La mattina del 25 febbraio si stava celebrando la Messa della domenica nella chiesa cattolica del villaggio di Essakane, nel nord del Burkina Faso, quando degli uomini armati vi hanno fatto irruzione e hanno aperto il fuoco sui fedeli. Ne hanno uccisi 15 e feriti due. La strage non è stata per ora rivendicata, ma che la matrice sia jihadista è praticamente certo perché il villaggio si trova nella "zona dei tre confini”, così viene chiamata la regione nord orientale del Paese che confina con il Mali e il Niger, infestata, come quelle dei due stati vicini, da numerosi gruppi jihadisti affiliati ad al Qaeda o all’Isis, lo Stato Islamico.
Il Burkina Faso è uno degli stati dell’Africa sub-sahariana in cui i terroristi islamici sono riusciti a penetrare e insediarsi. Inizialmente erano attacchi e attentati compiuti in gran parte nel nord est da jihadisti arrivati dai paesi vicini, soprattutto dal Mali. Ma nel 2016 e nel 2018 sono stati messi a segno due clamorosi attentati nel cuore del paese, addirittura nelle vie centrali della capitale Ouagadougou. Poi i terroristi hanno creato delle basi stabili reclutando molti giovani, attratti, se non tutti dalla missione jihadista di conquistare territori e popoli all’Islam, dalla prospettiva allettante di un salario e del potere che danno le armi di abusare di persone inermi, depredarle, sottometterle.
Adesso circa metà del Burkina Faso è fuori controllo, occupata da gruppi jihadisti. Su un totale di 24 milioni di abitanti, gli sfollati, in cerca di salvezza, sono più di due milioni, poco meno di un decimo della popolazione. Le vittime sono circa 20mila, sempre più numerose nel corso degli anni. Nel nord est e negli altri territori progressivamente raggiunti dal jihad, centinaia di scuole sono state distrutte o costrette a chiudere perché situate in aree troppo insicure. La stessa sorte è toccata a istituti missionari e parrocchie.
In una intervista rilasciata ad Aiuto alla Chiesa che soffre lo scorso luglio, monsignor Laurent Birfuoré Dabiré, presidente della Conferenza episcopale congiunta di Burkina Faso e Niger e vescovo di Dori, la diocesi di cui Essakane fa parte, spiegava che tre delle sei parrocchie della sua diocesi sono state abbandonate per motivi di sicurezza e che un gran numero di cattolici disertano le chiese per paura dei terroristi. «Li comprendiamo – aveva detto – e non chiediamo loro di dare prova di coraggio». «Il terrorismo è una valanga che si è abbattuta sul Sahel e sul nostro paese con l’intento di islamizzare tutta l’Africa, è una minaccia per tutti», aveva detto in un’altra intervista, spiegando che i jihadisti non colpiscono solo i cristiani e le loro chiese, ma anche i musulmani che non professano lo stesso Islam e le loro moschee.
A conferma delle sue affermazioni, poche ore prima che nel nord venisse attaccata la chiesa di Essakane, un grave attacco ha colpito una moschea nella città di Natiaboani, un importante snodo commerciale nel sud est del paese. Mancano ancora informazioni dettagliate, ma si parla di molte decine di persone uccise, tutti musulmani, in gran parte maschi. Dei testimoni hanno riferito al quotidiano Al Jazeera che gli assalitori erano tanti, che si è trattato di un attacco «su larga scala». Arrivati di mattino presto nei pressi della moschea, in quel momento affollata perché si stavano recitando le preghiere del mattino, le prime della giornata, l’hanno circondata per non lasciare scampo ai fedeli e hanno incominciato a sparare. Tra le vittime ci sarebbe anche un importante leader religioso.
Diverse agenzie di stampa riferiscono che inoltre il 25 febbraio sono state attaccate molte basi militari in diverse regioni del nord est. Fonti di sicurezza governative sostengono che centinaia di jihadisti sono stati «neutralizzati» dai militari che hanno risposto alle aggressioni. Ma l’attendibilità di questa dichiarazione ufficiale è dubbia. Troppe volte le autorità africane, in cerca di credibilità e consenso, annunciano vittorie sui jihadisti, perdite inflitte, l’imminente sconfitta di un gruppo armato che invece continua a combattere e minacciare. La giunta militare al potere in Burkina Faso ha bisogno di vittorie sul terrorismo. È al potere dal settembre del 2022 quando con un colpo di stato ha rovesciato il governo militare in carica, a sua volta risultato di un primo golpe che nel gennaio dello stesso anno aveva destituito il presidente democraticamente eletto, Roch Marc Christian Kaboré. Allora la popolazione esausta aveva festeggiato i militari, pensando che con loro al potere il paese avrebbe avuto un governo meno corrotto e più determinato e capace di combattere i jihadisti. Ma si sono dovuti ricredere molto presto. Secondo un rapporto dell’Africa Center for Strategic Studies diffuso nell’agosto del 2023, nei 18 mesi di governi militari il numero dei civili uccisi dai gruppi jihadisti è quasi triplicato rispetto ai 18 mesi precedenti.
«In queste dolorose circostanze – ha scritto in un comunicato monsignor Birfuoré Dabiré – vi invitiamo a pregare per il riposo eterno di quanti sono morti nella fede, per la guarigione dei feriti e per la consolazione dei cuori addolorati e a pregare anche per la conversione di coloro che continuano a seminare morte e desolazione nel nostro Paese. Che i nostri sforzi di penitenza e di preghiera durante questo periodo di Quaresima portino pace e sicurezza al nostro Paese, il Burkina Faso».
Il 25 febbraio sono morti pregando dei cristiani e dei musulmani, vittime, gli uni e gli altri, di una fede che, come dice giustamente il vescovo di Dori, minaccia tutti.
Foto: da Aiuto alla Chiesa che soffre