. Sue sono molte pale d’altare a Fiesole (1425-1438) e le celle, i corridoi, l’aula capitolare e i chiostri del Convento di San Marco a Firenze (1439-1445). Recatosi a Roma, su invito di Papa Eugenio IV, dipinse nella Basilica di San Pietro e nei Palazzi Vaticani, e dal 1445 al 1449, per Papa Niccolò V la sua cappella privata e lo studio in Vaticano. Il Papa gli offrì la Sede Vescovile di Firenze, che energicamente rifiutò, persuadendo il Pontefice a nominare il confratello Sant’Antonino. Fu da Dio chiamato al premio eterno il 18 febbraio 1455 a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è ancora conservato nella attigua Basilica Domenicana. A suo onore, e per la promozione dell’arte sacra, Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 ha concesso il suo culto liturgico a tutto l’Ordine e il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.

La Chiesa è di Cristo: l’eredità più forte di Benedetto XVI



Qual è l’immagine che Benedetto XVI ha della Chiesa? Quale eredità lascerà al suo successore? Sono questi alcuni degli interrogativi che molti si pongono, nei media e non solo. In realtà, sarebbe sufficiente ascoltare quello che il Papa sta dicendo in questi giorni per avere una risposta. "La Chiesa è di Cristo”, ha affermato con forza. La Chiesa ha bisogno di "rinnovarsi nello spirito”, ha ribadito ieri. A dieci giorni dalla fine del suo Pontificato, riprendiamo dunque alcuni passaggi degli ultimi interventi di Benedetto XVI nel servizio di Alessandro Gisotti:   

"Per il bene della Chiesa”. Dall’inizio del suo ministero petrino, Benedetto XVI lo ha testimoniato con i suoi gesti, con le sue parole, con la sua stessa persona. Il bene della Chiesa prima di tutto, perché la Chiesa non appartiene a noi, neppure a Pietro. La Chiesa è di Cristo. Ed è questo il significato più profondo della sua rinuncia:

"Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza (…) Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”. (Udienza generale, 13 febbraio 2013)

Ma se la Chiesa è di Cristo, allora sono inconciliabili con Essa i protagonismi, le divisioni, il mettere l’io davanti a Dio. Significativamente, Benedetto XVI rinuncia al suo ministero in Quaresima, tempo forte di penitenza, conversione e rinnovamento spirituale. Un rinnovamento che inizia con la denuncia del male che strappa le vesti di Cristo:

"Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale. Vivere la Quaresima in una più intensa ed evidente comunione ecclesiale, superando individualismi e rivalità, è un segno umile e prezioso per coloro che sono lontani dalla fede o indifferenti”. (Rito delle Ceneri, 13 febbraio 2013)

La visione del Papa per l’avvenire della Chiesa non è pessimista. Tutt’altro. Benedetto XVI sa e ci ricorda che "il futuro è di Dio” e che la Chiesa è viva, è "sempre giovane” perché Cristo è vivo, "Egli è veramente risorto”. Bisogna allora guardare con fiducia al futuro, vivere quello spirito pentecostale che aveva contraddistinto il Concilio Vaticano II, bussola sicura per la Chiesa nel mare agitato della contemporaneità: "Noi siamo andati al Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo. C'era un’aspettativa incredibile. Speravamo che tutto si rinnovasse, veramente che venisse una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa”. (Incontro con i sacerdoti romani, 14 febbraio 2013)
Una nuova era della Chiesa che inizia ritornando al cuore dell’avvenimento cristiano: l’incontro con Gesù. Ecco qual è l’unico vero programma che Benedetto XVI ci affida per il futuro: mettersi in ascolto della parola e della volontà del Signore e lasciarsi guidare da Lui: 
"La Chiesa, che è madre e maestra, chiama tutti i suoi membri a rinnovarsi nello spirito, a riorientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere nell’amore. In questo Anno della fede la Quaresima è un tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base della nostra vita e della vita della Chiesa”. (Angelus, 17 febbraio 2013)

18/02/2013 fonte Radio Vaticana





Esercizi spirituali. Il card. Ravasi: cultura odierna spesso amorale, la Parola di Dio indica i veri valori





Benedetto XVI e la Curia Romana sono impegnati da ieri sera negli Esercizi Spirituali per la Quaresima. Durante tutta la settimana sono sospese le altre attività del Papa. Stamani, nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, sono proseguite le meditazioni predicate dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, sul tema: "Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica”. Il servizio di Benedetta Capelli: 

La preghiera è respiro, aria, pensiero, grido al Signore e amore per Dio. Questo susseguirsi di definizioni – contenute nei Salmi - è stato al centro della prima meditazione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Ieri pomeriggio nella Cappella Redemptoris Mater, dinanzi al Papa e alla Curia Romana, il porporato ha proposto un’immagine biblica per rappresentare il futuro della presenza di Benedetto XVI nella Chiesa, una presenza contemplativa, come quella di Mosè che sale sul monte a pregare per il popolo d'Israele che giù nella valle combatte contro Amalek:

"Questa immagine rappresenta la funzione principale – sua - per la Chiesa, cioè l’intercessione, intercedere: noi rimarremo nella ‘valle’, quella valle dove c’è Amalek, dove c’è la polvere, dove ci sono le paure, i terrori anche, gli incubi, ma anche le speranza, dove lei è rimasto in questi otto anni con noi. D’ora in avanti, però, noi sapremo che, sul monte, c’è la sua intercessione per noi”. 

Poi l’evocazione del silenzio dell’anima per entrare nella prima meditazione: un liberarsi dai rumori della vita quotidiana: 

"Penso che anche per noi gli Esercizi, questi momenti, sono un po’ come liberare l’anima dal terriccio delle cose, anche dal fango del peccato, dalla sabbia delle banalità, dalle ortiche delle chiacchiere che, soprattutto in questi giorni, occupano ininterrottamente le nostre orecchie”. 

Parola rivelatrice di Dio e parola creatrice: è su queste due direttrici che si è articolata stamani la seconda meditazione del cardinale Ravasi. Il porporato ha ribadito il primato della grazia divina dalla cui sorgente nasce la preghiera e la fede; in principio c’è la teofania, la rivelazione che è parola:

"Qual è il primo volto con cui Dio si presenta? La rivelazione prima di Dio è nella Parola. La sua grazia si affida alla Parola. Ed è significativo notare che proprio l’incipit assoluto dell’Antico e del Nuovo Testamento è scandito dalla Parola. Dio disse: ‘Sia la luce e la luce fu’. La creazione è dunque un evento sonoro, è una Parola, la realtà paradossalmente più umana, quella realtà che è estremamente fragile – perché una volta detta si spegne – ma al tempo stesso ha un’efficacia particolare, perché senza la parola non esisterebbe la comunicazione”.

Ad ispirare stamani la riflessione del cardinale Ravasi, il salmo 119, nel quale la Parola è guida all’interno della nebbia, "lampada per i miei piedi è la tua parola”. Una luce che spezza le tenebre in particolare nella cultura di oggi che – afferma il porporato – è in un orizzonte fluido, incerto, dove si celebra l’amoralità, l’assoluta indifferenza per cui "non c’è più distinzione tra dolce e amaro” e dove tutto è genericamente grigio. Pertanto il confronto con la Parola è essenziale, essa ci indica la vera scala dei valori, "spesso calibrata solo sulle cose, sul denaro, sul potere”. Parola che è pure annuncio ma anche principio di fiducia. Nel Salmo 23, c’è poi la condivisione della strada – Dio è pastore che guida il gregge e che è, allo stesso tempo, compagno di viaggio – elementi che rimarcano il valore della grazia: verità da un lato e amore dall’altro. Unica la meta – conclude il cardinale - ovvero il Tempio, la mensa imbandita, il sacrificio di comunione dunque la celebrazione della liturgia: 

"La Parola come prima grande epifania che è cantata nel Salterio e che io, pregando, scopro. Sento non soltanto le mie parole che risuonano, c’è anche la Parola di Dio che risuona in me”.

Al centro della terza meditazione, sempre stamani, la teofania del Creatore che opera proprio attraverso la sua prima epifania, la Parola. Il creato – evidenzia il cardinale Ravasi - è "una diversa parola di Dio”, "contiene una musica teologica silenziosa” aveva precisato il commentatore tedesco del Salterio Gunkel, "un messaggio che non conosce parole sonore o echi e che però percorre tutto l’universo”. E’ il Salmo 19 a ribadire come gli spazi astrali siano "narratori” dell’opera creatrice di Dio. Necessario quindi tornare a contemplare: 

"L’assenza dello stupore nell’uomo contemporaneo è segno di superficialità. E’ chino solo sull’opera delle sue mani, è incapace di alzare gli occhi verso il cielo, di ammirare in profondità i due estremi dell’universo e del microcosmo. E questo ha fatto così che l’uomo, privo di contemplazione, ha deturpato la terra, usandola soltanto strumentalmente. Non ha più il senso della terra come sorella”.

Parte della meditazione è stata poi dedicata al dialogo tra fede e scienza – tema amato dal teologo Ratzinger - due magisteri non sovrapponibili, distinti ma non totalmente separati. La fede risponde ai perché; la scienza ai come. E’ Pascal, secondo il cardinale Ravasi, a sintetizzare sugli eccessi da evitare: "escludere la ragione, non ammettere che la ragione”; e allo stesso tempo è il filosofo ad indicare una via: "le cose umane bisogna capirle per poterle amare, mentre le cose divine bisogna amarle per capirle”. "Devi gettarti prima nel mare della fede – aggiunge il porporato – e poi cominciare a navigare, credere e comprendere si incrociano necessariamente”. Via della preghiera quindi e via della teologia che procedono "in contrappunto e non in opposizione”. L’armonia delle due strade è esaltata simbolicamente nel Salmo 19 con il duplice sole: astro che sfolgora nel cielo e la Parola di Dio come sole: 

"Quindi il sole fiammeggia nel cielo e ci parla della rivelazione cosmica. Ma c’è poi la Parola di Dio che è l’altro sole, che ci illumina in pienezza. Ecco, parola rivelatrice e parola creatrice”. 

18/02/2013 fonte Radio Vaticana





Esercizi spirituali. Il card. Ravasi: cultura odierna spesso amorale, la Parola di Dio indica i veri valori





Benedetto XVI e la Curia Romana sono impegnati da ieri sera negli Esercizi Spirituali per la Quaresima. Durante tutta la settimana sono sospese le altre attività del Papa. Stamani, nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, sono proseguite le meditazioni predicate dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, sul tema: "Ars orandi, ars credendi. Il volto di Dio e il volto dell’uomo nella preghiera salmica”. Il servizio di Benedetta Capelli: 

La preghiera è respiro, aria, pensiero, grido al Signore e amore per Dio. Questo susseguirsi di definizioni – contenute nei Salmi - è stato al centro della prima meditazione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Ieri pomeriggio nella Cappella Redemptoris Mater, dinanzi al Papa e alla Curia Romana, il porporato ha proposto un’immagine biblica per rappresentare il futuro della presenza di Benedetto XVI nella Chiesa, una presenza contemplativa, come quella di Mosè che sale sul monte a pregare per il popolo d'Israele che giù nella valle combatte contro Amalek:

"Questa immagine rappresenta la funzione principale – sua - per la Chiesa, cioè l’intercessione, intercedere: noi rimarremo nella ‘valle’, quella valle dove c’è Amalek, dove c’è la polvere, dove ci sono le paure, i terrori anche, gli incubi, ma anche le speranza, dove lei è rimasto in questi otto anni con noi. D’ora in avanti, però, noi sapremo che, sul monte, c’è la sua intercessione per noi”. 

Poi l’evocazione del silenzio dell’anima per entrare nella prima meditazione: un liberarsi dai rumori della vita quotidiana: 

"Penso che anche per noi gli Esercizi, questi momenti, sono un po’ come liberare l’anima dal terriccio delle cose, anche dal fango del peccato, dalla sabbia delle banalità, dalle ortiche delle chiacchiere che, soprattutto in questi giorni, occupano ininterrottamente le nostre orecchie”. 

Parola rivelatrice di Dio e parola creatrice: è su queste due direttrici che si è articolata stamani la seconda meditazione del cardinale Ravasi. Il porporato ha ribadito il primato della grazia divina dalla cui sorgente nasce la preghiera e la fede; in principio c’è la teofania, la rivelazione che è parola:

"Qual è il primo volto con cui Dio si presenta? La rivelazione prima di Dio è nella Parola. La sua grazia si affida alla Parola. Ed è significativo notare che proprio l’incipit assoluto dell’Antico e del Nuovo Testamento è scandito dalla Parola. Dio disse: ‘Sia la luce e la luce fu’. La creazione è dunque un evento sonoro, è una Parola, la realtà paradossalmente più umana, quella realtà che è estremamente fragile – perché una volta detta si spegne – ma al tempo stesso ha un’efficacia particolare, perché senza la parola non esisterebbe la comunicazione”.

Ad ispirare stamani la riflessione del cardinale Ravasi, il salmo 119, nel quale la Parola è guida all’interno della nebbia, "lampada per i miei piedi è la tua parola”. Una luce che spezza le tenebre in particolare nella cultura di oggi che – afferma il porporato – è in un orizzonte fluido, incerto, dove si celebra l’amoralità, l’assoluta indifferenza per cui "non c’è più distinzione tra dolce e amaro” e dove tutto è genericamente grigio. Pertanto il confronto con la Parola è essenziale, essa ci indica la vera scala dei valori, "spesso calibrata solo sulle cose, sul denaro, sul potere”. Parola che è pure annuncio ma anche principio di fiducia. Nel Salmo 23, c’è poi la condivisione della strada – Dio è pastore che guida il gregge e che è, allo stesso tempo, compagno di viaggio – elementi che rimarcano il valore della grazia: verità da un lato e amore dall’altro. Unica la meta – conclude il cardinale - ovvero il Tempio, la mensa imbandita, il sacrificio di comunione dunque la celebrazione della liturgia: 

"La Parola come prima grande epifania che è cantata nel Salterio e che io, pregando, scopro. Sento non soltanto le mie parole che risuonano, c’è anche la Parola di Dio che risuona in me”.

Al centro della terza meditazione, sempre stamani, la teofania del Creatore che opera proprio attraverso la sua prima epifania, la Parola. Il creato – evidenzia il cardinale Ravasi - è "una diversa parola di Dio”, "contiene una musica teologica silenziosa” aveva precisato il commentatore tedesco del Salterio Gunkel, "un messaggio che non conosce parole sonore o echi e che però percorre tutto l’universo”. E’ il Salmo 19 a ribadire come gli spazi astrali siano "narratori” dell’opera creatrice di Dio. Necessario quindi tornare a contemplare: 

"L’assenza dello stupore nell’uomo contemporaneo è segno di superficialità. E’ chino solo sull’opera delle sue mani, è incapace di alzare gli occhi verso il cielo, di ammirare in profondità i due estremi dell’universo e del microcosmo. E questo ha fatto così che l’uomo, privo di contemplazione, ha deturpato la terra, usandola soltanto strumentalmente. Non ha più il senso della terra come sorella”.

Parte della meditazione è stata poi dedicata al dialogo tra fede e scienza – tema amato dal teologo Ratzinger - due magisteri non sovrapponibili, distinti ma non totalmente separati. La fede risponde ai perché; la scienza ai come. E’ Pascal, secondo il cardinale Ravasi, a sintetizzare sugli eccessi da evitare: "escludere la ragione, non ammettere che la ragione”; e allo stesso tempo è il filosofo ad indicare una via: "le cose umane bisogna capirle per poterle amare, mentre le cose divine bisogna amarle per capirle”. "Devi gettarti prima nel mare della fede – aggiunge il porporato – e poi cominciare a navigare, credere e comprendere si incrociano necessariamente”. Via della preghiera quindi e via della teologia che procedono "in contrappunto e non in opposizione”. L’armonia delle due strade è esaltata simbolicamente nel Salmo 19 con il duplice sole: astro che sfolgora nel cielo e la Parola di Dio come sole: 

"Quindi il sole fiammeggia nel cielo e ci parla della rivelazione cosmica. Ma c’è poi la Parola di Dio che è l’altro sole, che ci illumina in pienezza. Ecco, parola rivelatrice e parola creatrice”. 


1802/2013 fonte Radio Vaticana

Il cardinale Comastri: dal Papa una grande lezione in un mondo di persone arroccate sul potere





La Chiesa sta vivendo con trepidazione questi ultimi giorni di pontificato di Benedetto XVI: in tanti fedeli c’è tristezza e stupore. Come leggere questo momento così particolare della nostra storia? Sergio Centofanti lo ha chiesto al cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica di San Pietro:   

R. - Quando ho appreso la notizia delle inattese dimissioni del Santo Padre Benedetto XVI, ho provato il dolore intenso che si prova nel momento in cui si avverte che una persona cara sta uscendo improvvisamente dal nostro orizzonte. Tutti abbiamo un cuore e il cuore si affeziona alle persone, questo è evidente ed è giusto. Però, subito dopo, mi è sembrato di sentire una brezza soave che veniva da lontano e mi portava il profumo inconfondibile della paglia di Betlemme. Sì, il profumo dell’umiltà di Dio. Ho sentito nitidamente in questo momento le parole di Gesù, parole non invecchiate da 2000 anni di storia ma ancora vive nelle vene della Chiesa. Esse stupendamente ci dicono: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Come mi è apparso bello e confortante scoprire che queste parole fresche e giovani uscivano dal gesto delle dimissioni di Benedetto XVI e davano a tutti una grande lezione! In un mondo popolato da persone arroccate sul potere, incapaci di allentare la morsa dallo scettro, avide di salire e salire sempre di più, come è evangelico e controcorrente il gesto di colui che dice onestamente: perdonatemi non ho più le forze, Gesù chiami un altro al timone della Chiesa, io mi ritiro senza potere nel silenzio e nella preghiera. Il grande oratore francese, Jacques Bénigne Bossuet, sul finire del XVII secolo, amaramente esclamava: vi meravigliate se sembra che Dio si sia nascosto, vi meravigliate? Dio si trova a disagio in un mondo di orgogliosi, perché gli orgogliosi non possono capire il vocabolario dell’umiltà che Dio ha stampato a Betlemme. Oggi, concludeva Bossuet, trovare una persona veramente umile è un fatto più unico che raro. Ebbene, noi l’abbiamo trovata. Noi possiamo dire che oggi una persona umile c’è. Una persona veramente umile e coraggiosamente umile è Benedetto XVI. Grazie, Papa Benedetto! Hai dato un colpo all’orgoglio di tutti! Il mondo è sorpreso, sì, la Chiesa è edificata, tutti siamo chiamati a tenerne conto e Dio dal cielo sorride perché un raggio della sua luce è riuscito a sciogliere la fitta nebbia della superbia umana. E la Chiesa continua il suo cammino, sorretta dalla certezza che Gesù resta sempre al timone della barca, senza interruzione, e questo basta per renderci ottimisti.

D . – Cosa ci lasciano questi otto anni di pontificato?

R. – Ci lasciano una grande eredità. Papa Benedetto è un uomo che ci ha insegnato a leggere la storia della Chiesa con il criterio della continuità. Alcuni volevano leggere il Concilio Vaticano II come una frattura. Giustamente Papa Benedetto ha detto: no, nella Chiesa non ci sono fratture, c’è una crescita, uno sviluppo, ma sempre nella continuità. Duemila anni di storia sono duemila anni di storia di una comunità che è viva e che è coerente con l’acqua che esce dalla sorgente, che esce da Gesù. Non solo. Papa Benedetto ci ha dato una visione molto spirituale del suo ruolo e del suo pontificato. Non ha fatto altro che richiamarci alla sorgente del Vangelo perché la Chiesa ringiovanisce, non prendendo spunto dalle mode del momento ma ritrovando la freschezza delle origini, ritrovando la fedeltà al Vangelo e quindi purificandosi, togliendo tutta la polvere che i secoli possono aver depositato sul suo volto. La giovinezza della Chiesa è togliere questa polvere e ritrovare il volto giovane della Pentecoste.

D. – Nei suoi incontri personali col Papa, quale immagine le rimane?

R. – La grande bontà, la grande semplicità e anche la capacità di mettere a proprio agio. Ogni volta che mi sono trovato a parlare con il Papa io l’ho sentito veramente come un padre, come un padre buono, un padre desideroso di trasmettere agli altri il fuoco del Vangelo che ha nel cuore e credo che questo è un ricordo che porterò per sempre.


18/02/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 16/02/2013 Santi Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele e compagni Martiri
 


A Cesarea in Palestina, santi martiri Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele: cristiani di Egitto, per essersi spontaneamente presi cura dei confessori della fede condannati alle miniere in Cilicia, furono arrestati e dal governatore Firmiliano, sotto l’imperatore Galerio Massimiano, crudelmente torturati e infine trafitti con la spada. Dopo di loro ricevettero la corona del martirio anche Panfilo sacerdote, Valente diacono di Gerusalemme, e Paolo, originario della città di Iamnia, che già avevano trascorso due anni in carcere, e anche Porfirio, domestico di Panfilo, Seleuco di Cappadocia, di grado avanzato nell’esercito, Teodúlo, anziano servitore del governatore Firmiliano, e infine Giuliano di Cappadocia, che, tornato proprio in quel momento da un viaggio, dopo aver baciato i corpi dei martiri, si rivelò come cristiano e per ordine del governatore fu bruciato a fuoco lento. 


Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele erano di nazionalità egiziana e convertendosi al cristianesimo assunsero i nomi suddetti di origine bibblica. Si recarono in Cilicia, regione della Turchia meridionale, al fini di visitare e portare conforto ad altri neofiti condannati ai lavori forzati nelle miniere. Con l’avvento al trono imperiale di Galerio Massimiano, si intensificarono le violente persecuzioni contro i cristiani già iniziate dal suo predecessore Diocleziano. Fu così che Elia ed i suoi compagni, una volta sulla strada di ritorno, furono arrestati dalle guardie imperiali presso Cesarea di Palestina. A quel tempo in questa città soggiornava il celebre storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea, che riportò la vicenda nella sua opera "Martiri della Palestina”. I cinque furono condotti al cospetto del governatore Firmiliano e, orribilmente torturati, fu chiesto loro il nome e la terra d’origine: Elia elencò i nomi di tutti ed affermò che la loro patria era Gerusalemme, alludendo in tal modo alla loro meta, la Gerusalemme celeste. Infine vennero decapitati il 16 febbraio 310.
Secondo la testimonianza di Eusebio, il medesimo giorno furono martirizzati il suo maestro, amico e forse congiunto Panfilo, presbitero, i diaconi di Gerusalemme Valente e Paolo, provenienti dalla città di Iamnia, già incarcerati da due anni, Porfirio, servo di Panfilo, Seleuco della Cappadocia, centurione, Teodulo, anziano servitore della casa del governatore Firmiliano e per ultimo Giuliano della Cappadocia, che essendo entrato in città proveniente dalla campagna proprio quando gli altri martiri venivano uccisi ed accusato di essere cristiano perché ne aveva baciati i corpi, fu condannato ad essere bruciato a fuoco lento. Le vicende di questo secondo gruppo sono narratte a parte su questo scritto nella scheda "San Panfilo e compagni”, in quanto un tempo essi erano commemorati separatamente al 1° giugno.


Papa: il 28 l'ultimo intervento pubblico, e il Conclave potrebbe cominciare in tempi più brevi del previsto

Possibile un saluto alla comunità di Castel Gandolfo, dove resterà "un paio di mesi". I cardinali che eleggeranno il prossimo papa potrebbero riunirsi prima dei 15 giorni minimi previsti per consentire l'arrivo a Roma di tutti i porporati. Ma se con la comunicazione della rinuncia e l'inizio della Sede vacante fatte in anticipo, se tutti fossero già arrivati, non c'è nessuno da aspettare. Nominata la nuova Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior.


Città del Vaticano (Asia News) - Dovrebbe essere il pomeriggio del 28 l'ultimo intervento pubblico di Benedetto XVI che, al suo arrivo a Castel Gandolfo probabilmente rivolgerà un saluto alla comunità locale, mentre il Conclave potrebbe cominciare in tempi più brevi del previsto. Sono le principali informazioni riguardanti Benedetto XVI date oggi da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede in un briefing.

Come già ieri, l'odierna giornata di Benedetto XVI è stata "normale": ha ricevuto il presidente del Guatemala, Otto Fernando Pérez Molina, che è così l'ultimo capo di Stato a essere ricevuto, a parte l'incontro di sabato prossimo con il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, definito da padre Lombardi "semplice e molto personale".

Oggi, alla fine dell'udienza con Pérez Molina, come già ieri il Papa ha salutato tutti i presenti, compresi i giornalisti. A quelli assenti, ha mandato un ringraziamento per quanto fatto in questi anni.

Dopo il presidente guatemalteco, è stata la volta di 12 vescovi della Lombardia, che hanno concluso la loro visita "ad limina". Sono gli ultimi vescovi che Benedetto XVI riceve a tale scopo, le prossime visita "ad limina", infatti, "sono state cancellate".

Nel pomeriggio, a salire nello studio del Papa sarà Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri d'Italia. Udienza privata, "molto semplice, evidentemente di commiato", l'ha definita padre Lombardi.

Domani, poi, ci sarà il penultimo Angelus di Benedetto XVI. In piazza san Pietro ci saranno anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, con il Consiglio comunale e il gonfalone della città. Non è prevista invece un'udienza al sindaco.

Dal pomeriggio di domenica cominceranno gli esercizi spirituali, che termineranno il sabato successivo. In tale periodo, come di consueto il Papa non ha attività pubbliche.

Ancora, per l'udienza del 27 ci sono già 35mila richieste di biglietti. Sarà più una liturgia della Parola, più che un'udienza in senso tecnico. E' la grande occasione conclusiva pubblica del Papa.

Il 28 l'incontro con i cardinali e il pomeriggio la partenza per Castel Gandolfo. Partenza e arrivo, con ogni probabilità saranno ripresi dalla televisione vaticana. A Castel Gandolfo, prevedibilmente, il Papa resterà "un paio di mesi", tempo nel quale dovrebbero terminare i lavori di risistemazione del convento in Vaticano. Dove tornerà, quindi, a maggio. In proposito, rispondendo a una domanda, padre Lombardi ha parlato di "motivi molto comprensibili di carattere anche logistico e significativi per il carattere spirituale e di comunione. Ritengo che effettivamente avere papa Benedetto vicino, presente spiritualmente, in preghiera, sia di grande arricchimento, di comunione per il suo successore e per tutti noi. Ritengo non rilevanti i timori di interferenza". "Ha 86 anni è abituato ad abitare in questo tipo di ambiente, per pensare a un trasferimento in un ambiente del tutto nuovo ci sarebbe voluta una sua manifestazione di volontà che evidentemente non c'è stata. Continua a essere nel luogo ove ha servito la Chiesa. Lo trovo assolutamente normale e penso che un'alternativa non sia stata nemmeno presa in considerazione".

A proposito di "abitazione" di Benedetto XVI dopo il 28 febbraio, a Castel Gandolfo vivrà nelle sua "solite" stanze. Che non saranno sigillate, in quanto non contengono documenti particolari. La questione rientra in quanto prevede la "Universi Dominici gregis", la costituzione apostolica che detta le norme per la Sede vacante. In proposito padre Lombardi ha detto che il cardinale camerlengo con la Camera apostolica e il consulente giuridico iniziano a lavorare per i chiarimenti da dare. A parte questioni di carattere cerimoniale e di prassi "il punto più importante è quello delle ipotesi o proposte sul tempo dell'inizio del Conclave, nel senso che la situazione è diversa da quella precedente. La Costituzione dice che il Conclave inizia tra 15 e 20 giorni dopo la morte del papa, per dare ai cardinali il tempo di arrivare a Roma, ma in questo caso con la comunicazione della rinuncia e l'inizio della Sede vacante fatte in anticipo, se fossero già arrivati, non c'è nessuno da aspettare. E' una domanda che c'è". In altri termini si sta vedendo se le norme possono essere intese in modo da anticipare l'inizio, e quindi la fine, del Conclave.

Rientra infine nella normale attività papale il rinnovo, annunciato oggi, della Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior. Sarà composta dai cardinali Bertone, Tauran, Scherer, Toppo e Calcagno che subentra a Nicora, divenuto presidente dell'Autorità di informazione finanziaria (Aif). Il rinnovo, ha spiegato padre Lombardi, è stato fatto per evitare la scadenza della Commissione durante la Sede vacante.

Una precisazione, infine, a proposito di affermazioni attribuite a Benedetto XVI da Peter Seewald, autore del libro-intervista con Benedetto XVI "La luce del mondo". "Dopo quel libro ha cominciato a lavorare a una biografia del Papa, di carattere non scientifico, ma giornalistico. Per questo aveva chiesto dei colloqui e certamente ne ha fatto uno in estate e probabilmente un altro verso fine novembre inizio dicembre. Probabilmente quindi due colloqui con il Papa. Quello che pubblica in questi giorni è probabilmente frutto di quei colloqui. Non più recenti, non c'è motivo di non credere a quello che Seewald dice. Non mi pare che ci siano delle informazioni oggettive particolarmente nuove". (FP)

 16/02/2013 fonte Asia News

Fayoum: estremisti islamici attaccano una chiesa copta, ferito il sacerdote

Una folla, aizzata da leader salafiti, ha assaltato la chiesa di San Giorgio. Distrutta la croce sulla cupola, devastati parte dell’interno e le immagini sacre. La polizia ha assistito alle violenze, ma non è intervenuta. P. Domadios salvato da una famiglia musulmana. Nei mesi scorsi gli estremisti hanno aperto un buco nel muro per "monitorare” le attività. 


Il Cairo (AsiaNews/Agenzie) - Una folla inferocita, aizzata dalla frangia salafita locale, ha lanciato pietre e appiccato il fuoco alla chiesa di San Giorgio, nel villaggio di Sarsena, distretto di Tamiya, nella provincia egiziana di Fayoum, circa 103 km a sud-ovest del Cairo. Secondo fonti dell'Assyrian International News Agency (Aina), l'attacco è avvenuto nella serata di ieri e ha causato danni in particolare alla cupola del luogo di culto cristiano. Nell'assalto è andata distrutta la croce che svettava sulla sommità dell'edificio, parti all'interno e molte delle icone e delle immagini sacre.

A guidare l'attacco contro i copti, la frangia salafita locale, che ha aizzato la comunità musulmana bollando come "illegale" la chiesa, che sorge nei pressi di una zona abitata da musulmani e "per questo va rimossa". Essi hanno chiesto la rimozione dell'edificio e hanno impedito al sacerdote, padre Domadios, di entrare. Alcuni testimoni riferiscono che alla scena hanno assistito anche forze della polizia, ma non hanno fatto nulla per impedire le violenze.

La chiesa di San Giorgio è stata costruita a metà degli anni '80 ed è punto di incontro e preghiera per 200 famiglie copte. Circa tre mesi fa alcuni musulmani hanno fatto un buco nella parete, per "monitorare" le attività dei cristiani. Ieri la minaccia e a nulla è valso il tentativo di mediazione del sacerdote e del capo del locale distretto di polizia, accorso nella zona per cercare di trovare un accordo fra le parti.

Fermi sulle proprie posizioni, centinaia di estremisti islamici - davanti agli agenti - hanno cominciato a lanciare pietre e sassi verso la chiesa. Gli assalitori hanno ferito - in modo non grave - alcuni copti e lo stesso padre Domadios, che è riuscito a mettersi in salvo grazie all'aiuto di una famiglia musulmana della zona che lo ha portato via in un luogo sicuro a bordo di un'auto. 

 
16/02/2013 fonte Radio Vaticana

Lavori forzati in Cina, inizia il rilascio di alcuni dissidenti

Il governo apre i cancelli della "rieducazione tramite il lavoro” ad alcuni dissidenti, che dovranno finire di scontare la loro pena agli arresti domiciliari. Nel provvedimento non rientrano i vescovi e i sacerdoti cattolici che pagano per la loro fedeltà alla Santa Sede.


Pechino (AsiaNews) - Il governo cinese ha iniziato a rilasciare i dissidenti democratici dai campi di "rieducazione tramite il lavoro" (laojiao). I rilasci sono avvenuti in anticipo rispetto alle pene cui erano stati condannati, ma nei campi di lavoro del regime comunista rimangono sacerdoti e vescovi cattolici. Fonti di AsiaNews hanno più volte affermato che, con la riforma del sistema, essi dovrebbero tornare a casa il più presto possibile.

Il 9 febbraio il governo ha liberato Xiao Yong, attivista dell'Hunan incarcerato per aver chiesto la verità sul caso di Li Wangyang, il dissidente di piazza Tiananmnen morto in circostanze sospette mentre era in ospedale. Condannato a 18 mesi di lavori forzati nel luglio del 2012, sconterà il resto della pena in casa.

Stessa sorte per Mao Hengfeng, una delle dissidenti più note che si oppongono alla tremenda legge sul figlio unico in vigore in Cina. La donna è stata rilasciata lo scorso 8 febbraio per scontare in casa il resto della sua pena, 18 mesi di reclusione cui era stata condannata nell'ottobre del 2012.

Ma il rilascio dei dissidenti è iniziato in gennaio. L'11 gennaio scorso, il governo ha rilasciato dopo 3 mesi di lavori forzati Li Hongwei - "petizioniera" dello Shandong - che era stata condannata a 21 mesi dopo una detenzione illegale in una "prigione nera" del governo. Le "prigioni nere" sono stanze d'albergo o di ospedale dove i dissidenti - molto spesso i religiosi cattolici - vengono confinati senza passare davanti a un giudice.

Il 6 gennaio è stata rilasciata Ma Lijun, condannata a 18 mesi di lavori forzati per "vandalismo contro un luogo pubblico". La donna potrebbe essere rimasta disabile, dato che nel corso della sua detenzione non ha potuto ottenere le cure mediche di cui aveva bisogno a causa di una malattia debilitante.

Il 17 dicembre del 2012 sono stati rilasciati anche Huang Chengcheng e Dai Yuequan. Il primo ha scontato due anni di lavori forzati per aver "incitato alla sovversione del potere statale", mentre la seconda (disabile) è stata rilasciata dopo una condanna a 15 mesi per aver "abusato" del sistema delle petizioni.

Questi rilasci - che non comprendono però le minoranze religiose - fanno pensare che il governo stia seriamente considerando l'ipotesi di abolire il sistema dei lavori forzati nel Paese. Tuttavia, il gran numero di annunci e smentite sull'argomento non lascia per ora troppo sperare. 

 
16/02/2013 fonte Asia News

nuovo attacco contro le chiese, appello alla calma delle autorità

di Mathias Hariyadi
Anonimi a bordo di motocicli, alle prime luce dell’alba hanno scagliato bombe Molotov contro tre luoghi di culto protestanti. Il raid è durato un’ora e segue un precedente attacco avvenuto nei giorni scorsi. Timori di una possibile escalation di violenze interconfessionali. Disegni "politici” per destabilizzare il Paese. 


Jakarta (AsiaNews) - Le autorità centrali di Jakarta lanciano appelli alla calma, per scongiurare un'escalation di violenze interconfessionali a Makassar, capoluogo delle South Sulawesi, teatro ieri di un nuovo attacco contro luoghi di culto cristiani. Anonimi assalitori hanno gettato bombe Molotov contro tre chiese protestanti, provocando danni lievi agli edifici. Il timore è che dietro questi episodi vi siano disegni "politici" che mirano a esacerbare gli animi, per scatenare una crisi interreligiosa, destabilizzare il clima politico-istituzionale e la convivenza civile nel Paese musulmano più popoloso al mondo.

Ieri, festa di San Valentino, ricorrenza controversa nel Paese a maggioranza islamica, ignoti hanno colpito tre chiese protestanti nel centro di Makassar; alle prime luci dell'alba, a bordo di motocicli, si sono avvicinati agli edifici e hanno scagliato gli ordigni. Il raid è durato in tutto un'ora e ha interessato le chiese GKI a Samiun road (nella foto), la Toraja Church in AP Pettarani II road e una terza chiesa protestante a Gatot. Fonti locali confermano che non vi sarebbero feriti, ma solo danni lievi.

Il portavoce della polizia a Jakarta riferisce che dietro gli attacchi vi sarebbe il tentativo della frangia estremista musulmana di esacerbare gli animi e dare nuova linfa all'odio interreligioso. Per questo il capo dell'intelligence, il gen. Norman Merciano, invita i cittadini alla calma e chiede alla comunità di "non rispondere" alle provocazioni provenienti dai vari gruppi.

L'area urbana di Makassar, una zona assai "dinamica", divenuta nel tempo un crocevia per turismo e commerci nell'est e nel nord-est dell'arcipelago, oltre che essere un centro universitario, ha goduto a lungo di pace e tranquillità. Tuttavia verso la fine dello scorso anno la situazione è cambiata: a novembre una fazione estremista islamica ha preso di mira il governatore delle South Sulawesi, Sahrul Yasril Limpo, contro il quale è stato lanciato un ordigno rudimentale. Nei primi giorni di gennaio 2013 due esponenti della frangia fondamentalista hanno ingaggiato un conflitto a fuoco con la polizia in una moschea; lo scontro si è concluso con la morte dei due. Infine, l'11 febbraio un gruppo di sconosciuti ha preso di mira, a colpi di bombe Molotov, la chiesa protestante Toraja Mamassa, causando danni lievi all'edificio.

Dal 1997 al 2001 l'isola di Sulawesi e le vicine Molucche sono state teatro di un conflitto islamo-cristiano sanguinoso. Migliaia le vittime e le case rase al suolo; centinaia le chiese e le moschee distrutte; quasi mezzo milione i profughi, di cui 25mila nella sola Poso. Il 20 dicembre 2001 è stata sottoscritta una tregua fra i due fronti - nella zona cristiani e musulmani si equivalgono - firmata a Malino, nelle South Sulawesi, attraverso un piano di pace governativo. Tuttavia, la tregua non ha fermato episodi sporadici di terrore contro vittime innocenti; fra i vari casi hanno sollevato scalpore e indignazione in tutto il mondo la decapitazione di tre ragazzine mentre si recavano a scuola, per mano di estremisti islamici nell'ottobre 2005 (cfr. AsiaNews 29/10/2005 Indonesia: 3 studentesse cristiane decapitate). 

16/02/2013 fonte Asia News

 

 

IL SANTO DEL GIORNO 14/02/2013 San Valentino vescovo e martire







La più antica notizia di S.Valentino è in un documento ufficiale della Chiesa dei secc.V-VI dove compare il suo anniversario di morte. Ancora nel sec. VIII un altro documento ci narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, successivo martirio di questi e loro sepoltura. Altri testi del sec. VI, raccontano che S.Valentino, cittadino e vescovo di Terni dal 197, divenuto famoso per la santità della sua vita, per la carità ed umiltà, per lo zelante apostolato e per i miracoli che fece, venne invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco e latino, perché gli guarisse il figlio infermo da alcuni anni. Guarito il giovane, lo convertì al cristianesimo insieme alla famiglia ed ai greci studiosi di lettere latine Proculo, Efebo e Apollonio, insieme al figlio del Prefetto della città. Imprigionato sotto l’Imperatore Aureliano fu decollato a Roma. Era il 14 febbraio 273. Il suo corpo fu trasportato a Terni al LXIII miglio della Via Flaminia. Fu tra i primi vescovi di Terni, consacrato da S.Feliciano vescovo di Foligno nel 197. Preceduto da S.Pellegrino e S.Antimo, fratello dei SS.Cosma e Damiano. 

IL CULTO

S.Valentino fu sepolto in un’area cimiteriale nei pressi dell’attuale Basilica. E’ sicuro che quel cimitero già esisteva in età pagana. Da questa zona provengono alcuni reperti le più antiche risalgono ai secc. IV-V. Si tratta di titoli sepolcrali. Il pezzo più interessante è il sarcofago a "teste allineate” del sec.IV ora conservato in Palazzo Carrara. E’il tradizionale sarcofago paleocristiano dove sono scolpite attorno alla figura del defunto orante, Scene della vita di Cristo. La prima basilica fu costruita nel sec.IV dato che la collocazione dell’edificio, fuori delle mura della città e in area cimiteriale e sopra la tomba del martire. Distrutta dai Goti, insieme alla città nel sec. VI, sarebbe stata ricostruita nel sec.VII. A conferma di questa ultima costruzione fu il rinvenimento di una moneta di Eraclio del 641. Al periodo della prima costruzione o a quella della ricostruzione del sec.VII, dovrebbe risalire la cripta con l’altare ad arcosolio, cioè sotto una nicchia coperta da un arco e sopra la tomba del martire. Intorno al sec.VII la basilica fu affidata ai Benedettini. Nel 742 vi avvenne l’incontro storico tra il papa Zaccaria partito da Roma verso Terni e il vecchio re longobardo Liutprando. La scelta della Basilica di S.Valentino fu fatta dal re perché all’interno di quella si veneravano le spoglie del glorioso martire alle quali egli attribuiva un valore taumaturgico. Da quell’incontro il re donava al pontefice alcune città italiane tra le quali Sutri. 
Qui il pontefice ordinò il nuovo vescovo di Terni alla cui morte (760) la città rimase priva del pastore fino al 1218. In questo periodo la basilica fu oggetto di scorrerie prima di Ungari poi Normanni e Saraceni poi degli abitanti di Narni che vantavano pretese su alcuni territori e sulla Basilica. Onorio III nel 1219 vi si recò e consegnò la Basilica al clero locale. Da questo anno in poi non sappiamo più nulla dello stato di conservazione della Basilica. Agli inizi del 1600 doveva apparire fatiscente. 

LA RICOGNIZIONE

Nel 1605 il vescovo Giovanni Antonio Onorati, ottenuto il permesso da papa Paolo V, fece iniziare le ricerche del corpo del Santo. Erano partite da tempo anche a Roma le ricerche dei primi martiri della Chiesa e per autenticare la loro esistenza e per accrescerne la venerazione. Il corpo di S.Valentino fu presto rinvenuto in una cassa di piombo contenuta entro un’urna di marmo rozza esternamente ma all’interno intagliata con rilievi. La testa era separata dal busto a conferma della morte avvenuta per decapitazione. Fu portata subito in Cattedrale. Nessuno in città voleva che il corpo del loro martire riposasse nella chiesa madre. Neanche la Congregazione dei Riti era favorevole poiché le reliquie dovevano essere venerate là dove erano state sepolte. Così si decise di ricostruire una nuova Basilica. 

LA NUOVA BASILICA

I lavori per la costruzione della Basilica iniziarono nel 1606 e durarono alcuni anni ma già dal 1609 questa poté essere officiata dai PP.Carmelitani, chiamati a custodirla. Nel 1618 il corpo del santo vescovo e martire venne solennemente riportato nella sua Basilica. Nel 1625 l’Arciduca Leopoldo d’Austria, diretto a Roma, fece visita alla Basilica e si assunse la spese per la costruzione di un nuovo altare maggiore in marmo, completato nel 1632, impegnandosi a rendere alla Basilica una parte del cranio del Santo donata alcuni secoli prima ad un suo antenato. Dietro all’altare maggiore è il coro con la "confessione” di S.Valentino, un altare costruito sopra la tomba del martire. Al centro è una tela ovale che ricorda il martirio del santo, opera della fine del sec. XVII. L’episodio del Duca Leopoldo fornì l’occasione per un radicale rinnovamento dell’architettura del tempio, condotto a termine grazie anche all’opera di molti ternani. La Basilica si presenta secondo uno schema caro ai teorici della Controriforma: grande navata unica con attorno cappelle laterali, due grandi cappelle costituiscono il transetto, presbiterio e dietro l’altare del martire con la "confessione”. La facciata del sec.XVII è animata da paraste, un grande portale sormontato da un finestrone. Le statue in stucco raffigurano in alto i santi patroni della città Valentino e Anastasio (+649) e sono state aggiunte nel sec.XIX. L’interno è animato da grandi paraste con capitelli in stile ionico con ghirlande. Queste sorreggono un architrave sporgente dentellato. Due cappelle per lato erano proprietà di alcune famiglie importanti della città. Le più interessanti sono le cappelle del transetto. Quella di destra è dedicata a S.Michele arcangelo ed era la cappella privata della famiglia Sciamanna. Ai lati infatti sono i monumenti funebri di alcuni membri tra i quali un certo Brunoro, vescovo di Caserta morto nel 1647. Al centro è la bella pala con S.Michele che sconfigge il demonio dell’artista romano Giuseppe Cesari detto il "Cavalier d’Arpino”. Esponente di una pittura colta e raffinata, docile alle richieste della Chiesa, che tornava a privilegiare chiarezza dell’espressione e il decoro nella rappresentazione delle figure sacre. Questa immagine è una chiara ripresa del classicismo di Raffaello: equilibrio della posa e fermezza dell’atteggiamento. L’altra cappella è dedicata alla santa carmelitana Teresa d’Avila. La bella pala centrale raffigura la Madonna con il Bambino tra i SS.Giuseppe e Teresa dell’artista Lucas De La Haye, monaco carmelitano della seconda metà del sec. XVII. L’artista fu l’incarico principale della decorazione della basilica. Infatti oltre a questa lascia altri capolavori tra i quali la bella pala centrale con S.Valentino chiede la protezione della Vergine su Terni e ancora una Adorazione dei pastori e una Adorazione dei Magi. Sempre per la basilica realizza le tele con i Quattro evangelisti e una serie con i Martiri ternani (Catulo, Saturnino, Lucio e magno discepoli di Valentino) conservati nella navata. Il suo stile è pienamente barocco: figure ricoperte di sontuosi panneggi che si agitano al vento, intrisi di un colore caldo che fa pensare anche ad un’influenza sull’artista della pittura veneta forse filtrata dal Rubens romano. Al centro del coro è una grande tela raffigurante la Crocifissione dove traspaiono figure intrise di grande drammaticità. Un ultimo capolavoro si può ammirare in una delle cappelle della navata. Si tratta di una tela raffigurante la Madonna con il Bambino ed i SS. Lorenzo, Giovanni Battista e Bartolomeo del 1635, opera di Andrea Polinori, cittadino di Todi. L’ispirazione dell’artista è il Caravaggio ma è abile a regolarizzarlo e depurarlo di ogni aggressività.
L’ambiente della cripta presenta l’antico altare ad arcosolio (inserito in una nicchia voltata a botte sopra la tomba del martire) nel quale furono rinvenute le reliquie di S.Valentino. Alcuni reperti dell’area valentiniana sono stati riuniti nell’ambiente accanto alla cripta. 

LA LEGGENDA

La festa del vescovo e martire Valentino si riallaccia agli antichi festeggiamenti di Greci, Italici e Romani che si tenevano il 15 febbraio in onore del dio Pane, Fauno e Luperco. Questi festeggiamenti erano legati alla purificazione dei campi e ai riti di fecondità. Divenuti troppo orridi e licenziosi, furono proibiti da Augusto e poi soppressi da Gelasio nel 494. La Chiesa cristianizzò quel rito pagano della fecondità anticipandolo al giorno 14 di febbraio attribuendo al martire ternano la capacità di proteggere i fidanzati e gli innamorati indirizzati al matrimonio e ad un’unione allietata dai figli. Da questa vicenda sorsero alcune leggende. Le più interessanti sono quelle che dicono il santo martire amante delle rose, fiori profumati che regalava alle coppie di fidanzati per augurare loro un’unione felice. Oggi la festa di S.Valentino è celebrata ovunque come Santo dell’Amore. L’invito e la forza dell’amore che è racchiuso nel messaggio di S.Valentino deve essere considerato anche da altre angolazioni, oltre che dall’ormai esclusivo significato del rapporto tra uomo e donna. L’Amore è Dio stesso e caratterizza l’uomo, immagine di Dio. Nell’Amore risiede la solidarietà e la pace, l’unità della famiglia e dell’intera umanità.


Il Papa ai parroci romani: vivrò in preghiera ma nascosto al mondo, certezza che vince il Signore



Momento di grande commozione ieri mattina in Aula Paolo VI. Benedetto XVI ha incontrato per l’ultima volta i sacerdoti della sua diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. A due settimane dalla fine del suo ministero petrino, il Pontefice ha svolto un'ampia riflessione sulla sua esperienza al Concilio Vaticano II. Prima del suo intervento, a braccio, il Papa ha affermato che, dopo il 28 febbraio, rimarrà vicino ai sacerdoti nella preghiera, ma vivrà nascosto al mondo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un grande, commosso e lunghissimo applauso ha accolto Benedetto XVI in Aula Paolo VI. Intensa l’emozione tra i sacerdoti romani per questo ultimo incontro con il loro vescovo. Sentimenti che sono stati sintetizzati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Il porporato ha affermato che la diocesi di Roma gli sarà sempre grata per il suo esempio e la sua visione alta della vita sacerdotale. Il Papa ha, quindi, iniziato il suo intervento esprimendo la gioia di vedere come la Chiesa di Roma è una Chiesa viva e il suo clero è realmente cattolico, universale pur mantenendo una propria forte e robusta identità. Poi, in un momento di intensa commozione, ha confidato ai suoi sacerdoti come vivrà dopo la fine del suo ministero petrino:

"Anche se mi ritiro adesso, in preghiera sono sempre vicino a tutti voi e sono sicuro che anche tutti voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimarrò nascosto”.

Benedetto XVI ha, così, espresso quella che, con grande umiltà, ha definito "una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II”. Un discorso, a braccio, che è iniziato con il racconto del suo impegno di giovane professore accanto al cardinale di Colonia, Frings, uno dei protagonisti della stagione conciliare. Il Papa è tornato con la memoria agli anni ’60 ed ha ricordato i suoi sentimenti e le sue speranze per il Concilio:

"Noi siamo andati al Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo. C'era un’aspettatava incredibile. Speravamo che tutto si rinnovasse, veramente che venisse una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa”.

Speravamo, ha proseguito, che la Chiesa fosse di nuovo "la forza del domani e la forza dell’oggi”. E si sperava di trovare di nuovo "l’insieme tra la Chiesa e le forze migliori del mondo, per aprire il futuro dell’umanità”, per il "vero progresso”. Eravamo, ha detto ancora, "pieni di speranza, di entusiasmo e anche di volontà di fare il nostro” perché ciò avvenisse. Il Papa ha messo l’accento sullo spirito ecclesiale, universale che permise ai Padri Conciliari di superare alcune difficoltà iniziali nell’organizzazione dei lavori. In particolare, ha ricordato che l’episcopato francese e quello tedesco, particolarmente attivi al Concilio, avevano diversi interessi in comune: dalla riforma della liturgia all’ecclesiologia, dalla Parola di Dio all’ecumenismo:

"Io trovo adesso retrospettivamente che era molto bene cominciare con la liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’Adorazione”.

Era "realmente un atto di Provvidenza”, ha rimarcato, che "agli inizi del Concilio sta la liturgia, sta Dio, sta l’Adorazione”. Di qui, ha offerto anche una riflessione sul mistero pasquale come "centro dell’essere cristiano, e quindi della vita cristiana”, espresso nel tempo pasquale e nella domenica:

"In questo senso è peccato che oggi si sia trasformata la domenica in fine settimana, mentre è la prima giornata, è l’inizio: interiormente dobbiamo tener presente questo, è l’inizio, è l’inizio della Creazione, della ricreazione della Chiesa, incontro con il Creatore e con Cristo Risorto”.
Ha poi rivolto il pensiero all’importanza che il Concilio ha dato all’intellegibilità dei testi e alla partecipazione attiva. Purtroppo, ha però constatato, "questi principi sono stati anche male intesi” perché "intellegibilità non dice banalità, perché i grandi testi della liturgia” hanno bisogno di una formazione permanente del cristiano, perché cresca ed entri sempre più in profondità del mistero e così possa comprendere”. Non si capisce un testo "solo perché è nella propria lingua”:
"Solo una formazione permanente del cuore e della mente può realmente creare intelligibilità ed una partecipazione che è più di una attività esteriore, che è un entrare della persona, del mio essere nella comunione della Chiesa e così nella comunione con Cristo”.

Sul tema della Chiesa, il Papa ha quindi affermato che il Concilio ha mostrato che "non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale”. E’ anche questo, certo, ma pure "un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso” sono "elemento costruttivo della Chiesa come tale”. Al contempo, ha aggiunto non si può accettare che un gruppo "si dichiara Chiesa”:

"No, questo ‘noi siamo Chiesa’ esige proprio il mio inserimento nel grande ‘noi dei credenti di tutti i tempi e luoghi”.

Il Concilio ci insegna così che entrando in comunione con Cristo "siamo davvero popolo di Dio". Il Papa ha così ricordato il confronto sul tema della collegialità e si è soffermato sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso affrontato dal Concilio in particolare nel documento "Nostra Aetate”. Il Pontefice ha tenuto a ribadire che c’è molto da fare per "arrivare ad una lettura realmente nello spirito del Concilio” la cui applicazione "ancora non è completa”. Ed ha dedicato la parte conclusiva del suo discorso al ruolo dei mezzi di comunicazione. "C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio – ha avvertito – ma c’era anche il Concilio dei media” che dava un’interpretazione politica e non di fede di quanto accadeva:

"Per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa (…) c’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i vescovi e poi, tramite la parola ‘popolo di Dio’, il potere del popolo dei laici”.

E così, ha lamentato, anche per la liturgia: "Non interessava la liturgia come atto della fede”, ma "come una cosa di attività della comunità, una cosa profana”. Benedetto XVI parla di "banalizzazioni dell’idea del Concilio”, anzi di un "Concilio virtuale” che "era più forte del Concilio reale”:

"Mi sembra che 50 anni dopo il Concilio vediamo come questo Concilio virtuale si rompe, si perde e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della Fede, lavorare perché il vero Concilio, con la forza dello Spirito Santo si realizzi e sia rinnovata la Chiesa”.

Alla fine della sua monumentale riflessione sul Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha quindi salutato, commosso, per l’ultima volta i suoi sacerdoti:

"Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: vince il Signore. Grazie”.


14/02/2013 fonte Radio Vaticana

Commozione, tristezza, speranza, ammirazione: le emozioni dei sacerdoti presenti all'incontro con il Papa

      





L’incontro di Benedetto XVI nell’Aula Paolo VI con i parroci e con il clero della diocesi di Roma, apertosi con un lungo e toccante applauso, è stato scandito da intensi momenti di profonda commozione e gratitudine. Ascoltiamo alcuni sacerdoti intervistati da Paolo Ondarza:

R. – Ci affidiamo alla preghiera perché davvero questa scelta pesante, che ha segnato la storia, possa essere accompagnata dalla preghiera della Chiesa.

R. – E’ stato un momento molto importante. Il Papa è una persona autentica che ci ha donato il suo cuore.

R. - L’impressione è stata bellissima e penso che sia stato un momento importante anche per lui, questo congedo dal suo clero romano.

R. – Vuole bene alla Chiesa e quindi il fatto stesso che lasci il ministero, ci rattrista.

R. - E’ stato commovente, è un papà che lascia. C’è tanta tristezza, tanto rimpianto e tanta preghiera per lui.

R. - Sentendolo e vedendolo sereno, rasserena un po’ anche noi sulla sua decisione. Si vede che è la decisione di un pastore della Chiesa, di un uomo di fede. Poi, è stato bello il momento in cui ha detto che lui si ritirerà nel silenzio a pregare per noi. Non è indifferente sapere che un uomo di fede come lui continua a pregare per il suo successore e per la sua diocesi.

R. – Il suo discorso a braccio l’ho interpretato come un testamento: ritornare alle fonti più importanti di questi ultimi anni, cioè il Concilio, non letto banalmente, non letto attraverso le riduzioni o i mass media…

D. – Ma un sacerdote come vive la scelta del Papa?

R. – All’inizio con grande emozione, sorpresa, ma poi con grande rispetto. Penso che abbia indicato a tutti noi la strada e il luogo delle decisioni, cioè la preghiera e il silenzio, ho sentito il dovere di un profondo rispetto per il suo cuore. 

R. - E’ una scelta personale di una libertà di coscienza che posso soltanto affidare a Dio e ringraziare per la figura di Benedetto XVI.

R. – Nessuno di noi è Cristo, solo Gesù è il Cristo. Questo appare chiaro dalla assoluta libertà con cui il Papa ci ha parlato con la frase finale "Gesù vince”. E’ una scelta che mi è sembrata bella: ha focalizzato l’importanza sul ministero petrino, più che sulla persona. E’ un atto di grande umiltà.

R. – Ho provato sorpresa, imbarazzo, ammirazione e riconoscimento per la sua correttezza e per la sua integrità.

R. - All’inizio l’emozione prevalente è stata lo sconcerto, poi però vederlo anche oggi con la sua serenità, con la sua fede, rimettere tutto nelle mani di Dio, ci dà la fede e anche la serenità di poter accogliere la volontà di Dio e gli eventi che accadono. Abbiamo visto il Santo Padre che ha vissuto nella fede anche questa decisione, come del resto ha vissuto nella fede tutti questi anni di pontificato e tutte le difficoltà che ci sono state e che abbiamo conosciuto. Non solo il Santo Padre, ma gran parte dei cristiani vive nella fede questi eventi.

14/02/2013 fonte Radio Vaticana




Grazie a Benedetto XVI per il suo amore per la Cina
di John Tong Hon 
Il vescovo di Hong Kong, ricorda il grande impegno del Papa alla Chiesa in Cina e la sua Lettera ai cattolici cinesi: "Un guidato papa dalla preoccupazione amorevole per questo paese. " I cattolici del Territorio "continuare a pregare per lui e per il suo successore."


Hong Kong (AsiaNews) - Il nostro Santo Padre, Papa Benedetto XVI, il successore di san Pietro e capo degli Apostoli, ha sempre amato la Chiesa, mettendo tutto il suo cuore e l'energia al servizio pastorale del Popolo di Dio. Come il vescovo di Hong Kong, sono particolarmente grato per la sua amorevole sollecitudine per la Chiesa in Cina. Nel 2007 ha pubblicato una Lettera ai cattolici in Cina e ha istituito la Commissione per la Chiesa cattolica in Cina. Al termine di ogni incontro di tale Commissione, è venuto a vedere i membri di persona e ci ha incoraggiato.

Il 10 febbraio, un giorno prima ha annunciato la sua decisione di dimettersi, ha esteso particolare saluto e una benedizione per le persone che celebrano il nuovo anno lunare in tutto il mondo, in particolare i cinesi in tutto il mondo. Nelle sue parole e le azioni, il Santo Padre ha opportunamente rispecchiato lo scambio tra Gesù risorto e Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?" "Sì, Signore, tu sai che ti amo." "Pasci le mie pecorelle". (Cfr Gv 21,15-17)

Il Santo Padre, Benedetto XVI, è un uomo di preghiera fervente. Nella sua dichiarazione che annuncia le sue dimissioni da parte del ministero petrino a causa della sua età avanzata, ha sottolineato di aver finalmente preso questa decisione grave, dopo un lungo periodo di preghiera e di riflessione estesa. Egli è profondamente consapevole del fatto che, al fine di esercitare le sue funzioni papali, che non può contare su parole e fatti da solo, ma ha anche bisogno di preghiera. Egli affida il futuro della Chiesa al Signore Gesù e alla Madonna. Dopo dimissioni volontarie egli servire la Chiesa con tutto il cuore attraverso la preghiera. Esprimiamo i nostri più sentiti ringraziamenti al Santo Padre, Benedetto XVI, per la sua guida e il buon esempio, e ci sarà sempre pregare per lui.

Abbiamo fede profonda che sia le dimissioni del Santo Padre, Benedetto XVI, e la scelta del suo successore, sono nelle sapienti mani della Divina Provvidenza. Che tutti noi cattolici di Hong Kong pregare per l'elezione regolare del prossimo papa. Crediamo fermamente che l'ingresso Papa guiderà la Chiesa secondo la santa volontà del Signore Gesù e la tradizione ecclesiale, e che continuerà la proclamazione del Vangelo, per portare la salvezza a tutto il genere umano. Questo è anche l'obiettivo del l'Anno della Fede che stiamo celebrando.

 14/02/2013 fonte Asia News

Anche se ''nascosto'' al mondo, ''sarà sempre con te'' nella preghiera, Papa:



 
Durante il suo incontro con il clero di Roma, Benedetto XVI parla la sua partecipazione al Consiglio. "Speravamo che tutto sarebbe stato rinnovato, una nuova Pentecoste che veramente sarebbe venuto", ha detto, come ha spiegato come alcuni dei documenti del Concilio Vaticano II è venuto in essere.


Città del Vaticano (AsiaNews) - Anche "se rimango nascosto al mondo [...] sarò sempre vicino a tutti voi". Infatti, anche "si ritirava in preghiera, [I] sarà sempre con voi, e insieme potremo andare avanti con il Signore nella certezza. Il Signore è vittorioso", ha detto Benedetto XVI all'inizio e al termine della riunione che il Vescovo di Roma tiene di solito con il clero della città, situato sul primo Giovedi di Quaresima.  

Dopo un lungo applauso e grida di 'Viva il papa' (Viva il Papa), Benedetto XVI ha ringraziato i presenti, dicendo: "E 'un dono speciale e provvidenziale il fatto che, prima di lasciare il ministero petrino, posso ancora una volta incontrare i miei sacerdoti, il clero di Roma. 'sempre una grande gioia vedere come la Chiesa di Roma è viva ".

Nel suo "chattare", come il Papa ha messo, ai sacerdoti di Roma parroci e il clero, del pontefice concentrata sul Concilio Vaticano II ", come l'ho visto", ha detto.

Ha iniziato con un aneddoto su Frings carta riunioni, di Colonia, che nel 1961 gli chiedevano, uno dei più giovani professori dell'Università di Bonn, per scrivere "un progetto" per una conferenza a Genova, dove era stato invitato dal cardinale Siri. Dopo aver letto il testo dal titolo ' Il Consiglio e il mondo del pensiero moderno ', il cardinale è piaciuto e lo ha presentato "Come avevo scritto," ha detto Benedetto XVI.

"Poco dopo, [quando] Giovanni lo ha invitato (Frings Card) a venire" a Roma, "aveva paura che aveva forse detto qualcosa di sbagliato, falso o che gli era stato chiesto di venire per un rimprovero, forse anche per essere privato del cappello rosso. "

"Quando la sua segretaria lo fece pronto per il pubblico, gli disse, 'Forse ora sarà indossare questa roba per l'ultima volta,' poi trovi il Papa Giovanni è venuto verso di lui e lo abbracciò, dicendo: 'Grazie, Eminenza, lei ha detto cose che ho voluto dire, ma non avevo trovato le parole per dire loro '. Così, il cardinale sapeva di essere sulla strada giusta, e sono stato invitato ad accompagnarlo al Consiglio, prima come suo personale consigliere, poi, nel primo periodo, forse nel mese di novembre '62, [...] ha nominato in qualità di esperto ufficiale per il Consiglio. "

"Allora, siamo andati al Consiglio non solo con gioia, ma con entusiasmo. Aspettative erano incredibile. Speravamo che tutto sarebbe stato rinnovato, una nuova Pentecoste che sarebbe davvero venuto, [a partire] una nuova era della Chiesa, perché la Chiesa era non abbastanza robusto in quel momento. " In effetti, al momento, "c'era la sensazione che la Chiesa non stava progredendo, ma diventa sempre più piccolo, invece, che in qualche modo era qualcosa dal passato e non il portatore del futuro."

Abbiamo visto "che il rapporto iniziale tra la Chiesa e il periodo moderno, era un po 'conflittuale, dopo aver iniziato con gli errori commessi nel caso di Galileo. Abbiamo pensato di correggere questo errore iniziale" e che si potrebbe sviluppare un nuovo rapporto tra la Chiesa e il forze migliori del mondo sarebbe in modo da "aprire il futuro dell'umanità, per avviare un reale progresso."

Il papa ha anche ricordato come i Padri del Concilio immediatamente opposto quello che sembrava essere certi fatti compiuti, come le "liste e candidature" per le commissioni. Senza esitazione, i Padri ha detto "No, non sono semplicemente andando a votare liste già fatte. Siamo soggetti."

"Hanno dovuto spostare le elezioni", ha aggiunto, "perché gli stessi Padri voleva arrivare a conoscersi un po '. Volevano fare i propri elenchi. Così è stato fatto. Non era un atto rivoluzionario", ha detto ", ma un atto di coscienza e di responsabilità da parte dei Padri conciliari." In questo modo, ha spiegato, hanno vissuto "l'universalità della Chiesa e la realtà della Chiesa che non si limita a ricevere imperativi dall'alto, ma cresce e avanza insieme, sotto la guida, naturalmente, del Successore di Pietro".

Benedetto XVI ha continuato a parlare di come alcuni documenti è entrato in essere, circa lo spirito dietro di loro, come la riforma della liturgia (costituzione della Sacrosanctum Concilium ), ecclesiologia (costituzione Lumen Gentium ) e l'ecumenismo, con le dichiarazioni Nostra Aetat e e Dignitatis Humanae .

"Dopo la prima guerra mondiale," ha notato il Papa, "un movimento liturgico era cresciuto nell'Europa occidentale Europa centrale", come la gente riscoperto "la ricchezza e la profondità della liturgia", che fino a quel momento quasi sempre bloccato nel sacerdote Messale Romano, mentre il popolo pregava con i loro libri di preghiere.

"Ci sono stati quasi due liturgie parallele, quella del sacerdote con i chierichetti, che ha celebrato la Messa secondo il Messale, e che dei laici che hanno pregato durante la Messa con i loro libri di preghiera."

Con la riforma, la liturgia dell'altare e la liturgia del popolo divenne "una liturgia unico, una partecipazione attiva". In questo modo, la ricchezza della liturgia è venuto al popolo, "riscoperto e rinnovato."

In termini ecclesiologici, il Concilio Vaticano I è stata interrotta nel 1870, a sinistra come frammento incentrato sul principio di unilaterale "primato", ma la Chiesa non è solo il primato. "Nel 1920, le discussioni teologiche riscoperto il concetto di Mistici Corporis , vale a dire che Chiesa non è solo un'organizzazione, ma un 'corpo vivo', "che" il 'noi' dei credenti, insieme con la 'I' di Cristo sono la Chiesa. " Pertanto, il Consiglio ha visto "intensa e anche [...] discussioni esagerate" su collegialità che "sembravano, a molti, come una lotta per il potere", anche se "non si trattava di potere".

La questione dell'ecumenismo emerse sulla scia delle passioni dei cristiani durante il periodo nazista. "Fin dall'inizio i nostri amici ebrei detto" che "la Chiesa cattolica ha da dire qualcosa in proposito." Anche se "la Chiesa non è responsabile della Shoah, coloro che hanno commesso tali crimini erano cristiani, per la maggior parte," [. . .] Anche se sappiamo che i veri credenti sempre resistito ".

Tuttavia, i vescovi arabi temevano che questo avrebbe portato al riconoscimento di Israele, e ha insistito che parliamo anche sull'Islam. "Questo è qualcosa che non ho ben capito in quel momento. Oggi sappiamo quanto fosse necessario." Poiché la questione delle altre grandi religioni è stato sollevato anche, l'idea iniziale di rilasciare una dichiarazione solo gli ebrei si trasformò in una dichiarazione per tutte le religioni.

Ancora, "Non è possibile per un credente pensare che tutte le religioni sono uguali. C'è un Dio incarnato che ha parlato", che non esclude il dialogo con gli altri.

Inoltre, il papa ha anche citato "il Consiglio dei media," di come "il mondo percepito attraverso il Consiglio [...] i mezzi di comunicazione." Quindi, se il Consiglio dei Padri si è evoluta nella fede "che" crea l'intelletto nella fede, [. . .] I mezzi di comunicazione ", che è al di fuori della fede vedeva le cose come" una lotta per il potere tra le diverse correnti all'interno della Chiesa "e logicamente si schierò con coloro che cercavano" un decentramento della Chiesa "sulla base del" popolo di Dio ", vale a dire l'idea che il potere è stato conferito "i laici." Questo implica che "il potere del papa" sarebbe stato trasferito "ai vescovi e poi [. . .] A tutti, "vale a dire" sovranità popolare. Per loro, questo è quello che doveva essere approvato ".

I media avevano "alcun interesse nella liturgia come un atto di fede, ma piuttosto come attività comunità, con sacralità come qualcosa di profano," una cosa pagana "con la liturgia non come" culto ", ma come" un atto che unisce le persone ". Per tali traduzioni, la riforma della liturgia è stato banalizzato," nato in una visione del Consiglio, al di fuori della propria visione fondamentale, quello della fede. Ed è stato così, anche in materia di Scritture ".

Come "il Consiglio dei media era accessibile a tutti," ha causato "tante calamità, così tanti problemi [...]:. Chiuso seminari, conventi chiusi, la liturgia banalizzato [...] Il Consiglio virtuale era più forte del reale del Consiglio. " Eppure, "50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Consiglio virtuale sta crollando", e "il Consiglio vero sta emergendo". Quindi, il nostro dovere è quello di lavorare in modo che il vero e proprio Consiglio con la potenza dello Spirito Santo può essere realizzato ".

14/02/2013 fonte Asia News

IL SANTO DEL GIORNO 13/02/2013 Mercoledì delle Ceneri



L'origine del Mercoledì delle ceneri è da ricercare nell'antica prassi penitenziale. Originariamente il sacramento della penitenza non era celebrato secondo le modalità attuali. Il liturgista Pelagio Visentin sottolinea che l'evoluzione della disciplina penitenziale è triplice: "da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del sacramento, intesa come aiuto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, previa all'assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all'assoluzione".

La celebrazione delle ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, costituiva infatti il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo. Nel tempo il gesto dell'imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e la riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l'importanza di questo segno.

La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri.

1 - Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell'uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).

2 - Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9). Anche Giuditta invita invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: "Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore" (Gdt 4,11).

La semplice ma coinvolgente liturgia del mercoledì delle ceneri conserva questo duplice significato che è esplicitato nelle formule di imposizione: "Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai" e "Convertitevi, e credete al Vangelo". Adrien Nocent sottolinea che l'antica formula (Ricordati che sei polvere...) è strettamente legata al gesto di versare le ceneri, mentre la nuova formula (Convertitevi...) esprime meglio l'aspetto positivo della quaresima che con questa celebrazione ha il suo inizio. Lo stesso liturgista propone una soluzione rituale molto significativa: "Se la cosa non risultasse troppo lunga, si potrebbe unire insieme l'antica e la nuova formula che, congiuntamente, esprimerebbero certo al meglio il significato della celebrazione: "Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai; dunque convertiti e credi al Vangelo".

Il rito dell'imposizione delle ceneri, pur celebrato dopo l'omelia, sostituisce l'atto penitenziale della messa; inoltre può essere compiuto anche senza la messa attraverso questo schema celebrativo: canto di ingresso, colletta, letture proprie, omelia, imposizione delle ceneri, preghiera dei fedeli, benedizione solenne del tempo di quaresima, congedo.

Le ceneri possono essere imposte in tutte le celebrazioni eucaristiche del mercoledì ma sarà opportuno indicare una celebrazione comunitaria "privilegiata" nella quale sia posta ancor più in evidenza la dimensione ecclesiale del cammino di conversione che si sta iniziando.


Superare individualismi e rivalità che deturpano il volto della Chiesa: così il Papa nel Mercoledì delle Ceneri
 




"Ritornare a Dio con tutto il cuore”: è il forte richiamo che il Papa ha rivolto nell’omelia della Messa celebrata per l'inizio della Quaresima, nella Basilica di San Pietro, con il rito di benedizione e imposizione delle ceneri. La liturgia quest’anno non si è tenuta, come da tradizione, nella Basilica di Santa Sabina per poter accogliere i tanti fedeli che hanno voluto prendere parte all’ultima grande celebrazione con Benedetto XVI. Il servizio di Debora Donnini:   


"Per me è un’occasione propizia per ringraziare tutti, specialmente i fedeli della Diocesi di Roma, mentre mi accingo a concludere il ministero petrino, e per chiedere un particolare ricordo nella preghiera”.

Così il Papa apre la sua omelia nella Messa per il Mercoledì delle Ceneri. Nella Basilica vaticana si respira un clima di commozione in quella che, di fatto, è l’ultima grande celebrazione con Benedetto XVI. A testimonianza del forte affetto per il Papa, la grande presenza dei fedeli e la lunga processione di cardinali e vescovi, che entra nella Basilica vaticana seguita dallo stesso Benedetto XVI sulla pedana mobile. Il Papa si richiama alle circostanze che hanno suggerito di radunarsi nella Basilica di San Pietro e non in quella di Santa Sabina. "Siamo numerosi intorno alla Tomba dell’Apostolo Pietro – dice – anche a chiedere la sua intercessione per il cammino della Chiesa in questo particolare momento” rinnovando "la nostra fede” in Cristo Signore. A risuonare nella liturgia del Mercoledì delle Ceneri, il richiamo del profeta Gioele al popolo di Israele a ritornare a Dio con tutto il cuore, cioè dal centro dei nostri pensieri, sentimenti e azioni. Questo è possibile – spiega il Papa - grazie alla forza della misericordia di Dio e diventa realtà concreta "solo quando la grazia del Signore penetra nell’intimo e lo scuote donandoci la forza di ‘lacerare il cuore’”. Il profeta fa anche risuonare da parte di Dio l’invito a lacerarsi il cuore e non le vesti: 

"In effetti, anche ai nostri giorni, molti sono pronti a 'stracciarsi le vesti' di fronte a scandali e ingiustizie – naturalmente commessi da altri –, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio "cuore”, sulla propria coscienza e sulle proprie intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta”

Questo richiamo alla conversione profonda del cuore ha anche una dimensione comunitaria: "la fede è necessariamente ecclesiale”, ricorda il Pontefice, e il cammino penitenziale non lo si affronta da soli ma con tanti fratelli, nella Chiesa. La riflessione di Benedetto XVI si sofferma ancora sulla lettura tratta dal profeta Gioele, che parla della preghiera dei sacerdoti che chiedono a Dio con le lacrime agli occhi: "non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti”. "Questa preghiera - dice - ci fa riflettere sull’importanza della testimonianza di fede e di vita cristiana di ciascuno di noi e delle nostre comunità per manifestare il volto della Chiesa e come questo volto venga, a volte, deturpato: 

"Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale. Vivere la Quaresima in una più intensa ed evidente comunione ecclesiale, superando individualismi e rivalità, è un segno umile e prezioso per coloro che sono lontani dalla fede o indifferenti”.

"Ecco ora il momento favorevole”. Con l’Apostolo Paolo, Benedetto XVI invita quindi a cogliere queste parole "con un’urgenza che non ammette assenze o inerzie”. Il Papa si sofferma su "Gesù, l’innocente, il Santo,‘Colui che non aveva conosciuto peccato’” che, dice, "si fa carico del peso del peccato condividendone con l’umanità l’esito della morte, e della morte di croce”: 
"La riconciliazione che ci viene offerta ha avuto un prezzo altissimo, quello della croce innalzata sul Golgota, su cui è stato appeso il Figlio di Dio fatto uomo. In questa immersione di Dio nella sofferenza umana e nell’abisso del male sta la radice della nostra giustificazione. Il «ritornare a Dio con tutto il cuore» nel nostro cammino quaresimale passa attraverso la Croce, il seguire Cristo sulla strada che conduce al Calvario, al dono totale di sé”.

Un cammino, questo, in cui imparare ad uscire dall’egoismo e dalle chiusure per fare spazio a Dio che trasforma il cuore e ad ascoltare più assiduamente la Parola di Dio. Il Papa ricorda le tre pratiche fondamentali della legge mosaica e indicazioni del cammino quaresimale: elemosina, preghiera e digiuno. Gesù "denuncia l’ipocrisia religiosa”, "gli atteggiamenti che cercano l’applauso” e sottolinea invece come sia "la verità del rapporto con Dio ciò che qualifica l’autenticità di ogni gesto religioso”, nota Benedetto XVI evidenziando che "il vero discepolo non serve se stesso o il ‘pubblico’, ma il suo Signore”: 

"La nostra testimonianza allora sarà sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto è Dio stesso, l’essere uniti a Lui, quaggiù, nel cammino della fede, e, al termine della vita, nella pace e nella luce dell’incontro faccia a faccia con Lui per sempre”

"Risuoni forte in noi l’invito alla conversione”, a "ritornare a Dio con tutto il cuore": "nessuno di noi” – dice il Pontefice – "sia sordo a questo appello” che ci viene rivolto anche nel rito delle ceneri.

Dopo l’omelia, infatti, il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica di San Pietro, ha imposto le ceneri sul capo di Benedetto XVI che, a sua volta, ha fatto lo stesso con alcuni cardinali, vescovi, sacerdoti e semplici fedeli.

Questa sera "c’è un velo di tristezza sul nostro cuore”, ha detto il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nell’indirizzo di saluto, ricordando la commozione e il profondo rispetto con cui la Chiesa e il mondo hanno appreso la notizia della sua decisione di rinunciare al ministero petrino. Il pensiero del porporato va al Magistero di Benedetto XVI che, dice, ha fatto filtrare "i raggi della verità e dell’amore di Dio” per dare luce "al nostro cammino, anche e soprattutto nei momenti in cui le nubi si addensano nel cielo”. Quindi il cardinale Tarcisio Bertone rivolge un commosso ringraziamento al Papa:
"Questa sera noi vogliamo ringraziare il Signore per il cammino che tutta la Chiesa ha fatto sotto la guida di Vostra Santità e vogliamo dirLe dal più intimo del nostro cuore, con grande affetto, commozione e ammirazione: grazie per averci dato il luminoso esempio di semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore, un lavoratore, però, che ha saputo in ogni momento realizzare ciò che è più importante: portare Dio agli uomini e portare gli uomini a Dio”.

Un saluto che strappa, alla folla di fedeli, un lungo, commosso, interminabile applauso. 


13/02/2013 fonte Radio Vaticana

La crisi non fermi la solidarietà. Lo chiede il Papa in un messaggio all'Ifad




La cooperazione è più efficace se diretta dai principi etici fondativi della convivenza umana. Il Papa, in un messaggio inviato al presidente dell’Ifad, Kanayo F. Nwanze, incoraggia l’azione dell’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dello sviluppo agricolo in occasione della 36.ma sessione del suo Governing Council organizzata a Roma. Servizio di Francesca Sabatinelli:

L’azione dell’Ifad antepone lo sviluppo continuativo alla sola assistenza, affianca la dimensione del gruppo a quella esclusivamente individuale, scegliendo quali primi beneficiari i più poveri tra i poveri, e indirizzandosi verso l’eliminazione della povertà grazie anche alla creazione di opportunità di lavoro e di strutture istituzionali e decisionali. 

Nel suo messaggio Benedetto XVI spiega il suo apprezzamento per i due orientamenti "attuati dall’Organizzazione”. Il primo: "è la costante attenzione rivolta all’Africa, dove, il Fondo mira a dotare di mezzi finanziari, esigui ma essenziali, i piccoli agricoltori, e a renderli protagonisti anche nella fase decisionale e gestionale”. Il secondo: "è il sostegno alle comunità indigene, che hanno una particolare cura a favore della conservazione delle biodiversità, riconosciute quali beni preziosi posti dal Creatore a disposizione dell’intera famiglia umana”. Benedetto XVI, nel suo messaggio, riconosce nell’operato dell’Ifad l’attenzione verso il settore agricolo, componente primaria della crescita economica e del progresso sociale. L’organizzazione dà all’agricoltura e alla gente dei campi, scrive, il posto che loro compete, in considerazione anche dell’insegnamento della Chiesa cattolica che nelle sue opere "ha sempre sostenuto la centralità del lavoratore della terra, auspicando concretezza nell’azione politica e d economica che lo riguarda”. "L’attenzione alla persona, nella dimensione individuale e sociale, sarà maggiormente efficace se realizzata attraverso forme di associazione, cooperative e piccole imprese familiari che siano messe in grado di produrre un reddito sufficiente per un dignitoso tenore di vita”. 

Il Papa, ricordando poi che le Nazioni Unite hanno dedicato alla famiglia rurale il prossimo Anno internazionale, invita l’Ifad a non dimenticare che "il cuore dell’ordine sociale è la famiglia” "la cui vita è regolata, ancor prima che dalle leggi di uno Stato, o da norme internazionali, da principi morali inseriti nel patrimonio naturale di valori che sono immediatamente riconoscibili anche nel mondo rurale”. Disconoscere quindi o trascurare la famiglia significherebbe minare le fondamenta dell’intera comunità rurale. Nell’attuale contesto, è dunque "indispensabile offrire agli agricoltori solida formazione, costante aggiornamento ed assistenza tecnica nella loro attività, come pure appoggio ad iniziative associative e cooperativistiche in grado di proporre modelli di produzione efficaci.”. Così si avrà "un aumento della produzione e un’efficace spinta verso legittime riforme agrarie per garantire la coltivazione dei terreni, quando questi non sono adeguatamente utilizzati da coloro che ne hanno la proprietà”. Benedetto XVI conclude quindi il suo messaggio invitando l’Ifad a continuare la sua opera a favore dello sviluppo rurale, e chiedendo ai Paesi più avanzati un maggiore sforzo di solidarietà, perché "interrompere lo sforzo di solidarietà a motivo della crisi può nascondere una certa chiusura verso le necessità altrui”.

13/02/2013 fonte Radio Vaticana



Il Papa alla “Campagna di Fraternità”: dai giovani occasioni di rinnovamento per la Chiesa




Benedetto XVI non sarà a Rio de Janeiro per la Gmg, se non spiritualmente. Ai giovani brasiliani, il Papa si rivolge però direttamente in un Messaggio indirizzato alla Campagna di Fraternità, promossa dalla conferenza episcopale brasiliana. "I segni dei tempi nella società e nella Chiesa – scrive il Papa – si manifestano anche attraverso i giovani”. E aggiunge che "disprezzare questi segni o non saperli discernere significa perdere occasioni di rinnovamento”. Esorta dunque la Chiesa a far sì che i "giovani siano protagonisti nella comunità che li accoglie”, dimostrando la fiducia in loro. Per fare questo, aggiunge, servono guide "padri, consacrati o laici” che siano capaci di indicare il cammino senza imporre direzioni, di solidarietà ed empatia e ancora "di dare testimonianza di salvezza” che la fede e la sequela di Cristo alimentano ogni giorno. Per questo, scrive il Papa, incoraggio i giovani a confidare sempre di più nel Vangelo di Gesù. Che il Signore, è la sua esortazione finale, "conceda a tutti la felicità di credere in Lui, di crescere nella sua amicizia, di seguirLo nel cammino della vita e testimoniarlo in tutte le situazioni per trasmettere alle prossime generazioni l’immensa ricchezza e bellezza della fede in Gesù Cristo”. (A.G.)


13/02/2013 fonte Radio Vaticana

Mons. Pelvi: “Il Papa ha dimostrato di amare la Chiesa più di se stesso”


"La Chiesa castrense accoglie con fede la volontà del Papa, ammirando il suo straordinario, originale e profondo Pontificato”. Queste le parole di mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare per l’Italia (Omi), di commento alla rinuncia del Papa. Il presule era stato ricevuto da Benedetto XVI in Vaticano lo scorso 8 febbraio per la visita ad Limina, nel corso della quale il Santo Padre aveva espresso l’auspicio che "i militari sappiano testimoniare il Vangelo dell’amore a Dio e ai fratelli”. "Benedetto XVI è un dono straordinario di Dio per l’umanità smarrita – ha aggiunto mons. Pelvi intervistato dal Sir – in questo Anno della Fede l’augurio è di imparare dal Sommo Pontefice ad accettare le nostre fragilità per poter essere liberi e autentici annunciatori del Vangelo”. Infine, sul tema delle dimissioni ha aggiunto: "Sono un atto di governo nel quale si manifesta chiaramente come Egli ami la Chiesa più di se stesso”. (R.B.)


13/02/2013 fonte Radio Vaticana

IL SANTO DEL GIORNO 12/02/2013 San Benedetto d'Aniane



Nome originario: Vitizia. E’ nato nella potente famiglia di Agilulfo, un nobile di origine visigotica che governa il territorio di Maguelonne, nel Sud della Francia, al tempo dei re franchi Pipino il Breve e poi Carlo Magno. Educato a corte, nel 774 segue l’esercito di Carlo Magno, che viene in Italia per combattere contro i Longobardi; e un giorno rischia anche di affogare nel Ticino, presso Pavia, tentando di salvare un suo fratello caduto nei gorghi del fiume. 
Dopo questo fatto, che egli considera prodigioso, Vitizia torna in Francia con un monaco cieco, di nome Vidmaro, e insieme con lui entra nel monastero borgognone di San Sequano (St. Seine), dove prende il nome di Benedetto. Passano cinque anni piuttosto contrastati: gli altri monaci non sopportano la severità della sua vita; e tuttavia, quando muore l’abate in carica, vogliono lui come successore. 
Ma Benedetto se ne va: questa gente non gli piace. E rieccolo nel Sud della Francia, ad Aniane, presso Montpellier, dove fonda per conto suo un monastero. Nella Francia dell’epoca ci sono comunità monastiche governate dalla regola di san Benedetto da Norcia, e altre che si ispirano all’irlandese san Colombano; e non mancano poi quelli che si ispirano al monachesimo anacoretico orientale. Benedetto si avvicina dapprima a questi ultimi; ma alla fine non si ritrova nel loro aspro ascetismo individuale e adotta il modello benedettino, che ritiene più in sintonia con i tempi e con la tradizione dell’Occidente. Benedetto è un uomo che agisce come predica. 
Detta norme severe ed è lui per primo a osservarle, ancora prima di esigerne l’osservanza dagli altri. Anche se poi si accorge che quelle norme così severe impongono troppa preghiera, a scapito del lavoro. Uno squilibrio di vita che mette in crisi l’economia dei monasteri e anche la loro indipendenza dal potere imperiale. 
Benedetto, con la sua volontà e il suo esempio, non giunge a realizzare il sogno di comunità austerissime e libere. Ma mette un freno al rilassamento, con tutti i gravissimi pericoli che comporta; e la sua opera di animazione liturgica sarà poi continuata e sviluppata dal monachesimo di Cluny. La Chiesa ricorda anche il suo contributo di teologo alla difesa della dottrina cristiana contro le teorie degli "adozionisti” diffusesi in Spagna; per questo scopo, Benedetto viaggia, scrive, istruisce vescovi e preti. 
Trascorre gli ultimi anni nell’abbazia di Cornelimünster, vicino alla residenza imperiale di Aquisgrana, dove è spesso chiamato per consiglio da Ludovico il Pio. E proprio ad Aquisgrana si conclude la sua vita. Seppellito a Cornelimünster, i suoi resti andranno poi dispersi.


Vigilia della Quaresima: la Messa delle Ceneri celebrata dal Papa in San Pietro



La Chiesa vive oggi la vigilia d’inizio della Quaresima e la Messa delle Ceneri che presiederà domani sarà per Benedetto XVI l’ultima, grande celebrazione nella Basilica di San Pietro. Per questo motivo, prevedendo un massiccio afflusso di fedeli, i riti sono stati spostati dalle Basiliche romane di Sant’Anselmo e Santa Sabina in quella vaticana, dove il Papa giungerà alle 17. In questi anni, Benedetto XVI ha molto approfondito il valore della conversione, tipico di questo periodo liturgico. Alessandro De Carolis ne ricorda alcune riflessioni:

La Quaresima è la porta che immette in una dimensione che fa brillare tutto ciò che è tipicamente cristiano – conversione personale, carità verso il prossimo, sobrietà di vita – in modo serrato e con più intensità, come diamanti nella vetrina di un gioielliere. Ma a nulla varrebbero – una confessione in più, un’elemosina, un digiuno – se anche nel cuore, oltre che sulla testa, non si depositasse un pugno di cenere, se cioè ognuno di quei gesti non fosse frutto di un consapevole atto di umiltà di fronte a Dio e non, come per il fariseo del Vangelo, una sofferenza esibita per un pugno di applausi. Questo ha insegnato Benedetto XVI, il Papa umile, perché da sempre orientato a cercare l’amore di Dio:

"Conversione consiste nell’accettare liberamente e con amore di dipendere in tutto da Dio, il vero nostro Creatore, di dipendere dall’amore. Questa non è dipendenza ma libertà. Convertirsi significa allora non inseguire il proprio successo personale - che è una cosa che passa - ma, abbandonando ogni umana sicurezza, porsi con semplicità e fiducia alla sequela del Signore perché per ciascuno Gesù diventi, come amava ripetere la beata Teresa di Calcutta, il mio tutto in tutto".

La destinazione dell’uomo "è più alta”, ha ripetuto il Papa, ricordando che "non siamo noi che abbiamo fatto noi stessi” e che "l’essere umano non è l’architetto del proprio destino eterno”. In altre parole, la conversione…

"…non è una semplice decisione morale, che rettifica la nostra condotta di vita, ma è una scelta di fede, che ci coinvolge interamente nella comunione intima con la persona viva e concreta di Gesù. Convertirsi e credere al Vangelo non sono due cose diverse o in qualche modo soltanto accostate tra loro, ma esprimono la medesima realtà”.

Ma certo, l’umiltà è virtù "difficile”. Un capo che si china per molti è il segno della sconfitta, l’atto sociale di un "perdente”. Questo perché, ha affermato in diverse circostanze Benedetto XVI, si dimentica che la vita cristiana non è tanto una legge da ossequiare, ma l’incontro con una Persona, Gesù. E c’è solo un modo per imparare a entrarvi in contatto, la preghiera. Ce lo ha insegnato il Papa, che anche in questo è un maestro:

"La Chiesa sa che, per la nostra debolezza, è faticoso fare silenzio per mettersi davanti a Dio, e prendere consapevolezza della nostra condizione di creature che dipendono da Lui e di peccatori bisognosi del suo amore; per questo, in Quaresima, invita ad una preghiera più fedele ed intensa e ad una prolungata meditazione sulla Parola di Dio”.

12/02/2013 fonte Radio Vaticana





Padre Lombardi: il nuovo Papa si sentirà sostenuto dalla preghiera di Benedetto XVI
 
      





Il Papa sta bene, non ha rinunciato perché malato, ma solo per la fragilità dovuta all’invecchiamento. Lo ha ribadito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in un nuovo briefing con i giornalisti. Confermato tutto il calendario degli appuntamenti fino al 28 febbraio, ultimo giorno del Pontificato di Benedetto XVI, ma non ci sarà l’Enciclica sulla fede. Massimiliano Menichetti:

Nessuna malattia specifica ha colpito il Santo Padre e nessun’altra tensione ha determinato la sua "decisone storica” di rinunciare al ministero petrino. Padre Federico Lombardi torna a ribadire ai giornalisti il perché delle dimissioni del Papa. Motivi legati esclusivamente alla fragilità dell’invecchiamento, all’impossibilità di governare al meglio la Chiesa. Una decisione - ha detto - non improvvisata, lucida, frutto di ‘grande riflessione davanti a Dio’ e che rende Benedetto XVI molto sereno.

"Irrilevante sotto ogni punto di vista - ha puntualizzato padre Lombardi - la sostituzione delle batterie del pacemaker, notizia rilanciata dalla stampa italiana, che Ratzinger aveva già da cardinale”.

Il direttore della Sala Stampa, confermando ancora una volta che l’agenda di Benedetto XVI non subirà variazioni fino al 28 febbraio, data in cui inizierà la Sede vacante, ha invitato a prestare attenzione a cosa dirà il Papa nei prossimi giorni, a partire da domani: sia all’udienza generale, sia alla celebrazione delle Ceneri in San Pietro. Evento, quest’ultimo, spostato in Basilica, da Santa Sabina sull’Aventino per accogliere più fedeli e i tanti cardinali che parteciperanno, di fatto, all’ultima "grande concelebrazione del Papa”.

Poi, giovedì, ci sarà l’incontro-conversazione con il clero romano, nell’Aula Paolo VI, dove Papa Benedetto parlerà a braccio, probabilmente "della sua esperienza nel Concilio Vaticano II”.

Confermati anche tutti gli altri appuntamenti come le visite ad limina dei vescovi italiani, le udienze ai presidenti di Romania e Guatemala, gli Angelus domenicali, il suo intervento alla fine degli esercizi spirituali e l’ultima udienza del 27 febbraio, che "potrebbe tenersi in Piazza San Pietro”. Padre Lombardi ha poi evidenziato che non ci sarà più l’attesa Enciclica sulla fede:

"Non era ad un punto di preparazione tale da poter, in un tempo così breve, essere tradotta, pubblicata, messa a punto definitivamente. Quindi, questo rimane un documento che avevamo atteso ma che verosimilmente non avremo, per lo meno non nella forma normale dell’Enciclica. Se poi dopo ci sarà qualche altro modo o riflessione in cui Benedetto XVI ci farà partecipi delle sue riflessioni sulla fede, benissimo. Però, l’Enciclica come tale, pubblicata dal Papa in carica non possiamo aspettarcela entro la fine del mese di febbraio”.

Il direttore della Sala Stampa ha anche spiegato che il viaggio a Cuba e Messico, a causa della fatica, ha costituito per Benedetto XVI una tappa di maturazione verso la rinuncia al ministero, ma non già una decisione definitiva in tal senso.

Ai giornalisti non è stato fornito alcun dettaglio su come si chiamerà o vestirà Benedetto XVI una volta rientrato in Vaticano, dopo la permanenza a Castel Gandolfo: questioni che non sono ancora state definite. Verosimilmente escluso che "tornerà cardinale”, sicuramente "sarà Vescovo emerito di Roma” anche se, per ora, non ci sono formule ufficiali. L’anello petrino – ha detto padre Lombardi – potrebbe essere spezzato come da prassi.

Confermato che il Papa non avrà alcun ruolo nel prossimo conclave; e poi che sono iniziati in novembre i lavori di restauro del monastero in Vaticano dove risiederà e che un tempo era occupato da suore di clausura . Poi, sollecitato dai cronisti sulla realtà di due Papi in Vaticano, ha aggiunto:

"E’ una situazione nuova, avere un Papa che ha fatto la rinuncia, nella Città del Vaticano: credo che non ci sarà assolutamente alcun problema per il suo successore. Anzi, probabilmente, il successore si sentirà sostenuto dalla preghiera, da una presenza intensa di amore e di partecipazione da parte della persona che più di tutte nel mondo può capire e partecipare alle preoccupazioni del suo successore”.

Benedetto XVI - è stato precisato - cesserà nelle sue funzioni alle ore venti del ventotto febbraio, ovvero quando "ordinariamente” il Papa termina la sua attività, prima di ritirarsi in preghiera, e poi riposare.


12/02/2013 fonte Radio Vaticana

Musulmani indonesiani: “rispetto” per Benedetto XVI, artefice del dialogo interreligioso


 
di Mathias Hariyadi
La notizia delle dimissioni hanno "colpito” la leadership musulmana, che manifesta "apprezzamento e profondo rispetto”. La rinuncia al "potere” un gesto di grande "servizio” alla Chiesa. L’auspicio che il successore prosegua l’opera di dialogo islamo-cristiano nel solco tracciato da papa Ratzinger. 


Jakarta (AsiaNews) - Cristiani e musulmani indonesiani sono "colpiti" dalle dimissioni di Benedetto XVI ma, al tempo stesso, manifestano "apprezzamento e profondo rispetto" per la scelta coraggiosa del papa. In attesa del conclave, l'auspicio ricorrente è che il nuovo pontefice possa proseguire il percorso di "riavvicinamento" islamo-cristiano "promosso e rafforzato" proprio da papa Ratzinger nel corso degli anni. Tuttavia, l'aspetto che forse più di tutti è rimasto impresso è la "decisione meditata nel profondo" di rinunciare al "potere" in quanto esso è funzionale "al servizio della Chiesa" e necessita di grande vigore fisico e mentale.

Din Syamsuddin, esperto di islam e presidente di Muhammadiyah.
La decisione del Papa è totalmente sincera, merita profondo rispetto e apprezzamento. Ricordo di aver incontrato Benedetto XVI in quattro diverse occasioni, nel contesto di eventi volti a promuovere il dialogo interreligioso; ne conservo ancora oggi un bellissimo ricordo, per l'immagine di un grande pontefice che, con coraggio e tanta buona volontà, voleva creare armonia e buone relazioni con il mondo musulmano. Un proposito che dobbiamo raccogliere e rafforzare nel futuro.
Per quanto riguarda il successore, auspico che qualsiasi cardinale diventerà il nuovo pontefice possa proseguire nel percorso di riavvicinamento fra cristiani e musulmani, in particolare per quanto concerne le questioni che riguardano l'essere umano e il rapporto con Dio. Tra questi ricordo il card Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che molto ha fatto per creare buone relazioni coi musulmani nel mondo.

Siti Musdah Mulia, presidente dell'Indonesian Conference on Religion and Peace (Icrp).
La notizia mi ha scioccata e commossa, perché papa Benedetto XVI ha avuto il coraggio di andare contro la "tradizione" cattolica, dando le dimissioni nonostante il comportamento dei suoi predecessori: solo la morte mette fine al pontificato. Questo è un segno di grande umiltà e un monito per le società moderne, ovvero che il potere non è eterno. Guardando al bene dei suoi fedeli [e della Chiesa], egli ha dato prova di un grande senso di responsabilità. 

 
12/02/2013 fonte Asia News

Cattolici di Hong Kong e della Cina pregano per Benedetto XVI e per il nuovo papa

di Eugenia Zhang
La notizia delle dimissioni del papa ha prodotto "sgomento" e "incredulità". In Cina e nel territorio si prega per la sua salute. Il card. Tong chiede preghiere per Benedetto XVI e per il futuro papa. John Tong sarà il primo cardinale di Hong Kong a partecipare a un conclave.


Hong Kong (AsiaNews) - Passato un momento di "sgomento", i cattolici di Hong Kong e della Cina popolare hanno deciso di lanciare momenti pubblici e privati di preghiera per Benedetto XVI e per l'elezione del nuovo papa.

La notizia delle dimissioni del papa è giunta nel mondo cinese nel pieno delle festività per il Nuovo anno lunare. Ad Hong Kong gli uffici pubblici rimangono chiusi fino al 13 febbraio. Ieri, comunque, l'Ufficio di comunicazioni sociali della diocesi ha diffuso un comunicato. In esso si mette in luce il "cuore pesante" con cui la diocesi ha accettato la conferma della notizia sulle dimissioni di Benedetto XVI, a causa della sua salute.

Le dimissioni del pontefice saranno effettive dal 28 febbraio alle ore 20 (ora di Roma). "Oggi - si dice nel comunicato - è la festa della Madonna di Lourdes. In essa la Chiesa universale prega per i malati. Preghiamo anche per il Santo Padre".

Nella dichiarazione si ricorda che il card. John Tong di Hong Kong chiede a tutti i cattolici della diocesi di pregare in modo speciale per l'elezione del nuovo papa. "Questo è l'Anno della fede e i cattolici dovrebbero mostrare la loro fede e fiducia nell'Onnipotente, [perché] Dio continui a guidare e benedire la Chiesa aiutandola a superare ogni tipo di difficoltà".

Avvisi sui luoghi e tempi per incontri pubblici di preghiera saranno diffusi quanto prima.

Nella Cina popolare, alcuni cattolici hanno detto ad AsiaNews che all'inizio essi erano scioccati dalla notizia e pensavano che fosse non vera. Uno di essi aggiunge: "Noi ringraziamo il papa per aver servito la Chiesa così a lungo. Vogliamo pregare per la sua salute".

Un sacerdote commenta: "Questo papa è un grande esempio per tutti. Il suo gesto di dimettersi ci insegna il significato del sacrificio fino allo svuotamento del potere. In questo egli è come Gesù Cristo che si sacrifica per gli altri per vincere la morte con la vita".

Il card. Tong sarà il primo cardinale cinese di Hong Kong a partecipare a un conclave. Avendo 73 anni, egli sarà parte degli elettori del futuro papa al conclave che si terrà in marzo. Il card. Tong ha ricevuto la porpora da Benedetto XVI il 6 gennaio 2012. É stato anche nominato come uno dei presidenti del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione, tenutosi in Vaticano lo scorso ottobre.

Il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha da poco compiuto 81 anni. Egli potrebbe partecipare alle riunioni che precedono il conclave, in cui si riflette sulle urgenze della Chiesa e sulle qualità del futuro pontefice, ma non ha diritto di voto e non può partecipare al conclave.

12/02/2013 fonte Asia News


IL SANTO DEL GIORNO 11/02/2013 Beata vergine Maria di Lourdes



Ai piedi dei Pirenei, Lourdes accoglie ogni anno 5 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Qui un giorno Maria è apparsa all’umile veggente Bernadette Soubirous, incaricandola di un grande messaggio di speranza per l’umanità, sofferente nel corpo e nello spirito, che è l’eco della parola di Dio affidata alla Chiesa. 
Quella mattina era un giovedì grasso e a Lourdes faceva tanto freddo. In casa Soubirous non c’era più legna da ardere. Bernadette, che allora aveva 14 anni, era andata con la sorella Toinette e una compagna a cercar dei rami secchi nei dintorni del paese. 
Verso mezzogiorno le tre bambine giunsero vicino alla rupe di Massabielle, che formava, lungo il fiume Gave, una piccola grotta. Qui c’era "la tute aux cochons”, il riparo per i maiali, un angolo sotto la roccia dove l’acqua depositava sempre legna e detriti. Per poterli andare a raccogliere, bisognava però attraversare un canale d’acqua, che veniva da un mulino e si gettava nel fiume.
Toinette e l’amica calzavano gli zoccoli, senza calze. Se li tolsero, per entrare nell'acqua fredda. Bernadette invece, essendo molto delicata e soffrendo d'asma, portava le calze. Pregò l’amica di prenderla sulle spalle, ma quella si rifiutò, scendendo con Toinette verso il fiume.
Rimasta sola, Bernadette pensò di togliersi anche lei gli zoccoli e le calze, ma mentre si accingeva a far questo udì un gran rumore: alzò gli occhi e vide che la quercia abbarbicata al masso di pietra si agitava violentemente, per quanto non ci fosse nell’aria neanche un alito di vento. Poi la grotta fu piena di una nube d’oro, e una splendida Signora apparve sulla roccia.
La Signora aveva l’aspetto di una giovane di sedici o diciassette anni. Vestita di bianco, con una fascia azzurra che scendeva lungo l’abito, portava sulla testa un velo bianco che lasciava intravedere appena i capelli ricadendo all’indietro fino all’altezza della fascia. Dal braccio le pendeva un grande rosario dai grani bianchi, legati da una catenella d’oro, mentre sui piedi nudi brillavano due rose, anch’esse di un oro lucente.
Istintivamente, Bernadette s'inginocchiò, tirando fuori la coroncina del Rosario. La Signora la lasciò fare, unendosi alla sua preghiera con lo scorrere silenzioso fra le sue dita dei grani del Rosario. Alla fine di ogni posta, recitava ad alta voce insieme a Bernadette il Gloria Patri. Quando la piccola veggente ebbe terminato il Rosario, la bella Signora scomparve all’improvviso, ritirandosi nella nicchia, così come era venuta. 
Tre giorni dopo, il 14 Febbraio, Bernadette - che ha subito raccontato alla sorella e all’amica quanto le è accaduto, riferendo della cosa anche in casa – si sente chiamata interiormente verso la grotta di Massabielle, munita questa volta di una bottiglietta di acqua benedetta che getta prontamente sulla S. Vergine durante la nuova apparizione, perché, così le è stato detto, su queste cose non si sa mai e potrebbe anche essere il diavolo a farle un tiro mancino…
La Vergine sorride al gesto di Bernadette e non dice nulla. Il 18 febbraio, finalmente, la Signora parla. "Non vi prometto di farvi felice in questo mondo – le dice - , ma nell’altro. Volete farmi la cortesia di venire qui per quindici giorni?”. La Signora, quindi, confida a Bernadette tre segreti che la giovane deve tenere per sé e non rivelare mai a nessuno. 
Intanto la notizia delle apparizioni si diffonde in un baleno in tutta Lourdes e molti curiosi si recano con Bernadette in quella grotta dove lei dice di vedere "Aquéro” (quella là, nel dialetto di Lourdes). Bernadette, infatti, non conosce il francese, ma sa parlare solo il patois, il dialetto locale. E nel patois la bella Signora che le appare a Massabielle è "Aquéro”.
E intanto l’afflusso della gente alla grotta aumenta. Nell’apparizione del 24 febbraio la Madonna ripete per tre volte la parola "Penitenza”. Ed esorta: "Pregate per i peccatori”.
Il giorno seguente, la Signora dice a Bernadette di andare alla fonte a lavarsi e a bere. Ma non c’erano fonti in quel luogo, né sorgenti. La Signora allora indica un punto esatto. Bernadette vi si reca e poiché non vede l’acqua comincia a scavare con le sue mani, impiastricciandosi la faccia e mangiando fili d’erba... Tutti i presenti si burlano di lei. Ma, poco dopo, da quella piccola buca scavata nella terra dalle mani di Bernadette, cominciava a scorrere acqua in abbondanza. Un cieco si bagnò gli occhi con quell’acqua e riacquistò la vista all’istante. 
Da allora la sorgente non ha mai cessato di sgorgare. E’ l’acqua di Lourdes, che prodigiosamente guarisce ancora oggi ogni sorta di mali, spirituali e fisici, e senza minimamente diffondere il contagio delle migliaia di malati immersi nelle piscine. È anche il ricordo più caro che ogni pellegrino ama portare con sé, facendo ritorno a casa dalla cittadella di Maria. 
Ma un fatto ancora più eclatante doveva verificarsi, dopo il miracolo della sorgente, per avvalorare come soprannaturali le apparizioni di Massabielle. La Signora aveva chiesto a Bernadette che i sacerdoti si portassero lì in processione e che si costruisse una cappella. L’abate Peyramale, però, parroco di Lourdes, non ne voleva sapere e chiese perciò a Bernadette un segno irrefutabile: qual era il nome della bella Signora che le appariva alla grotta? 
Nell’apparizione del 25 marzo 1858, "Aquéro” rivelò finalmente il suo nome. Alla domanda di Bernadette, nel dialetto locale rispose: "Que soy era Immaculada Councepciou…” (Io sono l’Immacolata Concezione). Quattro anni prima, Papa Pio IX aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, cioè una verità della fede cattolica, ma questo Bernadette non poteva saperlo. Così, nel timore di dimenticare tale espressione per lei incomprensibile, la ragazza partì velocemente verso la casa dell’abate Peyramale, ripetendogli tutto d’un fiato la frase appena ascoltata. 
L’abate, sconvolto, non ha più dubbi. Da questo momento il cammino verso il riconoscimento ufficiale delle apparizioni può procedere speditamente, fino alla lettera pastorale firmata nel 1862 dal vescovo di Tarbes, che, dopo un’accurata inchiesta, consacrava per sempre Lourdes alla sua vocazione di santuario mariano internazionale.


Benedetto XVI: rinuncio al ministero petrino, età e fatica mi impediscono di assolverlo al meglio







Benedetto XVI ha annunciato a sorpresa questa mattina al Collegio cardinalizio la rinuncia al ministero petrino a partire dalle 20 del prossimo 28 febbraio, data e ora dalle quali la Santa Sede sarà considerata "vacante” e potrà essere convocato il nuovo Conclave. La notizia, che ha immediatamente fatto il giro dei media mondiali, è stata comunicata dal Papa durante il Concistoro ordinario pubblico delle ore 11, nel quale dovevano essere trattate le Cause di canonizzazione di un gruppo di martiri e di due religiose. Tra i motivi principali della scelta di Benedetto XVI la constatazione che le sue "forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

"Decisionem magni momenti pro Ecclesiae vitae..."
"Una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa”. È la semplice, dirompente introduzione destinata a passare alla storia di questo Pontificato e dei venti secoli che lo hanno preceduto. Davanti ai suoi confratelli del Collegio cardinalizio, Benedetto XVI è diretto: il Concistoro riguardava tre Canonizzazioni ma il motivo della riunione è ben altro e il Papa spiega senza preamboli i motivi che lo hanno spinto a un passo che conta rarissimi precedenti in duemila anni. 

"Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata..."
"Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza – afferma con voce chiaramente emozionata Benedetto XVI – che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Tuttavia, riconosce con franchezza, "nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”.

Un’affermazione netta, che segna uno spartiacque nella cronologia del Pontificato iniziato poco meno di otto anni fa. "Ben consapevole della gravità di questo atto – asserisce Benedetto XVI – con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.

Le ultime parole di questa comunicazione sono di gratitudine per i primi collaboratori che lo hanno circondato e sostenuto in questi anni, i cardinali. "Carissimi Fratelli – dice loro il Papa – vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora – prosegue – affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua Santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda – soggiunge – anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio”.

Al termine di queste parole di Benedetto XVI, nella comprensibile sorpresa di quegli istanti, è stato il decano del Collegio delle porpore, il cardinale Angelo Sodano, a esprimere a nome di tutti un saluto carico di affetto al Papa:

"Santità, amato e venerato successore di Pietro, come un fulmine a ciel sereno, ha risuonato in quest’aula il suo commosso messaggio. L’abbiamo ascoltato con senso di smarrimento, quasi del tutto increduli. Nelle sue parole abbiamo notato il grande affetto che sempre Ella ha portato per la Santa Chiesa di Dio, per questa Chiesa che tanto Ella ha amato. Ora permetta a me di dirle a nome di questo cenacolo apostolico, il collegio cardinalizio, a nome di questi suoi cari collaboratori, permetta che le dica che le siamo più che mai vicini, come lo siamo stati in questi luminosi 8 anni del suo pontificato. Il 19 aprile del 2005, se ben ricordo, al temine del Conclave, io le chiesi, con voce anche trepida da parte mia, ‘Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?’, ed Ella non tardò, pur con trepidazione, a rispondere dicendo di accettare confidando nella grazia del Signore e nella materna intercessione di Maria, Madre della Chiesa. Come Maria, quel giorno Ella ha detto il suo "Si” ed ha iniziato il suo luminoso pontificato nel solco della continuità, di quella continuità di cui Ella tanto ci ha parlato nella storia della Chiesa, nel solco della continuità coi suoi 265 predecessori sulla cattedra di Pietro, nel corso di duemila anni di storia, dall’apostolo Pietro, l’umile pescatore di Galilea, fino ai grandi papi del secolo scorso, da San Pio X al beato Giovanni Paolo II. Santo Padre, prima del 28 febbraio, come lei ha detto, giorno in cui desidera mettere la parola fine a questo suo servizio pontificale fatto con tanto amore, con tanta umiltà, prima del 28 febbraio, avremo modo di esprimerle meglio i nostri sentimenti. Così faranno tanti pastori e fedeli sparsi per il mondo, così faranno tanti uomini di buona volontà, insieme alle autorità di tanti Paesi. Poi ancora in questo mese avremo la gioia di sentire la sua voce di pastore, già mercoledì nella giornata delle Ceneri, poi giovedì col clero di Roma, negli Angelus di queste domeniche, nelle udienze del mercoledì. Ci saranno quindi tante occasioni ancora di sentire la sua voce paterna. La sua missione però continuerà. Ella ha detto che ci sarà sempre vicino con la sua testimonianza e con la sua preghiera. Certo, le stelle nel cielo continuano sempre a brillare e così brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato. Le siamo vicini, Padre Santo, e ci benedica”.

11/02/2013 fonte Radio Vaticana




Stupore, stima e affetto per il Papa dai fedeli in Piazza San Pietro




La notizia della rinuncia di Benedetto XVI ha ovviamente colto di sorpresa anche i tanti pellegrini in Piazza San Pietro. Ascoltiamo le voci raccolte da Gabriella Ceraso e Amedeo Lomonaco:

R. – Ci siamo rimasti un po’ male. Proprio il giorno che abbiamo visitato la Basilica …

R. – Eh sì, un vuoto, non me l’aspettavo …

R. – E’ abbastanza dura …

R. – Non credevamo alla notizia!

R. – Sono sconvolto!

R. – Ora è il momento di di sostenerlo. Tutti i cristiani debbono sostenerlo e … pregare per lui.

R. – E’ un grande dolore sapere che lui se ne va e non poterlo più sentire, non poter più meditare sulle sue parole. Per me è stato un grandissimo Papa!

R. – Penso che sia un modo di governare che dovrebbe far riflettere. Quando non c’è mai il coraggio di lasciare al momento giusto: questa è una cosa che si ritrova in tantissime situazioni: la difficoltà di lasciare. Quando il ruolo è più importante del servizio … E’ un messaggio: è un messaggio in cui si dice che governare nella Chiesa è solo ed esclusivamente servizio.

11/02/2013 fonte Radio vaticana






Il cardinale Bagnasco: dolore e profonda gratitudine dei vescovi italiani




"Una decisione che ci lascia con l’animo carico di dolore e di rincrescimento; ancora una volta Benedetto XVI ha offerto esempio di profonda libertà interiore”. Il cardinale Angelo Bagnasco – presente al Concistoro per la canonizzazione dei martiri d’Otranto – ha appreso dalle parole stesse del Papa la scelta di lasciare, per l’età avanzata, il Pontificato dal prossimo 28 febbraio. E, con la certezza che "il Signore Risorto, Pastore dei pastori, continua ad essere il nocchiero della Chiesa”, assicura al Papa "la profonda gratitudine e l’affettuosa vicinanza dei Vescovi italiani per l’attenzione costante che ha avuto per il nostro Paese e per la guida sicura e umile con cui ha indirizzato la barca di Pietro”.

11/02/2013 fonte Radio Vaticana

Associazione Mariana Figli di Maria - Terni - Tel. 0744.243267 - e-mail: ass.figlidimaria@gmail.com

Area Riservata